Giornale del 01/05/2014

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Giornale del 01/05/2014
òς
European Journalism - GNS Press Ass.tion - The ECJ promotes publishing, publication and communication- P. Inter.nal
I COMPORTAMENTI A RISCHIO
LE DIPENDENZE ( 3 parte )
ANNO X N.RO 05
del 01/05/2014
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Pag. psicologica
La droga non fa prig.
Secondo copione
Il teatro romano
De cognomine
Note antropologiche
La vecchietta dell’on.
Il racconto del mese
Da Trapani
Momento tenero
La donna nella storia
Immagini d’un altro t.
Proverbi
Storia della musica
La pagina medica
Storia della musica
La donna nella letterat.
Quanti l’avevano capito?
Don Ottavio di E.Siviglia
Dentro la storia
Neknomination
I grandi pensatori
Politica e nazione
Dentro le istituzioni
I piatti tipici
Dalla Red.di Bergamo
Dalla Red.di San Valent.
Gente del Vesuvio
Regimen sanitatis saler.
Opinione Eretica
Leviora
L’angolo della follia
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Ciò che preoccupa maggiormente è l’attuale eccessiva diffusione del fenomeno
dell’assunzione di sostanze. L’ampia diffusione del consumo porta a ritenere che oggi
l’utilizzo di droghe sia divenuto un aspetto della costruzione dell’identità,visto anche l’abbassamento dell’età del primo contatto con le varie
sostanze. Fortunatamente, però, l’uso di droghe in adolescenza è prevalentemente saltuario od occasionale, limitato ad esempio nel weekend
e perciò non dipendente. In realtà, l’uso di droghe non è per nulla un fenomeno recente, anzi, fin dai tempi più antichi tali sostanze erano diffuse con lo scopo
di sconfiggere il dolore, ricercare il piacere, ed altro. Alle droghe erano attribuiti poteri
e significati di volta in volta diversi a seconda dello scopo per cui venivano assunte.
Attualmente, le caratteristiche del fenomeno si intrecciano con i numerosi cambiamenti della società . I cambiamenti familiari legati alla mutata condizione della
donna, sia in famiglia che all’esterno, il venire meno di tabù legati alla sessualità e a
valori di realizzazione personale, la mutata relazione di coppia dei genitori che vede il
padre più che altro impegnato in un ruolo che non gli calza, i modificati aspetti
simbolici ed organizzativi di famiglia e società spiegano i cambiamenti valoriali dei figli
adolescenti e del loro stile di vita, rendendoci anche più chiaro i motivi delle loro scelte:
essi non sono sufficientemente preparati ad affrontare il dolore mentale risultante dalla
crescita, da cui cercano di sfuggire ricorrendo anche all’uso di droghe .
Oggi, tali sostanze sono talmente diffuse e così facilmente prodotte, oltre che
consumate e pubblicizzate attraverso film, canzoni, eccetera, da essere parte integrante
della cultura giovanile. Infatti, è praticamente impossibile non averne notizia, anzi
vivere con le droghe sembra essere un’esigenza della modernità . Si arriva addirittura ad
affermare che alcol, tabacco e cannabis siano parte dei consumi adolescenziali, come
l’abbigliamento, i generi musicali, i motorini, e ciò conferma l’ipotesi che si stiano
creando veri e propri stili comportamentali in relazione alle sostanze psicoattive. Per
sollecitare maggiormente il già diffuso consumo di sostanze, si sono aggiunte, infatti, le
campagne pubblicitarie e le strategie di marketing, studiate appositamente dalle grandi
multinazionali, che mirano semplicemente all’aumento delle vendite. Ad esempio sono
sorti nuovi prodotti alcolici, per così dire alla moda, che “fanno tendenza”, ma al tempo
stesso trag-gono in inganno perché sono comunque sostanze alcoliche: sembra non si
ricordi qual è l’impatto della comunicazione tra gli adolescenti. Le conseguenze che ne
derivano, portano i giovani a mettere in pericolo la loro salute.
In generale il consumo di droghe è comune a molte fasce generazionali e sociali; va
ricordato che, se si è abbassata l’età del primo contatto con le sostanze , è anche vero
che il consu-mo non è più solo giovanile, anzi si può dire che sia diventato di massa e
che si è anche personalizzato: ognuno ne fa l’uso che più corrisponde ai propri obiettivi
e desideri. Per questa stessa ragione, sono numerosissimi coloro che associano droghe
diverse, a seconda mode, contesti e scopi personali. I dati finora presenti in letteratura,
relativamente all’odierna situazione del consumo di sostanze psicoattive tra gli
adolescenti italiani sono piuttosto lacunosi. I dati relativi alla generale incidenza
dell’uso di sostanze psicoattive, pur essendo scarsi, ci mostrano le tendenze degli ultimi
anni: l’aumento del consumo precoce di cannabis, l’ecstasy e altre nuove tipologie di
droghe attribuisce grande importanza alla necessità di studiare tale fenomeno, soprattutto in relazione alle abitudini ed agli stili di vita adolescenziali, per capire quali
motivazioni spingono i giovani di oggi a fare un uso sempre più diffuso delle sostanze
psicoattive. Solo così è possibile un intervento tempestivo e/o preventivo.1
1) F. Pastore, LE PROBLEMATICHE DELL’ADOLESCENZA, pag. 41-42 A.I.T.W. ed.SA. 2013
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Antropos in the world
LA DROGA NON FA PRIGIONIERI
Una ragazzina s’è sentita male a scuola, una
canna di troppo l’ha obbligata in orizzontale, è
finita sull’ambulanza e poi in ospedale.
Una minorenne ha comprato la sua dose
dietro quell’angolo mai troppo celato, come
accade ultimamente vicino alle scuole, dentro le
scuole, fin dentro la classe.
Una giovanissima ne ha fatto uso, badate bene, non ho detto abuso, ne ha preso qualche tiro
la mattina, ma come qualcuno ostinatamente
persiste a ripetere, è importante farlo responsabilmente, consapevolmente, tant’è finita su un
lettino del pronto soccorso.
Una adolescente che, sentenza della Consulta
o meno, non sarà mai autorizzata a comprarla
legalmente, neppure in tempo di spaccio statuale.
Di fronte a questo scempio di dignità calpestata, di libertà prese a calci in bocca, c’è chi
pervicacemente porta avanti la tesi di un uso
responsabile della roba, come a dire: fumatela
bene, fatelo con giudizio, sarete al sicuro, non
potrà accadere niente di spiacevole, c’è addirittura chi propende per fare svolgere un’ora di
ricreazione scolastica per formare al consumo
responsabile della canapa.
A questo punto non ha più alcuna importanza se qualcuno, per fare del “ribellismo spicciolo”, userà l’insulto per arginare la propria disonestà intellettuale, non me ne può fregare di
meno beccarmi del proibizionista, del rigorista,
del moralista.
Quel che mi interessa è mettere al bando le
chiacchiere, le bugie, le mistificazioni, i sofismi
che vorrebbero coniare nuove argomentazioni
filosofiche a supporto di una droga buona, di
una droga normale, insalutare quanto un bicchiere di vino, un pacchetto di sigarette.
Come diavolo è possibile sostenere che lo
spinello non crea danni, né mette nei guai chi
già è nei guai di un’età respingente? Come non
dare conto ai tanti e troppi sì, a discapito dei pochi e vituperati no? Come non sbatterci il muso
in quel tempo da dedicare agli altri e che non
c’è mai? Quel tempo, invece, occorre trovarlo
necessariamente,per non dovere correre in ospedale a sincerarsi delle condizioni dei propri fi-
gli. Con quale correttezza interiore è dapprima sottaciuta, poi licenziata sbrigativamente
la risposta scientifica che indica la
cannabis, come droga, che fa male,
che crea dipendenza, contamina il sistema nervoso, con il rischio di diventare malattia se già non lo è.
Quella ragazzina, quegli altri giovanissimi, sono ritornati a casa, rincoglioniti e spaventati, fortunatamente vivi, quelli che hanno venduto la
dose sono stati presi, la nuova pratica degli adolescenti che comprano, vendono, guadagnano, poi
ricomprano per uso proprio e per spacciarla, ha
esteso radici profonde, in questo modo a casa non
spariranno più ori e danari, non si chiederanno più
troppi soldi, evitando sospetti e tensioni.
Qualcuno vada a dirlo ai genitori di quella ragazzina, che vietare, proibire, equivale a moltiplicare trasgressioni e devianze, fatturoni e Peter
Pan di periferia, vadano a dirlo a loro che non è
niente di più e niente di meno di una bevuta di
buon vino.
Ripetano a quegli adulti che quanto accaduto
alla loro bambina è semplicemente un “evento
critico”, ma questo/i sacrifici consentiranno di
battere le mafie, faranno diminuire i tossicodipendenti, risolveranno il sovraffollamento quale
problema endemico dell’Amministrazione Penitenziaria.
Vadano a dirlo a loro, confidando sulla buona
sorte che ha risparmiato una vita, perché fosse andata diversamente, a quella porta nessuno avrebbe
fatto sosta né passaggio, unicamente ammenda.
Vincenzo Andraous
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Antropos in the world
OTTANTA EURO PER PRENDERCI IN GIRO,
TUTTO SECONDO COPIONE
Tutto secondo copione. Lo avevo scritto su
“Social” del 21 marzo: il bonus di 80 euro in busta
paga ci sarà, e Renzi troverà in qualche modo la copertura, oppure se la inventerà. Ne ero sicuro: perché
quello degli 80 euro era ed è lo specchietto per gli
elettori-allodole che – alle europee del 25 maggio –
dovranno essere convinti a votare per i partiti eurobbedienti, e in particolare per il PD che è il più eurobbediente di tutti.
In effetti, dunque, gli 80 euro si sono trovati,
come ha trionfalmente annunciato il piccolo imbonitore fiorentino nella sua pompatissima conferenza
stampa. «Avevo detto 80 euro, e 80 euro sono» ha
declamato trionfante, e la frase storica è stata prontamente rilanciata dai giornali debenedettiani e dalle
televisioni berlusconiane, fraternamente protesi a
glorificare i cinguettii del Mattacchione nazionale.
Poi sono arrivati i distinguo e le precisazioni, ma
relegati in un angolino di carta stampata o in una
telenotiziola d’appendice: no, il provvedimento non
riguarderà tutti gli italiani che guadagnano meno di
25.000 euro lordi annui (più o meno 18.000 netti,
1.500 al mese), ma soltanto quelli che guadagnano
meno di 25.000 euro ma più di 8.000 (sempre al
lordo); con esclusione, quindi, di quelli che ne
avrebbero più bisogno, oltre che, naturalmente, di tutti
coloro che non sono lavoratori dipendenti: non soltanto
lavoratori autonomi e pensionati, ma anche quanti un
lavoro non ce l’hanno proprio. Per costoro – è stato
detto – sono allo studio misure alternative, ma per
questo il rottamatore stanco non ha giurato sulla
Bibbia; e, comunque, queste misure alternative
verranno “studiate” dopo le elezioni europee. Il che
sarebbe come a dire: passata la festa, gabbato lo santo.
Ma davvero, con tutte queste eccezioni, si vorrebbe far
credere che in Italia ci siano – come da annunzio – 10
milioni di impiegati e salariati compresi nella fascia
reddituale dei beneficiati dal bonus? Sarà… Non sono
riuscito a trovare riscontri statistici, ma a me sembra
una di quelle tante bufale che in questi giorni
pascolano nei pressi di Palazzo Chigi.
Secondo Grillo, ad intercettare i mitici 80
dovrebbero essere circa la metà degli strombazzati 10
milioni. Ma anche questa mi sembra una cifra esagerata. Infatti – cosa che non è ben chiara quasi a nessuno – i favolosi 80 non sarebbero una aggiunta, un di
più, un regalo che i lavoratori si ritroverebbero in busta
paga. Gli 80 summenzionati, invece, sarebbero una
sorta di sconto sulle trattenute fiscali; e – aggiungo –
uno sconto non certamente “a pioggia”, ma riservato
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unicamente a coloro le cui trattenute
siano – si fa per dire – “basse”.
Per rendere l’ idea della estrema
selettività del bonus, si pensi che un
lavoratore dipendente con un reddito
annuo di 15.000 euro ma con moglie
e qualche figlio a carico – che quindi
fruisce dei connessi sconti fiscali – pro
-babilmente non vedrà il becco di un
quattrino. Quella dei “ dieci milioni
di italiani”, quindi, è soltanto una bufala toscana.
Ma la bufala più grossa, la madre di tutte le bufale, è certamente quella degli 80 euro “per sempre”.
Niente vero. Le coperture che acrobaticamente sono
state reperite dal Governo dei Ragazzi della Via Pal,
infatti, sono relative ai prossimi otto mesi, da maggio a
dicembre del 2014. E poi? Ce lo spiega lo stesso
“Decreto degli 80 euro”, articolo 1, comma 2: «Le
disposizioni di cui al comma 1 si applicano per il solo
periodo d’imposta 2014. A decorrere dal l° gennaio
2015, si applicano le disposizioni dell’art. 13 del testo
unico delle imposte sui redditi, di cui al Decreto del
Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917
nel testo vigente anteriormente alle modifiche di cui al
comma 1 del presente articolo.» Se l’italiano non è
un’opinione, quindi, l’articolo 1 - comma 1 vale fino a
dicembre. D’altro canto, il polline di miliardi che lo
sciame del rottamatore è riuscito a succhiare volando di
fiore in fiore, può produrre miele soltanto per i prossimi mesi. Poi si aprirà una nuova stagione.
Intanto, sùbito dopo la conferenza-stampa degli 80
euro, altra smagliante intervista ed altri squillanti
propositi. Si andrà avanti così fino alle elezioni
europee. Ma già pochissimi giorni dopo – quando
arriveranno le buste-paga di maggio – alcuni milioni di
italiani che facevano già affidamento sugli “80 euro di
Renzi” scopriranno di essere “incapienti” o, comunque,
di non aver diritto al fantomatico bonus. Sarà il primo
brusco richiamo alla realtà. Alla realtà dell’Unione
Europea, del fiscal compact, della “Troika”, dell’invasione migratoria e di tutte le altre porcherie che gli
amici di Renzi hanno in serbo per gli italiani e per gli
altri popoli di questa povera Europa.
M. Rallo
Ὁ δ᾿ ἠλίϑιος ὥσπεϱ πϱοβάτων βῆ βῆ λέγων
βαδίζει. Lo stupido si muove come una pecora che fa be be.”
(Cratino,commediografo, 520 a.C.n.)
ciano
Somma
Antropos in the world
In seicentomila pronti ad invaderci
I telegiornali hanno dato la notizia con nonchalance,
in appendice al bollettino che quotidianamente registra il
numero degli immigrati che le nostre navi “salvano” ogni
notte. In verità, si tratta di una piccola grande forma
d’ipocrisia: gli immigrati salpano a bordo di navi-madri
lasciate partire indisturbate dalla Libia democratica e antigheddafiana; poi, appena varcate le acque territoriali
libiche, vengono stipati su vecchie carrette e dotati di un
telefonino per chiamare l’Italia e chiedere aiuto; a questo
punto si mette in moto la macchina dell’Operazione Mare
Nostrum, e li andiamo a prendere praticamente a domicilio. Costo dell’operazione, per le nostre disastrate
finanze nazionali: da 9 a 10 milioni di euro (più o meno 20
miliardi delle vecchie lire) ogni mese.
Ma torniamo alla notizia: il Ministro dell’Interno,
Angelino Alfano, ha dichiarato che in Libia ci sono da
300.000 a 600.000 migranti africani e arabi che aspettano
di imbarcarsi per raggiungere le coste siciliane.
L’informazione viene dai servizi e, come tutte le
notizie ufficiali, è probabilmente approssimata per difetto.
I numeri reali dovrebbero andare – verosimilmente – da un
minimo di mezzo milione ad un massimo di un milione. E
non è una bazzecola. Quando gli Alleati, nel 1943,
invasero la Sicilia, impiegarono assai meno uomini: per
l’esattezza – cito i dati ufficiali – 250.000 soldati
americani e 228.000 inglesi.
Quella che si profila per la prossima estate, quindi, è
una invasione in piena regola. Una invasione pacifica – si
spera – ma pur sempre una invasione. Con grossi problemi
di ordine finanziario: ai costi dell’Operazione Mare Nostrum vanno sommati quelli – astronomici – della “prima
accoglienza”. Con grossi problemi di ordine logistico:
dove mettiamo uno o mezzo milione di “ospiti”? Con
grossissimi problemi di ordine pubblico: che vanno da
quelli “normali” delle periodiche rivolte nei centri di
accoglienza a quelli – imprevedibili – di ciò che potrà
causare una presenza così massiccia di estranei nelle
nostre contrade. Oltre tutto – ed è logico – bisogna tener
presente che una percentuale (temo non bassissima) di
questa massa di invasori è costituita da elementi dediti ad
attività criminali ed antisociali. È naturale, fisiologico: chi
campa di furti e rapine tende ad abbandonare i territori
poveri per emigrare in zone più ricche, ove vi sia speranza
di bottini meno scarsi.
Naturalmente, questa invasione riguarda in primo
luogo la Sicilia. Siamo ancora una volta in prima linea.
Così come in prima linea siamo stati in occasione della
sciagurata guerra contro la Libia, che ha prodotto – tra le
altre cose – il via-libera agli scafisti per riprendere
l’invasione del nostro Paese.
Sia ben chiaro: io non ce l’ho con quei poveri
disgraziati (criminali a parte, fondamentalisti islamici a
parte) che sbarcano sulle nostre coste.
Perché non dovrebbero farlo? Vanno dove sperano
di campare meglio. E, peraltro, noi li accogliamo a braccia aperte, come se fossero i benvenuti. No, non ce l’ho
con loro. Ce l’ho con quelli che li fanno venire da noi,
che quasi quasi ne sollecitano l’arrivo, ebbri di buonismo d’accatto, di multiculturalismo, di multi-etnicismo, di masochistica smania di cancellare l’identità
(etnica, linguistica, culturale, religiosa) della nazione
italiana. Ce l’ho con quelli che s’indignano perché gli
immigrati non stanno comodi nei Centri d’accoglienza e
considerano normale che una famiglia italiana (l’ho
visto ieri sera su “Striscia la Notizia”) viva da anni in
una roulotte parcheggiata ai margini di una piazza
cittadina. Ce l’ho con quei partiti che, pochi giorni fa,
hanno votato per l’abolizione del reato d’immigrazione
clandestina, compreso il partiticchio di Angelino,
compresa Forza Italia e tutta l’onorata compagnìa dei
“moderati” che non vogliono dispiacere Obama, il
Quarto Reich e Santa Madre Chiesa.
E ce l’ho con gli italiani, con i siciliani che – per
protestare contro questo andazzo – alle prossime elezioni potrebbero non andare a votare. Sarebbe colpa loro
se l’Italia dovesse continuare ad esser governata dagli
euroobbedienti e dagli eurorassegnati, sarebbe colpa loro
se l’Italia dovesse continuare ad aprire le sue frontiere a
chiunque voglia venire a campare a spese nostre.
Eppure, basterebbe poco, basterebbe pochissimo
per cambiare le cose. Sarebbe sufficiente che, alle prossime elezioni europee, gli astensionisti cronici andassero
a votare. E che mandassero affanciullo buonisti, masochisti, moderati e zerbinisti vari.
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Michele Rallo
[Da Social“Le opinioni Eretiche”]
Oggi, in Italia, proprio gli Taliani?Simmo
ancora Taliani?
Italiani, vivono male, …
santissma miseria!
