36 film digitalizzati selezionati tra i capolavori di sempre
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36 film digitalizzati selezionati tra i capolavori di sempre
R 36 FILM DIGITALIZZATI SELEZIONATI TRA I CAPOLAVORI DI SEMPRE DAL 03 NOVEMBRE 2010 AL 01 AGOSTO 2011 - OGNI LUNEDI’ DUE SPETTACOLI R 36 FILM DIGITALIZZATI SELEZIONATI TRA I CAPOLAVORI DI SEMPRE DAL 03 NOVEMBRE 2010 AL 01 AGOSTO 2011 - OGNI LUNEDI’ DUE SPETTACOLI 14/02/2011 21/02/2011 28/02/2011 07/03/2011 PREVIEW Futuro 14/03/2011 Ritorno al 10 0 2 / 10 / 7 2 5 .1 18.00 / 20 21/03/2011 28/03/2011 04/04/2011 11/04/2011 03/11/2010 08/11/2010 15/11/2010 22/11/2010 29/11/2010 06/12/2010 13/12/2010 10/01/2011 17/01/2011 24/01/2011 31/01/2011 07/02/2011 Via col Vento 18.00 Ghost 18.00 - 20.25 Rocky 18.00 - 20.15 Gli Intoccabili 18.00 - 20.20 Il Padrino 18.00 - 21.15 American Graffiti 18.00 - 20.15 Grease 18.00 - 20.15 La febbre del sabato sera 18.00 - 20.15 Flashdance 18.00 - 20.15 Cocoon 18.00 - 20.15 La calda notte dell’Ispettore Tibbs 18.00 - 20.15 Forrest Gump 18.00 - 21.15 18/04/2011 27/04/2011 02/05/2011 09/05/2011 16/05/2011 23/05/2011 30/05/2011 06/06/2011 13/06/2011 20/06/2011 27/06/2011 04/07/2011 Edward mani di forbice 18.00 - 20.15 La vita è una cosa meravigliosa 18.00 - 20.30 Psyco 18.00 - 20.15 Jesus Christ Superstar 18.00 - 20.15 A qualcuno piace caldo 18.00 - 20.15 All’inseguimento della pietra verde 18.00 - 20.15 Sciarada 18.00 - 20.15 Quei bravi ragazzi 18.00 - 21.15 Wall Street 18.00 - 20.25 Irma la dolce 18.00 - 21.15 American beauty 18.00 - 20.20 Un uomo da marciapiede 18.00 - 20.15 Hollywood party 18.00 - 20.15 Splendore nell’erba 18.00 - 20.20 Marnie 18.00 - 20.30 Carlito’s way 18.00 - 21.15 Intrigo internazionale 18.00 - 20.30 Frankestein Junior 18.00 - 20.15 Staing alive 18.00 - 20.15 Voglia di tenerezza 18.00 - 20.30 Il gigante 18.30 A cura di Filippo Mazzarella Universal Pictures presenta RITORNO AL FUTURO (Back to the future) (USA 1985, 1h57’, colore, formato panoramico 1,85:1) Diretto da Robert Zemeckis. Con Michael J. Fox, Christopher Lloyd, Lea Thompson. Scritto da Robert Zemeckis e Bob Gale. Prodotto da Bob Gale, Kathleen Kennedy, Frank Marshall e Steven Spielberg. “L’unico ragazzo al mondo ad aver problemi ancor prima di nascere.” Con la saga (seguiranno due sequel) del giovane Marty McFly a spasso nel passato (e nel futuro), Zemeckis ha marchiato a fuoco l’immaginario degli anni Ottanta. La cornice è fantascientifica, ma i meccanismi sono da commedia dell’arte con prestiti edipici. Se il protagonista torna nei favolosi “Fifties” proprio mentre i suoi genitori stanno innamorandosi, e rischia di far perdere la testa alla sua futura mamma, mette in pericolo la sua stessa nascita. Il paradosso temporale è venato di nostalgia: e il rassicurante Michael J. Fox, subito mito dei teenager, è l’interprete perfetto per fare da controcanto al pazzo Doc di Christopher Lloyd e dare equilibrio al ritmo indiavolato del film. A segnare ulteriormente un’epoca, il geniale gadget della DeLorean DMC-12 “ad ali di gabbiano”, inedita macchina del tempo, e il rock’n’roll rivisitato da Huey Lewis and the News che guadagnarono con la canzone-guida “The Power of Love” un primo posto in classifica e una delle quattro nomination all’Oscar del film, che vinse nella categoria “miglior montaggio degli effetti sonori”. ACADEMY AWARDS: 4 nomination, 1 OSCAR [miglior montaggio degli effetti sonori] GOLDEN GLOBES: 4 nomination ACADEMY OF SF, FANTASY & HORROR FILMS: 9 nomination, 3 SATURN [miglior film, attore, effetti speciali] RIMASTERIZZATO IN ESCLUSIVA PER LE SALE DIGITALI 2K A cura di Filippo Mazzarella