Istituto MEME: La criminalità organizzata transnazionale

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Istituto MEME: La criminalità organizzata transnazionale
Istituto MEME
associato a
Université Européenne
Jean Monnet A.I.S.B.L. Bruxelles
LA CRIMINALITA' ORGANIZZATA
TRANSNAZIONALE
Scuola di Specializzazione:
Relatore:
Tesista Specializzando:
Scienze Criminologiche
Dott.ssa Roberta Frison
Ada Maria Nervi
Anno di corso: Primo
Modena: 18/06/2011
Anno Accademico: 2010 - 2011
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ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES
Ada Maria Nervi – Scuola specializzazione Triennale Scienze Criminologiche (primo anno) A.A. 2010/2011
Indice dei Contenuti
Introduzione ..................................................................................................... 3
Capitolo primo: aspetti giuridici, normativi e teorici
1.1 Globalizzazione e criminalità organizzata transnazionale...............................6
1.2 La criminalità organizzata come reato associativo.........................................11
1.3 La Convenzione di Palermo: cenni............................................................... 15
1.4 Il reato transnazionale................................................................................... 18
1.5 Circostanza aggravante ad effetto speciale di cui all'art. 4 L. 146/2006....... 21
Capitolo secondo: Le maggiori organizzazioni straniere operanti in Italia
2.1 Considerazioni generali............................................................................... 25
2.2 La criminalità Albanese............................................................................... 29
2.3 La criminalità cinese …..........…................................................................. 39
2.4 La criminalità russa ….....................................................................…........ 50
2.5 La criminalità africana sub-sahariana…...................................................... 57
3. Bibliografia …................................................................................................68
4. Sitografia …...................................................................................................68
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Introduzione
Nel panorama globale del crimine la sicurezza dell'umanità e le istituzioni
pubbliche dei diversi Stati sono state fortemente minacciate da un vasto
proliferare, a livello mondiale, della criminalità nelle sue forme più complesse:
quella organizzata. Essa è stata alimentata negli ultimi decenni da gruppi
criminali aventi radici etniche diverse ed estese a lontane aree geografiche ma
uniti da una contiguità di intenti.
A partire dai primi anni '90, anche il nostro Paese è stato fortemente interessato
dalla presenza di organizzazioni criminali di diverse etnie – spesso definite in
termini di criminalità transnazionale o di mafie straniere, o nuove mafie – che,
variamente intrecciate con le mafie di casa nostra, costituiscono una assoluta
novità nel panorama criminale italiano divenendo, altresì, un tema di grande
attualità nel dibattito pubblico nazionale.
Il mio interesse per la criminalità organizzata straniera si è in primo luogo
focalizzato sull'analisi, pur sintetica, del processo di globalizzazione in generale
che ha portato all'avvicinamento dei popoli, alla mobilità dei beni, servizi e
denaro producendo,
con il costante ausilio del processo tecnologico, nuove
opportunità di sviluppo e di crescita per tutti, non esclusa quindi la criminalità
organizzata. L'accrescimento quantitativo e qualitativo che ha investito in misura
esponenziale anche le associazioni criminali, infatti non è altro che il riflesso di
una trasformazione strutturale che caratterizza tutta la vita economica moderna.
La globalizzazione dell'economia, le grandi migrazioni che hanno coinvolto
quasi tutti i paesi dell'U.E con lo spostamento di migliaia di persone bisognose
in cerca di
migliori condizioni di vita provenienti da Stati in disfacimento
attraverso frontiere di altre Nazioni, sono solo alcuni dei principali fattori che
hanno contribuito a modificare lo scenario criminale mondiale.
Nel percorso evolutivo della criminalità organizzata si delinea chiaramente un
cambiamento di struttura. E' avvenuto il passaggio da organizzazioni
gerarchicamente organizzate, a strutture più fluide e complesse prive della
gerarchizzazione, centralizzazione e territorializzazione capaci di mimetizzarsi
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entro vasti e complessi network di natura lecita che, senza soluzione di
continuità, si estendono dall'economia lecita a quella illecita in una dimensione
transnazionale. Si tratta di strutture costituite da gruppi criminali organizzati
appartenenti a diverse etnie, capaci di mutare forma al mutare delle minacce,
degli incentivi e degli interessi, pur mantenendo una loro organizzazione interna
stabile su una porzione delimitata di territorio ma, funzionale a disegni criminosi
su scala mondiale.
In merito al significato il termine “transnazionale”, è stato coniato nel 1975 dal
Segretariato ONU al fine di identificare fenomeni criminali che trascendono i
confini nazionali ed utilizzato in una serie di documenti relativi alla prevenzione
del crimine e al trattamento dei delinquenti.
Si tratta di concetto diverso da quello di criminalità internazionale. Infatti:
“Internazionale è un gruppo criminale che non opera unicamente nel territorio
del proprio Stato ma svolge la sua attività anche all'estero con opportune
ramificazioni.
Transnazionale è invece la cooperazione sinergica che gruppi criminali di
diversa nazionalità instaurano per ottimizzare lo sfruttamento di determinate
opportunità di mercato illecito”1.
Il termine transnazionale non si riferisce pertanto alle caratteristiche strutturali
dei singoli gruppi criminali ma richiama un processo che sta alla base della
crescente diffusione di “legami complessi e stabili tra gruppi criminali
organizzati etnici che mantengono la loro configurazione specifica ma che, al
tempo stesso, organizzano con gli altri gruppi etnici una complessa rete di
alleanze e interdipendenze”2.
“La criminalità organizzata non si è “internazionalizzata” o “globalizzata”.
Piuttosto le attività e gli interessi economici dei vari gruppi etnici si sono
1 Commissione parlamentare d'inchiesta sul fenomeno della criminalità organizzata mafiosa o similare
– Relazione annuale 2003, in in www.exlegi.ox.ac.uk/resources/documents/relazann2003.pdf
2 Dino Alessandra, Gli spazi di Cosa Nostra tra le mafie del nuovo millennio. Incontro di studio sul
tema: Evoluzione della criminalità organizzata ed efficacia dei mezzi di contrasto, Palermo 13/14
dicembre 2002, pag. 13, in appinter.csm.it/incontri/vis_relaz_inc.php?&ri=ODUwMg%3D%3D
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internazionalizzati e globalizzati”3.
La criminalità transnazionale è stata definita da alcuni autori anche come una
serie di “attività criminali che si estendono in diversi paesi e che violano le leggi
di diversi paesi”4. Da qui la distinzione tra criminalità transnazionale da quella
nazionale: la prima viola le leggi penali di diverse giurisdizioni, la seconda viola
le leggi penali di un singolo Stato. I reati di riciclaggio di denaro sporco, il
traffico illegale di armi e narcotici, la pirateria marina e i reati ambientali sono
esempi di attività illecite compiute da gruppi di criminalità transnazionale,
mentre il furto e la rapina sono esempi di reati compiuti da gruppi criminali che
operano in ambito nazionale.
Il tentativo di chiarire, anche solo semplicisticamente, il significato del termine
transnazionale, si unisce a quello analogo effettuato su altri argomenti quali: la
definizione di criminalità organizzata, alcuni cenni sulla Convenzione ONU, il
reato transnazionale e la circostanza aggravante di cui alla L. 146/2006 che,
inseriti nel primo capitolo di questo elaborato considero propedeutici per una
migliore comprensione della tematica.
Nel secondo capitolo, considerata l'importanza che negli ultimi anni hanno
assunto alcune forme di criminalità allogene, fatte alcune considerazioni di
carattere generale, sono stati presi in esame i principali gruppi criminali
organizzati riferiti a varie etnie presenti sul nostro territorio, coinvolti nel settore
del traffico di stupefacenti, dell'immigrazione clandestina, della tratta degli esseri
umani e sfruttamento della prostituzione e dei reati predatori.
“Sotto l'aspetto criminogeno, traggono in massima parte origini e motivazioni
che promanano da situazioni connesse ai mutamenti geopolitici più recenti e
dagli stimoli che [...] interagiscono con i fenomeni normali e paranormali della
globalizzazione, sebbene in loro si trascinino comportamenti e motivazioni
d'approccio al crimine che sono remoti e tipicamente legati alle loro radici
etniche”.5
3 Ibidem – pag. 14
4 Pavone Mario – La definizione del crimine transnazionale – 15/04/2006, in www.altalex
5 Gagliardo Antonio – La sicurezza minacciata – Criminalità transnazionale e terrorismo nell'Europa
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Capitolo primo: aspetti giuridici, normativi e teorici
1.1 Globalizzazione e criminalità organizzata transnazionale
Nel corso della sua inarrestabile evoluzione la criminalità organizzata ha subito
notevoli trasformazioni passando da una dimensione individuale ad una sempre
più complessa e transnazionale: da piccoli mercati illeciti
locali, attenti al
dominio territoriale e gelosi della propria autonomia, i gruppi criminali si sono
espansi dapprima verso una dimensione nazionale integrandosi poi in un sistema
internazionale minacciando fortemente la sicurezza dell'umanità.
Le caratteristiche principali di questo processo di trasformazione devono essere
individuate nella internazionalizzazione delle associazioni criminali, intesa come
creazione di centri operativi criminali in diverse parti del mondo, e nella loro
progressiva assunzione delle modalità operative tipiche del modello di impresa
criminale che ne favorisce la mimetizzazione.
La globalizzazione è stata definita “un processo sociale […] che ha dato vita ad
una vera e propria rete mondiale di connessioni spaziali e di interdipendenze
funzionali. Questa “rete” mette in contatto fra loro un numero crescente di attori
sociali e di eventi economici, politici, culturali e comunicativi, un tempo
disconnessi a causa delle distanze geografiche o delle barriere cognitive e sociali
di vario tipo”6.
Si tratta di una definizione che, seppur generica, sottolinea la crescente
interdipendenza fra le varie parti del mondo determinata dal dominio delle nuove
tecnologie della comunicazione che hanno accorciato bruscamente le distanze
che separano i continenti.
La proliferazione, a livello mondiale, del crimine organizzato e della sua
accresciuta pericolosità è stata considerata uno degli effetti più preoccupanti del
processo di globalizzazione a causa dei profondi mutamenti che tale processo ha
apportato nel sistema sociale, politico, economico e culturale rendendo la società
6
di oggi – pag. 92 - Editori Riuniti, Roma, 2006
Lo Bue Marica – Globalizzazione e traffico di migranti, in www.altrodiritto.unifi.it –
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più complessa nelle sue articolazioni e, conseguentemente più vulnerabile.
L'abolizione delle frontiere all'interno dell'Unione Europea, la libera circolazione
delle persone, delle cose, delle merci e dei capitali, lo sviluppo di tecnologie
sempre più sofisticate, hanno infatti consentito anche alla criminalità organizzata
di sfruttare le stesse possibilità offerte dalla globalizzazione dei mercati e a
cogliere i vantaggi messi sul campo dalla tecnologia di comunicazione,
favorendo la diffusione e lo sviluppo di consorterie criminali in grado di agire a
un livello transnazionale. L'economia, in sostanza, ha perso i confini nazionali
per assumere dimensioni mondiali.
Pertanto, se da un lato sono innegabili gli effetti positivi che l'economia globale
ha svolto e svolge nei confronti delle relazioni economiche e finanziarie fra
popoli e grandi aziende, accrescendone l'integrazione e l'interdipendenza,
dall'altro ha favorito e continua a favorire l'evoluzione delle forme di criminalità
organizzata, la quale, rivela una forte tendenza a seguire il corso dello sviluppo
economico e sociale delle società moderne, riproducendo e trasportando i suoi
meccanismi all'interno di una struttura malavitosa sempre meno occasionale ma
sempre più articolata e complessa.
Una
criminalità
caratterizzata
da
organizzazione,
imprenditorialità
e
professionalità ha contribuito a rendere più sfumati i confini fra “criminalità
economica” e “criminalità organizzata” e forse, a sovrapporsi progressivamente.
Sui reati economici, sempre più spesso commessi su scala transnazionale, si
concentrano gli interessi di soggetti, spesso in contatto fra loro: criminali dal
colletto bianco con finalità di guadagno o di potere, criminali organizzati
tradizionali che ne hanno capito la potenzialità di lucro, ma anche organizzazioni
commerciali legittime che agiscono con strumenti illegittimi per perseguire
obiettivi legali 7.
7
“Quello della definizione di criminalità economica è un settore controverso e a lungo discusso della
criminologia tanto che, da quando Sutherland, sul finire degli anni '30, muove i primi passi nel campo
affermando che i crimini del colletto bianco sono quelli commessi da persone rispettabili, di alto
livello sociale, nel corso delle proprie occupazioni lavorative [...], teorici di tutto il mondo si sono
confrontati su questo terreno, incentrando le loro definizioni ora sull'autore del reato […] ora sul reato
stesso […] ora sulle modalità imprenditoriali ed organizzative dell'agire criminale”. Dopo più di un
cinquantennio, non si può dire di essere pervenuti ad un'idea unanimemente condivisa”. Per
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Fra i reati economici che arrecano alle società di tutto il mondo danni
patrimoniali ingenti, si possono indicare le frodi all'Unione Europea, le grandi
manovre di aggiotaggio, le infiltrazioni nell'economia lecita da parte di gruppi
mafiosi, le operazioni di riciclaggio, le frodi aziendali che imprenditori
commettono per rendere più competitive le loro imprese.
Come afferma Ernesto U. Savona, Direttore di Transcrime, il concetto di
criminalità economica non è giuridico ma criminologico. Con tale concetto si
indicano tutti quei reati che, per i soggetti che li commettono, per il loro
contenuto e per le tecniche usate, sono riferiti direttamente ad una impresa
economica o a un'attività professionale: un imprenditore che falsifica il bilancio
della sua impresa commette un reato economico, così come l'impiegato che froda
la stessa banca per cui lavora per arricchirsi, oppure la banca che ricicla il denaro
sporco.
L'utilizzo di mezzi sempre più potenti, pertanto,
permette alla criminalità
organizzata di muoversi agevolmente anche nel campo economico e finanziario:
“diversificare le attività criminali in operazioni economiche in mercati legali
assicura un profitto stabile che non crea sospetti, ma questo tipo di investimento è
possibile solo se l'organizzazione criminale è in grado di trasformare la propria
organizzazione in una struttura più flessibile ed efficiente”8.
Cioè, in una struttura organizzativa che sia in grado di creare sinergie con altre
forme di criminalità, e con soggetti che operano nell'economia legale: come
professionisti del crimine economico deputati al riciclaggio degli introiti illeciti
della organizzazione criminale alla quale tutti i soggetti interessati appartengono,
avvinghiati in un'unica stretta morsa di interdipendenza funzionale.
Pertanto, solo un alto livello di organizzazione e professionalità che utilizza reti
operative che superano i confini nazionali può consentire alla criminalità
approfondimenti – Di Nicola Andrea – La criminalità economica organizzata – Le dinamiche dei
fenomeni, una nuova categoria concettuale e le sue implicazioni di policy – Edizione 2006, in
www.jus.unitn.it/users/dinicola/criminologia/topics/.../dispensa_5_3.pdf
8 Savona U. Ernesto – Processi di globalizzazione e criminalità organizzata transnazionale –
Relazione presentata al convegno: “la questione criminale nella società globale” - Napoli 10 - 12
dicembre 1998, pag. 8, in www.Transcrime -
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transnazionale di reinvestire ingenti capitali illeciti provenienti da crimini di
grande gravità come il traffico di droga, il traffico di armi, il traffico di organi e
di esseri umani ed altri, in attività lecite.
Mediante una apposita operazione di “lavaggio” denominata “money
laundering”, il denaro sporco, cioè quello proveniente da un crimine, viene fatto
riemergere dalla clandestinità attraverso una serie di operazioni fittizie, e quindi
inserito in un circuito legale per essere nuovamente usato sul mercato degli affari
leciti e illeciti. In tal modo si vengono a stravolgere le leggi della concorrenza e
del mercato mentre le organizzazioni criminali acquisiscono una straordinaria
capacità di condizionare i centri decisionali, economici e politici.
