Giornale del 01/05/2014
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Giornale del 01/05/2014
òς European Journalism - GNS Press Ass.tion - The ECJ promotes publishing, publication and communication- P. Inter.nal I COMPORTAMENTI A RISCHIO LE DIPENDENZE ( 3 parte ) ANNO X N.RO 05 del 01/05/2014 Pag. psicologica La droga non fa prig. Secondo copione Il teatro romano De cognomine Note antropologiche La vecchietta dell’on. Il racconto del mese Da Trapani Momento tenero La donna nella storia Immagini d’un altro t. Proverbi Storia della musica La pagina medica Storia della musica La donna nella letterat. Quanti l’avevano capito? Don Ottavio di E.Siviglia Dentro la storia Neknomination I grandi pensatori Politica e nazione Dentro le istituzioni I piatti tipici Dalla Red.di Bergamo Dalla Red.di San Valent. Gente del Vesuvio Regimen sanitatis saler. Opinione Eretica Leviora L’angolo della follia Sul portale http://www.andropos.eu/antroposint heworld.html Su facebook https://www.facebook.com/groups/ant roposintheworld/755101491196213/?n otif_t=like Ciò che preoccupa maggiormente è l’attuale eccessiva diffusione del fenomeno dell’assunzione di sostanze. L’ampia diffusione del consumo porta a ritenere che oggi l’utilizzo di droghe sia divenuto un aspetto della costruzione dell’identità,visto anche l’abbassamento dell’età del primo contatto con le varie sostanze. Fortunatamente, però, l’uso di droghe in adolescenza è prevalentemente saltuario od occasionale, limitato ad esempio nel weekend e perciò non dipendente. In realtà, l’uso di droghe non è per nulla un fenomeno recente, anzi, fin dai tempi più antichi tali sostanze erano diffuse con lo scopo di sconfiggere il dolore, ricercare il piacere, ed altro. Alle droghe erano attribuiti poteri e significati di volta in volta diversi a seconda dello scopo per cui venivano assunte. Attualmente, le caratteristiche del fenomeno si intrecciano con i numerosi cambiamenti della società . I cambiamenti familiari legati alla mutata condizione della donna, sia in famiglia che all’esterno, il venire meno di tabù legati alla sessualità e a valori di realizzazione personale, la mutata relazione di coppia dei genitori che vede il padre più che altro impegnato in un ruolo che non gli calza, i modificati aspetti simbolici ed organizzativi di famiglia e società spiegano i cambiamenti valoriali dei figli adolescenti e del loro stile di vita, rendendoci anche più chiaro i motivi delle loro scelte: essi non sono sufficientemente preparati ad affrontare il dolore mentale risultante dalla crescita, da cui cercano di sfuggire ricorrendo anche all’uso di droghe . Oggi, tali sostanze sono talmente diffuse e così facilmente prodotte, oltre che consumate e pubblicizzate attraverso film, canzoni, eccetera, da essere parte integrante della cultura giovanile. Infatti, è praticamente impossibile non averne notizia, anzi vivere con le droghe sembra essere un’esigenza della modernità . Si arriva addirittura ad affermare che alcol, tabacco e cannabis siano parte dei consumi adolescenziali, come l’abbigliamento, i generi musicali, i motorini, e ciò conferma l’ipotesi che si stiano creando veri e propri stili comportamentali in relazione alle sostanze psicoattive. Per sollecitare maggiormente il già diffuso consumo di sostanze, si sono aggiunte, infatti, le campagne pubblicitarie e le strategie di marketing, studiate appositamente dalle grandi multinazionali, che mirano semplicemente all’aumento delle vendite. Ad esempio sono sorti nuovi prodotti alcolici, per così dire alla moda, che “fanno tendenza”, ma al tempo stesso trag-gono in inganno perché sono comunque sostanze alcoliche: sembra non si ricordi qual è l’impatto della comunicazione tra gli adolescenti. Le conseguenze che ne derivano, portano i giovani a mettere in pericolo la loro salute. In generale il consumo di droghe è comune a molte fasce generazionali e sociali; va ricordato che, se si è abbassata l’età del primo contatto con le sostanze , è anche vero che il consu-mo non è più solo giovanile, anzi si può dire che sia diventato di massa e che si è anche personalizzato: ognuno ne fa l’uso che più corrisponde ai propri obiettivi e desideri. Per questa stessa ragione, sono numerosissimi coloro che associano droghe diverse, a seconda mode, contesti e scopi personali. I dati finora presenti in letteratura, relativamente all’odierna situazione del consumo di sostanze psicoattive tra gli adolescenti italiani sono piuttosto lacunosi. I dati relativi alla generale incidenza dell’uso di sostanze psicoattive, pur essendo scarsi, ci mostrano le tendenze degli ultimi anni: l’aumento del consumo precoce di cannabis, l’ecstasy e altre nuove tipologie di droghe attribuisce grande importanza alla necessità di studiare tale fenomeno, soprattutto in relazione alle abitudini ed agli stili di vita adolescenziali, per capire quali motivazioni spingono i giovani di oggi a fare un uso sempre più diffuso delle sostanze psicoattive. Solo così è possibile un intervento tempestivo e/o preventivo.1 1) F. Pastore, LE PROBLEMATICHE DELL’ADOLESCENZA, pag. 41-42 A.I.T.W. ed.SA. 2013 -1- Antropos in the world LA DROGA NON FA PRIGIONIERI Una ragazzina s’è sentita male a scuola, una canna di troppo l’ha obbligata in orizzontale, è finita sull’ambulanza e poi in ospedale. Una minorenne ha comprato la sua dose dietro quell’angolo mai troppo celato, come accade ultimamente vicino alle scuole, dentro le scuole, fin dentro la classe. Una giovanissima ne ha fatto uso, badate bene, non ho detto abuso, ne ha preso qualche tiro la mattina, ma come qualcuno ostinatamente persiste a ripetere, è importante farlo responsabilmente, consapevolmente, tant’è finita su un lettino del pronto soccorso. Una adolescente che, sentenza della Consulta o meno, non sarà mai autorizzata a comprarla legalmente, neppure in tempo di spaccio statuale. Di fronte a questo scempio di dignità calpestata, di libertà prese a calci in bocca, c’è chi pervicacemente porta avanti la tesi di un uso responsabile della roba, come a dire: fumatela bene, fatelo con giudizio, sarete al sicuro, non potrà accadere niente di spiacevole, c’è addirittura chi propende per fare svolgere un’ora di ricreazione scolastica per formare al consumo responsabile della canapa. A questo punto non ha più alcuna importanza se qualcuno, per fare del “ribellismo spicciolo”, userà l’insulto per arginare la propria disonestà intellettuale, non me ne può fregare di meno beccarmi del proibizionista, del rigorista, del moralista. Quel che mi interessa è mettere al bando le chiacchiere, le bugie, le mistificazioni, i sofismi che vorrebbero coniare nuove argomentazioni filosofiche a supporto di una droga buona, di una droga normale, insalutare quanto un bicchiere di vino, un pacchetto di sigarette. Come diavolo è possibile sostenere che lo spinello non crea danni, né mette nei guai chi già è nei guai di un’età respingente? Come non dare conto ai tanti e troppi sì, a discapito dei pochi e vituperati no? Come non sbatterci il muso in quel tempo da dedicare agli altri e che non c’è mai? Quel tempo, invece, occorre trovarlo necessariamente,per non dovere correre in ospedale a sincerarsi delle condizioni dei propri fi- gli. Con quale correttezza interiore è dapprima sottaciuta, poi licenziata sbrigativamente la risposta scientifica che indica la cannabis, come droga, che fa male, che crea dipendenza, contamina il sistema nervoso, con il rischio di diventare malattia se già non lo è. Quella ragazzina, quegli altri giovanissimi, sono ritornati a casa, rincoglioniti e spaventati, fortunatamente vivi, quelli che hanno venduto la dose sono stati presi, la nuova pratica degli adolescenti che comprano, vendono, guadagnano, poi ricomprano per uso proprio e per spacciarla, ha esteso radici profonde, in questo modo a casa non spariranno più ori e danari, non si chiederanno più troppi soldi, evitando sospetti e tensioni. Qualcuno vada a dirlo ai genitori di quella ragazzina, che vietare, proibire, equivale a moltiplicare trasgressioni e devianze, fatturoni e Peter Pan di periferia, vadano a dirlo a loro che non è niente di più e niente di meno di una bevuta di buon vino. Ripetano a quegli adulti che quanto accaduto alla loro bambina è semplicemente un “evento critico”, ma questo/i sacrifici consentiranno di battere le mafie, faranno diminuire i tossicodipendenti, risolveranno il sovraffollamento quale problema endemico dell’Amministrazione Penitenziaria. Vadano a dirlo a loro, confidando sulla buona sorte che ha risparmiato una vita, perché fosse andata diversamente, a quella porta nessuno avrebbe fatto sosta né passaggio, unicamente ammenda. Vincenzo Andraous -2- Antropos in the world OTTANTA EURO PER PRENDERCI IN GIRO, TUTTO SECONDO COPIONE Tutto secondo copione. Lo avevo scritto su “Social” del 21 marzo: il bonus di 80 euro in busta paga ci sarà, e Renzi troverà in qualche modo la copertura, oppure se la inventerà. Ne ero sicuro: perché quello degli 80 euro era ed è lo specchietto per gli elettori-allodole che – alle europee del 25 maggio – dovranno essere convinti a votare per i partiti eurobbedienti, e in particolare per il PD che è il più eurobbediente di tutti. In effetti, dunque, gli 80 euro si sono trovati, come ha trionfalmente annunciato il piccolo imbonitore fiorentino nella sua pompatissima conferenza stampa. «Avevo detto 80 euro, e 80 euro sono» ha declamato trionfante, e la frase storica è stata prontamente rilanciata dai giornali debenedettiani e dalle televisioni berlusconiane, fraternamente protesi a glorificare i cinguettii del Mattacchione nazionale. Poi sono arrivati i distinguo e le precisazioni, ma relegati in un angolino di carta stampata o in una telenotiziola d’appendice: no, il provvedimento non riguarderà tutti gli italiani che guadagnano meno di 25.000 euro lordi annui (più o meno 18.000 netti, 1.500 al mese), ma soltanto quelli che guadagnano meno di 25.000 euro ma più di 8.000 (sempre al lordo); con esclusione, quindi, di quelli che ne avrebbero più bisogno, oltre che, naturalmente, di tutti coloro che non sono lavoratori dipendenti: non soltanto lavoratori autonomi e pensionati, ma anche quanti un lavoro non ce l’hanno proprio. Per costoro – è stato detto – sono allo studio misure alternative, ma per questo il rottamatore stanco non ha giurato sulla Bibbia; e, comunque, queste misure alternative verranno “studiate” dopo le elezioni europee. Il che sarebbe come a dire: passata la festa, gabbato lo santo. Ma davvero, con tutte queste eccezioni, si vorrebbe far credere che in Italia ci siano – come da annunzio – 10 milioni di impiegati e salariati compresi nella fascia reddituale dei beneficiati dal bonus? Sarà… Non sono riuscito a trovare riscontri statistici, ma a me sembra una di quelle tante bufale che in questi giorni pascolano nei pressi di Palazzo Chigi. Secondo Grillo, ad intercettare i mitici 80 dovrebbero essere circa la metà degli strombazzati 10 milioni. Ma anche questa mi sembra una cifra esagerata. Infatti – cosa che non è ben chiara quasi a nessuno – i favolosi 80 non sarebbero una aggiunta, un di più, un regalo che i lavoratori si ritroverebbero in busta paga. Gli 80 summenzionati, invece, sarebbero una sorta di sconto sulle trattenute fiscali; e – aggiungo – uno sconto non certamente “a pioggia”, ma riservato -3- unicamente a coloro le cui trattenute siano – si fa per dire – “basse”. Per rendere l’ idea della estrema selettività del bonus, si pensi che un lavoratore dipendente con un reddito annuo di 15.000 euro ma con moglie e qualche figlio a carico – che quindi fruisce dei connessi sconti fiscali – pro -babilmente non vedrà il becco di un quattrino. Quella dei “ dieci milioni di italiani”, quindi, è soltanto una bufala toscana. Ma la bufala più grossa, la madre di tutte le bufale, è certamente quella degli 80 euro “per sempre”. Niente vero. Le coperture che acrobaticamente sono state reperite dal Governo dei Ragazzi della Via Pal, infatti, sono relative ai prossimi otto mesi, da maggio a dicembre del 2014. E poi? Ce lo spiega lo stesso “Decreto degli 80 euro”, articolo 1, comma 2: «Le disposizioni di cui al comma 1 si applicano per il solo periodo d’imposta 2014. A decorrere dal l° gennaio 2015, si applicano le disposizioni dell’art. 13 del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 nel testo vigente anteriormente alle modifiche di cui al comma 1 del presente articolo.» Se l’italiano non è un’opinione, quindi, l’articolo 1 - comma 1 vale fino a dicembre. D’altro canto, il polline di miliardi che lo sciame del rottamatore è riuscito a succhiare volando di fiore in fiore, può produrre miele soltanto per i prossimi mesi. Poi si aprirà una nuova stagione. Intanto, sùbito dopo la conferenza-stampa degli 80 euro, altra smagliante intervista ed altri squillanti propositi. Si andrà avanti così fino alle elezioni europee. Ma già pochissimi giorni dopo – quando arriveranno le buste-paga di maggio – alcuni milioni di italiani che facevano già affidamento sugli “80 euro di Renzi” scopriranno di essere “incapienti” o, comunque, di non aver diritto al fantomatico bonus. Sarà il primo brusco richiamo alla realtà. Alla realtà dell’Unione Europea, del fiscal compact, della “Troika”, dell’invasione migratoria e di tutte le altre porcherie che gli amici di Renzi hanno in serbo per gli italiani e per gli altri popoli di questa povera Europa. M. Rallo Ὁ δ᾿ ἠλίϑιος ὥσπεϱ πϱοβάτων βῆ βῆ λέγων βαδίζει. Lo stupido si muove come una pecora che fa be be.” (Cratino,commediografo, 520 a.C.n.) ciano Somma Antropos in the world In seicentomila pronti ad invaderci I telegiornali hanno dato la notizia con nonchalance, in appendice al bollettino che quotidianamente registra il numero degli immigrati che le nostre navi “salvano” ogni notte. In verità, si tratta di una piccola grande forma d’ipocrisia: gli immigrati salpano a bordo di navi-madri lasciate partire indisturbate dalla Libia democratica e antigheddafiana; poi, appena varcate le acque territoriali libiche, vengono stipati su vecchie carrette e dotati di un telefonino per chiamare l’Italia e chiedere aiuto; a questo punto si mette in moto la macchina dell’Operazione Mare Nostrum, e li andiamo a prendere praticamente a domicilio. Costo dell’operazione, per le nostre disastrate finanze nazionali: da 9 a 10 milioni di euro (più o meno 20 miliardi delle vecchie lire) ogni mese. Ma torniamo alla notizia: il Ministro dell’Interno, Angelino Alfano, ha dichiarato che in Libia ci sono da 300.000 a 600.000 migranti africani e arabi che aspettano di imbarcarsi per raggiungere le coste siciliane. L’informazione viene dai servizi e, come tutte le notizie ufficiali, è probabilmente approssimata per difetto. I numeri reali dovrebbero andare – verosimilmente – da un minimo di mezzo milione ad un massimo di un milione. E non è una bazzecola. Quando gli Alleati, nel 1943, invasero la Sicilia, impiegarono assai meno uomini: per l’esattezza – cito i dati ufficiali – 250.000 soldati americani e 228.000 inglesi. Quella che si profila per la prossima estate, quindi, è una invasione in piena regola. Una invasione pacifica – si spera – ma pur sempre una invasione. Con grossi problemi di ordine finanziario: ai costi dell’Operazione Mare Nostrum vanno sommati quelli – astronomici – della “prima accoglienza”. Con grossi problemi di ordine logistico: dove mettiamo uno o mezzo milione di “ospiti”? Con grossissimi problemi di ordine pubblico: che vanno da quelli “normali” delle periodiche rivolte nei centri di accoglienza a quelli – imprevedibili – di ciò che potrà causare una presenza così massiccia di estranei nelle nostre contrade. Oltre tutto – ed è logico – bisogna tener presente che una percentuale (temo non bassissima) di questa massa di invasori è costituita da elementi dediti ad attività criminali ed antisociali. È naturale, fisiologico: chi campa di furti e rapine tende ad abbandonare i territori poveri per emigrare in zone più ricche, ove vi sia speranza di bottini meno scarsi. Naturalmente, questa invasione riguarda in primo luogo la Sicilia. Siamo ancora una volta in prima linea. Così come in prima linea siamo stati in occasione della sciagurata guerra contro la Libia, che ha prodotto – tra le altre cose – il via-libera agli scafisti per riprendere l’invasione del nostro Paese. Sia ben chiaro: io non ce l’ho con quei poveri disgraziati (criminali a parte, fondamentalisti islamici a parte) che sbarcano sulle nostre coste. Perché non dovrebbero farlo? Vanno dove sperano di campare meglio. E, peraltro, noi li accogliamo a braccia aperte, come se fossero i benvenuti. No, non ce l’ho con loro. Ce l’ho con quelli che li fanno venire da noi, che quasi quasi ne sollecitano l’arrivo, ebbri di buonismo d’accatto, di multiculturalismo, di multi-etnicismo, di masochistica smania di cancellare l’identità (etnica, linguistica, culturale, religiosa) della nazione italiana. Ce l’ho con quelli che s’indignano perché gli immigrati non stanno comodi nei Centri d’accoglienza e considerano normale che una famiglia italiana (l’ho visto ieri sera su “Striscia la Notizia”) viva da anni in una roulotte parcheggiata ai margini di una piazza cittadina. Ce l’ho con quei partiti che, pochi giorni fa, hanno votato per l’abolizione del reato d’immigrazione clandestina, compreso il partiticchio di Angelino, compresa Forza Italia e tutta l’onorata compagnìa dei “moderati” che non vogliono dispiacere Obama, il Quarto Reich e Santa Madre Chiesa. E ce l’ho con gli italiani, con i siciliani che – per protestare contro questo andazzo – alle prossime elezioni potrebbero non andare a votare. Sarebbe colpa loro se l’Italia dovesse continuare ad esser governata dagli euroobbedienti e dagli eurorassegnati, sarebbe colpa loro se l’Italia dovesse continuare ad aprire le sue frontiere a chiunque voglia venire a campare a spese nostre. Eppure, basterebbe poco, basterebbe pochissimo per cambiare le cose. Sarebbe sufficiente che, alle prossime elezioni europee, gli astensionisti cronici andassero a votare. E che mandassero affanciullo buonisti, masochisti, moderati e zerbinisti vari. -4- Michele Rallo [Da Social“Le opinioni Eretiche”] Oggi, in Italia, proprio gli Taliani?Simmo ancora Taliani? Italiani, vivono male, … santissma miseria! Antropos in the world IL TEATRO COMICO ROMANO a cura di Andropos La parola commedia è tutta greca: κωμῳδία, "comodìa", infatti, è composta da