Jailbait LEsca - ESTRATTO rev. 2.0

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Jailbait LEsca - ESTRATTO rev. 2.0
Lorenzo Vercellino
Jailbait
l’esca
romanzo
Proprietà letteraria riservata:
© 2014, Lorenzo Vercellino
www.jailbait.it
www.jailbait-thenovel.com
www.jail-bait.eu
www.jail-bait.biz
Copertina:
model & art director: Noemy Garofalo
ISBN: 978-88-940412-0-0
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Prima Parte
« Sia sul piano scientifico che su quello morale,
venni dunque gradualmente avvicinandomi a quella verità,
la cui parziale scoperta m'ha poi condotto
a un così tremendo naufragio:
l'uomo non è veracemente uno, ma veracemente due ».
(Lo strano caso del dottor Jekill e del signor Hide, 1886, R. L. Stevenson)
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1.
Briefing.
La piccola, grigia e anonima maschera java della chat erotica attendeva
pazientemente che Massimo Meltemi si decidesse a inserire user id e password per
accoglierlo, ancora una volta, in una delle tante room dai nomi evocativi delle più
svariate perversioni.
Molto spesso era la fantasia dei creatori delle stanze a incuriosirlo prima ancora
dei pittoreschi nick dei suoi occupanti.
Ad esempio, se “ninfette per porci maturi” non gli aveva mai creato grandi problemi
d’interpretazione, era stato costretto a ricorrere a Wikipedia (diventandone anche
sostenitore) per capire che diamine significasse “impassibili orbite”1, e perché mai
qualcuno aveva sentito la necessità di chiamare in quel modo una chatroom erotica.
Tuttavia, la circostanza che quella stanza fosse sistematicamente vuota lo
confortava circa il fatto che non era l’unico a non capirne il senso in quel
contesto.
Mentre stava per connettersi, il maresciallo Michele Risi fece capolino sulla porta
dell’ufficio di Meltemi e disse:
« La squadra della mobile è arrivata. Sono agli ordini di Allegri. Mi spiace ».
« Nessun problema, Michele: Allegri è un ottimo poliziotto… uno stronzo, ma
un ottimo poliziotto ».
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“Queste ere invase dalla morte, in cui il globo diventato muto, continuerà, ma senza di noi,
a descrivere nello spazio impassibili orbite” A. De Gobineau, Essai sur l’inegalitè des races humaines
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« Se lo dice lei capo… ».
Meltemi guardò ancora per un momento l’interfaccia della chat come se avesse
dovuto scusarsi con un signora lasciata troppo tempo ad aspettare al tavolo di un
ristorante, poi si alzò per andare a ricevere la squadra di intervento di Valerio
Allegri nella sala briefing.
« Ispettore capo Meltemi… », esordì Allegri andandogli incontro con la mano
tesa.
« Capitano Allegri… », rispose quello restituendo al giovane ufficiale una stretta
ferrea.
« Questa dovrebbe essere la volta buona, vero ispettore? », disse il responsabile
della squadra operativa: si stava riferendo implicitamente al loro ultimo intervento
eseguito su segnalazione della Polizia Postale, che non aveva portato a nessun
risultato se non a quello di inasprire i rapporti tra i due poliziotti.
« Avrebbe potuto esserlo anche l’altra volta, capitano, ma non è colpa nostra se il
molestatore ha fiutato l’esca… e nemmeno dei suoi uomini, ovviamente »,
aggiunse volutamente in ritardo Meltemi, sebbene sapesse benissimo che era
effettivamente così.
« Vogliamo procedere con il briefing? », tagliò corto Allegri.
« Prego, si accomodi capitano » lo invitò l’ispettore aprendo la porta a vetri della
sala e facendo accomodare il giovane collega.
« Il maresciallo Risi e la dottoressa Annalisa De Nicola, la nostra consulente
informatica esterna, sono i coordinatori di questa indagine », disse Meltemi alla
sala. « Inizieranno a esporvi il caso mentre io concluderò illustrandovi alcuni dati
operativi che ho raccolto personalmente ».
Il maresciallo Risi aveva appena ventinove anni, si era laureato in sociologia alla
Sapienza mentre lavorava come poliziotto alla stradale. Seguiva i corsi on-line e si
era bruciato tutte le ferie per prepararsi agli esami.
Si era laureato discutendo una tesi estremamente specialistica, che gli era valsa la
lode, sulle perversioni sessuali degli uomini di successo ultra trentacinquenni. La
notizia si era sparsa rapidamente in centrale e Meltemi ne aveva voluto una copia.
Terminato di leggere il lavoro, aveva chiamato Risi per un colloquio e dopo una
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settimana il maresciallo aveva chiesto e ottenuto il trasferimento alla Postale.
Risi era di corporatura abbastanza esile in confronto al massiccio ispettore ma
aveva dimostrato fin da subito ottime doti investigative; era un buon tiratore e,
soprattutto, ci sapeva fare con le relazioni cyber e i computer che costituivano
l’ossatura dell’attività di indagine della Postale.
Quello che stava per esporre era il primo caso che seguiva come responsabile sia
pure in tandem con la De Nicola.
« Buongiorno a tutti », esclamò il maresciallo alquanto teso, « per chi non lo
sapesse », nessuno in realtà, « la nostra sezione si occupa di monitorare la Rete per
individuare e prevenire possibili crimini a sfondo sessuale commessi sui minori
con l’uso delle chat, dei social network, o dei vari siti e programmi di messaggistica in
generale.
« La Divisione Crimini Sessuali ci ha comunicato che nell’ultimo anno le molestie
più o meno gravi su minorenni da parte di adulti è aumentata considerevolmente e
sempre stando alle statistiche tutti i casi, o perlomeno la maggior parte, sono
iniziate attraverso un contatto internet. Riteniamo di aver trovato un riscontro
locale tra sei casi di sevizie a ragazzine infraquindicenni e un possibile molestatore
che ha “adescato” la dottoressa De Nicola. Il sospetto ha dichiarato di avere
all’incirca quarant’anni ma pensiamo ne abbia tra i 48 e i 52; è acculturato, con una
posizione professionale di rilievo e una disponibilità economica considerevole.
Stando a quanto ha dichiarato nelle conversazioni con la dottoressa De Nicola,
dovrebbe essere sposato, o perlomeno lo è stato, ma non ha figli. Si è attribuito
tre “relazioni” con ragazzine tra i dodici e quindici anni solo nell’ultimo anno. Il
suo nick preferito è Sexydaddy, che usa anche in forma contratta come Sxdaddy o
Sexdad »
Il maresciallo Risi fece un’altra pausa per bere.
Gli pareva di aver letto da qualche parte che le pause programmate consentivano
all’auditorio di fissare meglio i concetti che il relatore andava esprimendo. In realtà
stava solo tradendo il fatto di non essere un oratore abituato a parlare troppo a
lungo.
Era più nervoso del previsto.
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« Come vi spiegherà meglio la dottoressa De Nicola, Sexdaddy è capace di
alternare un linguaggio elegante a uno scurrile, conosce molto bene gli argomenti
che trattano le teen o le preteen. Ha dato prova di essere molto attento alla sua
forma fisica e al suo aspetto, pare svolga regolarmente attività sportiva e ricorra a
piccoli interventi di chirurgia estetica per rimuovere qualche segno dell’età.
Secondo la dottoressa, Sexdaddy ha dichiarato di avere 40 anni perché quella è l’età
che dimostra ».
I poliziotti in sala non sembravano particolarmente colpiti dalla relazione né
entusiasti del caso.
Per il momento il profilo descritto dal consulente era molto più che generico e
non sembrava contenere indicazioni concrete. Tutti sapevano che la rete è piena
di pervertiti più o meno reali.
La maggior parte dei frequentatori delle chat sono abitudinari e sostanzialmente
inoffensivi:
emulano
le
notizie
riportate
dalla
Rete
stessa
ma
non
commetterebbero mai un reato, tantomeno uno a sfondo sessuale.
Quelli più bravi si limitano ad aggiungere qualche particolare scabroso frutto
della loro mente, mentre quelli più grezzi si limitano a mischiare tra loro le storie
ascoltate da altri utenti all’unico scopo di masturbarsi.
Individuare questi ultimi, farli contraddire e, sistematicamente, ridicolizzarli era
uno dei passatempi preferiti dalla squadra di Meltemi e, spesso, anche l’ispettore si
divertiva a prendervi parte.
In ogni caso si aveva a che fare con persone limitate.
Meltemi aveva sviluppato un talento particolare a scoprire questi limiti e a
concentrarsi solo su quei soggetti che non li manifestavano perché quelli o erano
poliziotti come loro o potenziali criminali.
Ovviamente, tutti sapevano che quotidianamente molta gente pericolosa entrava
nella Rete, ma gli agenti della squadra mobile presenti in sala non credevano che i
colleghi della Postale si fossero imbattuti in persone del genere.
Michele Risi intuì lo scetticismo tra i suoi ascoltatori e riprese a parlare nel
tentativo di fornire qualche prova ai diffidenti.
« Abbiamo svolto le indagini di prassi e abbiamo trovato diversi riscontri.
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Incrociando i dati sull’età, i luoghi frequentati, la professione e, soprattutto, alcuni
piccolissimi particolari emersi dalle conversazioni ma non pubblicati in ordine ai
crimini sessuali commessi sui minori della città e rimasti impuniti, abbiamo
individuato tre possibili sospetti ».
Un’altra pausa per bere.
« Due sono liberi professionisti: un architetto affermato, un chirurgo plastico
discretamente capace e il terzo, un funzionario di alto livello di un dipartimento
del Ministero dell’Agricoltura »
Almeno metà degli agenti in sala non riuscirono a reprimere un mormorio
divertito sentendo evocare il Ministero dell’Agricoltura.
Il maresciallo Risi non colse l’umorismo intrinseco e proseguì.
« Riteniamo che uno dei tre sia Sexdaddy. E, tra questi, propendiamo a credere
che l’autore delle molestie sia il primo, l’architetto Gregorio Rossini. Qualcuno di
voi lo ha mai sentito nominare? », chiese.
Lo schermo attivato alle sue spalle restituì il volto decisamente interessante di un
uomo che, come pensava la dottoressa De Nicola, non dimostrava più di
quarant’anni.
Il mormorio divertito si trasformò in un silenzio imbarazzato. Finalmente il
maresciallo Risi aveva l’attenzione che cercava.
Quasi tutti nella sala conoscevano l’architetto Rossini, e quei pochi che non
sapevano chi fosse capirono dai volti dei loro colleghi che il sospettato doveva
essere un pezzo grosso.
« Il suo studio ha vinto l’appalto per la progettazione della nuova Città del
Cinema. Un’opera da quasi mezzo miliardo di euro. È da mesi presente su tutte le
testate economiche, ha persino strappato una copertina all’edizione inglese del
Time Magazine. Ovviamente, è un buon amico del sindaco, del governatore della
Regione e di una dozzina di politici più o meno influenti. Nonostante sia così
esposto e impegnato, chatta regolarmente almeno due ore ogni giorno in cerca di
ragazzine da adescare »
Un agente alzò la mano.
« Mi dica… », fece Risi concedendogli la parola.
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« Non capisco, maresciallo Risi, per quale motivo l’architetto Rossini dovrebbe
adescare una ragazzina mai vista né conosciuta, rischiando non solo il carcere ma
anche un fatturato annuo di milioni di euro? Non sarebbe più semplice per lui
scegliersi qualche liceale che arrotonda la paghetta facendo la escort? ».
« …e togliergli il piacere della caccia? Della privazione del controllo… anzi,
dell’assunzione del controllo della vittima per il solo tramite delle sue parole? », lo
interruppe il maresciallo Risi. « No collega, ricevere un po’ di sesso a pagamento
da un’adolescente annoiata non lo appagherebbe mai come farsi spazio nei
pensieri di una ragazzina, magari anche sessualmente attiva, ma completamente
acerba nelle emozioni. Il nostro uomo vuole essere parte del pensiero della sua
vittima, vuole che lei ne faccia l’autentico oggetto dei suoi desideri, anche di quelli
sessuali ».
Michele Risi lasciò che quanto aveva appena detto radicasse nei cervelli dei
presenti.
Sperava che capissero che il lavoro della Postale non era, solo, parlare di
“cazzo&figa” con adolescenti complessati incapaci di farsi una vita nel mondo
reale e, ogni tanto, incastrare qualche “maturo” che voleva provare l’ebbrezza di
scoparsi una (o un) minorenne.
Il vero lavoro della squadra non consisteva semplicemente nel fermare i pedofili
veri e propri, vale a dire coloro che cercano incontri sessuali con bambini di età
generalmente inferiore ai tredici anni; ma soprattutto nell’arrestare quei mostri che
attraverso il sesso svuotano la mente di ragazze e ragazzi emotivamente labili, per
sostituire ai loro innocenti desideri, con innaturali perversioni. Questo secondo
fine era indispensabile per impedire che i ragazzi sopravvissuti, una volta diventati
adulti, si trasformassero in nuovi mostri.
Il vero pericolo era rappresentato da questi ultimi in quanto esseri striscianti che
violentano in modo più subdolo: si insinuano nei pensieri degli adolescenti nel
momento della loro vita in cui cominciano a sviluppare desideri e pulsioni di ogni
genere, quindi li piegano ai propri desideri facendo in modo che credano che
quello che gli stanno per fare sia un loro desiderio. In questo modo non solo
soddisfano le loro fantasie ma anche creano schiavi sessuali, inconsapevoli, felici
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di partecipare a quelle esperienze che mai confiderebbero ad anima viva, il che
garantisce ai violentatori un anonimato pressochè inviolabile.
Questo pochi lo capivano.
Massimo Meltemi sapeva bene di cosa stava parlando il suo uomo perché glielo
aveva sentito ripetere decine di volte, e perché su quell’argomento era incentrata la
tesi grazie alla quale oggi il maresciallo Risi era entrato a far parte della polizia
postale.
L’ispettore capo non era sicuro che gli agenti operativi presenti in sala avessero
colto la complessità dell’argomento ma perlomeno, adesso, stavano ascoltando il
maresciallo che continuava il suo intervento con maggiore disinvoltura.
« …ed è questo che il sospetto sta cercando di fare: tenta di plasmare i pensieri di
una ragazzina sessualmente acerba e desiderosa di esperienze per farne la sua
schiava devota e soprattutto, discreta », precisò in preda a un singolare trasporto.
Michele Risi prese fiato ed attese altri interventi dagli agenti. Quindi proseguì il
briefing.
« La dottoressa De Nicola è riuscita a stabilire con lui una buona relazione cyber.
Si è finta una quattordicenne molto inesperta ma estremamente curiosa. Senza
esperienze sessuali complete ma determinata a colmare prima possibile questa
lacuna… prego Annalisa, vuoi continuare tu? », aggiunse il maresciallo cedendo il
microfono alla consulente.
Non esattamente attraente secondo i canoni di Hug Efner e non vestita
propriamente alla moda, Annalisa De Nicola era una non meglio precisata
“esperta” informatica capace di compensare qualche carenza estetica con una
magnetica simpatia e un’arguzia fuori dal comune.
Dietro un paio di occhiali dalla montatura vintage come il tailleur a fiori che
indossava, i suoi occhi azzurri fissarono gli agenti raggelando quelli che stavano
per abbozzare un sorriso nel vederla così agghindata.
« Sono in grado di fissare un appuntamento da una settimana all’altra », esordì
Annalisa senza alcun preambolo.
« Penny ha convinto Rossini che lo incontrerà un mercoledì pomeriggio all’uscita
da scuola ».
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« Mi scusi, dottoressa De Nicola », la interruppe lo stesso agente che aveva
parlato prima, « ma poco fa il maresciallo aveva detto che i sospetti erano tre…
Che prove avete in ordine al fatto che il sospetto sia effettivamente l’architetto
Rossini e non… e non… », disse in tono alquanto scettico fingendo di consultare
appunti che non aveva mai preso « il tizio che lavora al ministero dell’Agricoltura?
»
« Ha ragione, agente », rispose la De Nicola senza scomporsi, « non abbiamo
nessuna prova concreta a carico dell’architetto Rossini. Del resto se l’avessimo
non credo che l’ispettore Meltemi avrebbe indetto questo briefing… o sbaglio,
ispettore? », chiese rivolta al suo superiore impegnato a trattenere un sorriso.
« Come stavo dicendo… Abbiamo creato un alter ego molto preciso per l’esca. Il
suo nickname è Penny, il nome “vero” Valentina Righetti, ha quattordici anni,
studia al Giulio Cesare, ha buoni voti tranne che in matematica, la materia
preferita dal sospetto. Fisicamente è alta circa 1,60, pesa 50 chili, bionda, terza di
seno… una tipica teen con un corpo decisamente inadeguato per la sua età ».
Gli agenti maschi in platea, quasi tutti, non riuscirono a evitare un generalizzato
mormorio di approvazione.
Annalisa finse di ignorarli e proseguì:
« La fine delle lezioni è prevista verso le 13.30. Ho convinto il “sospetto” che
Penny uscirà da scuola per quell’ora e dopo aver pranzato, come tutti i mercoledì,
con le amiche lo raggiungerà alla stazione Termini verso le due del pomeriggio.
Penny racconterà a casa che si fermerà a studiare in centro, ma ovviamente
desidera trascorrere il pomeriggio con il sospetto il quale dovrà però
riaccompagnarla a casa per le venti, ventuno al massimo ».
« Ma non è un po’ tardi? », la interruppe questa volta l’agente più anziano del
gruppo che, probabilmente, aveva una figlia dell’età di Penny e che, molte volte,
doveva essersi fermata a studiare in biblioteca. « Alle venti si cena e i genitori
dovrebbero già essere rientrati dal lavoro. Il molestatore non potrebbe
insospettirsi del fatto che la famiglia di Penny non si preoccupi se la figlia rimane
fuori fino a tardi? ».
Annalisa puntò i suoi occhi azzurri sull’agente, con evidente approvazione per
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quella osservazione che denotava più attenzione per la sicurezza dell’esca che non
alle sue tette.
« Osservazione pertinente. Ma Penny ha raccontato a Sexydaddy che i suoi genitori
sono divorziati, e di aver sofferto molto per questo. Abbiamo persino inserito
alcune note comportamentali nel suo curriculum scolastico causate dalla
separazione dei genitori. Se il sospetto fosse così bravo da accedere ai suoi files
scolastici troverebbe dei riscontri precisi al racconto della ragazza. Purtroppo,
agente, è stato necessario creare un background familiare non sereno altrimenti
Rossini potrebbe non sentirsi al sicuro e temere che la vittima si confidi con i
genitori ».
L’agente alzò le spalle senza aggiungere altro.
Probabilmente stava pensando al background della sua famiglia e si stava
chiedendo se sua figlia gli avrebbe mai raccontato di aver incontrato qualcuno su
una chat.
