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25 APRILE 1950 A ROMA
La Liberazione come festa popolare
Nel 1950 la prima celebrazione unitaria della Liberazione.
I resoconti del 25 aprile di quell’anno nella stampa quotidiana.
Una festa laica che rinnova i valori di unità, solidarietà e fratellanza
Anche se già dal 1947 il 25 aprile era stato proclamato Festa nazionale, è solo nel 1950
che per la prima volta l’anniversario viene celebrato con una cerimonia ufficiale ed
unitaria, come ci dice il manifesto affisso a cura del Comitato organizzatore:
“Aderendo all’invito di tutte le forze della resistenza, sotto gli auspici del Parlamento, le
rappresentanze del Senato e della Camera e del Governo, le formazioni volontarie della
lotta per la Liberazione, le Direzioni dei partiti che parteciparono alla riscossa, le
organizzazioni dei combattenti e dei mutilati hanno deciso di celebrare con una solenne
unica cerimonia in Roma la data del 25 aprile.”
Il significato della celebrazione unitaria, che trova insieme schierati autorità e popolo, è
evidente.
A cinque anni di distanza dall’evento che è certamente tra i più grandi e decisivi della
nostra storia, gli italiani non ingrati e non immemori desiderano elevare in concordia il
loro pensiero di reverenda gratitudine alla memoria dei Martiri, dei Morti gloriosi, dei
partigiani della libertà. Ma ora e al disopra del rito commemorativo, l’Italia rinnovata
intende riaffermare la perenne validità del patrimonio ideale che si identifica nel
movimento della Resistenza.
La Resistenza si riallaccia con i suoi valori etici e politici ai moti del nostro Risorgimento;
lo completa attraverso la sempre maggiore partecipazione attiva e consapevole fatta di
sacrifici e di sangue del popolo ai destini della Patria.
La celebrazione del 25 aprile nella unità degli animi e degli intenti di tutte le forze vive
che vi parteciparono ha pertanto un valore di altissimo insegnamento. Per tutti gli italiani
il patrimonio ideale della Resistenza è sacro e inattaccabile. Appartiene indissolubilmente
- ora e sempre - alla storia del nostro Paese.”1
Prima del 1950
Negli anni precedenti diverse manifestazioni erano state organizzate da associazioni,
prima fra tutte l’Anpi, e da partiti, né erano mancate alcune iniziative del Governo. Così il
25 aprile 1946 il Ministro Gasparotto aveva pubblicato una relazione nella quale forniva i
dati del contributo italiano alla Liberazione: l’esercito italiano il 1 gennaio 1946 aveva
una forza di 385.156 uomini, secondo le aliquote fissate dagli alleati; le perdite furono di
128.506 morti; 29.398 furono i feriti.2
Nello stesso anno il Luogotenente generale del Regno, Umberto II di Savoia, aveva
diretto un proclama alle Forze Armate ed aveva concesso medaglie d’oro al valor militare
a partigiani e a famiglie di caduti, come farà anche l’anno successivo.
Alle manifestazioni in genere avevano partecipato autorità civili e militari, a volte lo
stesso Primo ministro. Di solito si era trattato di Messe di suffragio, deposizione di
corone d’alloro o di fiori, comizi. Al pomeriggio si erano aggiunte esibizioni di bande,
feste, balli, pesche di beneficenza, la gara ciclistica “Gran Premio della Liberazione” sul
circuito della Passeggiata Archeologica, che continuerà per alcuni anni, competizioni
pugilistiche, proiezione di film e trattenimenti vari.
Nel 1946 “l’Unità” scrive: “Durante tutto il pomeriggio e la sera [...] a Campo dei Fiori, a
piazza Borghese, a piazza Testaccio, a piazza Ragusa, a Via Alberto da Giussano, a Porta
Cavalleggeri, a Monte Sacro, sui vecchi selciati del centro, nei lontani quartieri della
periferia i festoni e le stelle luminose issate su improvvisati spacci di bibite e vino si
agitavano nel vento della sera.
