Mamma Roma - OltremediaNews
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Edmondo Grassi – Master in Metodologia della Ricerca Sociale Il mercato all’italiana Mamma Roma e i rapporti di potere nel primo Pasolini Io sono una forze del Passato. Solo nella tradizione è il mio amore1 La passione di Pasolini per la formazione e lo sviluppo dell’individuo all’interno del contesto sociale italiano, a partire dagli anni ‘60, è marcata e delineata da un profondo studio delle relazioni sociale e delle interconnessioni con i differenti dispositivi di potere. Si può parlare di un Pasolini investigatore, di un letterato e registra che si interroga sulla dicotomia presente al confine tra due mondi: la naturalezza e spontaneità del mondo rurale e la cultura di massa e omologazione di un mondo moderno, proiettando sulla quotidianità una frattura di stampo esistenziale, che lacera, umanamente, la morale e il pudore di un’epoca chiusa su se stessa. La sua firma stilistica è racchiusa nella presenza stessa dell’autore all’interno della sua opera, Pasolini è la poliedricità dei suoi personaggi, è la Roma che muta aspetto, è Io ed Egli, mostrando una proiezione della propria soggettività attraverso la lente focale dell’altro, mescolandosi e valorizzandosi reciprocamente, sino ad ottenere un’analisi profonda ed accurata di un microcosmo in crescente espansione. Mamma Roma è un quadro agreste di innocenza e rivalsa che viene squarciato dalla lama della società e della sua violenta evoluzione in cui i rapporti sociali e il potere divengono gli elementi di disequilibrio della purezza allo stato di Natura. L’amore verso la vita e la sua disperata rivalsa borghese, condurranno le speranze di una donna, in passato prostituta, a lottare ferocemente verso le imposizioni omologanti che la società degli anni ‘60 iniziava a far intravedere, quali semi di una nuova pianta parassitaria e venefica. Pasolini dimostra, con ferocia e rabbia, come il mito del sogno borghese di emancipazione, possa divenire una lotta senza fine, senza alcuna possibilità di una scalata sociale, un’irraggiungibile chimera che getterà l’uomo rurale, il buono della campagna, verso un inferno di dispositivi di potere e di controllo: il regista narra di un’umanità morente, che 1 Sono due semplici versi estratti dalla poesia che il registra, interpretato da Orson Welles, decanterà al giornalistauomo medio nell’episodio La Ricotta, girato da Pasolini, presente nel film corale Ro.Go.Pa.G. del 1963. Welles stringerà, tra le sue mani, il testo di Mamma Roma, ammonendo, attraverso i versi di una poesia, un giornalista che rappresenta la mano d’opera non considerata dal Capitale, dalla società che massifica e consuma incessantemente. Lui rappresenta il niente, poiché incapace di comprendere e di ricordare, di assorbire e di rielaborare. Ro.Go.Pa.G., Dir. Roberto Rossellini, Jean-Luc Godart, Pier Paolo Pasolini, Ugo Gregoretti. 1963. 1 soffre del suo stato e che sogna una rivalsa che sarà impossibile da attuare, dovendosi rassegnare ad un destino di ineluttabile dolore e infelicità. La sua attività intellettuale è intrisa di un dirompente e radicato compito politico e civile, avente come fine la missione educatrice di una società abbandonata ai flussi di un tornado che stava per distruggere i legami con il passato e non permetteva di guardare verso il futuro, facendosi attento osservatore dei principali mutamenti storici ed economici, umani e urbanistici, trasformando la sua arte in una denuncia diretta verso i nuovi poteri sociali. Il compito che affida a se stesso e ai suoi personaggi è di preservare e divulgare un quadro culturale poliedrico e rurale, un affresco realista dell’albero della vita di ogni individuo, dalle radici immerse in un territorio composito, circondato da un tempo naturale e civile stratificato, di un’urbanizzazione violenta e di una meccanicizzazione della personalità dell’individuo. Lo sguardo di Pasolini è la cornice e la prospettiva di un’etica civile che assorbe al suo interno la molteplicità dei settori caratterizzanti la formazione e il relazionarsi dell’essere umano all’interno della società: il rapporto linguistico e il canale comunicativo, l’edificazione e l’identità delle architetture e degli ambienti circostanti, la fenomenologia dei rapporti di forza e della valenza sessuale, la contaminazione del privato attraverso meccanismi sociali ed economici, fino alla completa schematizzazione dell’intera esistenza voluta da regimi politici assolutisti e omologanti. Contro tutto ciò, Pasolini cercherà di utilizzare la Cultura quale ultimo baluardo per contrastare l’annichilimento generale, per rinforzare le fondamenta di un Passato storico che stava svanendo, dimostrando come l’individuo che si lascia strumentalizzare dal potere, divenendone un ingranaggio funzionale, ma sempre sostituibile, soccomberà ad un fato prestabilito, perdendo la sua coscienza e la sua memoria unica e identitaria. Nelle opere pasoliniane, troviamo una lunga e accorata ricerca e disamina sullo scopo della vita incentrata sul potere, sulla sopraffazione dell’altro, sulla lotta di classe e la negazione delle propria coscienza naturale, favorendo la costruzione di una sovrastruttura sociale di plastica, formata da petrolio che annega e cancella ogni traccia di autenticità e ci dimostra tale prospettiva passando in mezzo al dolore e al male che solo l’essere umano sa esternare e manipolare; i corpi di