Qualcuno che l’aveva invitata ad andare a mangiare con lui da
Mcdonalds e a non andare a studiare in biblioteca.
« Sto chattando pressoché quotidianamente con Sexydaddy. Sono certa che si
presenterà all’appuntamento. Ha scritto che rinvierà tutti gli impegni per me, cioè
per Penny e che non vede l’ora di conoscerla. A questo punto è necessario dare un
corpo all’esca poiché è evidente che io… », disse guardandosi; « beh, io non sono
bionda. Ma credo che da qui tocchi all’Ispettore Meltemi proseguire… », concluse
la dottoressa De Nicola rivolgendo lo sguardo a Massimo Meltemi e attendendo il
suo intervento.
« Annalisa, Michele, grazie per i vostri interventi », disse l’ispettore in direzione
dei suoi collaboratori prima di continuare. « Ho contattato le esche su
segnalazione di due agenzie governative statunitensi che periodicamente ci
trasmettono i dati dei ragazzi italiani che si registrano sulle loro kid’s page »; anche
l’ispettore era entrato nella discussione senza alcun preambolo. « Purtroppo come
potete immaginare non ho trovato molti riscontri con le caratteristiche che ci
servono. Ho selezionato solo due possibili soggetti che potrebbero fare al caso
nostro », aggiunse raccogliendo il telecomando lasciato dal maresciallo Risi e
sostituendo sullo schermo alle sue spalle la foto di Gregorio Rossini con quelle di
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due attraenti teenager.
« Nessuna delle due ragazze ha esattamente l’età del profilo creato dalla
dottoressa De Nicola. Arianna Campi, a destra, ha sedici anni, si è registrata sul
sito dell’N.s.a. ed ha un talento naturale nella decrittazione dei codici. Elisabetta
Fieschi, a sinistra, ne ha appena compiuti diciotto. Si è registrata sulla kid’s page
della C.I.A. e ha svolto i test di intelligence in lingua ottenendo punteggi di tutto
rispetto. Sarebbe anche stata selezionata per uno stage estivo se non fosse italiana.
Come potete notare aderisce fisicamente al profilo necessario alla missione ».
« Mi permetta, ispettore », lo interruppe Valerio Allegri con un malcelato
sogghigno, « mi sembra che lei abbia già scelto la ragazzina con i capelli rossi per
la missione sotto copertura », fece il capitano indicando la fotografia di Elisabetta
Fieschi che, per l’appunto, esibiva una folta chioma ramata. « È innegabile che sia
molto attraente ma, davvero, non mi pare corrisponda al profilo delineato dalla
dottoressa De Nicola… Inoltre, come la dottoressa, non è neppure bionda… ».
« Fortunatamente, agente Allegri, il colore dei capelli delle donne muta con
maggior facilità del nostro, e comunque non ho affatto scelto la signorina Fieschi.
Ho ritenuto opportuno segnalarvi quale delle due avesse maggior “esperienza”…
se così si può dire », Meltemi non attese che il capitano della mobile continuasse e
proseguì il suo intervento.
« Ho contattato personalmente le ragazze e le famiglie. Sia Arianna che Betty,
cioè Elisabetta, i genitori la chiamano Betty… », tenne a precisare, « sono
entusiaste dell’opportunità. Ovviamente, nessuno dei genitori condivide la loro
euforia, ma sanno bene che per le figlie potrebbe essere una buona occasione e
sono quasi disposti ad acconsentire che partecipino alla missione a condizione
che, chiaramente, non lascino neppure per un istante il locale pubblico dove
dovranno incontrare il sospetto e che siano guardate a vista dai nostri uomini ».
Ancora una volta la squadra operativa non pareva entusiasta dell’operazione.
Allegri scuoteva il capo, e lo stesso agente che aveva ben impressionato la
dottoressa De Nicola fingeva di rileggere gli appunti che aveva preso battendo
nervosamente con la penna su alcune parti.
A Massimo Meltemi non sfuggirono entrambi i comportamenti ma decise di
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ignorare Allegri per rivolgersi all’agente anziano. « Cosa non le torna nei suoi
appunti agente…? ».
« Enrico », si presentò quello, « Mario Enrico. Vede ispettore, non mi torna
come la ragazza vera potrà farsi passare per quella cypher, si dice così? ».
« Cyber », lo corresse cortesemente la De Nicola regalando all’agente un sorriso
malizioso.
« Si, ecco, cyber » disse Enrico distogliendo lo sguardo dalla giovane consulente. «
Una delle due ragazze dovrebbe studiare tutte le conversazioni tra Penny e
Sexydaddy, imparare a ragionare come Penny, rispondere come lei… cioè come il
sospetto si aspetta che faccia… non mi sembra una cosa facile per chi non è
addestrato… non so se mi sono spiegato ».
« Perfettamente, Mario » intervenne la consulente, chiamandolo volutamente per
nome. « Il suo dubbio è più che legittimo. Tenga presente che nei colloqui con
Sexydaddy ho sempre utilizzato il linguaggio teen comunemente parlato dai nostri
ragazzi e ho trattato sempre di argomenti e problemi diffusi tra tutti gli
adolescenti. Penny non ha particolari caratteristiche fisiche. Ovviamente non ha
mai scambiato con il sospetto fotografie ed è quindi legittimo che la descrizione
del suo aspetto fisico non sia accuratissima. Riteniamo che entrambe le ragazze
indicate dall’ispettore possano essere, sono state, o potrebbero tornare a essere
delle Penny con poco sforzo ».
La consulente informatica fece una pausa ma nessuno tra gli agenti prese la
parola. Annalisa allora riprese a parlare senza bere.
« Personalmente ritengo che Arianna Campi sia l’esca più adatta. Ha un aspetto
più infantile e, psicologicamente, è meno lontana dai suoi quattordici anni di
quanto non lo sia la Fieschi. Inoltre è decisamente molto più ingenua. Se è
veramente un talento, come ci hanno riferito quelli dell’NSA, ritengo che in pochi
giorni potrebbe apprendere i tratti salienti del profilo di Penny, ed essere in grado
di ingannare il sospetto per il tempo sufficiente a esporsi prima dell’intervento
della squadra operativa »; attese un istante poi si rivolse a Meltemi.
« Ispettore, lei cosa ne pensa?».
“ Quello che ha detto la dottoressa De Nicola è pienamente condivisibile »,
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disse Meltemi rivolgendosi alla platea. alt0171 Inoltre, la Fieschi dimostra
effettivamente anche più anni dei diciotto che ha compiuto e anche se penso che
questo problema potrebbe essere facilmente superato da un esperto di make up
potrebbe avere qualche difficoltà in più della Campi a farsi passare per una
quattordicenne. Tuttavia… » aggiunse più per dovere, e non perché ne fosse
veramente convinto, « credo che la Fieschi sarebbe in grado di reggere
maggiormente alla pressione e tenere più a lungo il sospetto impegnato ».
« Mi scusi ispettore ma se la Fieschi è già maggiorenne un avvocato non
potrebbe eccepire questa circostanza e dunque sollevare qualche eccezione di non
punibilità del tentativo di adescamento, dal momento che l’esca è maggiorenne ed
evidentemente consenziente? », intervenne d’un fiato quello che nella squadra di
Allegri doveva essere stato l’agente con i voti migliori al corso di procedura
penale.
« Si, è un rischio concreto, ma il nostro obiettivo è incastrare Rossini per
imputargli le molestie già compiute non tanto per l’incontro che avrà con Penny. E’
troppo rischioso per la ragazza e controproducente per la nostra unità attendere
che il sospetto faccia qualcosa a Penny. In ogni caso il presunto molestatore è
convinto che la ragazza sia minorenne e questo è comunque rilevante sotto il
profilo dell’elemento soggettivo del reato… si dice così? Giusto? », disse Meltemi
rivolgendosi all’avvocato della squadra operativa.
« Si, effettivamente, a qualcosa questo rileva », rispose quello non troppo
convinto.
« Molto bene. Nei dossier che vi sono stati consegnati ci sono ulteriori dettagli
sul profilo del sospetto, sulle ragazze che dovranno fare da esca e sulle modalità
dell’incontro. Suggerisco di aggiornare il briefing di ventiquattr’ore. Domani
pomeriggio ci rivedremo qui per definire ogni dettaglio dell’operazione. Grazie a
tutti e buona serata », concluse l’ispettore congedando un po’ bruscamente la
squadra.
In pochi minuti la sala si svuotò e tutti i poliziotti, compresi Enrico e lo stesso
Risi, uscirono dalla stanza ringraziando mentalmente per quell’inaspettato “fine
turno”.
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Solo Valerio Allegri e Annalisa De Nicola restarono ai loro posti, il primo
appoggiato alla parete dalla quale non si era mai staccato e la consulente china su
un tavolo fingendo di riordinare importantissimi documenti che in realtà erano
fogli A4 bianchi.
« Posso parlarle un momento Meltemi …in privato? », disse Valerio Allegri
accennando col capo in direzione della De Nicola che dava loro le spalle.
« Se quello di cui vuole parlarmi riguarda questa operazione, la dottoressa De
Nicola può restare. La ritengo più che qualificata a rimanere ».
Annalisa, che continuava a dare le spalle ai due, abbozzò un sorriso per
l’apprezzamento del suo superiore.
« Se lo dice lei, che resti », concesse il giovane capitano.
« Detto tra noi, Meltemi, non credo che l’operazione avrà successo », disse in
modo talmente diretto che scosse persino il navigato ispettore.
« Affidare a una ragazzina una responsabilità del genere è un rischio enorme. Se
l’operazione fallisse Rossini, o chi per lui, sparirebbe, noi faremmo ancora una
volta la figura degli idioti e le nostre carriere… ».
« …la mia carriera… », lo interruppe Meltemi avvicinandosi a pochi passi da
Allegri e abbassando il tono della sua voce. « Sono io il responsabile dell’unità e
dell’operazione. Se la missione dovesse fallire sarà la mia carriera a essere in
pericolo. Stia tranquillo, capitano Allegri, nessuno le addebiterà nulla in caso di un
mio fallimento », sibilò l’ispettore capo a pochi passi dal suo giovane collega che
con fare disinvolto era rimasto appoggiato alla parete.
« Si calmi, Meltemi, non è il caso di scaldarsi. Deve guardare in faccia la realtà,
non è più il brillante capitano di qualche anno fa. L’hanno messa a capo di una
divisione di fatto non operativa, se ne sta al computer tutto il giorno a chattare
con ragazzine e pervertiti. La metà delle operazioni che lei o quelli della sua
squadra chiedete di eseguire o non vengono neppure prese in considerazione dai
procuratori o non portano a nessun risultato. A proposito, non ha detto chi è il
p.m. titolare dell’indagine… perché c’è un p.m. titolare dell’indagine, vero? ».
« Ovviamente », rispose Meltemi senza abboccare alla provocazione; « le indagini
fanno capo alla dottoressa Ilaria Venturi. La nuova procuratrice aggiunta ».
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« Ah, capisco… », disse Allegri con una smorfia. « La Venturi è quella giovane e
carina che viene dalle sue parti. È un procuratore di prima nomina, dico bene? ».
« Sì, è genovese ed è alla prima nomina, e allora? ».
« Allora niente, e mi dica ispettore, come mai è lei la titolare dell’indagine? Questi
casi li trattiene per sé il procuratore capo Da Siena, come è riuscito a fare in modo
che lo seguisse la Venturi? ».
« Capitano Allegri, ignorerò le sue provocazioni, ma lei cerchi di non tirare
troppo la corda né di far pesare troppo le sue conoscenze in procura ».
« Stia tranquillo Meltemi, molto presto anche la dottoressa Venturi si accorgerà
che darle retta è un errore e uno spreco di risorse per la comunità, e che l’hanno
parcheggiata alla Postale in attesa della pensione. Magari allora se ne farà una
ragione e tutti potremo dedicarci a dare la caccia ai veri criminali ». Mentre parlava
il capitano si staccò dalla parete con un elegante colpo di reni e inclinò una spalla
cercando un contatto con Meltemi.
Se l’intenzione di Allegri era quella di sottolineare fisicamente la volontà di
scostarlo dalla sua strada e dalla sua inarrestabile carriera, Massimo non lo capì.
L’ispettore irrigidì il tronco e assorbì la spallata del collega senza cedere un
millimetro. Il capitano rimase sbilanciato dal contraccolpo guadagnò imbarazzato
l’uscita.
« Io gli avrei spaccato il suo bel nasino », disse la De Nicola poco dopo che
Allegri si fu allontanato, e sempre intenta a riordinare i suoi fogli bianchi, « …a
quello stronzo. Poteva farlo, ispettore. Eravate soli ».
« Verrà un’occasione migliore Annalisa, non ti preoccupare, viene sempre il
tempo per tutto… basta solo non avere fretta », sentenziò Meltemi rimanendo in
silenzio per qualche istante ad ascoltare il rumore della carta spostata dalla sua
collaboratrice.
Poi, dopo qualche istante chiese più rivolto a se stesso che alla consulente: «
Stiamo per fare una cazzata, Annalisa? ».
« Penso di no… », si affrettò a rispondere lei, « Sono sicura che lo prenderemo
con le mani nel sacco… le esche sono entrambe molto attraenti… cioè adatte allo
scopo. Una volta che avrà visto una delle due non resisterà alla tentazione di
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portarsela a letto. E noi saremo lì ispettore… vedrà ».
« A domani Annalisa », disse Meltemi con un tono niente affatto convinto.
Uscito dalla sala riunioni l’ispettore si diresse verso il suo ufficio per spegnere il
computer e recuperare la sacca della palestra: sentiva la necessità di andare a
sfogarsi un po’ dopo il confronto con Allegri.
Arrivato davanti al monitor fissò per un istante l’interfaccia della chat che aveva
lasciato aperta poche ore prima. Si impose di non entrare perché era tardi, perché
doveva andare in palestra e perché quella sera aveva promesso alla sua compagna,
la dottoressa Marta Torrisi, di portarla fuori a cena.
Guardò l’orologio, erano le diciassette e trenta, aveva prenotato il ristorante per
le ventuno, aveva tempo per fare tutto.
Si sedette e inserì user id e password.
In un istante gli apparve la lista delle chatroom, scorse l’elenco ed entrò in quella
che gli interessava. Scorse gli utenti connessi e individuò quell’unico con cui
voleva parlare: Little, la penultima della lista.
Cliccò due volte sul quel nick per aprire una chat privata e iniziò a digitare
velocemente.
Dopo un po’ le pause tra un’immissione e l’altra si fecero via via più strette. Ciò
significava che dall’altra parte Little aveva preso a rispondere, o a chiedere, con
interesse sempre più esclusivo, e che il dialogo tra i due si stava facendo sempre
più intimo.
Meltemi arrivò a prendere Marta appena dieci minuti prima delle ventuno, con i
capelli ancora bagnati: ovviamente, in palestra non lo aveva visto nessuno.
19
2.
Gregorio Rossini.
Avevo trent’anni quando sposai Fiammetta Di Girolamo, figlia di Paolo e
Caterina Pallavicini.
Non ne ero innamorato, affatto. Anzi, quasi la detestavo perché non solo non
era bella, ma neppure intelligente e tra le lenzuola era scoraggiante.
Al contrario lei mi adorava, si scioglieva per qualsiasi cosa le dicessi e, ne sono
certo, si eccitava, unica circostanza in cui peraltro ritengo accadesse, quando
poteva esibirmi alle amiche durante i ricevimenti che continuamente si tenevano a
casa dei suoi genitori. Quelle feste e, ammettiamolo pure, alcune delle amiche cui
mi aveva presentato, furono gli unici motivi per cui la sposai.
L’ingegnere Di Girolamo non sapeva neppure ricalcare un disegno su un lucido,
ma era un faccendiere molto ben introdotto nei palazzi della Capitale e grazie a
una discreta rete di mazzette e favori di dubbia natura, si era aggiudicato svariati
appalti miliardari. Da lui la figlia aveva ereditato solo l’aspetto fisico tutt’altro che
gradevole.
La madre di Fiammetta, la contessa Caterina Ambra Giulia Pallavicini, al
contrario, era di una bellezza armoniosa; soprattutto, poteva contare su una dote
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immobiliare spropositata che l’ingegnere utilizzava per fornire garanzie alle banche
ogni qualvolta aveva bisogno di liquidità per ungere le persone giuste.
Più che un matrimonio la loro era un’associazione a delinquere di stampo
mafioso, e forse era per questo che dopo ventotto anni erano ancora insieme.
Il matrimonio con Fiammetta non durò altrettanto. Dopo quattro anni di un
tedioso rapporto, due dei quali trascorsi a cercare ossessivamente di avere un figlio
che nessuno dei due voleva, l’ingegner Di Girolamo mi offrì una decorosa
buonuscita affinchè liberassi la loro stimata famiglia dalla mia presenza.
Accettai sdegnosamente l’elemosina del vecchio il pomeriggio stesso in cui firmai
il ricorso che mi avrebbe separato da Fiammetta e dallo scandalo che, appena un
anno dopo, avrebbe travolto lei e la sua famiglia. Il putiferio partì da una denuncia
anonima, estremamente dettagliata, che informò la Guardia di Finanza circa la
consistenza e l’esatta ubicazione dei loro conti off shore, dei nomi di tutti i politici
che avevano corrotto e di quasi tutti gli appalti che avevano truccato. Poco ci
mancò che l’esposto non indicasse ai finanzieri anche il codice per aprire il
cancello di ingresso della villa Pallavicini che sorgeva a due passi dalla tenuta
presidenziale di Castelporziano.
Il povero ingegner Di Girolamo non riuscì a reggere la pressione e una mattina
di maggio il suo cadavere fu trovato riverso in un canale sul tratto di spiaggia
riservato al Presidente della Repubblica.
In seguito a questi improvvisi e concitati eventi nessuno fece caso al mio
riavvicinamento a Fiammetta che, disperata com’era, mi fu persino grata dell’aiuto
che le diedi nel tenere in piedi quelle poche attività che non erano state poste
sotto sequestro dalla Procura della Repubblica.
Così, a trentacinque anni, mi ritrovai alla guida di uno studio di progettazione
che aveva in pancia contratti per la realizzazione di una centrale eolica nel sud del
Paese, un villaggio vacanze in Sardegna e la villa di un attore americano sul lago di
Bracciano: tutti contratti commissionati da privati che, con l’aiuto di un paio di
avvocati molto preparati, ero riuscito a salvare dall’avidità di giustizia che animava
in quel tempo la Procura.
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Inoltre, poichè a differenza del mio compianto suocero ero anche molto bravo
nel mio lavoro, fu relativamente facile diventare uno degli architetti più apprezzati
e, ovviamente, pagati dell’intero Paese.
Sono passati molti anni da allora.