Antropos in the world
IL TEATRO COMICO ROMANO a cura di Andropos
La parola commedia è tutta greca: κωμῳδία, "comodìa", infatti, è composta da κῶμος, "Kòmos", corteo festivo e
ᾠδή,"odè", canto. Di qui il suo intimo legame con indica le antiche feste propiziatorie in onore delle divinità
elleniche, con probabile riferimento ai culti dionisiaci . Peraltro, anche i primi ludi scenici romani furono istituiti,
secondo Tito Livio, per scongiurare una pestilenza invocando il favore degli dèi. I padri della lingua italiana, per
commedia intesero un componimento poetico che comportasse un lieto fine, ed in uno stile che fosse a metà strada
fra la tragedia e l'elegia. Dante, infatti, intitolò comedìa il suo poema e considerò tragedia l’Eneide di Virgilio. La
commedia assunse una sua struttura ed una sua autonomia durante le fallofòrie dionisiache e la prima gara
teatrale fra autori comici si svolse ad Atene nel 486 a.C. In altre città si erano sviluppate forme di spettacolo
burlesche, come le farse di Megara, composte di danze e scherzi. Spettacoli simili si svolgevano alla corte del
tiranno Gerone, in Sicilia, di cui purtroppo, non ci sono pervenuti i testi.
A Roma, prima che nascesse un teatro regolare, strutturato cioè intorno a un nucleo narrativo e organizzato
secondo i canoni del teatro greco, esisteva già una produzione comica locale recitata da attori non professionisti,
di cui non resta tuttavia documentazione scritta. Analogamente a quanto era accaduto nel VI secolo a.C. in
Attica, anche le prime manifestazioni teatrali romane nacquero in occasione di festività che coincidevano con
momenti rilevanti dell’attività agricola, come l’aratura, la mietitura, la vendemmia.
TERENZIO: Hecyra (rappresentata nel 160 a.C.)
La data di nascita di Terenzio non è conosciuta con precisione; si ritiene sia nato lo stesso anno della morte
di Plauto, nel 184 a.C., e comunque tra il 195 e il 183 a.C.. Di bassa statura, gracile e di pelle scura, nacque
a Cartagine ed arrivò a Roma come schiavo del senatore Terenzio Lucano. Quest’ultimo lo educò nelle arti liberali, e
in seguito lo affrancò ed assunse il nome di Publio Terenzio Afro. Fu in stretti rapporti con il Circolo degli Scipioni,
ed in particolare con Gaio Lelio, Scipione Emiliano e Lucio Furio Filo: grazie a queste frequentazioni, apprese l'uso
alto del latino e si tenne aggiornato sulle tendenze artistiche di Roma. Il grammatico Fenestella cita però altri
esponenti della "nobilitas", ossia Sulpicio Gallo, Quinto Fabio Labeone e Marco Popillio. Durante la sua carriera di
commediografo (dal 166, anno di rappresentazione della prima commedia, Andria,al 160 a.C.), venne accusato di
plagio ai danni delle opere di Nevio e Plauto e di aver fatto da prestanome ad alcuni protettori, impegnati in politica,
per ragioni di dignità e prestigio (l'attività di commediografo era considerata indegna per il civis romano), tanto che
Terenzio stesso si difese tramite le sue commedie: nel prologo degli Adelphoe (I fratelli), per esempio, egli rifiuta
l'ipotesi che lo vede prestanome di altri, segnatamente dei membri dello stesso Circolo degli Scipioni. Venne accusato
di mancanza di vis comica e di uso della contaminatio. Morì mentre si trovava in viaggio in Grecia nel 159 a.C.,
all'età di circa 26 anni. Terenzio scrisse soltanto 6 commedie, tutte giunte a noi integralmente.
TRAMA DELLA COMMEDIA –ll giovane Pànfilo,
per compiacere il padre Lachète, sposa Filùmena, pur
innamorato della cortigiana Bàcchide. Costretto ad allontanarsi per d'affari, al ritorno apprende che la moglie è
tornata a vivere con i genitori. In un primo momento la
fuga di Filùmena è attribuita al brutto carattere della
suocera Sòstrata, ma presto Panfilo scopre che la moglie
ha abbandonato il tetto coniugale poiché sta per dare alla
luce un figlio, concepito in seguito alla violenza di uno
sconosciuto, poco prima delle nozze. Toccato nell'onore,
Panfilo non vuole più che la moglie ritorni, ma, per
l'amore che ancora le porta, non vuole sbandierare i veri
motivi della separazione, che attribuisce ufficialmente al
conflitto tra la sposa e suocera . Quest'ultima si dichiara
pronta a ritirarsi in campagna per dare spazio ai due
sposi. Il padre Lachete teme che sulle decisioni del figlio
influisca ancora l'amore per Bacchide e va da lei per
convincerla a rinunciare al figlio. A sciogliere l'intrico è
proprio la cortigiana, che si reca da Filumena per rassicurarla che tra lei e Panfilo tutto è finito; la madre di
Filumena, Mìrrina, riconosce nell'anello che Bacchide
porta al dito lo stesso che era stato strappato alla figlia
durante la violenza; Panfilo, dunque, è riconosciuto
responsabile dello stupro, compiuto durante una festa
alla quale il giovane si era ubriacato; egli è dunque il
padre legittimo del neonato. Allora, si congeda con
gratitudine da Bacchide e riaccoglie in casa la moglie.
SINOSSI - L'Hecyra ("La suocera") è ispirata a due
commedie, una di Apollodoro di Caristo e un'altra di
Menandro. Fu rappresentata per la prima volta nel 165
a.C. in occasione dei Ludi Megalenses, ma non ebbe
successo pur recitata da Ambivio Turpione (l'attore più
famoso di quel tempo). Fu ripresentata nel 160 a.C., in
occasione dei giochi funebri per Lucio Emilio Paolo, con
lo stesso risultato, dato che gli spettatori abbandonarono
il teatro preferendo assistere ad uno spettacolo di funamboli. Rappresentata nuovamente, in occasione dei
ludi Romani, ottenne successo.
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ASSOCIAZIONE LUCANA
“G. Fortunato” - SALERNO
SEDE SOCIALE in Via Cantarella
(Ex Scuola Media “A. Gatto”)
Antropos in the world
DE COGNOMINE DISPUTĀMUS
“ Il soprannome è l’orma di una identità forte, che
si è imposta per una consuetudine emersa d’improvviso, il riconoscimento di una nobiltà popolare, conquistata in virtù di un ruolo circoscritto alla persona,
quasi una spinta naturale a proseguire nella ricerca
travagliata di un altro sé. Il sistema antroponimico
era dunque binominale, formato da un nome seguito
o da un’indicazione di luogo (per es.: Jacopone da
Todi), o da un patronimico (Jacopo di Ugolino) o da
un matronimico (Domenico di Benedetta) o da un
attributo relativo al mestiere (Andrea Pastore), et
cetera. Il patrimonio dei cognomi era pertanto così
scarso, che diventava necessario ricorrere ai soprannomi, la cui origine non ha tempi e leggi tali, da
permettere la conoscenza di come si siano formati, e
la maggior parte di essi resta inspiegabile a studiosi
e ricercatori.
Spesso, la nascita di un soprannome rimanda ad
accostamenti di immagini paradossali ed arbitrari.
Inutilmente ci si sforzerebbe di capire il significato e
l’origine di soprannomi come "centrellaro" o come
"strifizzo" o "trusiano",lavorando solo a livello di ricerca storica e filologica. Così, moltissimi soprannomi restano inspiegabili, incomprensibili, perché si
è perso ormai il contesto storico, sociale e culturale
o, addirittura, il ricordo dell’occasione in cui il soprannome è nato. Verso il XVIII° secolo, il bisogno
di far un po’ d'ordine e la necessità di identificare
popolazioni diventate ormai troppo popolose porta
all'imposizione per legge dell'obbligo del cognome.
a cura di Andropos
gna per evitare il contatto con la pestilenza. Porto
Empedocle, prima di chiamarsi così, era una borgata (Borgata Molo) di Girgenti (l'odierna Agrigento).
Quando nel 1853 si decise che la borgata divenisse comune autonomo «La linea di confine fra i
due comuni venne fissata all'altezza della foce di
un fiume essiccato, che tagliava in due la contrada
chiamata "u Càvuso" o "u Càusu" (pantaloni) [...]
Questo Càvuso apparteneva metà al nuovo comune di Porto Empedocle e l'altra metà al Comune
di Girgenti [...] . A qualche impiegato dell'ufficio
ana-grafe parse che non era cosa [che si scrivesse
che qualcuno fosse nato in un paio di pantaloni] e
cangiò "Càusu" in "Caos"».
Il padre, Stefano Pirandello, aveva partecipato
tra il 1860 e il 1862 alle imprese garibaldine; aveva
sposato nel 1863 Caterina, sorella di un suo commilitone, Rocco Ricci Gramitto.
Il nonno materno di Luigi, Giovanni Ricci Gramitto, era stato tra gli esponenti di spicco della rivoluzione siciliana del 1848-49 ed escluso dalla
amnistia al ritorno del Borbone, era fuggito in esilio a Malta, dove era morto un anno dopo, nel
1850, a soli 46 anni.
Il nonno paterno, Andrea, era stato un armatore
e ricco uomo d'affari di Pra', ora quartiere di Genova. La famiglia di Pirandello viveva in una situazione economica agiata, grazie al commercio e all'estrazione dello zolfo.
Questo mese, ci occuperemo del cognome: Pirandello
Origini
Questo cognome, ha la sua origine ligure, ergo,
potrebbe non avere legami con il greco, bensì discenda dalla cognominizzazione di una forma dialettale e
ipocoristica del nome medievale Pietro o Piero.
Un'altra ipotesi, proposta da alcuni repertori, è
l'origine da una forma alterata e ipocoristica del nome greco Pirro. Non si hanno altre ipotesi in merito.
Il dibattito, perciò, rimane decisamente aperto.
PERSONAGGI FAMOSI: LUIGI PIRANDELLO,
figlio di Stefano e Caterina Ricci Gramitto, appartenenti a famiglie di agiata condizione borghese, dalle
tradizioni risorgimentali, nacque nel 1867 in contrada
Càvusu a Girgenti (Agrigento).
Nell'imminenza del parto che doveva avvenire a
Porto Empedocle, per un'epidemia di colera che stava
colpendo la Sicilia, il padre Stefano aveva deciso di
trasferire la famiglia in una isolata tenuta di campa-
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« Questo libro va segnalato soprattutto per
la intensità emotività
che suscita, in questa
nostra epoca di pochezza politica e scritture frettolose, perché
s'ispira ad una realtà
scrutata con l'occhio
attento e sgombro da
pregiudizi. Una realtà
fatta di storia e di cultura, in cui s’apre genuina, una capacità
inusitata di stupire.»
n.d.D.
Antropos in the world
UNA DONNA NELLA LETTERATURA – A cura
di Andropos
Contessa Nataša Rostova
Наталья "Наташа" Ильинична Ростова
Corre l’anno 1805, Nataša è una ragazza di 13
anni, la figlia più giovane del conte Il'ja Rostov e
della contessa Natal'ja Rostova. È innamorata del
principe Boris Drubeckoj, che vive nella tenuta dei
Rostov con la madre.
Quando Boris parte per intraprendere la carriera
militare agli ordini di Michail Illarionovič Kutuzov, Pierre Bezuchov, con il quale aveva stretto una
forte amicizia, le presenta il principe Andrej Bolkonskij. Si innamorano e si fidanzano, ma il padre di
Andrej è contrario, e riesce a convincere il figlio a
posticipare le nozze di un anno, recandosi all'estero.
Durante l'assenza di Andrej, il principe Anatole
Kuragin approfitta della situazione per corteggiare
Nataša, la quale cede al suo fascino, fino al punto di
provare a fuggire con lui. Sebbene il piano non riesca
grazie all'intervento della zia Marja Dmitrevna, Nataša scrive a Mar'ja Bolkonskaja rompendo il fidanzamento con il principe Andrej; venuta poi a sapere che
Anatole è sposato, cade in una grave depressione,
tentando addirittura il suicidio, che termina con una
malattia gravissima e con la conseguente guarigione;
l'unico conforto è Pierre, consigliatole da Andrej
durante l'assenza in caso di difficoltà.
Non appena Napoleone inizia la campagna di Russia, i Rostov sono costretti a lasciare la loro tenuta
per ritirarsi a Mosca, e quando devono nuovamente
spostarsi, il conte e la contessa usano i carri per
trasportare i soldati feriti. Tra questi Sonja, la cugina
di Nataša, scopre Andrej, che era stato ferito da una
granata durante la battaglia di Borodino, e Nataša si
dedica ad assisterlo, ma i suoi sforzi sono vani,
poiché le ferite sono troppo gravi, e quindi Andrej
muore.
Pierre, al quale è morta la moglie Hélène dalla
quale si era separato, si riavvicina a Nataša mentre i
russi vincitori ricostruiscono Mosca. Pierre e Nataša
si innamorano e si sposano. Dal matrimonio nascono
quattro figli.
Secondo Tolstoj, Nataša Rostova rappresenta l'armonia del mondo e per ciò è completamente diversa
da Andrej, da questo punto di vista.
Attraverso varie vicende, come l'amore e la morte
di Andrej, la volgare seduzione di Anatole Kuragin,
ovvero il male che tenta anche lei, e l'incontro finale
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le con Pierre, tutte le sue caratteristiche che la rendono un personaggio unico e poetico, la
spontaneità, la grazia e l'impeto
infantile maturano.
Alla fine del romanzo, Nataša,
con il gioioso matrimonio che la
obbliga ad impegnarsi nel mantenere la casa e i figli, perde molto del suo antico fascino poetico.
Guerra e pace mescola personaggi di fantasia e storici; essi vengono introdotti nel romanzo nel corso di
una soirée presso Anna Pavlovna Scherer nel luglio
1805.
Pierre Bezuchov è il figlio illegittimo di un conte
benestante che sta morendo di ictus:egli rimane inaspettatamente invischiato in una contesa per l'eredità del padre.
L'intelligente e sardonico principe Andrej Bolkonskij, marito dell'affascinante Lise, trova scarso appagamento nella vita di uomo sposato, cui preferisce
il ruolo di aiutante di campo (aide-de-camp) del generale Michail Illarionovič Kutuzov nell'imminente
guerra contro Napoleone.
Apprendiamo pure dell'esistenza della famiglia
moscovita dei Rostov, di cui fanno parte quattro adolescenti. Fra loro, s'imprimono soprattutto nella memoria le figure di Natal'ja Rostova ("Na-taša") – la
vivace figlia più giovane – e di Nikolaj Rostov– il più
anziano ed impetuoso.
Alle Colline Bald, il principe Andrej affida al proprio eccentrico padre, ed alla mistica sorella Marja
Bolkonskaja, sua moglie incinta e parte per la guerra.
L’armata napoleonica- la ritirata lel 1812
Antropos in the world
LA VECCHIETTA DELL’ON. DELRIO
Stiamo affogando in una società liquida fatta di chiacchiere. Ricordo, in proposito, che si
racconta che l’ambasciatore tedeco, il principe di
Bülow, nel lasciare villa delle Rose, abbia esclamato, infastidito, alludendo alla scarsa loquacità
del Sonnino: “Fra i trentasei milioni di Italiani
chiacchieroni, il solo taciturno doveva capitare
proprio a me!”.Da cattolici poi dovremmo amare non “con parole e con la lingua, ma con le
opere e nella verità (1Gv 3,18) e da meridionali
dovremmo fare spallucce, tanto “Chiacchiere e
tabacchere ‘e legna ‘o Banco ‘e Napule non ‘e
‘mpegna”. E invece no. Perché, anche se pare
siano rientrate, le voci del sottosegretario e plenipotenziario del Presidente del Consiglio Delrio,
detto Delirio in quel di Reggio Emilia, sono inquietanti. Parlando di come far quadrare i conti
all’infame sfuggì dal suo sen che bisognava
togliere qualcosa ad una vecchietta e tutto sarebbe stato risolto. Capito? Togliere qualcosa ad
una vecchietta e non ai boiardi di Stato con stipendio e pensioni d’oro che, insieme ai magistrati e alla Casta in genere, sono ai vertici nella
classifica del disprezzo.
(Il predetto ha anche, a suo disdoro, sbagliato i calcoli, per cui alla vecchietta avrebbe
tolto, come è stato dimostrato, ben 10 volte in
più delle poche decine di euro ipotizzate).
Stipendi e pensioni che ammontano, rispettivamente, a milioni di euro l’anno e a decine di
migliaia di euro al mese. Queste ultime,poi, in
molti casi, sono disancorate da versamenti effettivi e dovute invece a leggi e leggine fatte approvare ad hoc.
Per essere più precisi, ho letto di stipendi
pari a 2.201.000 euro l’anno e pensioni pari a
91.000 euro mensili!
De deriva che i pensionati son diventati il
Bancomat del Governo. Ma la preoccupazione
cresce se si pensa che sotto sotto il “dagli al
vecchietto” ci porta a ciò che accadeva nell’isola greca di Ceo, la quale, secondo una leggenda, essendo piccola da non poter ospitare i vecchi, deliberò che questi dovessero trovare una
via d'uscita dalla vita. La più comune era bere
la cicuta.
Qualcuno di noi ricorderà “I vecchietti di
Ceo”,uno dei più felici poemetti di Pascoli che
prese spunto proprio da quella leggenda.
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Ha scritto i proposito il giornalista Mario
Giordano (Libero del 16 u.s. ) rispondendo proprio ad una lettera sull’argomento di chi scrive che “dietro la
“rottamazione” si nasconde qualcosa di più della legittima esigenza di
ringiovanimento della politica e della
società. Si nasconde, cioè, la voglia di
“liberarsi” dei vecchietti non appena smettono
di essere produttivi e diventano un costo per la
società”. Il giornalista poi riporta quanto si va
già ragionando in campo sanitario e cioè“ Conviene operare la nonnina o è meglio risparmiare quei danari per un robusto quarantenne? E i
posti (sempre limitati) in sala di rianimazione?
A quelli che, se sopravvivono possono essere
ancora produttori di reddito, o chi, se sopravvive continuerà a incassare la pensione?”.
Non si dimentichi che qualche giorno fa la
Cara Guida ha detto che bisogna pensare al fine vita, che tradotto in italiano corrente vuol dire introdurre in Italia l’eutanasia con somma
goduria di Pannella, tumore della politica italiana, e del sistema previdenziale.
E’ vera, pertanto, la conclusione del giornalista a quella lettera:”Stiamo passando dalla
lotta alla gerontocrazia ad “dagli al vecchietto”.
E non mi pare un passo avanti”.
Renato Nicodemo
BRONTOLO
IL GIORNALE SATIRICO DI SALERNO
Direzione e Redazione
via Margotta,18 - tel. 089.797917
Antropos in the world
DALLA REDAZIONE DI S.VALENTINO TORIO
Ma in Italia siamo alla prima,
seconda o terza Repubblica?
Tutti in Italia si affannano a trovare una diversa
collocazione temporale alla nostra repubblica e
dimenticano che finché sopravvive la nostra bistrattata, ma ancor validissima Costituzione, non si può
parlare di prima, seconda o addirittura terza repubblica. La nostra Costituzione risale al 1 Gennaio 1948
e non dimostra per niente i suoi 66 anni; tutt’al più
avrebbe bisogno di una ritoccatina estetica come si
addice alle signore della sua età. Quando il Parlamento
italiano, successivamente, ha tentato di metterci le
mani, ha fatto un disastro (V. Titolo V), perché non
c’erano più i costituenti di una volta….
Questa Costituzione è il frutto di un pregevolissimo lavoro eseguito dall’assemblea costituente
(formata da esperti e formidabili esponenti di tutti i
partiti eletti liberamente) e contiene dei principi
all’avanguardia per quei tempi ed ancora molto attuali oggi.
