Natura e paesaggi nell`Eneide - Virgilio

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Natura e paesaggi nell`Eneide - Virgilio
NATURA E PAESAGGI NELL'ENEIDE
Prof.ssa Silvana Massino
Liceo Classico "G. Mazzini" (Genova)
Proposta di un percorso didattico per il biennio ginnasiale.
INDICE:
1.
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8.
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VIRGILIO E LA NATURA
L'ALBA
I NOTTURNI
IL TEVERE
IL LOCUS AMOENUS
I CAMPI ELISI E IL TARTARO
IL LOCUS HORRIDUS
LA TEMPESTA
RIFLETTIAMO SUL TESTO
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1. - VIRGILIO E LA NATURA.
Si approda a Virgilio come ad una spiaggia poco battuta da tempeste: non
privo di sentimenti profondi, ma ad essi superiore, sempre compos sui,
anche quando indaga i grandi problemi della vita.
Così la sua esistenza: lontano dal ritmo della vita imperiale, a cui pure
partecipa con riconoscenza nei confronti di Augusto e Mecenate, egli si trova
a suo agio solo in campagna, nella incantata concentrazione che gli
permette di scrivere prima le Bucoliche, poi le Georgiche e l'Eneide.
Il sentimento della natura emerge dalle sue opere intenso e sincero:
nonostante il modello greco (Omero, Teocrito, Apollonio Rodio), il paesaggio
virgiliano non si riduce mai a sfondo convenzionale, bensì diventa effusione
di sentimenti soggettivi e originale reinterpretazione della natura.
Se Teocrito canta la solarità della natura, un paesaggio aspro e arido, quello
della Sicilia, popolato da gente rude, semplice, bruciata dal sole, e ama
descrivere i pomeriggi assolati della campagna nel periodo del suo massimo
splendore, nelle Bucoliche Virgilio canta invece la Pianura Padana, il lento
scorrere del Mincio, lo stagliarsi delle canne lungo l'argine del fiume, le
nebbie, un paesaggio sfumato: all'atmosfera estiva teocritea, Virgilio
contrappone i toni smorzati dell'autunno, i paesaggi al tramonto, in cui tutto
perde i contorni definiti per acquistare caratteristiche surreali. Tutto è
pervaso di malinconia e di nostalgia.
I paesaggi virgiliani risaltano per una straordinaria efficacia descrittiva
dovuta non solo alla già ricordata sensibilità del poeta nei confronti della
Natura, ma anche ad una sapiente maestria tecnica, alla capacità di
selezionare i dettagli più significativi e di maggior potere evocativo che,
potenziati da figure retoriche, delineano lo scenario e ne ricreano
l'atmosfera.
Nell'Eneide le descrizioni paesaggistiche non sono frequenti né ampie perché
il poema epico ruota generalmente intorno alle imprese dell'Eroe, tuttavia
non mancano accenni al paesaggio e splendide descrizioni naturalistiche.
Le ambientazioni nell'Eneide sono estremamente varie, sia per tipologia che
per morfologia: esse spaziano infatti da Oriente a Occidente, dal mare alla
terra, dal cielo agli Inferi, dal giorno alla notte e ripropongono la ricchezza
d'interni e di esterni che era già stata dell'Odissea.
Sono prevalenti ambientazioni di tre tipi:
1 . Paesaggi naturali: la costa, l'approdo, il fiume, il bosco...
2 . Le città: dalla piccola Troia di Eleno e Andromaca a Cartagine – città in
costruzione ma già grandiosa e caratterizzata dalla potenza che ne
farà una temibile rivale di Roma – alla semplice e frugale città di
Evandro, che sorge tra boschi e spazi erbosi.
3 . Le regge: quella di Priamo, in preda alle fiamme, di Didone, lussuosa
ed elegante, di Latino, solenne e ricca di suppellettili, trofei, scudi,
cimieri, rostri di navi.
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Una "passeggiata archeologica" sulle orme di geografi o topografi per
cercare di riconoscere punto per punto i luoghi virgiliani avrebbe scarsa
attendibilità, come dimostra lo scetticismo della critica virgiliana ufficiale a
questo riguardo: spesso Virgilio non si è attenuto al paesaggio reale dei
suoi tempi, o per aderire a preesistenti modelli letterari o per la libertà della
visione poetica o ancora per adeguarsi alle direttive della propaganda della
Gens Iulia.
Esistono invece alcuni aspetti del paesaggio virgiliano che colpiscono per il
loro fascino e per le emozioni che suscitano nel lettore, pur nella loro
indefinitezza geografica: l'alba, il tramonto, la notte, il paesaggio ameno e
rasserenante, l'asprezza del paesaggio orrido, le tempeste nel mare, che
danno origine, grazie alla sensibilità virgiliana, ad un ambiente che non è
mai un semplice fondale, ma uno spazio ostile o amico, sereno o
inquietante, che sottolinea per contrasto o analogia lo stato d'animo dei
personaggi.