Il riciclaggio rappresenta l'aspetto più devastante dell'attività criminale, non
presenta vittime apparenti, rivela la parte sommersa dell'attività criminale ed è
uno di quelli che maggiormente costituisce oggetto dell'analisi criminale sul
piano socio-economico per meglio orientare le scelte dell'azione di contrasto.
“In tale contesto, l'escalation delinquenziale crea non solo tensione e allarme
sociale, sempre più forti, quanto considerevoli squilibri nello sviluppo economico
che si esaltano in quei contesti territoriali incapaci di progredire, come accade nel
Mezzogiorno d'Italia dove lo sviluppo era ed è tuttora maggiormente invocato”9.
Come sopra accennato, il crimine organizzato, è sempre più diretto verso una
gestione imprenditoriale delle attività illecite; preferite sono quelle categorie di
delitti in cui appare completamente rovesciato il tradizionale rapporto
aggressore-vittima. Si tratta, cioè, di vere e proprie imprese criminali capaci di
rispondere alle domande di servizi illeciti richiesti su ricchi mercati occidentali
con la flessibilità tipica delle attività commerciali, ad esempio, nel traffico delle
sostanze stupefacenti, nel contrabbando dei tabacchi, nella prostituzione, nella
tratta delle persone.
Per difendere le proprie fonti di arricchimento i comportamenti criminali
diventano oltremodo
virulenti e reattivi dimostrando altresì di privilegiare,
secondo la logica del massimo profitto con il minor rischio, quei reati fortemente
9 Gagliardo Antonio, op. cit. pag. 17
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remunerativi, alimentati dai grandi mutamenti geopolitici verificatisi negli ultimi
decenni.
La crisi e il dissolvimento dei sistemi socialisti in Europa orientale, in particolare
del Paese guida del sistema socialista mondiale, l'Unione Sovietica, che ha aperto
nuovi orizzonti ai Paesi dell'est Europeo e dei Balcani dove la libertà e la
democrazia erano tenute prigioniere; le guerre nell'area balcanica, in
Afghanistan; le situazioni di precarietà politiche e socio-economiche in Asia, in
Africa e Sudamerica.
Nel vasto fenomeno migratorio che ha fatto seguito a tali drammatiche
trasformazioni sociali, coinvolgendo appieno i Paesi dell'U.E., il crimine
organizzato ha prontamente colto ulteriori e nuove opportunità per ampliare e
potenziare le proprie attività. Ad alimentare in misura significativa l'economia
criminale transnazionale si inseriscono commerci “non tradizionali” quali il
“traffico degli esseri umani” e i suoi diversi modi di sfruttamento delle vittime,
interi settori del crimine che potenti sodalizi criminali sono stati capaci di
monopolizzare a livello mondiale.
All'interno di tale scenario criminale hanno altresì ripreso vigore quelle forme di
abuso e schiavitù che sembravano ormai scomparse dalla maggioranza degli
Stati.
La criminalità organizzata, ormai ramificatasi in una dimensione transnazionale,
emerge in tutta la sua drammaticità sottolineando l'importanza e la necessità di
contrastare efficacemente l'avanzare di tale fenomeno rafforzando energicamente
la cooperazione fra le autorità investigative dei singoli Stati.
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1.2 La criminalità organizzata come reato associativo
Nel nostro “corpus juris” manca una definizione legislativa di criminalità
organizzata a cui ancorare presupposti e regole interpretative e che abbia
l'importante funzione di sintetizzare una “eterogenea realtà criminale
associativa”, oggi di portata transnazionale.
Accanto ad una criminalità organizzata che nel nostro ordinamento ha una
disciplina ad hoc per l'associazione per delinquere nazionale, se ne delinea
un'altra, transnazionale che pone ai giuristi il problema di elaborare non solo
efficaci strumenti di repressione ma soprattutto definizioni concettuali universali
tali da ricomprendere i molteplici reati da essa posti in essere e dar vita ad una
normativa specifica.
All'interno del nostro sistema penale, la necessità di disporre di più figure di
reato volte a punire i diversi aspetti della criminalità organizzata, ha condotto alla
creazione di un “sottosistema penale della criminalità organizzata” articolato in
una serie di norme di diritto penale, sostanziale e procedurale, dettate
dall'esigenza di sottoporre ad un trattamento sanzionatorio aggravato gli
appartenenti alle macro-organizzazioni delinquenziali, anche in funzione della
loro speciale pericolosità10
Nel suo complesso, il fenomeno della criminalità organizzata si manifesta in
molteplici forme, alcune delle quali sono caratterizzate da complesse
organizzazioni di uomini e mezzi con ramificazioni sull'intero territorio nazionale
ma anche all'estero, altre, invece, rispecchiano sodalizi criminali più rudimentali
sul piano organizzativo.
Pertanto, le figure di reato più idonee a reprimere il fenomeno della criminalità
organizzata, complessivamente considerata, sono i “reati associativi” che
individuano, come elemento caratterizzante, “l'organizzazione” all'interno del
10 Per approfondimenti v. Relazione di Antonio Ingroia – sostituto D.D.A. Palermo - C.S.M. - Incontro
di studio – Frascati 6-10 marzo 2000 – Le nozioni normative di “criminalità organizzata” e di
“mafiosità”: il delitto associativo, le fattispecie aggravanti e quelle di rilevanza processuale, in
appinter.csm.it/incontri/vis_relaz_inc.php?&ri=NTA4Nw%3D%3D
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gruppo, i cui tratti essenziali si sostanziano:
1) - nella punibilità della condotta di chiunque partecipi alle associazioni
criminali;
2) - nella diversità dei ruoli corrispondenti al tipo di condotta esercitata dal
singolo associato;
3) -
nella sussistenza di una fattispecie plurisoggettiva11.
Il fenomeno associativo definito dal “Lombroso” come “la più temibile delle
delinquenze” è stato codificato nel codice penale del 1883. In tale testo era
stabilito “che qualora la commissione di reati fosse stata “frutto dell'azione
collettiva di cinque o più persone” l'evento, determinato o indeterminato andasse
valutato anche in ragione della maggiore pericolosità organizzativa del
sodalizio”12.
La fattispecie associativa emblematica del sistema italiano è quella di cui all'art.
416 c.p. che si è sviluppata, per ragioni di storia criminale, nell'associazione di
stampo mafioso, prevista dall'art. 416 bis c.p., per poi evolversi, più di recente,
nelle fattispecie associative qualificate da finalità specifiche (associazione
finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, associazione terroristica nazionale
ed internazionale, associazione finalizzata al contrabbando di tabacchi lavorati
esteri, associazione finalizzata alla tratta d esseri umani).
Il reato associativo di cui all'art. 416 c.p. si concretizza quando “tre o più persone
si associano allo scopo di commettere più delitti ed è caratterizzato da tre
elementi fondamentali costituiti:
a - da un vincolo associativo tendenzialmente permanente o comunque
stabile, destinato a durare anche oltre la realizzazione dei delitti programmati. La
stabilità del vincolo associativo dà al delitto in esame la tipica natura del reato
permanente;
b - dall'indeterminatezza del programma criminoso, che distingue tali reati
11 Zirafa Valentina – Il crimine organizzato come reato associativo: l'esperienza italiana ed europea. 11
novembre 2010 – in www.justowin.it
12 Guardia di Finanza Scuola di polizia tributaria, Gibilaro Ignazio e Marcucci Claudio– La criminalità
organizzata di stampo mafioso – Evoluzione del fenomeno e degli strumenti di contrasto – Lido di
Ostia, Luglio 2005, in www.gdf.it/.../la_criminalita_organizzata_stampo_mafioso.pdf?...1
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dall'accordo che sorregge il concorso di persone nel reato13.
c – dall'esistenza di una struttura organizzativa, anche minima ma essenziale
al perseguimento degli obiettivi criminosi degli associati. E' sufficiente che siano
riconoscibili un metodo da adottare per la perpetrazione dei reati e una
distribuzione dei compiti fra gli associati.
Per la sussistenza dell'elemento psicologico del reato associativo è previsto il
compimento di una serie indeterminata di fatti illeciti.
L'ampiezza della formulazione dell'art. 416 c.p. consente di includere nella
fattispecie così delineata, il fenomeno della criminalità organizzata in tutte le sue
manifestazioni illecite e plurisoggettive, in alcuni casi con connotazioni mafiose,
e anche di adattarsi alle sue evoluzioni.
A tal proposito merita una breve riflessione l'art. 416 bis c.p. nella parte in cui
apre “alle altre associazioni, comunque localmente denominate, che valendosi
della forza intimidatrice del vincolo associativo perseguono scopi corrispondenti
a quelli delle associazioni di tipo mafioso”14.
Se è vero che le associazioni mafiose sono manifestazione dei reati associativi ed
esempi di criminalità organizzata, è altrettanto vero che non tutta la criminalità
organizzata è necessariamente di tipo mafioso. Una volta superati i confini
nazionali la connotazione mafiosa può perdere la sua importanza in quanto le
organizzazioni criminali non sono necessariamente supportate da quella forza
intimidatrice del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di
omertà che ne deriva per commettere delitti (…) puntualmente richieste dall'art.
416 -bis c.p.
Importante è stato il contributo della giurisprudenza che ha fornito una
13 Tribunale di Sanremo, Sent. 26/6/1995 n. 101/95. Sia nel reato associativo sia nel concorso di persone
nel reato si ha un accordo partecipativo dei soggetti: sussiste il concorso se tale accordo sia delimitato
temporalmente, prevedendosi la comune esecuzione di determinati fatti illeciti già individuati dai
compartecipi al momento del perfezionamento dell'accordo stesso, talchè il comune programma
ideativo si esaurisce nel raggiungimento di esso e la fase esecutiva in quello della perpetrazione
dell'ultimo reato programmato. Se invece è previsto il compimento di una serie indeterminata di fatti
illeciti sussiste l'elemento psicologico del reato associativo – in www.giurisprudenza. Il Libro CP 2 II
14 Comma così modificato dal numero 4) della lettera b-bis) del comma 1 dell'art. 1, D.L. 23 maggio
2008, n. 92, in tema di “Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica”, convertito in legge, con
modificazioni, con L. 24 luglio 2008, n. 125
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indicazione sulla nozione di crimine organizzato con la sentenza delle Sezioni
Unite n. 177006 del 22 marzo 200515, con la quale è stato affermato che la
nozione di criminalità organizzata “identifica non solo i reati di criminalità
mafiosa od assimilata, oltre i delitti associativi previsti da norme incriminatrici
speciali, ma anche qualsiasi tipo di associazione per delinquere correlata alle
attività criminose più diverse, con l'esclusione del mero concorso nel reato, nel
quale manca il requisito dell'organizzazione”16.
Anche in Europa manca una definizione comune di criminalità organizzata. I
diversi Paesi membri dell'Unione continuano a definirla con criteri autonomi e
spesso non esattamente corrispondenti della realtà criminale associativa,
trascurandone così il carattere transnazionale ormai non più eludibile.
A testimonianza del fatto che il problema ha caratteristiche ormai sopranazionali,
il Parlamento Europeo, con propria risoluzione del 20 novembre 1997, ha
emanato una definizione della criminalità organizzata che contempla: il
coinvolgimento di più di due persone che commettono gravi crimini; lo
svolgimento di attività che si protraggono nel tempo; lo scopo di ricavare profitto
e/o potere.
Mentre questa nozione predilige la struttura e l'organizzazione interna del
gruppo, quella adottata dalla Convenzione di Palermo del 2000, privilegia invece
il carattere internazionale delle attività svolte dai gruppi di criminalità
organizzata, come avrò modo di specificare meglio nel successivo paragrafo.
15 Cass. Sez. Unite, 11 maggio 2005, n. 17706 – La questione appariva limitata all'applicabilità dell'art.
240-bis disp. Att. c.p.p. ai procedimenti per reati di criminalità organizzata ed i giudici di legittimità
hanno ritenuto che la ratio dell'applicabilità della deroga alla sospensione dei termini in periodo feriale
si identifica con la volontà del legislatore di “garantire una trattazione rapida per tutte le condotte
criminali poste in essere da una pluralità di soggetti che, al fine di commettere più reati, abbiano
costituito un apparato organizzativo”, a causa dell'allarme sociale che tale struttura organizzativa
criminale suscita nell'opinione pubblica.
16 Rosi Elisabetta – Magistrato presso la Corte di Cassazione – CSM, Incontro di studio sula tema:
cooperazione giudiziaria, mandato di arresto europeo e strumenti di giustizia penale nell'Unione
Europea: dalla mutua assistenza giudiziaria al comune programma investigativo, Roma 7-9 luglio
2008, pag. 12 - //http://appinter.csm.it/incontri/vis_relaz_inc.php?&ri=MTYxzk%3N
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1.3 La Convenzione di Palermo: cenni.
La
soppressione
delle
frontiere
all'interno
dell'Unione
Europea,
la
globalizzazione dei mercati e le nuove tecnologie di comunicazione e di gestione
dell'informazione hanno consentito alla criminalità organizzata la realizzazione di
traffici illeciti e gravi delitti su scala mondiale, nonché di sfruttare le differenze
legislative ed ordinamentali dei vari Paesi dell'Unione che ne hanno rallentato
l'azione di contrasto.
In proposito, il Segretario dell'ONU, Kofi Annan aveva scritto che “gli stessi
mezzi
tecnologici
che
sostengono
la
globalizzazione
e
l'espansione
transnazionale della società civile, forniscono l'infrastruttura per l'espansione di
una rete globale di “società civile” - criminalità organizzata, trafficanti di droga,
riciclaggio di denaro e terroristi”.
L'aumento vertiginoso del numero dei gruppi criminali, la valenza transnazionale
delle attività criminose e il giro d'affari immenso hanno destato rilevanti
preoccupazioni nei singoli governi che già da alcuni anni hanno avvertito
l'esigenza di combattere efficacemente la criminalità organizzata attraverso la
predisposizione di misure di prevenzione e di repressione sia a livello
sovranazionale che nelle singole realtà statali, insufficienti da sole a far fronte ad
un fenomeno di simili proporzioni.
La piena consapevolezza che solo una cooperazione degli Stati a livello mondiale
potrebbe essere la sola risposta normativa ad una organizzazione criminale di
pari livello, che procede senza soluzione di continuità, ha condotto le Nazioni
Unite a stipulare nel dicembre 2000 una apposita Convenzione, firmata a
Palermo da oltre 120 Stati.
La Convenzione (composta da 41 articoli) e i tre protocolli
sul traffico di
migranti, sulla tratta di esseri umani e sul traffico di armi da fuoco e relative
munizioni, costituiscono uno strumento particolarmente importante poichè
vincolano giuridicamente le Nazioni firmatarie impegnandole ad una lotta più
incisiva contro il crimine organizzato.
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Per quanto riguarda l'Italia, la L. 146 del 16 marzo 2006, ha ratificato la
Convenzione e i tre Protocolli.
Scopo della Convenzione, si legge all'art. 1, è “promuovere la cooperazione per
prevenire e combattere il crimine organizzato transnazionale in maniera più
efficace”.
Una incisiva lotta contro la criminalità non può, infatti, prescindere dall'esigenza
di una altrettanto valida collaborazione investigativa transnazionale fra le autorità
giudiziarie dei diversi Stati.
Oltre alla cooperazione internazionale prevista ai fini della confisca, contenuta
nell'art. 13, il 5° comma dell'art. 15 relativo alla giurisdizione, prevede che “Se
uno Stato Parte che esercita la sua giurisdizione ai sensi del paragrafo 1 o 2 del
presente articolo è stato informato, o è venuto a conoscenza in altro modo, che
uno o più Stati Parte stano conducendo un'indagine, un'azione penale o un
procedimento giudiziario in relazione alla stessa condotta, le competenti autorità
di quegli Stati Parte si consultano, laddove opportuno, al fine di coordinare le
loro azioni”. Gli articoli 27, 28 e 29 sono dedicati alla cooperazione giudiziaria
e di polizia, mentre l'art. 20 si riferisce alle tecniche speciali di investigazione,
comprese le operazioni sotto copertura.