Tuttavia c’è la tendenza a voler parlare della
seconda repubblica facendo coincidere la sua nascita
dalle ceneri di “Tangentopoli”. Niente di più errato se
consideriamo che per parlare di seconda repubblica
dovremmo ipotizzare la nascita di una seconda Costituzione, che non c’è stata. E’ pur vero che la
cosiddetta Tangentopoli scosse profondamente la
politica dalle fondamenta, ma non si può definire
seconda repubblica quella che seguì all’anno 1992, per
il semplice fatto che l’arresto di un manipolo di
“mariuoli” non è sufficiente al passaggio alla seconda
repubblica. In primo luogo perché, come già detto,
non seguì una nuova costituzione e, in secondo luogo,
perché, anche se tangentopoli fu un terremoto giudiziario, con arresti, suicidi, esili dorati in mari esotici
ecc., non si verificarono le condizioni per proclamare
la seconda repubblica che è e resta una definizione
giornalistica, lasciando in vigore quella del 1948
promulgata dopo l’epoca del fascismo e una lunga
guerra mondiale con milioni di morti.
Se non si può parlare di seconda repubblica dopo
tangentopoli, a maggior ragione non si può parlare di
terza repubblica che dovrebbe essere nata quando?
Quando i partiti, dopo le elezioni del 2013, hanno, a
dir poco, smarrito completamente la bussola, nonostante l’imperversare della crisi, e non sono riusciti ad
esprimere il successore del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano? Quelli che vogliono parlare
a tutti i costi di seconda e terza repubblica evidentemente hanno un complesso di inferiorità nei con-
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fronti dei Francesi che sono già alla quinta repubblica!
Ma tutto il discorso fatto fin qui tiene conto appunto
della realtà storica dei nostri cugini d’Oltralpe.I
Francesi sono partiti molto prima di noi e in Francia la
prima repubblica è stata proclamata nel 1792, dopo
quell’avvenimento storico che fece tremare tutto il
mondo e che va sotto il nome di “Rivoluzione francese”, che, mi pare, non è paragonabile a tangento-poli.
La seconda repubblica, in Francia, fu proclamata nel
1848. Entrambe nascono da due rivoluzioni: la seconda repubblica nacque dopo la rivoluzione che mise
fine alla monarchia. Per completezza dirò che la terza
repubblica nacque dopo la prima guerra mondiale, e
scusate se è poco. La quarta nacque dopo la seconda
guerra mondiale (1946), la guerra più devastante di
tutti i secoli. Quindi le prime quattro costituzioni furono promulgate dopo rivoluzioni o guerre.
E la quinta? La quinta repubblica fu richiesta dal
generale De Gaulle: siamo agli anni della guerra
d’Algeria, la Francia subiva continui attentati nella sua
colonia da parte degli Algerini e fu chiamato alla
presidenza l’uomo forte del regime, l’uomo che da
radio Londra incitò i Francesi a resistere contro l’occupazione tedesca. Il generale De Gaulle, considerato
che il Presidente della Repubblica in Francia non
disponeva di grandi poteri, chiese (ed ottenne),per
accettare l’incarico, una modifica della Costituzione
che contemplasse maggiori poteri alla prima carica
dello stato: è la quinta Repubblica, ancora in vigore
oggi in Francia. Per inciso occorre precisare che il
Presidente De Gaulle, considerato una vera gloria
nazionale e designato a ricoprire tale incarico per dare
una lezione alla ex colonia, dovette rassegnarsi a darla
vinta agli insorti, per evitare altri spargimenti di sangue, e concedere l’indipendenza.
Ritorniamo in Italia per ribadire che siamo ancora
alla prima Repubblica. Tutt’al più, constatato che abbiamo un debito pubblico stratosferico, un fisco del
tutto inefficiente, e inefficace, un’evasione da record
mondiale, una disoccupazione a livelli preoccupanti, i
giovani senza alcuna aspettativa nel domani, una
giustizia da terzo mondo, una sanità che fa paura ecc.
ecc., considerato tutto ciò o la smettiamo una volta per
sempre di blaterare di seconda e terza repubblica o
riconosciamo, ufficialmente e più esattamente, che
siamo nella repubblica … delle banane, pardon, nella
prima repubblica.
Vincenzo Soriente
Antropos in the world
IL RACCONTO DEL MESE:
NUNZIATINA
( III parte)
eBook di Franco Pastore - ISBN 9788868143053
Era stato Giuvanniello a calarsi giù ed a legare la
fune intorno al cadavere. Il capo‚ col collo spezzato,
dondolava come quello di una bambola rotta. Gli
occhi sbarrati sembravano guardare il muretto del
pozzo. La lunga camicia da notte, attaccata al corpo
fradicio di acqua gelida, gocciolava. Il piede sinistro
era privo dell’alluce, troncato nella caduta, dalle
pietre vive. I bei capelli neri erano aggrovigliati come una informe matassa melmosa.
Felice aveva preso il corpo della sorella e l'aveva
portato in casa adagiandolo sul letto intatto. Aveva
pianto col capo poggiato sul ventre profanato ed
aveva sentito il gelo della morte. Giuvanniello tolse
dalla tavola i "taralli” e versò il vino nel bicchiere.
Felice bevve tutto d'un fiato come per allontanare la
scena di morte del giorno prima. Quel vino gli
sembrava sangue che chiedeva altro sangue e bevve
ancora, fino a stordirsi.
Nella piana il lavoro riprese con ritmo normale.
Agosto volgeva a termine con i suoi giorni infuocati
ed una strana calma sembrava aleggiasse nell'aria. Il
sole era calato da circa un'ora‚ quando Felice si
fermò poco più avanti del podere di compare Sabìa‚
sedendosi sul tronco di un salice. Accese una sigaretta guardando fisso verso l'incrocio‚ dove la carrara lasciava intravedere una strada più grande‚ percorsa da una lenta carovana che‚ dall'agro nocerino‚
si avviava verso la salita di Ogliastro. Era tempo di
mercato ed i commercianti‚ appisolati sul piano dei
carretti‚ carichi di semenze‚ si affidavano alla esperienza dei muli‚ che già conoscevano la strada.
All' imbrunire‚ arrivò Gaetano, reggendo, con
ambi la mani, l'asta della zappa : - Sera‚ Felì - Sera‚ Gaetà‚ rispose il cugino‚ è molto che
aspetti?- No! –
Seduti l'uno accanto all'altro‚ trascorse molto
tempo prima che iniziassero a parlare "del fatto".
- Allora‚ quando?- chiese Gaetano‚ rompendo
quel penoso silenzio.
- È per domani sera al tramonto‚ lungo la strada
dei salici‚ dove inizia il canale dei Farnesi‚ lì la
strada è piena di buche ed il calesse va piano - Va bene! Felice giunse a casa per ultimo‚ la madre sentì
sbattere l' uscio a lo chiamò :
- Come stai, mà ?- le chiese il giovane‚ entrando
nella stanza;
- Cumm'à nà vecchia, figliu mio! –
- Va a mangià‚ cà mamma tòia nun se sènte! –
Felice‚ dopo essersi lavato‚ si accomodò‚ si
versò da bere a poi scoperchiò il piatto‚ fissando i
fagioli ancora caldi. Di mala voglia mandò giù una
cucchiaiata ed allontanò il piatto; si avvolse una
sigaretta‚ fissando il ritratto del padre‚ sulla parete
di fronte. Sì alzò‚ si diresse verso la grossa cassapanca sotto la finestra a l'aprì. Prese il fucile‚ pulendolo col panno che l'avvolgeva; l'acciaio della canna lanciò un bagliore sinistro‚ mentre il freddo della
bascula diede al giovane una sensazione di potenza
e di morte.
Il sonno‚ quella notte‚ tardò a venire e‚ solo
all'alba‚ vi fu un momento di pace‚ col canto del
gallo‚ che annunziava un nuovo giorno.
Il sole stava tramontando sul mare tranquillo e
gli ultimi raggi proiettavano lunghe ombre sul viale
costeggiato dai salici immobili. Un fosso erboso
accompagnava‚ a sinistra‚ la carrara sconnessa. Don
Filippo seguiva‚ a testa bassa‚ il bianco della strada‚
gettando‚ di tanti in tanto‚ veloci occhiate alla ruota
del calesse. Il cavallo avanzava lento sul terreno
spaccato e quasi si fermò‚ quando l'uomo tirò le
briglie: qualcuno procedeva‚ a piedi‚ avanti a lui :
era Giuvanniello‚ che tornava dal lavoro.
Il "caporale” spronò l'animale‚ che si portò al
trotto‚ ed il giovane fece appena in tempo a saltare
nel fosso‚ imprecando a denti stretti. Don Filippo
rallentò‚ si fermò‚ e guardò con stra-fottenza il
povero bracciante che chinò la testa in segno di
saluto. Il calesse proseguì per la sua strada‚ sul viso
del "caporale” un ghigno soddisfatto: era il più forte.
Giuvanniello risalì sulla carreggiata a fissò con
malumore il calesse che s'allontanava‚ scomparendo nella curva più avanti.
Erano trascorsi cinque minuti circa‚ quando s’udì
uno sparo‚ che si ripercosse sinistramente nella
piana. Il giovane pensò a qualche cacciatore e tirò
avanti. Dopo un quarto d'ora‚ giunse nella zona dei
salici. Il sole era tramontato all'orizzonte ed una
leggera brezza‚ che veniva dal mare‚ muoveva la
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Antropos in the world
cima dei grossi alberi. Ad un tratto udì un lamento
ed istintivamente si girò verso il fosso indirizzando
lo sguardo lì dove l'erba sembrava tinta di rosso. Si
avvicinò‚ il corpo di don Filippo giaceva lungo disteso‚
col sangue che gli usciva dal petto squarciato. La mani
destra artigliava l'erba, mentre premeva la sinistra sul
petto straziato. L'uomo lo guardò sbarrando gli occhi:
l'angoscia aveva cancellato la strafottenza abituale di suo
viso: - Aiutami Giuvanniè! –
Il giovane stava per chinarsi‚ poi‚ all'improvviso‚ si ricordò di tante sue perfidie‚ di Nunziatina‚
del funerale‚ degli infelici che‚ come lui‚ sudavano
sangue per un tozzo di pane e scappò via. Correva
come se avesse avuto le ali ai piedi‚ per soffocare
quell'impulso, che spinge l'uomo ad aiutare l'amico‚
il fratello‚ chiunque si trovi in pericolo. Don Filippo
non era un amico‚ né un fratello‚ ma la peggiore
carogna che potesse venire fuori da un ventre di
donna. Più avanti rallentò l'andatura‚ aveva sentito
delle voci che gli sembravano note e‚ di lì a qualche
istante‚ si imbatté in Felice a Gaetano. Li chiamò e,
con voce concitata, esclamò:- Hanno sparato a don
Filippo! –
I due si guardarono e‚ senza una sola parola di
commento‚ proseguirono. Giuvanniello‚ che era un
tipo sveglio‚ comprese all'istante ed aggiunse:- Mi
ha chiesto aiuto, è ancora vivo! –
Felice si fermò‚ sfilò il fucile dalla spalla e mise
in canna un'altra cartuccia‚ avendo cura di riporre in
tasca quella già sparata. Tornò indietro di corsa a
guardò bene in faccia l'uomo che tentava di alzarsi:
- Questo, per la brava gente della piana! –
La canna sinistra del fucile tuonò ancora‚
lacerando la camicia giù verso la cintura dei pantaloni. Il corpo ebbe un sussulto e cadde all'indietro
sull'erba‚ dove rimase immobile. Felice guardò il
sangue che sgorgava copioso, facendosi strada tra la
carne squarciata ed il pezzo di camicia bruciacchiata, resisté al forte impulso di vomitare e si allontanò rivolgendo un pensiero fugace alla sorella.
-La caccia è stata buona! - disse agli amici, fissandoli per un lungo istante.
Ripresero insieme il cammino e raggiunsero
ciascuno la propria casa. Calavano le ombre della
sera ed il cielo si dipingeva di rosso nel punti in cui
il mare rifletteva gli ultimi raggi di un sole calante.
I lumi già rischiaravano di luce pallida l'interno
della casa, annerita dal fumo, e l'odore di legna
bruciata si diffondeva nella campagna. Sui focolari
i contadini approntavano il pasto‚ tra la voci dei
bimbi a l'abbaiar dei cani alla catena.
Le donne stanche rassettavano gli umili ambienti‚ mentre gli uomini si ripulivano dalla terra a dal
sudore.
I vecchi, seduti sull'aia‚ pensavano agli anni trascorsi
e, stringendo tra le mani callose la scura creta della
pipa, aspettavano silenziosi la cena‚ tra una boccata e
l’altra dalla canna ricurva. Scene antiche quando il
mondo sul palcoscenico della "piana"‚ dove la vita
continuava la sua lenta rappresentazione.
La campagna andava impreziosendosi del silenzio
della sera‚ quando spuntò un carretto‚ che avanzava
macinando la terra con il ferri della grandi ruote. Il
cavallo‚ sudato‚ tirava stancamente il carico di letame
per la terra dei Casati e Pasquale tratteneva le redini‚
serrandole tra l’indice ed il medio. All'inizio del
lungo canale‚ incominciò a fischiettare un motivetto
inesistente‚ pensando al piatto di minestra che
avrebbe mangiato tra breve. Un lamento‚ seguito da
un lungo rantolo‚ attirò la sua attenzione. Fermò il
carretto a stette più attento. Poco più avanti‚ gli
sembrò di vedere una mano che si muoveva sul ciglio
del canale. Scesa e corse in quella direzione.
- Gesù, don Filippo! –
Due occhi spenti si girarono a guardarlo‚ implorando aiuto‚ con la bocca che si muoveva‚ senza che
ne uscisse alcun suono. Pasquale lo tirò fuori dal
fosso, senza sforzo eccessivo‚ data la sua mole e la
sua forza. Lo adagiò lentamente sul caldo letame ed il
puzzo del "concime” coprì l'odore del sangue.
Il carretto si incamminò col suo carico umano. Al
villaggio, girò a sinistra‚ verso la casa del caporale e
si fermò sull'aia‚ dopo un lungo corridoio tra i vigneti. Il cane abbaiò‚ poi corse scodinzolando verso
la coda del carretto. Angelina aprì l'uscio:
- Buona sera, Pasqualì! –
Il giovane non rispose e‚ scendendo dal carretto‚
prese il corpo di don Filippo Capo e si diresse verso
la casa. La donna avanzò di un passo e lanciò un urlo.
Il cane accompagnò il corpo del padrone. Micheluccio‚ il tirapiedi‚ udì l'urlo dalla stalla e si precipitò
in casa". Adagiarono il "caporale” sul divano. Nella
propria dimora‚ il ferito aprì gli occhi quando la moglie cercò di ripulirgli il viso con un panno bagnato.
- Pasqualì‚ andate a chiamare il dottore‚ correte‚
fatelo per i morti vostri! –
L'uomo risalì sul carretto e si avviò verso il paese.
Don Filippo cercò con gli occhi Micheluccio a gli
fece cenno di avvicinarsi; il giovane abbassò il capo
quasi fin sopra le labbra di lui:- Il maresciallo... va a
chiamare il maresciallo!Micheluccio uscì dalla casa e corse verso il paese
pigliando la scorciatoia‚ giù per la piccola scarpata‚
attraverso il vigneto di compare Albino.
Angelina tolse le scarpe al marito‚ coprendo con
un lenzuolo gli squarci che l'uomo aveva nel petto e
nell’addome. (continua)
- 11 -
Antropos in the world
DA TRAPANI
EUROPA? SPICCIAMOCI A SOTTERRARLA!
«Europa? spicciamoci a sotterrarla» titolavo il mio
articolo sul numero di marzo. E poi argomentavo:
«essendo sorta su queste premesse, l’Unione Europea è
andata in crisi quasi dubito; ed oggi, ad appena vent’anni
dalla sua nascita, è praticamente sul punto di
implodere.» Ritornavo sull’argomento nel numero di
aprile: «… quando l’attuale Unione Europea imploderà
(è solamente questione di tempo).»
Orbene, nel momento in cui stilo queste note – il 20
luglio – non è ancora chiaro se siamo già all’implosione o
soltanto alla vigilia. Di sicuro siamo a una svolta decisiva
nella breve e travagliata storia dell’Unione Europea. E
questa volta non si tratterà della solita crisetta (tipo
Lehman Brothers, per intenderci), ma di una crisi globale,
epocale, che segnerà l’inizio dell’offensiva finale della
speculazione finanziaria contro le nazioni e contro i
popoli europei e, probabilmente, non soltanto di quelli
europei. Non hanno da stare tranquilli neanche gli Stai
Uniti d’America, pur se in questo momento svolgono la
funzione di braccio armato della finanzia internazionale.
Francamente, non mi azzarderei a fare previsioni sui
tempi di questa crisi, anche se – al luglio del 2012 –
sembrerebbe imminente. Quello su cui mi sentirei di
scommettere, invece, è che la crisi investirà dapprima i
paesi già nell’occhio del ciclone (Grecia, Spagna, Italia,
eccetera), per aggredire sùbito dopo la Francia (che non
sta molto meglio di noi), e poi la Germania e le altre
nazioni dell’opulenta (?) Europa settentrionale. Infine,
toccherà anche agli USA, ma compatibilmente con le
esigenze della guerra che i “poteri forti” intendono
scatenare per consegnare l’intero Medio Oriente a Israele
ed ai potentati petroliferi che sono in affari con le
multinazionali americane.
Non meravigli la previsione di una crisi pure per gli
Stati Uniti, giacché le loro finanze non sono in condizioni
migliori delle nostre: la globalizzazione dell’economia ha
prodotto anche lì una disoccupazione galoppante, con le
industrie che non lavorano più i prodotti in loco,
limitandosi a girare le commesse alle loro filiali in Cina o
in India, dove il lavoro costa un trentesimo di quanto
costa negli States. Inoltre, il debito pubblico USA è ben
più tragico del nostro, e cresce al ritmo di 1.000 miliardi
di dollari ogni sette mesi. 1
Già, perché i motori della crisi economica degli Stati
Uniti sono esattamente gli stessi che muovono la crisi
dell’Unione Europea: la globalizzazione e l’indebitamento delle nazioni nei confronti dello strozzinaggio
speculativo. La globalizzazione porta alla chiusura delle
attività imprenditoriali private ed alla loro delocalizzazione in paesi meno progrediti, con conseguente
aumento della disoccupazione ed abbassamento degli
standard sociali; e l’indebitamento porta alla svendita a
tocchi di intere economie nazionali – attraverso le tappe
delle privatizzazioni – quale unico sistema per far fronte.
alle esposizioni debitorie; con l’aggravante del
drastico ridimensionamento di tutte le spese statali e,
quindi, di una ulteriore contrazione dei livelli di vita
È questo il meccanismo che – in tempi certamente non
lunghissimi – porterà probabilmente alla crisi definitiva
dell’Europa. Il meccanismo – cioè – dell’indebitamento
programmato, continuo, crescente, che ogni mese viene
celebrato con il rito dell’asta dei titoli di Stato. Attraverso
tale rito ci indebitiamo ogni mese un po’ di più, mettendoci
sempre più nelle mani dei “fondi” speculativi che
acquistano i nostri titoli, prestandoci del denaro (spesso solo
virtuale) e pretendendo in cambio il pagamento di interessi
salatissimi in moneta sonante; interessi appesantiti dallo
spread sempre più alto, fatto crescere attraverso gli
opportuni “declassamenti” decretati nei momenti strategici
dalle famose agenzie di “rating” (Moodys, Standard &
Poors, eccetera). Queste agenzie di rating – e qui si chiude
il cerchio – sono controllate dai medesimi fondi speculativi
e dalle banche “d’affari” che prima lucrano sugli alti
interessi richiesti per prestarci i soldi, e poi si pappano
intere fette degli apparati economici dei paesi europei che i
vari governi hanno deciso di vendere (o di “privatizzare”)
per poter pagare gli interessi sui debiti. Per pagare i soli
interessi – si badi bene – perché i debiti ci restano
comunque sul groppone, continuando a mantenerci in balia
degli usurai internazionali, i quali ci imporranno una mole
di “sacrifici” via via crescenti per pagare gli interessi. E ciò
fino al punto in cui non sarà più mate-rialmente possibile
fare ulteriori sacrifici. È a quel punto che salterà tutto, e
salterà prima di tutto l’euro e l’Unione Europea.