κῶμος, "Kòmos", corteo festivo e ᾠδή,"odè", canto. Di qui il suo intimo legame con indica le antiche feste propiziatorie in onore delle divinità elleniche, con probabile riferimento ai culti dionisiaci . Peraltro, anche i primi ludi scenici romani furono istituiti, secondo Tito Livio, per scongiurare una pestilenza invocando il favore degli dèi. I padri della lingua italiana, per commedia intesero un componimento poetico che comportasse un lieto fine, ed in uno stile che fosse a metà strada fra la tragedia e l'elegia. Dante, infatti, intitolò comedìa il suo poema e considerò tragedia l’Eneide di Virgilio. La commedia assunse una sua struttura ed una sua autonomia durante le fallofòrie dionisiache e la prima gara teatrale fra autori comici si svolse ad Atene nel 486 a.C. In altre città si erano sviluppate forme di spettacolo burlesche, come le farse di Megara, composte di danze e scherzi. Spettacoli simili si svolgevano alla corte del tiranno Gerone, in Sicilia, di cui purtroppo, non ci sono pervenuti i testi. A Roma, prima che nascesse un teatro regolare, strutturato cioè intorno a un nucleo narrativo e organizzato secondo i canoni del teatro greco, esisteva già una produzione comica locale recitata da attori non professionisti, di cui non resta tuttavia documentazione scritta. Analogamente a quanto era accaduto nel VI secolo a.C. in Attica, anche le prime manifestazioni teatrali romane nacquero in occasione di festività che coincidevano con momenti rilevanti dell’attività agricola, come l’aratura, la mietitura, la vendemmia. TERENZIO: Hecyra (rappresentata nel 160 a.C.) La data di nascita di Terenzio non è conosciuta con precisione; si ritiene sia nato lo stesso anno della morte di Plauto, nel 184 a.C., e comunque tra il 195 e il 183 a.C.. Di bassa statura, gracile e di pelle scura, nacque a Cartagine ed arrivò a Roma come schiavo del senatore Terenzio Lucano. Quest’ultimo lo educò nelle arti liberali, e in seguito lo affrancò ed assunse il nome di Publio Terenzio Afro. Fu in stretti rapporti con il Circolo degli Scipioni, ed in particolare con Gaio Lelio, Scipione Emiliano e Lucio Furio Filo: grazie a queste frequentazioni, apprese l'uso alto del latino e si tenne aggiornato sulle tendenze artistiche di Roma. Il grammatico Fenestella cita però altri esponenti della "nobilitas", ossia Sulpicio Gallo, Quinto Fabio Labeone e Marco Popillio. Durante la sua carriera di commediografo (dal 166, anno di rappresentazione della prima commedia, Andria,al 160 a.C.), venne accusato di plagio ai danni delle opere di Nevio e Plauto e di aver fatto da prestanome ad alcuni protettori, impegnati in politica, per ragioni di dignità e prestigio (l'attività di commediografo era considerata indegna per il civis romano), tanto che Terenzio stesso si difese tramite le sue commedie: nel prologo degli Adelphoe (I fratelli), per esempio, egli rifiuta l'ipotesi che lo vede prestanome di altri, segnatamente dei membri dello stesso Circolo degli Scipioni. Venne accusato di mancanza di vis comica e di uso della contaminatio. Morì mentre si trovava in viaggio in Grecia nel 159 a.C., all'età di circa 26 anni. Terenzio scrisse soltanto 6 commedie, tutte giunte a noi integralmente. TRAMA DELLA COMMEDIA –ll giovane Pànfilo, per compiacere il padre Lachète, sposa Filùmena, pur innamorato della cortigiana Bàcchide. Costretto ad allontanarsi per d'affari, al ritorno apprende che la moglie è tornata a vivere con i genitori. In un primo momento la fuga di Filùmena è attribuita al brutto carattere della suocera Sòstrata, ma presto Panfilo scopre che la moglie ha abbandonato il tetto coniugale poiché sta per dare alla luce un figlio, concepito in seguito alla violenza di uno sconosciuto, poco prima delle nozze. Toccato nell'onore, Panfilo non vuole più che la moglie ritorni, ma, per l'amore che ancora le porta, non vuole sbandierare i veri motivi della separazione, che attribuisce ufficialmente al conflitto tra la sposa e suocera . Quest'ultima si dichiara pronta a ritirarsi in campagna per dare spazio ai due sposi. Il padre Lachete teme che sulle decisioni del figlio influisca ancora l'amore per Bacchide e va da lei per convincerla a rinunciare al figlio. A sciogliere l'intrico è proprio la cortigiana, che si reca da Filumena per rassicurarla che tra lei e Panfilo tutto è finito; la madre di Filumena, Mìrrina, riconosce nell'anello che Bacchide porta al dito lo stesso che era stato strappato alla figlia durante la violenza; Panfilo, dunque, è riconosciuto responsabile dello stupro, compiuto durante una festa alla quale il giovane si era ubriacato; egli è dunque il padre legittimo del neonato. Allora, si congeda con gratitudine da Bacchide e riaccoglie in casa la moglie. SINOSSI - L'Hecyra ("La suocera") è ispirata a due commedie, una di Apollodoro di Caristo e un'altra di Menandro. Fu rappresentata per la prima volta nel 165 a.C. in occasione dei Ludi Megalenses, ma non ebbe successo pur recitata da Ambivio Turpione (l'attore più famoso di quel tempo). Fu ripresentata nel 160 a.C., in occasione dei giochi funebri per Lucio Emilio Paolo, con lo stesso risultato, dato che gli spettatori abbandonarono il teatro preferendo assistere ad uno spettacolo di funamboli. Rappresentata nuovamente, in occasione dei ludi Romani, ottenne successo. -5- ASSOCIAZIONE LUCANA “G. Fortunato” - SALERNO SEDE SOCIALE in Via Cantarella (Ex Scuola Media “A. Gatto”) Antropos in the world DE COGNOMINE DISPUTĀMUS “ Il soprannome è l’orma di una identità forte, che si è imposta per una consuetudine emersa d’improvviso, il riconoscimento di una nobiltà popolare, conquistata in virtù di un ruolo circoscritto alla persona, quasi una spinta naturale a proseguire nella ricerca travagliata di un altro sé. Il sistema antroponimico era dunque binominale, formato da un nome seguito o da un’indicazione di luogo (per es.: Jacopone da Todi), o da un patronimico (Jacopo di Ugolino) o da un matronimico (Domenico di Benedetta) o da un attributo relativo al mestiere (Andrea Pastore), et cetera. Il patrimonio dei cognomi era pertanto così scarso, che diventava necessario ricorrere ai soprannomi, la cui origine non ha tempi e leggi tali, da permettere la conoscenza di come si siano formati, e la maggior parte di essi resta inspiegabile a studiosi e ricercatori. Spesso, la nascita di un soprannome rimanda ad accostamenti di immagini paradossali ed arbitrari. Inutilmente ci si sforzerebbe di capire il significato e l’origine di soprannomi come "centrellaro" o come "strifizzo" o "trusiano",lavorando solo a livello di ricerca storica e filologica. Così, moltissimi soprannomi restano inspiegabili, incomprensibili, perché si è perso ormai il contesto storico, sociale e culturale o, addirittura, il ricordo dell’occasione in cui il soprannome è nato. Verso il XVIII° secolo, il bisogno di far un po’ d'ordine e la necessità di identificare popolazioni diventate ormai troppo popolose porta all'imposizione per legge dell'obbligo del cognome. a cura di Andropos gna per evitare il contatto con la pestilenza. Porto Empedocle, prima di chiamarsi così, era una borgata (Borgata Molo) di Girgenti (l'odierna Agrigento). Quando nel 1853 si decise che la borgata divenisse comune autonomo «La linea di confine fra i due comuni venne fissata all'altezza della foce di un fiume essiccato, che tagliava in due la contrada chiamata "u Càvuso" o "u Càusu" (pantaloni) [...] Questo Càvuso apparteneva metà al nuovo comune di Porto Empedocle e l'altra metà al Comune di Girgenti [...] . A qualche impiegato dell'ufficio ana-grafe parse che non era cosa [che si scrivesse che qualcuno fosse nato in un paio di pantaloni] e cangiò "Càusu" in "Caos"». Il padre, Stefano Pirandello, aveva partecipato tra il 1860 e il 1862 alle imprese garibaldine; aveva sposato nel 1863 Caterina, sorella di un suo commilitone, Rocco Ricci Gramitto. Il nonno materno di Luigi, Giovanni Ricci Gramitto, era stato tra gli esponenti di spicco della rivoluzione siciliana del 1848-49 ed escluso dalla amnistia al ritorno del Borbone, era fuggito in esilio a Malta, dove era morto un anno dopo, nel 1850, a soli 46 anni. Il nonno paterno, Andrea, era stato un armatore e ricco uomo d'affari di Pra', ora quartiere di Genova. La famiglia di Pirandello viveva in una situazione economica agiata, grazie al commercio e all'estrazione dello zolfo. Questo mese, ci occuperemo del cognome: Pirandello Origini Questo cognome, ha la sua origine ligure, ergo, potrebbe non avere legami con il greco, bensì discenda dalla cognominizzazione di una forma dialettale e ipocoristica del nome medievale Pietro o Piero. Un'altra ipotesi, proposta da alcuni repertori, è l'origine da una forma alterata e ipocoristica del nome greco Pirro. Non si hanno altre ipotesi in merito. Il dibattito, perciò, rimane decisamente aperto. PERSONAGGI FAMOSI: LUIGI PIRANDELLO, figlio di Stefano e Caterina Ricci Gramitto, appartenenti a famiglie di agiata condizione borghese, dalle tradizioni risorgimentali, nacque nel 1867 in contrada Càvusu a Girgenti (Agrigento). Nell'imminenza del parto che doveva avvenire a Porto Empedocle, per un'epidemia di colera che stava colpendo la Sicilia, il padre Stefano aveva deciso di trasferire la famiglia in una isolata tenuta di campa- -6- « Questo libro va segnalato soprattutto per la intensità emotività che suscita, in questa nostra epoca di pochezza politica e scritture frettolose, perché s'ispira ad una realtà scrutata con l'occhio attento e sgombro da pregiudizi. Una realtà fatta di storia e di cultura, in cui s’apre genuina, una capacità inusitata di stupire.» n.d.D. Antropos in the world UNA DONNA NELLA LETTERATURA – A cura di Andropos Contessa Nataša Rostova Наталья "Наташа" Ильинична Ростова Corre l’anno 1805, Nataša è una ragazza di 13 anni, la figlia più giovane del conte Il'ja Rostov e della contessa Natal'ja Rostova. È innamorata del principe Boris Drubeckoj, che vive nella tenuta dei Rostov con la madre. Quando Boris parte per intraprendere la carriera militare agli ordini di Michail Illarionovič Kutuzov, Pierre Bezuchov, con il quale aveva stretto una forte amicizia, le presenta il principe Andrej Bolkonskij. Si innamorano e si fidanzano, ma il padre di Andrej è contrario, e riesce a convincere il figlio a posticipare le nozze di un anno, recandosi all'estero. Durante l'assenza di Andrej, il principe Anatole Kuragin approfitta della situazione per corteggiare Nataša, la quale cede al suo fascino, fino al punto di provare a fuggire con lui. Sebbene il piano non riesca grazie all'intervento della zia Marja Dmitrevna, Nataša scrive a Mar'ja Bolkonskaja rompendo il fidanzamento con il principe Andrej; venuta poi a sapere che Anatole è sposato, cade in una grave depressione, tentando addirittura il suicidio, che termina con una malattia gravissima e con la conseguente guarigione; l'unico conforto è Pierre, consigliatole da Andrej durante l'assenza in caso di difficoltà. Non appena Napoleone inizia la campagna di Russia, i Rostov sono costretti a lasciare la loro tenuta per ritirarsi a Mosca, e quando devono nuovamente spostarsi, il conte e la contessa usano i carri per trasportare i soldati feriti. Tra questi Sonja, la cugina di Nataša, scopre Andrej, che era stato ferito da una granata durante la battaglia di Borodino, e Nataša si dedica ad assisterlo, ma i suoi sforzi sono vani, poiché le ferite sono troppo gravi, e quindi Andrej muore. Pierre, al quale è morta la moglie Hélène dalla quale si era separato, si riavvicina a Nataša mentre i russi vincitori ricostruiscono Mosca. Pierre e Nataša si innamorano e si sposano. Dal matrimonio nascono quattro figli. Secondo Tolstoj, Nataša Rostova rappresenta l'armonia del mondo e per ciò è completamente diversa da Andrej, da questo punto di vista. Attraverso varie vicende, come l'amore e la morte di Andrej, la volgare seduzione di Anatole Kuragin, ovvero il male che tenta anche lei, e l'incontro finale -7- le con Pierre, tutte le sue caratteristiche che la rendono un personaggio unico e poetico, la spontaneità, la grazia e l'impeto infantile maturano. Alla fine del romanzo, Nataša, con il gioioso matrimonio che la obbliga ad impegnarsi nel mantenere la casa e i figli, perde molto del suo antico fascino poetico. Guerra e pace mescola personaggi di fantasia e storici; essi vengono introdotti nel romanzo nel corso di una soirée presso Anna Pavlovna Scherer nel luglio 1805. Pierre Bezuchov è il figlio illegittimo di un conte benestante che sta morendo di ictus:egli rimane inaspettatamente invischiato in una contesa per l'eredità del padre. L'intelligente e sardonico principe Andrej Bolkonskij, marito dell'affascinante Lise, trova scarso appagamento nella vita di uomo sposato, cui preferisce il ruolo di aiutante di campo (aide-de-camp) del generale Michail Illarionovič Kutuzov nell'imminente guerra contro Napoleone. Apprendiamo pure dell'esistenza della famiglia moscovita dei Rostov, di cui fanno parte quattro adolescenti. Fra loro, s'imprimono soprattutto nella memoria le figure di Natal'ja Rostova ("Na-taša") – la vivace figlia più giovane – e di Nikolaj Rostov– il più anziano ed impetuoso. Alle Colline Bald, il principe Andrej affida al proprio eccentrico padre, ed alla mistica sorella Marja Bolkonskaja, sua moglie incinta e parte per la guerra. L’armata napoleonica- la ritirata lel 1812 Antropos in the world LA VECCHIETTA DELL’ON. DELRIO Stiamo affogando in una società liquida fatta di chiacchiere. Ricordo, in proposito, che si racconta che l’ambasciatore tedeco, il principe di Bülow, nel lasciare villa delle Rose, abbia esclamato, infastidito, alludendo alla scarsa loquacità del Sonnino: “Fra i trentasei milioni di Italiani chiacchieroni, il solo taciturno doveva capitare proprio a me!”.Da cattolici poi dovremmo amare non “con parole e con la lingua, ma con le opere e nella verità (1Gv 3,18) e da meridionali dovremmo fare spallucce, tanto “Chiacchiere e tabacchere ‘e legna ‘o Banco ‘e Napule non ‘e ‘mpegna”. E invece no. Perché, anche se pare siano rientrate, le voci del sottosegretario e plenipotenziario del Presidente del Consiglio Delrio, detto Delirio in quel di Reggio Emilia, sono inquietanti. Parlando di come far quadrare i conti all’infame sfuggì dal suo sen che bisognava togliere qualcosa ad una vecchietta e tutto sarebbe stato risolto. Capito? Togliere qualcosa ad una vecchietta e non ai boiardi di Stato con stipendio e pensioni d’oro che, insieme ai magistrati e alla Casta in genere, sono ai vertici nella classifica del disprezzo. (Il predetto ha anche, a suo disdoro, sbagliato i calcoli, per cui alla vecchietta avrebbe tolto, come è stato dimostrato, ben 10 volte in più delle poche decine di euro ipotizzate). Stipendi e pensioni che ammontano, rispettivamente, a milioni di euro l’anno e a decine di migliaia di euro al mese. Queste ultime,poi, in molti casi, sono disancorate da versamenti effettivi e dovute invece a leggi e leggine fatte approvare ad hoc. Per essere più precisi, ho letto di stipendi pari a 2.201.000 euro l’anno e pensioni pari a 91.000 euro mensili! De deriva che i pensionati son diventati il Bancomat del Governo. Ma la preoccupazione cresce se si pensa che sotto sotto il “dagli al vecchietto” ci porta a ciò che accadeva nell’isola greca di Ceo, la quale, secondo una leggenda, essendo piccola da non poter ospitare i vecchi, deliberò che questi dovessero trovare una via d'uscita dalla vita. La più comune era bere la cicuta. Qualcuno di noi ricorderà “I vecchietti di Ceo”,uno dei più felici poemetti di Pascoli che prese spunto proprio da quella leggenda. -8- Ha scritto i proposito il giornalista Mario Giordano (Libero del 16 u.s. ) rispondendo proprio ad una lettera sull’argomento di chi scrive che “dietro la “rottamazione” si nasconde qualcosa di più della legittima esigenza di ringiovanimento della politica e della società. Si nasconde, cioè, la voglia di “liberarsi” dei vecchietti non appena smettono di essere produttivi e diventano un costo per la società”. Il giornalista poi riporta quanto si va già ragionando in campo sanitario e cioè“ Conviene operare la nonnina o è meglio risparmiare quei danari per un robusto quarantenne? E i posti (sempre limitati) in sala di rianimazione? A quelli che, se sopravvivono possono essere ancora produttori di reddito, o chi, se sopravvive continuerà a incassare la pensione?”