Pasolini, i suoi gusci, i suoi riflessi, sono anche le persone che vivono una profonda e, a volte, inconsapevole spiritualità forgiata da un calvario che nasce dalla mescolanza di flussi di dolore e di 2 innocenza, di amore e di violenza. E’ un rosario, una messa cantata2 dalla gente di cuore, come Mamma Roma e gli invitati al banchetto, da coloro che ancora non sono giunti alla trasformazione in quell’individuo borghese che concepirà la realtà quale costante ripetizione di modelli di potere, di mode da sfoggiare e di corpi da utilizzare come mezzi di interazione e mercificazione presente, in modo vivido, nell’ultimo Pasolini. Da Mamma Roma, dalla sua fuga da un cimitero sino alla vuota contemplazione di una basilica, possiamo osservare i semi di tutti quei dispositivi di potere, inteso quale controllo, coercizione, sorveglianza o punizione, che trovano la loro natura primigenia in un’Italia che si sta gettando verso un boom economico e una riscoperta culturale che non troveranno gli esiti attesi, ma porteranno alla formazione di molteplici strutture trasportate da una corrente monodirezionale, che non conosce freno, che oscura ogni luce di cambiamento, ma, probabilmente, non quella della speranza. Il Corpo di Roma Sin dalla prima scena di Mamma Roma, possiamo denotare quale sia l’immaginario che Pasolini affianca alla figura dell’individuo, al suo relazionarsi e alla funzione del corpo, mostrando l’ingresso in scena di tre maiali, presentati quali parenti dello sposo e ex-protettore. Il maiale incarna la parte più bassa, volgare, istintiva dell’essere umano; è il maiale che domina la fattoria e che primeggia tra tutti gli altri attraverso la disuguaglianza3; è il simbolo del rapporto che, sino a quel momento, intercorreva tra Mamma Roma e Carmine: il magnaccia che strumentalizza il corpo della donna al fine di ottenere un guadagno per mezzo della prostituzione. E’ un primo impianto del dominio del corpo, all’interno del film, che mostra come si possa disporre della fisicità di un altro individuo per scopi di potere, sociale o economico: mercanteggiare la carne al fine di innalzare il proprio stile di vita, a discapito della morale e della sfera valoriale propria della persona. 2 La messa cantata della povera gente sono gli stornelli della tradizione, aventi una valenza provocatrice, di scontro, di lotta. E’ un dialogare, attraverso il non-detto, con l’altro e, in Mamma Roma (1962), abbiamo una lunga scena dove, Roma Garofalo si scontrerà con il suo pappone e la moglie di quest’ultimo in un duello maligno e canzonatorio, specchio dei rapporti di sapere e potere che intercorrono all’interno di quel microcosmo sociale. Mamma Roma. Dir. Pier Paolo Paolini. 1962. 3 George Orwell rappresenta un altro profeta del secolo scorso, uno scrittore capace di generare, attraverso lo scrivere, un pensiero denso e pulsante. Come in Pasolini, nei romanzi di Orwell, troviamo un calvario, una lunga sequenza di violenze e soprusi, commessi lecitamente per volere del potere imperante. Ne La fattoria degli animali (1945) ci imbattiamo in un reale pamphlet politico, quale espressione della degenerazione del potere e dell’arte della propaganda. Si tratta di un’intensa e drammatica metafora delle relazioni umane, di un monito per le future generazioni. Affreschi dipinti tra dolore e sangue dove “alcuni uomini sono più uguali degli altri”, dove la maggioranza, la massa, è dominata dai dispositivi delle istituzioni, sotto il loro controllo e le loro scelte, manipolando ogni settore della vita sociale e civile. 3 Roma Garofalo è l’emblema della povertà, venduta dalla sua famiglia, all’età di 14 anni, ad un uomo molto più anziano, è stata costretta alla prostituzione subito dopo l’arresto di quest’ultimo. Si tratta di una pratica, vendere la propria figlia, che, anche all’interno del nucleo familiare, dimostra come la fisicità, l’essere fatto di carne, possa essere trasformato in un prodotto di scambio, una merce che può essere barattata o venduta per ottenere altro di utile o necessario per soddisfare i bisogni del momento. Sarà proprio partendo da quest’ultimo concetto che Mamma Roma deciderà di accumulare capitale per poter permettere a lei e a suo figlio Ettore di fuggire da un contesto disagiato verso la città di Roma: il riscatto dell’emarginato, l’emancipazione della propria posizione sociale e la proiezione delle sue ferite sulla vita della prole. Come afferma uno degli invitati al matrimonio, Roma ha vissuto cinque anni di schiavitù4, sottomessa al volere del pappone che ne disponeva a pieno titolo, ne amministrava il corpo e la gestione calcolatrice della vita, mutando il valore della proprietà unica del corpo in una anatomopolitica dell’altro, tutto svolto in un modo semplice, da gente povera, appartenente allo strato sociale più basso, quello delle borgate, della campagna, delle periferie romane; dove tutto è fermo e statico; dove i rapporti di potere sono fondati sulla sola supremazia della forza fisica, come Pasolini mostra attraverso il gioco, con la figura del piccolo Ettore che da un buffetto sulla guancia di sua madre durante il matrimonio, seguito dall’incalzare di Carmine che affermerà “menaje ragazzì, le donne è così che se pijano”5. E’ uno scenario dove mancano ancora i grandi progetti che avranno luogo nei decenni che seguiranno per volere dello Stato e dei suoi apparati, ma trovano il proprio seme nella socialità “primitiva” dei rapporti umani, nella loro struttura tribale, imbrigliati tra dolore e rispetto, amore e devozione. E’ in queste pozze che Pasolini lascia emergere il più basso livello sociale della povertà presente nella comunità, le persone di borgata che si trasformano in anime pie, compassionevoli: una sacralità pasoliniana del corpo e del potere, incastonata cinematograficamente, nella riproduzione scenica di un’Ultima Cena6: “gente che lavoremo la terra, però semo gente de core .. . se noi non lavuremo la terra che se magnerieno li signori?”7. 