I padri, le madri, i giovani, i bambini, le ragazze, gli uomini semplici si muovevano tra la
musica che suonava per loro, liberi e felici nelle strade percorse ogni mattina per recarsi
al lavoro. Due anni fa per quelle strade gli invasori e i nemici del popolo circolavano nelle
automobili mimetizzate. Due anni fa a giugno per quelle strade e per quelle piazze il
popolo passò esterrefatto e delirante per la Liberazione.
[...] Quando il popolo balla nelle strade e nelle piazze, sotto il cielo, vicino alle sue case è
un brutto giorno per tutti i suoi nemici. Quei balli e quei canti significano forza, perché
sono espressione di amore, di solidarietà e di fratellanza.
Il popolo italiano ha ritrovato la solidarietà e la fratellanza combattendo e distruggendo il
fascismo suo nemico. Ogni anno come quest’anno il popolo romano ricorderà
quell’impresa, ritroverà il senso della sua forza e del suo amore ballando per le strade.”3
Anche la Rai nel 1947 aveva trasmesso un programma di canti partigiani.
Numerosi erano stati anche i proclami e gli appelli pubblicati per il 25 aprile. Tra questi
merita di essere ricordato quello che, nel 1949, l’Alleanza femminile ha diretto alle donne
del Fronte, appello nel quale si dice:
“Nel giorno che ricorda la Liberazione del nostro Paese e la grandiosa epopea della lotta
partigiana inviamo il nostro saluto a voi tutte, donne d’Italia, che avete or ora sostenuta
una così dura battaglia per la democrazia, non come allora, aperta e leale, contro un
nemico ben individuato, ma una battaglia sorda contro le calunnie e le perfidie e le
insidie di coloro che non conoscono lotta onesta e sincerità d’intenti”4. L’appello si
conclude con l’invito alle donne a restare unite con chi difende i valori della libertà, del
lavoro, della pace.
Solo nel 1948 le manifestazioni erano state vietate. Quell’anno la lotta per le elezioni
politiche era stata durissima. La Democrazia Cristiana aveva mobilitato tutte le sue
forze, in primo luogo i parroci, contro il pericolo rosso; padre Lombardi, “il microfono di
Dio”, tuonava dalla Rai; agli operai si ricordava che Nel segreto della cabina Dio ti vede,
Stalin no. Gli animi erano esasperati e i disordini non erano e non sarebbero mancati. La
Dc aveva vinto, ma i timori non erano placati e le manifestazioni, anche quelle per il 25
aprile, erano state vietate.
“L’Unità”, commentando il provvedimento, deplora il ministro Scelba che “ha
assurdamente esteso anche alle manifestazioni indette per ricordare questa data solenne
della storia d’Italia il provvedimento che vieta di tenere fino a nuove disposizioni
manifestazioni e riunioni pubbliche. A tutti i prefetti ha diramato disposizioni in tal senso.
Solo alla Dc il ministro Scelba, quest’uomo la cui faziosità si accentua ogni giorno che
passa, consente di tenere comizi e cortei per le città d’Italia. E proprio in occasione del
25 aprile vien data notizia di manifestazioni che i democristiani - essi soli - si apprestano
a tenere a Firenze con la partecipazione dei loro leaders politici per dare anche a questa
giornata un carattere di parte.
Tuttavia il ministro Scelba si illude se pensa di poter impedire, con un suo decreto, che i
lavoratori e i partigiani rievochino degnamente la lotta antifascista, che i caduti abbiano i
loro fiori, che in tutte le città d’Italia i partigiani rivivano il 25 aprile col loro vecchio,
genuino entusiasmo e che con essi tutta la popolazione democratica lo riviva.”5
Il 25, in realtà, la ricorrenza fu ricordata quasi ovunque. A Milano, però, si registrarono
scontri e ferimenti.