. Non si dimentichi che qualche giorno fa la Cara Guida ha detto che bisogna pensare al fine vita, che tradotto in italiano corrente vuol dire introdurre in Italia l’eutanasia con somma goduria di Pannella, tumore della politica italiana, e del sistema previdenziale. E’ vera, pertanto, la conclusione del giornalista a quella lettera:”Stiamo passando dalla lotta alla gerontocrazia ad “dagli al vecchietto”. E non mi pare un passo avanti”. Renato Nicodemo BRONTOLO IL GIORNALE SATIRICO DI SALERNO Direzione e Redazione via Margotta,18 - tel. 089.797917 Antropos in the world DALLA REDAZIONE DI S.VALENTINO TORIO Ma in Italia siamo alla prima, seconda o terza Repubblica? Tutti in Italia si affannano a trovare una diversa collocazione temporale alla nostra repubblica e dimenticano che finché sopravvive la nostra bistrattata, ma ancor validissima Costituzione, non si può parlare di prima, seconda o addirittura terza repubblica. La nostra Costituzione risale al 1 Gennaio 1948 e non dimostra per niente i suoi 66 anni; tutt’al più avrebbe bisogno di una ritoccatina estetica come si addice alle signore della sua età. Quando il Parlamento italiano, successivamente, ha tentato di metterci le mani, ha fatto un disastro (V. Titolo V), perché non c’erano più i costituenti di una volta…. Questa Costituzione è il frutto di un pregevolissimo lavoro eseguito dall’assemblea costituente (formata da esperti e formidabili esponenti di tutti i partiti eletti liberamente) e contiene dei principi all’avanguardia per quei tempi ed ancora molto attuali oggi. Tuttavia c’è la tendenza a voler parlare della seconda repubblica facendo coincidere la sua nascita dalle ceneri di “Tangentopoli”. Niente di più errato se consideriamo che per parlare di seconda repubblica dovremmo ipotizzare la nascita di una seconda Costituzione, che non c’è stata. E’ pur vero che la cosiddetta Tangentopoli scosse profondamente la politica dalle fondamenta, ma non si può definire seconda repubblica quella che seguì all’anno 1992, per il semplice fatto che l’arresto di un manipolo di “mariuoli” non è sufficiente al passaggio alla seconda repubblica. In primo luogo perché, come già detto, non seguì una nuova costituzione e, in secondo luogo, perché, anche se tangentopoli fu un terremoto giudiziario, con arresti, suicidi, esili dorati in mari esotici ecc., non si verificarono le condizioni per proclamare la seconda repubblica che è e resta una definizione giornalistica, lasciando in vigore quella del 1948 promulgata dopo l’epoca del fascismo e una lunga guerra mondiale con milioni di morti. Se non si può parlare di seconda repubblica dopo tangentopoli, a maggior ragione non si può parlare di terza repubblica che dovrebbe essere nata quando? Quando i partiti, dopo le elezioni del 2013, hanno, a dir poco, smarrito completamente la bussola, nonostante l’imperversare della crisi, e non sono riusciti ad esprimere il successore del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano? Quelli che vogliono parlare a tutti i costi di seconda e terza repubblica evidentemente hanno un complesso di inferiorità nei con- -9- fronti dei Francesi che sono già alla quinta repubblica! Ma tutto il discorso fatto fin qui tiene conto appunto della realtà storica dei nostri cugini d’Oltralpe.I Francesi sono partiti molto prima di noi e in Francia la prima repubblica è stata proclamata nel 1792, dopo quell’avvenimento storico che fece tremare tutto il mondo e che va sotto il nome di “Rivoluzione francese”, che, mi pare, non è paragonabile a tangento-poli. La seconda repubblica, in Francia, fu proclamata nel 1848. Entrambe nascono da due rivoluzioni: la seconda repubblica nacque dopo la rivoluzione che mise fine alla monarchia. Per completezza dirò che la terza repubblica nacque dopo la prima guerra mondiale, e scusate se è poco. La quarta nacque dopo la seconda guerra mondiale (1946), la guerra più devastante di tutti i secoli. Quindi le prime quattro costituzioni furono promulgate dopo rivoluzioni o guerre. E la quinta? La quinta repubblica fu richiesta dal generale De Gaulle: siamo agli anni della guerra d’Algeria, la Francia subiva continui attentati nella sua colonia da parte degli Algerini e fu chiamato alla presidenza l’uomo forte del regime, l’uomo che da radio Londra incitò i Francesi a resistere contro l’occupazione tedesca. Il generale De Gaulle, considerato che il Presidente della Repubblica in Francia non disponeva di grandi poteri, chiese (ed ottenne),per accettare l’incarico, una modifica della Costituzione che contemplasse maggiori poteri alla prima carica dello stato: è la quinta Repubblica, ancora in vigore oggi in Francia. Per inciso occorre precisare che il Presidente De Gaulle, considerato una vera gloria nazionale e designato a ricoprire tale incarico per dare una lezione alla ex colonia, dovette rassegnarsi a darla vinta agli insorti, per evitare altri spargimenti di sangue, e concedere l’indipendenza. Ritorniamo in Italia per ribadire che siamo ancora alla prima Repubblica. Tutt’al più, constatato che abbiamo un debito pubblico stratosferico, un fisco del tutto inefficiente, e inefficace, un’evasione da record mondiale, una disoccupazione a livelli preoccupanti, i giovani senza alcuna aspettativa nel domani, una giustizia da terzo mondo, una sanità che fa paura ecc. ecc., considerato tutto ciò o la smettiamo una volta per sempre di blaterare di seconda e terza repubblica o riconosciamo, ufficialmente e più esattamente, che siamo nella repubblica … delle banane, pardon, nella prima repubblica. Vincenzo Soriente Antropos in the world IL RACCONTO DEL MESE: NUNZIATINA ( III parte) eBook di Franco Pastore - ISBN 9788868143053 Era stato Giuvanniello a calarsi giù ed a legare la fune intorno al cadavere. Il capo‚ col collo spezzato, dondolava come quello di una bambola rotta. Gli occhi sbarrati sembravano guardare il muretto del pozzo. La lunga camicia da notte, attaccata al corpo fradicio di acqua gelida, gocciolava. Il piede sinistro era privo dell’alluce, troncato nella caduta, dalle pietre vive. I bei capelli neri erano aggrovigliati come una informe matassa melmosa. Felice aveva preso il corpo della sorella e l'aveva portato in casa adagiandolo sul letto intatto. Aveva pianto col capo poggiato sul ventre profanato ed aveva sentito il gelo della morte. Giuvanniello tolse dalla tavola i "taralli” e versò il vino nel bicchiere. Felice bevve tutto d'un fiato come per allontanare la scena di morte del giorno prima. Quel vino gli sembrava sangue che chiedeva altro sangue e bevve ancora, fino a stordirsi. Nella piana il lavoro riprese con ritmo normale. Agosto volgeva a termine con i suoi giorni infuocati ed una strana calma sembrava aleggiasse nell'aria. Il sole era calato da circa un'ora‚ quando Felice si fermò poco più avanti del podere di compare Sabìa‚ sedendosi sul tronco di un salice. Accese una sigaretta guardando fisso verso l'incrocio‚ dove la carrara lasciava intravedere una strada più grande‚ percorsa da una lenta carovana che‚ dall'agro nocerino‚ si avviava verso la salita di Ogliastro. Era tempo di mercato ed i commercianti‚ appisolati sul piano dei carretti‚ carichi di semenze‚ si affidavano alla esperienza dei muli‚ che già conoscevano la strada. All' imbrunire‚ arrivò Gaetano, reggendo, con ambi la mani, l'asta della zappa : - Sera‚ Felì - Sera‚ Gaetà‚ rispose il cugino‚ è molto che aspetti?- No! – Seduti l'uno accanto all'altro‚ trascorse molto tempo prima che iniziassero a parlare "del fatto". - Allora‚ quando?- chiese Gaetano‚ rompendo quel penoso silenzio. - È per domani sera al tramonto‚ lungo la strada dei salici‚ dove inizia il canale dei Farnesi‚ lì la strada è piena di buche ed il calesse va piano - Va bene! Felice giunse a casa per ultimo‚ la madre sentì sbattere l' uscio a lo chiamò : - Come stai, mà ?- le chiese il giovane‚ entrando nella stanza; - Cumm'à nà vecchia, figliu mio! – - Va a mangià‚ cà mamma tòia nun se sènte! – Felice‚ dopo essersi lavato‚ si accomodò‚ si versò da bere a poi scoperchiò il piatto‚ fissando i fagioli ancora caldi. Di mala voglia mandò giù una cucchiaiata ed allontanò il piatto; si avvolse una sigaretta‚ fissando il ritratto del padre‚ sulla parete di fronte. Sì alzò‚ si diresse verso la grossa cassapanca sotto la finestra a l'aprì. Prese il fucile‚ pulendolo col panno che l'avvolgeva; l'acciaio della canna lanciò un bagliore sinistro‚ mentre il freddo della bascula diede al giovane una sensazione di potenza e di morte. Il sonno‚ quella notte‚ tardò a venire e‚ solo all'alba‚ vi fu un momento di pace‚ col canto del gallo‚ che annunziava un nuovo giorno. Il sole stava tramontando sul mare tranquillo e gli ultimi raggi proiettavano lunghe ombre sul viale costeggiato dai salici immobili. Un fosso erboso accompagnava‚ a sinistra‚ la carrara sconnessa. Don Filippo seguiva‚ a testa bassa‚ il bianco della strada‚ gettando‚ di tanti in tanto‚ veloci occhiate alla ruota del calesse. Il cavallo avanzava lento sul terreno spaccato e quasi si fermò‚ quando l'uomo tirò le briglie: qualcuno procedeva‚ a piedi‚ avanti a lui : era Giuvanniello‚ che tornava dal lavoro. Il "caporale” spronò l'animale‚ che si portò al trotto‚ ed il giovane fece appena in tempo a saltare nel fosso‚ imprecando a denti stretti. Don Filippo rallentò‚ si fermò‚ e guardò con stra-fottenza il povero bracciante che chinò la testa in segno di saluto. Il calesse proseguì per la sua strada‚ sul viso del "caporale” un ghigno soddisfatto: era il più forte. Giuvanniello risalì sulla carreggiata a fissò con malumore il calesse che s'allontanava‚ scomparendo nella curva più avanti. Erano trascorsi cinque minuti circa‚ quando s’udì uno sparo‚ che si ripercosse sinistramente nella piana. Il giovane pensò a qualche cacciatore e tirò avanti. Dopo un quarto d'ora‚ giunse nella zona dei salici. Il sole era tramontato all'orizzonte ed una leggera brezza‚ che veniva dal mare‚ muoveva la - 10 - Antropos in the world cima dei grossi alberi. Ad un tratto udì un lamento ed istintivamente si girò verso il fosso indirizzando lo sguardo lì dove l'erba sembrava tinta di rosso. Si avvicinò‚ il corpo di don Filippo giaceva lungo disteso‚ col sangue che gli usciva dal petto squarciato. La mani destra artigliava l'erba, mentre premeva la sinistra sul petto straziato. L'uomo lo guardò sbarrando gli occhi: l'angoscia aveva cancellato la strafottenza abituale di suo viso: - Aiutami Giuvanniè! – Il giovane stava per chinarsi‚ poi‚ all'improvviso‚ si ricordò di tante sue perfidie‚ di Nunziatina‚ del funerale‚ degli infelici che‚ come lui‚ sudavano sangue per un tozzo di pane e scappò via. Correva come se avesse avuto le ali ai piedi‚ per soffocare quell'impulso, che spinge l'uomo ad aiutare l'amico‚ il fratello‚ chiunque si trovi in pericolo. Don Filippo non era un amico‚ né un fratello‚ ma la peggiore carogna che potesse venire fuori da un ventre di donna. Più avanti rallentò l'andatura‚ aveva sentito delle voci che gli sembravano note e‚ di lì a qualche istante‚ si imbatté in Felice a Gaetano. Li chiamò e, con voce concitata, esclamò:- Hanno sparato a don Filippo! – I due si guardarono e‚ senza una sola parola di commento‚ proseguirono. Giuvanniello‚ che era un tipo sveglio‚ comprese all'istante ed aggiunse:- Mi ha chiesto aiuto, è ancora vivo! – Felice si fermò‚ sfilò il fucile dalla spalla e mise in canna un'altra cartuccia‚ avendo cura di riporre in tasca quella già sparata. Tornò indietro di corsa a guardò bene in faccia l'uomo che tentava di alzarsi: - Questo, per la brava gente della piana! – La canna sinistra del fucile tuonò ancora‚ lacerando la camicia giù verso la cintura dei pantaloni. Il corpo ebbe un sussulto e cadde all'indietro sull'erba‚ dove rimase immobile. Felice guardò il sangue che sgorgava copioso, facendosi strada tra la carne squarciata ed il pezzo di camicia bruciacchiata, resisté al forte impulso di vomitare e si allontanò rivolgendo un pensiero fugace alla sorella. -La caccia è stata buona! - disse agli amici, fissandoli per un lungo istante. Ripresero insieme il cammino e raggiunsero ciascuno la propria casa. Calavano le ombre della sera ed il cielo si dipingeva di rosso nel punti in cui il mare rifletteva gli ultimi raggi di un sole calante. I lumi già rischiaravano di luce pallida l'interno della casa, annerita dal fumo, e l'odore di legna bruciata si diffondeva nella campagna. Sui focolari i contadini approntavano il pasto‚ tra la voci dei bimbi a l'abbaiar dei cani alla catena. Le donne stanche rassettavano gli umili ambienti‚ mentre gli uomini si ripulivano dalla terra a dal sudore. I vecchi, seduti sull'aia‚ pensavano agli anni trascorsi e, stringendo tra le mani callose la scura creta della pipa, aspettavano silenziosi la cena‚ tra una boccata e l’altra dalla canna ricurva. Scene antiche quando il mondo sul palcoscenico della "piana"‚ dove la vita continuava la sua lenta rappresentazione. La campagna andava impreziosendosi del silenzio della sera‚ quando spuntò un carretto‚ che avanzava macinando la terra con il ferri della grandi ruote. Il cavallo‚ sudato‚ tirava stancamente il carico di letame per la terra dei Casati e Pasquale tratteneva le redini‚ serrandole tra l’indice ed il medio. All'inizio del lungo canale‚ incominciò a fischiettare un motivetto inesistente‚ pensando al piatto di minestra che avrebbe mangiato tra breve. Un lamento‚ seguito da un lungo rantolo‚ attirò la sua attenzione. Fermò il carretto a stette più attento. Poco più avanti‚ gli sembrò di vedere una mano che si muoveva sul ciglio del canale. Scesa e corse in quella direzione. - Gesù, don Filippo! – Due occhi spenti si girarono a guardarlo‚ implorando aiuto‚ con la bocca che si muoveva‚ senza che ne uscisse alcun suono. Pasquale lo tirò fuori dal fosso, senza sforzo eccessivo‚ data la sua mole e la sua forza. Lo adagiò lentamente sul caldo letame ed il puzzo del "concime” coprì l'odore del sangue. Il carretto si incamminò col suo carico umano. Al villaggio, girò a sinistra‚ verso la casa del caporale e si fermò sull'aia‚ dopo un lungo corridoio tra i vigneti. Il cane abbaiò‚ poi corse scodinzolando verso la coda del carretto. Angelina aprì l'uscio: - Buona sera, Pasqualì! – Il giovane non rispose e‚ scendendo dal carretto‚ prese il corpo di don Filippo Capo e si diresse verso la casa. La donna avanzò di un passo e lanciò un urlo. Il cane accompagnò il corpo del padrone. Micheluccio‚ il tirapiedi‚ udì l'urlo dalla stalla e si precipitò in casa". Adagiarono il "caporale” sul divano. Nella propria dimora‚ il ferito aprì gli occhi quando la moglie cercò di ripulirgli il viso con un panno bagnato. - Pasqualì‚ andate a chiamare il dottore‚ correte‚ fatelo per i morti vostri! – L'uomo risalì sul carretto e si avviò verso il paese. Don Filippo cercò con gli occhi Micheluccio a gli fece cenno di avvicinarsi; il giovane abbassò il capo quasi fin sopra le labbra di lui:- Il maresciallo... va a chiamare il maresciallo!Micheluccio uscì dalla casa e corse verso il paese pigliando la scorciatoia‚ giù per la piccola scarpata‚ attraverso il vigneto di compare Albino. Angelina tolse le scarpe al marito‚ coprendo con un lenzuolo gli squarci che l'uomo aveva nel petto e nell’addome. (continua) - 11 - Antropos in the world DA TRAPANI EUROPA? SPICCIAMOCI A SOTTERRARLA! «Europa? spicciamoci a sotterrarla» titolavo il mio articolo sul numero di marzo. E poi argomentavo: «essendo sorta su queste premesse, l’Unione Europea è andata in crisi quasi dubito; ed oggi, ad appena vent’anni dalla sua nascita, è praticamente sul punto di implodere.» Ritornavo sull’argomento nel numero di aprile: «… quando l’attuale Unione Europea imploderà (è solamente questione di tempo).» Orbene, nel momento in cui stilo queste note – il 20 luglio – non è ancora chiaro se siamo già all’implosione o soltanto alla vigilia. Di sicuro siamo a una svolta decisiva nella breve e travagliata storia dell’Unione Europea. E questa volta non si tratterà della solita crisetta (tipo Lehman Brothers, per intenderci), ma di una crisi globale, epocale, che segnerà l’inizio dell’offensiva finale della speculazione finanziaria contro le nazioni e contro i popoli europei e, probabilmente, non soltanto di quelli europei. Non hanno da stare tranquilli neanche gli Stai Uniti d’America, pur se in questo momento svolgono la funzione di braccio armato della finanzia internazionale. Francamente, non mi azzarderei a fare previsioni sui tempi di questa crisi, anche se – al luglio del 2012 – sembrerebbe imminente. Quello su cui mi sentirei di scommettere, invece, è che la crisi investirà dapprima i paesi già nell’occhio del ciclone (Grecia, Spagna, Italia, eccetera), per aggredire sùbito dopo la Francia (che non sta molto meglio di noi), e poi la Germania e le altre nazioni dell’opulenta (?) Europa settentrionale. Infine, toccherà anche agli USA, ma compatibilmente con le esigenze della guerra che i “poteri forti” intendono scatenare per consegnare l’intero Medio Oriente a Israele ed ai potentati petroliferi che sono in affari con le multinazionali americane. Non meravigli la previsione di una crisi pure per gli Stati Uniti, giacché le loro finanze non sono in condizioni migliori delle nostre: la globalizzazione dell’economia ha prodotto anche lì una disoccupazione galoppante, con le industrie che non lavorano più i prodotti in loco, limitandosi a girare le commesse alle loro filiali in Cina o in India, dove il lavoro costa un trentesimo di quanto costa negli States. Inoltre, il debito pubblico USA è ben più tragico del nostro, e cresce al ritmo di 1.000 miliardi di dollari ogni sette mesi. 1 Già, perché i motori della crisi economica degli Stati Uniti sono esattamente gli stessi che muovono la crisi dell’Unione Europea: la globalizzazione e l’indebitamento delle nazioni nei confronti dello strozzinaggio speculativo. La globalizzazione porta alla chiusura delle attività imprenditoriali private ed alla loro delocalizzazione in paesi meno progrediti, con conseguente aumento della disoccupazione ed abbassamento degli standard sociali; e l’indebitamento porta alla svendita a tocchi di intere economie nazionali – attraverso le tappe delle privatizzazioni – quale unico sistema per far fronte. alle esposizioni debitorie; con l’aggravante del drastico ridimensionamento di tutte le spese statali e, quindi, di una ulteriore contrazione dei livelli di vita È questo il meccanismo che – in tempi certamente non lunghissimi – porterà probabilmente alla crisi definitiva dell’Europa. Il meccanismo – cioè – dell’indebitamento programmato, continuo, crescente, che ogni mese viene celebrato con il rito dell’asta dei titoli di Stato. Attraverso tale rito ci indebitiamo ogni mese un po’ di più, mettendoci sempre più nelle mani dei “fondi” speculativi che acquistano i nostri titoli, prestandoci del denaro (spesso solo virtuale) e pretendendo in cambio il pagamento di interessi salatissimi in moneta sonante; interessi appesantiti dallo spread sempre più alto, fatto crescere attraverso gli opportuni “declassamenti” decretati nei momenti strategici dalle famose agenzie di “rating” (Moodys, Standard & Poors, eccetera). Queste agenzie di rating – e qui si chiude il cerchio – sono controllate dai medesimi fondi speculativi e dalle banche “d’affari” che prima lucrano sugli alti interessi richiesti per prestarci i soldi, e poi si pappano intere fette degli apparati economici dei paesi europei che i vari governi hanno deciso di vendere (o di “privatizzare”) per poter pagare gli interessi sui debiti. Per pagare i soli interessi – si badi bene – perché i debiti ci restano comunque sul groppone, continuando a mantenerci in balia degli usurai internazionali, i quali ci imporranno una mole di “sacrifici” via via crescenti per pagare gli interessi. E ciò fino al punto in cui non sarà più mate-rialmente possibile fare ulteriori sacrifici. È a quel punto che salterà tutto, e salterà prima di tutto l’euro e l’Unione Europea. E sapete perché – a modesto parere del sottoscritto – salterà questa perniciosa Unione? Perché le nazioni europee avranno la necessità ineludibile di riappropriarsi della loro sovranità per far fronte alla crisi economica: della loro sovranità politica, ma anche e forse soprattutto della loro sovranità monetaria. Dovranno “svuotare” la Banca Centrale Europea e ritornare alle banche centrali nazionali. E non solo: dovranno anche riformare profondamente le banche centrali (come la nostra Banca d’Italia), togliendole alla proprietà delle banche private e riconducendole al ruolo di banche statali, abilitate a battere moneta non in prima persona ma soltanto in nome e per conto degli Stati. Solo così, ritornando alla sovranità monetaria delle nazioni, si potrà battere il perverso disegno globalizzatore della finanza internazionale e – dopo un periodo di inevitabili difficoltà – superare la crisi epocale che è stata prodotta dalla ingordigia di pochi affaristi e dalle utopie mondialiste di molti politici. Michele Rallo _____________ Da “QUESTA EUROPA NEMICA DEI POPOLI EUROPEI” Quarto zibaldone di Michele Rallo, che riunisce gli articoli dedicati alla tematica dell’Euro e dell’Unione Europea.