E sapete perché – a modesto parere del sottoscritto –
salterà questa perniciosa Unione? Perché le nazioni europee
avranno la necessità ineludibile di riappropriarsi della loro
sovranità per far fronte alla crisi economica: della loro
sovranità politica, ma anche e forse soprattutto della loro
sovranità monetaria. Dovranno “svuotare” la Banca
Centrale Europea e ritornare alle banche centrali nazionali.
E non solo: dovranno anche riformare profondamente le
banche centrali (come la nostra Banca d’Italia), togliendole
alla proprietà delle banche private e riconducendole al ruolo
di banche statali, abilitate a battere moneta non in prima
persona ma soltanto in nome e per conto degli Stati.
Solo così, ritornando alla sovranità monetaria delle
nazioni, si potrà battere il perverso disegno globalizzatore
della finanza internazionale e – dopo un periodo di
inevitabili difficoltà – superare la crisi epocale che è stata
prodotta dalla ingordigia di pochi affaristi e dalle utopie
mondialiste di molti politici.
Michele Rallo
_____________
Da “QUESTA EUROPA NEMICA DEI POPOLI EUROPEI” Quarto zibaldone di Michele Rallo, che riunisce gli articoli
dedicati alla tematica dell’Euro e dell’Unione Europea.( Aldo
D’Amico)
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Antropos in the world
MOMENTO TENERO
Si,
abbiamo ancora bisogno
della parola buona,
che parla al cuore con semplicità
e porta gioia all’animo,
assetato di speranza.
Abbiamo bisogno
che qualcuno ci ricordi
che siam figli
dello stesso Padre,
pur tra soprusi e guerre,
tra egoismi e poteri infingardi.
Abbiamo bisogno
della tua preghiera, novello Pietro,
dei tuoi occhi buoni,
che carezzano i bambini
e sorridono alla gente,
in questo vento di miseria
che avviluppa il mondo.
Al momento giusto
giungi a compattare i pezzi
di questa dolente umanità,
che si fa gregge, alla carezza tenera
della tua parola.
LA TUA PAROLA
di
Franco Pastore
________________
DEDICATA A PAPA FRANCESCO
SECONDA EDIZIONE DEL PREMIO DI POESIA RELIGIOSA “MATER DEI”
E’ bandito dalla Rivista “ Antropos in the
world”, in collaborazione con la “ Chiesa Madre
SS.Corpo di Cristo, e la Fondazione Carminello
ad Arco, la seconda edizione del Premio
MATER DEI
Possono partecipare poeti ovunque residenti e
di qualunque nazionalità, con una lirica dedicata
alla Vergine Maria. La quota di partecipazione è
di € 10,00, che dà diritto a ricevere la rivista per
un anno.
Sono ammessi a partecipare, per la prima volta, gli alunni della Scuola Elementare, che dovranno inviare un breve componimento in poesia
o anche in prosa, purché nessun adulto vi abbia
messo mano.
La partecipazione dei bambini è gratuita. Inviare i lavori alla Direzione di Antropos in the
world, via Posidonia,171/h – 84128 Salerno, entro il 30 aprile 2014.
La Commissione è formata da:
Prof. Pastore Rosa Maria, dirett.ce di A. I. T. W.;
dott. Flaviano Calenda, Pres.Carminello ad Arco;
dott. Renato Nicodemo, mariologo;
dott. Franco Pastore, scrittore;
Geom. Carlo D’Acunzo, giornalista, redatt.re capo della redazione Angri;
dott. Giuffrida Farina, saggista e poeta.
Tra i concorrenti saranno scelti tre vincitori,
mentre saranno dati tre diplomi di merito a coloro che si sono comunque distinti nella stesura
dell’elaborato.
A tutti i fanciulli delle scuole elementari partecipanti, sarà consegnato un attestato di partecipazione. Le poesie premiate figureranno sul giornale di luglio.
Successivamente sarà comunicata la sede
della manifestazione che si terrà presumibilmente a fine giugno. Per informazioni: 089.223738
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Antropos in the world
LA DONNA NELLA STORIA
DITH STEIN
Nata da una famiglia di commercianti ebrei, studiò
filosofia a Gottinga con Husserl (il fondatore della
"fenomenologia", che anticiperà alcuni temi dell’esistenzialismo) e ne divenne assistente.
Dopo aver letto laVita di S.Teresa d’Avila,nel 1922, si
convertì nal cattolicesimo e nel 1934 si fece suora
carmelitana.
L’originalità del pensiero filosofico di E.S. si nota già
dalla sua tesi su Il problema dell’empatia (1917). Per la
Stein, infatti, l’empatia è l’esperienza di soggetti altri da
noi e del loro vissuto. Essa va distinta sia dalla percezione che dal ricordo, perché “ il cogliere l’esperienza
altrui è un atto consustanziale, integrativo e correttivo
della nostra esperienza di noi stessi e del nostro mondo”.
L’esperienza della empatia non si attua solo al livello
della coscienza ma anche a quello dello spirito, dove si è
in grado di cogliere il mondo ideale ed i valori che sono
alla base della vita spirituale di un altro.
Nell’esperienza concreta,l’empatia avviene mediante
il "corpo vissuto", che funge da medium della percezione
empatica, mentre nell’esperienza religiosa (e su questo la
Stein si astiene da ogni ulteriore osservazione), viene
invece postulata la possibilità dell’esperienza di un Altro
spirituale, al di fuori della mediazione corporea.
La S. si è anche distinta per i suoi molti scritti che
trattano il tema della femminilità . Ella ritiene che il
movimento femminista tedesco, con la Costituzione di
Weimar, abbia raggiunto appieno tutti i suoi obiettivi. Le
donne sono state poste su un completo piano di parità con
gli uomini. La nuova realtà sociale richiede la difesa dei
risultati conseguiti e la trasmissione, alle nuove generazioni, della memoria storica delle lotte femministe, ma
anche un rinnovamento che deve coinvolgere anzitutto le
donne cristiane. La donna ha una "realtà ontologica" pari
e distinta da quella maschile.
Una realtà che la donna deve esplorare e conoscere da
se stessa in quanto la donna vista dalla donna non è la
stessa che la donna vista dall’uo-mo. In ultimo , nei suoi
scritti più chiaramente mistici, la S. ritiene che l’amore sia
la forza motrice dello stesso pensiero.
L’ardore dell’amore spinge il pensiero ad una penetrazione sempre più profonda dello spirito fino a
giungere alla chiarezza della conoscenza.
La libertà della persona umana è il grande mistero
davanti a cui Dio stesso si arresta : Egli desidera che le
sue creature Gli rispondano sotto forma di un libero dono
d’amore. Nel 1932 le venne assegnata una cattedra presso
una istituzione cattolica, l'Istituto di Pedagogia Scientifica di Miinster, dove ha la possibilità di sviluppare la
propria antropologia.
A cura di Marco de Boris
Qui ha il modo di unire
scienza e fede e di portare alla
comprensione d'altri quest'unione. In tutta la sua vita vuole
solo essere " strumento di Dio
". " Chi viene da me desidero
condurlo a Lui ".
Nel 19331a notte scende
sulla Germania. " Avevo già
sentito prima delle severe misure contro gli ebrei. Ma ora
cominciai improvvisamente a
capire che Dio aveva posto ancora una volta pesantemente la Sua mano sul Suo popolo e che il destino di
questo popolo era anche il mio destino". L'articolo di
legge sulla stirpe ariana dei nazisti rese impossibile la
continua-zione dell'attività d'insegnante. " Se qui non
posso continuare, in Germania non ci sono più possibilità
per me ". " Ero divenuta una straniera nel mondo ".
L'Arciabate Walzer di Beuron non le impedì più di
entrare in un convento delle Carmelitane. Già al tem-po in
cui si trovava a Spira aveva fatto il voto di povertà, di
castità e d'ubbidienza. Nel 1933 si presenta alla Madre
Priora del Monastero delle Carmelitane di Colonia. "Non
l'attività umana ci può aiutare ma so-lamente la passione
di Cristo. Il mio desiderio è quello di parteciparvi ".
Il 14 ottobre Edith Stein entra nel monastero delle
Carmelitane di Colonia. Nel 1934, il 14 aprile, la
cerimonia della sua vestizione. L'Arciabate di Beuron
celebrò la messa. Da quel momento Edith Stein porterà il
nome di Suor Teresa Benedetta della Croce.
Il 2 agosto del 1942 arriva la Gestapo. Edith Stein si
trova nella cappella, assieme alla altre Sorelle. Nel giro di
5 minuti deve presentarsi, assieme a sua sorella Rosa che
si era battezzata nella Chiesa cattolica e prestava servizio
presso le Carmelitane di Echt. Le ultime parole di Edith
Stein che ad Echt s'odono, sono rivolte a Rosa: " Vieni,
andiamo per il nostro popolo ".
All'alba del 7 agosto parte un carico di 987 ebrei in
direzione Auschwitz. Fu il giorno 9 agosto nel quale Suor
Teresa Benedetta della Croce, assieme a sua sorella Rosa
ed a molti altri del suo popolo, morì nelle camere a gas di
Auschwitz.
Con la sua beatificazione nel Duomo di Colonia, il 1°
maggio del 1987, la Chiesa onorò, per esprimerlo con le
parole del Pontefice Giovanni Paolo II, " una figlia
d'Israele, che durante le persecuzioni dei nazisti è rimasta
unita con fede ed amore al Signore Crocifisso, Gesù
Cristo, quale cattolica ed al suo popolo quale ebrea".
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Antropos in the world
IMMAGINI D’UN ALTRO TEMPO – A cura di Andropos
IL 25 APRILE
Fu scelta questa data, perché il 25 aprile 1945 fu
il giorno della liberazione di Milano e Torino. In
particolare il 25 aprile 1945 l'esecutivo del Comitato
di Liberazione Nazionale dell'Alta Italia, presieduto
da Luigi Longo, Emilio Sereni, Sandro Pertini e Leo
Valiani (presenti tra gli altri anche Rodolfo Morandi
– che venne designato presidente del CLNAI –
Giustino Arpesani e Achille Marazza), alle 8 del mattino via radio proclamò ufficialmente l'insurrezione,
la presa di tutti i poteri da parte del CLNAI e la
condanna a morte per tutti i gerarchi fascisti, tran-
La mattina del 25 aprile 1945 a Milano, Sandro
Pertini annuncia alla radio l’insurrezione generale:
“Cittadini, lavoratori! Sciopero generale contro la
occupazione tedesca, contro la guerra fascista, per
la salvezza delle nostre terre, delle nostre case, delle nostre officine. Come a Genova e Torino, ponete i
tedeschi di fronte al dilemma: arrendersi o perire”,
Il Comitato di Liberazione nazionale per l’Alta
Italia ordina ai partigiani e ai gruppi di resistenza di
passare all’attacco e agli operai di occupare le fabbriche.
Entro il 1º maggio, poi, tutta l'Italia settentrionale fu liberata: Bologna (il 21 aprile), Genova
(il 23 aprile) e Venezia (il 28 aprile). La Liberazione
mette così fine a venti anni di dittatura fascista ed a
cinque anni di guerra; simbolicamente rappresenta
l'inizio di un percorso storico che porterà al referendum del 2 giugno 1946 per la scelta fra monarchia e
repubblica,consultazione per la quale per la prima
volta furono chiamate alle urne per un voto politico
le donne, quindi alla nascita della Repubblica Italiana, fino alla stesura definitiva della Costituzione.
Su proposta del Presidente del Consiglio Alcide
De Gasperi, il Principe Umberto, allora Luogotenente del Regno d'Italia, istituì la festa per il 1946,
con il decreto legislativo luogotenenziale n. 185 del
22 aprile 1946 ("Disposizioni in materia di ricorrenze festive"), pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del
Regno d'Italia nr. 96 di mercoledì 24 aprile 1946;
l'articolo 1 infatti recitava:
« A celebrazione della totale liberazione del territorio italiano, il 25 aprile 1946 è dichiarato festa
nazionale». Successivamente, sancita dalla legge
260 del 27 maggio 1949.
ne Mussolini, verso il quale fu perpetrato un vero omicidio,coinvolgendo la povera Claretta Petacci che,
tra l’altro, fu seviziata, dal drappello dei partigiani.
Qui di seguito, alcuni dei personaggi della vicenda:
Valerio/W.Audisio
Luigi Longo
M.Moretti/P.Gatti
- 15 -
Ah! Se trovassimo
quelle tonnellate d’oro
del tesoro di Dongo,
avremmo risolto la crisi!
o bella ciao
o bella ciao
o bella ciao, ciao..
Le tonnellate di oro giunsero a Dongo con i gerarchi fascisti,
ma scomparvero in area partigiana senza lasciar tracce.
Antropos in the worldc
PROVERBI E MODI DI DIRE - OVVERO ELEMENTI DI PAREMIOLOGIA
1.
2.
3.
4.
Meglio murí sazzio ca campà diúno.
Aiutati che Dio t’ aiuta
Dicette 'o gallo: meglio l'uovo oggi che gallina
dimane
Quanno ‘a vocca s’’o ppiglia e ‘o culo t’’o rrenne
futtetenne ‘e miedece, medicine e chi ‘e vvénne.
Esplicatio: Meglio una vita breve, ma piena, così come e
preferibile contententarsi dell’uovo e non attendere
l’incerto domani. Comunque, occorre sempre aver cura di
sé, aiutando l’intervento divino. Infine, quando sono
integre le funzioni primarire del corpo, allora non
occorre avvelenarsi con le medicine.
Riflessio: Il trovare la corrispondenza nella lingua
latina e greca dei nostri proverbi ( ad esempio:
qua fugiunt hostes, via munienda est = a nemico
che fugge ponti d’oro), la dice lunga sulla vetustà
degli stessi e sulla loro tradizione più antica.
Implicanze semantiche:
Sazzio: da sazziarse. Dal latino satis- abbastanza,a sufficienza.
Futtete:Da fottere + suff, dal Sirica Dora
latino futūere.
Fraseologia: Chi sfotte rimane sfuttute. E sfuttute pure ‘mparavise vanne.
Antropologia: Sfòttere è legato a fòttere, compiere un atto sessuale. Ciò per evidenziare
il piacere che si può ricavare dall’uso aggressivo della parola. Ovviamente è chi
sfotte che svolge con soddisfazione un ruolo attivo, mentre lo sfottuto, il ricevente,ha
un ruolo passivo. I modi sono tanti: dallo
scherzo, alla pura cattiveria, che può anche
uccidere.
ISPPREF – Salerno
Istituto di Psicologia e Psicoterapia Relazionale e Familiare
Corso Operatore di Comunità
Direttore scientifico: Dott. Vincenzo Amarante, Psicologo-Psicoterapeuta
Docenti: Dott. Emanuele Esposito, Criminologo Clinico, Direttore C.P.A “Don Peppino DIANA”
di Napoli.
Dott. ssa Ida Boccia, Sociologo, Coordinatrice Comunità Araba Fenix, Cooperativa Sciangrilà
Dott. Mario Brengola – Psicologo-Psicoterapeuta
Dott.ssa Emanuela Ziccardi, Psicologa, Responsabile area socio-psicologica Progetto Capovolti
Programma del Corso:
 Sistema, Struttura, Famiglia - Il contesto sociale della famiglia - Comunità – Famiglia
 Aspetti legislativi e normativi – Inserim. in comunità: il minore accolto - Il regolam. di
comunità
 Il ragazzo come prodotto della famiglia deviante - L’arresto e la presa in carico - Il Tribunale
 Aspetti psicologici del minore - Relazione Operatore – Minore - Il Burn-out
Info e contatti:
ISPPREF
Corso Garibaldi 31, Salerno
Tel. 089 258527 – 3939862979 - Orari segreteria: lun-ven dalle ore 16.00 alle 20.00
[email protected] - www.isppref-salerno.it
- 16 -
Antropos in the world
LA PAGINA MEDICA: a cura di Andropos
RIFLUSSO GASTROESOFAGEO
Il reflusso gastroesofageo, o reflusso gastrico, è una condizione medica in cui la valvola che chiude l’entrata dello stomaco si
apre spontaneamente, per periodi di tempo variabili, o non si chiude correttamente e il contenuto dello stomaco risale verso la
bocca attraverso l’esofago.Quando diventa un disturbo cronico, presentandosi più di due volte alla settimana, si parla di malattia
da reflusso gastroesofageo. Il reflusso gastroesofageo può colpire persone di tutte le età.
Il reflusso gastroesofageo è un disturbo in aumento negli ultimi anni. Colpisce in maniera indistinta sia
uomini che donne e tende a manifestarsi con maggiore frequenza con l’avanzare degli anni. Conosciuta
come Malattia da Reflusso Gastro-sofageo (MERG,
o dall’inglese GERD) si tratta di un disturbo tipico
delle ore successive a un pasto; si manifesta con bruciori al petto, in prossimità della parte alta dello stomaco e si caratterizza per i liquidi acidi che si spingono lungo l’esofago con possibilità di raggiungere
anche la gola e il cavo orale.
Maggiore responsabile è l’acidità di stomaco,
combinata spesso con la difficoltà nel digerire alcune
tipologie di alimenti. L’alimentazione gioca quindi
un ruolo primario, come da non sottovalutare però
resta una certa predisposizione a manifestare il disturbo. Esiste una seconda possibile causa per questo disturbo: in alcune rare occasioni può manifestarsi come bile anziché liquidi acidi stomacali.
Può diventare un importante fattore di rischio lo
stress, con la conseguenza di aggravare la sintomatologia qualora non ne sia addirittura una delle cause.
Nella sezione Consigli utili vedremo quindi anche
alcuni rimedi naturali per tenerlo sotto controllo.
Che mondo sarebbe senza aloe vera? Di certo uno
in cui viene a mancare all’uomo una soluzione naturale a molti dei suoi problemi fisici. Molte volte
questa pianta e il suo prezioso gel entrano in gioco nel
contrastare varie problematiche, tra queste le scottature, la pelle secca, l’herpes, problemi alla circolazione e altre ancora.
Nel caso del reflusso gastroesofageo il suo gel si
rivela un toccasana grazie alla sua capacità di proteggere e calmare le mucose intesinatli irritate oltre che
diottimo cicatrizzante e disinfettante. In più contiene minerali e vitamine utili a riportare in uno stato di
equilibrio l’organismo.
Altro rimedio “noto” è la liquirizia, potente alleato grazie al suo contenuto di glicirrizina (da cui deriva
l’acido glicirretico) e di alcuni flavonoidi. Rispetto
all’aloe presenta alcune controindicazioni importanti:
su tutte l’azione di innalzamento della pressione sanguigna, un rischio per i soggetti affetti da ipertensione. È possibile masticarne qualche radice o acquistare starne alcune soluzioni in compresse o decotto
in erboristeria. Sarà utile anche nel combattere nau-
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sea, mal di gola e afte.
Azione lenitiva e calmante per le mucose
gastriche quella garantita dalla malva o Malva sylvestris. Ottima
tisana realizzata con
questa pianta, disponibile già pronta in erboristeria.
Altri rimedi che possono aiutare contro il
reflusso gastroesofageo sono il bicarbonato di sodio, le patate, le carote e lo yogurt. Questi alimenti
intervengono in caso di acidità di stomaco per
limitarne gli effetti e ridurre il possibile disagio. Il
primo in particolare rappresenta una soluzione
“tampone”, da utilizzare solo al momento della
manifestazione del disturbo.
Considerato il ruolo di primo piano che una
corretta alimentazione gioca nella prevenzione
di molti disturbi è utile ricordare l’impor-tanza di
una dieta equilibrata e ricca di frutta e verdura.
Alcune distinzioni sono però rilevanti e devono
essere tenute nella dovuta considerazione.
Andranno limitati i consumi di frutti e verdure
che possono aumentare i livelli di acidità nello
stomaco come ad esempio limoni (agrumi in generale) e i pomodori, così come cibi e bevande
quali il caffè, gli alcolici (se possibile da evitare), i
fritti, piatti troppo grassi o speziati.