Le disposizioni relative alla cooperazione giudiziaria ed alla cooperazione a fini
di confisca sono nella massima parte self-executing, ossia immediatamente
applicabili tra gli Stati-parte della Convenzione, atteso il loro livello di
specificazione e dettaglio17.
La Convenzione di Palermo ed i protocolli eliminano anche alcune differenze
terminologiche esistenti nei vari ordinamenti giuridici, introducendo una
definizione unitaria di fenomenologie criminali come il riciclaggio di danaro, la
corruzione, l'ostruzione alla giustizia.
Al fine di favorire un processo di omogeneizzazione legislativa tra gli
ordinamenti degli Stati Parte sono state introdotte definizioni universali di
17 Rosi Elisabetta – La legge n. 146 del 16 marzo 2006 sul crimine organizzato transnazionale. In
particolare, gli aspetti problematici della definizione di reato transnazionale. Incontro di studi del
C.S.M., Roma, 5-7 marzo 2007, in appinter.csm.it/incontri/vis_relaz_inc.php?&ri=MTQwODU%3D
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alcune nozioni penalistiche (gruppo criminale organizzato), e la nozione di
“reato transnazionale” che delimita l'ambito di applicazione della Convenzione.
La predisposizione di una normativa uniforme e universale ha richiesto la
partecipazione di tutti gli Stati aderenti all'ONU e il loro pieno coinvolgimento
nel tentativo di superare le difficoltà sorte in relazione alla necessità di conciliare,
con le nuove disposizioni di portata mondiale, concetti e misure appartenenti a
sistemi giuridici profondamente diversi.
Pertanto, in ordine all'adozione di nuove definizioni quali “gruppo criminale”
“gruppo strutturato” e “reato transnazionale” sono sorte perplessità in merito alle
scelte operate dai singoli stati da inserire nel proprio diritto interno, inclusa la
legge di ratifica dell'Italia (L. n.146 del 2006).
In particolare si è detto che: “Si tratta di concetti assolutamente nuovi per il
nostro ordinamento, utilizzati dal legislatore quali parametri per l'applicabilità di
importanti conseguenze di natura sostanziale e processuale, finalizzate a
contrastare più efficacemente il crimine organizzato. Infatti, alla nozione di
“reato transnazionale” è connessa l'applicazione dell'intero complesso delle
importanti previsioni della Convenzione, mentre dal riconoscimento dell'azione
del “gruppo criminale organizzato”, si fanno dipendere rilevanti effetti
sanzionatori”18
18 Licata Fabio - Giudice per le Indagini Preliminari presso il Tribunale di Palermo – La nozione di
reato transnazionale e l'applicabilità dell'aggravante di cui all'art. 4 L. 146/2006, in
appinter.csm.it/incontri/vis_relaz_inc.php?&ri=MTQ2MjU%3D
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1.4 Il reato transnazionale
La Convenzione di Palermo specifica, all'art 3, che “reato transnazionale” è il
reato punito con la pena della reclusione non inferiore nel massimo a quattro
anni, qualora sia coinvolto un gruppo criminale organizzato, nonché:
a) - sia commesso in più di uno Stato;
b) - ovvero sia commesso in uno Stato, ma una parte sostanziale della sua
preparazione, pianificazione, direzione o controllo avvenga in un altro Stato;
c) - ovvero sia commesso in uno Stato, ma in esso sia implicato un gruppo
criminale organizzato impegnato in attività criminali in più di uno Stato;
d) - ovvero sia commesso in uno Stato ma abbia effetti sostanziali in un altro
Stato.
Per quanto riguarda la categoria dei reati di riferimento, alcuni sono
specificamente indicati, altri sono definiti genericamente “reati gravi” dalla
Convenzione la cui individuazione è demandata ai singoli Stati sottoscrittori.
Si tratta dei reati di:
* partecipazione
ad un
gruppo criminale organizzato
(art. 5 della
Conv.);
* riciclaggio di proventi di reato (art. 6 della Conv.);
* corruzione (art. 8 della Conv.);
* intralcio alla giustizia (art. 23 della Conv.);
* tratta degli esseri umani (Protocollo addizionale);
* traffico di migranti (Protocollo addizionale);
* traffico di armi da fuoco (Protocollo addizionale);
* reati gravi, punibili con una pena detentiva non inferiore nel massimo a 4
anni.
Tutti i citati reati devono essere connotati dal coinvolgimento di un gruppo
criminale organizzato e dalla transnazionalità.
Il nucleo centrale della Convenzione, poi esteso a tutti i successivi protocolli, è
costituito, pertanto, dalla nozione di “reato transnazionale” usata per delimitare
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l'ambito di applicabilità della Convenzione stessa. Volendo semplificare, ci
troviamo di fronte a una simile ipotesi quando il reato travalica, sotto uno o più
aspetti (preparatorio, commissivo o effettuale), i confini di un singolo Stato, è
commesso da una organizzazione criminale ed è connotato da una certa gravità
(pena detentiva non inferiore nel massimo a quattro anni). Non interessa dunque
il reato occasionalmente transnazionale, ma il reato frutto di una attività
organizzativa dotata di stabilità e prospettiva strategica, dunque suscettibile di
essere ripetuto nel tempo.
La legge italiana di ratifica ha ripreso per intero la definizione di reato
transnazionale nell'art. 3 ma non indica, a differenza della Convenzione, una lista
di reati specifici.
Quindi, una volta individuata la sussistenza dei due requisiti indicati nell'art. 3
(quoad poenam e coinvolgimento di un gruppo criminale organizzato), occorre
verificare la presenza di almeno uno dei parametri indicati nelle lettere a-b-c-d
dell'art. 3 della L. n. 146.
Quelli di cui alle lettere a-b-d collegano la natura transnazionale del reato a
parametri di tipo oggettivo cioè ad elementi strutturali della condotta che
proiettano il reato (a), la sua preparazione (b), o i suoi effetti, in una dimensione
che travalica il territorio nazionale (d).
Mentre la lettera (c) pone come parametro di valutazione della transnazionalità
dell'illecito il complessivo modus operandi dell'organizzazione coinvolta nella
sua realizzazione. Si prescinde dalle nazionalità dei soggetti appartenenti
all'associazione criminosa, che può essere composta
indifferentemente da
membri appartenenti alla stessa nazionalità. Ciò che rileva è l'impegno del
gruppo che pone in essere le condotte criminose in più Stati.
In tal caso viene ad essere valorizzata la condotta posta in essere dal gruppo
criminale anche in attività diverse da quelle per cui si procede.
Pertanto, “pur non sussistendo elementi tipici ed oggettivi di transnazionalità con
riferimento al reato per cui si agisce, è comunque sufficiente che nella
realizzazione dell'illecito “sia implicato” un “gruppo criminale organizzato”
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impegnato in attività criminali in più di uno Stato.
In altri termini, si fa
dipendere la natura transnazionale dell'illecito, non dalle caratteristiche obiettive
della sua struttura, ma da una sorta di qualifica soggettiva acquisita dal gruppo
criminale a qualunque titolo direttamente o indirettamente corresponsabile nella
sua realizzazione”19.
19 Ibidem
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1.5 Circostanza aggravante ad effetto speciale di cui all'art. 4
della L. 146 del 2006
Il collegamento tra reato ed attività illecita di ambito transnazionale del gruppo
criminale non solo è funzionale alla tipologia di reato transnazionale ma assurge
in modo del tutto avulso da tale qualificazione – ad elemento tipico di una
specifica circostanza aggravante.
L'art. 4 della Legge n. 146 specifica che: “Per i reati puniti con la pena della
reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni nella commissione dei quali
abbia dato il suo contributo un gruppo criminale organizzato impegnato in
attività criminali in più di un Stato, la pena è aumentata da un terzo alla metà”.
Quindi, affinchè un reato possa ritenersi transnazionale è sufficiente che sia
punibile con pena non inferiore a quattro anni di reclusione e che ricorra uno dei
requisiti di cui alle lettere a), b) e d) dell'art. 3 L. 146/06. E ciò, a prescindere dal
fatto che il gruppo criminale organizzato sia “impegnato in attività criminali in
più di uno Stato”, come invece è espressamente richiesto nel caso previsto dalla
lettera c), oltre che ai fini dell'applicabilità della circostanza aggravante in esame.
Ma mentre nella definizione di transnazionalità il gruppo criminale organizzato,
impegnato in attività criminali in più di uno Stato, deve essere “implicato” nel
reato, nell'aggravante, invece, il gruppo criminale deve aver dato il proprio
“contributo” al reato. Così facendo il legislatore italiano ha fatto ricorso a un
concetto più restrittivo e sicuramente più familiare al lessico penalistico italiano.
Un “contributo” è ravvisabile ogni volta che si pone in essere una condotta
qualificabile in termini di concorso nel reato, secondo la disciplina dettata
dall'art. 110 c.p.20.
Il contributo potrà quindi configurarsi sia come materiale che come morale cioè,
partecipando alla preparazione e all'esecuzione del reato o partecipando alla fase
ideativa del reato.
20 Art. 110 c.p. Quando più persone concorrono nel medesimo reato, ciascuna di esse soggiace alla pena
per questo stabilita.....
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Utilizzando una nozione così ampia di “reato transnazionale”, da un lato sembra
che il legislatore abbia voluto estendere al massimo l'ambito di applicazione delle
misure speciali previste dalla Convenzione e dalla legge nazionale di ratifica,
assicurando una maggiore efficienza e flessibilità all'azione di contrasto al
crimine transnazionale.
“Per contro, risulta evidente la preoccupazione di circoscrivere l'applicazione
delle pesanti conseguenze sanzionatorie previste dall'art. 4 L. 146/06: per un
verso, riferendo l'aggravante ad effetto speciale al maggiore allarme sociale
suscitato dall'intervento nella realizzazione del reato di un gruppo criminale
organizzato talmente potente da estendere la sua azione al di fuori dei confini
nazionali; per altro verso, ancorando il collegamento tra reato e gruppo criminale
transnazionale ad un concetto oggettivo e ben determinato, com'è quello di
“contributo” alla commissione del reato stesso”21.
Ai fini dell'applicazione della Convenzione è di estrema importanza individuare
le caratteristiche strutturali della nozione di “gruppo criminale organizzato” così
come definite dalla Convenzione stessa che all'art. 2 per “Gruppo criminale
organizzato” indica un gruppo strutturato, esistente per un periodo di tempo,
composto da tre o più persone che agiscono di concerto al fine di commettere uno
o più reati gravi o reati stabiliti dalla presente Convenzione, al fine di ottenere,
direttamente o indirettamente, un vantaggio finanziario o un altro vantaggio
materiale”. I reati gravi sono quelli per cui è prevista una pena minima di quattro
anni di reclusione.
Si tratta di una definizione molto ampia, che non fa riferimento ad una specifica
forma organizzativa né, a particolari modelli di relazione fra i vari componenti.
Infatti per “Gruppo strutturato”, ai sensi dell'art. 2, lett. c) della Convenzione,
deve intendersi “un gruppo che non si è costituito fortuitamente per la
commissione estemporanea di un reato e che non deve necessariamente
prevedere ruoli formalmente definiti per i suoi membri, continuità nella
composizione o una struttura articolata”.
21 Fabio Licata, op. cit.
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La commissione incaricata di definire il testo della Convenzione precisa che
“l'espressione “gruppo strutturato” deve essere usata in senso ampio, tale da
includere sia gruppi dotati di una struttura gerarchica o elaborata, sia gruppi [...]
in cui i ruoli dei vari membri non necessitano di essere definiti formalmente”22.
Ciò che caratterizza il gruppo criminale sono pertanto, la continuità nel tempo
delle varie azioni delittuose e il loro coordinamento reciproco. Si tratta a ben
vedere, di una definizione in grado di riflettere sia le molteplici forme
organizzative assunte dalla criminalità a livello internazionale che i processi di
trasformazione in itinere delle consorterie criminali “tradizionali” verso strutture
più flessibili e perciò più adeguate alle esigenze del momento.
L'introduzione nella Convenzione d Palermo di una definizione unica per tutti gli
ordinamenti coinvolti, di “criminalità organizzata”, è scaturita non solo dalla
necessità di colmare un vuoto normativo esistente a livello internazionale così da
orientare gli Stati privi di una previsione corrispondente ma, anche per invitare
gli Stati stessi che già possiedono una normativa interna già sviluppata ad
adattarsi alle previsioni internazionali per evitare inutili duplicati in contrasto fra
loro.
Le caratteristiche come sopra delineate del concetto di “gruppo criminale
organizzato” come definito dalla Convenzione di Palermo inducono alcuni autori
ad avvicinarlo al reato associativo delineato in generale dall'art. 416 c.p.
“Ogni volta che saranno riconoscibili le caratteristiche della fattispecie
associativa, potrà pure ritenersi di essere in presenza di un “gruppo criminale
organizzato”. Per converso, non è necessaria la sussistenza dei requisiti tipici di
una delle fattispecie associative previste dal nostro diritto sostanziale per
individuare i connotati minimi di un “gruppo criminale organizzato”, la cui
sussistenza potrà essere individuata ogni volta che ci si trovi in presenza di
almeno tre persone, che agiscano in concerto tra loro ed in maniera non
occasionale, per un determinato periodo di tempo, allo scopo di commettere
alcuno dei delitti previsti dalla Convenzione o, comunque, uno o più reati
22 Gagliardo Antonio, op. cit.
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gravi”23.
In conclusione, ai fini dell'applicabilità dell'aggravante di cui all'art. 4 L. 146/06,
quando in un reato è implicato un “gruppo criminale organizzato” impegnato in
altre attività criminali aventi carattere transnazionale non occorre accertare altra
caratteristica oggettiva di transnazionalità nella struttura del citato reato.
E “una volta riconosciuta la transnazionalità di un sodalizio criminale ai sensi
della lettera c) dell'art. 3 della L. 146/2006, sarà automaticamente riconosciuta la
natura transnazionale di tutti i reati gravi in cui risulta coinvolto il gruppo
criminale, come pure dovrà ritenersi sempre applicabile l'aggravante prevista
dall'art. 4 L. 146/06 ove tale gruppo abbia “contribuito” alla commissione del
reato”24.
23 Fabio Licata. op. cit.
24 Ibidem
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Capitolo secondo: Le maggiori organizzazioni straniere
operanti in Italia
2.1 Considerazioni generali
I fenomeni geopolitici, economici e sociali che hanno sconvolto il mondo hanno
avuto notevoli ripercussioni anche i Italia. Le grandi migrazioni di gente in fuga
dagli Stati in disfacimento che si sono riversate in Europa e nel nostro Paese
hanno favorito l'immigrazione anche di raggruppamenti criminali formatisi in
quelle realtà. Il panorama criminale italiano, fino a pochi anni fa, caratterizzato
dal dominio incontrastato di mafiosi italiani, si è andato inevitabilmente
incrementando di nuove figure malavitose, definite “mafie straniere”.
I rapporti sullo stato della criminalità organizzata pubblicati annualmente dal
Ministero dell'Interno iniziano, infatti, ad occuparsi puntualmente delle attività e
delle strategie condotte da gruppi criminali stranieri attivi in diverse regioni
italiane.
Le mafie straniere sono assimilabili, secondo la D.IA., alle c.d. mafie tradizionali
rientranti nel paradigma di cui all'art. 416-bis c.p. Si tratta di “organizzazioni di
persone dedite alla consumazione di delitti e/o alla acquisizione e alla gestione di
attività economiche, attraverso il controllo del territorio, il metodo della
intimidazione e/o della violenza, che praticano la ferrea regola dell'omertà
(omertà interna), inducendo, peraltro, al silenzio le vittime ed i testimoni di fatti
delittuosi (omertà esterna)25.