Quanto ai temi trattati, nel corso degli anni essi si sono strettamente connessi agli
avvenimenti in corso. Così, ad esempio, nel 1949, e negli anni immediatamente
successivi, la celebrazione per la sinistra è legata alla propaganda per i Comitati per la
pace che si oppongono ai blocchi militari, “bellicisti”, ed in particolare all’ingresso
dell’Italia nella Nato, appena costituita. Si ricordano perciò innanzi tutto i 72.000 morti,
le centinaia di migliaia di feriti, i 40.000 mutilati.
Un appello in tal senso è anche indirizzato dall’Udi alle donne perché rinnovino il
giuramento di lottare per gli ideali che animarono la guerra di Liberazione:
«Mentre si minaccia il nostro Paese con patti bellici ricordiamo e facciamo ricordare a chi
non vuole, che il nostro popolo avrebbe perduto l’indipendenza e la libertà se le eroiche
armate partigiane non avessero riscattato, con l’onore, anche il diritto ad un maggior
rispetto da parte dei vincitori: salutiamo nei partigiani d’Italia i primi ed i più degni
difensori della pace del nostro Paese.»6
La prima celebrazione unitaria
Quando nel 1950 si decide la manifestazione ufficiale, fanno parte del Comitato che la
organizza i Presidenti del Senato e della Camera, Bonomi e Gronchi, il Presidente del
Consiglio De Gasperi, il primo Presidente della Repubblica De Nicola, gli ex Presidenti del
Consiglio Orlando e Nitti, il senatore Croce, i membri del Cln dell’Italia centromeridionale Casati, Lussu, Nenni, Reale e Scoccimarro, i membri del Cln dell’Alta Italia
Marasca, Merzagora, Morandi e Pertini, i comandanti del Corpo Volontari della Libertà
Parri, Longo e Cadorna, i segretari dei Partiti che parteciparono alla Resistenza Togliatti,
Mondolfo, Reale, Saragat, Gonella e Villabruna, i Presidenti dell’ANPI, dell’Acnr e
dell’Anmi Boldrini, Viola e Ricci, i dirigenti della Resistenza e i deputati e senatori
Amendola, Bauer, Bergamini, Brosio, Calamandrei, Carandini, Cevalotto, Cianca, Della
Torretta, Fancello, Gasparotto, La Malfa, Lombardi, Mattei, Molè, Ponti, Porzio, Quarella,
Romita e Taviani e i dirigenti delle associazioni combattentistiche di Roma Bruno, Cirenei
e Garzoni.
Per la ricorrenza, l’Associazione Nazionale Mutilati e Invalidi di guerra, l’Associazione
Nazionale Combattenti e Reduci e l’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia hanno
rivolto a tutti gli italiani il seguente messaggio:
“ITALIANI: ex partigiani, ex combattenti di tutte le guerre!
Ritorna con l’aprile l’anniversario del nostro riscatto.
Misconoscimenti ed oltraggi, che già seguirono al Primo Risorgimento, non possono né
potranno mai diminuire la grandezza popolare e nazionale del Secondo Risorgimento
d’Italia.
Da Cefalonia, da Napoli delle ‘quattro giornate’, dai campi di concentramento e dalle
camere di tortura, dalle Fosse Ardeatine come da Marzabotto e da Vinca, dai paesi
montani non piegati dalle rappresaglie, dalle città insorte e liberate parecchi giorni prima
che arrivassero gli Alleati, dalle fabbriche e dai porti salvati, ritornano a noi in un vento
di epopea i 72.500 Caduti per la Libertà. Essi ci ammoniscono, e ammoniscono il mondo,
a ricordare la tragica esperienza della guerra e del fascismo, e l’eroica prova di capacità
data dal popolo italiano risollevando dalla catastrofe la bandiera della Patria.
L’esempio che danno le Associazioni dei Combattenti e reduci, dei Mutilati e Invalidi di
guerra e Anpi nel celebrare insieme il 25 aprile, come una delle grandi date patriottiche
in cui si esaltano gli ideali comuni di libertà, di indipendenza e di pace, sia seguito
dall’intera Nazione.