Utili invece infusi come la camomilla, ad azione antispasmodica e rilassante, utile ad abbassare i
livelli di stress. Consigliate in questo caso anche
valeriana, melissa e passiflora.
Un piccolo consiglio infine per le ore notturne: chi soffre di questo disturbo è bene che riposi
con la testa leggermente sollevata rispetto allo
stomaco, nell’ordine dei 15-20 centimetri. Questo
ridurrà i possibili disagi notturni e aumenterà le
possibilità di un sonno tranquillo e ristoratore.
Ξύλον αγκύλον οδέποτ' ορθόν
Un legno storto non sarà mai dritto
____________
Galeno di Pergamo (medico greco - 129 – 216),
Antropos in the world
I GRANDI PENSATORI: a cura di Andropos
Wittegenstein
Bertrand Russell lo ha descritto come "il più perfetto
esempio di genio che abbia mai conosciuto: appassionato,
profondo, intenso, e dominante". Ludwig Wittgenstein
nacque a Vienna il 26 aprile 1889 da Karl Wittgenstein, un
ma-gnate dell'industria siderurgica dell'appena nata
borghesia austriaca, e Leopoldine Kalmus, ultima di otto
fratelli. I nonni paterni, Hermann Christian e Fanny
Wittgenstein, immigrati dalla Sassonia, erano ebrei
convertiti al pro-testantesimo; sebbene la madre di Ludwig
fosse, di famiglia, per metà ebrea, i giovani Wittgenstein
vennero cresciuti, blandamente, nella religione cattolica.
Entrambi i genitori, inoltre, erano appassionati di musica[1].
Ludwig era l’ultimo di cinque fratelli e tre sorelle.
Studiò fino ai 14 anni privatamente, poi frequentò per 3
anni la Realschule a Linz, una scuola statale che oggi
definiremmo a indirizzo tecnico-meccanico (fu nella stessa
scuola con Adolf Hitler, coetaneo ma due classi indietro).
Studiò ingegneria dal 1906 al 1908 a Berlino e dal 1908 al
1912 a Manchester Benché fosse cresciuto a Vienna e
avesse rivendicato per tutta la vita le proprie origini
austriache, il nome di Wittgenstein è legato specificamente
agli ambienti inglesi del Trinity College di Cambridge,
dove egli studiò e collaborò subito attivamente con Bertrand Russell, dal 1911 al 1914, e dove ritornò nel 1929 per
continuare le sue ricerche.
Isolatosi sui fiordi norvegesi, per più d'un anno, allo
scoppio della Prima guerra mondiale s'arruolò volontario
nell'esercito austriaco come soldato semplice in fanteria,
quindi successivamente venne promosso ufficiale di
artiglieria:combatté sul fronte russo e su quello italiano,
dove si guadagnò diverse onori-ficenze e medaglie al
valore militare. Venne infine imprigionato presso Trento
nel 1918 e internato per qualche tempo a Cassino in un
campo di prigionia sito in prossi-mità della frazione Caira,
per rientrare infine in Austria nel 1919 dove, influenzato
dal cristianesimo di Lev Tolstoj e in particolare da "I
Vangeli" dell'autore russo, si liberò della cospicua eredità
paterna (il padre era morto nel 1912); dicendo che il
denaro corrompe, lo diede alle sorelle già corrotte, e decise
di vivere per sempre senza inutili orpelli, vestendo decorosamente ma con estrema semplicità, tra pochi mobili
essenziali e nessun oggetto che non fosse strettamente
utile.
I suoi primi scritti sono profondamente influenzati dai
lavori sulla logica dello stesso Russell, di Alfred North
Whitehead e del logico tedesco Gottlob Frege, ma anche
dalle opere di Schopenhauer e di Moore, oltre che, anche
se in apparenza solo superficialmente, da Nietzsche.
Appena pubblicato, il Tractatus logico-philosophicus,
diventò punto di riferimento per il Circolo di Vienna al
quale il filosofo austriaco non aveva mai aderito ufficialmente, pur frequentandolo, criticandone i fraintendimenti della sua opera. Il pensiero di Wittgenstein ha
profondamente influenzato lo sviluppo della filosofia
analitica (in particolare la filosofia
del linguaggio, la filosofia della
mente e lateoria dell'azione) e gli
sviluppi recenti della cosiddetta
filosofia continentale. La sua opera ha avuto una certa eco anche oltre
la filosofia strettamente intesa, in campi quali la teoria dell' informazione e la
cibernetica, ma anche l'antropologia, la psicologia e altri
settori delle scienze umane. Wittgenstein è stato un pensatore anomalo per vari motivi (per la personalità, la
condotta di vita, l'avversione alla filosofia tradizionale, il
carattere spesso criptico ed enigmatico dei suoi scritti, il
lungo silenzio), e la sua opera è oggetto di continue
reinterpretazioni, spesso differenti tra loro). Lo stesso titolo
della sua opera, l'unica pubblicata dall'autore, può essere
frainteso; significa che l'interesse è logico in una dimensione prioritaria. Infatti Wittgenstein rifiutò titoli consimili
come logica filoso-fica, intendendo affermare una priorità
assoluta della logica e, insieme, l'idea che la logica è essenzialmente filosofica (si tenga conto che in quegli anni la
logica aveva assunto valore matematico, soprattutto
con Russell, Peano e Frege) e come tale non ha bisogno
dello specifico aggettivo.
Nel testo tuttavia, data la sua complessità, Wittgenstein
non si limita alla architettura logica (atomismo logico)
come soluzione definitiva del rapporto tra il piano reale
fenomenico e il piano linguistico, individuando appunto
nella necessità di una struttura logica una matrice comune.
Soprattutto nella parte conclusiva del Tractatus, Wittgenstein rende manifesto l'imbarazzo in cui la filosofia si
trova nel tentativo dire qualcosa come "quale sia il senso
del mondo" poiché sarebbe impossibile ricercare entro i
limiti del mondo stesso, definiti dal linguaggio, un qualche
senso.
Nella proposizione 6.41 del tractatus Wittgenstein
scrive: "Il senso del mondo dev'essere fuori di esso. Nel
mondo tutto è come è, e tutto avviene come avviene; non vi
è in esso alcun valore - né, se vi fosse avrebbe un valore..."
L' analiticità estrema del filosofo sono le cause di molte
incomprensioni di questa grande opera che, a differenza
delle altre pubblicate dagli eredi non è affatto equivoca. Il
metodo di numerazione di ogni gruppo di proposizioni
rende l'interpretazione facile rispetto alle opere pubblicate
postume, le quali spesso oscillano nella metodologia di
presentazione dei frammenti. Tale difficoltà ha contribuito a
creare una immagine oracolare e misteriosa del filosofo con
tentativi esistenziali o pato-logiche di spiegazione, come,ad
esempio, la sua omosessualità ocirca la eventuale presenza
di una Sindrome di Asperger, una forma di autismo ad alta
funzionalità.
Prima di perdere conoscenza, nel giorno della sua
morte, il 29 aprile del 1951, sussurrò ai presenti: "Dite a
tutti che ho avuto una vita meravigliosa".
- 18 -
Antropos in the world
QUANTI L’AVEVANO CAPITO?
UKRAINA: UN’ALTRA AGGRESSIONE
TRAVESTITA DA “RIVOLUZIONE”
Si fa presto a dire “Ukraina”. Qui, in Europa Occidentale,
non abbiamo nemmeno idea di cosa sia questo grande
Paese e di quanto complessi, articolati, difficili siano i suoi
assetti politici, etnici, linguistici, culturali e religiosi.
Solamente per dare un’idea, dirò che si tratta del secondo
più vasto Stato europeo (dopo la Russia e prima della
Francia) ma con una popolazione di soli 47 milioni di
abitanti, molto inferiore a quella dell’Italia. Già
appartenente all’Impero zarista “di Tutte le Russie” e poi
all’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche, è
diventata indipendente dopo lo sfaldamento dell’URSS,
ma mantenendo con la Federazione Russa un rapporto di
amicizia filiale e di dipendenza economica (come la
Bielorussia ed al contrario delle Repubbliche Baltiche). Il
motivo di questa particolare vicinanza era ed è di natura
etnica: gli ukraini ed i bielorussi sono popolazioni di razza
e di lingua slavo-orientali, ed appartengono quindi allo
stesso ceppo dei russi. L’Ukraina, dunque, rientra naturalmente nella “sfera” politica di Mosca. Ed è – aggiungo
– strettamente integrata in quella sfera anche sotto
l’aspetto economico, giacché per l’approvvigionamento
energetico dipende totalmente dal gas russo, fornito a
credito ed a prezzi di assoluto favore.
Ma le particolarità non si fermano qui. L’Ukraina, infatti,
non è una nazione omogenea: divisa praticamente in due
dal fiume Nipro – che la percorre verticalmente fino allo
sbocco nel Mar Nero – le tre macroregioni risultanti sono
delle realtà completamente diverse dal punto di vista
etnico e linguistico: la regione orientale e quella
meridionale hanno una popolazione composta in
maggioranza da russi e da ukraini russofoni (cioè
“locutori” della lingua russa); la regione occidentale è,
invece, in grande maggioranza ukraina ed ukrainofona.
Questa diversità etnico-linguistica ha segnato e segna tutta
la storia dell’Ukraina: da sempre l’Ukraina orientale è
stata filorussa; e da sempre l’Ukraina occidentale è stata
filotedesca (filonazista durante la seconda guerra
mondiale) ed oggi anche filoamericana. Naturalmente, le
divisioni non sono nette: c’è più o meno un 25% di
russofoni nella regione centro-occidentale, ed altrettanti
ukrainofoni in quella centro-orientale; ci sono coloro – e
non si sa esattamente quanti – che usano il surzik, una
“lingua parlata” abbastanza diffusa e che è un misto di
russo e di ukraino; poi ci sono ancora altri casi particolari,
come quello della Repubblica Autonoma di Crimea, che è
sostanzialmente un pezzo di Russia aggregato
artificialmente all’Ukraina; o come quello del territorio al
confine con la Slovacchia – l’ex Rutenia cecoslovacca –
abitata da una comunità etnico-linguistica particolarmente
connotata, che rappresenta circa il 12% della popolazione
dell’intera Ukraina.
2 - COSA SUCCEDE IN UKRAINA
Orbene, gli equilibri politici ed i responsi elettorali sono
figli di queste specificità ed hanno – nelle varie
consultazioni – disegnato un Paese spezzato praticamente
in due, ma con una leggera prevalenza di coloro che
privilegiano lo storico legame con la Russia rispetto ai
sostenitori di uno spostamento “a occidente”: verso
l’Unione Europea, o forse – sostanzialmente – verso la
Germania e gli USA. Volendo semplificare al massimo,
dirò che i principali partiti ukraini sono i seguenti: il
Partito delle Regioni (trasversale e filorusso, guidato da
Viktor Janukovyč), Ukraina Nostra (conservatore e
filooccidentale, guidato da Viktor Juščenko), Blocco
Yulija Tymošhenko (senza specifica connotazione, ma oggi
subentrato ad Ukraina Nostra nella rappresentanza delle
tendenze filooccidentali).
Sempre schematizzando, i due schieramenti che si
fronteggiano adesso fanno capo rispettivamente al
defenestrato Presidente della Repubblica, Janukovyč, ed
alla Tymošhenko, leader del Blocco che da lei prende
nome ed oggi Presidente in pectore dell’Ukraina
“rivoluzionaria”. I due sono rispettivamente il vincitore e
la perdente delle elezioni presidenziali del 2010, ed hanno
– malgrado tutto – numerosi punti in comune. Entrambi di
origini “meticce” (il primo è di padre bielorusso, la
seconda di padre ebreo-lèttone), entrambi di formazione
comunista, entrambi politici di rango nell’era postcomunista, entrambi – infine – arricchitisi fulmineamente
negli ultimi decenni. Entrambi, si badi bene. Non soltanto
il Presidente Janukovyč, di cui la televisione ha mostrato
la lussuosissima dimora, sulla scia di un copione sperimentato (e saggiamente ispirato) durante le “primavere
arabe” per sollecitare l’indignazione popolare contro i
potenti in fuga. Non soltanto Janukovyč – dicevo – ma
anche e certamente di più la sua diafana concorrente.
Yulija Tymošhenko, infatti, partendo da una modesta
posizione di funzionario del settore energetico pubblico –
in epoca sovietica – ha poi gradualmente costruito un
privatissimo “impero del metano”, portando avanti in
parallelo carriera politica ed affari, e diventando più o
meno contemporaneamente Primo Ministro e – come è
soprannominata – “Principessa del Gas”. Dopo di che, ha
costruito la sua immagine: si è fatta bionda (in realtà è
bruna come una hawaiiana), ha adottato un’acconciatura di
stile ultra-tradizionale, e si è atteggiata a “vittima del
regime” (con tanto di sedia a rotelle) quando è stata
incarcerata per un affare di interessi privati nella
importazione di gas.
I fatti di questi ultimi giorni sono noti: quando il
Presidente Janukovyč ha rifiutato di firmare un accordo di
- 19 -
Antropos in the world
“associazione” all’Unione Europea, una folla di dimostranti si è riunita “spontaneamente” (???) per reclamare la
firma del trattato associativo e, successivamente, un
cambio di governo e le dimissioni del Presidente della
Repubblica; Governo e Presidente – giova ricordarlo –
erano espressione non di una dittatura di stampo arabo, ma
di una procedura democratica di tipo occidentale. La
“protesta pacifica” – sotto una precisa regìa – si è
rapidamente trasformata in rivolta, con tanto di infiltrati
(ma sarebbe più esatto parlare di manovratori) dotati di
elmetti ed armi da fuoco, con tanto di assalti cruenti
contro i cordoni della polizia, con tanto di occupazioni di
edifici pubblici e di sedi di Ministeri. La tappa successiva
era – sempre secondo lo sperimentato copione delle
primavere arabe – l’indignazione sincronizzata di USA,
UE ed ONU, che accusavano l’aggredito Janukovyč di
essere l’aggressore e gli rimproveravano una “repressione
feroce” delle mansuete manifestazioni di dissenso. I
risultati di tutto ciò sono noti: Janukovyč costretto a
lasciare, il ritorno della sconfitta Tymošhenko (ad onta dei
risultati elettorali) e la reazione della Russia. Questa si è
ripresa intanto la penisola di Crimea (regalata da Krusciov
all’Ukraina nel 1954), nell’attesa di regolare poi la
questione degli altri territori ukraini a maggioranza russa.
3 - COME SI È GIUNTI
ALLA CRISI IN UKRAINA
Quel che sta avvenendo in Ukraina (e ciò che da queste
vicende potrebbe discendere) è parte di un gioco assai più
vasto, che si dipana su vari scacchieri; ivi compreso quello
dell’Unione Europea. Non è un caso che tra i finanziatori
delle varie “rivoluzioni colorate” che da un paio di
decenni sono state messe in atto per destabilizzare varie
regioni del globo, non è un caso – dicevo – che tra costoro
si trovino certi miliardari “filantropi” statunitensi che sono
diventati ancor più miliardari – si può dire? – manovrando
le leve della speculazione finanziaria contro alcuni Paesi
europei, a incominciare dal nostro. Questo, tuttavia, è un
discorso che ci porterebbe troppo lontano; e chi scrive non
ha certamente la presunzione di esaurire in poche righe i
molti e complicatissimi retroscena (da quello dei gasdotti
a quello dello “scudo spaziale” americano) che sono a
monte della vicenda ukraina.
Voglio soltanto sottolineare un aspetto, e cioè che l’odierno caso dell’Ukraina si pone in continuazione diretta con
altri due episodi risalenti al 2008, quello del Kosovo e
quello della Georgia. Il Kosovo – si ricordi – era una
Provincia autonoma, appartenente ad uno Stato sovrano,
la Serbia, ma abitata da una popolazione di etnìa albanese.
Così come la Crimea – e la simiglianza balza agli occhi –
è una Repubblica autonoma, appartenente ad uno Stato
sovrano, l’Ukraina, ma abitata da una popolazione di etnìa
russa. Ebbene, allora gli Stati Uniti pilotarono l’indipendenza del Kosovo e la imposero praticamente agli
alleati europei, senza alcun riguardo per l’integrità dello
Stato sovrano serbo.
Il sottoscritto – in un articolo per la rivista “ Storia in
- 20 -
Rete” – ebbe allora a commentare: «il pericolo della
strana dichiarazione d’indipendenza kosovara, voluta
dagli americani, è proprio questo: la destabilizzazione
degli assetti europei, un precedente devastante, un
prevedibile effetto “domino” che potrà investire non
soltanto la Russia (come è evidente) ma anche altri
Paesi europei dell’est e dell’ovest, fomentando
separatismi e terrorismi dal Caucaso alla penisola
iberica».
E puntualmente, nell’agosto successivo, la seconda
tessera del “domino” veniva mossa nel Caucaso. La
Georgia, governata dal filoamericano Saakashvili, aggrediva due suoi territori autonomi a maggioranza
etnica russa – l’Ossezia del Sud e l’Abkazia – con
l’intento di attuarvi una radicale pulizia etnica. La
Russia interveniva, liberava le due repubblichette
autonome e le sottraeva alla potestà dello Stato sovrano
georgiano. Era una ripetizione, quasi alla lettera, di
quanto sei mesi prima era avvenuto in Kosovo. Con in
più un supplemento di ipocrisia degli USA, che
tentavano di far passare gli aggressori per aggrediti, e
viceversa. In realtà, Putin aveva semplicemente difeso
una popolazione russa dalla minaccia di una crudele
pulizia etnica.
E veniamo all’affare dell’Ukraina e della Crimea. Che
cosa pretenderebbero adesso gli americani? Sono stati
loro – per primi – a provocare la secessione di un
territorio etnicamente a sé stante dallo Stato sovrano di
appartenenza. E quando lo fa Putin (in Crimea come ieri
in Ossezia) “non ci giocano più”? Ragazzini viziati,
pieni di soldi e di missili, ma che credono di giocare
sempre a “indiani e cow-boys”.
Piuttosto, c’è da sperare che continuino a giocare, senza
lasciarsi prendere la mano. Se continuassero a soffiare
sul fuoco ukraino, la guerra potrebbe divampare in men
che non si dica, e coinvolgere mezza Europa.
Scommetto che qualche imbecille sogna già di far intervenire la NATO. Per esportare la democrazia in Crimea.
Michele Rallo
Un’attivista Femen prima dell’arresto, mentre protesta contro Putin davanti al quartier generale della Ue.
Antropos in the world
DALLA REDAZIONE DI BERGAMO: VARIE
IL MERCATO DI ARTICOLI RELIGIOSI A BERGAMO
vendita negli ultimi tre anni.
Emerge da un’elaborazione della Camera di
commercio di Milano e della Camera di
commercio di Monza e Brianza su dati del
registro imprese negli anni 2013 e 2010.
 Una bella foto ricordo: LA PREMIAZIONE DEL 28/02/14 con i protagonisti del
Festival Letterario Città di Bergamo, V edizione. In abito scuro, la Professoressa Maria
Imparato, nostra redattrice-capo, vincitrice
del Premio, per la categoria “insegnanti”, come già abbiamo avuto modo di dire nella
precedente numero della Rivista.
 Il mercato degli articoli religiosi, in
particolare a Bergamo, non conosce la crisi.
Dalla classica icona da appendere in casa,
all’angioletto colorato per la stanza dei bambini; dai prodotti dei monasteri, ai rosari, dai
candelieri alle statuette in marmo o alabastro:
sono solo alcuni degli oggetti o idee regalo che
si possono trovare nei quasi 700 negozi italiani
tra sedi e unità locali, specializzati nella vendita
di articoli religiosi e arredi sacri.
Le imprese, infatti, sono in crescita del 4%
rispetto al 2010 in Italia e anche in Lom-bardia.