( Aldo D’Amico) - 12 - Antropos in the world MOMENTO TENERO Si, abbiamo ancora bisogno della parola buona, che parla al cuore con semplicità e porta gioia all’animo, assetato di speranza. Abbiamo bisogno che qualcuno ci ricordi che siam figli dello stesso Padre, pur tra soprusi e guerre, tra egoismi e poteri infingardi. Abbiamo bisogno della tua preghiera, novello Pietro, dei tuoi occhi buoni, che carezzano i bambini e sorridono alla gente, in questo vento di miseria che avviluppa il mondo. Al momento giusto giungi a compattare i pezzi di questa dolente umanità, che si fa gregge, alla carezza tenera della tua parola. LA TUA PAROLA di Franco Pastore ________________ DEDICATA A PAPA FRANCESCO SECONDA EDIZIONE DEL PREMIO DI POESIA RELIGIOSA “MATER DEI” E’ bandito dalla Rivista “ Antropos in the world”, in collaborazione con la “ Chiesa Madre SS.Corpo di Cristo, e la Fondazione Carminello ad Arco, la seconda edizione del Premio MATER DEI Possono partecipare poeti ovunque residenti e di qualunque nazionalità, con una lirica dedicata alla Vergine Maria. La quota di partecipazione è di € 10,00, che dà diritto a ricevere la rivista per un anno. Sono ammessi a partecipare, per la prima volta, gli alunni della Scuola Elementare, che dovranno inviare un breve componimento in poesia o anche in prosa, purché nessun adulto vi abbia messo mano. La partecipazione dei bambini è gratuita. Inviare i lavori alla Direzione di Antropos in the world, via Posidonia,171/h – 84128 Salerno, entro il 30 aprile 2014. La Commissione è formata da: Prof. Pastore Rosa Maria, dirett.ce di A. I. T. W.; dott. Flaviano Calenda, Pres.Carminello ad Arco; dott. Renato Nicodemo, mariologo; dott. Franco Pastore, scrittore; Geom. Carlo D’Acunzo, giornalista, redatt.re capo della redazione Angri; dott. Giuffrida Farina, saggista e poeta. Tra i concorrenti saranno scelti tre vincitori, mentre saranno dati tre diplomi di merito a coloro che si sono comunque distinti nella stesura dell’elaborato. A tutti i fanciulli delle scuole elementari partecipanti, sarà consegnato un attestato di partecipazione. Le poesie premiate figureranno sul giornale di luglio. Successivamente sarà comunicata la sede della manifestazione che si terrà presumibilmente a fine giugno. Per informazioni: 089.223738 - 13 - Antropos in the world LA DONNA NELLA STORIA DITH STEIN Nata da una famiglia di commercianti ebrei, studiò filosofia a Gottinga con Husserl (il fondatore della "fenomenologia", che anticiperà alcuni temi dell’esistenzialismo) e ne divenne assistente. Dopo aver letto laVita di S.Teresa d’Avila,nel 1922, si convertì nal cattolicesimo e nel 1934 si fece suora carmelitana. L’originalità del pensiero filosofico di E.S. si nota già dalla sua tesi su Il problema dell’empatia (1917). Per la Stein, infatti, l’empatia è l’esperienza di soggetti altri da noi e del loro vissuto. Essa va distinta sia dalla percezione che dal ricordo, perché “ il cogliere l’esperienza altrui è un atto consustanziale, integrativo e correttivo della nostra esperienza di noi stessi e del nostro mondo”. L’esperienza della empatia non si attua solo al livello della coscienza ma anche a quello dello spirito, dove si è in grado di cogliere il mondo ideale ed i valori che sono alla base della vita spirituale di un altro. Nell’esperienza concreta,l’empatia avviene mediante il "corpo vissuto", che funge da medium della percezione empatica, mentre nell’esperienza religiosa (e su questo la Stein si astiene da ogni ulteriore osservazione), viene invece postulata la possibilità dell’esperienza di un Altro spirituale, al di fuori della mediazione corporea. La S. si è anche distinta per i suoi molti scritti che trattano il tema della femminilità . Ella ritiene che il movimento femminista tedesco, con la Costituzione di Weimar, abbia raggiunto appieno tutti i suoi obiettivi. Le donne sono state poste su un completo piano di parità con gli uomini. La nuova realtà sociale richiede la difesa dei risultati conseguiti e la trasmissione, alle nuove generazioni, della memoria storica delle lotte femministe, ma anche un rinnovamento che deve coinvolgere anzitutto le donne cristiane. La donna ha una "realtà ontologica" pari e distinta da quella maschile. Una realtà che la donna deve esplorare e conoscere da se stessa in quanto la donna vista dalla donna non è la stessa che la donna vista dall’uo-mo. In ultimo , nei suoi scritti più chiaramente mistici, la S. ritiene che l’amore sia la forza motrice dello stesso pensiero. L’ardore dell’amore spinge il pensiero ad una penetrazione sempre più profonda dello spirito fino a giungere alla chiarezza della conoscenza. La libertà della persona umana è il grande mistero davanti a cui Dio stesso si arresta : Egli desidera che le sue creature Gli rispondano sotto forma di un libero dono d’amore. Nel 1932 le venne assegnata una cattedra presso una istituzione cattolica, l'Istituto di Pedagogia Scientifica di Miinster, dove ha la possibilità di sviluppare la propria antropologia. A cura di Marco de Boris Qui ha il modo di unire scienza e fede e di portare alla comprensione d'altri quest'unione. In tutta la sua vita vuole solo essere " strumento di Dio ". " Chi viene da me desidero condurlo a Lui ". Nel 19331a notte scende sulla Germania. " Avevo già sentito prima delle severe misure contro gli ebrei. Ma ora cominciai improvvisamente a capire che Dio aveva posto ancora una volta pesantemente la Sua mano sul Suo popolo e che il destino di questo popolo era anche il mio destino". L'articolo di legge sulla stirpe ariana dei nazisti rese impossibile la continua-zione dell'attività d'insegnante. " Se qui non posso continuare, in Germania non ci sono più possibilità per me ". " Ero divenuta una straniera nel mondo ". L'Arciabate Walzer di Beuron non le impedì più di entrare in un convento delle Carmelitane. Già al tem-po in cui si trovava a Spira aveva fatto il voto di povertà, di castità e d'ubbidienza. Nel 1933 si presenta alla Madre Priora del Monastero delle Carmelitane di Colonia. "Non l'attività umana ci può aiutare ma so-lamente la passione di Cristo. Il mio desiderio è quello di parteciparvi ". Il 14 ottobre Edith Stein entra nel monastero delle Carmelitane di Colonia. Nel 1934, il 14 aprile, la cerimonia della sua vestizione. L'Arciabate di Beuron celebrò la messa. Da quel momento Edith Stein porterà il nome di Suor Teresa Benedetta della Croce. Il 2 agosto del 1942 arriva la Gestapo. Edith Stein si trova nella cappella, assieme alla altre Sorelle. Nel giro di 5 minuti deve presentarsi, assieme a sua sorella Rosa che si era battezzata nella Chiesa cattolica e prestava servizio presso le Carmelitane di Echt. Le ultime parole di Edith Stein che ad Echt s'odono, sono rivolte a Rosa: " Vieni, andiamo per il nostro popolo ". All'alba del 7 agosto parte un carico di 987 ebrei in direzione Auschwitz. Fu il giorno 9 agosto nel quale Suor Teresa Benedetta della Croce, assieme a sua sorella Rosa ed a molti altri del suo popolo, morì nelle camere a gas di Auschwitz. Con la sua beatificazione nel Duomo di Colonia, il 1° maggio del 1987, la Chiesa onorò, per esprimerlo con le parole del Pontefice Giovanni Paolo II, " una figlia d'Israele, che durante le persecuzioni dei nazisti è rimasta unita con fede ed amore al Signore Crocifisso, Gesù Cristo, quale cattolica ed al suo popolo quale ebrea". - 14 - Antropos in the world IMMAGINI D’UN ALTRO TEMPO – A cura di Andropos IL 25 APRILE Fu scelta questa data, perché il 25 aprile 1945 fu il giorno della liberazione di Milano e Torino. In particolare il 25 aprile 1945 l'esecutivo del Comitato di Liberazione Nazionale dell'Alta Italia, presieduto da Luigi Longo, Emilio Sereni, Sandro Pertini e Leo Valiani (presenti tra gli altri anche Rodolfo Morandi – che venne designato presidente del CLNAI – Giustino Arpesani e Achille Marazza), alle 8 del mattino via radio proclamò ufficialmente l'insurrezione, la presa di tutti i poteri da parte del CLNAI e la condanna a morte per tutti i gerarchi fascisti, tran- La mattina del 25 aprile 1945 a Milano, Sandro Pertini annuncia alla radio l’insurrezione generale: “Cittadini, lavoratori! Sciopero generale contro la occupazione tedesca, contro la guerra fascista, per la salvezza delle nostre terre, delle nostre case, delle nostre officine. Come a Genova e Torino, ponete i tedeschi di fronte al dilemma: arrendersi o perire”, Il Comitato di Liberazione nazionale per l’Alta Italia ordina ai partigiani e ai gruppi di resistenza di passare all’attacco e agli operai di occupare le fabbriche. Entro il 1º maggio, poi, tutta l'Italia settentrionale fu liberata: Bologna (il 21 aprile), Genova (il 23 aprile) e Venezia (il 28 aprile). La Liberazione mette così fine a venti anni di dittatura fascista ed a cinque anni di guerra; simbolicamente rappresenta l'inizio di un percorso storico che porterà al referendum del 2 giugno 1946 per la scelta fra monarchia e repubblica,consultazione per la quale per la prima volta furono chiamate alle urne per un voto politico le donne, quindi alla nascita della Repubblica Italiana, fino alla stesura definitiva della Costituzione. Su proposta del Presidente del Consiglio Alcide De Gasperi, il Principe Umberto, allora Luogotenente del Regno d'Italia, istituì la festa per il 1946, con il decreto legislativo luogotenenziale n. 185 del 22 aprile 1946 ("Disposizioni in materia di ricorrenze festive"), pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del Regno d'Italia nr. 96 di mercoledì 24 aprile 1946; l'articolo 1 infatti recitava: « A celebrazione della totale liberazione del territorio italiano, il 25 aprile 1946 è dichiarato festa nazionale». Successivamente, sancita dalla legge 260 del 27 maggio 1949. ne Mussolini, verso il quale fu perpetrato un vero omicidio,coinvolgendo la povera Claretta Petacci che, tra l’altro, fu seviziata, dal drappello dei partigiani. Qui di seguito, alcuni dei personaggi della vicenda: Valerio/W.Audisio Luigi Longo M.Moretti/P.Gatti - 15 - Ah! Se trovassimo quelle tonnellate d’oro del tesoro di Dongo, avremmo risolto la crisi! o bella ciao o bella ciao o bella ciao, ciao.. Le tonnellate di oro giunsero a Dongo con i gerarchi fascisti, ma scomparvero in area partigiana senza lasciar tracce. Antropos in the worldc PROVERBI E MODI DI DIRE - OVVERO ELEMENTI DI PAREMIOLOGIA 1. 2. 3. 4. Meglio murí sazzio ca campà diúno. Aiutati che Dio t’ aiuta Dicette 'o gallo: meglio l'uovo oggi che gallina dimane Quanno ‘a vocca s’’o ppiglia e ‘o culo t’’o rrenne futtetenne ‘e miedece, medicine e chi ‘e vvénne. Esplicatio: Meglio una vita breve, ma piena, così come e preferibile contententarsi dell’uovo e non attendere l’incerto domani. Comunque, occorre sempre aver cura di sé, aiutando l’intervento divino. Infine, quando sono integre le funzioni primarire del corpo, allora non occorre avvelenarsi con le medicine. Riflessio: Il trovare la corrispondenza nella lingua latina e greca dei nostri proverbi ( ad esempio: qua fugiunt hostes, via munienda est = a nemico che fugge ponti d’oro), la dice lunga sulla vetustà degli stessi e sulla loro tradizione più antica. Implicanze semantiche: Sazzio: da sazziarse. Dal latino satis- abbastanza,a sufficienza. Futtete:Da fottere + suff, dal Sirica Dora latino futūere. Fraseologia: Chi sfotte rimane sfuttute. E sfuttute pure ‘mparavise vanne. Antropologia: Sfòttere è legato a fòttere, compiere un atto sessuale. Ciò per evidenziare il piacere che si può ricavare dall’uso aggressivo della parola. Ovviamente è chi sfotte che svolge con soddisfazione un ruolo attivo, mentre lo sfottuto, il ricevente,ha un ruolo passivo. I modi sono tanti: dallo scherzo, alla pura cattiveria, che può anche uccidere. ISPPREF – Salerno Istituto di Psicologia e Psicoterapia Relazionale e Familiare Corso Operatore di Comunità Direttore scientifico: Dott. Vincenzo Amarante, Psicologo-Psicoterapeuta Docenti: Dott. Emanuele Esposito, Criminologo Clinico, Direttore C.P.A “Don Peppino DIANA” di Napoli. Dott. ssa Ida Boccia, Sociologo, Coordinatrice Comunità Araba Fenix, Cooperativa Sciangrilà Dott. Mario Brengola – Psicologo-Psicoterapeuta Dott.ssa Emanuela Ziccardi, Psicologa, Responsabile area socio-psicologica Progetto Capovolti Programma del Corso: Sistema, Struttura, Famiglia - Il contesto sociale della famiglia - Comunità – Famiglia Aspetti legislativi e normativi – Inserim. in comunità: il minore accolto - Il regolam. di comunità Il ragazzo come prodotto della famiglia deviante - L’arresto e la presa in carico - Il Tribunale Aspetti psicologici del minore - Relazione Operatore – Minore - Il Burn-out Info e contatti: ISPPREF Corso Garibaldi 31, Salerno Tel. 089 258527 – 3939862979 - Orari segreteria: lun-ven dalle ore 16.00 alle 20.00 [email protected] - www.isppref-salerno.it - 16 - Antropos in the world LA PAGINA MEDICA: a cura di Andropos RIFLUSSO GASTROESOFAGEO Il reflusso gastroesofageo, o reflusso gastrico, è una condizione medica in cui la valvola che chiude l’entrata dello stomaco si apre spontaneamente, per periodi di tempo variabili, o non si chiude correttamente e il contenuto dello stomaco risale verso la bocca attraverso l’esofago.Quando diventa un disturbo cronico, presentandosi più di due volte alla settimana, si parla di malattia da reflusso gastroesofageo. Il reflusso gastroesofageo può colpire persone di tutte le età. Il reflusso gastroesofageo è un disturbo in aumento negli ultimi anni. Colpisce in maniera indistinta sia uomini che donne e tende a manifestarsi con maggiore frequenza con l’avanzare degli anni. Conosciuta come Malattia da Reflusso Gastro-sofageo (MERG, o dall’inglese GERD) si tratta di un disturbo tipico delle ore successive a un pasto; si manifesta con bruciori al petto, in prossimità della parte alta dello stomaco e si caratterizza per i liquidi acidi che si spingono lungo l’esofago con possibilità di raggiungere anche la gola e il cavo orale. Maggiore responsabile è l’acidità di stomaco, combinata spesso con la difficoltà nel digerire alcune tipologie di alimenti. L’alimentazione gioca quindi un ruolo primario, come da non sottovalutare però resta una certa predisposizione a manifestare il disturbo. Esiste una seconda possibile causa per questo disturbo: in alcune rare occasioni può manifestarsi come bile anziché liquidi acidi stomacali. Può diventare un importante fattore di rischio lo stress, con la conseguenza di aggravare la sintomatologia qualora non ne sia addirittura una delle cause. Nella sezione Consigli utili vedremo quindi anche alcuni rimedi naturali per tenerlo sotto controllo. Che mondo sarebbe senza aloe vera? Di certo uno in cui viene a mancare all’uomo una soluzione naturale a molti dei suoi problemi fisici. Molte volte questa pianta e il suo prezioso gel entrano in gioco nel contrastare varie problematiche, tra queste le scottature, la pelle secca, l’herpes, problemi alla circolazione e altre ancora. Nel caso del reflusso gastroesofageo il suo gel si rivela un toccasana grazie alla sua capacità di proteggere e calmare le mucose intesinatli irritate oltre che diottimo cicatrizzante e disinfettante. In più contiene minerali e vitamine utili a riportare in uno stato di equilibrio l’organismo. Altro rimedio “noto” è la liquirizia, potente alleato grazie al suo contenuto di glicirrizina (da cui deriva l’acido glicirretico) e di alcuni flavonoidi. Rispetto all’aloe presenta alcune controindicazioni importanti: su tutte l’azione di innalzamento della pressione sanguigna, un rischio per i soggetti affetti da ipertensione. È possibile masticarne qualche radice o acquistare starne alcune soluzioni in compresse o decotto in erboristeria. Sarà utile anche nel combattere nau- - 17 - sea, mal di gola e afte. Azione lenitiva e calmante per le mucose gastriche quella garantita dalla malva o Malva sylvestris. Ottima tisana realizzata con questa pianta, disponibile già pronta in erboristeria. Altri rimedi che possono aiutare contro il reflusso gastroesofageo sono il bicarbonato di sodio, le patate, le carote e lo yogurt. Questi alimenti intervengono in caso di acidità di stomaco per limitarne gli effetti e ridurre il possibile disagio. Il primo in particolare rappresenta una soluzione “tampone”, da utilizzare solo al momento della manifestazione del disturbo. Considerato il ruolo di primo piano che una corretta alimentazione gioca nella prevenzione di molti disturbi è utile ricordare l’impor-tanza di una dieta equilibrata e ricca di frutta e verdura. Alcune distinzioni sono però rilevanti e devono essere tenute nella dovuta considerazione. Andranno limitati i consumi di frutti e verdure che possono aumentare i livelli di acidità nello stomaco come ad esempio limoni (agrumi in generale) e i pomodori, così come cibi e bevande quali il caffè, gli alcolici (se possibile da evitare), i fritti, piatti troppo grassi o speziati. Utili invece infusi come la camomilla, ad azione antispasmodica e rilassante, utile ad abbassare i livelli di stress. Consigliate in questo caso anche valeriana, melissa e passiflora. Un piccolo consiglio infine per le ore notturne: chi soffre di questo disturbo è bene che riposi con la testa leggermente sollevata rispetto allo stomaco, nell’ordine dei 15-20 centimetri. Questo ridurrà i possibili disagi notturni e aumenterà le possibilità di un sonno tranquillo e ristoratore. Ξύλον αγκύλον οδέποτ' ορθόν Un legno storto non sarà mai dritto ____________ Galeno di Pergamo (medico greco - 129 – 216), Antropos in the world I GRANDI PENSATORI: a cura di Andropos Wittegenstein Bertrand Russell lo ha descritto come "il più perfetto esempio di genio che abbia mai conosciuto: appassionato, profondo, intenso, e dominante". Ludwig Wittgenstein nacque a Vienna il 26 aprile 1889 da Karl Wittgenstein, un ma-gnate dell'industria siderurgica