ricchi e poveri

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ricchi e poveri
Quella clamorosa concentrazione di ricchezza in mano all'1%
di Marta Rizzo
Repubblica - 8 giugno 2016
Mario Pianta e Maurizio Franzini, economisti che da anni studiano la distribuzione di reddito e
ricchezza, pubblicano "Disuguaglianze. Quante sono e come combatterle" (Laterza, 2016). Il
volume detta quattro meccanismi chiave all'origine delle disparità occidentali e cerca di
individuare i metodi per romperli
Disuguaglianza: una parola semplice per esprimere
la complessa necessità di fare in modo che s’inverta
il sistema per il quale l’1% della popolazione
mondiale continui a detenere la ricchezza, a scapito
degli altri. Domande, risposte e tutta una letteratura
economica per conoscere e superare (forse) le
disuguaglianze tra le persone. Un libro dal titolo
chiaro e preciso che, con una scrittura altrettanto
chiara e precisa, dà spiegazioni dettagliate sul
perché il capitalismo non può continuare a
disseminare disuguaglianze.
Oltre l’evidenza. Non è una questione ideologica,
ma politica, sociale, economica: il capitalismo crea
una forte, netta, evidente disuguaglianza. Dati, cifre,
schemi, studi, ricerche dei due economisti italiani
accrescono il valore di un libro che si fa leggere senza alcuna fatica, per arrivare a concludere,
un po’ come a cominciare, che: “Sulla disuguaglianza, in realtà, si gioca una partita decisiva:
quella che oppone la democrazia e la giustizia sociale all’ascesa del capitalismo oligarchico”.
Le quattro cause delle disuguaglianze. “Ci sono quattro motori che alimentano le
disuguaglianze - spiega Mario Pianta, professore di Economia Politica all’Università di Urbino e
coautore del saggio - Le politiche devono farci i conti.
1) - Si devono riequilibrare i rapporti capitale-lavoro, con misure che ridimensionino la
finanza, limitino le posizioni di rendita, assicurino ai salari una parte dei benefici che vengono
dalla produttività, introducano un salario minimo efficace e riconoscano un ruolo maggiore ai
contratti di lavoro nazionali.
2) - Un secondo insieme di politiche deve fermare l’ascesa del ‘capitalismo oligarchico’,
mettendo un limite ai super-redditi milionari di top manager e re-introducendo significative
imposte di successione, fortemente progressive, che riducano l’attuale trasmissione ereditaria
di gran parte della ricchezza.
3) - Il terzo tipo di azioni deve contrastare l’individualizzazione delle condizioni economiche,
che hanno fatto aumentare le disparità anche all’interno dei percettori di salari.
4) - Si deve ridurre la frammentazione dei contratti di lavoro e ridurre la precarietà e
rafforzare un’istruzione pubblica egualitaria che è la base per le possibilità di mobilità sociale.
Infine, la politica deve tornare a assicurare efficaci politiche di redistribuzione”.
Eliminare il consenso verso la ricchezza. Il libro dei due economisti fornisce diverse
prospettive di approccio alle disuguaglianze. E, forse, la domanda di fondo, sulla quale si snoda
tutta la ricerca di questo volume, lucido e implacabile, non è tanto perché aumenta la
disuguaglianza, quanto come possa rappresentare un fattore inevitabile nel mondo. Il secondo
fattore che porta l’uomo contemporaneo a non rinunciare alle disuguaglianze è politicoeconomico: la difficoltà di garantire uguaglianza da parte delle classi dominanti e della politica,
che si avvalgono di strumenti di potere sempre meno limpidi. La possibile soluzione a questo
ambiguo modo di gestire l’esistenza è smettere di avere un eccessivo consenso verso la
ricchezza. Bisogna eliminare avidità, individualismo e violenza sociale a favore di solidarietà,
impegno civile, sostegno comune (fattori rivalutati anche dall’Ocse e dal Fmi, per molto tempo
impegnate nell’espansione del pensiero capitalistico, mostrano e dimostrano i due autori). E
non sono parole svuotate di senso, ma possibilità concrete.
Un processo grave, pervasivo pericoloso. “La crescita delle disuguaglianze è il processo
più grave, pervasivo e pericoloso che segna la società nei paesi più ricchi - continua Mario
Pianta - è grave perché ci ha riportato a livelli di disparità di reddito e, soprattutto, di ricchezza
(cosa che non conoscevamo da quasi un secolo). È pervasivo perché non si limita alla
clamorosa concentrazione di reddito nelle mani dell'1%, o del 10% più ricco, ma riproduce le
disparità a tutti i livelli, anche tra i percettori di salario, sempre più divisi sulla base dei
contratti di lavoro, dalla precarietà, dalla frammentazione del lavoro. È pericoloso perché mina
le fondamenta stesse della democrazia e del principio di uguaglianza tra i cittadini: l'oligarchia
dei più ricchi può condizionare le decisioni della politica, l'azione dei governi è sempre meno
incisiva per ridurre le disparità, l'individualismo ci abitua a tollerare le ingiustizie”
L’Italia diseguale. “In Italia non ne parliamo mai - conclude Pianta - Ma siamo tra i paesi più
disuguali d'Europa. Come mostravo nel mio libro precedente, "Nove su dieci" (Laterza, 2012).
Perché stiamo (quasi) tutti peggio di 10 anni fa. Uno dei 'super ricchi' italiani, lo 0,1% del
Paese, ha il reddito pari a quello di cento persone che fanno parte del 10% più povero del
paese. In termini di ricchezza, uno tra i dieci italiani più ricchi ha da solo un patrimonio pari a
quello di 300 mila italiani meno fortunati”.