I Corpi Civili di Pace e la lotta alla emarginazione

Transcript

I Corpi Civili di Pace e la lotta alla emarginazione
I Corpi Civili di Pace e la lotta alla emarginazione
Uno dei problemi esplosi questa estate, e sui quali c’è in atto un grosso dibattito, ed anche
un diverbio, all’interno del governo ed delle sinistre, è quello della micro-criminalità, e delle forme
più valide per lottare contro di questa. Da parte di varie amministrazioni comunali, come quella di
Firenze, sono state fatte delle delibere, considerate illegali dai giudici, per impedire lavori
considerati molesti, ad esempio quello dei lavavetri, e per chiedere maggiori poteri di intervento da
parte delle amministrazioni comunali stesse di fronte a questi fenomeni. Ed il governo sta
predisponendo una legge che prevede una risposta quasi esclusivamente di tipo repressivopoliziesco, con la cessione anche di un certo numero di militari per svolgere questo tipo di attività.
La cosa si sta coprendo di ridicolo quando si mette a livello delle micro-criminalità anche il lavoro
dei lavavetri, qualche volta, è vero, un po’ fastidiosi perché non aspettano che il cliente dia
l’assenso al fatto che svolgano il lavoro, e talvolta anche astiosi nei riguardi degli automobilisti che
rifiutano il loro servizio. Ma considerare questo come “micro-criminalità” sembra un assurdo vero e
proprio, soprattutto se si pensa alla diffusione del nostro paese di forme reali di criminalità, come il
borseggio, soprattutto al Sud, da parte di gruppi mafiosi e camorristici, di attività commerciali o
industriali, per le quali gli interventi repressivi, che pur ci sono, sembrano essere del tutto
inefficaci. Per quanto riguarda infatti il problema dei lavavetri basterebbe, come ha proposto un
consigliere comunale fiorentino, che invece di lasciare i lavavetri alla mercé dei capoccia che li
sfruttano (questo si, spesso a livello di criminalità), vengano dati a loro dei posti fissi, e gli venga
fatta anche una formazione al modo corretto di rivolgersi ai clienti senza molestarli. Ma la proposta
del consigliere comunale, troppo saggia per il livello della amministrazione, non risulta essere stata
accolta, e l’amministrazione comunale di Firenze, come varie altre, continua a pensare ad azioni di
tipo repressivo, spalleggiata da un governo che anche lui sembra non conoscere altri metodi, se non
questi, per intervenire (non si può dire “risolvere” perché l’esperienza ha dimostrato che questi
metodi non risolvono affatto il problema) su problemi di questo tipo.
Le ricerche serie (non quelle che Amato ha chiamato “ di sociologia d’accatto”) su questi
temi hanno dimostrato che una delle cause principali della nascita di violenze, ed anche della
macro e micro-criminalità è l’esistenza nella nostra società di grandi squilibri sociali, ed anche di
violenza strutturale (carenza di leggi adeguate, meccanismi di sfruttamento che fanno si che i
marginali vengano utilizzati per lavori sottopagati, ed a condizioni estremamente difficili - un
esempio concreto preso dalla mia esperienza in questo campo: si dà un lavoro notturno ma non
continuato per cui si lascia al lavoratore solo due ore, o al massimo tre di libertà – che significa non
pagate – per poi continuare il lavoro successivamente per alcune altre ore,ecc. ecc.).
Questa situazione è di per sé stimolatrice di violenza e di criminalità, ma non si risolve solo
con leggi dal centro (anche se queste, se fatte bene, possono aiutare), ma c’è bisogno anche di un
lavoro di base che aiuti i marginali (spesso immigrati, oppure giovani o giovanissimi,od anche
donne con figli che non possono prendere lavori a pieno tempo,ecc.) a superare la loro marginalità,
e le condizioni che permettono il loro sfruttamento.
Secondo gli studi approfonditi su questi temi, cinque sono le attività principali che un
operatore di base, o facilitatore, di cui ci sarebbe un estremo bisogno, deve svolgere in queste
situazioni:
1) Coscientizzazione. Non sempre i gruppi marginali si rendono conto dei reali meccanismi
che sono alla base della loro marginalità. Spesso, come sostiene Freire, acquisiscono
anche loro la cultura di chi li sfrutta e li domina, e questo rende impossibile un percorso
che Freire chiama di “liberazione”. Per questo la prima attività è quella di aiuto a
prendere coscienza di questi meccanismi, ma anche, attraverso la conoscenza di casi
positivi che hanno superato il problema, della possibilità di superarli.