dell'appena nata borghesia austriaca, e Leopoldine Kalmus, ultima di otto fratelli. I nonni paterni, Hermann Christian e Fanny Wittgenstein, immigrati dalla Sassonia, erano ebrei convertiti al pro-testantesimo; sebbene la madre di Ludwig fosse, di famiglia, per metà ebrea, i giovani Wittgenstein vennero cresciuti, blandamente, nella religione cattolica. Entrambi i genitori, inoltre, erano appassionati di musica[1]. Ludwig era l’ultimo di cinque fratelli e tre sorelle. Studiò fino ai 14 anni privatamente, poi frequentò per 3 anni la Realschule a Linz, una scuola statale che oggi definiremmo a indirizzo tecnico-meccanico (fu nella stessa scuola con Adolf Hitler, coetaneo ma due classi indietro). Studiò ingegneria dal 1906 al 1908 a Berlino e dal 1908 al 1912 a Manchester Benché fosse cresciuto a Vienna e avesse rivendicato per tutta la vita le proprie origini austriache, il nome di Wittgenstein è legato specificamente agli ambienti inglesi del Trinity College di Cambridge, dove egli studiò e collaborò subito attivamente con Bertrand Russell, dal 1911 al 1914, e dove ritornò nel 1929 per continuare le sue ricerche. Isolatosi sui fiordi norvegesi, per più d'un anno, allo scoppio della Prima guerra mondiale s'arruolò volontario nell'esercito austriaco come soldato semplice in fanteria, quindi successivamente venne promosso ufficiale di artiglieria:combatté sul fronte russo e su quello italiano, dove si guadagnò diverse onori-ficenze e medaglie al valore militare. Venne infine imprigionato presso Trento nel 1918 e internato per qualche tempo a Cassino in un campo di prigionia sito in prossi-mità della frazione Caira, per rientrare infine in Austria nel 1919 dove, influenzato dal cristianesimo di Lev Tolstoj e in particolare da "I Vangeli" dell'autore russo, si liberò della cospicua eredità paterna (il padre era morto nel 1912); dicendo che il denaro corrompe, lo diede alle sorelle già corrotte, e decise di vivere per sempre senza inutili orpelli, vestendo decorosamente ma con estrema semplicità, tra pochi mobili essenziali e nessun oggetto che non fosse strettamente utile. I suoi primi scritti sono profondamente influenzati dai lavori sulla logica dello stesso Russell, di Alfred North Whitehead e del logico tedesco Gottlob Frege, ma anche dalle opere di Schopenhauer e di Moore, oltre che, anche se in apparenza solo superficialmente, da Nietzsche. Appena pubblicato, il Tractatus logico-philosophicus, diventò punto di riferimento per il Circolo di Vienna al quale il filosofo austriaco non aveva mai aderito ufficialmente, pur frequentandolo, criticandone i fraintendimenti della sua opera. Il pensiero di Wittgenstein ha profondamente influenzato lo sviluppo della filosofia analitica (in particolare la filosofia del linguaggio, la filosofia della mente e lateoria dell'azione) e gli sviluppi recenti della cosiddetta filosofia continentale. La sua opera ha avuto una certa eco anche oltre la filosofia strettamente intesa, in campi quali la teoria dell' informazione e la cibernetica, ma anche l'antropologia, la psicologia e altri settori delle scienze umane. Wittgenstein è stato un pensatore anomalo per vari motivi (per la personalità, la condotta di vita, l'avversione alla filosofia tradizionale, il carattere spesso criptico ed enigmatico dei suoi scritti, il lungo silenzio), e la sua opera è oggetto di continue reinterpretazioni, spesso differenti tra loro). Lo stesso titolo della sua opera, l'unica pubblicata dall'autore, può essere frainteso; significa che l'interesse è logico in una dimensione prioritaria. Infatti Wittgenstein rifiutò titoli consimili come logica filoso-fica, intendendo affermare una priorità assoluta della logica e, insieme, l'idea che la logica è essenzialmente filosofica (si tenga conto che in quegli anni la logica aveva assunto valore matematico, soprattutto con Russell, Peano e Frege) e come tale non ha bisogno dello specifico aggettivo. Nel testo tuttavia, data la sua complessità, Wittgenstein non si limita alla architettura logica (atomismo logico) come soluzione definitiva del rapporto tra il piano reale fenomenico e il piano linguistico, individuando appunto nella necessità di una struttura logica una matrice comune. Soprattutto nella parte conclusiva del Tractatus, Wittgenstein rende manifesto l'imbarazzo in cui la filosofia si trova nel tentativo dire qualcosa come "quale sia il senso del mondo" poiché sarebbe impossibile ricercare entro i limiti del mondo stesso, definiti dal linguaggio, un qualche senso. Nella proposizione 6.41 del tractatus Wittgenstein scrive: "Il senso del mondo dev'essere fuori di esso. Nel mondo tutto è come è, e tutto avviene come avviene; non vi è in esso alcun valore - né, se vi fosse avrebbe un valore..." L' analiticità estrema del filosofo sono le cause di molte incomprensioni di questa grande opera che, a differenza delle altre pubblicate dagli eredi non è affatto equivoca. Il metodo di numerazione di ogni gruppo di proposizioni rende l'interpretazione facile rispetto alle opere pubblicate postume, le quali spesso oscillano nella metodologia di presentazione dei frammenti. Tale difficoltà ha contribuito a creare una immagine oracolare e misteriosa del filosofo con tentativi esistenziali o pato-logiche di spiegazione, come,ad esempio, la sua omosessualità ocirca la eventuale presenza di una Sindrome di Asperger, una forma di autismo ad alta funzionalità. Prima di perdere conoscenza, nel giorno della sua morte, il 29 aprile del 1951, sussurrò ai presenti: "Dite a tutti che ho avuto una vita meravigliosa". - 18 - Antropos in the world QUANTI L’AVEVANO CAPITO? UKRAINA: UN’ALTRA AGGRESSIONE TRAVESTITA DA “RIVOLUZIONE” Si fa presto a dire “Ukraina”. Qui, in Europa Occidentale, non abbiamo nemmeno idea di cosa sia questo grande Paese e di quanto complessi, articolati, difficili siano i suoi assetti politici, etnici, linguistici, culturali e religiosi. Solamente per dare un’idea, dirò che si tratta del secondo più vasto Stato europeo (dopo la Russia e prima della Francia) ma con una popolazione di soli 47 milioni di abitanti, molto inferiore a quella dell’Italia. Già appartenente all’Impero zarista “di Tutte le Russie” e poi all’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche, è diventata indipendente dopo lo sfaldamento dell’URSS, ma mantenendo con la Federazione Russa un rapporto di amicizia filiale e di dipendenza economica (come la Bielorussia ed al contrario delle Repubbliche Baltiche). Il motivo di questa particolare vicinanza era ed è di natura etnica: gli ukraini ed i bielorussi sono popolazioni di razza e di lingua slavo-orientali, ed appartengono quindi allo stesso ceppo dei russi. L’Ukraina, dunque, rientra naturalmente nella “sfera” politica di Mosca. Ed è – aggiungo – strettamente integrata in quella sfera anche sotto l’aspetto economico, giacché per l’approvvigionamento energetico dipende totalmente dal gas russo, fornito a credito ed a prezzi di assoluto favore. Ma le particolarità non si fermano qui. L’Ukraina, infatti, non è una nazione omogenea: divisa praticamente in due dal fiume Nipro – che la percorre verticalmente fino allo sbocco nel Mar Nero – le tre macroregioni risultanti sono delle realtà completamente diverse dal punto di vista etnico e linguistico: la regione orientale e quella meridionale hanno una popolazione composta in maggioranza da russi e da ukraini russofoni (cioè “locutori” della lingua russa); la regione occidentale è, invece, in grande maggioranza ukraina ed ukrainofona. Questa diversità etnico-linguistica ha segnato e segna tutta la storia dell’Ukraina: da sempre l’Ukraina orientale è stata filorussa; e da sempre l’Ukraina occidentale è stata filotedesca (filonazista durante la seconda guerra mondiale) ed oggi anche filoamericana. Naturalmente, le divisioni non sono nette: c’è più o meno un 25% di russofoni nella regione centro-occidentale, ed altrettanti ukrainofoni in quella centro-orientale; ci sono coloro – e non si sa esattamente quanti – che usano il surzik, una “lingua parlata” abbastanza diffusa e che è un misto di russo e di ukraino; poi ci sono ancora altri casi particolari, come quello della Repubblica Autonoma di Crimea, che è sostanzialmente un pezzo di Russia aggregato artificialmente all’Ukraina; o come quello del territorio al confine con la Slovacchia – l’ex Rutenia cecoslovacca – abitata da una comunità etnico-linguistica particolarmente connotata, che rappresenta circa il 12% della popolazione dell’intera Ukraina. 2 - COSA SUCCEDE IN UKRAINA Orbene, gli equilibri politici ed i responsi elettorali sono figli di queste specificità ed hanno – nelle varie consultazioni – disegnato un Paese spezzato praticamente in due, ma con una leggera prevalenza di coloro che privilegiano lo storico legame con la Russia rispetto ai sostenitori di uno spostamento “a occidente”: verso l’Unione Europea, o forse – sostanzialmente – verso la Germania e gli USA. Volendo semplificare al massimo, dirò che i principali partiti ukraini sono i seguenti: il Partito delle Regioni (trasversale e filorusso, guidato da Viktor Janukovyč), Ukraina Nostra (conservatore e filooccidentale, guidato da Viktor Juščenko), Blocco Yulija Tymošhenko (senza specifica connotazione, ma oggi subentrato ad Ukraina Nostra nella rappresentanza delle tendenze filooccidentali). Sempre schematizzando, i due schieramenti che si fronteggiano adesso fanno capo rispettivamente al defenestrato Presidente della Repubblica, Janukovyč, ed alla Tymošhenko, leader del Blocco che da lei prende nome ed oggi Presidente in pectore dell’Ukraina “rivoluzionaria”. I due sono rispettivamente il vincitore e la perdente delle elezioni presidenziali del 2010, ed hanno – malgrado tutto – numerosi punti in comune. Entrambi di origini “meticce” (il primo è di padre bielorusso, la seconda di padre ebreo-lèttone), entrambi di formazione comunista, entrambi politici di rango nell’era postcomunista, entrambi – infine – arricchitisi fulmineamente negli ultimi decenni. Entrambi, si badi bene. Non soltanto il Presidente Janukovyč, di cui la televisione ha mostrato la lussuosissima dimora, sulla scia di un copione sperimentato (e saggiamente ispirato) durante le “primavere arabe” per sollecitare l’indignazione popolare contro i potenti in fuga. Non soltanto Janukovyč – dicevo – ma anche e certamente di più la sua diafana concorrente. Yulija Tymošhenko, infatti, partendo da una modesta posizione di funzionario del settore energetico pubblico – in epoca sovietica – ha poi gradualmente costruito un privatissimo “impero del metano”, portando avanti in parallelo carriera politica ed affari, e diventando più o meno contemporaneamente Primo Ministro e – come è soprannominata – “Principessa del Gas”. Dopo di che, ha costruito la sua immagine: si è fatta bionda (in realtà è bruna come una hawaiiana), ha adottato un’acconciatura di stile ultra-tradizionale, e si è atteggiata a “vittima del regime” (con tanto di sedia a rotelle) quando è stata incarcerata per un affare di interessi privati nella importazione di gas. I fatti di questi ultimi giorni sono noti: quando il Presidente Janukovyč ha rifiutato di firmare un accordo di - 19 - Antropos in the world “associazione” all’Unione Europea, una folla di dimostranti si è riunita “spontaneamente” (???) per reclamare la firma del trattato associativo e, successivamente, un cambio di governo e le dimissioni del Presidente della Repubblica; Governo e Presidente – giova ricordarlo – erano espressione non di una dittatura di stampo arabo, ma di una procedura democratica di tipo occidentale. La “protesta pacifica” – sotto una precisa regìa – si è rapidamente trasformata in rivolta, con tanto di infiltrati (ma sarebbe più esatto parlare di manovratori) dotati di elmetti ed armi da fuoco, con tanto di assalti cruenti contro i cordoni della polizia, con tanto di occupazioni di edifici pubblici e di sedi di Ministeri. La tappa successiva era – sempre secondo lo sperimentato copione delle primavere arabe – l’indignazione sincronizzata di USA, UE ed ONU, che accusavano l’aggredito Janukovyč di essere l’aggressore e gli rimproveravano una “repressione feroce” delle mansuete manifestazioni di dissenso. I risultati di tutto ciò sono noti: Janukovyč costretto a lasciare, il ritorno della sconfitta Tymošhenko (ad onta dei risultati elettorali) e la reazione della Russia. Questa si è ripresa intanto la penisola di Crimea (regalata da Krusciov all’Ukraina nel 1954), nell’attesa di regolare poi la questione degli altri territori ukraini a maggioranza russa. 3 - COME SI È GIUNTI ALLA CRISI IN UKRAINA Quel che sta avvenendo in Ukraina (e ciò che da queste vicende potrebbe discendere) è parte di un gioco assai più vasto, che si dipana su vari scacchieri; ivi compreso quello dell’Unione Europea. Non è un caso che tra i finanziatori delle varie “rivoluzioni colorate” che da un paio di decenni sono state messe in atto per destabilizzare varie regioni del globo, non è un caso – dicevo – che tra costoro si trovino certi miliardari “filantropi” statunitensi che sono diventati ancor più miliardari – si può dire? – manovrando le leve della speculazione finanziaria contro alcuni Paesi europei, a incominciare dal nostro. Questo, tuttavia, è un discorso che ci porterebbe troppo lontano; e chi scrive non ha certamente la presunzione di esaurire in poche righe i molti e complicatissimi retroscena (da quello dei gasdotti a quello dello “scudo spaziale” americano) che sono a monte della vicenda ukraina. Voglio soltanto sottolineare un aspetto, e cioè che l’odierno caso dell’Ukraina si pone in continuazione diretta con altri due episodi risalenti al 2008, quello del Kosovo e quello della Georgia. Il Kosovo – si ricordi – era una Provincia autonoma, appartenente ad uno Stato sovrano, la Serbia, ma abitata da una popolazione di etnìa albanese. Così come la Crimea – e la simiglianza balza agli occhi – è una Repubblica autonoma, appartenente ad uno Stato sovrano, l’Ukraina, ma abitata da una popolazione di etnìa russa. Ebbene, allora gli Stati Uniti pilotarono l’indipendenza del Kosovo e la imposero praticamente agli alleati europei, senza alcun riguardo per l’integrità dello Stato sovrano serbo. Il sottoscritto – in un articolo per la rivista “ Storia in - 20 - Rete” – ebbe allora a commentare: «il pericolo della strana dichiarazione d’indipendenza kosovara, voluta dagli americani, è proprio questo: la destabilizzazione degli assetti europei, un precedente devastante, un prevedibile effetto “domino” che potrà investire non soltanto la Russia (come è evidente) ma anche altri Paesi europei dell’est e dell’ovest, fomentando separatismi e terrorismi dal Caucaso alla penisola iberica». E puntualmente, nell’agosto successivo, la seconda tessera del “domino” veniva mossa nel Caucaso. La Georgia, governata dal filoamericano Saakashvili, aggrediva due suoi territori autonomi a maggioranza etnica russa – l’Ossezia del Sud e l’Abkazia – con l’intento di attuarvi una radicale pulizia etnica. La Russia interveniva, liberava le due repubblichette autonome e le sottraeva alla potestà dello Stato sovrano georgiano. Era una ripetizione, quasi alla lettera, di quanto sei mesi prima era avvenuto in Kosovo. Con in più un supplemento di ipocrisia degli USA, che tentavano di far passare gli aggressori per aggrediti, e viceversa. In realtà, Putin aveva semplicemente difeso una popolazione russa dalla minaccia di una crudele pulizia etnica. E veniamo all’affare dell’Ukraina e della Crimea. Che cosa pretenderebbero adesso gli americani? Sono stati loro – per primi – a provocare la secessione di un territorio etnicamente a sé stante dallo Stato sovrano di appartenenza. E quando lo fa Putin (in Crimea come ieri in Ossezia) “non ci giocano più”? Ragazzini viziati, pieni di soldi e di missili, ma che credono di giocare sempre a “indiani e cow-boys”. Piuttosto, c’è da sperare che continuino a giocare, senza lasciarsi prendere la mano. Se continuassero a soffiare sul fuoco ukraino, la guerra potrebbe divampare in men che non si dica, e coinvolgere mezza Europa. Scommetto che qualche imbecille sogna già di far intervenire la NATO. Per esportare la democrazia in Crimea. Michele Rallo Un’attivista Femen prima dell’arresto, mentre protesta contro Putin davanti al quartier generale della Ue. Antropos in the world DALLA REDAZIONE DI BERGAMO: VARIE IL MERCATO DI ARTICOLI RELIGIOSI A BERGAMO vendita negli ultimi tre anni. Emerge da un’elaborazione della Camera di commercio di Milano e della Camera di commercio di Monza e Brianza su dati del registro imprese negli anni 2013 e 2010. Una bella foto ricordo: LA PREMIAZIONE DEL 28/02/14 con i protagonisti del Festival Letterario Città di Bergamo, V edizione. In abito scuro, la Professoressa Maria Imparato, nostra redattrice-capo, vincitrice del Premio, per la categoria “insegnanti”, come già abbiamo avuto modo di dire nella precedente numero della Rivista. Il mercato degli articoli religiosi, in particolare a Bergamo, non conosce la crisi. Dalla classica icona da appendere in casa, all’angioletto colorato per la stanza dei bambini; dai prodotti dei monasteri, ai rosari, dai candelieri alle statuette in marmo o alabastro: sono solo alcuni degli oggetti o idee regalo che si possono trovare nei quasi 700 negozi italiani tra sedi e unità locali, specializzati nella vendita di articoli religiosi e arredi sacri. Le imprese, infatti, sono in crescita del 4% rispetto al 2010 in Italia e anche in Lom-bardia. In Lombardia le imprese e unità locali sono 50, di cui 16 a Bergamo e 15 a Milano. Trattasi di piccole attività, con 1200 addetti in Italia, di cui 66 in Lombardia. La regione più specializzata (con 132 imprese e 172 addetti è la Campania ). Ma tra le province Roma è in testa con 90 imprese. Seguono Napoli con 48, Ca-serta e Foggia con 34 e Bari con 29. Tra le prime 20 per numero di sedi sono due le lombarde: Bergamo, terra di origine di Papa Roncalli, al 10° posto e Milano al 13°. Anche a Roma Crescono le imprese, 12 in più in tre anni, mentre, in Lombardia con Bergamo è Monza a crescere di più, con due nuovi punti - 21 - Il ciclista di Cinisello Balsamo, Aldo Ro-mani, giovedì mattina 17 aprile, è caduto batten-do violentemente la testa sull’asfalto. Il casco protettivo si è rotto per la botta e l'uomo ha perso la vita. Un dramma che si è trasformato in generosità, con l'atto d'amore della famiglia del settantenne, che ha deciso di dare l'assenso per la donazione degli organi. I reni sono stati asportati all'ospedale di Lecco, mentre il fegato a Bergamo. Due compagni dello sfortunato ciclista, pur coinvolti nella caduta, non hanno riportato danni. Antropos in the world DON OTTAVIO Di Egidio Siviglia I compagni di scuola e i soci del circolo ricreativo erano tutti sposati, solo Ottavio non aveva ancora dato l’addio al celibato e gli amici, più di una volta, gli ricordavano: “Ottavio è ora di decidere, perché il tempo ci consuma e se si resta soli non si sa mai cosa ci riserva la vita”. Il consiglio fu ripetuto più volte, molto spesso in termini gravi e talora canzonatori. Vuoi che si tratti di un consiglio, vuoi che si parli per celia, Ottavio pensò seriamente ad accasarsi. Non gli mancava niente: ultimo erede della borghesia benestante, di bell’aspetto e di un brillante modo di esprimere qualsiasi concetto in lingua italiana. Gli amici, confidenzialmente lo chiamavano per nome, ma la gente comune gli si rivolgeva con rispetto e: “Don Ottavio buongiorno …don Ottavio le posso chiedere qualcosa …don Ottavio mi scusi se oso chiedere il suo illuminato parere …”. Le ragazze lo guardavano con ammirazione e, segretamente, nel loro intimo, costruivano dorati sogni e vagheggiavano un proprio futuro progetto. Dagli sguardi si passò a situazioni di fatto. Un giorno, Ottavio si recò dal macellaio per l’abituale spesa settimanale e, nell’attesa, un amico ripetette il solito ritornello: “Ottavio, a quando le nozze?”