4 Mamma Roma, ivi, min. 00:07:00. Mamma Roma, ibidem. 6 Tra le prime inquadrature presenti nel lavoro cinematografico pasoliniano troviamo un fugace e spoglio richiamo all’Ultima Cena (1494-1498) di Leonardo da Vinci. Simile nella composizione della tavola e nella disposizione degli attori, è un richiamo al sacro, ad un atteggiamento spirituale, difficilmente riscontrabile nei modi degli attori, ma che aleggia impercettibile all’interno dell’intera pellicola. 7 Mamma Roma, ivi, min. 00:03:40 5 4 Il percorso che segue la disamina sul corpo e sul sesso, all’interno della pellicola, giunge ad un tema molto sentito da Pasolini, cioè la scoperta della sessualità, il rapporto che intercorre tra sesso e sentimenti e il gioco del piacere che si prova attraverso questi, mostrato nell’incontro tra il giovane Ettore, ancora puro e intaccato, e Bruna, la giovane ragazza-donna-madre, che per lui rappresenterà la prima educazione sentimentale-sessuale. Bruna è consapevole dell’esercizio del suo potere fisico, della possibilità di ottenere, attraverso lo scambio del piacere carnale, ciò di cui lei ha bisogno, come viene mostrato nella scena in cui Ettore le regalerà un portachiavi e, in seguito, le prometterà il regalo di una catenina d’oro, donando se stessa al giovane ragazzo. Pasolini dipinge uno scenario brullo, bruciato, dominato dalle rovine romane e da una vegetazione rada e poco prosperosa, per racchiudere il sentire incerto di un giovane uomo che prova una pulsione, oltre che fisica, anche intima per colei che lo affianca. E’ un quadro dalle tinte luminose, decise, che accecano nella loro violenta rappresentazione, come dimostra la lunga inquadratura del sentiero che condurrà i due amanti verso il luogo di scambio e di scoperta, circondati da cespugli che giungono sino ad un alto muro, rigido e, apparentemente, indistruttibile, che, in realtà, nasconde in un angolo una porta che rappresenta il passaggio verso un’intimità mista tra gioco, scoperta e scambio delle proprie possibilità. E’ un processo che, richiamando il pensiero di Foucault, afferma come la natura bestiale e incontrollabile del sesso, sia divenuta una vera arma, un mezzo, un’istituzione della modernità che la controlla, la nega o la elargisce secondo un dispositivo di potere di conquista o di esclusione, dopotutto, “la sessualità si è costituita come campo di conoscenza a partire da relazioni di potere che l’hanno costituita come oggetto possibile”8. In questo affresco, di uno spaccato sociale difficile, dove compaiono costantemente i volti del sottoproletariato urbano, quelli che Pasolini amava chiamare i ragazzi di vita e che osservava con affetto nella loro naturale sofferenza sociale, possiamo indugiare anche nella doppia valenza di questo sistema di potere sessuale. Bruna, consapevole delle sue doti, utilizza il corpo come un mezzo di coercizione, uno strumento di dominio sull’altro per l’ottenimento di denaro o oggetti di valore per il soddisfacimento dei capricci di una donna bloccata nella sua incapacità di miglioramento e di sviluppo esistenziale; in Ettore vi è un velo di sacralità, che possiamo riscontrare nel dono della catenina con la raffigurazione della Madonna con il bambinello. Questa pulsione sacra/sentimentale si mescola alle sue pulsioni terrene in due momenti: quando lascerà che il suo sguardo si soffermi sui seni della sua “madonna” personale, o nel suo tentativo di difesa per il 8 M. Foucault, La volontà di sapere. Storia della sessualità I, Feltrinelli, Milano, 2001, p. 92 5 mantenimento del suo possesso, che non riuscirà a rivendicare, contro il gruppo che la strapperà dalle sue mani per la gratificazione dei loro capricci, assecondati, dopo pochi attimi di apparente timore, dalla stessa Bruna, mostrando l’importanza della sessualità, “in quanto comportamento corporeo […] e dipende da un controllo disciplinare, individualizzante, condotto in forma di sorveglianza permanente”9. Esplicativo, nella sua maggiore espressione di potere legato alla disposizione del corpo e delle sue possibilità, è l’ultimo dialogo che osserviamo tra Roma e Carmine, dove quest’ultimo, per il suo desiderio di ricerca per la propria felicità, del suo riscatto e di fuga dalla vita di burini “con i maiali che girano per casa e le galline che ti volano sul letto”, torna ad esercitare la sua forza su di lei. E’ l’uomo che torna ad essere proprietario del corpo della donna, del suo sesso, un esercizio di controllo e sorveglianza sulla persona considerata “pezza da piedi”, facendo leva sulla sua “bontà di salvatore” quando Roma era sola e abbandonata e grazie a lui ha conosciuto la civilizzazione, colei che lo avrebbe rovinato e gli avrebbe fatto conoscere un mondo di corruzione e di dedizione verso il denaro10. In questo frammento, Pasolini mostra con il corpo e il denaro rappresentano il nuovo capitale, la nuova cultura del potere, che “minaccia di corrodere quelle qualità del