C'è un passo dell'Eneide di grande suggestione, in cui compaiono tre
notazioni descrittive relative a diversi momenti della giornata e alle loro
particolari atmosfere: esso consente al lettore di vedere con quale maestria
e delicatezza Virgilio si accosti alla Natura.
Siamo nel III libro dell'Eneide (vv. 506-531); la flotta troiana salpa dall'Epiro
e fa rotta verso l'Italia; il sole tramonta e i monti si oscurano:
sol ruit interea et montes umbrantur opaci
I Troiani si sdraiano sulla spiaggia e si addormentano: compare la Notte,
divinità personificata, sospinta su un carro dalle Ore, anch'esse
personificate, nel suo viaggio lungo il cielo che non è ancora a metà corso
(non è ancora mezzanotte):
necdum orbem medium Nox Horis acta subibat
Palinuro osserva il bellissimo cielo stellato:
sidera cuncta notat tacito labentia caelo
Spia ogni spirare di vento, per cogliere il momento favorevole alla
navigazione. Virgilio descrive Arturo, la stella più luminosa, le Iadi piovose
che annunciano la stagione inadatta alla navigazione, l'Orsa Maggiore e
quella Minore, Orione. Il cielo appare sereno e Palinuro dà il segnale della
partenza.
Ed ecco il sorgere dell'aurora che precede il carro del sole, mette in fuga le
stelle e colora di rosso la volta celeste:
Iamque rubescebat stellis Aurora fugatis
In questa atmosfera sfumata e quasi magica, alla flotta troiana appare in
lontananza l'Italia: è dunque un momento di grande pathos e commozione,
sottolineato dal rosseggiare dell'aurora.
In Virgilio manca un paesaggio in piena luce, come manca una gioia piena
senza una venatura di dolore. L'unica luce che c'è, ed è ricorrente, è di
colore purpureo (p u r p u r e u s può significare anche abbagliante), è quella
dell'aurora dorata.
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2. - L'ALBA
Il sorgere del sole nell'Eneide porta agli uomini speranza e fiducia nel
futuro, ma può anche preludere ad un nuovo giorno di dolore, ad una realtà
minacciosa e incombente di morte.
L'urlo di Acate: "Italia!", tra l'esultanza dei compagni, quando finalmente gli
esuli avvistano la terra agognata, avviene appunto all'alba, con l'Aurora
rosseggiante (III, 521 ss.): è un giorno di gioia, di nuove aspettative, che i
Troiani salutano "laeto clamore".
Così pure è rassicurante il paesaggio mattutino dell'arrivo di Enea alla foce
del Tevere: sullo sfondo di un cielo prima rosseggiante e poi dorato
dall'Aurora, il vento cala e i remi si affaticano nella immobilità dell'acqua:
Iamque rubescebat radiis mare et aethere ab alto
Aurora in roseis fulgebat lutea bigis,
cum venti posuere omnisque repente resedit
flatus, et in lento luctantur marmore tonsae.
(VII, vv. 25-28)
Dalla sua nave Enea vede un bosco ampio e un fiume, il Tevere, simbolo
dell'inizio di una nuova vita: l'improvvisa bonaccia ha un che di sacro, la
Natura tace quando si manifesta il soprannaturale.
Altrove, però, l'Aurora che si leva dal letto di Titone e sparge intorno a sé la
novella luce rende visibile agli uomini uno scenario di violenza e di dolore:
ad esempio, essa è testimone della vendetta dei Rutuli nei confronti di
Eurialo e Niso, le cui teste confitte in cima a due lance diventano un macabro
trofeo:
Et iam prima novo spargebat lumine terras
Tithoni croceum linquens Aurora cubile.
Iam sole infuso, iam rebus luce retectis
(IX, vv. 459-461)
Quin ipsa arrectis (visu miserabile) in hastis
praefigunt capita et multo clamore sequuntur
Euryali et Nisi.
(IX, vv. 465-467)
Del tutto identica è la descrizione dell'Aurora che apre l'ultimo giorno di
Didone, decisa ormai al suicidio: anche qui l'alba è foriera di tragedia e di
morte:
Et iam prima novo spargebat lumine terras
Tithoni croceum linquens Aurora cubile.
Regina e speculis ut primam albescere lucem
vidit et aequatis classem procedere velis,
litoraque et vacuos sensit sine remige portus,
terque quaterque manu pectus percussa decorum
flaventisque abscissa comas...
(IV, vv. 584-590)
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3. - I NOTTURNI
Come è noto, nell'Eneide l'ambiente non è un fondale, ma uno spazio amico
o ostile, sereno o inquietante, idilliaco o minaccioso, che sottolinea, per
contrasto o analogia, lo stato d'animo di un personaggio o le caratteristiche
dell'evento che vi si svolge.