Erano di tutte le regioni d’Italia e di tutti i ceti i Martiri della Resistenza. Ed è stata la loro
unità e l’unità attorno ad essi di tutto il popolo che ha salvato allora l’Italia.
Nella difficile situazione attuale sappia l’Italia trarre dall’anniversario della Liberazione
motivo di concordia e di fierezza nazionale, luce per un avvenire di pace e di progresso,
insegnamento generoso per le giovani generazioni.
Associazione Nazionale Mutilati e Invalidi di Guerra - Associazione Nazionale Combattenti
e Reduci - Associazione Nazionale Partigiani d’Italia.”7
I commenti sui mezzi di informazione
Il richiamo al Risorgimento e la definizione della Resistenza come secondo Risorgimento
e completamento del primo erano già stati molto frequenti negli anni precedenti e
ritornano nel 1950. Anche l’articolo di Mario Vinciguerra sul “Messaggero” del 25 aprile
accosta Resistenza e Risorgimento e considera la situazione dell’Italia nei due momenti.
Ma la situazione d’oggi, egli dice, “è certo assai più difficile di quella degli anni che
seguirono immediatamente le guerre d’indipendenza e che pure appariva così fosca ai
patrioti di allora. Per essi il terreno della patria comune era più facile a ritrovare ed
un’atmosfera di più elevata moralità permetteva cavalleresche rinunzie che oggi
purtroppo appaiono inconcepibili. [...] quello che rattrista e dà giustificate ragioni di
preoccupazione è che in mezzo all’elemento fattivo del mondo politico non siano stati
superati lo spirito e la pratica di parte. [...] guardando la situazione quale è non m’illudo
che la celebrazione di oggi riuscirà a portare una parte non trascurabile di italiani su un
fondamentale piano di intesa nazionale. Si può dire che essa è ancora una truppa
accampata e con le armi al piede. Non voglio discutere le ragioni e anche gli ideali per i
quali essa intende combattere ancora. Non sono i miei; ma li comprendo. Però sul
terreno politico bisogna regolare le proprie azioni non su disquisizioni dottrinarie, sibbene
sui risultati derivanti dal formarsi o dal rompersi di un certo equilibrio di forze.
L’intesa coi partiti rivoluzionari - malgrado l’intima contraddizione - sarebbe stata ancora
possibile, se essi l’avessero voluta mantenere quale fu al tempo della Resistenza. Perché
fosse mantenuta, era necessaria una garanzia di pace interna e di sicurezza nazionale.
Questo non è stato possibile perché la contraddizione era troppo forte. In verità si tacque
di fronte al tremendo pericolo comune; ma quando si cominciò a parlare, ci si accorse
che mai come questa volta si parlavano due linguaggi, Per essi la Resistenza significava
la difesa della rivoluzione; per noi significò e significherà sempre la difesa della Patria.”8
Non molto diverso è il tono delle parole dell’on. Taviani a Genova, dove ricorda il pericolo
del bolscevismo e l’impossibilità di schierarsi con i comunisti che hanno dimostrato “di
essere altrettanto totalitari e altrettanto pericolosi dei nazisti.”9
Nell’editoriale del “Giornale d’Italia” del 26 aprile si dice: “Nello spirito del Risorgimento
[...] oggi si celebra più che la Liberazione dai tedeschi la caduta di una dittatura e la fine
di una guerra infausta che trovò gli italiani divisi e avversi, si celebra [...] il ripristino del
reggimento democratico nell’aureola splendente della santa Libertà. [...] oggi alcuni
partiti intendono distinguere, travisare, sopraffare, nel chiaro intento di conquistare
posizioni di privilegio che contrastano non solo con lo spirito di quella unione, ma con la
volontà liberamente espressa dal popolo in libere elezioni. [...] mettere la Resistenza a
servizio di un partito che si dice democratico, anche se aggiunge progressivo, quando è
notorio che si tratta di una dittatura che tiranneggia le stesse classi sulle quali si regge, è
un errore grossolano nel quale solo gli ingenui in buona fede e i falliti in cerca di una
favola di salvezza possono cadere.”10
Anche il Pci fa riferimento al Risorgimento, ma con toni assai diversi, perché come aveva
detto Secchia nel 1946: “i combattenti del nostro Risorgimento non hanno impugnato le
armi per essere considerati, dopo un anno appena, dei briganti, per essere messi da
parte come lo fu già Garibaldi dopo il 1860, a Caprera. La loro opera non è finita. I
partigiani, i patrioti, tutti gli italiani insorti contro la barbarie tedesca e fascista hanno
combattuto non solo per liberare l’Italia dalle orde teutoniche, ma per ripulirla dal
marciume fascista, per liberarla dall’istituto monarchico causa di tante rovine, per fare
dello Stato italiano una repubblica democratica e progressiva.