In Lombardia le imprese e unità locali sono 50,
di cui 16 a Bergamo e 15 a Milano.
Trattasi di piccole attività, con 1200 addetti in
Italia, di cui 66 in Lombardia. La regione più
specializzata (con 132 imprese e 172 addetti è
la Campania ). Ma tra le province Roma è in
testa con 90 imprese. Seguono Napoli con 48,
Ca-serta e Foggia con 34 e Bari con 29. Tra le
prime 20 per numero di sedi sono due le
lombarde: Bergamo, terra di origine di Papa
Roncalli, al 10° posto e Milano al 13°.
Anche a Roma Crescono le imprese, 12 in più
in tre anni, mentre, in Lombardia con Bergamo
è Monza a crescere di più, con due nuovi punti
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 Il ciclista di Cinisello Balsamo, Aldo
Ro-mani, giovedì mattina 17 aprile, è caduto
batten-do violentemente la testa sull’asfalto.
Il casco protettivo si è rotto per la botta e
l'uomo ha perso la vita.
Un dramma che si è trasformato in generosità, con l'atto d'amore della famiglia del settantenne, che ha deciso di dare l'assenso per
la donazione degli organi.
I reni sono stati asportati all'ospedale di
Lecco, mentre il fegato a Bergamo.
Due compagni dello sfortunato ciclista, pur
coinvolti nella caduta, non hanno riportato
danni.
Antropos in the world
DON OTTAVIO
Di Egidio Siviglia
I compagni di scuola e i soci del circolo ricreativo
erano tutti sposati, solo Ottavio non aveva ancora dato
l’addio al celibato e gli amici, più di una volta, gli
ricordavano: “Ottavio è ora di decidere, perché il tempo
ci consuma e se si resta soli non si sa mai cosa ci
riserva la vita”.
Il consiglio fu ripetuto più volte, molto spesso in
termini gravi e talora canzonatori. Vuoi che si tratti di
un consiglio, vuoi che si parli per celia, Ottavio pensò
seriamente ad accasarsi. Non gli mancava niente:
ultimo erede della borghesia benestante, di bell’aspetto
e di un brillante modo di esprimere qualsiasi concetto
in lingua italiana. Gli amici, confidenzialmente lo
chiamavano per nome, ma la gente comune gli si
rivolgeva con rispetto e: “Don Ottavio buongiorno
…don Ottavio le posso chiedere qualcosa …don
Ottavio mi scusi se oso chiedere il suo illuminato
parere …”.
Le ragazze lo guardavano con ammirazione e,
segretamente, nel loro intimo, costruivano dorati sogni
e vagheggiavano un proprio futuro progetto. Dagli
sguardi si passò a situazioni di fatto. Un giorno, Ottavio
si recò dal macellaio per l’abituale spesa settimanale e,
nell’attesa, un amico ripetette il solito ritornello:
“Ottavio, a quando le nozze?”.
Prima che Ottavio potesse dire qualcosa, un’attempata signora sorrise compiaciuta per la simpatica
iniziativa; e l’amico incalzò: “Vedi Ottavio, c’è solo
l’imbarazzo della scelta, la signora qui presente ha due
belle figliole alle quali madre natura non ha negato
niente”.
Ottavio, per niente sorpreso, manifestò il suo
recondito compiacimento, perché tra tante fantasie
l’avvenenza delle ragazze, figlie della signora, non
occupavano l’ultimo posto. L’occasione fu propizia e la
signora, divenne un ottima ruffiana che si adoperò ad
attrarre il giovane Ottavio. Il fidanzamento avvenne in
pochi giorni e in meno di un anno Ottavio sposò una
delle due graziose fanciulle.
Aveva don Ottavio una splendida casa, costituita da
due unità abitative nelle quali trovarono una comoda
sistemazione, sia Ottavio e la moglie, sia la signora
suocera, con la figlia ancora nubile. Erano indipendenti
e nessuno spaziava nella vita privata dell’altro; solo di
domenica pranzavano insieme.
Dopo un ragionevole lasso di tempo, la coppia,
oramai felice, si rese conto che c’era qualche intoppo
per l’attesa di un erede; come avviene ordinariamente
fecero ricorso ai medici. Ma, ahimè, nessuna soluzione
al problema.
Ogni domenica quando si incontravano per il pranzo, la signora suocera non sciupava nessuna occasione
per mortificare quel brav’uomo, perché ritenuto responsabile dell’insuccesso matrimoniale. Col passare del
tempo, le maldestre insinuazioni divennero un offensivo
ritornello: “Tutta colpa tua se mia figlia è infelice … sei
invecchiato prima del tempo … se sapevi di essere
impotente, perché ti sei sposato … “.
Simili cose rendevano sempre più taciturno il povero
Ottavio che, per educazione e per rispetto, non voleva
essere scortese con la suocera e non voleva neppure
recare dispiacere alla consorte.
Dopo qualche mese, la suocera si rese conto che la
figlia nubile mostrava i segni di qualcosa che poteva
somigliare ai sintomi della gravidanza e, quando la
sospettosa e guardinga signora ebbe certezza del suo
sospetto, incominciò un nuovo ritornello: “Figlia mia,
dimmi la verità, ma com’è possibile che sei incinta?
Non vai a messa, non esci per le commissioni, non frequenti nessuno … perché non ti confidi con tua madre,
ho il diritto di sapere …”.
Niente. Nessuna risposta.
Una domenica, durante il rituale pranzo festivo, il
discorso occupò buona parte della nuova situazione, ma
il ritornello si ripetette secondo il solito schema e con
l’aggiunta: “Non si può pensare a nessuno, perché la
casa è frequentata solo da Ottavio, che è impotente,
dunque, come si spiega?”. A questo punto Ottavio non
ne poté più ed esclamò: “Signora madre se bisogna
trovare un colpevole l’unica persona che deve essere
incriminata è proprio lei, perché, la Claretta, - così si
chiamava la ragazza - stanca della sua splendida
solitudine, segretamente innamorata del sottoscritto,
sicura della mia falsa impotenza, si è lasciata andare. Se
le cose sono a questo punto non si può incolpare se non
lei.”
Le vie della maldicenza, anche quando non
conducono alla meta, trovano uno sbocco nel traffico e
approdano al mercato della cattiveria. La signora suocera, dopo la prima sensazione di sconfitta, continuò
con ulteriori insulti all’odiato Ottavio.
“Vergogna, … immorale e fedifrago … hai offeso
l’onore del tuo talamo, hai distrutto il candore di tua
cognata. Il trofeo della tua rivalsa a che cosa è servito?”.
Ottavio contenne la sua rabbia e, alla fine, con
tristezza e con tono pacato, disse: “ Ho avuto torto
prima perché accusato di impotenza, poi perché sono
immorale e … in seguito non credo che la vita mi
conceda gesti di clemenza, perché comunque la via
dell’odio non conosce la pietà”.
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Antropos in the world
DA NEW YORK
LUTTO NEL MONDO DEL CINEMA PER LA MORTE DI
Michey Rooney
Cristina Fontanelli ci invia una sua foto con Michey
Rooney, scomparso il sette aprile scorso, alla bella età
di noveantatré anni.
Un talento precoce, quello di Michey, pseudonimo di
Joseph Yule, che inizia da bambino. L'esordio, infatti, è
a soli due anni in alcuni spettacoli con il padre.
Tra le sua interpretazioni più celebri "Capitani
coraggiosi", del 1937 e "La città dei ragazzi" (19-38)
dove recitò come coprotagonista con Spencer Tracy. Nel
1939 riceve la nomination all'Oscar per il film "Ragazzi
attori".
Negli anni 60 è invece lo scorbutico giapponese
Yunioshi in Colazione da Tiffany (1961). ritrova Spencer Tracy nella commedia "Questo pazzo pazzo pazzo
pazzo mondo" (1963). La sua ultima apparizione sul
grande schermo risale al 2006 quando interpretò il
guardiano notturno nel film "Una notte al museo".
Nella carriera dell'attore americano anche il teatro e
le serie televisive. Negli anni 50 è il protagonista della
sit-com Mickey Rooney Show per poi essere la guest
star di molte serie televisive.
Un grande attore con una vita privata molto intensa.
Mickey Rooney si è sposato 8 volte: la prima moglie è
stata Ava Gardner.
Rooney, nato da una coppia di artisti di Vaudeville,
salì sul palco all'età di quindici mesi. Nel 1922, i suoi
genitori divorziarono e sua madre si trasferì a Holly-wood
con il suo giovane figlio.
Ha fatto il suo debutto cinematografico a sei anni, nel
ruolo di un nano che fuma un sigaro.
A Walt Disney è piaciuto il suo carattere, tanto che ha
chiamato il suo topo cartoon "Topolino". Il giovane ragazzo cambiò il suo nome in Mickey Rooney e a 14 anni è
apparso come Puck in "Sogno di una notte di mezza estate".
Ha continuato, con grande notorietà, con la serie
Andy Hardy. È stato nominato agli Oscar per le sue interpretazioni in "Babes in Arms", 1939, "la comme-dia
umana", nel 1943 e "The Bold and the Brave" nel 1956.
La sua carriera è andato in declino quando è tornato al
lavoro dopo il servizio militare in WW II.
Nel 1948, ha chiesto di diventare un free agent a Hollywood. Dall 1956, ha lavorato nel settore dello spettacolo
per 33 anni, producendo 152 film, guadagnando più di 600
milioni di dollari, ma riuscendo a salvare pochissimo.
Ha scritto due autobiografie, "cioè", nel 1965 e "La
vita è troppo breve" nel 1991. Ha recitato nella serie "Le
avventure di Black Stallion" nei primi anni '90. Ha lavorato
nella produzione di Toronto di "Crazy for You" nel 1995.
Rooney ha incontrato la sua prima moglie, Ava Gardner sul
set di "Babes In Arms". Si sono sposati nel 1942, in
Ballard, divorziando un anno dopo, nel 1943.
Mentre Rooney stava servendo nell'esercito, ha incontrato reginetta di bellezza Betty Jane Rase, una signorina di
Birmingham, Alabama. Si sono sposati nel 1944 e hanno
prodotto due figli, Mickey Jr. e Timothy. Rooney e Betty
divorziarono nel 1948 e la successiva sentire ha sposato
l'attrice Martha Vickers.
Ha divorziato dalla sua terza moglie nel 1951, sposando
l'ex modella, Elaine Mahnken, nel 1952, soppiantandola
con la sua quinta moglie, la reginetta di bellezza Barbara
Ann Thomason, che sposò nel 1958.
Ha sposato la migliore amica di Barbara, Marge Lane,
nel 1967 per 100 giorni. Nel 1969, sposò Carolyn Hockett
e hanno divorziato nel 1974. Rooney incontrò e sposò la
sua ottava moglie, Jan Chamberlin nel 1978. Ora, aveva
ben 11 figli da mantenere.
Con l'aiuto della sua ottava moglie, Rooney supera la
dipendenza dall’ alcool e dalgioco d'azzardo sui cavalli da
corsa.
Rooney lascia dietro di sè un’eredità artistica immensa
che include interpretazioni memorabili come quelle in
“Capitani coraggiosi” e “La città dei ragazzi”, una nomination all’Oscar per il film Ragazzi attori e due statuette
onorarie, che hanno segnato due tappe fondamentali della
sua longeva carriera, l’Oscar giovanile ricevuto a diciannove anni come talentuosa promessa e uno alla carriera,
ricevuto nel 1983, a siglare una carriera leggendaria.
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Antropos in the world
STORIA DELLA MUSICA - A cura di Ermanno Pastore
MAURICE RAVEL
Ciboure, 7 marzo 1875 – Parigi, 28 dicembre 1937
Maurice Ravel nacque nei pressi di Ciboure il
7 marzo del 1875, nella regione basca
francese, ai confini con la Spagna.
Suo padre, Joseph (1832-1908), era
un apprezzato ingegnere civile, di
ascendenza svizzera e savoiarda Ravex. Sua madre, Marie Delouart Ravel (1840-1917),era di origine basca,
discendente di una vecchia famiglia
spagnola Deluarteo Eluarte. Ebbe un
fratello, Édouard Ravel (1878-1960), con cui mantenne durante tutta la vita una forte relazione affettiva.
All'età di sette anni, Ravel iniziò a studiare il
pianoforte al Conservatorio di Parigi. Durante i suoi
studi a Parigi, Ravel incontrò e frequentò numerosi
compositori giovani, e innovativi, che usavano chiamarsi Les Apaches per la loro vita sregolata. Studiò
musica con Gabriel Fauré per quattordici straordinari anni. In questo periodo, Ravel provò diverse
volte a vincere il prestigioso premio Prix de Rome,
inutilmente. Dopo uno scandalo che implicò anche
la mancata assegnazione del premio a Ravel, Maurice abbandonò il conservatorio. Questo incidente
comportò anche le dimissioni del direttore del conservatorio. Ravel fu influenzato da diversi stili
musicali legati a diverse parti del mondo: il jazz
americano, la musica asiatica e le canzoni popolari
tradizionali di tutta Europa. Maurice non fu religioso: non gli piacevano i temi di carattere spiccatamente religioso degli altri compositori, come Richard Wagner, e preferiva studiare la mitologia classica per ispirarsi. Durante la Prima guerra mondiale
non poté essere arruolato per la sua età e la salute
debole: diventò un autista di ambulanza. Tra i suoi
pochi allievi si ricordano Maurice Delage e Ralph
Vaughan Williams. Nel 1932 Ravel fu coinvolto in
un incidente d'auto piuttosto grave a seguito del
quale la sua produzione artistica diminuì sensibilmente. Colpito da ictus all'emisfero sinistro del
cervello, non fu più in grado di leggere la musica,
ma poté continuare a dirigere l'orchestra.
A causa di un'atrofia cerebrale, le sue condizioni
peggiorarono inesorabilmente fino al 1937 quando,
il 18 dicembre, fu operato alla testa. L'intervento non
ebbe alcun esito e Ravel morì dieci giorni più tardi,
lasciando a tutti un ricordo di lui come un musicista
appassionato.
Politicamente era socialista, amico di Leon Blum,
Presidente del Consiglio francese tra il 1936 e '38, e
assiduo lettore del quotidiano "Le Populaire".
Ad una prima impressione, fu influenzato da Debussy, ma in realtà Ravel fu ispirato anche dalla musica
russa e spagnola, e dal jazz degli Stati Uniti, come si
evidenzia dal movimento intitolato Blues della sua
sonata per violino e pianoforte e dal clima del Concerto per pianoforte per la mano sinistra, dedicato al
pianista Paul Wittgenstein mutilato in guerra. Maurice
Ravel è considerato impressionista al pari di Debussy,
ma anche imitando lo stile di altri, il carattere tipico
delle composizioni di Ravel rimane evidente.
Nell'anno 1928 Ravel affermò che "la maggiore
paura dei compositori americani è quella di trovare in
se stessi strani impulsi al distacco dalle regole accademiche: a questo punto i musicisti, da buoni borghesi,
compongono la loro musica secondo le regole classiche
dettate dalla tradizione europea". Quando il compositore americano George Gershwin incontrò Ravel, gli
parlò del desiderio di studiare, se possibile, con il
compositore francese. Quest'ultimo rispose: "Perché
dovresti essere un Ravel di secondo livello quando puoi
essere un Gershwin di primo livello?" Alcuni appunti e
frammenti confermano l'influenza che la musica basca
ebbe sul compositore. Ravel commentò che André
Gedalge, il suo professore di contrappunto, fu fondamentale per lo sviluppo delle sue qualità compositive.
Ravel studiò con grande perizia e meticolosità le possibilità espressive dei singoli strumenti, per poterne
determinare gli effetti: fu questa la caratteristica che
permise il successo delle sue trascrizioni per orchestra,
sia delle sue composizioni per pianoforte sia di quelle
degli altri compositori.
Il suo brano più celebre per orchestra è certamente Boléro. Molto nota è anche l'orchestrazione,
realizzata nel 1922, dei Quadri di un'esposizione di
Modest Mussorgsky. Egli stesso descrisse il suo Boléro come "una composizione per orchestra senza
musica". Le orchestrazioni di Ravel sono da apprezzare in modo particolare per l'utilizzo delle diverse
sonorità e per la complessa strumentazione.
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Antropos in the world
POLITICA E NAZIONE
ME LO DAI UN CHISS?
Ovvero il pensiero spicciolo della gente comune
Nessuno vuole imporre un italiano “asettico”,
perché l’uso di termini altre lingue rientra in un più
ampio discorso culturale. Tra l’altro, come lo si potrebbe evitare in questo clima di globalizzazione?
Pare però assurdo mascherare limitatezze intrinseche alla propria competenza linguistica, riempendo le
proprie conversazioni con termini che, spesso, non si è
in grado neppure di pronunciare.
La televisione, che purtroppo è ormai la prima
agenzia formativa per i nostri giovani, più della stessa
scuola e della stessa famiglia, sta distruggendo la nostra
lingua, con l’aiuto della stampa, la politica e la pratica
burocratica.
Così, il Presidente è oramai il “premier”, il
biglietto è divenuto “tiket”, lo stato sociale “welfare” e
seguono, di poi, time, badge, day ospital, election day,
Jobs act, spending review e così via, fino alla completa rottamazione della nostra identità linguistica.
Come mai che tutti coloro che hanno potere decisionale (politica, giornalismo, apparati burocratici ed
altro) non si rendono conto, che la ostinata ostentazione
di questa “disinvoltura cosmopolita” ci sta veicolando
verso un impoverimento della lingua italiana, ed alla
perdita della nostra identità culturale? Bisogna rassegnarsi ? Al contrario.
Basta guardare gli altri paesi europei dove l’identificazione della propria lingua nazionale è ben difesa.
Così, nel mentre che in Italia si ostenta indifferenza,
accogliendo integralmente la terminologia anglosassone, nelle altre nazioni questi termini vengono tradotti
creando e in alcuni casi, hanno dato vita a neologismi.
In Italia, non esiste un organismo che tuteli la nostra
lingua e allora c’è la facciamo inquinare con termini,
che potrebbero benissimo essere tradotti in italiano.
In Spagna, ad esempio, c’è la RAE (REAL ACADEMIA ESPANOLA) che è una Istituzione specializ-
zata nel conservare il lessico e la grammatica della
lingua spagnola.
Se prendessimo esempio dagli spagnoli, avremmo una lingua più pura, considerando anche che
l’italiano è una delle lingue più belle del mondo.
L’uso di termini stranieri è, peraltro, insidioso, perché questi hanno il brutto vizio di essere
scritti diversamente da come si pronunciano e così,
anche giornali di tiratura nazionale, come il Cor-
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riere della Sera, è caduto in errore scrivendo Jet Leg
(gamba dell’aereo) al posto di Jet Lag (malessere da
aereo).
La cosa curiosa e preoccupante è che la maggior
parte dei termini vengono assimilati, da gran parte degli
italiani, con connotazioni diverse da quelle che hanno
in origine. Ciò comporta un certo rischio, in quanto
vengono penalizzate le comunicazioni tra persone, di
diversa provenienza, che si trovano ad esprimere concetti diversi, pur usando la stessa parola. Così, anche
quando non è pericoloso, l’abuso di “forestierismi”
rischia di essere grottesco.
Comunque, il continuo processo di devastazione
della lingua italiana comporta un suo progressivo indebolimento, sia quale espressione della nostra nazionalità e sia come coscienza di italianità.
Di questo passo, diremo addio alle origine fenicie e
greco-latine della nostra lingua, con gran pace di chi
l’Italia l’ha distrutta, come la nostra economia, la
sovranità del popolo, la banca d’Italia, il batter moneta,
il diritto al lavoro ed alla proprietà ed i princìpi della
democrazia.
Nel frattempo, anche nella comunità europea la
nostra lingua è caduta nell’oblio, difatti gli atti della
C.E. non vengono più tradotti in italiano, con buona
pace di tutti i politici, che hanno accettato ciò, senza
protestare.