I notturni in particolare rispecchiano ed amplificano per analogia o per
contrasto la situazione emotiva dei personaggi. Virgilio ama la notte, la
penombra, la luce della luna più di quella del sole; la notte gli consente
l'espressione di sentimenti quali il dubbio, il ricordo, il sogno, la paura,
l'angoscia, tutti sentimenti che sembrano inconciliabili con il chiarore del
giorno, legato all'azione. La notte virgiliana è versatile: è angoscia per
Didone innamorata, fatica per l'instancabile nocchiero Palinuro, pericolo per i
generosi Eurialo e Niso, inquietudine per Enea preoccupato per la guerra nel
Lazio. La stessa luna che, benigna, illumina la rotta dei naviganti, è la causa
indiretta della tragedia di Eurialo e Niso.
Sono proprio i notturni gli scenari più consoni alla sensibilità di Virgilio, quelli
in cui la sua poesia raggiunge livelli espressivi da sempre celebrati.
I versi dell'esordio del libro VII costituiscono un eloquente esempio
dell'efficacia con cui Virgilio sa rappresentare l'ambiente naturale immerso
nell'oscurità:
Aspirant aurae in noctem nec candida cursus
luna negat, splendet tremulo sub lumine pontus.
"Spirano brezze nella notte e la candida luna asseconda il corso, i flutti
risplendono sotto una tremula luce."
(VII, vv. 8-9)
Gli elementi paesaggistici sono ridotti al minimo: la brezza che spira, la luna
che illumina il buio della notte, le onde punteggiate dai raggi lunari; sono
dettagli tradizionali, quasi topici, eppure Virgilio li reinterpreta con una nuova
sensibilità, cogliendo sfumature inedite ed originali. La brezza e la luna che
"asseconda" il corso suggeriscono un'idea di pace e di serenità; i flutti, che
"risplendono" toccati dalla "tremula" luce dei raggi lunari, creano
un'atmosfera suggestiva e quasi magica.
Qui l'atmosfera serena prelude ad un futuro momento di gioia, l'approdo
alla foce del Tevere, ma più spesso la calma assoluta della notte è piena di
presagi di un'imminente catastrofe, come nella notte insonne di Didone,
quella che precede il suo suicidio (IV, v. 522 ss.):
"Era la notte, e placido sonno godevano stanchi in terra i corpi, e le selve e il
mare iracondo posava, quando a mezzo del giro le stelle già volgono,
quando tace ogni campo, le greggi, e variopinti gli uccelli che han l'ampie
distese dell'acque e le lande selvagge di spini, composti nel sonno, sotto la
notte silente. Ma non la disperata Fenicia: lei mai si abbandona nel sonno,
mai negli occhi, nel cuore accoglie la notte."
oppure quando Enea sogna Ettore che lo sollecita a fuggire dalla città in
fiamme:
Tempus erat quo prima quies mortalibus aegris
incipit et dono divum gratissima serpit.
In somnis, ecce, ante oculos maestissimus Hector
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(II, v. 268-270)
In IX, vv. 224 ss. "gli altri viventi per tutta la terra nel sonno scioglievano
l'ansie e i cuori dei mali obliosi, ma i capi dei Teucri, fior dei guerrieri,
tenevan consiglio": essi si consultano, preoccupati, per decidere chi mandare
come messaggero presso Enea. Sta per cominciare il dramma di Eurialo e
Niso.
Altrove alla quiete della notte viene contrapposta l'angoscia di Enea che,
turbato dalla guerra, non riesce a prendere sonno:
"Era notte, e stanchi per tutta la terra i viventi, le razze alate e gli armenti,
sonno profondo teneva, quando presso la ripa, sotto il gelido cielo, turbato il
padre Enea dalla guerra funesta nel cuore, si sdraiò finalmente, concesse,
tarda, al corpo la quiete." (VIII, vv. 26-30).
Qui però la notte porta ad Enea un sogno di buon auspicio: gli appare il dio
Tiberino, rassicurante e benevolo.
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4. - IL TEVERE
All'inizio dell'VIII libro, come si è visto, la pace e la tranquillità della notte
amplificano, per contrasto, il turbamento di Enea: finalmente Enea si
addormenta e gli appare il dio Tiberino che lo conforta e gli predice il
futuro.
L'immagine del dio è suggestiva: emerge tra il verde dei pioppi un
vecchio coperto da una veste azzurra (colore della corrente fluviale) ed i
suoi capelli sono coperti da un graticcio di canne. E' il dio del Tevere, è il
Tevere stesso che rincuora Enea:
huic deus ipse loci fluvio Tiberinus amoeno
populeas inter senior se attollere frondes
visus: eum tenuis glauco velabat amictu
carbasus et crinis umbrosa tegebat harundo
(VIII, vv. 31-34)
Più avanti il Tevere si presenta come tranquillo stagno, quasi una pigra
palude, che consente alle imbarcazioni di Enea di risalirlo per recarsi da
Evandro a chiedere la sua alleanza: le acque del fiume per intervento del
benigno genio fluviale scorrono placide, a ritroso, dalla foce alla sorgente
e allontanano dai remi ogni ostacolo.