carattere che legano reciprocamente gli esseri umani e conferiscono a ciascuno il senso dell’integrità del sé”11. Il corpo è investito di una valenza simbolica, di un potere naturale ed economico, diviene detentore di una ricchezza che permette a coloro che sanno come disporne di divenire sfruttatori o consumatori di una distruzione dell’io dell’altro, della sua identità e del suo volere: il corpo diviene carne, la carne è cibo e la fagocitazione rabbiosa diviene consumo e pietrificazione per mezzo del reale, trasformando la persona in oggetto: la cristallizza e l’abbandona a se stessa, al suo disfacimento e alla sua sconfitta. Pasolini rivela come il sublime della Natura, il paesaggio rurale, la semplicità dell’incontaminato possano costituire l’ambiente nel quale l’uomo potrebbe essere se stesso ma, quest’ultimo, decidendo di fuoriuscire dal suo “stato di natura” e abbracciando l’architettura delle città e il suo progresso, si deforma e diviene termine di paragone con il reale che ne dona nuove misure e le nuove dimensioni veritiere. 9 M. Foucault, Bisogna difendere la società, Feltrinelli, Milano, 2009, p. 217 Mamma Roma, ivi, min. 01:19:50 11 R. Sennet, La cultura del nuovo capitalismo, Il Mulino, Bologna, 2006 10 6 Dalla Campagna al Quartiere: la valenza dell’architettura e dell’ambiente naturale Gli scenari che Pasolini costruisce attorno all’evolversi della storia di Mamma Roma racchiudono in sé la capacità di sottolineare la rilevanza che l’ambiente e le strutture, che siano naturali o architettonici, rivestono nella vita della persona e dell’incidenza delle loro relazioni spaziali. Topograficamente, siamo immersi nelle borgate di Roma Est, una zona della Capitale che si stava avviando verso un veloce progresso, un processo di urbanizzazione edilizia che sostiene anche lo sviluppo dell’identità e della mentalità borghese che si sta diffondendo; parallelamente, al latere di questa cementificazione, abbiamo uno scenario rurale e naturale, antico e storico, che viene sfumato, viene inserito con tratti veloci, a voler sottolineare un’appartenenza ad una Natura più saggia e meno violenta della società umana. La dualità architettonica presente nell’individuo emerge sin dalle prime inquadrature, quando entriamo, insieme ai maiali, nostra controparte animalesca, attraverso una porta, elemento di accesso, ad una stanza dove si sta svolgendo il matrimonio/cenacolo del pappone Carmine. Stanza scarna, priva di qualsiasi vezzo o ornamento, sono presenti solo gli elementi necessari allo svolgimento della cerimonia e ai festeggiamenti. Tale era la persona di campagna, il “burino” che vive delle sue necessità e del suo “buon cuore”, ma anche colui che, impossibilitato ad innalzarsi socialmente, deve accontentarsi dei pochi averi in suo possesso. Tutto ha inizio da un passaggio molto semplice e umile visivamente, ma carico di una forte valenza sacra e umana. Lo spezzarsi, apparentemente, del legame di Mamma Roma con il suo magnaccia, un’ultima cena di addio alla sua posizione di sottomissione ad un potere coercitivo, l’abbandono dei maiali da fattoria e l’ingresso verso la sua emancipazione cittadina, sono racchiuse in poche parole, quando Roma, rincorrendo Ettore, impreca affermando “mannaggia la campagna e tutti sti sassi” e poi ancora quando rimprovera il figlio troppo legato al contesto rurale, “te piace proprio la zappa” e “menomale che te so venuto a ripijà e che te porto subito a Roma, sennò sai qua come mi diventavi te?”12 e il sentito discorso sulla necessità di fuggire verso la città e di costruire una nuova vita sui sacrifici sino ad allora compiuti, poiché, quando si è giovani non si conosce “tutta la cattiveria del mondo”. 12 Mamma Roma, ivi, min. 00:10.00 7 Dalla strada della campagna, Pasolini trasporta i suoi Egli all’ingresso della loro città, dove l’attenzione all’architettura urbana è perfettamente scolpita nelle parole che Mamma Roma esprime alla visione della borgata di Casal Bertone e all’imminente trasferimento presso il moderno quartiere di Cecafumo al Quadraro: una casa ai piani alti, dove batte il sole, ma lì si fermeranno ancora per poco, spostandosi verso “una casa di gente per bene… signori… un quartiere di un altro rango”13. L’occhio del registra ci fa camminare attraverso l’arco d’ingresso alla borgata, mostrando una prospettiva dal basso che delinea l’altezza dei palazzi e la lunga strada che costeggiano senza lasciare spazi. E’ un arco tondeggiante, con due cervi sui lati, elementi della natura che sembrano quasi salutare i due protagonisti, lasciandoli al loro destino, che, architettonicamente, delinea il confine fisico tra il sistema agreste e il quartiere di Casal Bertone, rappresentando uno spazio urbano nel quale si coltiva un microcosmo culturale che si può identificare come stadio di passaggio tra i due poli. Potremmo azzardare un richiamo molto forzato al Panopticon di Bentham14, dove tutti vengono posizionati nelle loro celle ed un occhio centrale è pronto a rubarne gli attimi di vita, come la camera del regista che, disegnando lo spazio, delimita la possibilità di movimento di coloro che lo occupano. Sarà la sola inquadratura a muoversi, rivelando strutture ed appartamenti fatiscenti, ma vitali e vissuti, finestre che mostrano il bucato appena steso o dei ragazzi che occupano le scale, che conducono all’appartamento che presto sarà liberato, elemento di passaggio e di salita, come a rappresentare una