Paramount Pictures presenta COLAZIONE DA TIFFANY (Breakfast at Tiffany’s) (USA 1961, 1h55’, colore, formato panoramico 1,85:1) Diretto da Blake Edwards. Con Audrey Hepburn, George Peppard, Martin Balsam. Scritto da George Axelrod. Dal romanzo omonimo di Truman Capote. Prodotto da Martin Jurow e Richard Sheperd. “Te l’ho già detto quanto sono divinamente felice?” L’insicura, vitale, nevrotizzata texana Holly Golightly s’innamora di un giovane scrittore in una New York magica. Gli anni Sessanta sono appena iniziati e John Fitzgerald Kennedy è insediato da pochi mesi: in un’America che si prepara al cambiamento, il grande Blake Edwards fa le prove generali per le sue successive follie mentre i diamanti della leggendaria gioielleria Tiffany, gli abiti di Givenchy, l’acutezza di Truman Capote e la memorabile sfacciataggine di Audrey Hepburn fanno il resto. Il risultato è una commedia sofisticata tra satira e sentimenti che getta un ponte tra passato e presente e “ispira” direttamente milioni di donne, prima che la Manhattan glamour dell’epoca si trasformi nell’irriconoscibile inferno contemporaneo di “Il diavolo veste Prada” e “Sex and the City”. Audrey intona l’eterna “Moon River” al davanzale, ma il resto della colonna sonora di Henry Mancini non è da meno. Delle cinque nomination all’Oscar, due si trasformano infatti in statuetta: per le migliori musiche e la migliore canzone. Quando a Givenchy fu detto che la «signorina Hepburn» voleva vederlo, lo stilista francese credeva di dover incontrare Katharine Hepburn: ma la delusione si trasformò in un’amicizia e un sodalizio professionale che sarebbero durati tutta la vita. ACADEMY AWARDS: 5 nomination, 2 OSCAR [migliori musiche e migliore canzone] GOLDEN GLOBES: 2 nomination DAVID DI DONATELLO: migliore attrice straniera [Audrey Hepburn] RIMASTERIZZATO IN ESCLUSIVA PER LE SALE DIGITALI 2K A cura di Filippo Mazzarella Lucasfilm / Universal Pictures presentano AMERICAN GRAFFITI (Usa 1973, 1h50’, colore, formato Techniscope 2,35:1) Diretto da George Lucas. Con Richard Dreyfuss, Ron Howard, Paul Le Mat, Harrison Ford. Scritto da George Lucas, Willard Huyck e Gloria Katz. Prodotto da Francis Ford Coppola e Gary Kurtz. “Dove eravate nel ’62?” Prima di imbarcarsi in “Guerre Stellari”, che diventerà l’unico successivo progetto della sua carriera di regista e produttore, George Lucas aveva girato due soli film: il fantasociologico “THX-1138 – L’uomo che fuggì dal futuro” e il nostalgico “American Graffiti”, pietra angolare di quel cinema corale sul passaggio dall’adolescenza all’età adulta che ha informato e tuttora caratterizza una buona parte del cinema –soprattutto indipendente- americano. Sotto le pieghe di una commedia giovanilistica (la lunga ultima notte da liceali di quattro amici destinati a vite diverse) prodotta nientemeno che da Francis Coppola, il racconto della perdita definitiva dell’innocenza di un’intera generazione, non a caso ambientato nei mesi del 1962 che precedettero l’omicidio di Kennedy. Innovativo nella struttura episodica “legata” da una incessante selezione di rock’n’roll anni Cinquanta, evocativo nella scelta degli interpreti (tra cui spiccano il futuro regista Ron Howard, all’epoca fresco della serie TV “Happy Days”, e un giovane Harrison Ford), aprì il filone del cinema-nostalgia: anche grazie alla voce di Lupo Solitario alias Wolfman Jack, vero e leggendario DJ radiofonico, che ne accompagnava la colonna sonora di platino: una compilation ante litteram di classici rock che riportò in auge in un colpo solo Platters, Beach Boys, Buddy Holly, Chuck Berry, Booker T. & the MG’s. ACADEMY AWARDS: 5 