Oggi, ho cinquantadue anni, sono molto più ricco di quindici anni fa e
politicamente più influente di quanto non fossero mai stati i genitori della mia
povera moglie. Ah, quasi dimenticavo, Fiammetta scomparve prematuramente per
un attacco di cuore qualche tempo dopo la condanna della madre a dodici anni di
carcere. La poverina se ne andò prima che potessimo divorziare e anche prima che
potessi essere escluso dall'ereditare una parte del suo patrimonio. Una vera, e
soprattutto inaspettata, disgrazia.
Come se tutto questo non fosse stato sufficiente a farmi attirare le invidie di tutti,
il tempo è stato clemente con me: dimostro molti meno anni di quelli che ho e
non faccio nulla per nasconderlo mentre mi contemplo nello specchio del
sontuoso bagno del mio attico all’EUR.
Anni di palestra mi hanno scolpito addominali che farebbero invidia a un
diciottenne, e svariate decine di migliaia di euro mi hanno consentito di mantenere
un viso relativamente giovanile.
È proprio a tutti i soldi spesi in chirurgia plastica a cui sto pensando adesso.
« Il dottor Zonja è un genio… », osservo mentre avvicino il viso allo specchio
velato d'umidità. « Un fottutissimo genio, sa come farmi ringiovanire senza
sembrare una di quelle vecchie mummie che paiono essere sul punto di strapparsi
da un momento all’altro ».
« Parlavi con me, tesoro? », dice la ragazza uscendo dalla doccia che si trova alle
mie spalle, avvolta in una nuvola di acqua e vapore.
« No piccola, riflettevo ad alta voce su un progetto molto complesso che devo
presentare tra un paio di giorni al sindaco ».
« Ah... okay, sei sempre così impegnato, amore », continua lei ancheggiando
verso la camera da letto adiacente.
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Cinzia, è quello il nome della ragazza, non è semplicemente bella... è una di
quelle che ti tolgono il fiato, il sonno e mille euro a notte, duemila per un fine
settimana dal venerdì sera alla domenica, compresa. Perché Cinzia non è brava
solo a letto ma ha anche il senso del marketing e presta molta attenzione alla
fidelizzazione della clientela.
Non sta semplicemenete camminando verso il letto. Pare piuttosto danzi in
punta di piedi, e mentre lo fa minuscole gocce d'acqua le accarezzano il
fondoschiena, perfetto; alcune, dopo aver percorso le lunghe gambe ben tornite,
scivolano esauste fino a terra a formare piccole pozze sul pavimento di teak che
ho fatto arrivare dall’altra parte del mondo e che mi è costato sei mesi di
sostanziose parcelle.
« Non ricordo quando dobbiamo andare a quella festa Vip », civetta mentre
gattona sul letto con modulata lentezza frutto di consumata esperienza.
« Venerdì prossimo », rispondo colpito dalla sua bellezza e dai suoi movimenti.
« Perfetto, il venerdì non ho lezioni in Facoltà, vuoi che ci vediamo anche il
pomeriggio? », mi chiede lasciandosi cadere sulla schiena e tendendomi le braccia.
« Questo ti sembra sufficiente come risposta? », le dico avvicinandomi al letto
prepotentemente eccitato.
Mi puntello sulle braccia senza alcuno sforzo e la guardo muoversi sotto di me
come un serpente pigro.
Cerco di trattenermi ad ammirarla un po' prima di possederla per la terza volta in
quel pomeriggio.
Cinzia è una bionda naturale, ha gli occhi verdi, la bocca carnosa e morbida, il
naso piccolo e una pelle senza imperfezioni. Guardandola, mi chiedo per un
attimo se abbiamo in comune lo stesso chirurgo estetico.
Il suo corpo è slanciato e flessuoso come un giunco. Non ha un seno
abbondante. Una terza al massimo, così mi pare di ricordare.
I capezzoli sono piccoli e di una tonalità appena più scura della pelle.
L'addome, rigorosamente piatto, nasconde sapientemente i muscoli sotto un
sottilissimo strato di adipe piacevolissimo da accarezzare. Vi indugio a lungo con il
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dorso della mano.
Il ventre è impreziosito da un piercing all'ombelico con un brillante di notevole
caratura che immagino sia un regalo di qualche altro suo "amico".
Quando raggiungo il pube la mia eccitazione tocca il parossismo. La ragazza è
perfettamente depilata ad eccezione di una sottile striscia di peluria talmente
bionda da essere percepibile solo al tatto.
Mi concedo del buon sesso per una mezz’ora, poi mi esaurisco soddisfatto.
Non provo nemmeno a credere di esser stato all'altezza della mia compagna. Lo
scopo di questo tipo di relazioni non è concedersi un mutuo soddisfacimento.
Cinzia però resta una professionista anche in questa circostanza si dimostra, se
mai possibile, anche più soddisfatta di me.
Poi si alza e va in bagno.
Mentre la guardo allontanarsi, camminando come una modella sulla passerella,
convengo con me stesso che è straordinariamente attraente e vale tutto il denaro
speso; ma è pur sempre un’escort che ubbidisce unicamente alla legge della
domanda e dell’offerta.
La sua compagnia mi appaga sotto la cintura, ma la mia testa rimane abbastanza
indifferente alle meraviglie della ventiduenne ora poco elegantemente seduta sul
bidet di finissima porcellana. Anche in questo momento la mia mente è devota alle
conversazioni che da diverse settimane condivide con Penny, una ragazza reale,
con problemi reali, emozioni reali, ansiosa di sperimentare quelle situazioni che la
mia fantasia crea appositamente per lei quando sono in chat.
Ogni volta che faccio sesso con Cinzia mi chiedo come sarebbe se al suo posto
ci fosse Penny, la piccola, dolce e spregiudicata preda che ho adescato in rete e
che mi concederebbe, praticamente gratis, quello che ora Cinzia mi sta fornendo a
caro prezzo.
Avevo trascorso ore a chattare con Penny. Pazientemente mi ero fatto carico dei
suoi problemi di adolescente, alternando osservazioni paternalistiche a pesanti
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allusioni sessuali.
Ascoltavo le canzoni che mi suggeriva e rispondevo con vecchi classici rock o
ballate struggenti che descrivevano perfettamente quelle emozioni di cui Penny
aveva bisogno. Di cui tutti a quell’età abbiamo bisogno.
Dopo qualche settimana di conversazioni "leggere", avevo cambiato passo. Ero
riuscito ad avere il suo contatto MSN e poi anche quello Facebook, anche se
nonostante questo, non ero ancora riuscito a vederla in fotografia.
Sul profilo del social network Penny non aveva caricato fotografie o, come mi
aveva detto, non le aveva condivise con me. Non ero nemmeno riuscito ad avere
quelle caricate nel suo file scolastico personale a cui avevo avuto accesso grazie a
un amico e una buona mancia.
Nonostante le avessi più volte richiesto di inviarmi delle foto, Penny mi aveva
sempre opposto una garbata resistenza che non avevo mai ritenuto di forzare per
non incrinarne la fiducia.
La descrizione che lei stessa mi aveva fornito era abbastanza standard: "1.60, 50
kg, castana, occhi chiari, 3a". Nient'altro e, si sa, in chat le descrizioni fornite dagli
utenti non sempre corrispondevano alla realtà.
Mi sarebbe scocciato non poco scoprire che la ragazzina in realtà si ingozzava di
cheeseburger o di cibo cinese a buon mercato. Però, nonostante tutte queste
incertezze, quello era dopo mesi il primo vero contatto interessante e non
intendevo rinunciarci.
Quando torna a letto profumata di qualche essenza dal nome tanto esotico da
non poter costare meno di cento euro la boccetta, Cinzia mi bacia con studiata
passione e sussurra un diabolico:
« Sei un porco. Mi hai fatta venire subito ».
« Me ne sono accorto », rispondo stando al gioco. « Ma adesso ti prego di andare
perché devo davvero mettermi al lavoro ».
Poi, come se stessi dettando una nota a una delle mie segretarie aggiungo: « Ah,
potrebbe succedere che venerdì, al ricevimento, ti presenti un tizio della Regione,
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un dirigente, uno con cui debbo fare bella figura… ho bisogno che lui sia
bendisposto nei miei confronti. Se lo farai contento ti farò un bel regalo...
promesso ».
« Se vuoi che venerdì mi faccia scopare da qualche vecchio grassone per farti
vincere qualche appalto, voglio subito duemila euro. Se poi vincerai l'appalto me
ne darai altri quattromila. Ricordati che studio economia e commercio e so
benissimo dove e come verificare se un certo architetto si è aggiudicato una
fornitura pubblica, quindi non pensare di fottermi ...amore ».
La fisso interdetto e con un sorriso mi complimento con lei: « Sei una puttanella
in gamba », e concludo allungandole una pacca sul culo sodo.
« Grazie », rispose lei baciandomi e carezzandomi voluttuosamente in mezzo alle
gambe.
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3.
Paolo Lo Svejo.
Nessuno della municipale, della stradale o dei carabinieri in servizio al
Laurentino aveva mai avuto l’interesse, o forse il coraggio, di fermare Paolo lo
Svejo quando in sella alla sua Aprilia 125 staccava a centodieci all’ora dalla via
Laurentina per immettersi su via Cristoforo Colombo, per poi arrivare in fondo
alla strada a scorrimento veloce e impennare il piccolo bicilindrico sulla ruota
anteriore.
Paolo non aveva ancora compiuto diciassette anni ma aveva alle spalle un
curriculum da delinquente di tutto rispetto e davanti a sé, sempre nello stesso
ramo, una fulgida carriera. Nonostante spacciasse dall’età di quattordici anni,
rubasse il rubabile da quella di tredici e occasionalmente avesse rapinato qualche
anziano appena fuori dall’ufficio postale, Paolo non aveva mai fatto un giorno in
riformatorio, non era mai stato trattenuto una sera in caserma né aveva messo
piede su un’auto della polizia.
Lo “Svejo” non era un soprannome scelto a caso ma un riconoscimento per le
sue capacità di delinquente che si era guadagnato sul campo.
Dal momento che però gli “svegli” non passano mai inosservati, né da parte
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della polizia né da parte della criminalità vera, Paolo era tenuto sotto controllo
tanto dagli uni quanto dagli altri.
Così era stato costretto a farsi più svejo di prima. Aveva ridotto i furtarelli, gli
scippi e lo spaccio davanti alle scuole, per crearsi una nicchia di mercato che gli
permettesse di conservare la sua indipendenza e libertà.
Da qualche settimana aveva preso a frequentare i ragazzi “bene” della capitale, a
farsene amico qualcuno e a soddisfare le loro bizzarre richieste garantendo
discrezione e tempestività del servizio. Ovviamente il prezzo praticato da Paolo
teneva in debito conto entrambe le caratteristiche.
Ma da qualche tempo le richieste di alcuni clienti dello “Svejo” si erano fatte più
particolari, la coca e le altre sostanze avevano lasciato il posto a qualcosa che
persino Paolo si trovava in difficoltà a procurare. Da qualche mese la clientela
altolocata di Paolo aveva preso a chiedergli di procurare loro ragazzine e ragazzini
provenienti dalla profonda periferia, che poi esibivano come animali esotici alle
feste più riservate.
All’inizio anche “lo Svejo” aveva avuto dei dubbi, quasi morali, a soddisfare le
richieste dei suoi nuovi amici; ma con il guadagno che questo nuovo servizio gli
aveva fruttato la prima serata ogni dubbio si era dissipato come una nevicata sul
grande raccordo anulare.
Così Paolo aveva ripreso a frequentare le scuole del quartiere dove era cresciuto,
ma non per completare gli studi bensì per procurarsi il “materiale” da vendere ai
suoi amici vip.
Fermò la sua Aprilia davanti all’istituto tecnico commerciale di Viale Africa e
attese l’orario di uscita.
Alle quattordici i ragazzi sciamarono fuori dalla scuola e in breve si dileguarono
per le strade come se temessero che qualcuno potesse richiamarli in aula.
Jenny Tortarolo spiccava tra le sue compagne distinguendosi come un brillante
su un panno nero.
Aveva da poco compiuto tredici anni. Era alta, magra e con un seno e dei fianchi
non più adolescenti che catalizzavano l’attenzione di ogni maschio che incrociava.
L’età di Jenny era riconoscibile solo guardandola in viso. Cioè, se mai qualcuno
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fosse riuscito a staccare gli occhi dalle sue curve e salire fino al viso allora si
sarebbe accorto che quel corpo apparteneva a una ragazzina e non a una donna.
« Ciao, Paolo », disse Jenny illuminandosi alla vista di una delle leggende del
Laurentino, « cosa ci fai qui ? ».
« …Secondo te? », le rispose mentre si chinava su di lei per baciarla con mestiere.
« Ehi… ma… davanti a tutti… », cercò di schermirsi Jenny tradendo però la
gioia di essere considerata “la tipa” di uno dei ragazzi più conosciuti e temuti della
zona.
« Sei la mia ragazza o no? », le chiese Paolo tenendole il mento tra le dita «
Adesso non posso baciare la mia ragazza dove e quando voglio? ».
« Bè… Sì certo che puoi », gongolò lei baciandolo a sua volta; « ma come mai sei
qui? ».
« Speravo che oggi saremmo stati un po’ insieme », rispose lui. « Ho un casco in
più. Pensavo che saremmo potuti andare al mare o da qualche altra parte, tu ed io.
E poi, sai, volevo parlarti di quella cosa, si insomma, di quella festa a cui ti avevo
accennato ».
« Ma… francamente, io dovrei andare a casa. Cioè avevo detto ai miei che sarei
andata a casa a studiare », tentennò Jenny incerta sul da farsi.
« Ma i tuoi non sono a casa. Che ti frega? Stai con me no? », replicò Paolo senza
apparire troppo insistente.
« Okay, ma alle cinque voglio che mi riporti a casa. Promettimelo! ».
« Promesso piccola », le disse baciandola ancora una volta e porgendole il piccolo
casco spagnolo regolarmente non a norma.
« E vai piano che ho paura su quest’affare », aggiunse la ragazza.
Arrivarono alla spiaggia di Ostia dopo aver commesso diverse infrazioni e
ignorato parecchia segnaletica. Paolo parcheggiò la moto vicino al chiosco di un
tale che durante l’estate riforniva di pasticche. Gli lasciò i caschi e si fece dare due
lattine di coca cola ghiacciate.
« Ma conosci proprio tutti tu », disse Jenny come se conoscere un bibitaro di
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Ostia equivalesse a conoscere “tutti”.
« E’ il mio lavoro conoscere le persone », si difese lui come se spacciare fosse
davvero un mestiere.
« Sei bellissima, lo sai, Jenny ».
« Non è vero però mi piace se sei tu a dirmelo ».
« No, è la verità, lo sai, hai due occhi che parlano e poi il resto », disse
ammiccando al corpo. « Beh, se gli occhi parlano il resto urla ».
Paolo “lo Svejo” era sveglio anche con le ragazze.
Non che servisse una grande abilità a sedurre una tredicenne in piena tempesta
ormonale, ma Paolo ci sapeva comunque fare perché Jenny non era affatto una
ragazza facile. Nutriva ancora sogni da teenager come fare la modella o l’attrice, o
anche solo un provino per “veline”, ma era convinta che ci sarebbe riuscita con le
sue doti e senza andare a letto con questo o con quello. Era in quest’ultima parte
che risiedeva l’infantilità del sogno.
« Hai pensato se venire alla festa di cui ti ho parlato? ».
« Si ci ho pensato, vorrei tanto venire però di sera i miei non mi fanno uscire, te
l’ho detto », disse Jenny imbarazzata a doversi comportare come la ragazzina che
in realtà era e non come la donna che avrebbe voluto essere.
« Inventati una scusa, dì che vai a dormire da una tua amica, che vai a studiare
da… come si chiama… da Claudia… che poi ti fermi a dormire da lei. Lo hai già
fatto no?! Poi ti vengo a prendere e andiamo alla festa… c’è gente giusta e con il
grano. Davvero ».
Jenny aveva già pensato a inventarsi una scusa del genere ma aveva paura di
essere scoperta e, in fondo, non voleva mentire a sua madre.
« Dai Jenny se non cominci a frequentare i posti giusti non te ne andrai mai dal
Laurentino e non riuscirai mai a fare la modella né tantomeno l’attrice ».
« Conosco te. Non mi basta per uscire da quel buco? ».
Se “lo Svejo” avesse avuto dei sentimenti, l’onestà e il candore con cui Jenny
aveva pronunciato quell’ultima frase l’avrebbero certamente colpito. Ma non si
diventa “lo Svejo” del Laurentino a colpi di sentimenti.
« Sei dolcissima Jen. Ma no, non ti basta conoscere uno come me. Io non sono
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nessuno. Però conosco chi conta e se ti fidi di me posso metterti in contatto con
la gente giusta che porterà te e tua mamma via da quel posto del cazzo ». L’ultima
parte della frase era l’unica alla quale davvero credeva anche lui.
« Veramente credi che potrei conoscere qualcuno che mi possa lanciare nel
mondo dello spettacolo? Magari c’è qualcuno che conosce la De Filippi ».
« Magari c’è proprio la De Filippi ».
« Cazzo dici davvero? …cioè scusa non volevo dire cazzo! », esclamò la ragazza
infervorata all’idea di poter conoscere l’unica romana importante e conosciuta
quasi come il capitano della “mmaggica”.
« Allora che fai ci vieni? ».
« Si! », civettò lei. « Mi organizzo con Claudia e ti faccio sapere d’accordo? ».
« Brava. E’ così che si fa! », disse lui schioccandole un bacio.
« Bè? Tutto qua quello sai fare? ». Jenny lo attirò a sé, richiedendo qualche
attenzione un po’ più significativa di un bacio a stampo.
Paolo si trattenne a stento dallo strapparle i vestiti di dosso quando avvertì il
calore del suo corpo contro di lui; ma era un professionista e i professionisti seri
non scherzano mai sul lavoro.
« Sai, Paolo, è per questo che mi piaci… », disse Jenny staccandosi un poco da
lui.
« Perché? ».
« Perché non sei proprio “svejo” in tutto. Per esempio non mi hai mai chiesto di
farlo… e se volessi, cioè insomma… hai capito… tu e io… ».
Paolo aveva capito che poteva scoparsi Jenny la seconda volta che le aveva
parlato, ma il tizio per cui stava lavorando da qualche mese a quella parte era stato
categorico: gli aveva richiesto una ragazza bella, ingenua e soprattutto vergine.
Valore del pezzo diecimila euro.
Paolo lo Svejo non aveva mai visto diecimila euro tutti insieme e non se li
sarebbe lasciati scappare per non esser stato capace di tenere l’uccello a freno.
« Beh, vedi Jenny », Paolo iniziò la sceneggiata. « Il fatto è che tu sei speciale… e
non voglio rovinare tutto. Non voglio che pensi che di te mi interessi solo il sesso.
Mi piacerebbe farlo certo, ma adesso non mi sembra ancora il momento. Scusami.
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Tu magari ne avevi voglia ».