In proposito, Giovanni Falcone in un intervento pubblicato postumo sul n. 1 del
1993 di “Narcomafie” scriveva:
“Il modello criminale mafioso in quanto connotato da una particolarissima
specificità ambientale a mio avviso non sarebbe trasponibile in altre realtà […]
nel panorama criminale internazionale, le maggiori organizzazioni, anch'esse
depurate dalle loro specifiche connotazioni ambientali, presentano caratteristiche
25 Direzione Nazionale Antimafia - Relazione annuale 1° luglio-30 giugno 2007
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non dissimili da quelle della mafia. Tale unicità sostanziale del modello
organizzativo nelle più importanti organizzazioni criminali operanti a livello
internazionale, consente di usare per le stesse il termine “mafia” in una accezione
certamente più estensiva di quella che è normalmente in senso tecnico il
significato di questa parola, ma in una accezione tuttavia non priva di un certo
rigore scientifico”.
Giovanni Falcone “evidenziava insieme la specificità del modello mafioso (che
teoricamente non lo renderebbe esportabile fuori dei confini in cui è nato) e la
sua straordinaria capacità di radicamento in aree non tradizionali, mettendo in
rilievo – al contempo – le affinità e le analogie (pur nelle profonde differenze) tra
organizzazioni criminali italiane e alcune “mafie straniere”26.
In merito alle maggiori realtà criminali straniere presenti in Italia (albanesi,
cinesi, russi, nigeriani, maghrebini, colombiani romeni e bulgari), la D.N.A.
nella Relazione annuale del 2007, ha formulato alcune considerazioni di
massima:
a – ciascuna realtà criminale ha una propria specificità connessa agli ambiti
culturali di provenienza;
b – le organizzazioni criminali straniere preferiscono, di norma, insediarsi
nelle regioni dove minore è la presenza di “mafie tradizionali” (cioè non nelle
regioni meridionali, fatta eccezione per la Campania);
c – le dette organizzazioni tendono a non formare alleanze con le “mafie
tradizionali”, se non per specifici affari illeciti;
d – gli affiliati alle dette organizzazioni sono, in massima parte, clandestini.
I tratti salienti che accomunano le mafie italiane e straniere, afferma Enzo
Ciconte, sono i fortissimi legami familiari, i riti di affiliazione, la simbologia e il
rapporto con il potere. Nelle mafie straniere colpisce l'intreccio funzionale che
esiste fra la famiglia (che le rendono molto simili alla 'ndrangheta calabrese) e
l'etnia, considerate elementi che garantiscono fiducia, omertà, segretezza ed
efficienza all'azione criminale.
26 Alessandra Dino, op. cit.
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Dispongono inoltre di ingenti risorse economiche e godono di un certo grado di
consenso sociale determinato dalla capacità di produrre e distribuire reddito
anche se di natura illecita.
°°°°°°°°°°°°
I diagrammi sotto indicati elaborati dalla DIA nel 1° semestre 2010 ci offrono
una situazione aggiornata, in termini percentuali, del coinvolgimento della
criminalità straniera sul territorio nazionale, nelle peculiari fattispecie
delittuose associative (associazione per delinquere, associazione di tipo mafioso
e associazione al traffico di sostanze stupefacenti).
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2.2 Criminalità Albanese
Un numero consistente di albanesi e con essi una grossa fetta di “nuova
criminalità” inizia a diffondersi nel nostro Paese nei primi anni del 1990. Le
ragioni dell'esodo albanese, risiedono sia nei 40 anni di duro isolamento in cui il
Paese è stato obbligato a causa di uno dei più crudeli regimi comunisti di tutta
Europa sia nella difficile fase transitoria che l'Albania sta attraversando dopo la
caduta del regime stalinista di Enver Hoxha.
“Venne abolita la libertà di parola, di proprietà privata e di religione e,
addirittura, nel 1967 l'Albania si dichiarò Stato ateo, il primo caso della storia del
mondo”27.
Dopo la morte del dittatore nel 1985 e il collasso del regime comunista nel 1991,
segue un periodo di disorientamento politico ed economico contrassegnato da
grave crisi e da continue tensioni sociali. La liberalizzazione dei passaporti
favorisce l'esodo di migliaia di albanesi che, in fuga da una vita di stenti e di
miserie si riversano in Italia e negli altri paesi Europei.
L'emigrazione di gruppi etnici albanesi crea fin da subito una serie di imprevisti
problemi in tutti i Paesi dell'Unione Europea, rivelando una grande versatilità
nelle manifestazioni di criminalità organizzata ed una notevole propensione alla
violenza le cui radici si trovano nel loro paese e in quelli limitrofi: Montenegro,
Kosovo, Serbia, ex Jugoslavia, Macedonia e Grecia e si distinguono in due
gruppi, i Toschi ed i Ghedi.
Assieme all'emergenza dell'accoglienza e del primo soccorso da prestare a chi
arriva spesso in condizioni disumane cresce infatti anche l'emergenza del traffico
di persone, un nuovo, lucroso affare per i gruppi malavitosi albanesi e italiani.
Al primo grande esodo del 1991 ne seguono altri due, nel 1997 (con il crollo
delle “piramidi finanziarie” che distrusse la gran parte del risparmio familiare
27 Centro Studi e Ricerche IDOS, Gli albanesi in Italia – Conseguenze economiche e sociali
dell'immigrazione – pag. 13, a cura di Rando Devole, Franco Pittau, - Antonio Ricci, Giuliana Urso Edizioni Idos, Roma, 2008
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interno) e nel 1999 (con la guerra del Kosovo) 28, ai quali fa seguito una fase di
stabilizzazione per cui, si può dire, che negli anni 2000 e in quelli successivi la
immigrazione degli albanesi in Italia è diventata normale.
Di fronte a questi imponenti fenomeni migratori, mai verificatisi prima nel
nostro Paese, il Governo italiano adotta provvedimenti finalizzati al
contenimento dei flussi stessi i quali hanno però come conseguenza lo sviluppo
del traffico clandestino, attraverso il canale di Otranto con sbarchi di immigrati
prevalentemente, sulle coste pugliesi. L'immigrazione clandestina in una prima
fase è appannaggio della Sacra Corona Unita, successivamente viene “gestita in
proprio da gruppi albanesi con il consenso della criminalità pugliese che
consentiva l'attività di traghettamento dei clandestini in cambio di crescenti
partite di sostanze stupefacenti prevalentemente del tipo leggero”29.
Il Ministero dell'Interno, nel Rapporto sulla criminalità in Italia - “Analisi,
Prevenzione, Contrasto” - del 20/06/2007, ha evidenziato come la vicinanza tra
l'Italia e l'Albania abbia favorito:
- la penetrazione in Albania di gruppi mafiosi e di latitanti italiani che colà
gestiscono i traffici illeciti e, nel contempo, riescono a controllare direttamente il
territorio originario;
-
la generale diffusione della lingua e della cultura italiana in Albania, che ha
consentito una più facile reciprocità nei rapporti, anche criminali;
- la condivisione di interessi illeciti con le organizzazioni mafiose italiane,
soprattutto pugliesi, campane e calabresi, ed il radicamento di referenti albanesi
in Italia, in contatto con gruppi operanti nel resto dell'Europa;
-
la possibilità di godere di una sponda geograficamente facile da condividere
28 Wikipedia – l'enciclopedia libera. Il Kosovo, popolato in maggioranza da cittadini di etnia albanese,
era entrato in tensione con la Serbia e contribuì al disfacimento della federazione iugoslava, già
avviato con la fuoriuscita prima della Slovenia, poi della Croazia ed infine della Bosnia-Erzdegovina,
nel quadro di nazionalismi contrapposti che ha segnato e segna le vicende balcaniche a cavallo tra il
XX e il XXI secolo. Il Kosovo ha unilateralmente dichiarato la sua indipendenza dalla Serbia il 17
febbraio 2008. Ad oggi la sua indipendenza è riconosciuta da 75 paesi membri dell'ONU più Taiwan,
dei quali 22 paesi dell'Unione Europea (Italia compresa), Stati Uniti, Giappone, Australia e Canada.
La Serbia assieme a Russia, Cina e altri 5 paesi dell'Unione Europea, tra quali Spagna e Grecia, non
riconosce l'indipendenza.
29 Direzione Nazionale Antimafia, Relazione 2007, op. cit.
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per lo sviluppo successivo delle rotte verso il centro Europa.
Per risalire alla pericolosità delinquenziale albanese occorre inquadrarla in tutti i
suoi aspetti, non solo quello dei reati, ma anche i suoi legami con le terre
d'origine, la sua incidenza sul territorio di riferimento e il contesto in cui opera.
Sono soltanto 90 i Km che separano l'Albania dalla costa italiana ma ciò che
divide questi due Paesi non è solo il mare. Diversi sono i modi di pensare e di
vivere, così come distanti da noi sono gli schemi mentali, i valori e le azioni della
cultura del popolo albanese nella quale il vincolo familiare e del clan è molto
forte.
Il vincolo gerarchico e la struttura interna dei clan poggiano le loro basi sul
codice “Kanun”, (“Canone di Lek Dukajueni” o “Codice della Montagna”), una
raccolta di norme consuetudinarie, crudeli e violente che si sono trasmesse
oralmente per secoli. Creato su iniziativa del principe Lek Dukagjueni intorno
alla metà del 1400, per dare una legislazione e una tradizione propria al popolo
albanese, dominato dai turchi, la sua applicazione oggi non è più in vigore,
tuttavia molte delle norme contenute nel codice Kaun sono ancora impresse
profondamente nella società albanese. Si tratta di un complesso normativo che
disciplina numerosi aspetti della vita di relazione sia sotto il profilo civile che
quello penale, tra cui la famiglia, il fidanzamento e il matrimonio, la proprietà
privata e la successione, il lavoro ma anche il diritto di vendicare l'uccisione di
un proprio familiare colpendo i parenti maschi dell'assassino fino al terzo grado.
La vendetta in alcune zone è addirittura considerata un obbligo che, se non
adempiuto, comporta il disprezzo della collettività ed ha come conseguenza
l'emarginazione. Molto forte è il senso dell'onore, il rispetto della parola data,
l'ospitalità, la sottomissione della donna. I matrimoni sono lo strumento per
stabilire alleanze tra famiglie, e quindi combinati all'insaputa degli interessati.
La struttura organizzativa della criminalità albanese non è a livello verticistico
ma risulta governata a livello orizzontale, da diversi clan, normalmente formati
da persone che provengono dalla stessa città, dallo stesso quartiere ed anche dallo
stesso nucleo familiare. Ai vertici dei clan criminali albanesi vi sono dei “capi”
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che risiedono stabilmente in madrepatria dove investono, in attività lecite, i
proventi dei business milionari creando veri e propri imperi economici alimentati
dal riciclaggio di denaro sporco. Dalla stessa sede impartiscono le proprie
direttive ai diversi “referenti” collocati nelle aree di interesse operativo, i quali
sono in contatto diretto con i propri connazionali e gli esponenti della criminalità
autoctona o allogena relativamente al traffico internazionale di stupefacenti, di
clandestini e dello sfruttamento della prostituzione. Il necessario supporto
logistico alle associazioni criminali viene fornito in parte anche dagli “stanziali”,
cioè coloro che risiedono stabilmente in Italia con la propria famiglia ed in
possesso di regolare permesso di soggiorno. La struttura criminale albanese
comprende altresì i “corrieri”, abili ed efficienti cittadini albanesi incaricati del
delicato e difficile trasporto della droga, compito assai difficile per i pericoli che
esso comporta. In ogni caso i rapporti con la criminalità autoctona si basano sul
principio della garanzia personale, in base al quale deve essere sempre un
albanese a fungere da garante per le persone appartenenti ad un'altra etnia.
All'interno dello scenario criminale albanese coesistono, pertanto, “grandi
organizzazioni criminali” che gestiscono attività imprenditoriali in madrepatria;
“organizzazioni minori”, particolarmente violente, dedite ad attività serventi
rispetto agli interessi delle organizzazioni più strutturate e disponibili a muoversi
sia sul territorio nazionale che su quello estero (tra cui anche l'Italia). Infine, ad
un più basso profilo si situano le “aggregazioni criminali”, legate a occorrenze
momentanee (es. scafisti, falsificatori, ecc.).
Pertanto, da piccole bande autonome, dedite soprattutto ad attività predatorie
(furti e rapine) per motivi di sopravvivenza, si passa a forme organizzative via
via più strutturate che si alleano per raggiungere obiettivi comuni fino a dar vita
a veri e propri sodalizi criminali, diffusi su tutto il territorio nazionale, dotati di
metodologie operative sempre più complesse tipiche della criminalità
organizzata.
“Tra gli aspetti più significativi dell'evoluzione delle modalità organizzative delle
strutture criminali di matrice albanese, figura la crescente partecipazione delle
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donne nella perpetrazione di reati, talvolta addirittura con ruoli preminenti
rispetto ad una base operativa solitamente di sesso maschile. Al contrario del
passato, in cui alcune di esse risultavano coinvolte quasi esclusivamente in reati
connessi alla prostituzione, con compiti di sorveglianza delle vittime, va
evidenziata ora la loro partecipazione attiva anche in rapine a mano armata,
traffico di stupefacenti ed altri delitti”30.
Fra le criminalità a base etnica presenti in Italia, quella albanese rappresenta
senza dubbio la più pericolosa per la violenza e l'efferatezza delle sue azioni, per
la ferocia che applica nella commissione dei reati e non solo. Per la strutturazione
mafiosa delle sue aggregazioni, la sua sorprendente capacità di espansione a
livelli transnazionali, nonché quella di stringere rapporti anche con le
organizzazioni criminali endogene, la criminalità organizzata albanese è divenuta
rapidamente, un valido punto di riferimento per i traffici illeciti internazionali, in
particolare per il traffico di armi, di ogni tipo di droga, di persone, minori
compresi.
Le diverse operazioni investigative condotte dalla Direzione Investigativa
Antimafia hanno consentito di mettere in risalto alcuni modelli comportamentali
dei criminali albanesi e le sinergie operative con altri gruppi criminali autoctoni e
stranieri. “Tale ultimo aspetto consente lo sviluppo, specialmente nel traffico di
stupefacenti, di un vero e proprio network multietnico, nel quale gli albanesi si
interfacciano più facilmente con italiani, nordafricani, sudamericani, romeni
nonché con chiunque possa fornire il proprio apporto al sistema criminale o ad
una singola progettualità criminale. Infatti spesso il concorso interetnico ha una
durata limitata, essendo motivato dalla continua ricerca di nuove fonti di denaro
illecito”31.
Nelle operazioni denominate “Polaris” (nel gennaio 2010) e“Ulivi” (nell'aprile
2010) coordinate dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di La Spezia,
risalta la sinergia della criminalità albanese con immigrati magrebini, nel traffico
30 Ministero dell'Interno – Rapporto annuale sulla criminalità in Italia. Analisi, Prevenzione, Contrasto,
Anno 2007
31 Direzione Investigativa Antimafia – Relazione 1° semestre 2010
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e nello spaccio di stupefacenti con la partecipazione di soggetti autoctoni che
unitamente a sudamericani provvedevano a smistare la cocaina nel territorio
ligure.
Specificamente per quanto riguarda la Toscana le indagini rilevano una
“progressiva operatività di compagini criminali, gerarchicamente strutturate, ben
radicate sul territorio e con ramificazioni in altre aree del Paese”. E' quanto
emerso nell'indagine relativa all'operazione “Santo Graal” (nel gennaio 2010)
coordinata dalla D.D.A di Firenze, ha consentito di ricostruire la gestione di un
cospicuo traffico di stupefacenti, ad opera di una agguerrita associazione
criminale, composta nei ruoli direttivi prevalentemente da cittadini albanesi e in
minima parte da autoctoni con funzioni marginali, con proprie articolazioni in
diverse zone del territorio nazionale, Toscana, Emilia Romagna, Lombardia e
Veneto. L'eroina veniva acquistata direttamente in madrepatria, la cocaina in
Spagna e nei Paesi Bassi da fornitori che non pretendevano alcun pagamento
anticipato delle partite, saldate nella fase successiva alla distribuzione al minuto.