Thybris ea fluvium, quam longa est, nocte tumentem
leniit et tacita refluens ita substitit unda,
mitis ut in morem stagni placidaeque paludis
sterneret aequor aquis, remo ut luctamen abesset
(VIII, vv. 86 ss.)
I rematori si affaticano un giorno e una notte e coperti dall'ombra degli
alberi solcano i verdi riflessi dei boschi nello specchio calmo delle acque;
è un paesaggio tranquillo e sereno che ricorda quello del primo incontro
con il fiume: là esso sfociava a mare con la sua bionda e amena
corrente, mentre sopra e tutt'intorno un volo di uccelli "carezzava" l'aria
con il suo canto:
Atque hic Aeneas ingentem ex aequore lucum
prospicit. Hunc inter fluvio Tiberinus amoeno,
verticibus rapidis et multa flavos harena,
in mare prorumpit. Variae circumque supraque
adsuetae ripis volucres et fluminis alveo
aethera mulcebant cantu lucoque volabant.
(VII, vv. 29-34)
Questo gorgheggio melodico – osserva Della Corte (1)– ben si confà al
poeta delle Bucoliche e delle Georgiche, ma non è detto che realmente il
paesaggio della foce del Tevere fosse così ai tempi di Virgilio: è molto
probabile che questa scena risenta di una suggestione di Apollonio Rodio
(II libro delle Argonautiche).
La serenità del paesaggio, pur rispecchiando lo stato d'animo fiducioso
degli esuli che stanno per approdare ed auspicano un futuro migliore,
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contiene anche alcuni elementi caratteristici del locus amoenus, un topos
letterario di grande fortuna.
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5. - IL LOCUS AMOENUS
Il paesaggio del Tevere rientra dunque in una tipologia ricorrente nella
letteratura antica.
Marco Onorato Servio, studioso e grammatico della fine del IV sec. d.C., nel
commento all'Eneide (VI 638) a proposito del locus amoenus ci dice:
"Loca solius voluptatis plena... unde nullus fructus exsolvitur'', oppure:"
amoena virecta autem quae solum amorem praestant" (Luogo pieno
solamente di piacere... da dove non si ricava nessun frutto; ... luoghi erbosi
piacevoli e che favoriscono solo l'amore).
Il locus amoenus è dunque un luogo di delizie naturali tali da confortare e
ricreare lo spirito.
Il locus amoenus è definito dal Curtius (2) paesaggio "ideale'', cioè è una
trasfigurazione e idealizzazione della Natura, caratterizzata da una eterna
bellezza, fertilità e da una staticità quasi divina: Curtius, nella sua opera
fondamentale Letteratura europea e medioevo latino, reinterpretando 1500 anni
di letteratura europea, vede nel Medioevo latino il punto chiave dello
sviluppo letterario occidentale, quello in cui si formarono strutture culturali
rimaste invariate fino ai nostri giorni, ad esempio i cosiddetti topoi letterari,
con alcuni elementi chiave costantemente ripetuti.
Le condizioni necessarie perché un luogo descritto possa essere definito
amoenus sono le seguenti:
〈
〈
〈
la presenza di almeno un albero che garantisce ombra
un prato
una fonte o un ruscello
A questo schema-tipo si possono aggiungere vari elementi, quali il canto
degli uccelli, docili e amabili animaletti del bosco, fiori colorati e molto
profumati, una lieve brezza che concilia un dolce sonno e trasmette il
profumo intenso e inebriante dei fiori. Il locus amoenus è abitato spesso da
una divinità.
L'archetipo del locus amoenus è in Omero nell'Odissea; nell'Iliade, dato
l'argomento guerriero del poema, non ci sono ampie descrizioni di paesaggi
di questo tipo, anche se non mancano similitudini che idealizzano il
paesaggio.
Nel paesaggio "ameno" dell'Odissea la natura è bella, serena, priva di
tragicità, come si può osservare nella descrizione della grotta di Calipso (V
63-74) e del giardino di Alcinoo (VII 112-132), o ancora della grotta di Itaca
consacrata alle Ninfe (XIII 102).
È una specie di paradiso della Natura, bello e rigoglioso: lo splendore di
Ogigia, isola di Calipso, affascina e stupisce persino un Dio, Ermes. L'isola è
un'oasi di fecondità che emerge dal mare, per definizione a t r ú g e t o s
(infecondo), come recita uno degli epiteti omerici. C'è un bosco rigoglioso in
cui svettano ontani, pioppi e odorosi cipressi, caratterizzato dal gioco
cromatico dell'argenteo delle foglie del pioppo e del verde cupo dei cipressi.
Ci sono prati fioriti di viole, l'acqua che sgorga da quattro fonti (numero
magico della perfezione e dell'ordine) che si diramano in direzioni opposte.