“Scusami. Tu magari tu ne avevi voglia”; ma come cazzo l’aveva pensata una
frase del genere? Avrebbe meritato l’Oscar della sfacciataggine.
« Si, vabbè… cioè no, oh insomma… lasciamo perdere va bene? », fece Jenny
fortemente a disagio dalla inaspettata reazione del ragazzo.
Si baciarono ancora per un po’, e Paolo la riportò a casa con dieci minuti di
anticipo, come un gentiluomo d’altri tempi. Le diede un bacio sulla guancia e
attese che lei entrasse nel portone.
Mentre Jenny saliva le scale ubriaca di felicità, Paolo stava pensando a quale
“amica” chiamare per sfogarsi un po’.
Il pomeriggio passato a strusciarsi contro quel corpo da sogno lo aveva portato
su di giri, e adesso aveva bisogno di rilassarsi un po’.
Prese il Blackberry “di servizio” dalla tasca e vide che aveva ricevuto un
messaggio. Lo lesse e sul momento non capì. Aveva ricevuto un gruppo di numeri
che corrispondeva a un indirizzo IP. Il mittente, come sempre, era sconosciuto
ma Paolo sapeva bene chi glielo aveva inviato. Lasciò perdere l’amica e si diresse a
un internet point per verificare l’indirizzo web.
Non sarebbe stato prudente collegarsi da casa.
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4.
Visit Capraia.
« No, dottoressa Venturi, l’ispettore Meltemi non è ancora arrivato… No… non
so esattamente quando rientrerà… Si, dottoressa, penso che dovrebbe essere qui
da un momento all’altro… Certo, la faccio chiamare appena arriva… Sì, sì,
l’ispettore ha il numero… sì, anche quello del cellulare… Grazie a lei dottoressa…
a rivederla… ». Il maresciallo Risi appoggiò la cornetta con cautela come se
temesse che la procuratrice dall’altro capo lo potesse redarguire. Poi alzò gli occhi
sul suo superiore dall’altra parte della scrivania.
« Ispettore, la Venturi è incazzata di brutta maniera ».
« E’ tutta colpa di quel fighetto di Allegri. Scommetto che le è andato a parlare e
le ha fatto capire che sto portando avanti l’indagine senza la sua autorizzazione ».
« Comunque sia la Venturi ora lo sa e ci farà un culo quadrato ».
« Stai tranquillo Michele, me ne occupo io. Dammi tutti gli incartamenti e i dvd
con salvate le conversazioni e le intercettazioni elettroniche. Vado dalla dottoressa
adesso e le parlo. Tranquillo », ripetè.
« La sbranerà. Anche se le piace, la farà a pezzi ».
« Al diavolo, Michele! Sii un po’ più positivo e augurami in bocca al lupo »,
rispose Meltemi mentre arraffava plichi di documenti e li cacciava alla bell’e
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meglio in una borsa.
« Conosce un avvocato che si intende di procedimenti disciplinari? …Uno
bravo? », urlò il maresciallo Risi in direzione del suo superiore mentre scendeva le
scale.
Per tutta risposta Meltemi alzò un dito della mano che aveva libera.
Mezz’ora dopo Massimo Meltemi era davanti alla porta della Cancelleria del
Pubblico Ministero Ilaria Venturi e chiedeva alla segretaria di essere annunciato.
« Si accomodi, ispettore », disse la procuratrice con tono affabile.
« Grazie dottoressa. Mi scuso se l’ho disturbata ma è una questione… », esordì
l’ispettore mentre si infilava nella stanza della procuratrice.
« Posso farla sospendere, lo sa, vero? », lo raggelò il magistrato mentre chiudeva
la porta alle loro spalle, « Probabilmente anche degradarla. Sicuramente posso
farla trasferire. Ma lei ai trasferimenti è abituato, vero? Come pensa sarà la Capraia
in novembre, ispettore? »
La dottoressa Venturi era proprio una gran bella donna.
Aveva superato da poco la trentina, un fisico asciutto e una chioma di capelli
biondo cenere che incorniciavano un volto elegante con gli zigomi alti. Gli occhi
erano leggermente a mandorla, scuri come il suo umore in quel momento e
penetranti come lame. Le labbra, piene, non avevano bisogno di trucco e in quel
preciso momento tremolavano leggermente per la rabbia.
« Voglio sapere perché mi ha presa per il culo ». Sì, aveva detto proprio “presa
per il culo” e sì, decisamente era incazzata di brutta maniera come aveva
acutamente osservato il maresciallo Risi.
« Chi cazzo si crede di essere, eh? ». Sì, aveva detto anche “chi cazzo si crede di
essere”.
Non era affatto un buon segno.
Meltemi si mosse a disagio.
« Lei sta di fatto conducendo un’indagine senza l’autorizzazione di nessun
pubblico ministero di questa procura… o di altre in Italia, penso. Mi dica, le è
sfuggita la riforma del codice di procedura penale del ’96 o pensa che le regole
valgano solo per gli altri? ».
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Una pausa retorica prima di continuare a investirlo.
« Ha approfittato della mia disponibilità e ha condotto un’indagine per conto suo
di cui nessuno, qua in Tribunale, sa nulla. E non è un’indagine qualunque, no, lei
sta cercando di incastrare uno dei professionisti più influenti di Roma e dell’intero
Paese. Mi dica Meltemi, qual è il suo problema? Soffre di delirio di onnipotenza,
invidia del pene o è soltanto molto stronzo? ». Dal tono, Meltemi capì che non era
il caso di scommettere su quale risposta la Procuratrice avrebbe scelto per la sua
stessa domanda.
« Dottoressa Venturi… se mi permette… ».
« Direi che si è già permesso a sufficienza in questi giorni. Mi lasci quello che mi
deve lasciare e se ne vada ».
« Vede, dottoressa, bisognerebbe che le spiegassi a che punto sono le indagini
e… ».
« Se ne vada » sibilò il pubblico ministero. « Immediatamente e non si azzardi a
continuare l’indagine senza un mio provvedimento perché altrimenti la faccio
licenziare. Sono stata chiara? ».
« Cristallina », bofonchiò Meltemi sgattaiolando fuori dall’ufficio.
Mentre scendeva le scale del palazzo di giustizia Massimo incrociò il capitano
Valerio Allegri.
« Buongiorno ispettore capo, ci vediamo questo pomeriggio al de-briefing? »,
chiese il capitano cercando di trattenere un ghigno soddisfatto.
« Si fotta, Allegri » gli consigliò Meltemi passando oltre.
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5.
Gli altri casi.
Mezz’ora dopo essere uscito dalla stanza della dottoressa Venturi, Meltemi era di
nuovo seduto alla sua scrivania mentre Michele Risi e Annalisa de Nicola stavano
in piedi davanti a lui aspettando delle indicazioni che non arrivavano.
« Ispettore, cosa facciamo adesso? ».
« Cominciate ad annullare il briefing con una comunicazione e-mail breve senza
giustificazioni. Poi ci mettiamo a lavorare sui casi che avevamo lasciato indietro.
Pay to pain e... com’è che hanno chiamato quell’altro? ».
« Occhi di gatto ».
« Si giusto, quello. Lavoreremo su questi due. Forza ragazzi, non perdiamoci
d’animo ».
Meltemi sapeva bene che dopo la bravata dell’indagine sull’architetto Rossini, la
sua carriera era nelle mani della Venturi; e sapeva pure che l’unico modo per
salvarsi il posto e la pensione era risolvere due casi che languivano nello schedario
e che lui stesso aveva deciso di accantonare per dedicarsi a incastrare uno dei vip
più in vista della capitale.
Entrambe le indagini che aveva richiesto ai suoi di riesumare erano state
classificate come prioritarie e una delle due era stata sponsorizzata dal vicecapo
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della polizia, ma lui non aveva dato peso a nessuna delle due.
Annalisa ritornò per prima tenendo in mano un fascicoletto striminzito.
« Cosa ti sei scelta? » chiese Meltemi.
« Occhi di Gatto ».
« …son tre sorelle che han fatto un patto… », canticchiò di rimando Risi
entrando nella stanza con l’altro fascicolo tentando di alleggerire la tensione.
Annalisa si voltò guardandolo in tralice.
« Beh? …che c’è? Non hai mai visto il cartone animato? Lei se lo ricorda capo?
Io lo guardavo sempre, la mia preferita era la sorella di mezzo com’è che si
chiamava? Shila? ».
« Sheila », lo corresse Meltemi.
« E’ sicuro capo? … A me pareva fosse Shila ».
« No, Michele, si chiamavano Kelly, Sheila e Tati. Shila sarà stata qualcuna, o più
probabilmente qualcuno, che hai conosciuto in rete », sorrise l’ispettore.
« Allora il cartone piaceva anche a lei… ».
« Io in realtà lo guardavo perché dopo trasmettevano Lamu ».
« Ah sì, quella che veniva dallo spazio e a cui scappava sempre il reggiseno ».
Annalisa li fissava interdetta.
Michele se ne accorse e disse: « Ehi Annalisa, non è colpa mia se danno dei nomi
cretini alle indagini per farci credere di essere all’FBI! Che poi a voler essere
precisi Occhi di Gatto erano tre ladre mentre qua… ».
« D’accordo, Michele », intervenne l’ispettore. « Abbiamo capito. Lasciamo che
Annalisa ci rinfreschi il caso ».
Annalisa scosse la testa e cominciò:
« Negli ultimi cinque mesi sono state denunciate quattro aggressioni ad altrettanti
ragazzi di età compresa tra i quattordici e i diciassette anni che hanno conosciuto
l’adescatore via web, lo hanno incontrato chi a feste e chi in discoteca e hanno
subito violenze più o meno gravi. Inoltre, tutti provengono da famiglie agiate.
L’ultima vittima è il figlio di un senatore: è stato aggredito tre settimane fa durante
una festa nei pressi di Civitavecchia. Lo hanno ritrovato la mattina dopo in riva al
mare, completamente fatto, e con un vibratore… beh… potete immaginare
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infilato dove e numerose incisioni su tutto il corpo. Non erano letali, certo, ma
sono state praticate in modo tale che gli rimanessero per sempre delle cicatrici.
Sembrano simboli magici ma non saprei dire di più ». Annalisa si interruppe un
attimo per guardare le foto delle ferite praticate sul ragazzo e passarle ai colleghi.
I tre le guardarono interrogandosi sul loro significato.
Era come se il ragazzo fosse stato indeciso su quale tribale farsi tatuare e poi
avesse optato per tutti quelli presenti sul catalogo.
« Non abbiamo nessun identikit dell’aggressore, sappiamo solo che è molto
giovane, attraente e che è una donna ».
Annalisa tenne per ultima l’informazione che rendeva “Occhi di Gatto”
un’indagine particolare: il sesso del violentatore, o meglio, della violentatrice.
A quanto ne sapevano, nessuno aveva mai avuto a che fare con una molestatrice
che, stando alle scarne descrizioni delle vittime, era pure giovane e attraente.
Gli episodi di violenza su minori da parte di donne non erano infrequenti, ma
nessuno aveva sfondo sessuale.
Nonostante questa particolarità Meltemi non l’aveva mai ritenuta un’indagine
prioritaria. Non gli pareva il caso di dedicare troppe risorse a cercare una bella
ragazza che aveva usato la mano pesante con quattro adolescenti in cerca di sesso
facile tramite la Rete.
Pur non apprezzando le motivazioni che si era dato, aveva lasciato indietro
quell’indagine. Cioè, a essere precisi neppure l’aveva iniziata.
Riteneva di essere a un punto cruciale nell’indagine su Rossini, a cui da mesi
aveva dedicato tutte le sue energie e quelle della sua squadra. Un altro errore o,
semplicemente, un altro buco nell’acqua e, come aveva preconizzato Allegri, la sua
carriera sarebbe finita alle ortiche. Inoltre, sexdaddy avrebbe continuato a stuprare e
plagiare ragazzine più o meno indisturbato.
Per questo motivo, fino a quel momento non aveva sottratto nessuna risorsa
dalla sua indagine; né aveva intenzione di farlo per fare una bella figura con
qualche dirigente amico del sindaco, di un senatore della Repubblica o fosse anche
del Presidente del Consiglio.
Ma ora Massimo per la faccenda di Rossini rischiava di trovarsi nella merda, e
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fare qualche favore a qualcuno ben introdotto avrebbe potuto essergli di aiuto per
non trasferirsi alla Capraia.
« Elementi in comune con le altre aggressioni? », chiese l’ispettore.
« Le feste, l’estrazione sociale delle vittime e il tipo di violenze subite. Tutti i
ragazzi, tranne il primo, il più piccolo, sono stati seviziati subito dopo feste molto
eleganti riservate ai rampolli delle migliori famiglie della città o della regione. Tutti
sono stati drogati, malmenati, sfregiati e si sono ritrovati con un giocattolo erotico
nel didietro ».
Annalisa de Nicola era visibilmente a disagio nel descrivere il caso ma insisteva
pervicacemente nel voler concludere la relazione.
« Due ragazzi, compreso l’ultimo, studiano al Giulio Cesare, gli altri frequentano
scuole o licei privati. Uno è di Latina. C’è poi un altro problema. Nessuno di loro
vuole parlare. I verbali di interrogatorio sono brevissimi, perché è evidente che i
maschietti si vergognano molto di più delle ragazze a raccontare di aver subito una
violenza. Tanto più da parte di una femmina ».
« Come prende il primo contatto? ».
« Non c’è scritto. Cioè, i colleghi che hanno redatto i verbali hanno messo, cito
testualmente: “tramite internet” ».
« Coglioni… », aggiunse sottovoce la consulente.
« Partiamo da quello. È l’unica cosa che abbiamo ».
« In che senso, scusi? ».
« Nel senso che tu e Michele ritornerete a interrogare le vittime e cercherete di
capire da dove hanno stabilito il primo contatto con Occhi di Gatto; e auguriamoci
di trovare qualche coincidenza. In questo modo avremo un punto da cui partire
per metterci in caccia anche noi. Chiamate le famiglie dei ragazzi e fissate degli
appuntamenti per andare a parlare con loro già da lunedì. D’accordo? ».
« Ma… io pensavo di occuparmi di Pay to Pain… » disse Risi.
« Annalisa è una consulente, non può interrogare nessuno. Per questo vi
occuperete di Occhi di Gatto”, insieme ».
Risi fece un smorfia e posò il fascicolo sulla scrivania del suo superiore.
« Rinfrescami su Pay to Pain. Me ne occuperò io… » .
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« Abbiamo ricevuto due segnalazioni da altrettanti informatori che ci hanno
riferito dell’esistenza di un sito di streaming video, nel quale i visitatori si
collegano in remoto per richiedere determinate prestazioni sadiche su una vittima
non consenziente. Gli spettatori richiedono al soggetto agente che è presente nella
stanza da cui il sito trasmette di fare determinate cose e fanno le loro offerte:
cento euro per uno schiaffo, trecento per un calcio, mille per abusarne analmente
e via discorrendo… Il prezzo in realtà varia molto a seconda della complessità
della perversione come aghi nei capezzoli, morsetti nelle parti intime e amenità di
questo genere ».
« Non stai scherzando, vero? », lo interruppe sconcertata Annalisa che non aveva
mai sentito parlare di Pay to Pain.
« Questo è quello che l’informatore ci ha raccontato. Pensiamo che chi ci ha
fatto la soffiata si sia connesso per curiosità, e quando si è reso conto di quello che
poteva succedere si è scollegato al volo ».
« Nessuno ha registrato quello che stava guardando? », intervenne Meltemi.
« Uno sì. Ci ha portato il file, ma non l’ho ancora visto. Non deve essere molto
lungo. Ecco, è questo… », disse Risi sporgendo a Meltemi una scheda di memoria
SD.
« Sedetevi. Lo guardiamo subito ». L’ispettore inserì la scheda nel lettore, avviò il
mediaplayer e girò il monitor in modo che anche i suoi collaboratori potessero
vederlo
Lo schermo restituì l’immagine in alta definizione di un ambiente curiosamente
rasserenante: una stanza ampia, arredata con colori vivaci, un bel letto a una
piazza e mezza rassettato con ordine, qualche pelouche e molta luce. Quello che
colpiva era la luce.
Tutti e tre si erano aspettati di vedere un luogo sporco, in penombra, con la
telecamera amatoriale piazzata alla bell’è meglio su una mensola.
La maggior parte dei video realizzati dai pedofili riprendevano le loro vittime,
spesso le loro figlie o nipoti, in qualche camera della loro casa che veniva tenuta
volutamente in penombra perché non si riconoscesse questo o quel particolare:
per gli uomini della Postale, solo quella era l’ambientazione possibile di un video
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del genere.
Ma nelle immagini che stavano attentamente fissando non c’era nulla di tetro o
inquietante: stavano guardando un set fotografico predisposto, con gusto, da
autentici professionisti.
Qualche istante dopo nell’inquadratura entrò una ragazza troppo giovane e
carina che indossava un paio di short molto attillati e una canotta senza niente
sotto.
La ragazza stava guardandosi alle spalle come stesse cercando qualcuno che era
rimasto indietro. Era in imbarazzo ma non sembrava spaventata. Non ancora
perlomeno.
La telecamera cambiò inquadratura e zoomò sul suo viso.
C’era una regia.
Tutti e tre si guardarono esterrefatti: c’era qualcun altro che manovrava la
telecamera.
L’immagine era stabilizzata, non si muoveva come avrebbe dovuto essere se a
impugnare la macchina da presa fosse stato chi seguiva la giovane. Le riprese
provenivano da un apparecchio fissato a un qualche tipo di supporto e manovrato
da qualcuno che si trovava nella stanza o addirittura in remoto.
Se era davvero un video di violenza e pedofilia organizzato come un videoclip
era davvero preoccupante perché significava che alle spalle doveva esserci
un’organizzazione attrezzata e con grandi risorse.
Mentre i poliziotti pensavano al contesto, sullo schermo la ragazza veniva
raggiunta dal suo accompagnatore che si muoveva sempre dando le spalle alle
telecamere.
Il bastardo si spostava senza farsi inquadrare mai in volto: appariva disinvolto
con la sua amica, che disse qualcosa sulla luce che le sembrava troppo forte.
Allora il tipo sparì dall’inquadratura e le luci nella stanza si attenuarono a
eccezione di quelle sul letto.
Nell’inquadratura successiva lui era di nuovo con lei. Adesso la stava spingendo
delicatamente verso il letto facendola sedere proprio di fronte alle telecamere
mentre lui rimaneva sempre di spalle. Poi si allontanava.
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Poco dopo i due erano di nuovo insieme. Il ragazzo, adesso, aveva due bicchieri
in mano. Si chinò su di lei per baciarle le spalle e porgerle un calice pieno di
qualcosa che forse poteva essere vino.
« Nonberenonberenonberenonberenonbere, ti prego non bere », sussurrò
Annalisa come se davvero potesse parlare alla ragazza del video.