nomination GOLDEN GLOBES: 4 nomination 2 GOLDEN GLOBE: [miglior film, miglior esordiente: Paul le Mat] RIMASTERIZZATO IN ESCLUSIVA PER LE SALE DIGITALI 2K A cura di Filippo Mazzarella Warner Bros. Pictures presenta QUEI BRAVI RAGAZZI (Goodfellas) (Usa 1990, 2h26’, colore, formato panoramico 1,85:1) Diretto da Martin Scorsese. Con Robert De Niro, Ray Liotta, Joe Pesci. Scritto da Nicholas Pileggi e Martin Scorsese. Dal libro “Il delitto paga bene” di Nicholas Pileggi. Prodotto da Irwin Winkler e Barbara De Fina. “Che io mi ricordi, ho sempre voluto fare il gangster.” Era dal memorabile “Toro Scatenato” (1980) che Martin Scorsese non tornava nell’ambito di quel milieu italoamericano che meglio di ogni altro regista della nuova Hollywood aveva saputo raccontare sin dai suoi esordi. Ma anche se “Goodfellas” copre un arco temporale che va dal 1955 al 1980, le modalità di rappresentazione del regista sono già pienamente calate nell’estetica degli anni ’90. Nel filmare una classica storia di mafia e violenza, ascesa e caduta, volgarità e ferocia imperniata sulla figura del mafioso di mezza tacca (realmente esistito) Henry Hill (Liotta), Scorsese imprime infatti alle immagini un ritmo mozzafiato, adrenalinico, drogato. Dialoghi come frustate, enfatizzati dal un turpiloquio che diventa la cifra stessa del film, un design sonoro innovativo e i “suoi” attori (meritatissimo l’Oscar di Joe Pesci) intonati all’unisono: per distaccarsi volutamente dalla visione epica del “Padrino” di Coppola o dal romanticismo estremo di “C’era una volta in America” di Leone e riportare la mafia alla sua altezza reale fatta di sangue, soldi, prostitute e ferocia sospendendo il giudizio a favore di una distanza/ aderenza quasi documentaristica alla materia. Alla mostra di Venezia fu insignito di un discusso Leone d’Argento, che sapeva di consolazione. Ma ha resistito alla prova del tempo meglio di qualunque altro film del genere. Immensa la colonna sonora: 46 brani stipati in due ore e mezza, tra Rolling Stones, Giuseppe Di Stefano, Aretha Franklin, Muddy Waters, Derek and the Dominoes. ACADEMY AWARDS: 6 nomination, 1 OSCAR [miglior attore non protagonista: Joe Pesci] GOLDEN GLOBES: 5 nomination CÉSAR: miglior film straniero FESTIVAL DI VENEZIA: Leone d’argento RIMASTERIZZATO IN ESCLUSIVA PER LE SALE DIGITALI 2K A cura di Filippo Mazzarella Metro-Goldwyn-Mayer Pictures presenta INTRIGO INTERNAZIONALE (North by Northwest) (Usa 1959, 2h11’, colore, formato panoramico 1,85:1) Diretto da Alfred Hitchcock. Con Cary Grant, Eva Marie Saint, James Mason. Scritto da Ernest Lehman. Prodotto da Herbert Coleman e Alfred Hitchcock. “Mi dispiace, tesoro: sono un sentimentale.” Scambiato per un agente fantasma inventato dal controspionaggio americano, il tranquillo Thornhill (Cary Grant) viene ingiustamente accusato di omicidio e inseguito per mezza America. Solo l’aiuto di un’affascinante doppiogiochista lo trarrà d’impaccio. Di tutti i capolavori hitchcockiani, è quello che meglio coniuga umorismo sottile, suspense, maestria della composizione d’immagine. Ed è quello che più rispecchia l’idea della Guerra Fredda nell’immaginario “pop” americano. Entrate da subito nella storia due sequenze, a vario titolo imitate da molto cinema a seguire: il lungo inseguimento del biplano e l’arrampicata della coppia di protagonisti sui volti giganteschi dei presidenti Usa scolpiti sul monte Rushmore. Per non dire dell’allusione erotica finale che Hitchcock definì “la sequenza più impertinente che abbia realizzato”. Molto della riuscita si deve all’alchimia tra i due interpreti: la perfezione da “everyman” di Grant, la splendida