Il 25 aprile 1945 ha aperto la strada al 2 giugno 1946. Due date, un solo obiettivo:
Repubblica, Pace, Lavoro.”11
Costante del resto è il richiamo alla pace e alla concordia da parte delle forze di centro e
di destra, mentre la sinistra tende a porre l’accento sempre più spesso sulle speranze e
gli ideali traditi. Nell’articolo di Arturo Colombi su “l’Unità” del 25 aprile 1950 si dice: “Il
ricordo dei nostri morti, delle battaglie combattute in unità d’intenti, delle ansie e delle
speranza comuni a tutti coloro che avevano scelto un’altra via che non fosse quella del
fascismo e della guerra, è più che mai necessario oggi che taluni uomini e partiti, i quali
pur combatterono, in un modo o nell’altro, a fianco della classe operaia e della sua
avanguardia comunista e socialista, hanno abbandonato e tradito gli ideali della
Resistenza e perseguitano i migliori combattenti della libertà e fanno causa comune con i
ceti che costituirono la base e furono i profittatori della dittatura mussoliniana [...].
Mentre il paese si apprestava a celebrare la data gloriosa di Aprile ed era lecito
attendersi da chi dirige il governo una parola ispirata all’unità e alla concordia del popolo,
abbiamo udito invece nuove parole di odio contro i partiti popolari ed espressioni invece
di invitante rammarico verso i fascisti. [...] come potrebbero gli italiani non essere
angosciati dallo spettro della guerra, quando il governo è legato mani e piedi ai
forsennati guerrafondai d’oltre oceano e sbarcano sul nostro suolo le armi di quegli
imperialisti che non esitano a provocare incidenti di frontiera a diecimila chilometri dal
loro territorio?
Non si ricostruisce il Paese asservendolo all’imperialismo del dollaro, né vi può essere
ripresa economica, nella pace e nella libertà, finché si conta solo sulle elemosine
interessate dello straniero e quando si perseguitano la classe operaia, i lavoratori e i
partigiani, proprio perché essi sono rimasti fedeli agli ideali di rinnovamento sociale, di
libertà e di pace che animarono la Resistenza.
Per ricostruire e rinnovare l’Italia non occorre tanto l’aiuto americano e ancor meno
quello dei rigurgiti fascisti. Occorre aver fiducia nelle virtù del nostro popolo [...].
Come negli anni della guerra di Liberazione, così oggi noi abbiamo fiducia nel nostro
popolo, è nel nostro popolo e nella sua unità antifascista che noi dobbiamo ricercare le
forze e i mezzi per risorgere come popolo libero che costruisce il suo avvenire, che
assicura il lavoro e il pane a tutti i suoi figli per risorgere come nazione grande, pacifica e
rispettata nel mondo.