Questo ultimo particolare “evidenzia l'esistenza di un rapporto fiduciario tra i
correi, possibile solo in un contesto associativo illecito ramificato all'estero e
costituito da una rete di favoreggiatori in grado di mettere a disposizioni
laboratori,
magazzini,
appartamenti,
vetture
e
quant'altro
utile
all'organizzazione”32.
Nel settore del traffico della droga strategici sono i collegamenti con la Puglia la
quale costituisce il punto di arrivo e smistamento di ingenti quantitativi di
sostanze stupefacenti, specialmente di marijuana ed eroina, provenienti
dall'Albania e dalla Grecia, diretti alle organizzazioni criminali calabresi, non
necessariamente appartenenti alla 'ndrangheta, a quelle siciliane e del nord
d'Italia.
In questo specifico settore criminale “dopo aver inizialmente commercializzato la
marijuana prodotta in Patria, oggi l'Albania occupa anche una posizione di rilievo
nel mercato dell'eroina e della cocaina. Il ruolo dei criminali albanesi si è elevato
32 Ibidem
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da quello iniziale di corrieri a quello di importanti ed affidabili referenti delle
organizzazioni di trafficanti delle aree di produzione, di transito, di stoccaggio e
di consumo”33.
I sodalizi criminali albanesi sono inoltre i principali gestori del mercato della
prostituzione in Italia, normalmente in danno di donne albanesi e di altre
nazionalità, introdotte clandestinamente in Italia e spesso sequestrate nei paesi di
origine e ridotte successivamente in uno stato di schiavitù.
Due sono i fattori che rendono poco frequente il riscatto dalla prostituzione delle
donne albanesi: in primo luogo, esse sono per tradizione subordinate al ruolo
dell'uomo; in secondo luogo, sono spesso le famiglie stesse che mettono a
disposizione le ragazze ed i minori per non perdere il notevole guadagno
derivante dal meretricio.
Lo sfruttamento sessuale delle donne è caratterizzato da una prima fase di
contrasto fra i gruppi per il predominio territoriale a cui segue la “ricerca di un
accordo per uno sfruttamento condiviso o comunque non conflittuale,
privilegiando la logica del guadagno”; è quanto emerso nel corso delle tante
operazioni condotte dalla D.I.A.
Come già accennato, il fenomeno della immigrazione clandestina, dopo una
prima esperienza da parte dei traghettatori pugliesi è stato gestito in prima
persona, a partire dal 1997, dalla criminalità albanese che si è occupata degli
sbarchi in Italia in un primo momento dei soli clandestini albanesi e poi di quelli
appartenenti a diverse etnie diretti nell'Europa occidentale (curdi, cingalesi,
egiziani, pakistani, ecc.).
L'elevata capacità imprenditoriale, le relazioni di affari intrattenute con le
organizzazioni che gestiscono il traffico migratorio a livello internazionale, la
massima puntualità ed efficienza nell'esecuzione (spesso violenta nei confronti
dei migranti), dei compiti di servizio affidati sono elementi con cui la malavita
albanese si è conquistata la massima affidabilità nel traffico degli esseri umani.
Nell'operazione “Human carrier” (coordinata dalla Procura della Repubblica
33 Ministero dell'Interno, Relazione 2007, op. cit.
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presso il Tribunale di Brindisi nell'aprile 2010)34 e che si è occupata della
immigrazione clandestina, viene rilevata “la partecipazione di alcuni cittadini
albanesi ad una compagine multinazionale composta principalmente da iracheni
ma anche da turchi, bulgari, greci, pakistani, i quali, ognuno per la propria parte,
si occupavano dei transiti nei rispettivi territori di competenza, di numerosi
immigrati clandestini”.
Quello della immigrazione clandestina è senza dubbio uno dei settori più lucrosi
se si considera che il guadagno non è connesso solo al prezzo del trasferimento
della vittima, ma è ampliato dalla continuità del suo sfruttamento. Infatti, quando
si parla di traffico di clandestini, in realtà, si fa riferimento a due forme di
criminalità: al traffico dei clandestini che entrano nei confini italiani al fine di
trovarvi un lavoro e al traffico di donne e minori da destinare all'attività della
prostituzione e della pedo-pornografia.
Altri settori di interesse dei gruppi criminali organizzati albanesi sono inoltre: il
riciclaggio, il traffico di armi da guerra dall'Albania e da altri Stati dell'ex
Jugoslavia, il furto di auto di grossa cilindrata, le rapine in ville situate nell'Italia
centrale e settentrionale. Sono inoltre responsabili di crimini violenti, dalle
lesioni personali fino agli omicidi, consumati con modalità che rispondono alle
rigide logiche interne che disciplinano i gruppi delinquenziali in esame e che ne
confermano l'estrema pericolosità.
In una prima fase del suo insediamento nel nostro territorio la criminalità
albanese era presente soprattutto nell'area piemontese e lombarda con
significative concentrazioni nella città di Torino, successivamente si è diffusa
rapidamente su scala nazionale raggiungendo le regioni del sud
Italia,
tradizionale territorio delle organizzazioni criminali autoctone. In Sicilia,
Campania e Calabria “occupano ambiti criminali residuali realizzando saltuarie
intese operative, ma sempre nell'ottica di una primazia prevalenza delle
tradizionali organizzazioni mafiose, le quali, pur usufruendo dei servigi di questi
nuovi soggetti criminali, mantengono un ferreo controllo sul contesto criminale
34 DIA, Relazione 1° semestre 2010, op. cit.
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del territorio”35.
Peculiare è il rapporto con la criminalità pugliese data la compatibilità
organizzativa strutturale delle due consorterie delinquenziali (flessibilità ed
orientamento al modello di servizio) che consente loro di fungere da snodo per
ogni tipo di attività illecita e da qualsiasi parte provenga. In Puglia la criminalità
albanese si è perfettamente inserita nel tessuto sociale tanto più che ora sembra
convivere con le espressioni della malavita organizzata locale.
L'esperienza compiuta in questi ultimi anni nel mondo dei traffici illeciti, ha
permesso ai sodalizi criminali albanesi di ampliare i settori del crimine e di
maturare un modello associativo flessibile attraverso la gestione di articolate reti
di complicità esistenti all'interno di gruppi operanti in Italia sia di quelli attivi nel
paese di origine e nel nord d'Europa, occupando aree non più controllate dalla
criminalità italiana.
In apparente contrasto con l'immagine di una criminalità “rurale”, violenta e
primitiva, la devianza albanese appare invece evoluta, efficiente ed efficace tanto
da acquisire ruoli primari nelle strategie globali del crimine.
35 Ministero dell'Interno, Relazione 2007, op. cit.
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2.3 La criminalità cinese
I primi arrivi di cittadini cinesi in Italia risalgono al periodo della seconda guerra
mondiale. Questi gruppi si insediano prima a Milano poi a Roma, a Firenze
intorno agli anni '80 e, a Prato nei primi anni '90. Il flusso migratorio è
inizialmente un fenomeno del tutto marginale, sia rispetto al consistente esodo
dalle coste cinesi, sia rispetto alla sua incidenza numerica sul totale della
popolazione italiana.
L'immigrazione dei cittadini cinesi nel nostro Paese comincia a farsi rilevante
verso la metà degli anni '80 con l'apertura della Cina verso l'occidente a seguito
dei fatti di Piazza Tien'amen36 e i provvedimenti legislativi di regolamentazione
dell'immigrazione che hanno reso possibile la regolarizzazione attraverso le
sanatorie dei clandestini, favorendo un flusso migratorio di enorme rilevanza,
costituito anche dai parenti degli immigrati che accompagnano l'insediamento di
piccole comunità di cinesi in vaste parti d'Italia.
Provengono soprattutto dalla regione dello Zhejiang, a sud di Shanghai,
caratterizzata da due realtà: una poverissima, costituita dagli abitanti che vivono
nell'entroterra, da cui proviene la maggior parte degli immigrati destinati alla
manovalanza (dalla città di Yuyu); l'altra più ricca, costituita dalle popolazioni
che vivono lungo la costa, ed è della città di Wenzhou la maggioranza dei soggetti
che entrano a far parte dei gruppi criminali.
Le regioni italiane in cui si registra un numero rilevante di cittadini cinesi sono la
Lombardia, il Lazio, la Toscana, l'Emilia Romagna, il Piemonte, il Veneto, il
Friuli Venezia Giulia ed in particolare nelle città di Milano, Firenze, Prato, Roma,
Torino, Trieste, Udine, Modena e Reggio Emilia. Negli ultimi anni alcune
comunità cinesi si sono insediate anche nelle regioni insulari e meridionali, in
36 Wikipedia, l'enciclopedia libera - La protesta di piazza Tien'anmen fu una serie di dimostrazioni
guidate da studenti, intellettuali, operai nella Repubblica Popolare Cinese tra il 15 aprile ed il 4 giugno
1989. Simbolo della rivolta è considerato il rivoltoso sconosciuto che in totale solitudine e
completamente disarmato affronta una colonna di carri armati: le fotografie che lo ritraggono sono
popolari nel mondo intero e sono per molti un simbolo di lotta contro la tirannia. L'evoluzione della
protesta si può ripartire attraverso cinque episodi: il lutto, la sfida, la tregua, il confronto, il massacro.
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particolar modo nella provincia di Napoli37.
Le principali attività dei cinesi si concentrano dapprima sulla ristorazione e sul
commercio. La popolarità che la cucina cinese ha progressivamente acquistato
fra la popolazione italiana ha incrementato il numero dei ristoranti sparsi nelle
varie province italiane, divenendo uno dei principali settori lavorativi, attorno a
quali gravitano la presenza e lo sviluppo delle comunità cinesi. Nell'area
fiorentina si sviluppa velocemente un gran numero di piccole imprese familiari
nel settore della lavorazione del pellame e delle borse, mentre a Prato si avviano
attività artigianali nel settore tessile che determinano una forte crescita della
comunità, tale da trasformare tale zona in una delle più densamente popolate in
Italia.
La prospettiva di poter realizzare una piccola impresa familiare è il sogno di tutti
gli immigrati che provengono da Zhejiang, la quasi totalità dei cinesi. Essi si
aggregano in ristrette porzioni di territorio e costituiscono tanti piccoli quartieri
di Cina formati da persone quasi tutte provenienti dalla stessa regione o dagli
stessi villaggi nei quali sopravvivono le tradizioni millenarie e particolari regole
di convivenza. Ciò consente un'autonomia culturale rispetto alla realtà che li
circonda, e li rende una comunità completamente isolata dal tessuto sociale.
Ciò che spinge i cinesi a stare il più possibile uniti fra loro si riassume in una sola
parola: “guanxi”. Questa significa letteralmente rapporto, legame, relazione,
amicizia. E' l'arte di mantenere le relazioni di supporto e le conoscenze coltivate
nella vita di ciascun individuo.
“Entrare nella “guanxi” di un cinese è come entrare a far parte di una famiglia
allargata, dentro la quale l'abnegazione alla “causa comune” è totale, così come la
condivisione dei beni immateriali e materiali. Chi è dentro la “guanxi” è come
un fratello, una sorella o addirittura può essere un secondo padre, una seconda
madre. Entrare in una “guanxi” è impegnativo, ma rimanervi è ancora più
impegnativo. Un solo sbaglio e si rischia di uscirne per sempre. Rientrarci
diventa impossibile, perchè l'errore è la prova della inadeguatezza a ricevere
37 D.N.A. - Relazione 2007, op. cit.
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questo onore. In Cina la parola “onore” ha un significato profondo. E' un valore
che si porta dentro sempre. Per questo motivo si può essere certi della fedeltà e
dell'onestà di un cinese nella sua “guanxi”. La “guanxi” è uno degli elementi più
significativi della cultura cinese. Non si limita infatti solo a legami affettivi, ad
una “famiglia allargata”, ma implica anche una serie di modalità di aiuto
reciproco attraverso le quali i cinesi costruiscono il proprio futuro”38.
Più ampiamente, si tratta di una rete di solidarietà incrociate che abbraccia la
famiglia elementare, quella estesa, che comprende diversi nuclei familiari ma
anche quella economica, che va al di là dei vincoli di sangue e che ruota attorno
ad un bene comune, come una attività commerciale i cui proventi vengono divisi
fra le persone che lavorano nell'impresa, sia essa legale oppure no.
L'assoluta impermeabilità ad ogni integrazione con il tessuto sociale, la crescente
espansione commerciale dei cinesi e la proliferazione di associazioni, hanno
consentito alle organizzazioni criminali cinesi di esercitare un rigido controllo
sulla loro vita economica e sociale. Infatti le diverse associazioni di mutuo
soccorso nate allo scopo di offrire ai connazionali un aiuto finanziario,
assistenziale o per il disbrigo di pratiche burocratiche, con il tempo sono
diventate centro di potere ed hanno rafforzato l'interesse della criminalità
organizzata su quella che è apparsa la più lucrosa delle attività illecite nonchè
funzionale per lo sviluppo sul territorio nazionale delle attività produttive e
commerciali: il traffico di clandestini. Fin da subito le organizzazioni malavitose
cinesi hanno saputo sfruttare la enorme potenzialità economica legata alle sue
devianze, (lo sfruttamento del lavoro nero, la prostituzione, il falso documentale),
sulle quali hanno costruito la loro potenza economica e il loro potere.
La tratta di persone dalla Repubblica Popolare Cinese risulta gestita da
organizzazioni criminali ben strutturate, con complici nelle maggiori capitali
internazionali. Per poter gestire l'importazione di lavoratori da ridurre in
schiavitù e di giovani donne da avviare al meretricio in un tragitto di migliaia di
chilometri la criminalità cinese ha dovuto allacciare rapporti, stringere alleanze,
38 Ministero dell'Interno, Relazione 2007, op. cit.
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prendere accordi con altre organizzazioni criminali. E' venuto, così, a definirsi un
sistema criminale integrato, ove al livello più alto agiscono le organizzazioni
cinesi, che pianificano e gestiscono lo spostamento dal Paese di origine a quelli
di destinazione.
Le comunità cinesi presenti in ogni Paese di passaggio, in virtù del loro completo
isolamento e della loro impenetrabilità, diventano strategiche per la
immigrazione clandestina le cui rotte si snodano attraverso soste in diverse città
europee. “Il forte senso del dovere e dell'obbedienza nei confronti di chi
legittimamente o illecitamente detiene il potere, specie se questo deriva dalla
forza intimidatrice, giustifica la diffusa ed assoluta omertà che regna tra gli
appartenenti alla comunità, terrorizzati anche dalle punizioni esemplari, per lo
più eseguite in Cina e inflitte alle famiglie di chi si dissocia da questa logica”39
Il cittadino cinese che vuole emigrare si rivolge a consorterie criminali presenti in
Cina, che sono in stretto contatto con quelle esistenti nel Paese di destinazione. Si
affida completamente ad un corriere, cioè veri dominus della vita dei clandestini,
che pretendono sempre una garanzia personale da parte della famiglia di origine.
Pur di essere trasportati in Italia o in altri Paesi i cinesi impegnano i propri pochi
risparmi e si indebitano anche per lunghi anni assoggettandosi ad un regime di
vera e propria schiavitù.
Dalla Cina si esce con regolari visti turistici, visti per affari o visti per viaggi
aziendali, rilasciati dalle ambasciate europee di Pechino, e l'acquisto di un
biglietto di andata e ritorno. Arrivati a destinazione il passaporto viene rispedito
in Cina, previa apposizione del visto di reingresso, e serve per altri emigranti,
mentre il cinese giunto in Italia riceve un passaporto falso. Se invece si vogliono
utilizzare i valichi non protetti dalle frontiere, ci si rivolge a guide appartenenti
alle organizzazioni criminali – le cosiddette “teste di serpente” - che poi si
avvalgono, per l'attraversamento dei vari paesi, dei cosiddetti “passeurs”.
Le rotte dell'immigrazione illegale dalla Repubblica Popolare Cinese
sono
principalmente via terra, attraversando la Russia e i Paesi dell'Est, oppure, via
39 Commissione parlamentare d'inchiesta sul fenomeno della criminalità organizzata mafiosa o similare
- Relazione annuale 2003, op. cit.