ambiguità della Saint (voluta a tutti i costi da Hitchcock, contro la MGM che gli aveva imposto Cyd Charisse). Nel suo rituale cameo, Sir Alfred è un passeggero d’autobus. ACADEMY AWARDS: 3 nomination RIMASTERIZZATO IN ESCLUSIVA PER LE SALE DIGITALI 2K A cura di Filippo Mazzarella Giant Productions / Warner Bros. Pictures presentano IL GIGANTE (Giant) (Usa 1956, 3h21’, colore, formato panoramico 1,66:1) Diretto da George Stevens. Con James Dean, Rock Hudson, Elizabeth Taylor. Scritto da Fred Guiol e Ivan Moffat. Dal romanzo omonimo di Edna Ferber. Prodotto da George Stevens e Henry Ginsberg. “Il denaro non è nulla, Jett.” “No, quando ce l’hai.” Rock Hudson è “Bick” Benedict, allevatore texano vecchio stampo poco in grado di confrontarsi con un mondo in mutazione; Liz Taylor è la sua filantropica moglie Leslie; James Dean è Jett Rink, il suo invidiato vicino che ha trovato il petrolio; Dennis Hopper il suo “degenere” figlio Jordan, che ha impalmato una messicana. Cast da grandi occasioni, durata da affresco epico, temi (la corsa al petrolio, il razzismo, la gloria effimera del denaro, i cambiamenti storici) della Hollywood classica. Il più grande incasso mai registrato sino ad allora da un film Warner. Il record probabilmente ineguagliato di un milione di metri di pellicola girati dal regista Oscar George Stevens. Ma a portare nell’olimpo l’adattamento del grande romanzo americano di Edna Ferber è bastato un triste fatto di cronaca: l’incidente d’auto mortale di cui fu vittima James Dean a riprese del film non ancora finite. Un lutto che trasformò l’astro nascente (due soli altri film all’attivo: “La valle dell’Eden” e “Gioventù bruciata”) di una generazione di “ribelli” in un’icona di celluloide imperitura. ACADEMY AWARDS: 10 nomination, 1 OSCAR [miglior regia] GOLDEN GLOBES: 2 nomination DAVID DI DONATELLO: [miglior film straniero] RIMASTERIZZATO IN ESCLUSIVA PER LE SALE DIGITALI 2K A cura di Filippo Mazzarella Selznick International Pictures e Metro-Goldwyn-Mayer presentano VIA COL VENTO (Gone with the wind) (Usa 1939, 3h42’, colore, formato Academy 1,37:1) Diretto da Victor Fleming. Con Clark Gable, Vivien Leigh, Thomas Mitchell. Scritto da Sydney Howard. Dal romanzo omonimo di Margaret Mitchell. Prodotto da David O. Selznick. “Dopotutto, domani è un altro giorno.” Georgia, 1861. La volubile Rossella O’Hara vorrebbe consolarsi di una delusione d’amore con lo spavaldo avventuriero Rhett Butler: ma l’esplosione della Guerra Civile cambia le carte in tavola. La storia d’amore più famosa del cinema, nel film più amato di tutti i tempi. La potenza del melodramma epico, il gigantismo della produzione, la minuziosità della ricostruzione storica (certo non “politically correct”), la sperimentazione del Technicolor: elementi che ne fecero una pietra miliare malgrado le molte traversie di lavorazione (la regia passata prima dalle mani di George Cukor e poi a quelle di Sam Wood; la sceneggiatura riscritta da innumerevoli autori tra cui Ben Hecht e Francis Scott Fitzgerald). “Via col vento” aprì ufficialmente la stagione dei kolossal hollywoodiani divenendo un archetipo di genere ineguagliato e onorato da mille altri titoli, “Titanic” incluso. Le schermaglie sensuali tra Gable e la Leigh, i dialoghi mandati a memoria dagli spettatori, i tramonti rosso fuoco e gli effetti speciali per l’epoca straordinari dell’incendio di Atlanta, i temi musicali di Max Steiner, le imponenti scenografie di Lyle Wheeler (e William Cameron Menzies): “landmark” da cui l’intera industria del cinema non potè prescindere per decenni. E primati: come il primo Oscar per l’interpretazione assegnato a un’attrice