Il convegno su Resistenza e cultura
Ci sembra che questo sia lo spirito nel quale si realizza quell’unità antifascista, la quale
ha trovato in questi giorni una espressione così alta al Convegno sulla Resistenza e sulla
Cultura.”12
Questo Convegno, organizzato a Venezia, al quale hanno partecipato numerosi ed
importanti intellettuali,
si conclude con l’approvazione della seguente, importante
mozione:
“Il Convegno ‘La Resistenza e la Cultura italiana’ tenutosi a Venezia i giorni 22, 23 e 24
aprile 1950, nella diversità e varietà di origini e di idee dei convenuti, dichiara che le
sofferenze ed il martirio di tutto il popolo, nei lunghi anni della dominazione fascista e
nazista, la lotta e la Liberazione che la cultura italiana, nello spirito delle sue tradizioni,
suscitò e condusse con tutti gli italiani contro la tirannide fascista e per la Liberazione del
Paese, sono patrimonio comune ed intangibile di tutta la nazione. Denuncia la insidia e la
protervia delle forze ostili alle libertà nazionali che, male interpretando come debolezza il
generoso sforzo di riconciliazione della democrazia, si riorganizzano nella sistematica
denigrazione di ogni aspetto e fase della lotta per la libertà, in una azione consapevole
volta a rendere inoperante la Costituzione, giovandosi dell’appoggio di elementi dirigenti
fascisti reintegrati nell’apparato statale, nella scuola, nella stampa e tra l’inerte
disinteresse dei pubblici poteri.
E richiama l’attenzione del Paese sui pericoli interni e internazionali del rifiorire delle
forze che condussero l’Italia alla catastrofe.
Ricorda agli immemori che, se un Italia democratica e pacifica può oggi rivendicare il
diritto dell’unità e dell’integrità nazionale, questo si deve al sacrificio dei partigiani e
dell’esercito di Liberazione. Impegna tutte le forze della cultura e della politica
democratica italiana a fermamente difendere i perenni valori di libertà politica, civile,
religiosa, intellettuale che ispirò la lotta di Liberazione in Italia e nel mondo.”13
Il giorno della Liberazione vengono lanciato vari messaggi: il sindaco di Trieste, ing.
Gianni Bartoli, indirizza un messaggio a tutti i sindaci d’Italia; la Federazione Italiana
Volontari per la Libertà esorta la nazione a difendere i valori della libertà e della pace
contro ogni nostalgico tentativo di ritorno o di sovversione.
Il messaggio dell’Anpi è invece diretto alle Forze Armate e dice:
“Nel quinto anniversario della Liberazione salutiamo fraternamente gli Ufficiali ed i
Soldati delle Forze armate alla cui storia gloriosa la vittoria del 25 aprile appartiene.
Gloria ai reparti di tutte le Armi che l’8 settembre in Italia e all’estero, trovandosi nella
tragica situazione di cui non essi, ma il fascismo era responsabile, seppero resistere a
Roma come a Cefalonia, a Torino come nei Balcani, e per il riscatto d’Italia trasformarsi
in partigiani. Onore agli Ufficiali e Soldati dell’eroico Corpo Italiano di Liberazione. E
onore al popolo italiano che prendendo la iniziativa della guerra partigiana e costituendo
il Corpo Volontari della Libertà, ha voluto ridare all’Italia e al suo Esercito indipendenza e
dignità. La vittoria conquistata insieme ha permesso all’Italia di risorgere, ha acceso nel
cuore dei suoi figli una nuova speranza.
Col nostro saluto, esprimiamo l’augurio che sia messa a frutto nelle Forze Armate della
Repubblica, l’eredità preziosa della Resistenza e che sia rafforzata l’unione delle Forze
Armate con gli ex partigiani, gli ex combattenti di ogni guerra e tutto il popolo per
garantire insieme che la nostra Patria viva e prosperi nella pace, sia libera e
indipendente come l’abbiamo voluta noi combattenti, come l’hanno sognata i nostri
Morti, come la Costituzione dichiara.
Evviva il 25 aprile!
Evviva le Forze Armate della Repubblica!
Evviva l’Italia
L’Esecutivo dell’Anpi”14
La Camera del lavoro ha inviato all’Anpi un saluto e l’auspicio della intensificazione della
lotta per l’affermazione dei valori della Costituzione e della pace contro ogni tentativo di
riportare il Paese al fascismo e alla guerra.