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mare da Malta con i gommoni, che una volta partivano dall'Albania. Le rotte
preferite estremamente variabili, sono quelle che attraversano Paesi con
legislazioni meno rigide o con i quali la Cina ha stretto accordi bilaterali. Il
materiale superamento delle nostre frontiere nazionali è generalmente demandato
a gruppi criminali specializzati di altra etnia (albanesi, sloveni, bosniaci,
montenegrini, cechi, turchi, maltesi ecc.).
Durante il viaggio “gli accompagnatori” mantengono le vittime in un continuo
stato di assoggettamento psicologico, ricorrendo a minacce e violenze nel caso di
inosservanza delle regole impartite”40
Gli arrivi dei cinesi in Italia si concentrano nel Friuli Venezia Giulia, Liguria,
sulle coste della provincia di Ragusa, sulle coste adriatiche e gli scali portuali di
Roma e Milano. Qui, vengono presi in custodia da gruppi criminali cinesi che
operano in Italia e portati in luoghi sicuri in attesa che i familiari in Cina paghino
la seconda tranche del prezzo di viaggio (il costo totale si aggira mediamente
intorno ai 15.000 euro).
Si tratta di appartamenti o casolari dove gli irregolari vengono sottoposti ad ogni
tipo di vessazione perchè paghino le somme pattuite, altrimenti possono essere
offerti, a connazionali che li adoperano per il lavoro nero nei settori tessile e
manifatturiero fino a recuperare quanto è stato pagato per loro.
Per il Sostituto Procuratore Nazionale Antimafia Olga Capasso, “L'utilizzo di
manodopera irregolare, talvolta con modalità prossime alla riduzione in
schiavitù, determina peraltro un decisivo abbattimento dei costi di produzione,
consentendo alle attività gestite dai cinesi di porsi sul mercato in condizioni di
assoluta competitività”41.
Nella criminalità cinese, anche se variamente intrecciati fra loro, si individuano
solitamente tre livelli: le c.d. “Triadi”, la “nuova mafia economica” e le “bande
giovanili”.
Le “Triadi” che hanno la loro base a Hong Kong sono solo una piccola parte
40 Galullo Roberto – La mappa della mafia cinese in Italia e i canali clandestini di sbarco con le “teste
di serpente”, in robertogalullo.blog.ilsole24ore.com/2010/07/page/2/
41 Ibidem
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della costellazione di gruppi criminali cinesi che operano in tutto il mondo. Sono
saldamente radicate in tutte le più grandi comunità cinesi sparse nel mondo,
incluse quelle di Amsterdam, Londra, Manchester, New York e San Francisco.
Negli Stati Uniti d'America in particolare le triadi costituiscono una temutissima
organizzazione criminale, mentre allo stato attuale sono meno radicate nei Paesi
dell'U.E., benchè presenti un po' ovunque, anche in Italia. Nel nostro Paese le
Triadi sono considerate nei Dossier della DIA come la “quinta mafia” e si
trovano soprattutto in Lombardia, Toscana, Lazio, Emilia Romagna e Sicilia.
Per quanto riguarda la loro nascita, si sostiene che le Triadi abbiano avuto origine
nel XVII secolo per volontà di un gruppo di monaci buddisti, esperti di Kung-fu,
del monastero di Fukien, nel sud-est della Cina con lo scopo di rovesciare la
dinastia Manciù che aveva spodestato il regno dei Ming.
Ma secondo gli storici le società segrete sarebbero nate intorno al 1760 come
associazioni create con lo scopo precipuo di migliorare le condizioni di vita di
chi viveva ai margini della società. Nello stesso tempo si dedicano alla pirateria e
al contrabbando accumulando molta ricchezza e potere fino a trasformarsi in
potenti clan dediti a mille traffici.
Il nome deriva dal simbolo della “setta”, un “triangolo equilatero”, che
rappresenta l'unità dei tre concetti base del pensiero e della cultura cinese: Cielo,
Terra, Uomo. L'ingresso nella società avviene con una cerimonia d'iniziazione,
intrisa di credenze ancestrali e magiche appartenenti all'antico patrimonio
culturale cinese.
Esiste una molteplicità di Triadi, con un numero di membri che varia dai 50 ai
30.000, come ad esempio avviene nelle tre organizzazioni storicamente
preminenti all'interno di questo panorama: la “Sun Yee On”, la “Wo Shing Wo” e
la “14K”.
I clan mafiosi hanno una struttura piramidale nella quale ogni gradino della scala
gerarchica è rigidamente separato dagli altri, i nomi dei capi sono espressi con
colorite metafore o numeri multipli di tre, e spesso, i loro volti sono ignoti agli
affiliati.
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Al vertice di ogni Triade vi è il Shan Chu, identificato col numero 489 e
chiamato “Testa del Dragone o Fratello maggiore”; segue il vicario del capo,
addetto alle cerimonie di iniziazione contrassegnato con il n. 438. Le figure
indicate con il n. 438 possono essere insignite del titolo di “doppio fiore”
paragonabile a quello di capomandamento di “Cosa Nostra” e che svolge
mansioni di tesoriere. Lo stesso numero può indicare anche il “Garante delle
alleanze”, il “Guardiano del Vento”; mentre a un livello inferiore troviamo il n.
415 chiamato “Ventaglio di carta Bianca”, responsabile delle finanze. Con il n.
426 viene indicato il “Guerriero del polo rosso”, esperto in tecniche di
combattimento e responsabile dell'ala militare; infine al gradino più basso della
struttura con il n. 49 vi sono i membri ordinari (i Sey Kow Jai).
Hsiang Khe Zhi, il boss d'oriente che agisce in Italia, è uno dei più importanti
boss cinesi in circolazione ed ha contatti con i capimafia cinesi che vivono
lontano dal suo territorio; può essere considerato alla stregua di capomandamento
della mafia cinese in Toscana. La sua famiglia può contare su un gruppo di
fedelissimi, in stretti rapporti con i clan di Torino, Treviso, Roma e Napoli. I suoi
affiliati provengono tutti dalla provincia dello Zheijang e sono legati da vincoli di
sangue o di parentela acquisita di cui Hsiang è il capo assoluto.
La forza della mafia cinese è costituita dalla sua frammentazione in una miriade
di cellule sempre in contatto fra loro.
“Molti ritengono che le triadi siano controllate da un padrino e che questo
padrino diriga le banche dei clan locali e oltreoceano per commettere vari tipi di
attività illecite – spiega il criminologo Yiu Kong Chu – ma posso dirvi che non
esiste nessun padrino e nessun quartiere generale a Hong Kong. Il crimine
organizzato cinese internazionale è organizzato e commissionato da differenti
gruppi etnici cinesi. Più che a una “piovra”, la mafia cinese potrebbe essere
paragonata a un dragone con più teste. Non esiste un unico centro di comando
che dirige i vari tentacoli e impartisce ordini e direttive. Non c'è una cupola
mondiale e neanche un capo supremo in grado di influenzare le scelte di vari
clan. Ci sono invece gang indipendenti, collegate fra loro da una rete impalpabile
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ed estesa a livello globale”42.
Numerosi sono i campi illegali che interessano le attività delle Triadi. Di primaria
rilevanza, specie per le connessioni con le società criminali operanti in Italia, è il
traffico di clandestini, collegato al fenomeno del sequestro di persona a scopo di
estorsione, allo sfruttamento della mano d'opera giovanile e femminile e al
traffico della prostituzione anche sotto la copertura di sale di massaggi; il traffico
di stupefacenti e, in casi più isolati ed estremi, l'omicidio. Le risse e le lesioni
personali con armi bianche, le rapine, i furti e le estorsioni sono reati
prevalentemente commessi all'interno della comunità, consumati da cinesi a
danno di altri cinesi;
Uno dei settori più redditizi ma spesso ignorati “è la contraffazione dei
documenti, passaporti, permessi d soggiorno, ultimamente sostenuta addirittura
dalla falsificazione dei sigilli ufficiali del governo della Repubblica Popolare
Cinese. A titolo di esempio, si può ricordare come la Polizia di Stato, nell'agosto
del 1993, a Pistoia, abbia sequestrato timbri ufficiali della Repubblica Popolare
Cinese utilizzati per attestare l'autenticità di passaporti e di altri documenti di
identificazione, un sigillo per la falsificazione di patenti cinesi, un macchinario
per la stampa a caldo di patenti cinesi plastificate, ed una matrice per
l'apposizione del timbro a secco ufficiale cinese”43.
Nell'ambito della criminalità cinese desta particolare attenzione una nuova forma
di mafia organizzata economica in grado di aggirare le norme italiane, supportata
dalla notevole capacità di riciclare il denaro sporco tramite l'acquisto di esercizi
commerciali e immobili.
L'attività preferita da questa mafia cinese è la falsificazione di enormi prodotti di
consumo, sia nel campo dell'abbigliamento che nel campo alimentare in
violazione del rispetto delle più elementari regole di diritto.
Come si evince dal Rapporto DIA del 1° semestre 2010, il fenomeno della
contraffazione “resta un problema sempre più gravoso, che penalizza la
42 Rossi Giampiero e Spina Simone, I boss di Chinatown, La mafia cinese in Italia, pagg. 138/139,
Editore Melampo, Milano, 2008
43 Ferraro Sebastiano – Le Triadi cinesi nel contesto italiano, 4/7/2009, in www.criminologia.it
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produzione del “made in Italy”. I copiosi sequestri di articoli contraffatti, di
fabbricazione cinese confermano la capillare pervasività nel mercato, grazie
anche alla complicità degli spedizionieri nei porti di attracco che permettono di
eludere i controlli specifici”.
La
contraffazione
non
riguarda
solo
il
settore
della
pelletteria
o
dell'abbigliamento tessile, come accadeva all'inizio, ma investe giochi, prodotti
alimentari, CD, DVD, televisori, dentifricio, ecc. E' diffusa in tutto il territorio
nazionale, con punte elevate in Campania, Toscana, Lazio e Marche.
Nel settore della contraffazione di marchi italiani non ci sono mai stati scontri
con le mafie italiane ma solo rapporti d'affari, più intensi con la Camorra che
impone il prezzo finale dei prodotti ma che in cambio fornisce servizi per
aggirare i controlli.
Si tratta di attività criminali di tipo associativo spesso connotate dalla
caratteristica della mafiosità, come riconosciuto in diversi dispositivi giudiziari.
A tal proposito, merita di essere citata la confisca di beni – che ha fatto seguito ad
un decreto di sequestro preventivo con il quale, per la prima volta in Italia, è stata
data applicazione alla normativa antimafia (legge n. 575/65 e successive
modifiche) nei confronti di cittadini cinesi – effettuata a Firenze dalla DIA
nell'ambito dell'operazione “Ramo d'Oriente”, conclusasi nel settembre 200344.
Più recente è la maxi operazione denominata “Cian Liu” (fiume di denaro),
condotta il 28 giugno 2010 dalla Guardia di Finanza della Toscana e coordinata
dalla Procura Nazionale Antimafia nei confronti di una associazione a delinquere
composta da cittadini cinesi ed italiani dedita al riciclaggio di denaro di illecita
provenienza mediante una rete di agenzie di “money transfert”. Per gli
investigatori si tratta di un'associazione a delinquere di stampo mafioso guidata
da una famiglia cinese da anni in Italia, i “Cai”, che manteneva il potere grazie a
minacce, intimidazioni e omertà.
L'operazione ha richiesto l'intervento di 1000 uomini delle Fiamme Gialle nel
distretto tessile pratese, ed ha riguardato oltre 100 aziende delle province di Prato
44 D.I.A – Relazione 2° semestre 2005
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e Firenze per un totale di quasi 3 miliardi di euro riciclati dal 2006 ad oggi. Sono
state arrestate 24 persone tra italiani e cinesi e sequestrati 73 aziende, 181
immobili e 166 auto di lusso45.
Altra forma di criminalità cinese è rappresentata da “bande giovanili
organizzate”, vere e proprie gang, che vengono utilizzate dalle Triadi nella
realizzazione di ogni fattispecie delittuosa come le rapine in danno di propri
connazionali ma anche estorsioni, incendi dolosi e delitti contro la persona,
compresi gli omicidi.
Sono caratterizzate da estrema mobilità sul territorio nazionale
ed i suoi
componenti, coordinati da una persona adulta, sono spesso minorenni, clandestini
e legati quasi sempre da una comune origine geografica.
La loro presenza è particolarmente avvertita in Lombardia, dove nella città di
Milano, si assiste frequentemente allo scontro di diversi gruppi che si contendono
il predominio sul territorio.
Nel suo complesso, la criminalità cinese è particolarmente attenta a non compiere
azioni eclatanti per non attirare su di sé l'attenzione delle autorità investigative ed
è normalmente circoscritta all'interno delle comunità. L'elevata omertà rendono
alquanto problematico ogni tipo di attività di penetrazione informativa e
investigativa. La disponibilità di ingenti ricchezze le permettono di finanziare
affari impegnativi e transnazionali utilizzando sistemi alternativi di transazioni
finanziarie e monetarie, privilegiando circuiti extrabancari e pagamenti in
contanti che rendono difficile l'individuazione dei flussi.
“Conoscere la realtà cinese è allora sostanziale per poter adottare “terapie” che
riescano a frenare l'avanzata della parte malsana orientale di una comunità di
emigrati da sempre composta da lavoratori osservanti della legge”46
Non senza ragione, Domenico Di Petrillo, ha sottolineato che l'analisi sulla
fenomenologia delinquenziale cinese muove da una considerazione e cioè: “ove
45 Il Corriere della Sera, I boss di Chinatown, Comunicato integrale della Guardia di Finanza Regione
Toscana del 28 giugno 2010, in ibossdichinatown.blogspot.com/
46 Domenico Di Petrillo, Colonnello CC – Dirigente Operativo DIA – La mafia cinese – GNOSIS –
Rivista italiana di intelligence – Atti del 1° Seminario Europeo “Falcon One” sulla Criminalità
Organizzata – Roma, 26-27-28 aprile 1995, in www.sisde.it/sito/Supplemento.nsf/ServNavig/25
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si insedia una comunità cinese, si inserisce inevitabilmente un elemento
criminale con caratteristiche tali da sfruttare la maggioranza degli immigrati che
lavora onestamente”.
I reati associativi indicati nella TAV. 147 elaborata dalla DIA nel 1° semestre
2010 si riferiscono alla contraffazione, al contrabbando delle merci, al traffico
t.l.e., all'immigrazione clandestina, connessa allo sfruttamento sessuale ed al
lavoro nero, nonché ai reati contro la persona ed il patrimonio.
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2.4 Criminalità russa
Il fenomeno della criminalità russa era già presente durante il settantennio del
regime sovietico. Accanto ad una economia pianificata dal “Partito” che aveva
condotto l'URSS ad una situazione di povertà diffusa e di conflitti sociali,
caratterizzata inoltre da grave carenza di beni necessari per la vita quotidiana, si
andava progressivamente sviluppando una economia parallela gestita da piccoli
gruppi criminali il
cui principale interesse era il “mercato nero”: con la
complicità di funzionari corrotti i diversi sodalizi criminali si appropriavano di
merci e beni di prima necessità, a prezzi ridotti, per poi rivenderli
successivamente alla popolazione a prezzi di mercato.
“Si formava in tal modo una sorta di “imprenditoria criminale” che per la sua
commistione e collusione con i pubblici poteri rappresenta ancora oggi una delle
caratteristiche fondamentali dei fenomeni criminali russi”47.
Il vero salto di qualità e quantità della mafia russa, non più limitata al territorio di
origine ma incanalata verso una dimensione transnazionale, avviene in relazione
a diversi fattori geopolitici come la caduta del comunismo, la disgregazione della
ex Unione Sovietica, l'introduzione dell'economia di mercato e, di estrema
rilevanza, gli alti livelli di corruzione. Le organizzazioni criminali si
arricchiscono grazie al collasso del sistema pubblico e al ritmo forsennato delle
grandi privatizzazioni mediante l'acquisizione di ingentissime quantità di titoli
azionari, risorse immobiliari e il controllo delle più importanti industrie e delle
maggiori banche.