. Prima che Ottavio potesse dire qualcosa, un’attempata signora sorrise compiaciuta per la simpatica iniziativa; e l’amico incalzò: “Vedi Ottavio, c’è solo l’imbarazzo della scelta, la signora qui presente ha due belle figliole alle quali madre natura non ha negato niente”. Ottavio, per niente sorpreso, manifestò il suo recondito compiacimento, perché tra tante fantasie l’avvenenza delle ragazze, figlie della signora, non occupavano l’ultimo posto. L’occasione fu propizia e la signora, divenne un ottima ruffiana che si adoperò ad attrarre il giovane Ottavio. Il fidanzamento avvenne in pochi giorni e in meno di un anno Ottavio sposò una delle due graziose fanciulle. Aveva don Ottavio una splendida casa, costituita da due unità abitative nelle quali trovarono una comoda sistemazione, sia Ottavio e la moglie, sia la signora suocera, con la figlia ancora nubile. Erano indipendenti e nessuno spaziava nella vita privata dell’altro; solo di domenica pranzavano insieme. Dopo un ragionevole lasso di tempo, la coppia, oramai felice, si rese conto che c’era qualche intoppo per l’attesa di un erede; come avviene ordinariamente fecero ricorso ai medici. Ma, ahimè, nessuna soluzione al problema. Ogni domenica quando si incontravano per il pranzo, la signora suocera non sciupava nessuna occasione per mortificare quel brav’uomo, perché ritenuto responsabile dell’insuccesso matrimoniale. Col passare del tempo, le maldestre insinuazioni divennero un offensivo ritornello: “Tutta colpa tua se mia figlia è infelice … sei invecchiato prima del tempo … se sapevi di essere impotente, perché ti sei sposato … “. Simili cose rendevano sempre più taciturno il povero Ottavio che, per educazione e per rispetto, non voleva essere scortese con la suocera e non voleva neppure recare dispiacere alla consorte. Dopo qualche mese, la suocera si rese conto che la figlia nubile mostrava i segni di qualcosa che poteva somigliare ai sintomi della gravidanza e, quando la sospettosa e guardinga signora ebbe certezza del suo sospetto, incominciò un nuovo ritornello: “Figlia mia, dimmi la verità, ma com’è possibile che sei incinta? Non vai a messa, non esci per le commissioni, non frequenti nessuno … perché non ti confidi con tua madre, ho il diritto di sapere …”. Niente. Nessuna risposta. Una domenica, durante il rituale pranzo festivo, il discorso occupò buona parte della nuova situazione, ma il ritornello si ripetette secondo il solito schema e con l’aggiunta: “Non si può pensare a nessuno, perché la casa è frequentata solo da Ottavio, che è impotente, dunque, come si spiega?”. A questo punto Ottavio non ne poté più ed esclamò: “Signora madre se bisogna trovare un colpevole l’unica persona che deve essere incriminata è proprio lei, perché, la Claretta, - così si chiamava la ragazza - stanca della sua splendida solitudine, segretamente innamorata del sottoscritto, sicura della mia falsa impotenza, si è lasciata andare. Se le cose sono a questo punto non si può incolpare se non lei.” Le vie della maldicenza, anche quando non conducono alla meta, trovano uno sbocco nel traffico e approdano al mercato della cattiveria. La signora suocera, dopo la prima sensazione di sconfitta, continuò con ulteriori insulti all’odiato Ottavio. “Vergogna, … immorale e fedifrago … hai offeso l’onore del tuo talamo, hai distrutto il candore di tua cognata. Il trofeo della tua rivalsa a che cosa è servito?”. Ottavio contenne la sua rabbia e, alla fine, con tristezza e con tono pacato, disse: “ Ho avuto torto prima perché accusato di impotenza, poi perché sono immorale e … in seguito non credo che la vita mi conceda gesti di clemenza, perché comunque la via dell’odio non conosce la pietà”. - 22 - Antropos in the world DA NEW YORK LUTTO NEL MONDO DEL CINEMA PER LA MORTE DI Michey Rooney Cristina Fontanelli ci invia una sua foto con Michey Rooney, scomparso il sette aprile scorso, alla bella età di noveantatré anni. Un talento precoce, quello di Michey, pseudonimo di Joseph Yule, che inizia da bambino. L'esordio, infatti, è a soli due anni in alcuni spettacoli con il padre. Tra le sua interpretazioni più celebri "Capitani coraggiosi", del 1937 e "La città dei ragazzi" (19-38) dove recitò come coprotagonista con Spencer Tracy. Nel 1939 riceve la nomination all'Oscar per il film "Ragazzi attori". Negli anni 60 è invece lo scorbutico giapponese Yunioshi in Colazione da Tiffany (1961). ritrova Spencer Tracy nella commedia "Questo pazzo pazzo pazzo pazzo mondo" (1963). La sua ultima apparizione sul grande schermo risale al 2006 quando interpretò il guardiano notturno nel film "Una notte al museo". Nella carriera dell'attore americano anche il teatro e le serie televisive. Negli anni 50 è il protagonista della sit-com Mickey Rooney Show per poi essere la guest star di molte serie televisive. Un grande attore con una vita privata molto intensa. Mickey Rooney si è sposato 8 volte: la prima moglie è stata Ava Gardner. Rooney, nato da una coppia di artisti di Vaudeville, salì sul palco all'età di quindici mesi. Nel 1922, i suoi genitori divorziarono e sua madre si trasferì a Holly-wood con il suo giovane figlio. Ha fatto il suo debutto cinematografico a sei anni, nel ruolo di un nano che fuma un sigaro. A Walt Disney è piaciuto il suo carattere, tanto che ha chiamato il suo topo cartoon "Topolino". Il giovane ragazzo cambiò il suo nome in Mickey Rooney e a 14 anni è apparso come Puck in "Sogno di una notte di mezza estate". Ha continuato, con grande notorietà, con la serie Andy Hardy. È stato nominato agli Oscar per le sue interpretazioni in "Babes in Arms", 1939, "la comme-dia umana", nel 1943 e "The Bold and the Brave" nel 1956. La sua carriera è andato in declino quando è tornato al lavoro dopo il servizio militare in WW II. Nel 1948, ha chiesto di diventare un free agent a Hollywood. Dall 1956, ha lavorato nel settore dello spettacolo per 33 anni, producendo 152 film, guadagnando più di 600 milioni di dollari, ma riuscendo a salvare pochissimo. Ha scritto due autobiografie, "cioè", nel 1965 e "La vita è troppo breve" nel 1991. Ha recitato nella serie "Le avventure di Black Stallion" nei primi anni '90. Ha lavorato nella produzione di Toronto di "Crazy for You" nel 1995. Rooney ha incontrato la sua prima moglie, Ava Gardner sul set di "Babes In Arms". Si sono sposati nel 1942, in Ballard, divorziando un anno dopo, nel 1943. Mentre Rooney stava servendo nell'esercito, ha incontrato reginetta di bellezza Betty Jane Rase, una signorina di Birmingham, Alabama. Si sono sposati nel 1944 e hanno prodotto due figli, Mickey Jr. e Timothy. Rooney e Betty divorziarono nel 1948 e la successiva sentire ha sposato l'attrice Martha Vickers. Ha divorziato dalla sua terza moglie nel 1951, sposando l'ex modella, Elaine Mahnken, nel 1952, soppiantandola con la sua quinta moglie, la reginetta di bellezza Barbara Ann Thomason, che sposò nel 1958. Ha sposato la migliore amica di Barbara, Marge Lane, nel 1967 per 100 giorni. Nel 1969, sposò Carolyn Hockett e hanno divorziato nel 1974. Rooney incontrò e sposò la sua ottava moglie, Jan Chamberlin nel 1978. Ora, aveva ben 11 figli da mantenere. Con l'aiuto della sua ottava moglie, Rooney supera la dipendenza dall’ alcool e dalgioco d'azzardo sui cavalli da corsa. Rooney lascia dietro di sè un’eredità artistica immensa che include interpretazioni memorabili come quelle in “Capitani coraggiosi” e “La città dei ragazzi”, una nomination all’Oscar per il film Ragazzi attori e due statuette onorarie, che hanno segnato due tappe fondamentali della sua longeva carriera, l’Oscar giovanile ricevuto a diciannove anni come talentuosa promessa e uno alla carriera, ricevuto nel 1983, a siglare una carriera leggendaria. - 23 - Antropos in the world STORIA DELLA MUSICA - A cura di Ermanno Pastore MAURICE RAVEL Ciboure, 7 marzo 1875 – Parigi, 28 dicembre 1937 Maurice Ravel nacque nei pressi di Ciboure il 7 marzo del 1875, nella regione basca francese, ai confini con la Spagna. Suo padre, Joseph (1832-1908), era un apprezzato ingegnere civile, di ascendenza svizzera e savoiarda Ravex. Sua madre, Marie Delouart Ravel (1840-1917),era di origine basca, discendente di una vecchia famiglia spagnola Deluarteo Eluarte. Ebbe un fratello, Édouard Ravel (1878-1960), con cui mantenne durante tutta la vita una forte relazione affettiva. All'età di sette anni, Ravel iniziò a studiare il pianoforte al Conservatorio di Parigi. Durante i suoi studi a Parigi, Ravel incontrò e frequentò numerosi compositori giovani, e innovativi, che usavano chiamarsi Les Apaches per la loro vita sregolata. Studiò musica con Gabriel Fauré per quattordici straordinari anni. In questo periodo, Ravel provò diverse volte a vincere il prestigioso premio Prix de Rome, inutilmente. Dopo uno scandalo che implicò anche la mancata assegnazione del premio a Ravel, Maurice abbandonò il conservatorio. Questo incidente comportò anche le dimissioni del direttore del conservatorio. Ravel fu influenzato da diversi stili musicali legati a diverse parti del mondo: il jazz americano, la musica asiatica e le canzoni popolari tradizionali di tutta Europa. Maurice non fu religioso: non gli piacevano i temi di carattere spiccatamente religioso degli altri compositori, come Richard Wagner, e preferiva studiare la mitologia classica per ispirarsi. Durante la Prima guerra mondiale non poté essere arruolato per la sua età e la salute debole: diventò un autista di ambulanza. Tra i suoi pochi allievi si ricordano Maurice Delage e Ralph Vaughan Williams. Nel 1932 Ravel fu coinvolto in un incidente d'auto piuttosto grave a seguito del quale la sua produzione artistica diminuì sensibilmente. Colpito da ictus all'emisfero sinistro del cervello, non fu più in grado di leggere la musica, ma poté continuare a dirigere l'orchestra. A causa di un'atrofia cerebrale, le sue condizioni peggiorarono inesorabilmente fino al 1937 quando, il 18 dicembre, fu operato alla testa. L'intervento non ebbe alcun esito e Ravel morì dieci giorni più tardi, lasciando a tutti un ricordo di lui come un musicista appassionato. Politicamente era socialista, amico di Leon Blum, Presidente del Consiglio francese tra il 1936 e '38, e assiduo lettore del quotidiano "Le Populaire". Ad una prima impressione, fu influenzato da Debussy, ma in realtà Ravel fu ispirato anche dalla musica russa e spagnola, e dal jazz degli Stati Uniti, come si evidenzia dal movimento intitolato Blues della sua sonata per violino e pianoforte e dal clima del Concerto per pianoforte per la mano sinistra, dedicato al pianista Paul Wittgenstein mutilato in guerra. Maurice Ravel è considerato impressionista al pari di Debussy, ma anche imitando lo stile di altri, il carattere tipico delle composizioni di Ravel rimane evidente. Nell'anno 1928 Ravel affermò che "la maggiore paura dei compositori americani è quella di trovare in se stessi strani impulsi al distacco dalle regole accademiche: a questo punto i musicisti, da buoni borghesi, compongono la loro musica secondo le regole classiche dettate dalla tradizione europea". Quando il compositore americano George Gershwin incontrò Ravel, gli parlò del desiderio di studiare, se possibile, con il compositore francese. Quest'ultimo rispose: "Perché dovresti essere un Ravel di secondo livello quando puoi essere un Gershwin di primo livello?" Alcuni appunti e frammenti confermano l'influenza che la musica basca ebbe sul compositore. Ravel commentò che André Gedalge, il suo professore di contrappunto, fu fondamentale per lo sviluppo delle sue qualità compositive. Ravel studiò con grande perizia e meticolosità le possibilità espressive dei singoli strumenti, per poterne determinare gli effetti: fu questa la caratteristica che permise il successo delle sue trascrizioni per orchestra, sia delle sue composizioni per pianoforte sia di quelle degli altri compositori. Il suo brano più celebre per orchestra è certamente Boléro. Molto nota è anche l'orchestrazione, realizzata nel 1922, dei Quadri di un'esposizione di Modest Mussorgsky. Egli stesso descrisse il suo Boléro come "una composizione per orchestra senza musica". Le orchestrazioni di Ravel sono da apprezzare in modo particolare per l'utilizzo delle diverse sonorità e per la complessa strumentazione. - 24 - Antropos in the world POLITICA E NAZIONE ME LO DAI UN CHISS? Ovvero il pensiero spicciolo della gente comune Nessuno vuole imporre un italiano “asettico”, perché l’uso di termini altre lingue rientra in un più ampio discorso culturale. Tra l’altro, come lo si potrebbe evitare in questo clima di globalizzazione? Pare però assurdo mascherare limitatezze intrinseche alla propria competenza linguistica, riempendo le proprie conversazioni con termini che, spesso, non si è in grado neppure di pronunciare. La televisione, che purtroppo è ormai la prima agenzia formativa per i nostri giovani, più della stessa scuola e della stessa famiglia, sta distruggendo la nostra lingua, con l’aiuto della stampa, la politica e la pratica burocratica. Così, il Presidente è oramai il “premier”, il biglietto è divenuto “tiket”, lo stato sociale “welfare” e seguono, di poi, time, badge, day ospital, election day, Jobs act, spending review e così via, fino alla completa rottamazione della nostra identità linguistica. Come mai che tutti coloro che hanno potere decisionale (politica, giornalismo, apparati burocratici ed altro) non si rendono conto, che la ostinata ostentazione di questa “disinvoltura cosmopolita” ci sta veicolando verso un impoverimento della lingua italiana, ed alla perdita della nostra identità culturale? Bisogna rassegnarsi ? Al contrario. Basta guardare gli altri paesi europei dove l’identificazione della propria lingua nazionale è ben difesa. Così, nel mentre che in Italia si ostenta indifferenza, accogliendo integralmente la terminologia anglosassone, nelle altre nazioni questi termini vengono tradotti creando e in alcuni casi, hanno dato vita a neologismi. In Italia, non esiste un organismo che tuteli la nostra lingua e allora c’è la facciamo inquinare con termini, che potrebbero benissimo essere tradotti in italiano. In Spagna, ad esempio, c’è la RAE (REAL ACADEMIA ESPANOLA) che è una Istituzione specializ- zata nel conservare il lessico e la grammatica della lingua spagnola. Se prendessimo esempio dagli spagnoli, avremmo una lingua più pura, considerando anche che l’italiano è una delle lingue più belle del mondo. L’uso di termini stranieri è, peraltro, insidioso, perché questi hanno il brutto vizio di essere scritti diversamente da come si pronunciano e così, anche giornali di tiratura nazionale, come il Cor- - 25 - riere della Sera, è caduto in errore scrivendo Jet Leg (gamba dell’aereo) al posto di Jet Lag (malessere da aereo). La cosa curiosa e preoccupante è che la maggior parte dei termini vengono assimilati, da gran parte degli italiani, con connotazioni diverse da quelle che hanno in origine. Ciò comporta un certo rischio, in quanto vengono penalizzate le comunicazioni tra persone, di diversa provenienza, che si trovano ad esprimere concetti diversi, pur usando la stessa parola. Così, anche quando non è pericoloso, l’abuso di “forestierismi” rischia di essere grottesco. Comunque, il continuo processo di devastazione della lingua italiana comporta un suo progressivo indebolimento, sia quale espressione della nostra nazionalità e sia come coscienza di italianità. Di questo passo, diremo addio alle origine fenicie e greco-latine della nostra lingua, con gran pace di chi l’Italia l’ha distrutta, come la nostra economia, la sovranità del popolo, la banca d’Italia, il batter moneta, il diritto al lavoro ed alla proprietà ed i princìpi della democrazia. Nel frattempo, anche nella comunità europea la nostra lingua è caduta nell’oblio, difatti gli atti della C.E. non vengono più tradotti in italiano, con buona pace di tutti i politici, che hanno accettato ciò, senza protestare. Tuttavia, non sarebbe ancora troppo tardi! Basterebbe riprendere consapevolezza del nostro elevato peso culturale e riportare l’azione educativa ai parametri della scuola italiana tradizionale. MARIO BOTTIGLIERI Antropos in the world PIATTI TIPICI DEL MEDITERRANEO - A cura di Rosa Maria Pastore I PISELLI(parte prima) I piselli, il cui nome deriva dal termine latino pisum sativum è una leguminosa appartenente alla famiglia delle Papilionacee. La pianta, a crescita annuale, è un rampicante i cui frutti sono costituiti da un baccello contenente i semi rotondi e lisci, di un bel verde inconfondibile … il tanto celebrato verde “pisello … I frutti, appena colrti, sono particolarmente teneri e gustosi e rappresentano un contorno ideale per ogni tipo di carne. La coltivazione è particolarmente diffusa in Italia e anche all’estero, nei paesi dai più diversi climi: dai freddi paesi nordici alle torride terre d’Egitto. I semi dei piselli freschi fanno la loro comparsa sul mercato intorno alla primavera per