Il messaggio del Presidente della Repubblica
Infine il messaggio che il Presidente della Repubblica ha diretto al Comitato
organizzatore dice:
“Nell’alta parola che le forze della Resistenza hanno dedicato al 25 aprile il Paese
riconosce i sentimenti onde la sua anima è commossa al ricorrere di questa data. Per
ogni italiano è soprattutto motivo di compiacimento il carattere unitario del richiamo a
quei comuni ideali che, nel solco della gloriosa tradizione del Risorgimento, il nostro
popolo ancora una volta volle e seppe tradurre in momenti segnati da martirii e sacrifici.
Nella fedeltà di ognuno a quegli ideali, nel sapere in essi ritrovarsi di quanti li servirono e
nel perpetuarsi in ogni cuore della memoria di coloro che ad essi fecero olocausto della
vita, la Patria risorta ravvisa l’auspicio di un migliore avvenire garantito dal costante
rafforzamento delle sue istituzioni democratiche e dalla perenne incolumità da ogni
tirannide.”15
La cerimonia ufficiale, che viene trasmessa per radio, si tiene la mattina del 25 al Teatro
Adriano, dove sono presenti i rappresentanti di tutti i partiti. Accanto all’oratore, on.
Bonomi, Presidente del Senato, ci sono gli onorevoli Orlando, Togliatti e Gronchi.
“L’Unità” sottolinea “la significativa assenza di De Gasperi dalla manifestazione unitaria”.
La sala e la piazza Cavour sono affollatissime. Il comizio di Bonomi viene perciò diffuso
da altoparlanti anche all’esterno, dove si accalca molta gente che non ha trovato posto
nel teatro. L’on. Bonomi, presentato da Molè, ricorda come proprio a Roma dopo l’8
settembre i capi dei movimenti antifascisti si erano riuniti in un modesto appartamento
di via Adda. C’erano i democristiani De Gasperi e Ruini, il comunista Scoccimarro, il
liberale Casati, il socialista Nenni, il Leader del Partito d’Azione La Malfa. Lo stesso
Bonomi li presiedeva. Egli rilegge il testo dell’ordine del giorno che fece allora votare:
“Nel momento in cui il nazismo tenta restaurare in Roma e in Italia il suo alleato fascista,
i partiti antifascisti si costituiscono in Comitato di Liberazione Nazionale per chiamare gli
italiani alla lotta ed alla resistenza e per riconquistare all’Italia il posto che le compete
nel consesso delle libere nazioni.”16
Bonomi ricorda poi i partigiani del Nord e le quattro divisioni dell’esercito (la “Cremona”,
operante nei pressi della laguna di Comacchio, la “Friuli”, sull’Appennino, la “Folgore” e
la “Legnano”, in Emilia Romagna) che dopo la Liberazione di Roma si posero al loro
fianco, oltrepassando la linea gotica, per sconfiggere le ultime postazioni tedesche. Il
contributo dato dall’Italia alla vittoria della democrazia, dice Bonomi non è stato
adeguatamente apprezzato dagli alleati che hanno confuso le responsabilità di pochi con
quelle di un popolo intero. “Ricordo [...] i tristi giorni per la conferenza per la pace
dell’estate 1946 a Parigi. Io fui dei tre Cirenei (gli altri erano gli on.li De Gasperi
residente del Consiglio, e Saragat Presidente dell’Assemblea Costituente). [...] L’Italia vi
fu accolta come un reo che deve sedersi sul banco dei vinti [...]. Nonostante tutto, molto
cammino è stato fatto da allora nella faticosa opera di risollevare l’Italia nell’estimazione
del mondo e specialmente dei vincitori, ma molto resta ancora da fare.”