“Fonti del governo russo ritengono che oggi, circa il 40% delle imprese private, il
60% delle imprese statali, il 50-85% delle banche russe, il 70-80% dell'insieme
delle attività commerciali sono soggette a infiltrazioni o comunque sono sotto
l'influenza delle organizzazioni criminali e che la quasi totalità delle imprese
commerciali nelle città maggiori è gestita direttamente o indirettamente da gruppi
47 Circolopasolini.splinder - I pezzi del crimine organizzato globale: la mafia russa. Documento del
CSM del gennaio 2009 in cui viene illustrata la mafia russa e come agisce nel riciclaggio
transnazionale
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criminali”48.
Sullo sviluppo della criminalità russa ha influito pesantemente anche la grave
crisi morale ed economica che ha portato alla costituzione di profonde
disuguaglianze sociali e di reddito e ad una situazione di povertà, che nella
Federazione Russa colpisce oltre quaranta milioni di abitanti su un totale di
centoquarantaseimilioni.
Questa parte della popolazione che vive in condizioni di disagio o di estrema
povertà è spinta da un forte desiderio di uscire dalla situazione di indigenza in cui
si trova ma ancora più intenso è il desiderio di arricchirsi trovando terreno fertile
fuori dalla cultura della legalità. La propensione alla corruzione è “intesa in
talune circostanze come un necessario ricorso alla sopravvivenza che è incarnata
nel sistema con l'appellativo di “Krysha”49.
Le associazioni criminali dell'ex Unione Sovietica si sono ulteriormente
consolidate attraverso la elezione di propri rappresentanti nelle amministrazioni
locali e nel Parlamento. Moltissimi mafiosi sono diventati assistenti parlamentari
dietro pagamento di una somma di denaro. Attualmente in Russia i 450 deputati
della “Duma” si giovano di 15.000 assistenti parlamentari, molti dei quali sono
stati uccisi in relazione a contrasti tra gruppi criminali rivali50.
Con l'apertura delle barriere politiche ed economiche i gruppi criminali russi si
vanno velocemente affermando a livello internazionale inserendosi nei mercati
finanziari ed economici, soprattutto dei paesi dell'U.E., facendo registrare un
enorme movimento di persone e di denaro verosimilmente proveniente da attività
illecite condotte in patria. Gli enormi capitali vengono così immessi sui mercati
finanziari internazionali attraverso le attività di società commerciali e
imprenditoriali create in diversi Stati e dedite al riciclaggio di ingenti somme di
denaro attraverso le favorevoli normative fiscali e finanziarie vigenti nei paesi
off-shore.
In tema di riciclaggio di proventi illeciti va sottolineata l'importanza del processo
48 Ibidem
49 Gagliardo Antonio, op. cit. pag. 105
50 Circolopasolini.splinder op. cit.
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di privatizzazione che si sta sviluppando in molti Paesi dell'Europa orientale.
L'acquisto diretto da parte di criminali di imprese private o l'investimento di
propri capitali in quote di imprese privatizzate permettono alla criminalità di
infiltrarsi nel mondo degli affari legittimi.
Più pregnante è la situazione nei Paesi dell'ex Unione Sovietica dove un'efficace
azione contro il riciclaggio è contrastata dal controllo delle banche da parte dei
criminali stessi o di persone colluse con gli stessi.
Il Consiglio Superiore della Magistratura, in un incontro di studio sulla “mafia
russa ed il fenomeno del riciclaggio transnazionale, tenutosi a Roma dal 12 al
14 gennaio 2009”, ha inoltre evidenziato come la situazione di generalizzata
corruzione degli organismi governativi, amministrativi e giudiziari, nonché la
inesistenza nel codice penale russo fino al 1996 di delitti quali la bancarotta
fraudolenta, la truffa, il falso in bilancio, abbia contribuito a rendere impossibile
ogni forma di contrasto nel settore finanziario e commerciale locale e ad attirare
capitali delle mafie occidentali con il risultato di far entrare nella Federazione
Russa un flusso di denaro di illecita provenienza.
La mafia russa siede ormai nel cuore della finanza internazionale, è divenuta una
delle componenti strutturali del capitalismo globale, del nuovo potere privato in
grado di condizionare l'ordine geoeconomico e geopolitico internazionale.
Per quanto riguarda la struttura le organizzazioni criminali che la compongono
sono di diversa origine etnica e religiosa provenienti dal territorio dell'ex Unione
Sovietica. Non esiste una sola mafia russa ma numerose mafie etniche, quella
ucraina, uzbeca, georgiana ecc. “I gruppi criminali russi sono circa 8.000 con
più di 100.000 affiliati, localizzati nelle regioni di Mosca e San Pietroburgo”51.
Le mafie russe non hanno una struttura gerarchica verticale ma sono costituite da
gruppi separati più o meno potenti che hanno però una loro organizzazione
interna con capi dotati di potere autoritario. Al livello più basso vi sono le
“bande” costituite da piccoli gruppi locali di 10/15 persone; a un livello
superiore si posizionano le “grandi brigate” (circa 500) che possono contare su
51 Ibidem
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200/300 persone che controllano i gruppi più piccoli, mentre i titolari del potere
sull'organizzazione sono i così detti “ladri con codice d'onore” (vory v zakone).
Questi ultimi occupano all'interno della società russa una posizione di prestigio e
autorità: spesso sono avvocati, medici, ingegneri e politici e rappresentano l'elite
criminale in grado di svolgere le più colossali operazioni finanziarie.
I vory v zakone hanno un codice estremamente rigoroso: disprezzano tutto quanto
si collega alla società, tagliano i contatti con la famiglia d'origine, non si sposano
e non hanno figli, non lavorano e pertanto vivono solo dei profitti delle loro
attività illecite. Ricorrono frequentemente all'uso di tatuaggi i quali concludono i
riti d'iniziazione dell'affiliato ed indicano l'organizzazione criminale di
appartenenza e la scala gerarchica all'interno dell'organizzazione stessa. I membri
dei gruppi criminali russi, hanno un'età media molto bassa, sono in buona
percentuale di origine russa e georgiana, l'altra percentuale è costituita da armeni,
azeri, uzbechi, ucraini e kazachi.
Fra le principali organizzazioni criminali russe la “Solntsevskaya” è la più
potente dell'intera Federazione, è attiva soprattutto a Mosca e conta oltre 5.000
membri. E' l'organizzazione numero uno per estorsione, prostituzione, traffico di
droga, di armi e di opere d'arte ma è anche specializzata nelle operazioni del
mondo finanziario e del mercato azionario. Sotto il suo controllo rientrano anche
il mercato degli autoveicoli, parte dei locali di svago ed alcuni lussuosi alberghi.
A partire dal 1992 ha acquisito il controllo di un consistente numero di
compagnie finanziarie della più grande banca commerciale della Russia, la
“Russian Exchange Bank”, avviando una infiltrazione criminosa nel settore
economico e finanziario.
La seconda organizzazione criminale per il numero di affiliati è ritenuta la
“Tambovskaya” che ha base a San Pietroburgo ed è molto legata alla
“Solntsevskaya”, ma non è subordinata ad essa. E' particolarmente attiva per
quanto riguarda il taffico di eroina verso la Russia e l'U.E. data la sua presenza
massiccia nei Paesi dell'Asia produttori di oppiacei. Gli altri interessi
dell'organizzazione sono le frodi finanziarie, la corruzione di impiegati e
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funzionari pubblici, il riciclaggio di denaro.
La mafia “Ismailovskaya” ha legami operativi con “Solntsevskaya” per attività
legate al mondo fnanziario e al riciclaggio. Si tratta d una organizzazione russa
molto temuta per la efferatezza che pone nelle sue imprese criminali
che
comprendono omicidi su commissioni ed estorsioni.
La “Uralmashskaya” ha sede a Mosca ed è presente in molti Paesi dell'U.E., tra
cui l'Italia ma la sua attività si spinge anche in Cina. E' un gruppo molto ben
organizzato con una disciplina interna molto rigida le cui attività si rinvengono
nel settore finanziario, bancario, immobiliare e traffico di materie prime, droga,
armi e materiale nucleare.
Per ciò che concerne la presenza nel nostro Paese della criminalità organizzata
russa, i sodalizi criminali russi hanno attuato in Italia, come anche in altri Paesi
Europei, una penetrtazione apparentemente silenziosa ma costante, in modo da
non suscitare particolari reazioni da parte degli apparati di contrasto, ma non per
questo meno pericolosi. A tale riguardo, anche per il 2010, la Fondazione
Caponnetto considera la mafia russa un'organizzazione in forte espansione che
non va in alcun modo sottovalutata.
Negli anni '90, i gruppi criminali organizzati russi in Italia si sono dedicati
prevalentemente agli investimenti immobiliari ed al reimpiego dei capitali illeciti
in vari settori imprenditoriali.
Più recentemente, i settori operativi di maggior interesse per la mafia russa sono
rappresentati dal riciclaggio di denaro e di veicoli, dalla tratta degli esseri umani
e dal contrabbando t.l.e. (tabacchi lavorati esteri) ed anche del traffico di armi.
Nella relazione annuale del 2007 la DNA ha affermato che gli episodi criminosi
commessi in Italia da cittadini dell'ex Unione Sovietica ed accertati, dal punto di
vista giudiziario, sono caratterizzati:
- dalla presenza di rilevanti disponibilità finanziarie;
- dalla relativa giovane età delle persone coinvolte nelle attività delittuose;
- da una apparente mancanza di contatti con le organizzazioni criminali italiane.
Le indagini investigative svolte hanno rilevato l'esistenza sul litorale adriatico di
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strutture embrionali organizzative, dedite alla introduzione clandestina di
connazionali e allo sfruttamento della prostituzione di ragazze ucraine, moldave e
russe spesso vendute a gruppi criminali di altre etnie.
In ordine al riciclaggio di denaro proveniente da illeciti penali, presenze della
mafia russa sono state riscontrate n Lombardia, Lazio, Toscana, Emilia Romagna,
Piemonte, Veneto, Friuli Venezia Giulia e nelle Marche.
Da indagini effettuate in Toscana, sono stati accertati acquisti sospetti, da parte
di cittadini russi, di aziende agricole e di industrie produttrici di oggetti di largo
consumo (scarpe, vestiti, elettrodomestici, ecc.) per la esportazione nei Paesi di
origine e dell'intero Est Europeo. Ipotesi investigative fanno ritenere che tali
acquisti siano stati fatti con denaro proveniente da reati consumati nei Paesi di
origine.
Acquisti di strutture turistico-alberghiere sulle coste romagnole e marchigiane e
altri investimenti immobiliari sono stati, altresì, registrati sulla riviera ligure. In
Lombardia, la presenza di cittadini russi è stata riscontrata nella ristrutturazione
di immobili di grande pregio e nella gestione di ditte di import-export. Particolare
rilievo assume in Italia il traffico di sostanze stupefacenti sintetiche quali exctasy
ed eva, di hashish (i Paesi dell'ex Unione Sovietica sono al primo posto nella
produzione mondiale di detta sostanza) e di eroina derivante dalla coltivazione
del papavero da oppio nei territori delle Repubbliche dell'Asia centrale
(Tadjikistan, Uzbekistan, Kazakistan, Kirghisistan) nonché di quelle “transcaucasiche” (soprattutto Azerbaidjan).
In fase di sviluppo è l'attività legata al contrabbando di t.l.e. provenienti da
fabbriche situate nei territori dell'ex Unione Sovietica e illegalmente immessi in
Italia attraverso i confini con l'Austria e la Slovenia e gli approdi della costa
adriatica. Tale attività è praticata da soggetti ucraini, bulgari, romeni, polacchi e
ungheresi. Recentemente, nel corso di una vasta operazione denominata
“Potiomkin”52 sono stati sequestrati ingenti quantitativi di sigarette provenienti
dall'Ucraina. Tra i contrabbandieri, per la maggior parte napoletani, figuravano
52 D.I.A Relazione 2010, op. cit.
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anche elementi delle etnie sopra citate.
La globalizzazione dei fenomeni e l'impiego di tecnologia high-tech in tutte le
attività determinano una espansione incontrollata ed in costante ascesa del
fenomeno criminale russo, sia in senso geografico che nei diversi settori d'affari,
in modo tale da rappresentare, nell'area della criminalità organizzata
transnazionale, una realtà ormai consolidata.
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2.5 La criminalità organizzata Africana Sub-Sahariana
Il giornalista Sergio Nazzaro che ha indagato sulla criminalità organizzata
africana in Italia ha definito la mafia africana “L'unica mafia straniera ad essere
nata nel nostro Paese” ed una delle più pericolose al mondo. E' una mafia che si è
consolidata in Italia con base operativa mondiale tra Castel Volturno (sul litorale
casertano) e Napoli, una cittadina dove ormai la maggioranza è di colore. A
differenza dei russi o dei cinesi che sono già “mafia” nel loro Paese, gli africani
diventano mafiosi qui. I nigeriani sono coloro che dominano la scena, ma anche
ghanesi, ivoriani e appartenenti ad altre nazionalità si affacciano sulla scena
criminale tra riti tribali, sacrifici umani e un traffico di droga da centinaia di
milioni di euro.
I gruppi criminali dell'Africa centro-occidentale traggono le loro origini da una
vasta area geografica che comprende numerosi Paesi:Benin, Burchina Faso, Capo
Verde, Costa d'Avorio, Gambia, Ghana, Guinea-Bissau, Liberia, Mali,
Mauritania, Niger, Nigeria, Senegal, Sierra Leone e Togo.
Fra i diversi Paesi appartenenti a questa vasta area geografica la Nigeria è quello
che ha maggiormente influenzato la vita degli altri Paesi limitrofi, anche per la
densità della sua popolazione e il più avanzato stato di sfruttamento economico.
Nigeriani sono pertanto i gruppi criminali che possono definirsi pionieri del
crimine organizzato.
La Nigeria è una Repubblica Federale che, con i suoi 36 Stati, è il territorio più
popolato dell'Africa occidentale ma anche un insieme eterogeneo di popoli che
conta 250 gruppi etnici53, una grande varietà di lingue, costumi, tradizioni e
religioni diverse tra cui: l'islam, maggioritaria al nord, quella cristiana, prevalente
nel sud, mentre ad ovest è presente una religione indigena, Yoruba.
La divisione etnico-religiosa già presente nel Paese sin dal periodo della
colonizzazione britannica54, con l'indipendenza concessa il primo ottobre del
53 Le componenti etniche maggioritarie sono gli HAUSA, gli YOUROBA, e gli IBO.
54 La Nigeria divenne protettorato britannico nel 1901
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1960, si fa più frammentaria creando seri problemi ai regimi che si sono
succeduti e una situazione di insicurezza generale all'interno del Paese. La grave
situazione di intolleranze etnico-religiose dà luogo ad una difficile convivenza e
a frequenti e violenti scontri fra gruppi cristiani e islamici, specialmente nel nord
del Paese dove la legge islamica o Sharia è stata introdotta nell'ordinamento di
alcuni Stati settentrionali.
L'accaparramento dei giacimenti petroliferi è divenuto l'interesse principale dei
precedenti governi militari i quali hanno abbandonato ogni attenzione alla
politica agricola che, quindi, non ha più fatto fronte alle necessità della
popolazione in rapida crescita55, ed ha portato il Paese ad una forte e diffusa
povertà, alla devianza sociale ed alla criminalità, soprattutto nelle aree rurali.
Con l'ultimo dittatore, il Generale Sani Abacha, che ha governato il Paese dal
novembre del 1983 fino al 1998 “la Nigeria ha toccato il punto più basso di un
vertiginoso decadimento che ha fatto di uno dei Paesi più colti e ricchi d'Africa
un esempio di malgoverno, corruzione e sistematica violazione dei più elementari
diritti umani”56.