2) Organizzazione. I gruppi marginali hanno raramente la capacità di organizzarsi. Sono
spesso portati, dalle condizioni in cui vivono, a lottare l’uno con l’altro, o a prendersela
con gruppi ancora più emarginati rispetto alla loro condizione. Questo impedisce il
mutamento, e facilita la continuazione delle ingiustizie. Per questo la seconda attività, in
ordine di importanza, è quella di aiutare questi gruppi ad organizzarsi, a prendere delle
decisioni partecipate, e non determinate da un “capoccia” che spesso è in collusione con
il potere che li sfrutta. Un esempio positivo di questa attività è l’uso del “metodo
decisionale del consenso” che i gruppi nonviolenti hanno teorizzato e sperimentato.
3) Lavoro di rete. Altri gruppi soffrono degli stessi problemi,o possono dare una mano per
risolverli . E’ perciò importante avere la capacità di scoprirli, e fare con loro alleanze
che possano permettere di cambiare la situazione di partenza. Anche questo può essere
appreso, e l’operatore di base può aiutare in questo processo.
4) Apprendimento delle forme di lotta nonviolenta. I gruppi marginali non conoscono la
nonviolenza e spesso ne hanno una immagine falsata, come uno strumento per tenerli
buoni. E tendono, quando non ne possono più di sopportare le ingiustizie, a ribellarsi
violentemente. Ma questo, di solito, li emargina ulteriormente non risolvendo il
problema ma spesso aggravandolo. Per questo è importare un lavoro di formazione alla
lotta nonviolenta per combattere, con questa, contro le ingiustizie ed i soprusi che
sono connessi alla loro emarginazione.
5) Progetto costruttivo. Ma la nonviolenza implica il non accontentarsi della lotta ma
cercare, da subito, quegli che, nella teoria specifica, si chiamano “gli obbiettivi
sovraordinati” e cioè quegli scopi comuni, che ci possono essere tra gli sfruttati e gli
sfruttatori, non quelli che sfruttano per “mestiere” ma quelli che inconsciamente si
trovano da quella parte ( questi scopi comuni possono essere, ad esempio, il bisogno del
superamento del disordine e della criminalità). Tutte le lotte nonviolente vincenti hanno
sempre avuto queste due gambe (azione diretta nonviolenta, e progetto costruttivo). Per
questo è importante imparare, da subito, la risoluzione nonviolenta dei conflitti e la
ricerca di possibili soluzioni che risolvano il problema in modo definitivo e non
transitorio.
Una parte importante di un approfondimento di questo tema sarebbe quella di
esaminare una serie di casi positivi che, utilizzando una metodologia di questo tipo, sono
riusciti a cambiare la situazione di partenza. Non è possibile, in una breve nota, analizzarli a
fondo, mi limiterò perciò solo a segnalarne, sinteticamente, solo alcuni a titolo
esemplificativo:
a) il lavoro di Danilo Dolci in Sicilia. Egli è partito dal presupposto che i “banditi”
siciliani, per sconfiggere i quali si ricorreva all’esercito, alla polizia ed ai giudici, con
spese ingentissime, erano di fatto “banditi”in quanto emarginati dalla società che
non spendeva quasi nulla per aiutare queste persone ad uscire dal loro stato di
emarginazione. E senza aiuti da parte dello stato (che anzi l’ha messo in carcere per
un digiuno e uno”sciopero alla rovescia” – l’aggiustatura volontaria di una strada
vicinale in pessime condizioni per rivendicare per gli abitanti della zona, che
partecipavano con lui all’azione, il diritto al lavoro riconosciuto dalla nostra
Costituzione), ma con l’aiuto di molti volontari e di gruppi esterni che hanno
finanziato il suo lavoro (compreso un premio Lenin per la Pace) è riuscito a cambiare
totalmente la situazione economica e sociale di una zona grazie alla costruzione di
una diga (fiume Iato) – questa sì pagata dallo Stato ma ottenuta con molte lotte e
manifestazioni della popolazione stessa - diga dove viene raccolta l’acqua che è
l’unica in Sicilia non gestita dalla mafia, dato che i contadini della zona, che
avevano lanciato essi stessi la proposta di farla, si sono organizzati e gestiscono
essi stessi l’uso agricolo delle acque che da questa si possono trarre.