metafora di quei ragazzi “per bene” che corromperanno Ettore e fermeranno la sua salita sociale. Sono accorgimenti, particolari architettonici e urbanistici che, accanto a pochi sprazzi di vita quotidiana, svelano quale sia la capacità di una struttura di vincolare i suoi abitanti ad un determinati stile di vita, che potremmo definire come un primigenio seme di borghesizzazione di massa. Nel cambio di quartiere, il dispositivo architettonico che ci presenta questa zona della città sarà, nuovamente, un arco, questa volta più rigido, un rettangolo di cemento, privo di qualsiasi ornamento, spoglio di riferimenti o di una traccia storica o personale che possa donargli un’identità 13 Ibidem. Nel 1786, Jeremy Bentham, giurista e filosofo, scisse un opuscolo dal titolo Panopticon o la Casa d’Ispezione, nel quale esponeva la sua idea di un luogo-dispositivo attraverso il quale, un individuo avesse la possibilità di controllarne altri, osservando tutte le loro azioni: si trattava di una prigione con una struttura circolare ad anello, nel quale centro si stagliava un’alta torre con larghe finestre, che si aprono sulla facciata interna dell’anello, suddivisa in celle. Ogni cella dispone di due finestre: la prima che si volge all’esterno, permettendo l’ingresso della luce, la seconda sull’interno, in corrispondenza della torre. In tal modo, la luce che filtra da una parte all’altra della cella, permette alla guardia presente nella torre di osservare le sagome imprigionate, rendendole cavie perfettamente visibili e completamente nude alla vista dell’altro nascosto. 14 8 e un valore. Si tratta di strutture impersonali, agglomerati edilizi che iniziano a sviluppare livelli in altezza con la potenzialità di occupare meno spazio in superficie. Urbanisticamente vi è una ripetitività costante di un modello edilizio che conduce verso la spersonalizzazione della persona che ne usufruisce, perdendo la sua caratterizzazione e l’elemento identitario e relazionale. Infatti, il centro dei rapporti umani avrà come teatro i resti dell’Acquedotto Romano, su di una terra brulla e bruciata dal sole, ma che conserva grandi blocchi di storia e di un’antichità che decanta le lodi e il progresso di un’umanità oramai dimenticata: l’unico luogo storico “edificato dagli antenati, che i morti recenti popolano di segni che occorre saper coniugare e interpretare” 15, che la modernità decide di porre sullo sfondo. Il forte contrasto è fondato su dispositivi di un’architettura standardizzata che nasconde appartamenti ripetitivi nella loro disposizione, freddi e distanti dal caos emotivo presente in quello di Casal Bertone, divenendo “oggetto di una blanda possessione alla quale si abbandona con maggiore o minor voglia e convinzione, come qualunque posseduto egli gusta per un po’ le gioie passive della disidentificazione e il piacere più attivo di recitare una parte”16. Ciò si scontra con la valenza storica dei resti romani, di un’architettura che è simbolo di lotte, di contrasti, di riuscite e di scoperte, ma, soprattutto, di una civiltà che ha deciso di rallentare il suo cammino, ancora circondata da lontane macchie di una Natura che sembra distanziarsi dall’essere umano: la città è abitata da spiriti urbani che non sanno, non ricordano e non vivono per il futuro. Un particolare architettonico al quale potremmo conferire una valenza umana e sacra è racchiuso nella scelta dei due luoghi che possiamo osservare dalla finestra degli appartamenti di Mamma Roma. Mentre da Casal Bertone vediamo il cimitero del Verano, che viene quasi denigrato dalla stessa Roma, da Cecafumo si ha la visione della Basilica di Don Bosco: nel primo caso, affiancato alla borgata, abbiamo il cimitero, luogo di riposo, di pace eterna per le anime che hanno vissuto la loro vita come meglio hanno potuto, un luogo di ristoro, ma anche di fisicità, di essenza fisica del vivente; nel secondo, possiamo donare una valenza di pentimento, di espiazione del peccato della propria vita, sicuramente una visione divina e sacra, quasi onirica, immaginifica, ma molto più legata all’apparenza terrena e al culto tra individui e meno al rapporto spirituale con il sacro. 15 16 M. Augé, Nonluoghi, Elèuthera, Lavis, 2010, p. 61 M. Augé, op. cit., p.93 9 Sono pochi gli elementi che sopravvivono a questo processo di gentrificazione e si tratta di quegli ambienti quali il mercato, dove ancora si urla e si vende la propria merce in uno scambio continuo anche con il vicino di bancarella, dove si chiacchiera e ci si informa sulle vite altrui, dove si socializza e si stagliano rapporti relazionali e di potere, o la tradizionale trattoria romana, capace di conservare ancora (per poco) quella spontaneità umana, espressa in modo puro e delicato nei modi di Biancofiore e della sua strada, dai clienti che incontriamo e dalle loro parole. Una spontaneità che inizia a scomparire e che, lentamente, potrebbe perire a favore di un’omologazione imperante. Questo tragitto urbanistico vuole rappresentare, metaforicamente, la suddivisione umana di tra gradi o categorie dell’evoluzione sociale, separate da paesaggi, strutture e elementi architettonici che possono o meno avvalorare la loro personalità, passando da una campagna dove la buona gente lavora per donare cibo ai ricchi (ma che già sfrutta il debole), sino a giungere al quartiere della grande città dove tutto viene vanificato da un ineluttabile destino di livellamento e di appiattimento culturale e