Ma la ragazzina non la ascoltò e tracannò il contenuto del bicchiere in un sorso.
Forse aveva bisogno di farsi coraggio.
« Cazzo, no! », esclamò di nuovo la De Nicola distogliendo lo sguardo dal
monitor.
I due si baciarono per qualche minuto, poi la ragazzina cominciò a dare cenni di
un leggero stordimento. Con inaspettata cautela il ragazzo la sdraiò sul letto
mentre continuava a baciarla.
Quindi, stando sempre attento a non farsi riprendere in volto, armeggiò nel
cassetto a fianco del letto e ne estrasse due paia di manette. La ragazzina non
parve nemmeno accorgersi di venire bloccata al letto.
All’improvviso sul video comparve un box suddiviso in due colonne: su una
erano indicate delle azioni, sull’altra dei valori in euro. A ogni azione
corrispondeva un prezzo: per uno schiaffo (slap) cinquanta euro, una frustata (lash)
cento euro, per un tentativo di strangolamento duecentocinquanta euro e così via.
Nell’ultima riga della tabella campeggiava la scritta “type here your preference”.
Le colonne iniziarono a lampeggiare e nei box comparvero le prime richieste.
Solerte, il ragazzo si avvicinò alla vittima e prese a schiaffeggiarla, poi le
strappò la camicetta e le assestò una frustata sul petto indifeso.
La poveretta lanciò un grido terrificante. Annalisa si alzò e si allontanò dalla
scrivania mentre Meltemi abbassava il volume. L’inquadratura cambiò ancora per
fare un primo piano del volto sconvolto e terrorizzato della ragazzina. Nonostante
il trucco pesante non doveva avere più di quattordici anni.
Il ragazzo continuava ad abusare di lei mentre la telecamera indugiava sugli
occhi colmi di lacrime della poveretta.
A quella gente non interessava pagare per vedere del sesso, quanto infliggere
dolore alla vittima.
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Erano di fronte a gente pericolosa e organizzata che serviva una clientela
disturbata e con notevoli risorse finanziarie.
Poi all’improvviso il video si interruppe. Evidentemente chi si era connesso
non aveva retto alle scene e aveva ritenuto di scollegarsi prima di assistere a
qualcosa di davvero brutto.
Per un paio di minuti nessuno parlò. La De Nicola era rientrata con un
fazzoletto di carta in mano mentre i due uomini cercavano di ostentare
indifferenza e vagavano con lo sguardo per la stanza.
« Dovremmo avere gli i.p. statici della connessione », disse a un certo punto
Annalisa rompendo il silenzio innaturale in cui la stanza era franata.
« Gestiscono tutto con indirizzi dinamici », constatò neutro il maresciallo Risi.
« Per gestire un sito di streaming in buona qualità occorrono computer molto
potenti e connessioni stabili. Per reggere le connessioni dinamiche non tracciabili
occorrerebbero computer ancora più performanti, gruppi di continuità per
garantire un costante afflusso di corrente e altre attrezzature simili per stabilizzare
tutto il flusso di dati in uscita. Inoltre questo video mi sembra in alta definizione.
Quindi ancora più dati e ancora più banda impegnata. Devono per forza lasciare
una traccia, non possono certo trasmettere da uno scantinato o usare una
connessione adsl domestica », continuò la De Nicola.
« Lo penso anch’io, ma non abbiamo nessun riscontro su questo fronte ».
« Chi ci ha dato il video? » chiese Meltemi.
« Adriano Ricci. È un nostro informatore vive a Tor Vergata ».
« Bene. Passami l’indirizzo. Lunedì gli andrò a parlare ».
« Non penso sappia molto. Era molto scosso quando mi ha dato il video. Sono
convinto che quando ha capito che si era infilato in una cosa grossa se la sia fatta
sotto, abbia staccato tutto e sia corso a portarci il video »
« Vedremo », disse l’ispettore senza scomporsi.
« Della ragazza cosa sappiamo invece? ».
« Nulla. Non abbiamo denunce di aggressione di questo genere da parte di
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ragazzine così giovani. O ha paura o qualcuno l’ha convinta a non parlare o
entrambe le cose ».
« Ricavate una foto dal video e inviatela a tutte le scuole… quanti anni avrà?
Quattordici, forse quindici? Inviatela per prima alle superiori poi semmai la
mandiamo anche alle scuole medie e vediamo cosa succede ».
« Lo faccio io », disse Annalisa estraendo la memoria SD dal lettore.
« Già che ci sei fattene una copia ».
« E’ una gran brutta faccenda. Sei sicuro di volertene occupare da solo,
Massimo? ».
« Più che altro non abbiamo alternative. Annalisa non può lavorare da sola. I
tagli del nuovo governo ci hanno dimezzato le risorse e non abbiamo nessun altro
disponibile ».
« Mi riguardo il video e cerco di capire qualcosa del posto o del bastardo che
stava abusando di quella poveretta ».
« Va bene, io e Annalisa ci mettiamo a lavorare su Occhi di Gatto », disse Risi
guardandosi bene dall’intonare come di solito il motivetto del cartone animato.
Il cellulare di Meltemi vibrò per l’arrivo di un messaggio di Marta: “Ricordati
la festa per la raccolta fondi di questa sera all’Eur. Ciao. Baci”.
Massimo si era completamente dimenticato di quell’impegno e non aveva la
minima voglia di andarci. Ma la sua compagna ci teneva e dato che la loro
relazione pareva essere giunta al capolinea, fece uno sforzo per farla contenta.
Quindi rispose: “Si. Ma non ricordo a che ora dobbiamo vederci. Ciao. Baci”.
Il messaggio sarebbe stato letto da qualsiasi donna: “No. Non mi ricordavo affatto
della serata e nemmeno mi ricordo dove e a che ora sia”.
La risposta non tardò: “Tu pensa ad arrivare a casa per le 20”. L’assenza del
“ciao” e dei “baci” provava oltre ogni ragionevole dubbio che Marta era alquanto
scocciata della dimenticanza del compagno.
Meltemi guardò l’orologio, erano le sedici di venerdì, troppo tardi per andare a
cercare l’informatore e ancora troppo presto per tornare a casa.
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Non aveva voglia di rivedere il video. La prima volta gli era bastata, e
comunque non era affatto sicuro di poter individuare qualche particolare
guardandolo una seconda volta a così breve distanza dalla prima.
Riprese il fascicolo e analizzò i verbali, ma c’era poco da studiare. La notizia di
reato era stata raccolta da Righi e, a parte l’autorizzazione a procedere alle indagini
firmata dalla dottoressa Venturi, non c’era molto su cui lavorare.
Almeno stavolta c’era un’autorizzazione.
Gli unici elementi erano il video e il nome dell’informatore.
Dopo cinque minuti Massimo aveva già finito di studiare il fascicolo. Smise di
fingere di essere interessato all’indagine e avviò il programma della solita chat.
Cercò Little nelle varie stanze ma non la trovò.
Stava per uscire quando un nick attirò la sua attenzione: sexdaddy.
Fece per chiamare Annalisa ma si bloccò con la bocca aperta. Non era il caso
di complicarle una carriera da consulente precaria. Uscì dalla chatroom con l’account
maschile con cui era entrato e rifece la login con un nuovo e più attraente profilo
“Lisa14”.
Le finestre di contatto comparvero sullo schermo come gocce di pioggia sul
parabrezza quando arriva un temporale, prima lentamente e poi in modo
torrenziale. I “sei brava a succhiarlo” o i “ti piace a pecora” erano le frasi
d’apertura più utilizzate. Meltemi non faceva in tempo a chiudere le finestre che
quelle venivano sostituite da altre altrettanto volgari. Qualcuno esordiva con un
più conciliante “ciao ke fai di bello” poi, quasi pentito di esser stato così educato,
si affrettava ad aggiungere alla seconda riga un più sbrigativo “ce l’hai depilata?”.
L’ispettore bloccava gli utenti più in fretta che poteva ma quelli erano più
veloci di lui e non andava meglio con quelli che erano appena entrati nella chat.
Stava per perdere la pazienza quando comparve la finestra che aspettava
« Sarà dura rispondere a tutti quelli che ti chiedono se gliela daresti.. vero? »
Sexdaddy aveva fatto la prima mossa. Una frase abbastanza complessa, ironica ma
comunque con un chiaro riferimento sessuale. Non male. Era un ingresso deciso
ma ben fatto. Meltemi attese un minuto prima di rispondere
« Cazzo non ne posso più adesso mi scollego ».
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« Perché? ».
« Come perché? Tutti vogliono sapere se mi piace il fisting o il bukkake… e io
che cosa ne so? ».
« ;) Sei nuova di questa chat vero? ».
« Si perché ».
« Beh immagino che 14 siano i tuoi anni ».
« Esatto ».
« Prova a uscire e rientrare invertendo il numero… e vediamo se sei così
ricercata ».
« Eh? » Un po’ di stupidità non guastava mai.
« Rientra nella stanza con il nick lisa41, vedrai che non ti tormenteranno più ».
« Ok, se lo dici tu… ».
Meltemi fece come sexdaddy gli aveva chiesto e, come sapeva bene anche lui
lisa41 non avrebbe avuto tutto il successo di lisa14 e così fu. L’unico, o quasi che
gli chiese di chattare in privato fu di nuovo Sexdaddy.
« Allora? Continuano a importunarti? ».
« No. Grande! Sei forte tu. Quanti anni hai? ».
« 36. Mi sa che sono un po' troppo grande per te. Avrò l'età di tuo papà ».
« No. Cioè quasi, mio papà ha 42 anni. A me però piacciono gli uomini più
grandi. Il mio attore preferito è Jonnhy Depp… Dio morirei per lui ».
Meltemi continuò a rispondere alle domande di Sexdaddy e a fare in modo che
Lisa apparisse timida ma curiosa esattamente come il profilo del molestatore
richiedeva.
Quando gli sembrò di aver conquistato la fiducia della ragazzina, Sexdaddy
cambiò passo.
« Non mi hai ancora detto come sei fisicamente ».
« Normale, 1,60, 50 kg, castano chiara, seconda, magretta insomma. Spero non ti
piacciano quelle formosette ».
« Mi piacciono le ragazze simpatiche, magrette o formosette che siano ».
« E io come sono? ».
« Molto simpatica decisamente, mi piacerebbe continuare a chattare con te,
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anche in futuro intendo... ».
« Devi andartene? ».
« Tra un po' si. Ho un impegno nel tardo pomeriggio ».
« Che lavoro fai? ».
« Disegno ».
« Fico. Sei un pittore quindi? ».
« Quasi ».
« E di dove sei ».
« Provincia di Roma, tu? ».
« Ma dai anche io. Cioè io sono proprio di Roma ».
« Hai Msn? ».
« Perchè ? » .
« Perchè non è facile ritrovarsi qua dentro. Le stanze possono essere piene, i
nick già utilizzati e poi non si possono lasciare messaggi quando chi ti interessa
non è on-line. Se ci scambiamo l'indirizzo messenger posiamo scriverci anche se
non siamo collegati nello stesso momento ».
Meltemi ritenne che Lisa non doveva apparire troppo arrendevole.
« Mmm non lo so... non mi sembra il caso. Io msn lo uso con i miei amici di
scuola. Sai non vorrei che qualcuno mi chiedesse chi sei, e dove ti ho conosciuto.
Nessuno sa che io uso questa chat... i miei mi farebbero un mazzo tanto ».
Sexdaddy non rispose subito.
Bravo, fammi credere che ti sei risentito pensò Meltemi; attese circa un minuto
poi riprese a scrivere.
« Ehi c6? ».
Ancora silenzio.
« Ti sei offeso, dai... non volevo ».
« Eh, no scusa, stavo rispondendo a un'altra persona ».
« Ah, chatti anche con altre? ».
« Sono amici su Msn. Nessuno carino come te. Tranquilla ;), cos'è che mi stavi
dicendo? ».
« Di Msn... che non mi sembra il caso ».
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« Ah si vabbè tranquilla. Non è un problema.. è stato un piacere ma adesso devo
proprio staccare. Magari ci ribecchiamo ».
Ora lisa doveva cedere per non perdere il contatto con Sexdaddy.
« Dai… non voglio che ti inkazzi… ti lascio il contatto msn ».
« No, lisa tranquilla, non è il caso non mi offendo mica ».
« [email protected], il tuo? ».
« Ilsoledinotte anche il mio hotmail ».
« Mi scrivi però? Prometti? ».
« Ovvio, altrimenti non ti avrei chiesto il contatto ».
« Ci sentiamo presto. ».
Meltemi non aveva mai chattato da solo con Sexdaddy e quando staccò le dita
dalla tastiera si accorse che tremavano.
Sentì il bisogno impellente di alzarsi e uscire.
Stava per chiudere il collegamento quando notò il motivo per cui era entrato:
Little si era connessa.
Non sapeva da quanto: era talmente assorto a non sbagliare nemmeno una frase
con Sexdaddy che non si era accorto della sua presenza.
Guardò l’orologio.
Era passata un’ora da quando si era collegato. Da lì a poco sarebbe dovuto
tornare a casa e mettersi a chattare con Little, lo sapeva, non era una buona idea,
soprattutto non dopo aver chattato con un pedofilo.
Non era affatto una buona idea.
Fece la login e la invitò in una chat privata.
Little non rispose subito. Probabilmente stava parlando con qualcun altro.
Meltemi avvertì una fastidiosa fitta di gelosia.
Attese qualche minuto con un’irritazione crescente.
Alla fine lei rispose.
« Ciao ».
« Alla buon’ora, eri impegnata? ».
« Si e allora? ».
Mettersi a chattare con Little era stata davvero una pessima idea.
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« Ehi non è il caso che ti scaldi » .
« Sei tu che hai cominciato a farmi domande del cazzo… sono due giorni che
non ti sento e quando ti fai vivo dovrei risponderti appena scrivi? ».
In quel momento Massimo si rese conto che per tutti quei mesi in cui aveva
chattato con Little lo aveva fatto studiando una sorta di tattica: aveva pesato ogni
parola e misurato ogni frase, esattamente come aveva fatto fino a pochi istanti
prima con un molestatore.
All’improvviso realizzò che aveva bisogno di essere sincero e spontaneo; quindi
senza tanti preamboli scrisse:
« Voglio il tuo contatto Msn ».
« Scusa? Tu vorresti cosa? ».
« Voglio poterti lasciare un messaggio quando mi va. Dirti se oggi è una giornata
di merda o la più bella che abbia mai vissuto. Se la notte ti ho sognata o quanto mi
manca parlare con te ».
« Hai bevuto? ».
« No non ho bevuto. Lascia perdere quello che ti ho chiesto. Oggi non è stata
una gran giornata ».
« L’avevo capito. Il fatto è che io uso Msn per la scuola ».
« Si lo so non vuoi che i tuoi amici ti chiedano chi è quello lì o peggio che lo
facciano i tuoi genitori. Te l’ho detto, lascia perdere ».
« A quante stronzette lo hai già chiesto, scusa? ».
« A nessuna, e spero un giorno di potertelo spiegare ».
« littlelittle at live dot com ».
« Grazie ».
« Prego. Allora cercami dall’altra parte e usciamo di qua ».
Meltemi si scollegò dalla chat, avviò un programma per offuscare il protocollo
di connessione e rendere il proprio IP irrintracciabile, quindi si collegò a Messenger
con un profilo creato apposta per poter scrivere con Little.
« Quello nella foto profilo sei tu? ».
« Si ».
« Ma non avevi detto di avere 36 anni? ».
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« Quasi 37, a dire il vero ».
« Ne dimostri dieci di meno. Fammi vedere un’altra foto dai ».
« Aspetta un minuto » Meltemi condivise un’altra delle sue foto.
« Assomigli a quell’attore americano… come si chiama… ».
« Johnny Depp? ».
« No! …a Depp no, non sei così carino! Assomigli a uno più vecchio che adesso
mi sfugge ».
Continuarono a chattare fino a quando a Massimo non cadde lo sguardo
sull’orologio. Erano le sei e mezza.
« Io devo andare ora ».
« Esci stasera? ».
« Si, ho una specie di cena di beneficienza e sono già in ritardo ».
« Roba da vecchi ».
« Decisamente ».
« Ehi, ancora una cosa… non mi hai chiesto di farti vedere una mia foto. Non
mi era mai capitato di chattare con qualcuno tanto a lungo senza che mi chiedesse
di mandargli una mia foto ».
« Nuda immagino ».
« Beh, si ovviamente hahahaha. Non ti interessa sapere come sono? ».
« Mi piace già come sei … il nome piuttosto, vorrei saper il tuo nome per non
doverti chiamare sempre Little ».
« Rebecca. Becky per chi mi conosce bene ».
« Rebecca. Proprio un bel nome ».
« Becky, tu puoi chiamarmi Becky ».
« Ci sentiamo presto allora Becky ».
Quando Massimo riuscì finalmente a staccarsi dal computer era passata un’altra
mezz’ora ed era definitivamente in ritardo.
Marta lo avrebbe messo a perdere ma non gli importava.
Quell’ora trascorsa a parlare con Rebecca gli aveva messo addosso una strana
euforia che né la conversazione avuta con Sexdaddy, né Marta o la serata che lo
stava aspettando sarebbero riuscite a cancellare.
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6.
Massimo Meltemi.
Massimo Meltemi aveva quasi trentasette anni ed era in polizia da quindici.
Era nato in riva al mare e non se ne era mai allontanato fino a quando non era
stato chiamato per il servizio militare.
I suoi genitori, Lorenzo ed Emma Meltemi, possedevano uno tra gli stabilimenti
balneari più eleganti e redditizi della riviera di ponente che durante la stagione
invernale permetteva loro di viaggiare per il mondo o, semplicemente, di fare i
genitori a tempo pieno.
Come la stragrande maggioranza delle persone benestanti ma di semplici origini i
signori Meltemi pativano l’essere privi di un titolo di studio adeguato e,
stupidamente, invidiavano i “dottori” che frequentavano la loro spiaggia: gente
che per la maggior parte si vantava, più o meno educatamente, dei rispettivi ruoli
di responsabilità nella società.
Erano gli anni ’80, quelli dei soldi facili, dell’evasione fiscale imperante e della
quasi assenza di controlli.
Erano gli anni in cui chi aveva un “pezzo di carta” di studio adeguato poteva
ancora fare la differenza, ma anche quelli in cui la droga cominciava a diffondersi
tra la gente qualunque come un quotidiano sportivo, un’abitudine come un’altra.
Erano gli anni in cui la crisi economica che avrebbe travolto tutti di lì a poco più
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di vent’anni stava mettendo profonde radici, alimentando l’albero dell’apparenza
che esibiva foglie lucenti e frutti succosi che parevano non poter marcire né
cadere.