b)
Il lavoro di una operatrice sociale contro la corruzione.e la criminalità in una
cittadina degli USA (Chelsea). La Susan Podziba, che si è specializzata nella
soluzione di dispute pubbliche, attraverso un lavoro di poco più di un anno con il
metodo del consenso (cercando di fare partecipare al processo decisionale tutti gli
abitanti - compreso i tanti immigrati che erano del tutto esclusi in precedenza da
questo processo) è riuscita a trasformare una cittadina corrotta, in cui erano
frequentissimi gli episodi di criminalità, e nella quale la corruzione era diffusissima
anche tra gli amministratori e la polizia, in una cittadina diventata modello di
convivenza e di democrazia. Si veda, della Podziba, Chelsea Story.Come una
cittadina corrotta ha rigenerato la sua democrazia, Bruno Mondatori, Milano, 2006)
c) Il lavoro delle PBI (Peace Brigadeds International) in situazioni di conflitto.
Questa organizzazione, che opera, con gli strumenti della nonviolenza, ormai da
moltissimi anni in molti paesi del mondo nei quali la conflittualità è altissima, aiuta
la popolazione a prendere coscienza dei diritti umani che la legislazione
internazionale riconosce ai singoli cittadini, aiuta le vittime ad organizzarsi (ad
esempio le donne i cui mariti e altri parenti erano stati presi dalla polizia e non si
aveva più notizie di loro –i famosi “desparecidos”), ed accompagna, giorno e notte,
del tutto disarmati, ma con l’appoggio di gruppi di sostegno diffusi in tutti i paesi del
mondo che – con telegrammi, E mail, ed altri strumenti - chiedono l’intervento
positivo delle autorità della zona - le persone minacciate dagli “squadroni della
morte”. Anche il premio Nobel per la Pace Rigoberta Manchù è stata salvata in
questo modo, ed ha dichiarato pubblicamente la sua gratitudine a questa
associazione
d) Una presenza amica in un quartiere di Torino (Centro Studi Sereno Regis)
Ma questa metodologia, dell’accompagnamento di persone a rischio, si è dimostrata
valida anche in altre situazioni, ad esempio in un quartiere di Torino nel quale la
sera le persone di sesso femminile non avevano il coraggio di uscire perché
rischiavano di essere molestate. La disponibilità di obbiettori di coscienza in servizio
civile per accompagnarle ha permesso di superare questo problema, ed , a poco a
poco, di eliminare del tutto il problema da quel quartiere.
Ma se si fa una ricerca approfondita gli esempi di questo tipo si moltiplicherebbero a
dismisura, e confermerebbero che la criminalità si combatte meglio, ed a costi sicuramente
minori, attraverso un lavoro positivo di prevenzione che utilizzi operatori di base non
armati, ed educati all’azione nonviolenta, che spesso ora vengono denominati “corpi civili di
pace”, che facciano, in gruppo, un lavoro tipo quello fatto da Dolci in Sicilia, che, se fatto
bene ed in modo continuato e non improvvisato (ma ci vorrebbero molti più operatori di
base di quei pochissimi che fanno attualmente, pagati, un lavoro di questo tipo), può
riuscire ad eliminare le cause di fondo dalle quali proviene la criminalità e la violenza, e
di cui queste si nutrono, piuttosto che attraverso interventi puramente repressivi che
tendono spesso a mischiare i veri criminali con le loro vittime (che sono anche quelle che,
per sopravvivere, sono costrette a subire le loro imposizioni e diventano gli strumenti della
stessa criminalità).
Alberto L’Abate
P-.S. Sarebbe bello che questo articolo diventasse un saggio collettivo dove ognuno
dei lettori interessati possano aggiungere altri esempi positivi a loro conoscenza, o fare le
eventuali correzioni al testo che ritengano più opportune, e me le facciano avere.
<[email protected]>
Intervento per il XXII Congresso del Movimento Nonviolento (Verona 1- 4 Novembre 2007)