emotivo. L’immagine che viene donata da Pasolini e dalla sua interiorità e lo spostamento nelle differenti zona conservano, costantemente, la loro integrità e armoniosità visiva, anche dove la stessa città appare decadente, fatiscente e disarmonica, senza mai svelare la sua natura monumentale e aulica. Seguendo tale percorso, viene messo in luce l’elemento che porta al contrasto, non più la civilizzazione, ma un miglioramento egoistico di se stessi, una copia di una copia dell’altro attraverso il possesso degli stessi mezzi, dello stesso potere economico, della stessa abitazione: è la rappresentazione di ciò che abbiamo divulgato nella nostra contemporaneità, dal 1962 e da Mamma Roma ad oggi, attraverso una perdita dei propri valori in funzione di strutture e dispositivi di controllo che ci chiedono di essere come il nostro vicino, poiché mantenere le proprie caratteristiche condurrebbe al rischio di non essere accettati all’interno di questo miasma collettivo al quale tutti ambiscono ad appartenere, divenendo brutte copie di un modello meccanico privo di identità. 10 “Morto un pappone se ne fa un altro”: i sistemi di controllo sociale Roma e i suoi spazi, i suoi personaggi e l’essere se stesso e i loro rapporti con le strutture rappresentano per Pasolini degli ambiti spaziali e intimi nei quale poter mettere in scena la sua personale avventura esistenziale. I rapporti di potere vengono associati alla fisicità e alla tangibilità dell’essere vivente in quanto tale e, essendo il vivente formato da rapporti, è necessario indagare anche quali costumi e istituti sociali o giuridici influiscano in tale edificazione e manipolazione dell’essere identitario e del suo sviluppo all’interno di dati gruppi. Partendo da questa osservazione generale, il primo istituto nel quale ci imbattiamo è quello del vincolo matrimoniale e della sua valenza negativa, in quanto è presentato come campo di azione dominante dell’uomo sull’assoggettamento totale della donna. Andando per gradi, nel momento in cui il padre della sposa pronuncia il suo discorso, uno degli invitati sottolinea la “libertà provvisoria”17 di quel giorno di festa, andando a dipingere quel legame giuridico come una sorta di condanna, simile ad un carcere, dove le libertà di un individuo sono direttamente correlate alla volontà e all’esercizio di potenza dell’altro. Anche Mamma Roma, nella scontro della messa cantata, altro duello di potere, terminerà affermando che quel giorno è il simbolo della sua liberazione dal pappone (libertà provvisoria che mai diverrà reale e totale), cantando “io me so liberata da una corda. Adesso tocca a n’artra a fa la serva. So libera!”18, elementi di una schiavitù legalizzata, benedetta da una sacralità divina, ma corrotta dall’esercizio di forza dell’essere umano: il matrimonio diviene una struttura di controllo, un terreno di dominio del mondo maschile sulla donna, trasformandolo in un sistema contenitivo regolato da leggi religiose e sociali. Il legame che sostiene l’intero film, il rapporto tra Roma e Carmine, è dichiarato immediatamente dalle parole del pappone che, durante il suo matrimonio, afferma “morto un pappone se ne fa un altro”19, dove la vita della famiglia, l’avere un figlio maschio, porterà nuovamente ad un dominio sulla donna, socialmente e privatamente: Mamma Roma non riuscirà mai a fuggire dal suo corpo e dal suo pappone, il sesso e la carnalità divengono due dispositivi di controllo di un potere esterno al proprio. Il corpo e il suo possesso, quale mezzo per arricchirsi, possono essere riscontrati anche nel momento in cui il gruppo degli amici di Ettore spiega a quest’ultimo di come riescano a procurarsi 17 Mamma Roma, ivi, min. 00:03.50 Mamma Roma, ivi, min. 00:06.30 19 Mamma Roma, ivi, min. 00:08.00 18 11 denaro o altri beni per mezzo dei furti ai malati20. L’ospedale diviene un luogo dove l’essere vivente in difficoltà, malato, momentaneamente escluso dal ritmo costante della società, viene abbandonato da coloro che lo circondavano, famiglia, amici o colleghi. E’ una stazione di sosta o di abbandono totale, dove alcuni di essi, non ricevendo mai visite, sono costretti a fingere di dormire per non apparire soli e lasciati alla propria agonia senza alcun supporto emotivo e comunitario. In quel momento, il singolo diviene preda del gruppo più forte, del bisogno di potere economico e materiale, dimostrando come questa stessa struttura possa divenire un ricettacolo di paria sociali: si diviene un numero necessario a studi statistici di ricerca medica e scientifica, al fine di strumentalizzare un corpo individuale e trasformarlo in una materia da controllare. Proseguendo in questa ricerca sull’esercizio del potere e le differenti strutture che ne amplificano o mutano la forma, troviamo l’incontro tra Mamma Roma e il parroco di quartiere, tra la povera gente che lavora e un’istituzione religiosa come la Chiesa, altamente rispettata, nella quale vi sono i preti che contano21. L’abito talare è il simbolo di un potere esercitato attraverso le pressioni etiche e morali di una dottrina religiosa che riesce ad imbrigliare ampie masse e a condurre la loro vita, secondo dettami e modelli decisi al suo interno. In realtà, in questo spezzone, il prete vestirà sia il ruolo di individuo influente, secondo la prospettiva di Mamma Roma che si rivolge alla sua persona per chiedere un lavoro per suo figlio, ma anche dell’uomo terreno e realista che le indica come