Tuttavia, non sarebbe ancora troppo tardi! Basterebbe
riprendere consapevolezza del nostro elevato peso
culturale e riportare l’azione educativa ai parametri
della scuola italiana tradizionale.
MARIO BOTTIGLIERI
Antropos in the world
PIATTI TIPICI DEL MEDITERRANEO - A cura di Rosa Maria Pastore
I PISELLI(parte prima)
I piselli, il cui nome deriva dal termine latino pisum
sativum è una leguminosa appartenente alla famiglia delle
Papilionacee. La pianta, a crescita annuale, è un rampicante
i cui frutti sono costituiti da un baccello contenente i semi
rotondi e lisci, di un bel verde inconfondibile … il tanto
celebrato verde “pisello … I frutti, appena colrti, sono
particolarmente teneri e gustosi e rappresentano un
contorno ideale per ogni tipo di carne. La coltivazione è
particolarmente diffusa in Italia e anche all’estero, nei paesi
dai più diversi climi: dai freddi paesi nordici alle torride
terre d’Egitto. I semi dei piselli freschi fanno la loro
comparsa sul mercato intorno alla primavera per protrarsi
sino a settembre; la primizia tuttavia, apprezzata, è
costituita dai teneri pisellini primaverili.
Valore alimentare e dietetico
Il pisello è senza dubbio uno dei legumi che rappresenta
meno controindicazioni se, naturalmente, è consumato nei
debiti limiti. L’unico inconveniente è rappresentato dalla
buccia che, rispetto alla polpa interna, rende questo legume
meno tenero e digeribile; il passato di questo legume
(crema o purea), risulta di facile assimilazione e agisce
beneficamente anche negli organismi più delicati che
soffrono di disturbi di stomaco e dell’apparato digerente.
La sua composizione chimica rivela una percentuale del
6,5% di proteine, valor questo nettamente superiore alla
media normale delle verdure (ma non delle leguminose in
genere) anche se non è possibile affermare la sua piena
sostituibilità alla carne bovina, inoltre è presente una carta
quantità di sostanze minerali quali il fosforo, il potassio, il
ferro e lo zolfo. Ricordiamo infine che tali valori
rimangono pressoché intatti nei piselli conservati in scatola,
i quali sono, di gran lunga, i più consumati nel mondo
moderno per la loro praticità, facilità di reperimento e
sapore genuino. Le farine e i semi essiccati di tale legume
presentano dei valori superiori a quelli normali per la
ridotta presenza del’acqua e una maggiore concentrazione
del prodotto. Le calorie sviluppate da 100 grammi di
prodotto fresco, sono circa 100, 70, se in scatola a 340
circa, se essiccato.
Varietà
Le varietà dei piselli si distinguono principalmente per
la diversità dei semi, di cui riconosciamo quelli di colore
verde o bianco, dalla buccia liscia oppure grinzosa.
Su tutti, prevale, per la diffusione e coltivazione, il
pisello verde a buccia liscia, che anche qui in Italia è
facilmente reperibile presso tutti i fruttivendoli nella
stagione del raccolto. La coltura dei piselli prevede poi tre
differenti tipi di vegetazione, ovvero il tipo nano,
semirampicante e rampicante. Possiamo affermare che oggi
la quasi totalità dei piselli presenti sul mercato proviene
dalla varietà una per la maggiore facilità di coltivazione.
Criteri di acquisto
Le maggiori qualità ed i maggiori pregi di questo le-
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gume vengono esaltati nel raccolto
primaverile: è in questo momento,
infatti, che i semi raggiungono la
massima tenerezza e un gradevole
sapore. Tuttavia non è possibile
stabilire, dalla pura e semplice osservazione esterna del baccello, la
maggiore o minore appetibilità dei
cotiledoni. Si può affermare, in linea approssimativa, che i
baccelli meno maturi, ovvero quelli dalla buccia meno
scura e fibrosa a più basso contenuto di umidità, sono quelli
più ricchi di semi dolci e profumati. Per assicurarsi della
tenerezza dei semi, un sistema sicuro è quello di aprire il
baccello e staccarne qualche grano: se il peduncolo che
tiene uniti i grani al baccello resta attaccato al seme, buon
segno; se, contrariamente, non si stacca dal baccello, il
pisello quasi sicuramente avrà la buccia dura.
Conservazione
La stagione più indicata per consumare i piselli è la
primavera: i primi raccolti, come si è accennato, offrono il
prodotto più prelibato e maggiormente ricercato. Quelli a
stagione inoltrata, al contrario, presentano lo svantaggio di
essere più corposi ma meno delicati di sapore, e necessitano
di una più prolungata cottura. È soprattutto per tale motivo
che l’industria conserviera ha messo a disposizione della
massaia tale valido contorno in vari tipi di confezioni a
lunga durata. La forma più comune di conservazione è la
semi-cottura del legume, cui viene successivamente addizionato un liquido o meglio un “brodo” molto spesso
aromatizzato, con successiva sterilizzazione.
I piselli possono inoltre essere conservati essiccati o
disidratati; in questo secondo caso, prima di utilizzarli
vanno tenuti in ammollo per più ore in modo da ridar loro
la parte idrica perduta. Le preparazioni più indicate per i
piselli così conservati sono le puree e le zuppe. Non
dimentichiamo poi che questo legume è presente sul
mercato anche liofilizzato e surgelato
Come si cucinano
I piselli giovani, come già ricordato, possono essere crudi
ma si possono preparare in modi diversi. La forma più
semplice per gustarli rimane naturalmente la lessatura: per
questa verdura occorrono circa 5-20 minuti di cottura, a
seconda della grossezza ed “età” del pisello che, come
abbiamo già visto, è molto importante ai fini gastronomici.
Occorre poi ricordare di non superare mai il tempo limite
sopraindicato: una cottura prolungata non gioverebbe né
migliorerebbe il sapore anche delle varietà più dure. Per
lessarli correttamente si deve gettare la verdura quando
l’acqua ha già raggiunto il primo bollore: bisogna salare
preventivamente e aggiungere, se la si gradisce, una punta
di zucchero; i francesi suggeriscono invece qualche fogliolina di menta. La quantità ideale per persona è di circa
400 grammi di piselli non sgranati.
Antropos in the world
DENTRO LA STORIA, CRITICAMENTE
DISCORSO A MARSALA DEL I MAGGIO 2011
“CCA’ NISCIUNO E’ FESSE”
Domenica 1° maggio i tre leader di altrettante confederazioni sindacali sono venuti a
celebrare la festa dei lavoratori a Marsala. Che
cosa hanno detto nelle loro infuocate orazioni i
tre moschet-tieri? Tre cose, fondamentalmente:
che i sindacati devono essere uniti; che occorre
dare più posti di lavoro agli italiani; e che occorre accogliere e dare un lavoro agli immigrati.
Orbene, tralasciando il discorso di una unità
sindacale che non sembra godere di ottima salute, veniamo agli altri due punti: dare più lavoro
agli italiani e contemporaneamente accogliere un
numero sempre crescente di immigrati. Siamo
d’accordo, siamo tutti entusiasticamente d’accordo… a patto, però, che i tre dell’Ave Maria ci
rivelino quale miracolosa ricetta possa produrre
un tal prodigio. Perché, cari signori e gentile
signora della trimurti sindacale, accà niusciuno è
fesso. I termini del problema occupazionale sono
fin troppo chiari: i posti di lavoro sono sempre
meno, ed ogni elemento straniero (regolare o
clandestino) che venga ad occupare un posto di
lavoro da noi, lo toglie ad un cittadino italiano.
Finiamola con la leggenda metropolitana secondo cui gli immigrati andrebbero a fare soltanto “i
lavori che gli italiani non vogliono più fare”.
La realtà è che gli immigrati clandestini
vanno certamente a svolgere i lavori più umili e
peggio retribuiti. Ma, al contempo, gli immigrati
più o meno regolari vanno ad occupare non pochi
posti di lavoro più ambiti, di quelli che farebbero
la felicità di qualsiasi padre di famiglia italiano
appena licenziato da una azienda che abbia deciso di “de localizzare” le sue attività in Cina, in
Serbia o in Tunisia.
E il problema non si ferma al lavoro dipendente, ma investe in pieno ormai il lavoro
autonomo ed anche l’attività imprenditoriale. Ve
lo dimostro, dati alla mano. Secondo uno studio
condotto dalla Fondazione Leone Moressa (una
fondazione veneziana benevolmente attenta alle
problematiche dell’immigrazione) su dati delle
Camere di Commercio, nel 2010 hanno chiuso i
battenti 31.000 aziende italiane; nel medesimo
anno, apprendiamo dallo stesso studio, si sono registrate 29.000 nuove aziende intestate a soggetti
stranieri. In altre parole: l’anno scorso poco più di
30.000 imprenditori italiani sono stati costretti a
chiudere, e sono stati rimpiazzati da poco meno di
30.000 imprenditori stranieri. La qualcosa – mi
permetto di aggiungere – implica pure che, nella
maggior parte dei casi, i dipendenti italiani delle
oltre 30.000 imprese italiane si siano trovati senza
lavoro; e che, contemporaneamente, le 30.000 imprese a conduzione straniera siano andate ad assumere – come nel loro pieno diritto – dei lavoratori
stranieri.
Ma non è tutto. Perché un personaggio poli-tico di
primo piano (per non fare nomi, Gian-franco Fini)
ha recentemente teorizzato che «i figli degli
immigrati sono il futuro» e che sarebbe opportuno attribuire automaticamente la cittadinanza
italiana – al compimento dell’11° anno di età – a
tutti i figli che gli immigrati dovessero decidere di
dare alla luce nel nostro Paese. Così ai figli degli
italiani non resterebbe – domani – che andare a
cercarsi un lavoro in Albania o in Tanzania.
- 27 -
Antropos in the world
NEKNOMINATION: LA MORTE E’ UN GIOCO
Cinque ragazzi di età inferiore ai trent’anni
morti, migliaia di denunce, numerosi tentativi di
“arrestarlo”. No, non stiamo parlando di un pericoloso serial killer, ma di un gioco, anche se si
fatica a definirlo tale, che ormai spopola sul web
(in particolare sui social network): la Neknomination.
Tale gioco, il cui nome si riferisce al collo
della bottiglia di birra o superalcolici (“nek” in
inglese significa appunto “collo”), consiste nel
bere una quantità spropositata di alcool mentre si
è ripresi da qualcuno, e nel nominare altre tre
persone affin-ché facciano lo stesso entro 24 ore,
pena altrimenti la derisione da parte dei loro
stessi amici. Il video viene successivamente
pubblicato su Youtube o su uno dei vari social
network in modo che tutti possano vederlo e
tentare di emularne i contenuti.
Molti giovani, nella speranza di ottenere una
maggiore rilevanza sulla Rete, hanno addirittura
reso tale gioco più pericoloso ed anche
disgustoso: ad esempio bevendo un’ intera birra
a testa in giù con la testa stessa nel water, oppure
aggiungendo alla loro dose di alcolici cibo per
cani e tanto altro.
La diffusione della Neknomination è stata
veloce ed inarrestabile, alla pari di un terribile
virus, e ad oggi presenta numeri incredibili. Si
calcola infatti che circa 35mila giovani vi
abbiano già partecipato. Questa cifra però tiene
conto solo di coloro che hanno poi pubblicato il
video sul web, escludendo invece quelli che,
hanno fatto sì la Neknomination, ma hanno
preferito tenere per sé, e mostrare solo ai propri
amici, il loro video.
Ovviamente moltissimi sono stati gli appelli
fatti per fermare tale follia, in particolare da
parte di tanti genitori preoccupati dal fatto che
anche i propri figli potrebbero diventare partecipi di questa. Appelli però che non hanno dato
alcun esito, poiché i vari social network si sono
rifiutati di prendere provvedimenti, come dichiarato da alcuni dirigenti di Facebook, in quanto
tale gioco non comporta alcuna violazione di
quelle che sono le regole dei social
network stessi. La Neknomination è solo l'ultima
delle follie del web. Tre anni fa infatti spopolava
il “plan-king”, gioco in cui i giovani si sdraiavano
a pancia in giù nei luoghi più pericolosi (come
ringhiere di balconi o rotaie), e che causò anch’esso due morti e numerosi feriti in giro per il
mondo.
Sfortunatamente la Neknomanation è solo attualmente l’ultima follia del web, ma probabilmente lo sarà ancora per poco. Con l’arrivo ormai
prossimo dell’estate, infatti, esso sembra destinato
a diventare solo un triste ricordo e ad essere
rimpiazzato da un gioco altrettanto peri-coloso e,
forse, letale.
Qualcuno potrà pensare che magari questa sia
una visione estremamente pessimistica, ma i fatti
parlano chiaro: quasi ogni anno si diffonde tra le
nuove generazioni una nuova pericolosa tendenza, tanto è vero che è ormai uso corrente definirle
“mode suicide”.
Le istituzioni sembrano non dare un peso eccessivo a queste “mode”. Dobbiamo essere perciò
noi giovani, da soli, a dare loro un peso e
soprattutto a dare un peso alla nostra vita che sia
maggiore di quello che diamo ad esse.
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Paolo Zinna
Antropos in the world
IMMAGINI DI UN ALTRO TEMPO
O STRUMMOLO (στρόμβος)
‘O
O strùmmolo era una specie di piccola trottola di
legno che girava su una punta di acciaio e veniva fatta
roteare con l'aiuto di una funicella. La sua forma era
quella classica di quasi tutte le trottole, quindi una
specie di cono con il vertice in basso, sormontato da
una calotta più o meno semisferica. Da questa parte
superiore sporgeva spesso una piccola protuberanza
simile a quelle che si vedevano sui carusielli (salvadanai di terracotta) e forse proprio per questo chiamata
carusella. Alcuni turnieri (tornitori), lavorando di solito
su vecchi torni a pedale, realizzavano anche degli
strummoli con due o tre caruselle, ma in commercio si
trovavano pure quelli semplicissimi con la parte superiore liscia. Solitamente erano usati legni semiduri di
prove-nienza locale e quindi economici; il più usato era
il limone, ma si lavorava anche l'olivo e 'o cierco (la
quercia). Terminata la tornitura si praticava un piccolo
foro nella parte inferiore e lì si infiggeva e poi si troncava un chiodo d'acciaio, lasciandone fuori un centimetro, che si appuntiva con la mola.
La superficie laterale dello strummolo poteva essere liscia o avere una serie di scalini per facilitare il
posizionamento della funicella. Per arrotolare (arruta')
quest'ultima, si manteneva una sua estremità nella parte
alta della trottola e poi la si faceva scendere verticalmente. Giunti alla base si cominciava a far salire 'a
funicella elicoidalmente lungo 'o strummolo stando ben
attenti ad arruta' in modo che la legatura fosse ben
stretta e mantenesse bene l'estremità che rimaneva al di
sotto delle volute. Alla fine doveva rimanere libero un
pezzo di funicella sufficiente a tenerla saldamente in
mano in modo da poter effettuare un buon lancio.
A proposito della importanza della lunghezza della
funicella vale la pena di ricordare un modo di dire molto significativo: s'aunesciono 'o strummolo a tiritippete
e 'a funicella corta (si uniscono lo strummolo a tiritippete e lo spago corto). Uno strummolo veniva definito
a tiritippete quando non era ben bilanciato e quindi
girava poco e in modo irregolare e traballante; quindi
l'espressione si usava riferendosi a cose o persone con
più di un difetto grave.
Per ottenere buoni risultati entravano in ballo numerosi fattori dei quali i principali erano: uno strummolo
ben equilibrato e con la punta perfettamente in asse,
una funicella abbastanza lunga, una arrotatura stretta, e
un buon colpo di polso. Il movimento classico per un
buon lancio prevedeva un veloce spostamento in avanti
del braccio concluso con un repentino e secco colpo di
polso all'indietro, in modo da imprimere la massima
velocità rotatoria possibile allo strummolo.
I più bravi tiravano a coppamano (sopramano),
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cioè dall'alto in basso, mentre i giocatori più scarsi
lanciavano a sottamano, cioè con un tiro più radente. 'O strummolo, specialmente
quando era lanciato dall'alto verso il basso,rimbalzava varie volte
a terra saltellando sulla sua punta
d'acciaio e poi, se fosse stato ben
arrutato, poteva rimanere ben diritto a girare anche per minuti interi.
Al di là del divertimento che ci si poteva procurare
lanciando il proprio strummolo, esistevano anche varie
maniere di battersi in sfide dirette o fra più ragazzi e
quella più famosa e praticata era 'a forca (la forca). Per
questo gioco era necessario disegnare a terra una croce
e poi, a due o tre metri di distanza dal centro di questa,
si tracciava una linea lunga un paio di metri, detta
appunto 'a forca.
Per stabilire chi dovesse tirare per primo, si lanciava 'o strummolo verso il centro della croce e chi
fosse riuscito ad avvicinarvisi di più avrebbe avuto il
diritto al primo lancio. Il perdente piazzava il suo
strummolo, fermo, al centro della croce mentre l'altro
arrutava(avvolgeva 'a funicella) e poi lanciava la sua
trottola contro quella dell'avversario tentando di
colpirla e di spingerla verso 'a forca. Se non vi fosse
riuscito, ma il suo strummolo stava ancora in piedi,
girando, aveva diritto a farselo salire sul palmo della
mano facendolo passare sulla membrana compresa fra
l'indice e il medio; quindi, mentre girava ancora, lo
poteva poi lanciare ancora una volta verso quello
dell'avversario, sempre nell'intento di mandarlo alla
forca. Il primo tiro era detto 'a pizzata e si tentava di
colpire con la punta, mentre il secondo era 'a capata e
si colpiva con la parte laterale del legno. Ogni volta
che si riusciva a colpire 'o strummolo dell'avversario si
aveva diritto ad arruta' di nuovo e quindi ad un altro
tiro. Nel caso che si fossero sbagliati entrambi i tiri, o
che, dopo il tentativo fallito di pizzata, 'o strummolo si
fosse fermato, o semplicemente fosse caduto, le parti si
invertivano: chi aveva lanciato metteva il suo strummolo nel punto raggiunto da quello dell'avversario e
questi cominciava la sua serie di lanci.
Il termine strummolo proviene presumibilmente
dalla parola greca στρόμβος (strombos ) o στρόβιλος
(strobilos), cioè "mulinello" o "oggetto atto a ruotare".Nel Vocabolario domestico napoletano e toscano,
compilato nello studio di Basilio Puoti, redatto nel
1841, lo strummolo viene definito come strumento di
legno di figura simile al cono, con un ferruzzo piramidale in cima.
Antropos in the world
Fattucchiere ed Eremiti del Vesuvio
da “Gente del Vesuvio”
di Umberto Vitiell
(Parte seconda: Gli eremiti )
L’eruzione del Vesuvio del 1944 la danneggiò
purtroppo gravemente e la funicolare fu ceduta con
l’albergo, presto chiuso e abbandonato al degrado,
alla Società privata che gestiva la Ferrovia Circumvesuviana, allora SFSM (Strade Ferrate Secondarie Meridionali).
La funicolare dal 1961 al 1984 fu sostituita da
una seggiovia. Dal 1984 si utilizza la risistemata
strada che porta fin quasi al cratere.
Il primo “eremita vesuviano” di cui si fa
menzione in un documento – stando però a una mia
ricerca non certamente esaustiva - fa parte più della
leggenda che della Storia con la esse maiuscola, anche se a scriverne è stato Francesco Balzano, storico torrese del ‘600. In un suo saggio egli sostiene
che la denominazione di Torre del Greco, che nel
1324 sostituì quella di Torre Ottava, è in ricordo di
un eremita greco che, stabilitosi ai piedi del
Vesuvio, curava la coltivazione di uva greca da cui
traeva un eccellente vino.
Un eremita di indiscussa presenza sulle falde del
Vesuvio che si affacciano sul mare lo rinvengo in
una considerazione diaristica di Stendhal (1783 –
1842): “Occorrerebbero dieci pagine e il talento di
Madame Radcliffe per descrivere la vista che si
gode mentre si mangia la frittata preparata dall'eremita.”