Sul bosco volteggiano uccelli e cornacchie marine ciarliere. All'imbocco della
grotta profonda in cui Calipso canta e tesse si allunga una vigorosa vite dal
ricco fogliame e dagli abbondanti grappoli.
Il giardino di Alcinoo colpisce invece per la ricchezza e l'abbondanza delle
verdure e degli alberi da frutto: è un tipico giardino mediterraneo in cui le
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piante producono a ciclo continuo. I peri, i meli, i fichi, la vite mostrano
contemporaneamente verdi germogli, fiori, frutti acerbi e frutti maturi. Vi
sono anche due fonti, una che si spande per tutto il giardino, l'altra che corre
fino al palazzo e fornisce acqua agli abitanti.
Se Ogigia è simbolicamente l'isola della fecondità e del mistero della vita, il
giardino di Alcinoo, in quanto delimitato e organizzato razionalmente, è
l'emblema di un mondo civile che conserva però i vantaggi della mitica età
dell'oro.
Al di là dei diversi significati simbolici che essi sottendono, questi due
paesaggi omerici hanno caratteri comuni che confluiranno nella definizione
del locus amoenus della letteratura successiva.
Questo topos letterario arriva a Virgilio attraverso Teocrito.
Nelle Talisie (Idillio VII), sul capo dei pastori alla festa in onore di Demetra
ondeggiano folti pioppi e olmi, nell'antro delle Ninfe scorre l'acqua sacra,
sopra i rami frondosi friniscono le cicale e fra i rovi, lontano, gracidano le
rane. Si sente il canto delle allodole e dei cardellini e la tortora geme,
mentre le api volano intorno alle fonti. Da un frutteto vicino pere e mele
rotolano ai piedi dei pastori: i rami sovraccarichi di prugne si curvano fino a
terra.
Rispetto ad Omero gli elementi del locus amoenus si sono moltiplicati:
Curtius ritiene che anche questi nuovi elementi siano stati effettivamente
visti e percepiti dai sensi, mentre altri pensano che questa campagna sia
sentita come un mondo ignoto con il quale manca ogni diretto contatto.
Teocrito quindi ricreerebbe questo paesaggio con lo spirito del cittadino che
dipinge la natura nella sua fantasia riempiendola di elementi topici.
Esempi di locus amoenus sono presenti nelle Bucoliche, nelle Georgiche e
nell'Eneide.
Se rileggiamo ad esempio i primi versi della prima Ecloga (I, vv. 1-5; 7-13)
e della seconda (II, v. 1-13), è facile individuare il campo semantico tipico
del locus amoenus: osserviamo infatti l'albero frondoso che dà ombra (s u b
tegmine patulae fagi), il bosco (silvas), la pace e la tranquillità (lentus in
umbra), e ancora le cime ombrose (umbrosa cacumina), la densa vegetazione
(densas fagos), la bella stagione (sole sub ardenti), le sensazioni auditive
(raucis cicadis).
Nell'Eneide, Virgilio si ispira all'atmosfera ideale del locus amoenus nella
scena dell'approdo nel Lazio, come si è visto, ma soprattutto nella
descrizione dei Campi Elisi, un paesaggio che rivela la nostalgia virgiliana
per la sua terra natia: il poeta descrive le verdi praterie dell'Elisio, ma pensa
in realtà ai pascua delle sue Bucoliche e al paesaggio della Pianura Padana.
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6. - I CAMPI ELISI E IL TARTARO
Nel VI libro Enea intraprende il viaggio negli Inferi e la poesia si fa
misteriosa, emozionante.
Dalla porta degli Inferi si dipartono due strade: una conduce al Tartaro,
luogo di dannazione, l'altra all'Eliso, dove, in luminose praterie,
soggiornano gli spiriti dei giusti e dei pii. L'aria è tersa e luminosa, i
campi sono rivestiti di luce, allietati da un altro sole e da altre stelle
rispetto a quelle che illuminano la superficie terrestre.
Il boschetto profumato, le acque che scorrono, l'erba abbondante, la
natura serena ricreano un'atmosfera beata che è serenità, armonia,
libertà di movimento per le ombre degli eroi virtuosi, dei sacerdoti più
puri, dei profeti, dei benefattori, degli uomini che hanno consacrato la
vita alla poesia e alle arti.
In fondo a questa vallata c'è un bosco appartato, folto sussurro di selva,
e la corrente del fiume Lete lambisce quelle placide sedi. Lì intorno
aleggiano le anime in attesa della reincarnazione: sono paragonate ad
api che, nella stagione estiva, si posano sui fiori di vari colori, si affollano
accanto a candidi gigli e riempiono l'aria del loro ronzio.
Così come il bosco, l'acqua, i fiori, anche le api fanno parte del topos del
locus amoenus, già a partire da Teocrito.