muoversi quando, lui stesso, chiederà “Cosa sa fare? Ha imparato qualche mestiere?” e, ricevendo una risposta negativa, addurrà che “su niente si costruisce niente”. La soluzione è di inserirlo in una seconda struttura sociale, la scuola dove poter ottenere un’istruzione e imparare un mestiere, incanalarlo nel flusso sociale, in quelle correnti che possano assegnarli un ruolo, renderlo un ingranaggio utile alla comunità, essere utile al bene comune. Mamma Roma cerca di trovare una scorciatoia, insinua il tarlo del favoritismi, dell’intercessione verso un benestante ristoratore, quasi a suggerire di manipolare il prossimo per l’ottenimento di un lavoro decente, che permetta a suo figlio Ettore di apparire, di avere un’immagine, di costruire un personaggio apprezzato socialmente, a prescindere da ciò che realmente è in quanto essere. Quindi è, nuovamente, nel sapere che sembra celarsi la reale natura dell’azione, del poter agire, dell’esercizio di forza per l’ottenimento di un obiettivo. Partendo da questa considerazione, avrà luogo l’innesco che attiverà il meccanismo di ricatto verso il benestante ristoratore, il quale, incastrato dall’inganno messo in scena da Mamma Roma e Biancofiore, sarà costretto ad assumere 20 Mamma Roma, ivi, min. 00:35.00 Mamma Roma, ivi, min. 00:52.00 21 12 Ettore. Ciò è decretato dal potere di Mamma Roma di conoscere, di aver assistito agli eventi che stavano accadendo in quell’abitazione privata, è l’atto del conoscere che le dona la possibilità di raggirare l’altro e di ottenere il fine desiderato: l’intromissione dell’altro nella vita privata di un secondo individuo, la detenzione della sua intimità e delle sue azioni. E’ un controllo fondato sul sapere, sul controllo del pensiero dell’altro, così come espresso dalla stessa Roma verso suo figlio quando lo ammonirà dicendogli che dovrà parlare22 e pensare23 come sua madre, in modo tale da proseguire nell’evoluzione di un linguaggio codificato, comprensibile a tutti, privo di sfumature, ma riconoscibile nella pura forma borghese e delle sue relazioni. Il percorso di Mamma Roma e di Ettore si concluderà con uno dei sistemi di potere maggiormente dibattuti: il carcere e il suo sistema di detenzione e di sorveglianza. Ettore, febbricitante e in preda a visioni, si ritroverà prima steso in un letto, in una camerata dove altri carcerati trascorrono il tempo come possono. E’ intimorito, spaventato, perso nei suoi ricordi e pervaso dalla voglia di fuga. Nel momento in cui esternerà tali volontà, preso per matto, verrà legato ad un letto di contenzione, dispositivo di un potere che ingabbia e reprime, non educa e annichilisce ogni speranza umana: è la struttura, l’istituzione che “controlla l’anomalia, come tecnica di potere e di sapere […] che dovrà organizzare, codificare, articolare le une sulle altre, le istanze di sapere e le istanze di potere”24. Un Cristo pittoresco25, ma di borgata, solo, poggiato su di un sudario ateo, fragile nel suo delirio, avvolto solo dal contesto asettico e privo di riferimenti e vie di fuga. Le sue ultime parole saranno rivolte a sua madre, all’affetto mai esternato, a Guidonia e alla vita di campagna, la sua culla e il suo unico sollievo, ribadendo quale sia l’importanza di una vita semplice, rispetto ai processi di sviluppo/omologazione che stavano investendo massivamente la società. Morirà solo, come un emarginato, come un paria, come un cane abbandonato. Della scena della ribellione in catene, la macchina da presa catturerà la sua rigidità, la sua incapacità a reagire e, infine, la morte che diverrà “il momento in cui l’individuo sfugge a ogni potere, ricade su se stesso e si rifugia in qualche modo nella sua parte più privata”26. La galera non è acqua che passa, non è un luogo dove è possibile apprendere un’educazione sociale; è un luogo di detenzione e sorveglianza, dove si subisce una punizione; non vi è 22 Mamma Roma, ivi, min. 00:15:00 Mamma Roma, ivi, min. 01:11:00 24 M. Foucault, Gli anormali, Feltrinelli, Milano, 2009, p. 63 25 Nel finale, Pasolini sceglie di citare la naturalezza umana e l’iconografia divina del Cristo Morto (1485) di Andrea Mantegna. L’accostamento tra il dipinto e Ettore legato al letto di contenzione esprimono vividamente l’amore che Pasolini mostra per la sacralità della vita degli abbandonati, degli emarginati, dei puri di cuore che pagano sulla loro nuda carne le difficoltà della vita e gli ostacoli che la società riversa nella purezza delle loro vite. 26 M. Foucault, Bisogna difendere, op. cit., p. 214 23 13 insegnamento tra quelle mura spoglie e fredde, vi è solo disperazione e dolore, senza sosta, senza pace. Il racconto pasoliniano ci mostrerà come l’inquietudine e l’isteria del cambiamento non posso mai divenire la favola che immaginiamo ogni mattina al risveglio e le parole di Roma Garofalo e della sua accusa alla vita, “E allora di chi è la colpa? Se avevano i mezzi erano tutti brave persone”27, divengono dei colpi di frusta sulla nuda carne, sulla nuda vita, non sono un giudizio sociale, ma un nitido riflesso dell’esistenza del vivente e delle sue aspettative disilluse, poiché la colpa di ciò che siamo è il risultato della fusione tra le nostre azioni e quelle altrui, che condizionano e contaminano lo spazio privato dell’altro soggetto, riproponendo costantemente rapporti di potere e di dominio. Fine “Il popolo più analfabeta, la borghesia più ignorante d’Europa”28 Il livellamento culturale sta