Lorenzo ed Emma erano persone semplici e volevano che Massimo, il loro unico
figlio, per giunta maschio, avesse il meglio dalla vita e che non fosse costretto,
come loro, a servire l’alta società ma che ne facesse parte.
I genitori di Massimo erano davvero delle brave persone, ma erano incapaci di
guardare la realtà per ciò che era o, peggio, di immaginarsi uno scenario diverso da
quello in cui vivevano.
Non vedevano infatti che le famiglie della buona società che tanto invidiavano,
trascorrevano unite, a malapena, il mese di agosto: per il resto dell’anno,
solitamente i padri, ma di lì a qualche anno lo avrebbero fatto anche le madri,
sgobbavano, esattamente come i signori Meltemi, da una luce all’altra,
concedendosi solo qualche occasionale svago con le collaboratrici o i colleghi di
turno.
Non vedevano che loro, l’inverno, potevano permettersi di viaggiare in ogni
angolo del globo quando invece i “dottori” rimanevano chiusi negli uffici a
lavorare e non vedevano i loro figli crescere. Non si rendevano conto che i
professori che la domenica, in spiaggia, pretendevano di essere serviti e riveriti,
negli altri giorni acconsentivano mestamente a che le mogli, più o meno annoiate
da una vita fatta di denaro e amanti, realizzassero la propria indipendenza
avviando attività che avrebbero certamente reso molto denaro anche a loro ma le
avrebbe tenute sempre più lontane da casa.
Nessuno, del resto, vedeva nulla nei favolosi anni ’80.
Lorenzo ed Emma sognavano per Massimo l’Università di Medicina o, alla
peggio, quella di Giurisprudenza, e già lo vedevano un giorno come il dottor
Grandi, il primario di Chirurgia della Mano che frequentava la loro spiaggia.
Massimo dal canto suo del dottor Grandi sognava solo la figlia.
Quella che si spogliava nella cabina n. 36 che, guarda caso, confinava con il
ripostiglio delle attrezzature dei bagni: che, guarda caso, aveva un’assicella
facilmente amovibile che permetteva di sbirciare quando l’avvenente Luisa Grandi
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si spogliava per indossare il costume o per rivestirsi.
Per arrotondare la misera paga da assistente bagnino che i suoi gli passavano,
Massimo condivideva il raro privilegio di vedere da vicino le grazie di Luisa con gli
altri ragazzi della spiaggia che potevano permettersi di pagargli un adeguato
compenso per godere di quella visione.
Ma al di là di quell’innocuo passatempo, Massimo non condivideva l’entusiasmo
dei suoi genitori per lo studio né tantomeno le loro aspettative sul suo futuro.
Così quando a diciotto anni, durante la visita medica militare obbligatoria, chiese
di entrare volontario nei corpi speciali con l’idea di partecipare alle missioni in
Medio Oriente o in Africa, ai suoi vecchi quasi venne un infarto.
Quando poi venne preso nella Brigata Paracadutisti della Folgore e destinato al
centro addestramento di Pisa, suo padre non gli parlò per due mesi e sua madre
pianse per il doppio del tempo.
Nessuno dei suoi famigliari andò a fargli visita alla cerimonia del giuramento.
Da quel momento i rapporti tra Massimo e la sua famiglia si raffreddarono e le
missioni all’estero furono il sistema migliore, in realtà l’unico, per non doversi
confrontare con loro né dipendervi economicamente.
Poi però, a soli ventiquattro anni, Massimo, dopo un anno trascorso in Libano e
due in Somalia, decise di averne abbastanza della guerra e calcolò di aver messo
da parte abbastanza denaro da potersi cercare un lavoro tranquillo.
Era passato molto tempo dall’ultima volta che era tornato a casa e quando si
presentò dai suoi genitori si rese immediatamente conto che molte cose erano
cambiate.
I suoi vecchi non andavano più d’accordo come quando era partito.
Lo stabilimento balneare era stato rinnovato e ingrandito. Erano stati assunti dei
camerieri, due bagnini per controllare le molte decine di metri di litorale ottenute
con le nuove concessioni e un’avvenente direttrice si occupava del ristorante
affacciato sul mare.
Massimo sapeva che la piccola impresa famigliare dei suoi genitori era diventata
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una società a responsabilità limitata. Durante una delle rare visite a casa i suoi lo
avevano portato da un notaio e gli avevano assegnato il venti per cento delle
quote affinché, nella remota ipotesi in cui Lorenzo ed Emma, che si dividevano in
parti uguali il restante ottanta per cento della società, si fossero trovati in
contrasto, lui avrebbe rappresentato l’ago della bilancia.
Indipendentemente dai dettagli giuridici, quel posto aveva perso molto del
fascino che aveva quando erano semplicemente i bagni Meltemi. E anche se
adesso Massimo ne era in parte diventato proprietario, non si sentiva più a casa
ma sapeva di essere diventato un estraneo.
Appena entrò nel ristorante rimase colpito come sempre dalla vista sull’isola che
dominava il piccolo golfo e costituiva l’attrazione naturalistica più importante di
tutta quella parte della riviera.
Sopraffatto dai ricordi quasi neppure si accorse della direttrice di sala che gli
stava venendo incontro con un sorriso smagliante e una scollatura ancora più
attraente. La donna doveva avere una decina d’anni in più di lui, forse anche
qualcuno di più, ma Massimo ne restò ugualmente colpito.
« Buongiorno, il ristorante è ancora chiuso ma se le fa piacere possiamo offrirle
un aperitivo in terrazza », disse la donna con un tono suadente e al tempo stesso
professionale.
« La ringrazio ma non sono qui per mangiare, aspetto i miei genitori, sono
Massimo Meltemi, molto piacere, signorina… », la bloccò tendendole la mano e
sfoggiando il sorriso che gli aveva procurato non poche conquiste.
« Giulia Fortis, piacere mio, dunque è lei il figlio di Lorenzo », rispose la donna
restituendogli la stretta, per niente impressionata né dal sorriso né dal braccio
muscoloso del giovane.
Massimo avrebbe voluto precisare che era il figlio di Lorenzo ed Emma, ma dalla
stretta e soprattutto dal cambio di tono di voce della donna capì cosa stava
succedendo e il perché di tutti quei cambiamenti.
Suo padre andava a letto con la direttrice del ristorante, la quale ora lo stava
fissando esattamente come un predatore squadra un suo simile per valutarne la
pericolosità.
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Il problema, per Massimo, era che quella donna sapeva su di lui molte più cose di
quante lui non ne sapesse su di lei e a questo vantaggio, già di per sé non
trascurabile, aggiungeva quello di essere la nuova compagna di suo padre.
La remotissima ipotesi che Lorenzo ed Emma Meltemi non sarebbero andati
d’accordo tutto ad un tratto non era più così remota.
Da quando i suoi lo avevano fatto diventare socio dell’azienda, era sempre
rimasto estraneo alla gestione perché avevano sempre deciso da soli come
mandare avanti la baracca forti della loro schiacciante maggioranza o, per meglio
dire, del peso della loro unione.
Ma quel peso pareva aver subito una drastica cura dimagrante e gli equilibri nella
società, oltreché nella famiglia, dovevano essersi parecchio alterati.
« Mi scusi non l’avevo riconosciuta. Lorenzo… cioè il signor Meltemi », si
corresse immediatamente la donna, « non mi ha detto nulla del suo arrivo ».
Massimo non riuscì a trattenersi.
« Probabilmente non l’ha informata perché è una cosa che non la riguarda, cioè
non riguarda il suo lavoro qui al ristorante ».
La donna non rispose, si limitò a fissarlo con uno sguardo che Massimo aveva
imparato a conoscere durante le missioni in Somalia e, in alcuni casi, a temere. Era
lo sguardo di chi aveva appena subito un grave torto e stava covando vendetta.
I suoi genitori arrivarono su due macchine separate.
Emma era accompagnata da un uomo che Massimo non conosceva e che sua
madre gli presentò come il nuovo commercialista dell’azienda.
Il vecchio consulente fiscale, che lui chiamava addirittura zio, era stato sostituito
da un professionale cinquantenne brizzolato alto una manciata di centimetri più di
suo padre e vestito in maniera impeccabile, anche se fuori battevano trenta gradi
all’ombra. Forse il tizio si era vestito così perché aveva acutamente preventivato
che il clima all'interno del ristorante era destinato a raffreddarsi molto
bruscamente, e non certo per effetto dell'aria condizionata.
Massimo notò che entrambi i suoi vecchi erano in ottima forma nonostante gli
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anni.
Solo la pelle cominciava a risentire dei decenni trascorsi in riva al mare. Le rughe
incise dal sole e dalla salsedine erano aumentate, e quelle che già c’erano erano
divenute più profonde. A Lorenzo i segni dell’età conferivano fascino, alla madre
consapevolezza della sua bellezza e del suo status.
Anche se Massimo sapeva bene come sarebbe andata a finire tra i suoi genitori,
Emma e Lorenzo Meltemi sarebbero rimasti sempre una gran coppia.
Giulia Fortis si congedò e scomparve in cucina, mentre i tre Meltemi,
accompagnati dal commercialista, si diressero nell’ufficio della direzione che non
era più fatto da due sedie di paglia che venivano ritinteggiate a ogni stagione e da
una scrivania decrepita ma sembrava piuttosto preso in prestito da quello di un
alto dirigente di Lehman Brothers, prima del fallimento s’intende.
Le posizioni erano semplici: sua madre voleva vendere l’intera azienda o
comunque la sua quota, mentre suo padre ambiva ad ingrandirsi ancora.
Entrambi, in ogni caso, con il quaranta percento delle quote non potevano fare
nulla.
Massimo ascoltò la lunga esposizione dei dati economici dell’azienda da parte del
commercialista e si stupì di quanto fossero alti, sia quelli dichiarati al fisco che
quelli in nero.
Il commercialista, che tra una pausa e l’altra scoccava discrete occhiate in
direzione di Emma Meltemi, illustrò le prospettive in caso di vendita dell’azienda e
i potenziali utili in caso di un’ulteriore acquisizione.
In un momento in cui il mercato pareva al culmine e affamato di aziende piccole
e redditizie come la Meltemi S.r.l. entrambe le soluzioni si presentavano come
allettanti e commercialmente profittevoli.
Ma non era una decisione basata sui conti: non vendere la società equivaleva a
tenere insieme il matrimonio dei suoi genitori, nient’altro.
Il commercialista concluse la sua relazione e molto garbatamente si accomiatò
lasciando che fossero i titolari a prendere la decisione finale.
La riunione venne interrotta per il pranzo che per la prima volta dopo tanti anni
consumarono tutti insieme seduti al tavolo migliore della terrazza. Ognuno parlò
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di qualcosa ma senza dirsi nulla di veramente importante e così, quando tornarono
nell’ufficio direzionale, Massimo sapeva bene cosa fare. Non si sarebbe schierato
con nessuno dei suoi genitori e avrebbe scontentato entrambi perchè, come gli
aveva spiegato una volta un suo amico avvocato, una buona transazione era tale
solo se lasciava delusi entrambi i litiganti.
Ma a litigare erano i suoi, non lui. Lui non doveva uscirne né scontento né
deluso, al contrario.
Propose a suo padre di cedere alla madre i diritti immobiliari dello stabilimento e
pagarle un affitto proporzionato, in cambio avrebbe ottenuto il controllo
completo dell’azienda, si sarebbe potuto espandere e sulle nuove acquisizioni
Emma non avrebbe avuto percentuali.
Per sé Massimo chiese di essere estromesso dall’azienda, e che le sue quote
fossero pagate un prezzo doppio del loro valore effettivo. Altrettanto gli sarebbe
andato dei guadagni non dichiarati.
Disse anche che l’alternativa sarebbe stata quella di mettere all’asta tra di loro il
suo venti per cento e l’aggiudicatario avrebbe ottenuto il controllo dell’azienda.
Massimo sapeva bene che la seconda opzione avrebbe azzerato la liquidità del
vincente paralizzandolo, e così pure lo sapevano Lorenzo ed Emma.
In ogni caso, i signori Meltemi rimasero sbalorditi dalla proposta del figlio,
sospesi tra la voglia di prenderlo a schiaffi come quando si rifiutava di obbedire e
di abbracciarlo orgogliosi per essere diventato così abile negli affari.
« In fondo non è molto diverso da quando vendevi ai tuoi amichetti la vista delle
tette di Luisa Grandi. Cambia solo un po’ la quantità, vero Max?! », fu l’unico
commento di suo papà. E questa volta tutti e tre si lasciarono andare a una risata
sincera.
I suoi accettarono la proposta e dopo una settimana si trovarono davanti a un
notaio per formalizzare l’accordo e sucessivamente in banca per il passaggio del
denaro. La parte in nero gli venne consegnata in diverse buste molto spesse.
Massimo aveva da poco compiuto venticinque anni ma aveva già ricevuto dalla
vita molte lezioni. Quella più amara non l’aveva appresa in guerra, come si sarebbe
aspettato, ma a casa sua realizzando che nessuna unione è indissolubile e che tutto
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ha un prezzo.
I mesi successivi Massimo li trascorse viaggiando in località remote di
quell’Africa che aveva sempre guardato attraverso l’ottica di un mirino tattico, con
uno zaino in spalla e nessuna idea precisa di dove andare o di cosa fare della sua
vita.
Mentre attraversava a piedi il confine tra il Botswana e lo Zimbabwe in direzione
delle cascate Vittoria accompagnato solo da una guida locale, Massimo si rese
conto che quello che aveva imparato fino ad allora non gli consentiva grandi
sbocchi sul mercato del lavoro. Per questo fece una delle poche scelte che si
offrono a un ex militare di carriera: arruolarsi in qualche forza di polizia.
Rientrò in Italia solo dopo parecchi mesi e provò tutti i concorsi a cui il suo
livello di istruzione gli consentiva di accedere. Aveva lasciato da neppure due mesi
il Madagascar quando sotto i suoi piedi non si trovò più la sabbia fine delle
spiagge di Anakao ma l’erba umida della piana di Alessandria dove aveva sede la
Scuola Allievi della Polizia di Stato.
Ma anche se adesso la pianura padana era solo un ricordo lontano il panorama
della periferia di Roma gliela riportò alla mente.
Massimo si trovò a pensare a quante pianure aveva visto da quando aveva
lasciato la terra in cui era nato così avara di spazi pianeggianti. Pensò che in
qualche modo tutte le pianure si assomigliavano tra loro, prive com’erano di punti
di riferimento naturali; ricordò le distese africane e quanto era stato difficile
imparare ad orientarsi o capire le distanze mentre le attraversava.
Sebbene da molti anni Massimo vivesse in pianura, non aveva ancora imparato a
calcolare la distanza tra sé e la meta che doveva raggiungere, ammesso che ne
avesse una.
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7.
…ed è subito sera.
Paolo lo Svejo parcheggiò la piccola motocicletta davanti all’internet point di
Habib Jabbour. Mentre entrava rivolse un cenno di saluto a un paio di tizi
sull’ingresso.
Si piazzò davanti all'unico terminale libero e inserì una pendrive nel lettore USB;
da quella avviò una versione di Firefox portable opportunamente personalizzata
sfruttando le caratteristiche open source del browser della volpe.
La versione dello Svejo era stata modificata per non lasciare tracce e, addirittura,
per alterare gli indirizzi internet che visitava per lasciare false tracce cosicché,
anche nel caso in cui qualcuno particolarmente bravo gli avesse preso, o più
probabilmente sequestrato la chiavetta, non sarebbe comunque riuscito a risalire
alla cronologia della navigazione.
Per maggior cautela avviò anche un programma che nascondeva l’indirizzo IP
del primo accesso per sostituirlo con uno virtualmente residente in Sudamerica.
La connessione in quel caso sarebbe risultata più lenta ma non gli importava.
Finalmente prese il Blackberry dalla tasca e trascrisse l’indirizzo ricevuto per
messaggio sulla barra degli indirizzi.
Quando quel tizio ben vestito e dalla parlata raffinata lo aveva assoldato, gli
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aveva spiegato che era il momento di fare il salto: di smettere di vendere qualche
grammo di coca ai pargoli della Roma bene per qualche migliaio di euro al mese.
Lo aveva blandito facendogli credere che avevano bisogno di uno come lui, e
che se ci avrebbe saputo fare avrebbe potuto guadagnare anche diecimila euro al
mese.
Così Paolo si era convinto che era giunto il momento di puntare in alto. Dopo
tanti anni trascorsi nel tranquillo sottobosco della microcriminalità di periferia
aveva sentito la necessità di affrancarsi dalla muffa qualunque per cominciare a
fare sul serio.
Per farlo, come gli aveva detto quel tizio, sarebbe stato sufficiente procurarsi
delle ragazzine o, all'occasione, dei ragazzini carini e portarli in un posto che gli
avrebbe comunicato volta per volta e sempre diverso. Lì si sarebbe divertito,
probabilmente avrebbe fatto sesso e sicuramente avrebbe guadagnato dei soldi,
tanti soldi… meglio di così.
Paolo aveva accettato quasi all’istante. Così quello gli aveva dato un cellulare
Blackberry dicendogli di usarlo solo per ricevere e inviare SMS: quello tramite
messaggini sarebbe stato l’unico modo in cui d’ora in poi avrebbero comunicato
tra loro.
Gli diede anche la chiavetta che aveva appena inserito nel PC e gli spiegò come
usarla. Gli disse che la pen drive conteneva un’istruzione per auto formattarsi –
come in Mission Impossible, pensò Paolo – e gli spiegò come attivarla.
Quando lui lo guardò con una faccia da ebete divertito da tutta quella segretezza,
quello gli restituì uno sguardo molto eloquente e a Paolo la voglia di ridere passò
come una sbornia leggera.
Dopo averlo istruito a dovere, l’uomo gli mise in mano una busta con del denaro
dentro, molto denaro, dicendogli che era per le spese iniziali.
Lo Svejo aveva preso la busta ma non aveva speso un centesimo di quella
somma… casomai fosse stato costretto a restituirla da un momento all’altro.
Da allora aveva ricevuto una sola richiesta. Gli avevano fatto procurare
solamente una ragazzina. L'aveva fatto: era uscito con una biondina molto
esuberante e l'aveva portata in una stanza attrezzata come un set fotografico.
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Avevano fatto qualche giochino un po' estremo, le aveva dato qualche schiaffo
che lì per lì l'aveva fatta piangere; ma niente di serio, secondo Paolo, non secondo
la ragazzina.
In fondo lui si era anche fatto perdonare, l'aveva riaccompagnata a casa, le aveva
regalato un bel cellulare con un bel po' di credito, un paio di Allstar e si era
persino scusato facendole credere che a lui piaceva il sesso violento e pensava che
lo gradisse anche lei.
La ragazzina era rimasta confusa da quelle gentilezze e aveva creduto alla cazzata
del sesso violento e mentre lui la stava riaccompagnando a casa gli chiese se
potevano rivedersi magari senza fare tutte quelle cose che avevano fatto quel
pomeriggio.