L'Odissea conosceva i Campi Elisi ai confini della terra e altri poeti
avevano immaginato che gli Spiriti Beati dimorassero nelle Isole Beate,
che identificavano con le Canarie.
Virgilio, invece, nel descrivere questo paesaggio ideale pensa all'Italia, ai
suoi boschetti odorosi, ai ruscelli, alle vallette riparate: il topos letterario
assume nuove caratteristiche, si colora del fascino della Saturnia tellus
celebrata nel famoso passo delle Georgiche (II, vv. 136-176).
La nostalgia di Virgilio per il Mantovano e la Pianura Padana riaffiora
anche qui e la presenza dell'Eridano ne è la prova:
... unde superne
plurimus Eridani per silvam volvitur amnis
(V, v. 658)
Che Virgilio descriva i Campi Elisi con le caratteristiche del locus amoenus
non stupisce: può sembrare strano invece che lo stesso modello di bosco
e di acque venga sfruttato per rappresentare l'orrore degli Inferi. Tutto
però appare ribaltato: nei Campi Elisi l'aria è tersa e luminosa e i campi
sono splendide distese di verde irrorato d'acque, negli Inferi il bosco è
inospitale e spaventoso, caratterizzato da aspri anfratti rocciosi, l'acqua è
nera ed il luogo è tenebroso. Non ci sono uccelli rasserenanti, ma si
insiste piuttosto sulla loro assenza, motivata peraltro dalla antica
etimologia di Avernus come aornos, "privo di uccelli", accolta da Lucrezio.
Questo paesaggio presenta le caratteristiche di un altro topos letterario,
quello del locus horridus, ma anche in questo caso Virgilio personalizza il
topos e attinge alla sua esperienza diretta: la sua catabasi sembra
ambientata nel paesaggio flegreo, a lui ben noto, con fonti termali che
scaturiscono dal suolo, fumarole e solfatare dalle emanazioni gassose,
vulcani spenti ed in attività, laghi in crateri, boscaglie.
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7. - IL LOCUS HORRIDUS
Quello del locus amoenus non è l'unica configurazione dell'ambiente naturale
nel mondo letterario dell'antichità, anche se è quella più ricorrente, ma
esiste anche il locus horridus, caratterizzato da foreste oscure, alte
montagne, rupi ricoperte di selve, solitudine orrida. Talvolta ci può essere la
presenza di una divinità, per attenuarne il carattere spaventoso.
La Mugellesi in Paesaggi latini (3) osserva: "Paesaggio ameno e paesaggio
orrido sono due aspetti polari del gusto antico per la natura: ideale-statico il
primo, tragico-dinamico il secondo".
In effetti il locus amoenus, proprio perché eccessivamente idealizzato, può
apparire poco vitale, un po' artificioso, mentre più drammatici sono gli
esempi di locus horridus, già presenti in Omero (la lotta di Achille con lo
Scamandro, le tempeste) e poi in Euripide (Baccanti).
Nelle Georgiche il tradizionale e spesso freddo locus amoenus cede il posto ad
un paesaggio più vicino al locus horridus, molto originale e potente, nel primo
libro (vv. 356-373), quando sta per scatenarsi una tempesta e la Natura ne
mostra i segni: il rumoreggiare del mare ed il fragore dei tuoni in
lontananza sono ricreati attraverso effetti allitteranti onomatopeici
tipicamente virgiliani
misceri... nemorum... murmur...
mentre visivamente è suggestiva l'immagine della striscia di fuoco lasciata
nella notte dalle stelle cadenti.
Nell'Eneide, oltre alla già citata descrizione dell'Averno, Virgilio ricorre più di
una volta alle caratteristiche del locus horridus: in III, vv. 571 ss., l'Etna
trema e rimbomba, erutta una nuvola nera e fumante, alza fiamme sino alle
stelle, a tratti scaglia pezzi di rupi, rocce liquefatte, ingombra il cielo di
fumo. Il paesaggio è grandioso e orrido: la paura dei Troiani è accentuata
dal fatto che essi percepiscono orrendi fragori, ma ne ignorano l'origine e si
trovano perciò immersi in una atmosfera terrificante e da incubo:
nec quae sonitum det causa videmus
Inoltre la notte non ha stelle e una minacciosa coltre di nubi nere nasconde
la luce della luna:
et lunam in nimbo nox intempesta tenebat
In XI, vv. 522 ss., Turno concorda un piano d'azione con Camilla, la regina
dei Volsci.
Si apposta sui monti, in una selva insidiosa, per sorprendere le schiere
nemiche: il luogo è solitario, difficilmente accessibile, denso di alberi. E' una
valle "adatta alle insidie e agli agguati di guerra" e per questo risponde alle
esigenze di Turno; a destra e a sinistra c'è fitta boscaglia, il sentiero è
appena tracciato, l'accesso è malagevole. Il paesaggio minaccioso e ostile,
tipico esempio di locus horridus, sembra preludere alla imminente,
drammatica morte di Camilla:
Est curvo anfractu valles adcommoda fraudi
armorumque dolis, quam densis frondibus atrum
urget utrimque latus, tenuis quo semita ducit,
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angustaeque ferunt fauces aditusque maligni.