protrarsi sino a settembre; la primizia tuttavia, apprezzata, è costituita dai teneri pisellini primaverili. Valore alimentare e dietetico Il pisello è senza dubbio uno dei legumi che rappresenta meno controindicazioni se, naturalmente, è consumato nei debiti limiti. L’unico inconveniente è rappresentato dalla buccia che, rispetto alla polpa interna, rende questo legume meno tenero e digeribile; il passato di questo legume (crema o purea), risulta di facile assimilazione e agisce beneficamente anche negli organismi più delicati che soffrono di disturbi di stomaco e dell’apparato digerente. La sua composizione chimica rivela una percentuale del 6,5% di proteine, valor questo nettamente superiore alla media normale delle verdure (ma non delle leguminose in genere) anche se non è possibile affermare la sua piena sostituibilità alla carne bovina, inoltre è presente una carta quantità di sostanze minerali quali il fosforo, il potassio, il ferro e lo zolfo. Ricordiamo infine che tali valori rimangono pressoché intatti nei piselli conservati in scatola, i quali sono, di gran lunga, i più consumati nel mondo moderno per la loro praticità, facilità di reperimento e sapore genuino. Le farine e i semi essiccati di tale legume presentano dei valori superiori a quelli normali per la ridotta presenza del’acqua e una maggiore concentrazione del prodotto. Le calorie sviluppate da 100 grammi di prodotto fresco, sono circa 100, 70, se in scatola a 340 circa, se essiccato. Varietà Le varietà dei piselli si distinguono principalmente per la diversità dei semi, di cui riconosciamo quelli di colore verde o bianco, dalla buccia liscia oppure grinzosa. Su tutti, prevale, per la diffusione e coltivazione, il pisello verde a buccia liscia, che anche qui in Italia è facilmente reperibile presso tutti i fruttivendoli nella stagione del raccolto. La coltura dei piselli prevede poi tre differenti tipi di vegetazione, ovvero il tipo nano, semirampicante e rampicante. Possiamo affermare che oggi la quasi totalità dei piselli presenti sul mercato proviene dalla varietà una per la maggiore facilità di coltivazione. Criteri di acquisto Le maggiori qualità ed i maggiori pregi di questo le- - 26 - gume vengono esaltati nel raccolto primaverile: è in questo momento, infatti, che i semi raggiungono la massima tenerezza e un gradevole sapore. Tuttavia non è possibile stabilire, dalla pura e semplice osservazione esterna del baccello, la maggiore o minore appetibilità dei cotiledoni. Si può affermare, in linea approssimativa, che i baccelli meno maturi, ovvero quelli dalla buccia meno scura e fibrosa a più basso contenuto di umidità, sono quelli più ricchi di semi dolci e profumati. Per assicurarsi della tenerezza dei semi, un sistema sicuro è quello di aprire il baccello e staccarne qualche grano: se il peduncolo che tiene uniti i grani al baccello resta attaccato al seme, buon segno; se, contrariamente, non si stacca dal baccello, il pisello quasi sicuramente avrà la buccia dura. Conservazione La stagione più indicata per consumare i piselli è la primavera: i primi raccolti, come si è accennato, offrono il prodotto più prelibato e maggiormente ricercato. Quelli a stagione inoltrata, al contrario, presentano lo svantaggio di essere più corposi ma meno delicati di sapore, e necessitano di una più prolungata cottura. È soprattutto per tale motivo che l’industria conserviera ha messo a disposizione della massaia tale valido contorno in vari tipi di confezioni a lunga durata. La forma più comune di conservazione è la semi-cottura del legume, cui viene successivamente addizionato un liquido o meglio un “brodo” molto spesso aromatizzato, con successiva sterilizzazione. I piselli possono inoltre essere conservati essiccati o disidratati; in questo secondo caso, prima di utilizzarli vanno tenuti in ammollo per più ore in modo da ridar loro la parte idrica perduta. Le preparazioni più indicate per i piselli così conservati sono le puree e le zuppe. Non dimentichiamo poi che questo legume è presente sul mercato anche liofilizzato e surgelato Come si cucinano I piselli giovani, come già ricordato, possono essere crudi ma si possono preparare in modi diversi. La forma più semplice per gustarli rimane naturalmente la lessatura: per questa verdura occorrono circa 5-20 minuti di cottura, a seconda della grossezza ed “età” del pisello che, come abbiamo già visto, è molto importante ai fini gastronomici. Occorre poi ricordare di non superare mai il tempo limite sopraindicato: una cottura prolungata non gioverebbe né migliorerebbe il sapore anche delle varietà più dure. Per lessarli correttamente si deve gettare la verdura quando l’acqua ha già raggiunto il primo bollore: bisogna salare preventivamente e aggiungere, se la si gradisce, una punta di zucchero; i francesi suggeriscono invece qualche fogliolina di menta. La quantità ideale per persona è di circa 400 grammi di piselli non sgranati. Antropos in the world DENTRO LA STORIA, CRITICAMENTE DISCORSO A MARSALA DEL I MAGGIO 2011 “CCA’ NISCIUNO E’ FESSE” Domenica 1° maggio i tre leader di altrettante confederazioni sindacali sono venuti a celebrare la festa dei lavoratori a Marsala. Che cosa hanno detto nelle loro infuocate orazioni i tre moschet-tieri? Tre cose, fondamentalmente: che i sindacati devono essere uniti; che occorre dare più posti di lavoro agli italiani; e che occorre accogliere e dare un lavoro agli immigrati. Orbene, tralasciando il discorso di una unità sindacale che non sembra godere di ottima salute, veniamo agli altri due punti: dare più lavoro agli italiani e contemporaneamente accogliere un numero sempre crescente di immigrati. Siamo d’accordo, siamo tutti entusiasticamente d’accordo… a patto, però, che i tre dell’Ave Maria ci rivelino quale miracolosa ricetta possa produrre un tal prodigio. Perché, cari signori e gentile signora della trimurti sindacale, accà niusciuno è fesso. I termini del problema occupazionale sono fin troppo chiari: i posti di lavoro sono sempre meno, ed ogni elemento straniero (regolare o clandestino) che venga ad occupare un posto di lavoro da noi, lo toglie ad un cittadino italiano. Finiamola con la leggenda metropolitana secondo cui gli immigrati andrebbero a fare soltanto “i lavori che gli italiani non vogliono più fare”. La realtà è che gli immigrati clandestini vanno certamente a svolgere i lavori più umili e peggio retribuiti. Ma, al contempo, gli immigrati più o meno regolari vanno ad occupare non pochi posti di lavoro più ambiti, di quelli che farebbero la felicità di qualsiasi padre di famiglia italiano appena licenziato da una azienda che abbia deciso di “de localizzare” le sue attività in Cina, in Serbia o in Tunisia. E il problema non si ferma al lavoro dipendente, ma investe in pieno ormai il lavoro autonomo ed anche l’attività imprenditoriale. Ve lo dimostro, dati alla mano. Secondo uno studio condotto dalla Fondazione Leone Moressa (una fondazione veneziana benevolmente attenta alle problematiche dell’immigrazione) su dati delle Camere di Commercio, nel 2010 hanno chiuso i battenti 31.000 aziende italiane; nel medesimo anno, apprendiamo dallo stesso studio, si sono registrate 29.000 nuove aziende intestate a soggetti stranieri. In altre parole: l’anno scorso poco più di 30.000 imprenditori italiani sono stati costretti a chiudere, e sono stati rimpiazzati da poco meno di 30.000 imprenditori stranieri. La qualcosa – mi permetto di aggiungere – implica pure che, nella maggior parte dei casi, i dipendenti italiani delle oltre 30.000 imprese italiane si siano trovati senza lavoro; e che, contemporaneamente, le 30.000 imprese a conduzione straniera siano andate ad assumere – come nel loro pieno diritto – dei lavoratori stranieri. Ma non è tutto. Perché un personaggio poli-tico di primo piano (per non fare nomi, Gian-franco Fini) ha recentemente teorizzato che «i figli degli immigrati sono il futuro» e che sarebbe opportuno attribuire automaticamente la cittadinanza italiana – al compimento dell’11° anno di età – a tutti i figli che gli immigrati dovessero decidere di dare alla luce nel nostro Paese. Così ai figli degli italiani non resterebbe – domani – che andare a cercarsi un lavoro in Albania o in Tanzania. - 27 - Antropos in the world NEKNOMINATION: LA MORTE E’ UN GIOCO Cinque ragazzi di età inferiore ai trent’anni morti, migliaia di denunce, numerosi tentativi di “arrestarlo”. No, non stiamo parlando di un pericoloso serial killer, ma di un gioco, anche se si fatica a definirlo tale, che ormai spopola sul web (in particolare sui social network): la Neknomination. Tale gioco, il cui nome si riferisce al collo della bottiglia di birra o superalcolici (“nek” in inglese significa appunto “collo”), consiste nel bere una quantità spropositata di alcool mentre si è ripresi da qualcuno, e nel nominare altre tre persone affin-ché facciano lo stesso entro 24 ore, pena altrimenti la derisione da parte dei loro stessi amici. Il video viene successivamente pubblicato su Youtube o su uno dei vari social network in modo che tutti possano vederlo e tentare di emularne i contenuti. Molti giovani, nella speranza di ottenere una maggiore rilevanza sulla Rete, hanno addirittura reso tale gioco più pericoloso ed anche disgustoso: ad esempio bevendo un’ intera birra a testa in giù con la testa stessa nel water, oppure aggiungendo alla loro dose di alcolici cibo per cani e tanto altro. La diffusione della Neknomination è stata veloce ed inarrestabile, alla pari di un terribile virus, e ad oggi presenta numeri incredibili. Si calcola infatti che circa 35mila giovani vi abbiano già partecipato. Questa cifra però tiene conto solo di coloro che hanno poi pubblicato il video sul web, escludendo invece quelli che, hanno fatto sì la Neknomination, ma hanno preferito tenere per sé, e mostrare solo ai propri amici, il loro video. Ovviamente moltissimi sono stati gli appelli fatti per fermare tale follia, in particolare da parte di tanti genitori preoccupati dal fatto che anche i propri figli potrebbero diventare partecipi di questa. Appelli però che non hanno dato alcun esito, poiché i vari social network si sono rifiutati di prendere provvedimenti, come dichiarato da alcuni dirigenti di Facebook, in quanto tale gioco non comporta alcuna violazione di quelle che sono le regole dei social network stessi. La Neknomination è solo l'ultima delle follie del web. Tre anni fa infatti spopolava il “plan-king”, gioco in cui i giovani si sdraiavano a pancia in giù nei luoghi più pericolosi (come ringhiere di balconi o rotaie), e che causò anch’esso due morti e numerosi feriti in giro per il mondo. Sfortunatamente la Neknomanation è solo attualmente l’ultima follia del web, ma probabilmente lo sarà ancora per poco. Con l’arrivo ormai prossimo dell’estate, infatti, esso sembra destinato a diventare solo un triste ricordo e ad essere rimpiazzato da un gioco altrettanto peri-coloso e, forse, letale. Qualcuno potrà pensare che magari questa sia una visione estremamente pessimistica, ma i fatti parlano chiaro: quasi ogni anno si diffonde tra le nuove generazioni una nuova pericolosa tendenza, tanto è vero che è ormai uso corrente definirle “mode suicide”. Le istituzioni sembrano non dare un peso eccessivo a queste “mode”. Dobbiamo essere perciò noi giovani, da soli, a dare loro un peso e soprattutto a dare un peso alla nostra vita che sia maggiore di quello che diamo ad esse. - 28 - Paolo Zinna Antropos in the world IMMAGINI DI UN ALTRO TEMPO O STRUMMOLO (στρόμβος) ‘O O strùmmolo era una specie di piccola trottola di legno che girava su una punta di acciaio e veniva fatta roteare con l'aiuto di una funicella. La sua forma era quella classica di quasi tutte le trottole, quindi una specie di cono con il vertice in basso, sormontato da una calotta più o meno semisferica. Da questa parte superiore sporgeva spesso una piccola protuberanza simile a quelle che si vedevano sui carusielli (salvadanai di terracotta) e forse proprio per questo chiamata carusella. Alcuni turnieri (tornitori), lavorando di solito su vecchi torni a pedale, realizzavano anche degli strummoli con due o tre caruselle, ma in commercio si trovavano pure quelli semplicissimi con la parte superiore liscia. Solitamente erano usati legni semiduri di prove-nienza locale e quindi economici; il più usato era il limone, ma si lavorava anche l'olivo e 'o cierco (la quercia). Terminata la tornitura si praticava un piccolo foro nella parte inferiore e lì si infiggeva e poi si troncava un chiodo d'acciaio, lasciandone fuori un centimetro, che si appuntiva con la mola. La superficie laterale dello strummolo poteva essere liscia o avere una serie di scalini per facilitare il posizionamento della funicella. Per arrotolare (arruta') quest'ultima, si manteneva una sua estremità nella parte alta della trottola e poi la si faceva scendere verticalmente. Giunti alla base si cominciava a far salire 'a funicella elicoidalmente lungo 'o strummolo stando ben attenti ad arruta' in modo che la legatura fosse ben stretta e mantenesse bene l'estremità che rimaneva al di sotto delle volute. Alla fine doveva rimanere libero un pezzo di funicella sufficiente a tenerla saldamente in mano in modo da poter effettuare un buon lancio. A proposito della importanza della lunghezza della funicella vale la pena di ricordare un modo di dire molto significativo: s'aunesciono 'o strummolo a tiritippete e 'a funicella corta (si uniscono lo strummolo a tiritippete e lo spago corto). Uno strummolo veniva definito a tiritippete quando non era ben bilanciato e quindi girava poco e in modo irregolare e traballante; quindi l'espressione si usava riferendosi a cose o persone con più di un difetto grave. Per ottenere buoni risultati entravano in ballo numerosi fattori dei quali i principali erano: uno strummolo ben equilibrato e con la punta perfettamente in asse, una funicella abbastanza lunga, una arrotatura stretta, e un buon colpo di polso. Il movimento classico per un buon lancio prevedeva un veloce spostamento in avanti del braccio concluso con un repentino e secco colpo di polso all'indietro, in modo da imprimere la massima velocità rotatoria possibile allo strummolo. I più bravi tiravano a coppamano (sopramano), - 29 - cioè dall'alto in basso, mentre i giocatori più scarsi lanciavano a sottamano, cioè con un tiro più radente. 'O strummolo, specialmente quando era lanciato dall'alto verso il basso,rimbalzava varie volte a terra saltellando sulla sua punta d'acciaio e poi, se fosse stato ben arrutato, poteva rimanere ben diritto a girare anche per minuti interi. Al di là del divertimento che ci si poteva procurare lanciando il proprio strummolo, esistevano anche varie maniere di battersi in sfide dirette o fra più ragazzi e quella più famosa e praticata era 'a forca (la forca). Per questo gioco era necessario disegnare a terra una croce e poi, a due o tre metri di distanza dal centro di questa, si tracciava una linea lunga un paio di metri, detta appunto 'a forca. Per stabilire chi dovesse tirare per primo, si lanciava 'o strummolo verso il centro della croce e chi fosse riuscito ad avvicinarvisi di più avrebbe avuto il diritto al primo lancio. Il perdente piazzava il suo strummolo, fermo, al centro della croce mentre l'altro arrutava(avvolgeva 'a funicella) e poi lanciava la sua trottola contro quella dell'avversario tentando di colpirla e di spingerla verso 'a forca. Se non vi fosse riuscito, ma il suo strummolo stava ancora in piedi, girando, aveva diritto a farselo salire sul palmo della mano facendolo passare sulla membrana compresa fra l'indice e il medio; quindi, mentre girava ancora, lo poteva poi lanciare ancora una volta verso quello dell'avversario, sempre nell'intento di mandarlo alla forca. Il primo tiro era detto 'a pizzata e si tentava di colpire con la punta, mentre il secondo era 'a capata e si colpiva con la parte laterale del legno. Ogni volta che si riusciva a colpire 'o strummolo dell'avversario si aveva diritto ad arruta' di nuovo e quindi ad un altro tiro. Nel caso che si fossero sbagliati entrambi i tiri, o che, dopo il tentativo fallito di pizzata, 'o strummolo si fosse fermato, o semplicemente fosse caduto, le parti si invertivano: chi aveva lanciato metteva il suo strummolo nel punto raggiunto da quello dell'avversario e questi cominciava la sua serie di lanci. Il termine strummolo proviene presumibilmente dalla parola greca στρόμβος (strombos ) o στρόβιλος (strobilos), cioè "mulinello" o "oggetto atto a ruotare".Nel Vocabolario domestico napoletano e toscano, compilato nello studio di Basilio Puoti, redatto nel 1841, lo strummolo viene definito come strumento di legno di figura simile al cono, con un ferruzzo piramidale in cima. Antropos in the world Fattucchiere ed Eremiti del Vesuvio da “Gente del Vesuvio” di Umberto Vitiell (Parte seconda: Gli eremiti ) L’eruzione del Vesuvio del 1944 la danneggiò purtroppo gravemente e la funicolare fu ceduta con l’albergo, presto chiuso e abbandonato al degrado, alla Società privata che gestiva la Ferrovia Circumvesuviana, allora SFSM (Strade Ferrate Secondarie Meridionali). La funicolare dal 1961 al 1984 fu sostituita da una seggiovia. Dal 1984 si utilizza la risistemata strada che porta fin quasi al cratere. Il primo “eremita vesuviano” di cui si fa menzione in un documento – stando però a una mia ricerca non certamente esaustiva - fa parte più della leggenda che della Storia con la esse maiuscola, anche se a scriverne è stato Francesco Balzano, storico torrese del ‘600. In un suo saggio egli sostiene che la denominazione di Torre del Greco, che nel 1324 sostituì quella di Torre Ottava, è in ricordo di un eremita greco che, stabilitosi ai piedi del Vesuvio, curava la coltivazione di uva greca da cui traeva un eccellente vino. Un eremita di indiscussa presenza sulle falde del Vesuvio che si affacciano sul mare lo rinvengo in una considerazione diaristica di Stendhal (1783 – 1842): “Occorrerebbero dieci pagine e il talento di Madame Radcliffe per descrivere la vista che si gode mentre si mangia la frittata preparata dall'eremita.” Il più pubblicizzato, fotografato accanto alla sua capanna e messo perfino in cartolina, è senza alcun dubbio Pasquale Imparato di Carlantonio, detto “l’eremita del 22”. Dell’eremita detto ‘o professore filosofo ho sentito parlare diverse volte quando ero ragazzo. Lui s’era rifugiato in una grotta-capanna non molto lontana