Per quel lavoro Paolo aveva ricevuto una busta con cinquemila euro in contanti.
Detratti i regali per la vittima gliene erano rimasti quattromila e cinquecento.
Niente male per un pomeriggio passato sostanzialmente a fare sesso con una
ragazzina e per giunta carina.
Ora Paolo stava fissando una pagina internet che conteneva le caratteristiche
della seconda vittima e le indicazioni su dove e quando avrebbe dovuto portarla.
L'evento avrebbe dovuto tenersi venerdì sera in una zona vicina al quartiere
dell'EUR.
Paolo pensò di rifiutarsi perchè con così poco tempo non era sicuro di riuscire a
organizzare qualcosa, ma quando lesse quello che sarebbe stato il suo compenso
cancellò la parola rifiuto dal suo già limitato vocabolario.
Dopo essersi disconnesso dal sito, inviò due SMS, il primo con cui confermava
di aver compreso le istruzioni e il secondo a Jenny per dirle che la festa era stata
anticipata e che in un'ora avrebbe dovuto sapergli dire se sarebbe andata con lui
altrimenti, aggiunse velenosamente, avrebbe dovuto chiederlo a un'altra.
Il tizio che gli aveva commissionato il lavoro non si prese neppure il disturbo di
rispondergli, Jenny gli scrisse immediatamente che sarebbe venuta, a qualsiasi
costo.
Paolo sorrise compiaciuto, l'esca aveva funzionato ancora una volta.
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8.
Jet set.
« …È inutile che ti chieda perché non sei uscito prima, vero? », chiese Marta non
appena Massimo varcò la soglia di casa sua.
« Ero in ufficio », si difese lui.
« Non è quello che ti ho chiesto ».
« Dai Marta, dammi dieci minuti e sono pronto, rilassati, andiamo a una festa,
mica perdiamo un aereo », disse tentando di blandirla con un bacio sul collo.
« Come se avesse fatto differenza », borbottò lei.
Massimo finse di non sentirla e si infilò in bagno.
Dopo quindici minuti erano già in macchina diretti verso l’Eur, Marta gli stava
snocciolando i nomi di tutti quei “VIP” che conosceva e che avrebbero partecipato
alla festa.
Erano perlopiù personaggi della televisione che vivevano di comparsate in talk o
talent show che Massimo non vedeva e che avrebbe continuato a non guardare.
Pensò che si sarebbe annoiato a morte ma lo stesso si mostrò interessato e
durante il viaggio in macchina cercò anche di fare domande pertinenti, con scarsi
risultati a dire il vero, ma Marta apprezzò comunque il gesto.
Arrivarono puntualissimi il che, per una festa mondana, equivaleva a essere in
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anticipo di un’ora, forse anche due.
La ragazza che li ricevette era molto carina e altrettanto professionale. Dopo aver
verificato i loro nomi sulla lista degli ospiti li fece accomodare nel salone
semideserto.
« Anche per voi questa è la prima festa VIP, vero? ».
Un corpulento signore sulla sessantina si era avvicinato reggendo due flute di
quello che doveva essere vino bianco molto frizzante e molto freddo. Con
eleganza ne porse uno a Marta che rifiutò cortesemente « No grazie, non bevo ».
« Astemio anche lei? », chiese porgendo questa volta il calice ghiacciato a
Massimo.
« Questa sera no. Grazie », disse l’ispettore prendendo il vino.
« L’avevo detto a mia moglie che era inutile presentarsi alle otto e mezza a una
festa di gente che si sveglia solitamente alle sette del pomeriggio. Ma sa come
sono le mogli ».
Il tizio era stato invadente ma aveva un modo di fare che a Massimo piaceva; o,
più probabilmente, anche lui la pensava allo stesso modo.
« Già », rispose laconico alzando il calice e accennando ad un brindisi.
« Guardi. Le nostre signore hanno già fatto conoscenza. Lei da quanti anni è
sposato? ».
Se Massimo aveva cercato di troncare ogni conversazione il tizio corpulento non
aveva raccolto l’invito.
« Non siamo sposati, conviviamo saltuariamente da un paio d’anni ».
« Bravo! Un’ottima scelta. Avessi la sua età lo farei anche io », approvò quello. «
Ma vede, quando ero giovane io erano altri tempi e il matrimonio veniva prima di
tutto », si difese. « Convenzioni sociali del cazzo », borbottò scolando il bicchiere
d’un fiato.
« Mi fa compagnia per un altro giro? In realtà non è che quanto a compagnia lei
abbia molte alternative. Non per il momento, almeno ».
« Ecco vede, almeno la faccio ridere. Far ridere mi riesce bene. Sentisse che risate
si fa mia moglie a letto ».
A questa Massimo rise di gusto e cedette .
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« Piacere, Massimo » disse tendendogli la mano.
« Guido Cavalcanti, piacere mio. Fossi così bravo con le donne e farmi dire il
nome dopo dieci minuti di conversazione… ».
« Immagino che abbia perso una scommessa con sua moglie per essere qua
questa sera », disse Massimo cercando di dimostrarsi spigliato come il suo nuovo
amico.
« Qualcosa del genere », rispose lui assumendo un tono vago, poi si abbassò
verso Massimo e con aria complice aggiunse: « In realtà l’invito gliel’ho procurato
io. Dopo una certa ora arriva bella gente e la serata, se si sa parlare con le persone
giuste, diventa interessante. Non so se mi spiego ».
« Alla perfezione », rispose Massimo restituendo una navigata aria da cospiratore
« Quindi immagino sia meglio che le stia vicino se tra un'ora non voglio lanciarmi
nel vuoto in preda alla noia ».
« Mi sembra uno sveglio lei, posso chiederle di che cosa si occupa? ».
Ecco che già c’eravamo. Era arrivato quel momento in cui Meltemi era quasi
sempre costretto a mentire sul suo lavoro per evitare che tutti lo schivassero come
un appestato.
Aveva imparato che la frase “Piacere, sono un ispettore capo della polizia postale. Passo la
giornata a cercare di incastrare pedofili, molestatori e maniaci della rete” troncava sul nascere
ogni nuova amicizia maschile.
Quasi tutti quelli cui si era presentato in quel modo lo avevano inquadrato come
un potenziale intruso della propria privacy e temevano che quelle - sia chiaro –
occasionali visite a siti porno in cui l’età delle modelle veniva verificata un po’
approssimativamente, avrebbero potuto essere – com'è che dicono nei film
americani – ah, sì, usata contro di loro.
« Sono un consulente in sicurezza privata », mentì Massimo. « Cerco di mettere
al riparo i miei clienti da intrusioni via internet, intercettazioni ambientali, roba del
genere, e lei? ».
« Ho un'impresa di costruzioni, lavoro un po' in tutta Italia. Prevalentemente
appalti pubblici. Potrei aver bisogno di uno come lei, ha un biglietto da visita? ».
« No. Mi spiace, non ho nemmeno il portafoglio, l'ho fatto per non essere
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costretto a fare donazioni casomai a qualcuno venisse l'idea di chiedermi dei soldi
».
Risero insieme di quella battuta.
« Mi stia vicino e non se ne pentirà. Anzi, che dice se ci dessimo del tu? ».
Meltemi era incuriosito da quel tipo, anche se qualcosa in lui non lo convinceva
fino in fondo. Era gioviale, ma al tempo stesso gli trasmetteva una strana
sensazione di inquietudine, come se cercasse di nascondere qualcosa, qualcosa che
però lui non riusciva a inquadrare.
Gli invitati arrivarono alla spicciolata e la serata si animò prima del previsto.
Pseudo soubrettine, pseudo agenti, pseudo talent scout, pseudo attori, ma tutti
falliti autentici in cerca di una comparsata per tirare a campare o semplicemente
per tirare.
Massimo cercò Marta nella sala e la individuò in mezzo a un gruppo di signore
molto eleganti. Quando la raggiunse lei lo presentò alle nuove amiche e quelle
civettarono complimenti molto garbati.
« Ti stai annoiando Max? ».
« No, assolutamente. Il tizio che abbiamo conosciuto appena arrivati è un vero
spasso, adesso è la che… ». La frase gli morì in gola quando individuò Cavalcanti
che abbracciava la vita di due strafighe che, forse, insieme, avevano la metà dei
suoi anni e a cui si era appiccicata anche una terza bionda mozzafiato.
« …Che fa il cascamorto con quelle tre ragazzine mezze nude? ». Cavalcanti
aveva incrociato il suo sguardo e si stava sbracciando facendo cenno di
avvicinarsi. « Si, ho capito, vai ma cerca di non fare brutte figure », fece Marta con
inaspettata condiscendenza.
« Signore, vi presento il mio amico Massimo », disse Cavalcanti alle ragazze
quando l’ispettore li raggiunse. « Massimo, ti presento Vanessa, Grecia e Cinzia e
questo bellimbusto… », disse afferrando il braccio di un uomo che stava dando
loro le spalle e facendolo voltare, « …è l’architetto Gregorio Rossini. Forse ne
avrai già sentito parlare ».
Se il cuore di Meltemi mancò un battito trovandosi faccia a faccia con l’uomo
che era convinto essere Sexdaddy, nessuno se ne accorse. L’architetto gli rivolse
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un’occhiata superficiale e gli strinse rapidamente la mano prima di tornare a
interessarsi al suo drink.
« Chi non ha sentito parlare del Philippe Stark italiano? », chiese retoricamente
Meltemi ripresosi al volo. « La considerano più innovativo di Renzo Piano, dico
bene? ».
Nessun narcisista patologico è in grado di resistere alle lusinghe e Gregorio
Rossini non faceva eccezione.
« Non direi, io prediligo la funzionalità alla pura innovazione stilistica. Cerco di
fare in modo che le mie idee servano a qualcosa e non solo a stupire. Lei si
intende di architettura, signor Massimo? ».
« No. Affatto, ma mi piace viaggiare e quando vado in qualche grande città amo
visitare i locali o gli edifici creati dai grandi architetti ».
« Come il Port Adriano di Piano a Valencia, l’ha visto? », chiese Rossini
squadrando il suo interlocutore con le labbra voluttuosamente attaccate al bordo
del bicchiere.
« Non sapevo che ci fosse un Port Adriano anche a Valencia, io ho visto solo
quello di Stark a Maiorca, ma come le ho detto non sono un intenditore e
probabilmente quello che ho visto non sarà stato nemmeno di Stark ».
« Gregg per favore non fare il saccente, Massimo lavora sul serio, non passa le
giornate a disegnare come fai te », scherzò il vecchio costruttore. « Mi ha spiegato
che si occupa di sicurezza informatica, intercettazioni ambientali nel settore
privato, è così Massimo? ».
« Assolutamente Guido, entro nei sistemi delle aziende, scopiazzo tutti i dati che
trovo, le password dei conti on line, prosciugo ogni risorsa e poi invio pure finte
conversazioni piccanti con minorenni alle mogli degli amministratori delegati ».
« Massimo sei davvero uno spasso », rise sguaiatamente Cavalcanti.
« Quindi lei è una specie di hacker? , chiese Rossini. « E immagino non ci sia un
sistema in grado di fermarla ».
« E’ solo questione di tempo, prima o poi io e i miei collaboratori riusciamo
sempre a forzare un sistema. A oggi non ne abbiamo trovati di veramente
inviolabili ».
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« Interessante. Avrei probabilmente bisogno di una sua consulenza per testare
l’efficacia della mia rete informatica », disse Rossini con un vago accento di sfida. «
Sa, non vorrei mai che qualcuno si introducesse nel mio hard disk e mi sottraesse
qualche progetto per passarlo alla concorrenza. Il danno sarebbe incalcolabile ».
« Lo immagino. Mi consideri a sua disposizione, architetto, per una consulenza
gratuita ».
« Chiederò a Guido di lasciarmi i suoi dati, perché immagino che anche lui le
abbia chiesto una consulenza. Sa, anche nei suoi computer ci sono molti dati
sensibili che se arrivassero nelle mani sbagliate potrebbero causare gravi danni al
nostro amico »; e mentre lo diceva rivolse a Cavalcanti uno sguardo ammiccante.
Il costruttore si mosse a disagio, evidentemente infastidito dalla piega che aveva
preso la conversazione e subito cambiò argomento.
«Gregg, pensi davvero che con questi due gioielli io possa pensare alla sicurezza
della mia rete informatica? », disse con gli occhi rivolti a Vanessa e Grecia le quali
avevano seguito il dialogo fra i tre uomini con lo stesso interesse con cui si può
seguire una gara olimpica di dressage. « Tu sei in compagnia di Cinzia, ma noi…
siamo sposati », disse dando di gomito a Massimo. « Cerca di capirci, a proposito
dov’è finita Cinzia? », chiese guardandosi attorno « Ah, eccola, è là, accanto a quel
grassone… ma, aspetta, non è… ».
« Sì, è Secchi, il dirigente della Commissione Appalti della Regione », rispose
disinvolto Rossini.
Cinzia, nel tentativo di guadagnarsi il premio promessole da Rossini, stava
tubando con il vecchio porco incaricato di nominare le commissioni che
assegnavano gli appalti pubblici della Regione Lazio.
Era evidente che non ci avrebbe impiegato molto.
Cavalcanti, che come l’architetto aveva più volte agevolato le scelte del dirigente
con l’aiuto di avvenenti ragazze, fece una smorfia e tornò a interessarsi a Vanessa
e Grecia, mentre Rossini estrasse dalla tasca un cellulare per leggere un messaggio
che gli era appena arrivato.
« Guido, posso parlarti un momento? E’ una questione di lavoro », disse
allontanandosi con il corpulento costruttore.
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« Che palle… ma davvero il vecchio è così ricco? », fece a un certo punto una
delle due strafighe, forse Vanessa, rivolta all’altra.
« Cazzo sì, mi hanno detto che è quello che sta costruendo la nuova linea della
metropolitana, non hai visto i cartelli giù alla fermata di Repubblica? », rispose,
forse Grecia.
« Secondo te io guardo i cartelli della metro? ». Effettivamente la domanda di
Vanessa/Grecia era pertinente.
Le due stavano parlando come se fossero sole e ignoravano completamente
l’ispettore che si divertiva ad ascoltarle.
« Sì però è proprio brutto… e vecchio… e ha una pancia… almeno l’altro, quello
che disegna come si chiama… quello è comunque un bel figo… »
« Ci dovrai scopare per dieci minuti, forse anche meno… e ti da cinquecento
euro. Non mi sembra il caso di essere tanto schizzinose. Devo forse ricordarti
quante volte l’hai data per niente a degli sfigati? ».
« Daiiii. Quella volta ero ubriaca. Non conta », si offese Vanessa/Grecia.
Se Grecia/Vanessa avesse potuto scambiare le tette con il cervello quasi
certamente sarebbe riuscita a calcolare a mente l’orbita ellittica della cometa di
Halley. Ma sfortunatamente, o fortunatamente questo non era lecito dirlo, il
davanzale che stava generosamente promuovendo doveva aver assorbito ogni
altro organo del suo corpo e la sua stupidità era quasi offensiva anche per una
diatomea. Tuttavia nessuna famiglia di diatomee nota in natura poteva vantare due
tette come quelle di Grecia/Vanessa.
« Lei è un amico di Guido Cavalcanti? », chiese Vanessa/Grecia a Massimo come
se si fosse accorta solo in quel momento della sua presenza.
« Si, ho lavorato per lui qualche volta », mentì Massimo divertito da quella
situazione al limite del surreale.
« Ehi! Non me l’hai detto che era una cosa a tre », si intromise Grecia/Vanessa.
« Taci… », sibilò quella più intelligente alla diatomea con le tette. « Scusi la mia
amica, è un po’ su di giri ».
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« Me ne sono accorto », disse Massimo distratto da quello che Rossini,
Cavalcanti e un giovanotto che si era aggiunto a loro stavano confabulando. Ma
era troppo lontano per sentire. « E voi di cosa vi occupate? » chiese alle ragazze
senza perdere di vista i tre uomini.
« Io studio giurisprudenza alla Sapienza », ripose la strafiga che si era fatta
portavoce, « mentre lei, sta facendo l’ultimo anno al Giulio Cesare ».
Meltemi, non resistette, si scusò con le due ragazze e si diresse verso Rossini e gli
altri. Cavalcanti lo intravide e gli andò incontro come se volesse intercettarlo.
« Massimo, amico mio, vieni, torniamo dalle nostre signore, quelle vere intendo
dire, vi voglio presentare un po’ di gente interessante », e mentre lo diceva trascinò
l’ispettore lontano da Rossini e dal ragazzo.
Nell’ora che seguì Cavalcanti e la sua signora presentarono a Massimo e Marta
qualche politico, un paio di liberi professionisti molto in vista e persino un
chirurgo plastico che pareva avesse ritoccato la metà degli invitati.
Marta era al settimo cielo. Massimo, invece, avvertiva una sensazione strana, un
qualcosa che rendeva imperfetta quella serata mondana così affettata, una nota
stonata che non riusciva a individuare. Ma probabilmente era solo la presenza di
sexdaddy che gli impediva di vedere la serata per quello che in realtà era: una borsa
di scambio tra la domanda di favori contro un’offerta di sesso o denaro. Niente di
nuovo tutto sommato.
Cercò Rossini tra la gente ma non lo vide. Pareva se ne fosse andato.
Vide invece Cinzia aggrappata al funzionario regionale e gli parve di cogliere
nello sguardo della ragazza una venatura di rassegnazione, pensò che fosse per
quello che avrebbe dovuto fare con quell’uomo di lì a poco: ma probabilmente
anche quella era solo un’impressione.
Cavalcanti in compenso gli aveva infilato in una tasca il suo biglietto da visita
con il numero di cellulare aggiunto a penna, e dopo essersi sganciato dalla
consorte si diresse verso Vanessa e Grecia e scomparve con loro.
Massimo contemplò a lungo il biglietto da visita del costruttore prima di riporlo
con cura nel portafoglio. Aveva tra le dita il mezzo per avvicinare Rossini e forse
per scoprire se i due nascondevano qualcosa.
69
La serata aveva avuto un risvolto inaspettato, e tutto grazie alla passione di Marta
per il gossip.
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9.
Jenny Tortarolo.
Jenny non poteva ancora credere al fatto di essere riuscita a convincere sua
madre a lasciarla andare a dormire da Claudia venerdì sera: cioè di averle fatto
credere che quella sera sarebbe andata da Claudia e si sarebbe fermata da lei fino
all’indomani.
Non poteva nemmeno credere che invece sarebbe andata a una festa Vip in
centro e che si sarebbe fermata a dormire da Paolo. A pensarci bene non avevano
parlato di dove lei avrebbe dormito, ma restare a dormire da lui le sembrava la
cosa più ovvia.
Non poteva certo presentarsi veramente a casa di Claudia alle quattro del
mattino.