(XI, vv. 522-525)
C'è un altro esempio di locus horridus nel primo libro dell'Eneide che presenta
però caratteristiche diverse: Enea ed i suoi compagni approdano presso
Cartagine ed il paesaggio è dominato da vaste rupi, da alti scogli che
minacciano il cielo, da un bosco oscuro che incombe con orrida ombra. C'è
anche un accenno alle Ninfe e cioè ad una presenza soprannaturale che
incute timore religioso e rispetto e nel contempo attenua il carattere orrido
del paesaggio. Tuttavia l'insenatura è quieta e profonda, le acque sono
sicure, un'isola fa da barriera al mare in burrasca.
Il locus horridus appare qui "addomesticato", reso meno spaventoso
dall'approdo insperato dopo la violentissima ed improvvisa tempesta che ha
sconvolto la flotta di Enea.
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8. - LA TEMPESTA
Il mare in tempesta spesso ricorre in Virgilio per delineare un ambiente
pericoloso e una Natura avversa.
Nel primo libro dell'Eneide compare una grande scena di tempesta (I, vv.
81-156): il turbine dei venti spazza la terra e sconvolge il mare, immense
ondate si abbattono sulle coste e investono le navi che emettono sinistri
rumori, terrificante eco alle urla degli uomini. Tuoni e fulmini e nubi
minacciose trasformano il giorno nella notte nera. Il poeta alterna
inquadrature diverse, ognuna delle quali contiene uno o più particolari di
grande potenza espressiva: c'è l'inquadratura di insieme, quella di campo
medio, quella di primo piano, il dettaglio. Il lessico appartiene al campo
semantico dei colori e dei rumori, ma vi sono anche termini che
specificamente alludono alla subitaneità, alla violenza e alla eccezionalità
della tempesta. Anche quando la tempesta si è conclusa e tutto ritorna
calmo, Virgilio insiste sui colori cupi (horrenti...umbra; atrum...nemus) e
sull'asperità della baia (vastae rupes; scopulis pendentibus): la terminologia è
quella del locus horridus.
Le immagini di tempesta sul mare sono numerose nell'Eneide, ma benché
gli elementi descrittivi siano costanti (i venti che impazzano, le onde tumide
e violente, il cielo che si oscura minaccioso), le tempeste sono diverse tra
loro: quella del primo libro, a cui si è accennato, si caratterizza per la
potenza e la violenza delle forze della Natura che disperdono la flotta
troiana buttandola sulle coste dell'Africa, tanto che Enea, impotente ed
inerme, si dispera e rimpiange di non essere caduto in battaglia. Nel III libro
(vv. 192-208), invece, la tempesta degli agenti atmosferici passa in secondo
piano perché il poeta vuole evidenziare la totale perdita dell'orientamento
spazio-temporale che la tempesta induce negli uomini, ponendo l'accento
sullo smarrimento e sull'incubo dell'ignoto che assale i naviganti: essa infatti
assume valore simbolico, è il correlativo oggettivo dell'incerto vagare degli
esuli alla ricerca della nuova patria.
NOTE
(1) F. Della Corte La mappa dell'Eneide, La Nuova Italia, Firenze 1972
(2) E. R. Curtius, Letteratura europea e Medio Evo latino, trad. it., La
Nuova Italia, Firenze 1992.
(3) R. Mugellesi, Paesaggi latini, Sansoni, Firenze 1975.
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RIFLETTIAMO SUL TESTO
L'ALBA:
1 . Traduci i versi sopra riportati.
2 . "Italia!" urla Acate: a che cosa corrispondeva presso gli antichi
l' )Itali/a?
3 . In lento marmore (VII, v. 28): che figura retorica è?
4 . Il v. 467 del IX libro è un verso incompleto. Ve ne sono numerosi nel
Poema. Sai per quale motivo? Come si chiamano questi versi?
5 . L'Aurora lascia il letto di Titone: conosci il mito di Aurora e Titone?
Ricordi qualche epiteto omerico dell'Aurora?
I NOTTURNI:
1 . Rileggi i vv. 8-9 dell'VIII libro: quale schema metrico presenta il v. 8?
che ritmo ne risulta? Che figura retorica è nec...negat? Che figura di
parola è tremulo sub lumine? Individua l'iperbato.
2 . Rileggi II, vv. 268-9: individua il chiasmo, l'allitterazione,
l'onomatopea.
3 . Il notturno è un topos letterario, già presente in Omero. Famosi sono
i notturni di Alcmane e di Saffo. A quale di essi è più simile il notturno
virgiliano?
SAFFO: Tramontata è la luna e le Pleiadi a mezzo della notte; anche
giovinezza già dilegua, e ora nel mio letto resto sola.