nera, l’indimenticabile “Mammy” Hattie McDaniel. ACADEMY AWARDS: 13 nomination, 8 OSCAR [miglior film, regia, sceneggiatura, attrice protagonista, attrice non protagonista, fotografia, art direction, montaggio] RIMASTERIZZATO IN ESCLUSIVA PER LE SALE DIGITALI 2K A cura di Filippo Mazzarella Universal Pictures presenta SCARFACE (Usa 1983, 2h50’, colore, formato Panavision 2,35:1) Diretto da Brian De Palma. Con Al Pacino, Michelle Pfeiffer, Mary Elizabeth Mastrantonio, F. Murray Abraham. Scritto da Oliver Stone. Prodotto da Martin Bregman. “Io non mento mai. Anche quando dico bugie.” Il rifugiato cubano Tony Montana (Al Pacino) diventa il capo del narcotraffico floridiano. Cocaina, potere, denaro e l’attaccamento ai confini dell’incestuoso con la sorella Gina (Mary Elizabeth Mastrantonio) contribuiranno però a minare la sua salute psichica. E quando si rifiuterà di eseguire un ordine, il suo destino sarà segnato. A quasi cinquant’anni dallo “Scarface” originale (1932), che tratteggiava per eufemismi ascesa e caduta di Al Capone, Oliver Stone sposta la parabola di Howard Hawks nell’era della nuova criminalità e la riscrive come una moderna riflessione su morte e potere (con parecchie frecciate caustiche alla politica dell’allora presidente Usa Ronald Reagan) che De Palma mette in scena con il suo stile eccessivo, violento fino al barocchismo. Il personaggio di Pacino, per quanto completamente negativo, ha una statura da eroe shakespeariano, e ha generato un sorprendente e ambiguo culto che continua a tutt’oggi soprattutto presso le generazioni dei giovanissimi. Spettacolo incessante ed estremo, vittima di una sorprendente diffidenza della critica americana (e dell’Academy: nessuna nomination all’Oscar), ebbe maggior fortuna in Europa dove De Palma era considerato un “autore”. Ma ebbe il merito di lanciare definitivamente anche negli Usa la venticinquenne quasi esordiente Michelle Pfeiffer, vista prima soltanto nello sfortunatissimo “Grease 2”. Magistrale colonna sonora di Giorgio Moroder. GOLDEN GLOBES: 3 nomination RIMASTERIZZATO IN ESCLUSIVA PER LE SALE DIGITALI 2K A cura di Filippo Mazzarella Universal Pictures presenta MARNIE (Usa 1964, 2h10’, colore, formato panoramico 1,85:1) Diretto da Alfred Hitchcock. Con Sean Connery, Tippi Hedren, Diane Baker. Scritto da Jay Presson Allen. Dal romanzo omonimo di Winston Graham. Prodotto da Alfred Hitchcock. “Tu Freud, io Jane?” Il facoltoso Mark Rutland (Sean Connery) ha sposato la bella cleptomane Marnie (Tippi Hedren) senza sapere che la donna è frigida e angosciata da incubi ricorrenti. Scoprire i misteri legati al passato della tormentata sposa diventerà per lui un’ossessione. Dopo aver dimostrato di saper padroneggiare qualsiasi registro cinematografico applicato alla suspense (dalla commedia sofisticata all’horror, dal giallo classico alla sperimentazione “sovrannaturale” di “Gli uccelli”, il maestro Alfred Hitchcock si concesse un dramma psicologico (non privo di elementi di mistero) caratterizzato dal colore rosso e fondamentalmente basato sulla rimozione di un trauma infantile a sfondo sessuale. Materia scottante, e un azzardo antispettacolare che non gli fu perdonato né dal pubblico né dalla critica. Il finale, che portava sullo schermo esplicitamente il dramma della pedofilia e dello stupro, fu uno shock per gli spettatori dell’epoca: anche perché l’aver scelto Connery (già lanciatissimo nei panni di James Bond 007) come protagonista contribuì non poco a disorientare la percezione dell’audience. Caso unico nella storia del regista, il secondo film consecutivo con la stessa attrice, Tippi Hedren, che aveva esordito