La perdita del potere da parte dei militari e le libere elezioni democratiche indette
nel 1999, ci mostrano uno Stato che oggi vive un'apparente alba democratica
dove nulla di veramente positivo si è consolidato a causa dell'incapacità dei
governi di favorire un adeguamento strutturale dell'economia alle nuove
potenzialità economiche e, per un forte dilagare della corruzione che coinvolge,
esponenti di altissimo profilo.
Regione ricca di risorse con petrolio e gas naturale in enormi quantità (sesto
Paese produttore al mondo ma dipendente da esso) e contemporaneamente il
declino negli altri settori economici, la Nigeria è allo stesso tempo un paese
simbolo di povertà, di sfruttamento e di violazione dei diritti umani.
E' attorno al ceppo nigeriano che sono nati e si sono sviluppati i diversi gruppi
55 La Nigeria era precedentemente un grande esportatore di prodotti alimentari: cocco, arachidi, gomma
e olio di palma, e il maggiore allevatore di pollame in Africa.
56 Masoero Claudia. Tesi: Prostituzione nigeriana a Torino. Le buone ragioni per uscire dallo
sfruttamento, in www.amicidilazzaro.it
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criminali le cui cause principali sono da rinvenire nella incapacità dei Paesi
dell'Africa centro-occidentale di superare i problemi socio-politici ed economici
e divenire Paesi democratici a sviluppo realizzato, una volta acquistata la loro
indipendenza.
“La miseria, le guerre tribali, le faziosità etniche e religiose, la corruzione dei
pubblici poteri hanno prevalso sulle linee di sviluppo affiorando come fattori
comuni nella formazione e nello sviluppo della criminalità organizzata”57.
Come ben si legge in uno dei Rapporti UNODOC 58, la vulnerabilità del
continente al crimine è anche conseguenza di povertà, sottosviluppo, malattie,
ecc.. In Africa, come altrove, esistono alcuni fattori che in concomitanza fra loro
rendono probabile il ricorso ad attività criminali come: elevati tassi di disparità
del reddito fra ricchi e poveri (i ricchi rappresentano solo il 10% della
popolazione); alta percentuale (2/3 della popolazione) di giovani al di sotto dei
25 anni; una rapida urbanizzazione; assenza di servizi; conflitti fra etnie; sistema
giudiziario inadeguato e insufficiente; diffusione di armi da fuoco dovuta ai
conflitti.
Oltre la Nigeria, i Paesi africani che sotto il profilo criminologico hanno una
certa rilevanza nei Paesi dell'U.E., sono la Costa d'Avorio, il Ghana, il Benin, il
Senegal e il Togo.
- La Costa d'Avorio è un Paese che ha attratto maggiormente la criminalità
nigeriana perchè è un luogo di produzione della cannabis, è un importante
sbocco sul mare per i Paesi dell'entroterra africano soprattutto per lo smistamento
di droghe, ed è un Paese dove sono stati scaricati enormi investimenti di denaro
sporco.
- Anche il Ghana ed il Senegal sono Paesi produttori di cannabis, al cui interno
57 Gagliardo Antonio, op. cit. pag. 121
58 United Nations Office on Drugs and Crime . Il Rapporto “Crimine e sviluppo in Africa” pubblicato
dall'Ufficio delle Nazioni Unite contro la Droga e il Crimine e presentato alla diplomazia italiana il
18 luglio 2005, non si limita ad esaminare le cause del sottosviluppo in Africa e riconducibili a noti
fattori storici (colonialismo, schiavitù, sfruttamento), tragedie umanitarie (fame, carestie, epidemie
tipo AIDS, malaria), e vincoli economici (infrastrutture, termini di scambio, materie prime, mercati
lontani e protetti) ma vuole drammaticamente sottolineare che il sottosviluppo africano è anche causa
e conseguenza di violenza, crimine, corruzione e malgoverno).
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si sono organizzati gruppi criminali che, in sinergia con i nigeriani, hanno
successivamente rivolto la loro attenzione al traffico internazionale di sostanze
stupefacenti.
- Il Benin e il Togo sono Paesi geograficamente vicini alla Nigeria e, pertanto la
criminalità organizzata dei luoghi subisce la grande influenza dei gruppi
criminali nigeriani che consente loro anche di allargare la sfera dei propri
interessi criminali.
L'analisi dei gruppi criminali che hanno radici etniche nell'Africa centrooccidentale e il loro impatto nel più ampio e vasto scenari della criminalità
organizzata transnazionale, ha fatto emergere alcune caratteristiche59:
- una dipendenza gerarchica dai gruppi criminali nigeriani, strutturata in
maniera medioevale (barone e vassalli) e controllo verticale delle cellule
collegate fra loro;
- un collegamento fra leader criminali e leader del mondo degli affari, con
influenza nel mondo istituzionale e politico, permeati da assoluta rispettabilità sul
piano sociale, politico ed economico;
- i vassalli (gli operatori), cioè la grande massa di manovalanza, sono più
direttamente esposti nelle attività criminose, sono comandati dai baroni, che
conoscono poco o per niente, e lasciati al loro destino se commettono errori. La
base, generalmente, non ha una precisa connotazione etnica, preferendo i
nigeriani avvalersi di soggetti non strettamente legati all'organizzazione.
I gruppi criminali nigeriani hanno affinità operative e sono presenti in molti Paesi
dell'U.E. nei quali non esitano a stabilire legami con la criminalità locale. Hanno
una forte capacità di adattamento e flessibilità passando agevolmente da un
settore di interesse ad un altro, impiegando indifferentemente usanze tribali e
avanzate tecnologie tipiche della organizzazione moderna. Mostrano grande
capacità nel traffico di ogni tipo di sostanze stupefacenti e in quello degli essere
umani, soprattutto per lo sfruttamento della prostituzione.
In ordine alla criminalità sub-sahariana presente in Italia, con particolare
59 Gagliardo Antonio, op. cit., pag. 123
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riferimento a quella nigeriana, i primi flussi migratori dalla Nigeria al nostro
Paese sono legati al fenomeno della tratta a fini di prostituzione e risalgono alla
fine degli anni '80. Da allora le catene migratorie non si sono mai più interrotte.
Le varie indagini effettuate dalle procure di numerose province italiane hanno
messo in luce l'esistenza di compagini nigeriane che replicano forme di
associazionismo tipiche della madrepatria con “connotazioni che sono state
definite mafiose, le quali si espandono in un complesso reticolo a livello
internazionale, in modo da assumere le connotazioni del network criminale,
legato a lobbies, gruppi di matrice etnico-religiosa e centri di potere
trasversali”60.
Numerose sono le associazioni etniche pseudo-assistenziali, che fungono spesso
da copertura per attività illegali e in cui interagiscono centri di interesse
professionale, etnico, universitario, religioso, settario, sportivo e umanitario.
La presenza di queste associazioni ha favorito l'integrazione nel tessuto criminale
di insediamento e consentito la nascita di ulteriori ramificazioni verso nuovi
territori di conquista criminale, tanto è vero che il fenomeno del crimine
organizzato nigeriano risulta in costante aumento nell'intera Italia. Nel corso
degli anni ha inoltre assunto livelli sempre più elevati, capacità organizzative più
evolute ed una maggiore attitudine alla gestione di grossi traffici illeciti con
l'assunzione di compiti direttivi anche nell'ambito di contesti criminali autoctoni.
Un forte fattore di coesione dei vari gruppi è costituito oltre che dalle comuni
radici etniche (gli immigrati nigeriani in Europa sono pressochè tutti di etnia
Yoruba e Igbo), anche e soprattutto dall'elemento culturale-religioso: il Vodoun.
“Il Vodoun è infatti una vera e propria religione (oggi è culto ufficiale del Benin e
di altri Stati dell'area del golfo di Guinea), ed è in grado, facendo leva sulle
credenze ancestrali africane, di esercitare un grado di coazione pressochè
assoluto, sia negli accoliti sia nelle vittime: queste ultime credono infatti che la
disobbedienza a precetti del Vodoun, o ai comandi del leader che di tali riti si
avvale, comportino un castigo atroce ad opera degli spiriti e delle divinità. Per tal
60 D.N.A. - Relazione 2010, op. cit.
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via, il sapiente uso delle pratiche del Vodoun e di omicidi seriali di carattere
primitivo, eseguiti con modalità feroci, consente una tenuta senza pari alla
malavita nigeriana, evitando pressochè del tutto il fenomeno del pentitismo”61.
In Italia esistono bande aggressive che derivano da organizzazioni strutturate in
madrepatria, come gli Eiye ed i Black Axe, responsabili di risse violente e di reati
predatori in Piemonte. Nella città di Torino hanno trovato una base operativa,
riuscendo a radicarsi nella comunità africana e gestire all'interno di essa svariate
attività illecite. Al fine di spartirsi gli affari della comunità nigeriana a Torino, le
bande entrano fra loro in rotta di collisione da cui nasce una vera e propria guerra
tra le sette che si affrontano per le strade della città con coltelli, colli di bottiglia
ma anche maceti ed asce.
Accanto a queste bande si assiste al proliferare di articolazioni ben più solide, da
considerare vere e proprie holding. Esse si modulano come società moderne
attraverso: la multisettorialità degli affari, derivante dalla flessibilità del modello
organizzativo, capace di aderire a tutti gli aspetti remunerativi del mercato
globale; la diffusività delle cellule, che realizzano un ampio network
intercontinentale;
l'elevata
capacità
di
condividere
disegni
criminosi
transnazionali, frutto della disponibilità a condividere spazi illegali senza
esasperare la competitività con altri gruppi criminali. L'esercizio della violenza è
orientata a risolvere i conflitti all'interno del gruppo per evitare l'allarme sociale.
“I gruppi finiscono per operare in modo autonomo, come attori criminali
indipendenti, orizzontalmente quali snodi di una rete e verticalmente in ambiti
associativi mafiosi gerarchizzati”62.
La presenza di gruppi criminali nigeriani è stata accertata in alcune specifiche
zone del nord, del centro e del sud della penisola, i particolare in Puglia e in
alcune aree della provincia di Caserta, in Campania, ma anche nel Veneto, in
Lombardia, in Piemonte e in Emilia Romagna.
In Campania i cittadini nigeriani, concentrati nell'area domiziana, si sono inseriti
61 Ferraro Sebastiano, Malavita nigeriana, in www.criminologia.it
62 Gnosis - Rivista italiana di intelligence n. 2/2005. La mafia nigeriana fra voodoo e computer, in
www.sisde.it/gnosis/Rivista3.nsf/ServNavig/15
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nel traffico di droga, nella manodopera in nero e monopolizzando la raccolta di
pomodori e di frutta, la pastorizia e la piccola produzione casearia. I sodalizi
criminali nigeriani hanno acquisito una posizione competitiva in molti settori
illegali anche in quelle zone dove forte è il controllo della criminalità organizzata
autoctona, evitando frizioni con i clan mafiosi, in maniera tale da poter gestire
agevolmente i propri traffici.
La tratta degli esseri umani finalizzata allo sfruttamento della prostituzione di
proprie connazionali figura fra le principali attività illecite dei sodalizi criminali
nigeriani che curano direttamente tutte le fasi: il reclutamento nei villaggi
sperduti della Nigeria di giovani donne, la fornitura di documenti falsi per
l'espatrio, il trasferimento nei Paesi d'arrivo fino allo smistamento nei vari settori
illeciti.
Le succitate fasi sono descritte minuziosamente nella “Relazione annuale del
2003 della Commissione parlamentare d'inchiesta sul fenomeno della criminalità
organizzata mafiosa o similare”, così pure viene evidenziata la fase di
avvicinamento e di convinzione ad opera di una figura femminile, la madam, che
è l'intermediaria tra le ragazze e l'organizzazione. “Tale donna ha il compito di
vincere le ritrosie personali e familiari ad abbandonare il Paese, favorendo la
propensione all'emigrazione clandestina, e proponendo se stessa o lo sponsor
quale garante finanziario del denaro necessario per il viaggio. La madam è
necessariamente una figura carismatica, quasi sacerdotale, in quanto stabilisce
con le ragazze uno stretto legame, basato su riti magici, chiamati “Juju”, che
costituiscono, nel particolare contesto culturale, una leva psicologica di totale
asservimento. E' inoltre persona diversa dalla madam presente in Italia, che è
invece quella che coordina le attività delle ragazze e riscuote i proventi della
prostituzione, anche se le due sono sempre in contatto. Viene richiesta una
garanzia in beni posseduti dalla famiglia, oppure, in caso di totale indigenza, una
sorta di patto di sangue davanti ad uno stregone, il “native doctor”, patto che
impegna a restituire il debito inizialmente concordato per il viaggio e ad ubbidire
sempre alla madam, pena la morte della ragazza o dei suoi cari rimasti al
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villaggio”.
Le principali rotte per il trasferimento in Italia delle clandestine si sviluppano per
via aerea, oppure via terra, attraverso una serie di soste effettuate in vari Stati
africani fino all'attraversamento del Sahara con successivo arrivo in Algeria,
Libia od in Marocco, e da qui, via mare, raggiungono la Spagna o direttamente
l'Italia. Le clandestine sono destinate soprattutto al mercato della prostituzione,
(il 60% delle prostitute in Italia è di origine africana), che si concentra
inizialmente in Piemonte e nel Veneto per poi estendersi in tutto il territorio
nazionale. A loro volta, investono parte dei loro guadagni nello sfruttamento di
altre connazionali e fino ad esaurimento del debito contratto inizialmente.
Parte dei proventi della tratta e della prostituzione vengono investiti nel traffico
internazionale di sostanze stupefacenti, che oltre alla prostituzione è uno dei
maggiori introiti della mafia nigeriana. La droga, in particolare eroina e cocaina,
viaggia lungo linee direttrici Nigeria-Spagna-Olanda-Italia, dimostrando in tale
settore illegale una buona attitudine ad inserirsi in consorterie autoctone di
elevata capacità delinquenziale. Castel Volturno (CE) ben nota per la folta
presenza di una comunità di nigeriani – è divenuta un'area di stoccaggio della
droga dove, una volta arrivata con la complicità di connazionali presenti in tutto
il mondo, servirà poi a soddisfare le richieste di trafficanti anche in altre Regioni
italiane.
Ciò sopra è confermato dall'operazione denominata “Ultima Alba”, coordinata
dalla procura della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere (CE) che, nel
Febbraio 2010, ha portato al fermo di 20 soggetti fra nigeriani, ghanesi,
nordafricani ed italiani responsabili di detenzione e spaccio di ingenti quantitativi
di eroina, cocaina, marijuana e hashish.
“La droga, giunta a Castel Volturno, veniva tagliata e lavorata dagli immigrati
africani nelle proprie abitazioni, ove avevano creato vere e proprie centrali di
spaccio dei diversi tipi di stupefacenti, ceduti successivamente ai trafficanti
provenienti soprattutto dalle province di Latina, Frosinone, Ascoli Piceno e
Teramo, ma anche da Rimini e Vicenza. Talvolta la droga veniva trasportata in
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corpore dai corrieri africani e recapitata in varie regioni d'Italia”63.
Parallelamente alle attività criminali, molti nigeriani investono in
esercizi
commerciali (negozi etnici, alimentari, phone center, money transfer, ecc.)
attraverso i quali tengono un continuo legame di informazioni con i gruppi
criminali organizzati.
Il seguente diagramma localizza le aree dove nel semestre 2009 sono state
riscontrate giudiziariamente le ulteriori ramificazioni della criminalità
nigeriana mentre la radice continua ad essere presente in particolare sul litorale
domizio della Campania, in Veneto, in Lombardia e in Emilia Romagna.
63 D.I.A – Relazione 2010, op. cit.
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Le aree di azione in Italia delle mafie internazionali e le loro vie di penetrazione.
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Flussi criminali che passano per l'Italia (droga, armi, prostituzione,
clandestini)64
64 Temi.repubblica.it/limes/le-altre-mafie-e-i.../739. Le altre mafie e i flussi criminali di Alfonso
Desiderio – carte di Laura Canali 19/09/08
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