A casa di Paolo avrebbero fatto l’amore? Sarebbe stata la sua prima volta. Si
chiese se Paolo fosse quello giusto. Non ne era del tutto sicura ma poi si chiese
anche se esisteva un ragazzo giusto con cui farlo la prima volta.
Chissà, forse invece avrebbero girato per la città tutta la notte, incrociato baristi,
spacciatori, giornalai, poliziotti, fatto colazione alle quattro e mezza con i cornetti
caldi e il caffelatte, come nella canzone di Jovanotti.
Non le pareva vero. In ogni caso quella sarebbe stata la serata più bella della sua
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vita e non poteva certo farsi trovare impreparata o fare una brutta figura con
Paolo.
Si
fissò
nello
specchio
scrutando
attentamente
ogni
particolare
dell’abbigliamento che aveva scelto, per capire se fosse all’altezza di quell’evento.
Le sembrava di avere solo vestiti da ragazzina.
L’abito più elegante che aveva era quello che sua mamma si era fatta prestare da
una sua amica per andare alla cresima di un lontano cugino. Ma in quell’abito il
nuovo seno di Jenny non aveva alcuna intenzione di entrarci, ne avrebbe potuto
anche volendo.
Claudia, per aiutarla, le aveva prestato l’abito che si era comprata in un negozio
di cinesi per andare a festeggiare l’ultimo capodanno… quello in cui aveva perso
la verginità, come aveva tenuto a precisare all’amica, ma a Jenny sembrava volgare
e niente affatto romantico.
Alla fine, approfittando del clima mite di quel periodo e aveva optato per una
gonna blu elettrico, che le arrivava a metà coscia, una camicetta bianca con una
generosa scollatura e un paio di scarpe con un tacco dodici intonate a una piccola
pochette; il suo viso e il fisico avrebbero fatto il resto.
La madre e la nonna non erano in casa perciò avrebbe potuto uscire vestita e
truccarsi prima di arrivare alla festa. Mise un cambio nello zaino e uscì.
Paolo Lo “Svejo” era già arrivato. Guidava un’anonima Fiat Punto, pulita, e
nemmeno troppo recente.
Chissà perché Jenny si era aspettata di vederlo arrivare su una auto con spoiler,
cerchi in lega, strisce colorate sul cofano e lo stereo a palla.
« Sei bellissima », fu la prima cosa che le disse, ed era sincero « Sarai la più bella
della festa ».
« Grazie », rispose lei imbarazzata « Me lo diresti se non fossi ben vestita vero? »,
aggiunse seriamente preoccupata di fargli fare una brutta figura.
« Sei perfetta così piccola », disse Paolo mentre si allontanava dal Laurentino. «
Dove ti piacerebbe andare a cena? Facciamo cinese? ».
Anche a cena fuori. Sarebbero andati anche a cena fuori. Altro che serata più
bella della sua vita, quello era il sogno della sua vita e per poco non si commosse.
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Dopo il cinese bighellonarono ancora un po’ in macchina e raggiunsero il
quartiere dell’Eur poco dopo le ventidue. Jenny si era sempre mossa in metro o in
autobus. Raramente i suoi andavano in centro in auto. Non riconosceva nessuna
strada né nessun quartiere né avrebbe saputo dire dove si trovava. Le pareva di
aver intravisto l’obelisco ma in quel momento non le importava molto
l’architettura della città.
Parcheggiarono nell’interrato di un palazzo e salirono con l’ascensore per un po’
di piani fino a che arrivarono in una grande sala già gremita di persone.
A Jenny parve di entrare nella scena di un film. Uno di quelli in cui la
protagonista arriva al gran ballo insieme al suo uomo e la musica smette di
suonare mentre tutti li guardano esterrefatti. In realtà non accadde nulla del
genere. La musica house batteva forsennatamente dalle casse e nessuno si era
accorto di loro. Nessuno aveva notato Jenny perché in quella sala c’erano già
decine di Jenny e poco importava se ognuna di loro credeva di essere l’unica.
« Andiamo a bere, vieni », Paolo la tirò verso i tavoli.
« Ma io non bevo… », provò a dire lei.
« Figurati… non stasera… non se stai con me… » disse il ragazzo mentre
buttava giù uno shottino dal colore verde brillante. « Tieni, caccia giù », e gliene
passò uno.
Jenny cercò di buttare giù il cicchetto tutto d’un fiato ma non ce la fece e riuscì
solo a macchiarsi la camicetta. Mentre stava imprecando tra sé Paolo le si avvicinò
e le leccò la vodka che le era colata sul mento e sul collo.
Jenny dimenticò all’istante la camicetta e si lasciò baciare.
« Ma cosa fai? Così, in mezzo a tutti? ».
« Beh? Perché non vedi cosa fanno gli altri? ».
Jenny si guardò attorno ed effettivamente le loro era effusioni ancora contenute.
Un tizio aveva infilato la mano nella scollatura di una ragazza che doveva avere la
stessa età di Jenny e le palpava tranquillamente un seno. Poco più in là due ragazzi
stavano premendo una ragazza contro un tavolo e Jenny distolse immediatamente
lo sguardo.
« Pensavo fosse una festa un po’ diversa », urlò a Paolo che aveva già un altro
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bicchiere in mano. Il liquido questa volta era arancione cupo.
« E’ una festa, vieni che ti faccio conoscere un po’ di gente. Assaggia questo »,
disse porgendole il suo bicchiere « E’ una bomba, proprio come te ».
Jenny bevve un sorso anche di quel cocktail che forse era un po’ meno forte del
precedente.
Lo Svejo la presentò a una decina di persone, nessuna delle quali parve prestarle
molta attenzione. Jenny non capì nemmeno uno dei loro nomi, un po’ per il
troppo volume e un po’ perché l’acool che aveva bevuto, anche se non era molto,
l’aveva intontita.
« Mi sembri un po’ stanca », disse a un tratto il ragazzo « Vuoi sederti? ».
« Forse è meglio. Possiamo uscire a prendere un po’ d’aria, ti spiace? ».
« Ci mancherebbe, vieni, appoggiati a me. Usciamo da questo casino ». La cinse e
la portò fuori dalla sala.
L’improvviso silenzio in cui piombarono una volta che le porte insonorizzate li
separarono dalla festa fu fastidioso tanto quanto il frastuono che nemmeno un’ora
prima li aveva accolti.
« Aspetta, vediamo se c’è un posto tranquillo dove puoi sdraiarti un po’.
Proviamo di qua », fece Paolo mentre fingeva di armeggiare con una serratura che,
al contrario, sapeva bene dove portava.
« Ma dove stiamo andando, questo è un appartamento di qualcuno, cosa fai? »,
borbottò Jenny
« Ma che cazzo mi frega, non stai bene, e poi è aperto. Aspetta, accendo le luci ».
Mentre lo diceva azionò un interruttore che inondò la stanza di una luce
accecante.
Erano entrati in una specie di stanza di albergo, c’era un bagno e un letto, una
finestra e spesse tende colorate. Era tutto molto colorato.
« Puoi abbassare le luci, mi fanno girare la testa ».
« Certo piccola », disse lui mentre armeggiava con il Blackberry. « Aspetta cerco
un bicchiere e ti porto dell’acqua ».
Paolo abbassò un poco le luci e le portò dell’acqua che lei bevve avidamente.
Le si sedette accanto, la baciò dolcemente e le chiese se andava tutto bene. Lei
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rispose di sì e lo baciò a sua volta.
A un certo punto il Blackberry di Paolo trillò diverse volte annunciando l’arrivo
di altrettanti sms. Il ragazzo li scorse rapidamente con uno sguardo divertito poi
tornò a dedicarsi a Jenny. Le si avvicinò suadente, come il serpente che aveva
offerto a Eva la mela nel giardino dell’Eden, e mentre la baciava ancora le slacciò
con attenzione i primi bottoni della camicetta.
Poi all’improvviso le strappò gli ultimi bottoni che tintinnarono sul pavimento
e lei rimase inebetita e incapace di realizzare cosa stava accadendo.
Tentò di protestare ma lui le mise una mano sulla bocca; con l’altra le alzò la
gonna e le frugò con violenza in mezzo alle gambe.
Nonostante la droga che le aveva fatto ingerire con il premuroso bicchiere
d’acqua gli occhi di Jenny si spalancarono in preda al terrore.
Si dibatteva sotto il peso del ragazzo, o perlomeno così le sembrava di fare, ma
ad ogni reazione che tentava lui le assestava un calcio o uno schiaffo o
qualcos’altro.
Cominciò a piangere mentre lui le veniva sopra e le spalancava oscenamente le
gambe. Gridò quando sentì un forte bruciore e gettò un urlo straziante quando
poco dopo la girò sulla pancia.
Dopo un po’ il dolore si fece sordo e Jenny non sentì più nulla.
Il suo pianto tutto a un tratto si spense, mentre in sottofondo si sentiva ancora
trillare quel maledetto cellulare che continuava a ricevere messaggi.
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10.
Rione Monti.
La radiosveglia segnava le 3:44. Meltemi la fissò per qualche istante poi decise di
ignorarla dandole le spalle.
Ventiquattro minuti dopo la radiosveglia segnava le 4 e 08. Precisissima.
Si accocolò contro la schiena di Marta e ne ascoltò il respiro per alcuni minuti
cercando invano di trarne un benefico effetto rilassante.
Era da molti mesi che la sua donna aveva perso il potere di rasserenarlo. Anche
se quel fine settimana erano stati bene, tra loro si era creata una pericolosa
distanza. Un segnale che Massimo aveva imparato a riconoscere negli anni e nelle
molte relazioni finite male che aveva avuto.
In quel momento gli venne in mente Rebecca e si chiese se anche lei era sveglia e
stava fissando la schiena di qualcuno.
Era molto probabile, gli aveva raccontato di aver avuto molte relazioni e di
essere stata con diversi uomini, quindi non sarebbe stato affatto strano se la
domenica sera si fosse fermata a casa di uno di loro.
Il pensiero di Rebecca nel letto di un uomo non lo aiutò a riprendere sonno.
La radiosveglia gli segnalò che aveva perso altri dieci minuti a rotolarsi nel letto
come un cinghiale tra le foglie secche del sottobosco.
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Se avesse fatto ancora un po’ di rumore Marta si sarebbe svegliata, e lei non era
come le donne dei film americani che se destate nel cuore della notte prendono a
fare sesso sfrenato con il compagno di turno. Apparteneva a quel genere,
oggettivamente più diffuso, che ti mandano affanculo senza tante cerimonie se le
svegli nel cuore della notte; così scivolò fuori dal letto e si infilò nel bagno, sempre
attento a non svegliarla.
Scartò l’idea di farsi una doccia e facendo meno rumore possibile si lavò, si
cambiò, scrisse un messaggio che lasciò sul tavolo della cucina e uscì.
Le ore che precedono l’alba erano sempre state le sue preferite fin da ragazzino,
ovunque si trovasse.
Ricordava ancora una mattina, di una lontanissima vacanza in Spagna, quando gli
era capitato di svegliarsi più o meno a quella stessa ora e, dopo aver lasciato un
biglietto alla ragazza con cui stava, era uscito a camminare sulla spiaggia.
Rammentava distintamente la sabbia fredda sotto i piedi, il profumo dell’aria
pulita, il rumore delle onde che si infrangevano sulla battigia: attente, come era
stato lui, a non fare troppo rumore.
Quella notte aveva camminato fino a un porticciolo ed era rimasto diversi minuti
a osservare alcuni pescatori indaffarati a prendere il mare. Era entrato nell’unico
bar aperto e aveva preso il primo caffè della giornata, poi era rientrato in albergo.
La ragazza, di cui ora non ricordava il nome, non si era accorta di nulla e
neanche quella si era svegliata per fare sesso sfrenato con lui.
Erano trascorsi più di quindici anni da quella notte, eppure la ricordava fin nei
minimi dettagli.
Roma non aveva spiagge sulle quali camminare, ma a quell’ora anche nella
capitale l’aria profumava di fresco e pareva ancora pulita.
Dopo essersi trasferito a vivere nella capitale, Meltemi si era comprato un
appartamento all’ultimo piano di un vecchio palazzo in Rione Monti. La prima
volta che era andato a vederlo, era entrato solo perché l’agente immobiliare era
una bionda alta un metro e settanta con un brillantino incastonato in un dente.
L’appartamento era in condizioni disperate, e quasi non si poteva respirare
dall’odore di muffa e vecchio che ammorbava l’aria.
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Poi, quando la top model temporaneamente prestata alle vendite immobiliari lo
aveva portato in terrazza, la vista sui tetti di quella parte della città lo aveva
convinto che quella sarebbe diventata casa sua.
Gli ci vollero due anni per ristrutturarlo a dovere, ma quando l’agente
immobiliare tornò a vedere la casa, la mattina dopo, facendo colazione in terrazza,
gli fece i complimenti per come aveva salvato quel rudere.
Il ricordo della bionda e del suo brillantino era sbiadito nel tempo come il cielo a
quell’ora della mattina.
Da via Nazionale salivano rumori sonnecchianti.
La capitale non era completamente addormentata come quel paesino in Spagna,
ma neppure già sveglia come Los Angeles, dove le donne, invece, erano già tutte
ben deste per fare sesso sfrenato con i loro compagni.
I netturbini stavano pulendo le strade rassegnandosi a circumnavigare macchine
e motorini parcheggiati in ogni dove che di lì a un paio d’ore sarebbero scomparsi.
Qualcuno stava rientrando da una serata certamente migliore della sua e un
travello (un travestito come li chiamavano da quelle parti) cercava di concludere
un ultimo affare.
Massimo si infilò nel bar di Carlo che aveva ancora la serranda mezza chiusa.
« Buongiorno Ispettore », lo salutò il proprietario cercando di nascondere il
fastidio di dover servire già il primo cliente.
« Buongiorno Carlo, so che è davvero presto, ma può già farmi un cappuccio…
e darmi un cornetto se li ha già sfornati? ».
« Ecchè dottò le pare che glielo do congelato? », rispose Carlo.
Nonostante ci abitasse da tre anni, Meltemi non riusciva a non stupirsi delle
risposte dei romani e a fatica accettava il fatto che le brioche che aveva mangiato
per i primi trent’anni della sua vita ora si chiamassero cornetti.
Sorrise e ringraziò Carlo.
Era talmente presto che non c’era nemmeno il giornale, quindi sfogliò quello
sgualcito del giorno prima.
« Ispettore, ha sentito che Biaggi lascia? ».
In Italia lo sport nazionale è il calcio. A Roma anche di più. Meltemi però non ne
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era mai stato appassionato e parlarne con lui era come discuterne con la propria
madre. Il peggio del peggio.
A Massimo piaceva il motociclismo e, guardacaso, era un tifoso di Valentino
Rossi, lo storico rivale del campione romano Max Biaggi, legittimamente
considerato nella capitale un’icona come Totti o qualche altro eroe dell’arena
verde. Carlo lo sapeva bene e vista la più che deludente stagione del fenomeno di
Tavullia a confronto del successo mondiale di Biaggi, gli parve giusto tributare
onore a un “soldato di Roma”.
« Sì, mi pare di averlo letto su internet… », disse come a voler sminuire la notizia.
« Fa bene. Ha vinto due titoli superbike, ah lo sa che è stato il primo italiano a
vincere un titolo in superbike? Non c’era mai riuscito nessuno… ».
« Sì, è stato un grande », disse rassegnato l’ispettore.
« Ha una moglie che è una favola due creature da crescere… che senso ha
correre ancora a rischiare la pelle ».
Onestamente a Meltemi non fregava molto né del perché Biaggi avesse mollato
né del perché Carlo lo stesse chiedendo a lui, però era consapevole di avergli rotto
le scatole a quell’ora e cercò di non sembrare troppo sgarbato. Senza il cappuccio
e i cornetti di Carlo la giornata avrebbe preso una brutta piega.
« Avrei fatto lo stesso anche io », disse il poliziotto fissando la schiuma del
cappuccio che Carlo gli aveva appena servito. « Bisogna sempre lasciare da
campioni… altrimenti ti dimenticano tutti troppo in fretta e ti ricordano solo per
l’ultima sconfitta che hai subito e non per le cento vittorie che hai conquistato
prima. E poi se non sta un po’ a casa chissà mai che alla Pedron non vengano
certe idee… », concluse con un’allusione al sesso pensando che ci stesse sempre
bene durante le chiacchere fatte in un bar alle cinque della mattina.
« Ben detto dottò… marmellata di albicocche o frutti di bosco? », chiese Carlo
dichiarandosi così soddisfatto di quella risposta.
Mentre addentava la sua brioche, o cornetto che fosse, Massimo Meltemi pensò
a quello che aveva detto un istante prima su come la gente ti considera quando
perdi: un perdente.
Non frega un cazzo a nessuno se sei stato un vincente per tutta la vita: se chiudi
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da perdente è così che la gente ti ricorderà.
Figurarsi poi a chiudere dopo che avevi perso le ultime partite giocate.
L’ispettore capo Massimo Meltemi aveva perso alcune delle sue partite ma non
era un perdente e non lo sarebbe mai stato.
Se nel suo futuro era scritto che avrebbe chiuso la sua carriera alla Polizia Postale
lo avrebbe fatto da vincente.
Avrebbe risolto i casi che gli avevano assegnato e solo dopo avrebbe pensato se
ritirarsi o chiedere un altro trasferimento.
Mentre si stava scrollando dalla giacca le briciole del cornetto il cellulare squillò.
Sul display apparve il numero della centrale. A quell’ora potevano essere solo
brutte notizie.
« Massimo, è successo un casino ». L’apprensione nella voce del maresciallo Risi
gli confermò l’impressione. « Hanno trovato una ragazza morta nei pressi
dell’EUR. Pare che abbia a che fare con uno dei nostri casi, dicono anche che sia
molto giovane. Quelli della scientifica sono già sul posto. Ti do l’indirizzo? ».
Meltemi pagò la colazione, raggiunse il suo scooter e si diresse all’indirizzo che
gli aveva trasmesso il collega.
Quando arrivò riconobbe il t-max bianco di Allegri nuovo fiammante già
parcheggiato sotto l’edificio dove Risi gli aveva detto di andare.
Pareva glielo facesse apposta. Meltemi aveva un t-max primo modello. Lo aveva
settato e personalizzato come fosse una moto da pista e come tale lo usava. Era
nato al nord ma in fatto di auto e moto si sentiva molto terrone.
Allegri aveva sempre avuto un piccolo scooter scassato ma da quando era
arrivato allo stesso commissariato si era comprato anche lui un t-max. L’ultimo
modello per giunta.
Non solo Allegri era più giovane di lui, persino la sua moto era di un modello più
recente della sua. Irritante.
L’immagine delle ore che precedono l’alba, il cappuccio e la brioche di Carlo
erano solo dei ricordi, e pure lontani.
« Buongiorno Allegri, cosa abbiamo? ».
« Una ragazza seviziata e ammazzata […]
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