Il più pubblicizzato, fotografato accanto alla sua
capanna e messo perfino in cartolina, è senza alcun
dubbio Pasquale Imparato di Carlantonio, detto
“l’eremita del 22”.
Dell’eremita detto ‘o professore filosofo ho
sentito parlare diverse volte quando ero ragazzo.
Lui s’era rifugiato in una grotta-capanna non molto
lontana dalla Villa delle Ginestre, verso nord-est.
Un uomo alto e magro che d’inverno indossava una
camicia bianca e una giacca grigia con pantaloni
dello stesso colore, e si copriva, quando usciva, con
un mantello alpino verde scuro regalatogli, si dice-
va, dal conte Alessandro de Gavardo.
Se pioveva o tirava vento, ficcava la testa in
uno strano cappuccio che gli lasciava liberi solo gli
occhi, sostituito da un cappello di paglia nei mesi
caldi quando, deposto il mantello e il cappuccio,
indossava come i contadini una camicia di fustagno
a maniche corte e pantaloni di velluto a coste d’un
colore molto simile a quello della balla di paglia
appoggiata alla parete esterna della sua dimora, su
cui era solito sedersi. Amava pregare e meditare
camminando in lungo e in largo nelle pinete e nelle
vigne senza una meta prestabilita, ma rincasava
sempre in orari ben precisi, che aveva scritto su un
cartello appeso a un chiodo ficcato su uno dei due
tronchi di pino che fiancheggiavano la porta. Erano
quelle le ore in cui si poteva andare a consultarlo. E
sul cartello vi aveva scritto anche queste parole: “Se
volete essere felici, dovete liberarvi dall’invidia”1.
Non ascoltava la radio né leggeva i giornali per
non rafforzare la propria coscienza che il mondo non
fosse per lui. Almeno in quel determinato periodo
storico, quando il nostro Paese era in guerra e lo governava un dittatore. Tuttavia, amava dialogare con
chi andava a fargli visita.
Il conte, che probabilmente conosceva qualcosa
del suo passato, dichiarò un giorno che l’eremita non
poteva che essere un antifascista espulso dall’insegnamento. Mentre non pochi, pur chiamandolo professore, erano convinti che fosse uno spretato
costretto a ritirarsi a vita solitaria per espiare i propri
gravissimi peccati.
È stato lui, ’o prufessore-filosofo, a salvare dal
linciaggio un uomo sulla sessantina e una donna
poco più giovane di lui che, percorrendo un sentiero
nel folto della pineta, erano stati circondati da un
gruppo di contadini inferociti che li minacciavano,
incolpandoli di spionaggio e di atti criminali.
Era da un anno o poco più iniziata la Seconda
Guerra Mondiale, la propaganda antibritannica impazzava e quei due malcapitati erano stati scambiati
per spie inglesi che, con la scusa di una passeggiata
romantica in pineta, collocavano sul loro percorso
piccole bombe esplosive camuffate in modo da sembrare penne stilografiche. Penne bombe che i contadini avevano visto su un manifesto in cui ai cittadini
si raccomandava prudenza e di avvertire i propri figli
di tenersi lontani da quegli ordigni micidiali.
L’eremita parlò loro e riuscì a convincerli di non
sporcarsi le mani di sangue. Vi pentireste poi amaramente per le conseguenze che avrebbe senz’altro
questo vostro atto deplorevole, disse con voce garbata, e consigliò loro di chiamare i carabinieri della
stazione più vicina e consegnare nello loro mani le
due presunte spie.
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Antropos in the world
Non avendo nessuno di loro il telefono nel proprio
casolare, i contadini, costringendo l’uomo e la donna che stavano per linciare a camminare stando buoni in mezzo a loro, percorsero il lungo sentiero che
conduceva in via Nuova Trecase e da questa si
portarono fino alla Via Nazionale, dove uno di loro
andò al bar e fece telefonare alla stazione dei
carabinieri di Santa Maria la Bruna.
Nell’attesa del loro arrivo, al bivio e nei pressi
della fontanella di via Nazionale si formò un folto
capannello, in mezzo al quale capitai per caso
anch’io. Ero un ragazzino e assistetti a una scena di
una ferocia impressionante che m’è rimasta impressa nella memoria. Tutti, maschi e femmine, insultavano e minacciavano di morte quei due sventurati,
difesi questa volta dai contadini che gli facevano da
scudo e gridavano ai forsennati di non avvicinarsi.
Fin a quando non arrivarono i carabinieri e portarono via sulla loro camionetta “le due spie inglesi”.
Che, come si seppe poi, non erano altri che un
direttore didattico e la sua maestra segretaria,
amanti o semplici amici intimi a passeggio nella pineta. La stampa, in quegli anni controllata e censurata con estremo rigore, ovviamente non ne parlò
per niente. Ben diverso sarebbe stato se si fosse
trattato di vere spie. 1
Alcuni giorni dopo i contadini che stavano per
macchiare di sangue la propria coscienza, resisi
conto che in pineta non c’erano né penne bombe né
altri ordigni, si recarono dall’eremita, deposero
davanti alla stamberga una cesta piena di frutta,
uova ed ortaggi e attesero in piedi che rincasasse.
Quando dopo una mezzoretta si fece vivo, lo ringraziarono d’averli salvati da una malvagità imperdonabile e lui sorridente e felice strinse la mano a
ciascuno di loro.
Quel poco che so e ancora ricordo del professore
eremita lo devo in massima parte alla signora
Silvestri, la moglie del capostazione Sabbìa.
Detto tra parentesi, mi viene in mente la frase che
con questi due cognomi era stata formulata da
qualcuno e tutti ripetevano, come un tormentone,
ogni qualvolta si accennava al capostazione o alla
sua raffinata consorte:
“Mentre la moglie si veste (Silvestri), il capostazione s’avvia (Sabbìa)”
La stazione con al primo piano il loro appartamento
era ancora quella nei pressi del passaggio a livello
di Via Nuova Trecase, a due passi dalla palazzina
dove abitavamo noi. E la Capostazione, come la
chiamava qualcuno, veniva di pomeriggio un paio
di volte la settimana a far visita a mia madre, che
solo in quelle occasioni preparava del tè. Una
bevanda che nel napoletano era ancora ritenuta una
broda che solo i forestieri del nord potevano bere
senza disgusto. “Furastié frusta!” è l’espressione
che amiche e cognate mormoravano o smorzavano
a fatica nella loro mente ogni qualvolta le vedevano sorseggiare con sommo piacere quell’infuso
giallino. Molto probabilmente tuttavia, pur commiserandole, le giustificavano, ricordando che mia
madre era vissuta a Pavia fino a qualche anno prima del matrimonio e la signora Silvestri era nata e
vissuta in Toscana.
Le loro conversazioni non di rado avevano per
argomento le visite che la signora Silvestri faceva
di tanto in tanto all’anacoreta. È così che lei
chiamava l’eremita. Ed io, ragazzino di poco più
di dieci anni, dalla camera accanto al salotto
quando parlavano dell’ “anacoreta”, una parola per
me misteriosa e affascinante, smettevo perfino di
giocare pur di ascoltare cosa raccontasse la “Capostazione” e quali fossero le considerazioni e le
richieste di chiarimento di mia madre.
- Ho saputo che le sue parole riescono a comporre
situazioni drammatiche e a estinguere vecchi rancori e odi inveterati – rispose più o meno con
queste parole la signora Silvestri a una mia zia un
po’ bigotta che le aveva chiesto perché andasse a
consiglio da una persona che non si sapeva chi
fosse e non da un prete.
In situazioni drammatiche, come avevo appreso
nelle settimane precedenti ascoltando dalla camera
accanto, stava purtroppo vivendo un’amica intima
della signora Silvestri. Più giovane di lei di
qualche anno e molto bella, confidò a mia madre,
aveva sposato un uomo che fin da quando erano
tornati dal viaggio di nozze l’aveva coinvolta nei
suoi loschi affari, costringendola a fare la civetta
con personaggi importanti dell’alta gerarchia fascista e della finanza, ch’egli invitava a cena nella
sua sontuosa dimora. Ma quando alla fine chiese
alla moglie di accettare le avances di uno di questi
personaggi, lei era scappata da sua madre in Toscana e non le importava se il marito, come aveva
1
Linciaggi a presunte spie, non pochi dei quali conclusisi annunciato, la denunciasse di abbandono del tetto
1
tragicamente, si sono avuti in quegli anni in tutt’Italia grazie a coniugale . (continua)
_______________
una insistente propaganda che aveva per scopo quello di
indurre gli italiani a disprezzare e a odiare gli inglesi e i francesi, e solo più tardi, ma con metodi più edulcorati, anche gli
americani, quando gli USA dichiararono guerra alla Germania
nazista e all’Italia sua alleata.
- 31 -
____________________
1
L'abbandono del tetto coniugale è ancora oggi motivo di
addebito della separazione coniugale ed è fattispecie penalmente rilevante ai sensi dell'art.570 del codice penale, proprio
in quanto si fanno mancare al coniuge l'assistenza morale e
materiale.
Antropos in the world
Regimen Sanitatis Salernitanum
- Caput XXXV
DE BUTJRO ET SERO
Lenit et humectat,solvit sine febre butjrum.
Incidit atque lavat, penetrate mundat quoque serum.
Sioglie il burro // ammolla e lava, // se la febbre non aggrava.
Anche il siero rammollicchia, // lava penetra e mondicchia.
Alla prossima puntata, // parlerem di caseata:
quello molle e quello duro // quello grosso o conservato.
L’ANGOLO DEL CUORE
NELLA BANCA STELLATA DEL SOGNO

Ti disturbo, ostinata Padrona?
Sto appena aprendo gli occhi
ma non è poi talmente strano
risvegliarsi da morti,
si perde spesso la vita,
durante la quale, tanti morti vivi
gridano giustizia.
Quanti inganni, offese, illusioni!
Eppure, che peccato,
che vero peccato
dirle addio per sempre!
L’ho aperto
e mi ha svelato di te.
Sai, sono un inguaribile ritardatario,
uno che con te ha sempre
rinviato l’appuntamento.
Morire è un mestiere non difficile,
un viaggio come tanti, una rapina,
nella Banca stellata del Sogno
Anche stavolta non son stato puntuale,
un tesoro nascosto
lungo il tunnel ho ritrovato.
Giuffrida Farina
(Premio San Valentino,Terni, 1981)
- 32 -
Antropos in the world
LEVIORA
BRONTOLO
IL GIORNALE SATIRICO DI
SALERNO
Direzione e Redazione
via Margotta,18
tel. 089.797917
Radio Italia Uno
via Philips, 13
10091 Alpignano (TO)
Il BASILISCO
Periodico della
Associazione Lucana
Salerno
Presidente
Rocco Risolia
COSE DELL'ALTRO MONDO
I preti ed il finanziere - In uno scompartimento del treno ci sono due sacerdoti e un ufficiale
della finanza che stanno chiacchierando amabilmente. Il primo prete dice: "Sono proprio contento dei miei
parrocchiani; sono tutti brave persone, mi vogliono bene e mi salutano sempre quando mi incontrano per
strada; figuratevi che spesso mi chiamano addirittura Eminenza!". Il secondo prete: "Eh, anche i miei
parrocchiani sono molto gentili con me e mi vogliono un gran bene. Pensi che i più rispettosi addirittura mi
chiamano Santità !". Il finanziere: "E che cosa dovrei dire allora io ? Quando mi presento io, gli altri
dicono: CRISTO!
In una uccelleria - Un prete decide di prendersi un pappagallo da tenere in casa, così si reca in un
negozio di animali e dice al negoziante: "Buongiorno, vorrei comprare un pappagallo ". "Guardi, ho quello
che fa per lei; vede questo è un bellissimo pappagallo ...". "Sì, beh vedo, ma non vorrei fosse uno di quei
pappagalli che dicono le parolacce...". "No, anzi, come può notare le due cordicelle che ha legate alle
zampe, se tira quella di destra il pappagallo recita l'Ave Maria, mentre se tira quella di sinistra recita il
Padre Nostro.". "E se le tiro contemporaneamente tutte e due ?". E il pappagallo : "Vado a culo per terra,
pezzo di cretino!"
Dal Parrucchiere - Un uomo si affaccia dalla porta del negozio di un parrucchiere e chiede:
"Quanto tempo devo aspettare per un taglio di capelli?". Il parrucchiere dà uno sguardo alla sala e risponde:
"Circa due ore". Il ragazzo se ne va. Qualche giorno più tardi, lo stesso ragazzo si affaccia dalla porta e
domanda:"Quanto tempo devo aspettare per tagliarmi i capelli?". Il parrucchiere guarda quanti clienti
stanno aspettando e risponde:"Non meno di due ore". Il ragazzo se ne va. La settimana seguente, lo stesso
ragazzo dalla porta del negozio chiede: "Mi potete dire quanto devo aspettare?" Il parrucchiere risponde:
"Un'ora e mezzo". Il ragazzo se ne va. Il parrucchiere allora chiede ad un amico presente nel negozio di
seguirlo. Dieci minuti dopo Giorgio, così si chiavava l’amico, fa ritorno al negozio e trattiene a mala pena
una risata. "Allora?" gli domanda il parrucchiere "L'hai seguito? Dove è andato uscendo da qui?" E
Giorgio:" A casa tua e tua moglie l’attendeva giù al portone! "
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Antropos in the world
UNA OPINIONE ERETICA - DA SOCIAL
FUMO NEGLI OCCHI: RENZI COME CROCETTA
Ricordate l’euforia che accompagnò – in alcuni ambienti – le
prime uscite di Rosario Crocetta all’ indomani della sua elezione a
Presidente della Regione Siciliana? Ricordate l’ impressione favorevolissima suscitata da alcune sue performances televisive? E qual è
oggi, dopo quasi due anni di crocettismo, lo stato delle cose in Sicilia? Lo stato delle cose importanti – intendo – come le finanze pubbliche, l’ andamento dell’ economia, la disoccupazione e la disperazione dei siciliani. Una tragedia. L’unica cosa concreta – al di là del
fumo negli occhi dello scioglimento delle Province e della riduzione
delle auto blu – è la decisione di pagare poco meno d’un miliardo di
euro di vecchi debiti facendo ricorso a nuovi debiti, da ripianare a rate nei prossimi trent’anni. Il provvedimento è
in Commissione Bilancio per il parere di rito, poi andrà in Aula. Naturalmente, questo miliardo non ce lo daranno
gratis: ci costerà quasi un altro miliardo di interessi – euro più, euro meno – calcolati al tasso “agevolato” del 4,30
per cento. E, naturalmente, quest’altro miliardo si dovrà pur trovare. Dove? Indovinate un po’, nelle nostre tasche:
sotto forma di un aumento delle addizionali IRPEF e IRAP. Assolutamente ridicolo. Non è riduzione del debito, è
moltiplicazione del debito: da un miliardo di oggi, ai due miliardi di domani. Con l’aggravante che questo artificio
contabile lo dovremo pagare noi siciliani, attraverso un ulteriore inasprimento di addizionali che già il governo
Lombardo aveva massimizzato. Ma poco importa a Rosariuccio nostro. Lui potrà fare buona figura, e magari
pavoneggiarsi in tv, dicendo che lui ha pagato i debiti del malgoverno precedente. Tanto, saranno cavoli dei suoi
successori per i prossimi trent’anni. Lui, ufficialmente, avrà segnato un punto al suo attivo.
Perché questo lungo preambolo? Perché – come recita un vecchio adagio – ognuno ha la sua croce: la Sicilia
ha una crocetta, e l’Italia ha una croce più grossa che si chiama Renzi. Il modo di procedere è lo stesso: annunzi
roboanti e grandi sparate propagandistiche, apparizioni televisive ben calibrate, una spruzzatina di antipolitica per
assecondare l’esasperazione della gente contro una classe dirigente inetta, ma – al di là del fumo negli occhi – ben
pochi risultati, se non addirittura risultati negativi. Esempi? A carrettate. Si potrebbe iniziare dalle auto blu, antico
refrain di tutte le rassegne degli sprechi italici: il Mattacchione ne ha messo in vendita 100 su E-Bay, ma
contemporaneamente ha avallato l’acquisto di altre 210 vetture di servizio, e blindate per giunta. Spesa prevista:
25 milioni di euro, 50 miliardi del vecchio conio.
Altro esempio? Lo spot dei 900.000 “nuovi posti di lavoro” promessi dal piano “Garanzia Giovani” che entrerà
in funzione il prossimo 1° Maggio. Peccato che, a leggere oltre i titoloni dei giornali, il piano non preveda la
creazione di un solo posto di lavoro, ma soltanto “una opportunità di formazione o inserimento in una azienda”
per i giovani in cerca d’occupazione. In realtà, “Garanzia Giovani” è semplicemente la traduzione italiana di
Youth Guarantee, una “raccomandazione” con cui il Consiglio dell’Unione Europea invita i governi a fornire ai
giovani “un’offerta qualitativamente valida di lavoro, proseguimento degli studi, apprendistato, tirocinio o altra
misura di formazione”. Naturalmente, né il Consiglio dell’UE né – salvo verifica – il Governo italiano chiariscono
come, in mancanza di “un’offerta qualitativamente valida di lavoro”, le misure palliative (“apprendistato, tirocinio
o altra misura di formazione”) potranno trasformarsi in un regolare rapporto di lavoro, anche a tempo determinato.
Ma, poco importa. Anche in questo caso l’effetto annunzio è assicurato.
Quanto alla sbertucciata proposta di riforma del Senato, c’è da trasecolare. Mira soltanto a sostituire un Senato
di eletti con un Senato di nominati (ma allora perché abolire il Porcellum?). E non è vero che i senatori non
saranno retribuiti. Non dovrebbero percepire la voce “indennità di carica”, cioè lo stipendio. Ma nessuno potrà
togliere loro la “diaria” e le altre voci relative ai rimborsi per la permanenza a Roma e per l’attività istituzionale. E
i rimborsi – ve lo dice un vecchio parlamentare – ammontano più o meno al doppio dello stipendio; e possono
sempre offrire delle facili occasioni di arrotondamento ai meno onesti. Ma, anche qui, poco importa.
Ciò che occorre è fornire alla gente l’immagine di un premier che vuole “le riforme”, malgrado i “cattivi”
remino contro. Nella speranza che nessuno si fermi a riflettere sulle tante riforme che, dal 1992 ad oggi, hanno
costellato il calvario del popolo italiano. Dalla riforma delle pensioni in giù, in una corsa affannosa per toglierci
fino all’ultima oncia di sovranità nazionale, per spremerci l’ultima goccia di benessere e per ridurci al rango di
una miserabile “repubblica delle banane”.
M.Rallo
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Antropos in the world
L’ANGOLO DELLA FOLLIA
Bielaborazioni, sculture e dipinti su
ambedue le superfici del supporto.
Biscultura: scultura in acciaio pastoso, di rondini “cartesiane” ovvero un grafico con disegno a forma di
rondini, sugli assi cartesiani x ed y (nella zona prospettica) - Scultura in tempera (nella zona retrostante ).
BIQUADRI CHE SI … IMMAGINANO; SONO
MATTONELLE OPPURE SUPERFICI DI LEGNO COMPENSATO,DIPINTE (E AVVOLTE
DA FOGLI SEMI-TRASPARENTI) SIA NELLA ZONA PROSPETTICA CHE IN QUELLA
RETROSTANTE.
SU UNA DELLE DUE SUPERFICI VI E’ INNESTATO UN OGGETTO; NELLA RAPPRESENTAZIONE IN FIGURA, SI TRATTA DI
UN POSACENERE.
-----Ita apparet menti insanae, per Hercules!
------
AUCTOR INSANUS: Giuffrida Farina, salernitanus, qui in urbe vivit, laborat, deditusque
operibus insanis est usque ad finem.
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