ALCMANE: Dormono le cime dei monti e le vallate intorno, i declivi e i
burroni; dormono i rettili, quanti nella specie la nera terra alleva, le fiere
di selva, le varie forme di api, i mostri nel fondo cupo del mare; dormono
le generazioni degli uccelli dalle lunghe ali...
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IL TEVERE:
1 . Traduci i versi sopra riportati.
2 . Tiberino è il dio del fiume: come è descritto? Prevalgono i termini
correlati alla sua rappresentazione in forma umana o quelli che si
riferiscono alla sua natura di corso d'acqua?
3 . Nella sua presentazione il dio Tiberino accenna alla sua sorgente e
dice: celsis caput urbibus exit (VIII, v. 65). Il Tevere nasce in Toscana
dal Monte Falterona: a quali città si fa riferimento?
4 . Classifica le seguenti figure retoriche:
VIII, v. 32: populeas inter
VIII, v. 33: glauco amictu
VIII, v. 88: mitis ut
VIII, v. 89: remo
IL LOCUS AMOENUS:
1 . Sintetizza le caratteristiche del locus amoenus in Omero e Teocrito.
2 . Il locus amoenus è spesso lo sfondo ideale della meditazione
filosofica e della creazione artistica: è insomma il luogo simbolico
dell'otium. Definisci con parole tue le due categorie spirituali
dell'otium e del negotium.
3 . Il topos del locus amoenus ricorre spesso in letteratura, da Dante
all'Ariosto, dal Tasso al Goethe, fino agli autori contemporanei,
come Tolkien, autore de "Il Signore Degli Anelli". Per ulteriori
approfondimenti sull'argomento: "Il paesaggio nell'immaginario
poetico".
(http://digilander.libero.it/ostraca/immaginario poetico.htm)
"The Locus Amoenus and the Fantasy Quest"
(http://wpl.lib.in.us/roger/LOCUS.HTML)
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I CAMPI ELISI E IL TARTARO:
1 . Catabasi indica la discesa agli Inferi: qual è l'etimologia della
parola?
2 . Leggi i seguenti versi (VI, vv. 638-9):
Devenere locos laetos et amoena virecta
fortunatorum nemorum sedisque beatas
Dopo averli tradotti, individua il chiasmo nel primo verso.
3 . Nemus indica il boschetto sacro, consacrato ad una divinità.
Conosci il corrispondente in greco?
IL LOCUS HORRIDUS:
1 . Definisci con parole tue il locus amoenus e il locus horridus.
2 . Nel descrivere il paesaggio dell'Etna, Virgilio, secondo alcuni critici, ci
dà un famoso esempio di "sublime" (propensione alla grandiosità e
solennità): conosci l'Anonimo Del Sublime? Documentati.
3 . Nei seguenti capitoli de "La Metamorfosi" di Apuleio, Psiche affronta
difficili prove per recuperare l'amore dello sposo Eros: sottolinea le
espressioni che riproducono i caratteri del locus horridus.
Met. VI 13-14:
"...vedi la cima di quella montagna dirupata e l'altissima roccia che
essa domina? Da quella cima scaturiscono le acque tenebrose d'una
trista sorgente e, raccogliendosi nel seno d'una valle vicina, si
riversano nelle paludi di Stige e alimentano la rauca corrente di Cocito.
Là dove la sorgente scaturisce alla superficie dal seno della terra,
attingi alla sua gelida onda e subito recami l'acqua in questa piccola
urna"......Psiche, a rapidi passi, si affretta a dirigersi verso il giogo più
alto del monte, sperando di incontrare almeno colà la fine d'una vita
così travagliata. Ma quando giunse nelle vicinanze di tale cima, scorse
le enormi difficoltà di un'impresa che implicava la morte. Poiché la
roccia era a dismisura alta, inaccessibile, tutta punte e scivolosa;
inoltre, da una gola che s'internava nel sasso, gettava fuori una
disgustosa corrente, e questa, appena spicciava dalla cavità
sottostante, tosto sfuggiva giù per la china e, infilandosi al coperto per
un angusto canale che aveva scavato nella pietra, ricadeva di nascosto
in una valle vicina.
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LA TEMPESTA:
1 . Il mare in tempesta è un locus horridus nel quale la forza d'animo e il
coraggio dell'eroe vengono messi a dura prova: rileggi i versi virgiliani
e individua gli elementi fisici, le immagini, i dati percettivi che
descrivono lo sconvolgimento del mare.
2 . Nella tempesta di III, vv. 192 ss., il poeta pone l'accento sullo
smarrimento dei naviganti: rileva nel testo da una parte gli elementi
tradizionali che descrivono la furia della Natura, dall'altra i termini e le
espressioni che sottolineano il disorientamento degli uomini.
3 . Tempesta deriva da tempus ed è una "vox media": che cosa si intende
per "vox media"? Conosci qualche altro esempio in latino e greco?
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