dalla Villa delle Ginestre, verso nord-est. Un uomo alto e magro che d’inverno indossava una camicia bianca e una giacca grigia con pantaloni dello stesso colore, e si copriva, quando usciva, con un mantello alpino verde scuro regalatogli, si dice- va, dal conte Alessandro de Gavardo. Se pioveva o tirava vento, ficcava la testa in uno strano cappuccio che gli lasciava liberi solo gli occhi, sostituito da un cappello di paglia nei mesi caldi quando, deposto il mantello e il cappuccio, indossava come i contadini una camicia di fustagno a maniche corte e pantaloni di velluto a coste d’un colore molto simile a quello della balla di paglia appoggiata alla parete esterna della sua dimora, su cui era solito sedersi. Amava pregare e meditare camminando in lungo e in largo nelle pinete e nelle vigne senza una meta prestabilita, ma rincasava sempre in orari ben precisi, che aveva scritto su un cartello appeso a un chiodo ficcato su uno dei due tronchi di pino che fiancheggiavano la porta. Erano quelle le ore in cui si poteva andare a consultarlo. E sul cartello vi aveva scritto anche queste parole: “Se volete essere felici, dovete liberarvi dall’invidia”1. Non ascoltava la radio né leggeva i giornali per non rafforzare la propria coscienza che il mondo non fosse per lui. Almeno in quel determinato periodo storico, quando il nostro Paese era in guerra e lo governava un dittatore. Tuttavia, amava dialogare con chi andava a fargli visita. Il conte, che probabilmente conosceva qualcosa del suo passato, dichiarò un giorno che l’eremita non poteva che essere un antifascista espulso dall’insegnamento. Mentre non pochi, pur chiamandolo professore, erano convinti che fosse uno spretato costretto a ritirarsi a vita solitaria per espiare i propri gravissimi peccati. È stato lui, ’o prufessore-filosofo, a salvare dal linciaggio un uomo sulla sessantina e una donna poco più giovane di lui che, percorrendo un sentiero nel folto della pineta, erano stati circondati da un gruppo di contadini inferociti che li minacciavano, incolpandoli di spionaggio e di atti criminali. Era da un anno o poco più iniziata la Seconda Guerra Mondiale, la propaganda antibritannica impazzava e quei due malcapitati erano stati scambiati per spie inglesi che, con la scusa di una passeggiata romantica in pineta, collocavano sul loro percorso piccole bombe esplosive camuffate in modo da sembrare penne stilografiche. Penne bombe che i contadini avevano visto su un manifesto in cui ai cittadini si raccomandava prudenza e di avvertire i propri figli di tenersi lontani da quegli ordigni micidiali. L’eremita parlò loro e riuscì a convincerli di non sporcarsi le mani di sangue. Vi pentireste poi amaramente per le conseguenze che avrebbe senz’altro questo vostro atto deplorevole, disse con voce garbata, e consigliò loro di chiamare i carabinieri della stazione più vicina e consegnare nello loro mani le due presunte spie. - 30 - Antropos in the world Non avendo nessuno di loro il telefono nel proprio casolare, i contadini, costringendo l’uomo e la donna che stavano per linciare a camminare stando buoni in mezzo a loro, percorsero il lungo sentiero che conduceva in via Nuova Trecase e da questa si portarono fino alla Via Nazionale, dove uno di loro andò al bar e fece telefonare alla stazione dei carabinieri di Santa Maria la Bruna. Nell’attesa del loro arrivo, al bivio e nei pressi della fontanella di via Nazionale si formò un folto capannello, in mezzo al quale capitai per caso anch’io. Ero un ragazzino e assistetti a una scena di una ferocia impressionante che m’è rimasta impressa nella memoria. Tutti, maschi e femmine, insultavano e minacciavano di morte quei due sventurati, difesi questa volta dai contadini che gli facevano da scudo e gridavano ai forsennati di non avvicinarsi. Fin a quando non arrivarono i carabinieri e portarono via sulla loro camionetta “le due spie inglesi”. Che, come si seppe poi, non erano altri che un direttore didattico e la sua maestra segretaria, amanti o semplici amici intimi a passeggio nella pineta. La stampa, in quegli anni controllata e censurata con estremo rigore, ovviamente non ne parlò per niente. Ben diverso sarebbe stato se si fosse trattato di vere spie. 1 Alcuni giorni dopo i contadini che stavano per macchiare di sangue la propria coscienza, resisi conto che in pineta non c’erano né penne bombe né altri ordigni, si recarono dall’eremita, deposero davanti alla stamberga una cesta piena di frutta, uova ed ortaggi e attesero in piedi che rincasasse. Quando dopo una mezzoretta si fece vivo, lo ringraziarono d’averli salvati da una malvagità imperdonabile e lui sorridente e felice strinse la mano a ciascuno di loro. Quel poco che so e ancora ricordo del professore eremita lo devo in massima parte alla signora Silvestri, la moglie del capostazione Sabbìa. Detto tra parentesi, mi viene in mente la frase che con questi due cognomi era stata formulata da qualcuno e tutti ripetevano, come un tormentone, ogni qualvolta si accennava al capostazione o alla sua raffinata consorte: “Mentre la moglie si veste (Silvestri), il capostazione s’avvia (Sabbìa)” La stazione con al primo piano il loro appartamento era ancora quella nei pressi del passaggio a livello di Via Nuova Trecase, a due passi dalla palazzina dove abitavamo noi. E la Capostazione, come la chiamava qualcuno, veniva di pomeriggio un paio di volte la settimana a far visita a mia madre, che solo in quelle occasioni preparava del tè. Una bevanda che nel napoletano era ancora ritenuta una broda che solo i forestieri del nord potevano bere senza disgusto. “Furastié frusta!” è l’espressione che amiche e cognate mormoravano o smorzavano a fatica nella loro mente ogni qualvolta le vedevano sorseggiare con sommo piacere quell’infuso giallino. Molto probabilmente tuttavia, pur commiserandole, le giustificavano, ricordando che mia madre era vissuta a Pavia fino a qualche anno prima del matrimonio e la signora Silvestri era nata e vissuta in Toscana. Le loro conversazioni non di rado avevano per argomento le visite che la signora Silvestri faceva di tanto in tanto all’anacoreta. È così che lei chiamava l’eremita. Ed io, ragazzino di poco più di dieci anni, dalla camera accanto al salotto quando parlavano dell’ “anacoreta”, una parola per me misteriosa e affascinante, smettevo perfino di giocare pur di ascoltare cosa raccontasse la “Capostazione” e quali fossero le considerazioni e le richieste di chiarimento di mia madre. - Ho saputo che le sue parole riescono a comporre situazioni drammatiche e a estinguere vecchi rancori e odi inveterati – rispose più o meno con queste parole la signora Silvestri a una mia zia un po’ bigotta che le aveva chiesto perché andasse a consiglio da una persona che non si sapeva chi fosse e non da un prete. In situazioni drammatiche, come avevo appreso nelle settimane precedenti ascoltando dalla camera accanto, stava purtroppo vivendo un’amica intima della signora Silvestri. Più giovane di lei di qualche anno e molto bella, confidò a mia madre, aveva sposato un uomo che fin da quando erano tornati dal viaggio di nozze l’aveva coinvolta nei suoi loschi affari, costringendola a fare la civetta con personaggi importanti dell’alta gerarchia fascista e della finanza, ch’egli invitava a cena nella sua sontuosa dimora. Ma quando alla fine chiese alla moglie di accettare le avances di uno di questi personaggi, lei era scappata da sua madre in Toscana e non le importava se il marito, come aveva 1 Linciaggi a presunte spie, non pochi dei quali conclusisi annunciato, la denunciasse di abbandono del tetto 1 tragicamente, si sono avuti in quegli anni in tutt’Italia grazie a coniugale . (continua) _______________ una insistente propaganda che aveva per scopo quello di indurre gli italiani a disprezzare e a odiare gli inglesi e i francesi, e solo più tardi, ma con metodi più edulcorati, anche gli americani, quando gli USA dichiararono guerra alla Germania nazista e all’Italia sua alleata. - 31 - ____________________ 1 L'abbandono del tetto coniugale è ancora oggi motivo di addebito della separazione coniugale ed è fattispecie penalmente rilevante ai sensi dell'art.570 del codice penale, proprio in quanto si fanno mancare al coniuge l'assistenza morale e materiale. Antropos in the world Regimen Sanitatis Salernitanum - Caput XXXV DE BUTJRO ET SERO Lenit et humectat,solvit sine febre butjrum. Incidit atque lavat, penetrate mundat quoque serum. Sioglie il burro // ammolla e lava, // se la febbre non aggrava. Anche il siero rammollicchia, // lava penetra e mondicchia. Alla prossima puntata, // parlerem di caseata: quello molle e quello duro // quello grosso o conservato. L’ANGOLO DEL CUORE NELLA BANCA STELLATA DEL SOGNO Ti disturbo, ostinata Padrona? Sto appena aprendo gli occhi ma non è poi talmente strano risvegliarsi da morti, si perde spesso la vita, durante la quale, tanti morti vivi gridano giustizia. Quanti inganni, offese, illusioni! Eppure, che peccato, che vero peccato dirle addio per sempre! L’ho aperto e mi ha svelato di te. Sai, sono un inguaribile ritardatario, uno che con te ha sempre rinviato l’appuntamento. Morire è un mestiere non difficile, un viaggio come tanti, una rapina, nella Banca stellata del Sogno Anche stavolta non son stato puntuale, un tesoro nascosto lungo il tunnel ho ritrovato. Giuffrida Farina (Premio San Valentino,Terni, 1981) - 32 - Antropos in the world LEVIORA BRONTOLO IL GIORNALE SATIRICO DI SALERNO Direzione e Redazione via Margotta,18 tel. 089.797917 Radio Italia Uno via Philips, 13 10091 Alpignano (TO) Il BASILISCO Periodico della Associazione Lucana Salerno Presidente Rocco Risolia COSE DELL'ALTRO MONDO I preti ed il finanziere - In uno scompartimento del treno ci sono due sacerdoti e un ufficiale della finanza che stanno chiacchierando amabilmente. Il primo prete dice: "Sono proprio contento dei miei parrocchiani; sono tutti brave persone, mi vogliono bene e mi salutano sempre quando mi incontrano per strada; figuratevi che spesso mi chiamano addirittura Eminenza!". Il secondo prete: "Eh, anche i miei parrocchiani sono molto gentili con me e mi vogliono un gran bene. Pensi che i più rispettosi addirittura mi chiamano Santità !". Il finanziere: "E che cosa dovrei dire allora io ? Quando mi presento io, gli altri dicono: CRISTO! In una uccelleria - Un prete decide di prendersi un pappagallo da tenere in casa, così si reca in un negozio di animali e dice al negoziante: "Buongiorno, vorrei comprare un pappagallo ". "Guardi, ho quello che fa per lei; vede questo è un bellissimo pappagallo ...". "Sì, beh vedo, ma non vorrei fosse uno di quei pappagalli che dicono le parolacce...". "No, anzi, come può notare le due cordicelle che ha legate alle zampe, se tira quella di destra il pappagallo recita l'Ave Maria, mentre se tira quella di sinistra recita il Padre Nostro.". "E se le tiro contemporaneamente tutte e due ?". E il pappagallo : "Vado a culo per terra, pezzo di cretino!" Dal Parrucchiere - Un uomo si affaccia dalla porta del negozio di un parrucchiere e chiede: "Quanto tempo devo aspettare per un taglio di capelli?". Il parrucchiere dà uno sguardo alla sala e risponde: "Circa due ore". Il ragazzo se ne va. Qualche giorno più tardi, lo stesso ragazzo si affaccia dalla porta e domanda:"Quanto tempo devo aspettare per tagliarmi i capelli?". Il parrucchiere guarda quanti clienti stanno aspettando e risponde:"Non meno di due ore". Il ragazzo se ne va. La settimana seguente, lo stesso ragazzo dalla porta del negozio chiede: "Mi potete dire quanto devo aspettare?" Il parrucchiere risponde: "Un'ora e mezzo". Il ragazzo se ne va. Il parrucchiere allora chiede ad un amico presente nel negozio di seguirlo. Dieci minuti dopo Giorgio, così si chiavava l’amico, fa ritorno al negozio e trattiene a mala pena una risata. "Allora?" gli domanda il parrucchiere "L'hai seguito? Dove è andato uscendo da qui?" E Giorgio:" A casa tua e tua moglie l’attendeva giù al portone! " - 33 - Antropos in the world UNA OPINIONE ERETICA - DA SOCIAL FUMO NEGLI OCCHI: RENZI COME CROCETTA Ricordate l’euforia che accompagnò – in alcuni ambienti – le prime uscite di Rosario Crocetta all’ indomani della sua elezione a Presidente della Regione Siciliana? Ricordate l’ impressione favorevolissima suscitata da alcune sue performances televisive? E qual è oggi, dopo quasi due anni di crocettismo, lo stato delle cose in Sicilia? Lo stato delle cose importanti – intendo – come le finanze pubbliche, l’ andamento dell’ economia, la disoccupazione e la disperazione dei siciliani. Una tragedia. L’unica cosa concreta – al di là del fumo negli occhi dello scioglimento delle Province e della riduzione delle auto blu – è la decisione di pagare poco meno d’un miliardo di euro di vecchi debiti facendo ricorso a nuovi debiti, da ripianare a rate nei prossimi trent’anni. Il provvedimento è in Commissione Bilancio per il parere di rito, poi andrà in Aula. Naturalmente, questo miliardo non ce lo daranno gratis: ci costerà quasi un altro miliardo di interessi – euro più, euro meno – calcolati al tasso “agevolato” del 4,30 per cento. E, naturalmente, quest’altro miliardo si dovrà pur trovare. Dove? Indovinate un po’, nelle nostre tasche: sotto forma di un aumento delle addizionali IRPEF e IRAP. Assolutamente ridicolo. Non è riduzione del debito, è moltiplicazione del debito: da un miliardo di oggi, ai due miliardi di domani. Con l’aggravante che questo artificio contabile lo dovremo pagare noi siciliani, attraverso un ulteriore inasprimento di addizionali che già il governo Lombardo aveva massimizzato. Ma poco importa a Rosariuccio nostro. Lui potrà fare buona figura, e magari pavoneggiarsi in tv, dicendo che lui ha pagato i debiti del malgoverno precedente. Tanto, saranno cavoli dei suoi successori per i prossimi trent’anni. Lui, ufficialmente, avrà segnato un punto al suo attivo. Perché questo lungo preambolo? Perché – come recita un vecchio adagio – ognuno ha la sua croce: la Sicilia ha una crocetta, e l’Italia ha una croce più grossa che si chiama Renzi. Il modo di procedere è lo stesso: annunzi roboanti e grandi sparate propagandistiche, apparizioni televisive ben calibrate, una spruzzatina di antipolitica per assecondare l’esasperazione della gente contro una classe dirigente inetta, ma – al di là del fumo negli occhi – ben pochi risultati, se non addirittura risultati negativi. Esempi? A carrettate. Si potrebbe iniziare dalle auto blu, antico refrain di tutte le rassegne degli sprechi italici: il Mattacchione ne ha messo in vendita 100 su E-Bay, ma contemporaneamente ha avallato l’acquisto di altre 210 vetture di servizio, e blindate per giunta. Spesa prevista: 25 milioni di euro, 50 miliardi del vecchio conio. Altro esempio? Lo spot dei 900.000 “nuovi posti di lavoro” promessi dal piano “Garanzia Giovani” che entrerà in funzione il prossimo 1° Maggio. Peccato che, a leggere oltre i titoloni dei giornali, il piano non preveda la creazione di un solo posto di lavoro, ma soltanto “una opportunità di formazione o inserimento in una azienda” per i giovani in cerca d’occupazione. In realtà, “Garanzia Giovani” è semplicemente la traduzione italiana di Youth Guarantee, una “raccomandazione” con cui il Consiglio dell’Unione Europea invita i governi a fornire ai giovani “un’offerta qualitativamente valida di lavoro, proseguimento degli studi, apprendistato, tirocinio o altra misura di formazione”. Naturalmente, né il Consiglio dell’UE né – salvo verifica – il Governo italiano chiariscono come, in mancanza di “un’offerta qualitativamente valida di lavoro”, le misure palliative (“apprendistato, tirocinio o altra misura di formazione”) potranno trasformarsi in un regolare rapporto di lavoro, anche a tempo determinato. Ma, poco importa. Anche in questo caso l’effetto annunzio è assicurato. Quanto alla sbertucciata proposta di riforma del Senato, c’è da trasecolare. Mira soltanto a sostituire un Senato di eletti con un Senato di nominati (ma allora perché abolire il Porcellum?). E non è vero che i senatori non saranno retribuiti. Non dovrebbero percepire la voce “indennità di carica”, cioè lo stipendio. Ma nessuno potrà togliere loro la “diaria” e le altre voci relative ai rimborsi per la permanenza a Roma e per l’attività istituzionale. E i rimborsi – ve lo dice un vecchio parlamentare – ammontano più o meno al doppio dello stipendio; e possono sempre offrire delle facili occasioni di arrotondamento ai meno onesti. Ma, anche qui, poco importa. Ciò che occorre è fornire alla gente l’immagine di un premier che vuole “le riforme”, malgrado i “cattivi” remino contro. Nella speranza che nessuno si fermi a riflettere sulle tante riforme che, dal 1992 ad oggi, hanno costellato il calvario del popolo italiano. Dalla riforma delle pensioni in giù, in una corsa affannosa per toglierci fino all’ultima oncia di sovranità nazionale, per spremerci l’ultima goccia di benessere e per ridurci al rango di una miserabile “repubblica delle banane”. M.Rallo - 34 - Antropos in the world L’ANGOLO DELLA FOLLIA Bielaborazioni, sculture e dipinti su ambedue le superfici del supporto. Biscultura: scultura in acciaio pastoso, di rondini “cartesiane” ovvero un grafico con disegno a forma di rondini, sugli assi cartesiani x ed y (nella zona prospettica) - Scultura in tempera (nella zona retrostante ). BIQUADRI CHE SI … IMMAGINANO; SONO MATTONELLE OPPURE SUPERFICI DI LEGNO COMPENSATO,DIPINTE (E AVVOLTE DA FOGLI SEMI-TRASPARENTI) SIA NELLA ZONA PROSPETTICA CHE IN QUELLA RETROSTANTE. SU UNA DELLE DUE SUPERFICI VI E’ INNESTATO UN OGGETTO; NELLA RAPPRESENTAZIONE IN FIGURA, SI TRATTA DI UN POSACENERE. -----Ita apparet menti insanae, per Hercules! ------ AUCTOR INSANUS: Giuffrida Farina, salernitanus, qui in urbe vivit, laborat, deditusque operibus insanis est usque ad finem. - 35 - Membership in the GNS Press Association Reg. ID 7676 8 – IPC / Richiesta autorizz.ne al Tribunale di Salerno del 25.03.2008 / Patrocinio Comune di Salerno prot. P94908 – 27.05.2009 / Patrocinio Prov. Avellino – prot. 58196 – 16.10.2012 / Patroc. Com. Pagani – prot. 0023284 – 29.07.2008 / Patroc. Prov. Salerno – prot. 167/st – 23.09.2009 / Patroc. Com. di S. Valentino Torio – 24.05.2008 – Acquisto Spazio/web del 26/04/06-Aruba S.P.A. ANTROPOS IN THE WORLD, Rivista e Teleweb, hanno, inoltre , il patrocinio degli Enti Carminello e SS. Corpo di Cristo. 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