con lui l’anno prima in “Gli uccelli” e che Hitchcock aveva messo sotto contratto con una ironica ma pur sempre poco rassicurante premonizione: “Rovinerò sul nascere la tua carriera.” Nel suo rituale cameo, Sir Alfred è un ospite dell’hotel. RIMASTERIZZATO IN ESCLUSIVA PER LE SALE DIGITALI 2K A cura di Filippo Mazzarella Bregman/Baer Productions / Universal Pictures presentano CARLITO’S WAY (Usa 1993, 2h25’, colore, formato Panavision 2,35:1) Diretto da Brian De Palma. Con Al Pacino, Sean Penn, Penelope Ann Miller. Scritto da David Koepp. Dal romanzo “Una vita a modo mio” di Edwin Torres. Prodotto da Martin Bregman e Willy Baer. “Questa è la mia vita. Io sono come sono, nel bene e nel male. Non posso farci niente.” Deciso a rifarsi una vita dopo essere stato in galera per traffico di droga, Carlito Brigante cerca di gestire un locale notturno stando a distanza dalla malavita. Ma il suo avvocato David Kleinfeld (Sean Penn) gli addossa la responsabilità, incastrandolo, dell’uccisione di un potente gangster. La fuga di Carlito sarà disperata, e vana. A dieci anni da “Scarface”, Pacino e De Palma si ritrovano: ma alla furia distruttiva e violentissima del loro “incontro” cinematografico precedente si sostituisce un fatalismo che celebra la figura di un perdente sconfitto dalla vita e che nega quei concetti di redenzione e “seconda possibilità” che hanno fatto grande il cinema americano classico. Un trionfo di forma, tra riprese “impossibili” (come la carrellata circolare finale sul corpo esanime di Pacino), lunghi ed elaboratissimi piani sequenza che nulla tolgono a un ritmo sempre implacabile, virtuosismi mai sottolineati e pudiche autocitazioni (il métro di “Vestito per uccidere”, la stazione di “The Untouchables”). E una mirabile profondità psicologica dei personaggi, esaltata dalle performance di un cast perfetto. Che cela tra i suoi personaggi minori anche un ai tempi poco noto Viggo Mortensen. GOLDEN GLOBES: 2 nomination RIMASTERIZZATO IN ESCLUSIVA PER LE SALE DIGITALI 2K A cura di Filippo Mazzarella Shamley Productions / Paramount Pictures presentano PSYCHO (Usa 1960, 1h49’, b/n, formato panoramico 1,85:1) Diretto da Alfred Hitchcock. Con Anthony Perkins, Janet Leigh, Vera Miles, John Gavin, Martin Balsam. Scritto da Joseph Stefano. Dal romanzo omonimo di Robert Bloch. Prodotto da Alfred Hitchcock. “Il miglior amico di un ragazzo è sua madre.” 40.000 dollari rubati. Una giovane in fuga. Un sinistro motel gestito da un giovane timido con l’hobby dell’imbalsamazione e una mamma ammalata invisibile ma invadente. Una doccia fatale. Già noto come maestro del giallo, nel 1960 Alfred Hitchcock decide di spingere la sua maestria ai confini dell’horror psicologico. Uno sdoppiamento di personalità da manuale (complesso di Edipo e sessuofobia inclusi), un brutale omicidio che getterà le basi per il cinema “slasher” del decennio successivo, atmosfere inquietanti alla Norman Rockwell, una colonna sonora (di Bernard Herrmann) che diventerà paradigma di ogni costruzione musicale di genere, uno scardinamento consapevole di tutte le convenzioni narrative (non si era mai visto morire il presunto protagonista di un film a 40 minuti dall’inizio): dopo “Psycho”, la storia del cinema non sarà più la stessa. E nemmeno quella di Anthony Perkins, straordinario e tormentato interprete di Norman Bates, che rimarrà imprigionato nel ruolo dello psicopatico violento per il resto della sua carriera. Gli oltre cinquanta stacchi di montaggio in due minuti della celeberrima sequenza della doccia sono entrati nell’olimpo della regia. E nelle scuole di cinema di tutto il mondo. Ultimo film del