Passando alla situazione interna dell’Italia l’oratore ricorda la necessità di mantenersi
uniti, nonostante le diversità dei programmi di partito, nella difesa della libertà e della
democrazia e per la difesa del patrimonio ideale per il quale si è combattuto e tanti
martiri sono caduti. “Contro questo patrimonio [...] si appuntano oggi accuse e rancori.
Non si può negare che quel quadro luminoso possa aver avuto qualche ombra, perché
tale è il destino di tutti i grandi eventi storici, ma non sono ammissibili recriminazioni da
parte di coloro che in quelle circostanze si schierarono dalla parte del tedesco
invasore.”17 Bonomi dice anche che: “Non possiamo tollerare oblio e ignominia contro il
secondo Risorgimento”.
Altre manifestazioni
Accanto a quella unitaria si tengono a Roma anche altre manifestazioni. Tra quelle
ufficiali ricordiamo che la mattina alle 10, il capo si Stato Maggiore generale,
accompagnato dai segretari generali delle Forze Armate, ha deposto una corona sulla
tomba del Milite Ignoto, mentre un reggimento rendeva gli onori militari e la banda dei
Carabinieri intonava l’inno di Mameli. Lapidi in onore di caduti vengono scoperte a
Cavalleggeri e al Salario.
Né sono mancate le manifestazioni popolari. Ne ricordiamo qualcuna, come i comizi che
si sono conclusi con balli e trattenimenti tenutisi a cura dell’Anpi nelle sue varie sezioni.
Quella dell’Esquilino, in particolare, ha offerto un pranzo nella trattoria Osvaldo a 50
bambini poveri con il contributo degli abbacchiari di Piazza Vittorio.
Anche i giovani organizzano manifestazioni: quelli della Fgci (la federazione giovanile
comunista) di Val Melaina una conferenza e una serata danzante pro “Pattuglia”, quelli
del quartiere Latino-Metronio fanno festa in sezione, mentre la Fgci del Prenestino va in
gita a Tivoli.
NOTE
1. Unica celebrazione nazionale dell’anniversario della Liberazione, “Il Messaggero”, 23
aprile 1950, p.1.
2. 128.506 morti 29.398 feriti: “Il Messaggero”, 25 aprile 1946, p.1
3. A. R., Quando il popolo balla per le strade, “l’Unità” 27 aprile 1946, p.2.
4. 25 aprile ’45 - 25 aprile ’49, l’“Unità”, 25 aprile 1949, p.1.
5. Popolo e partigiani rivivranno domani lo spirito dell’eroica insurrezione d’aprile,
“l’Unità”, 24 aprile 1948, p.4.
6. 25 aprile ’45 - 25 aprile ’49, “l’Unità”, 25 aprile 1949, p.1.
7. Solenne celebrazione unitaria della gloriosa insurrezione d’aprile, “l’ Unità”, 23 aprile
1950, p. 1.
8. Mario Vinciguerra, 25 aprile, “Il Messaggero”, 25 aprile 1950, p.1.
9. Oggi solenne rievocazione del V anniversario della Liberazione, “Il Messaggero”, 25
aprile 1950, p.1.
10. Sav., Rivendichiamo la nostra parte col rosso vivo del sangue versato dai partigiani e
dai soldati, “Il Giornale d’Italia”, 26 aprile 1950, p. 1.
11. Pietro Secchia: Vittoria di popolo, 25 aprile, p.1
12. Arturo Colombi, L’Italia esalta il patrimonio della Resistenza fondamento e garanzia
della Repubblica Democratica, “l’Unità”, 25 aprile 1950, p. 1.
13. Con un solenne impegno unitario si è chiuso il Convegno di Venezia, “l’ Unità”, 25
aprile 1950, p. 1.
14. La celebrazione ufficiale a Roma, “l’Unità”, 25 aprile 1950, p. 1.
15. Oggi solenne rievocazione, cit., 25 aprile 1950, p.1.
16. L’annuale della Liberazione celebrato solennemente in tutta Italia, “Il Messaggero”,
26 aprile 1950, p.1.
17. Ibidem