divenendo una piaga per lo sviluppo dell’individuo, mostrando un mercato dominato da un potere economico accentratore, divenuto indicatore di consumi e interessi per le masse, stabilendo che ciò che conta è il numero, la produzione di massa. C’è un reale adeguamento emotivo e educativo verso il basso, ampliando i margini di confine tra le differenti classi sociali. La società che accoglie Roma Garofalo e la lascia sguazzare nelle proprie correnti si rivela un ambiente ostile e crudele, indifferente a quella parte della popolazione abbandonata, offesa e umiliata, coloro che, partendo da uno stadio di natura umile e sofferente, cercano di innalzarsi al livello di una frazione che reputano più fortunata, emancipata e sviluppata. Il sogno della scalata sociale è frutto di un’educazione sbagliata e deviata, fondata sulla corsa alla ricchezza, sull’accumulazione di denaro, sulla conquista di potere economico d’acquisto e su di un esercizio di forza sulla vita dell’altro, volendo inculcare nello spirito della massa un simulacro divino che possa 27 28 Mamma Roma, ivi, min. 01:25:00 Ro.Go.Pa.G, ivi 14 adempiere al ruolo di guida, un moloch industrializzato capace di annullare l’emotività del soggetto, in funzione di un’individualità frammentata, corrotta, annichilita, ma condivisa dalla folla solitaria. Mamma Roma è un’eroina realista decadente, è la fotografia in bianco e nero di una donna che lotta per il bene della sua prole: è l’iconografia della povertà materiale e dalla violenza emotiva di un’Italia che stava dimenticando le sue radici, i suoi antichi ruderi, in funzione del progresso, di vuoti spazi costruiti per il contenimento e la massificazione del soggetto. Potremmo affermare che la visione di Pasolini è il riflesso di ciò che oggi definiamo come disgregamento della comunicazione, frazionamento della cultura, nozionismo educativo, spostando la crescita del soggetto dalle esperienze personali e dalla propria elaborazione verso un processo industriale di ripetizioni e di produzioni a catena, dove scompare la percezione del proprio, lasciando sviluppare la struttura dell’impersonale. Affermare di essere una forza del passato è il cuore di un momento di rivoluzione del corpo e dello spirito, è l’attimo in cui comprendiamo il messaggio pasoliniano di riscoperta dei ricordi, delle nostre radici e di tutte le battaglie che hanno edificato ciò che siamo. Conservare memoria è necessario per riviverla e perpetuare, nel corso della storia, il suo insegnamento, poiché, negare la sua esistenza è affermare la sconfitta della cultura e del progresso educativo reale. La sua forza risiede nell’eterno dinamismo, nel divenire costantemente parte del presente e di partecipare, attivamente, allo sviluppo del futuro, essendo il vivente figlio di ciò che è accaduto e mutevole identità nel presente, sollecitato dalla moltitudine di spinte e correnti sociali. La diacronia presente nella visione pasoliniana dimostra come sia necessario provare un forte amore per le profonde radici del passato che ci ancorano ad un sostrato valoriale grezzo, ma puro, unico, che sta scomparendo nelle generazioni presenti e future. Non è legato ad alcuna visione politica o corrente di pensiero, si tratta di un viaggio all’interno delle pulsioni umane, delle proprie diversità, di un mondo che contempla una moltitudine da preservare ed educare, un’indagine sociologica su di un mondo martoriato dall’indifferenza e della ripetizione di una copia priva di spirito. Roma Garofalo, coloro che l’affiancano, Pasolini, vogliono mostrarci che la nevrosi, la disperazione e la perdita di se stessi sono vie di fuga da quell’idolo d’oro che siamo costretti a subire, senza comprensione alcuna delle scelte imposte a livello inconscio, sublimando ciò che percepiamo intimamente. Sono sentieri, fughe nelle tenebre, che si manifestano prive di logica e 15 raziocinio, sono sistemi di evasione da un sistema di manipolazione capillare, di un potere soffocante. Il pensiero pasoliniano è una sequenza di fotogrammi della vita che restano impressi come lividi e cicatrici sul cuore di chi li osserva e comprende. E’ arte che si fa custode della memoria e veggente di un futuro cupo e disordinato, costellato da fantasmi e demoni, apparizioni e miracoli, che fugaci, tracciano segni sul nostro percorso, come le differenti comparse che accompagnano Mamma Roma nelle due carrellate notturne, unendo l’onirico e il reale di un’esistenza da preservare e curare. Contro questa umanità macellata, il compito dei salvatori del passato sarà di preservare le memorie che potranno donare ricordi, pensieri e vita al futuro. Sarà nostro compito raccogliere il Sapere, divulgare la Conoscenza e tornare ad amare la Cultura nella sua pienezza. Edificare un giardino che possa preservare la diversità e la moltitudine di esperienze che ci formano. Che noi tutti siamo. Testi di riferimento M. Augé, Nonluoghi, Elèuthera, Lavis, 2010 M. Foucault, Bisogna difendere la società, Feltrinelli, Milano, 2009, p. 217 M. Foucault, Gli anormali, Feltrinelli, Milano, 2009 M. Foucault, La volontà di sapere. Storia della sessualità I, Feltrinelli, Milano, 2001 R. Sennet, La cultura del nuovo capitalismo, Il Mulino, Bologna, 2006 P. Paolo Pasolini, Accattone-Mamma Roma-Ostia, Garzanti Libri, Milano, 2006 Filmografia Ro.Go.Pa.G., Dir. Roberto Rossellini, Jean-Luc Godart, Pier Paolo Pasolini, Ugo Gregoretti. 1963 Mamma Roma. Dir. Pier Paolo Paolini. 1962 16