maestro girato in bianco e nero. Non fu una scelta dettata dall’atmosfera, ma dalla necessità di risparmiare: Hitchcock, anche produttore, temeva fosse un fiasco: ma per quanto snobbato dagli Oscar (Hitchcock non ne vinse mai uno), fu un immenso successo che dettò nuove leggi della suspense. ACADEMY AWARDS: 4 nomination GOLDEN GLOBES: 1 nomination 1 GOLDEN GLOBE [miglior attrice: Janet Leigh] RIMASTERIZZATO IN ESCLUSIVA PER LE SALE DIGITALI 2K A cura di Filippo Mazzarella Universal Pictures presenta JESUS CHRIST SUPERSTAR (Usa 1973, 1h48’, colore, formato Todd-AO 2,40:1) Diretto da Norman Jewison. Con Ted Neeley, Carl Anderson, Yvonne Elliman. Scritto da Norman Jewison e Melvyn Bragg. Dal musical omonimo di Tim Rice e Andrew Lloyd Webber. Prodotto da Norman Jewison e Robert Stigwood. Per tutti gli anni Settanta, il binomio cinema/musica fu dominato dal fiuto dell’impresario australiano Robert Stigwood. Il suo esordio come produttore cinematografico (a cui fecero seguito i trionfi di “Tommy”, “La febbre del sabato sera” e “Grease”) avvenne con questo adattamento della fortunatissima commedia musicale di Tim Rice e Andrew Lloyd Webber che ha sbancato Broadway trasformando in “opera rock” i passi salienti del Vangelo e aggiornando la figura del Messia alla filosofia hippy pacifista. Scenografie suggestive e contaminazioni con l’iconografia del presente ne fecero la fortuna visiva, la ricca colonna sonora ai vertici delle hit parade mondiali quella commerciale. Azzeccatissimi e per l’epoca azzardatissimi gli interpreti: il Gesù beat di Ted Neeley, il Giuda afroamericano di Carl Anderson, la sensuale Maria Maddalena della cantante Yvonne Elliman (che con Ian Gillan dei Deep Purple nel ruolo di Cristo aveva già inciso il disco dell’opera teatrale). Le molte, inevitabili polemiche contribuirono a costruirne il mito: la divinità di Gesù messa in dubbio, il coinvolgimento sentimentale della Maddalena, il presunto antisemitismo letto nella ferocia con cui la folla incita alla crocifissione. Colpevolmente ignorato dagli Oscar, che gli assegnarono solo una scontata nomination per le musiche. E’ l’ultimo film della storia del cinema girato nello spettacolare formato Todd-AO, e uno dei primi a vantare l’audio stereofonico a 4 piste magnetiche che fu preludio al Dolby Stereo. ACADEMY AWARDS: 1 nomination GOLDEN GLOBES: 6 nomination RIMASTERIZZATO IN ESCLUSIVA PER LE SALE DIGITALI 2K A cura di Filippo Mazzarella Stanley Donen Productions / Universal Pictures presentano SCIARADA (Charade) (Usa 1963, 1h53’, colore, formato panoramico 1,85:1) Diretto da Stanley Donen. Con Cary Grant, Audrey Hepburn, Walter Matthau, James Coburn. Scritto da Peter Stone e Marc Behm. Prodotto da Stanley Donen e James Ware. “Queste sigarette con il filtro... è come bere il caffè con la cannuccia!” Un misterioso gentleman aiuta una giovanissima vedova parigina a recuperare il denaro che il marito aveva nascosto prima di venire assassinato. Dopo aver eccelso nella commedia e nel musical (“Sette spose per sette fratelli”, “Cantando sotto la pioggia”), Stanley Donen si misurò con un giallo-rosa coevo della “Pantera Rosa” e a tratti altrettanto scanzonato, ma con più di un’ascendenza hitchcockiana, dove la sua indole si manifestò inevitabilmente nella costruzione di una narrazione con coreografie e ritmi da balletto. Ma quello che oggi è considerato un imprescindibile classico della contaminazione tra generi deluse al box-office, recuperando poco più dei suoi costi di produzione. Malgrado Audrey Hepburn, sempre vestita Givenchy, e Cary Grant (memorabile il suo “ballo dell’arancia”) dessero il meglio della loro autoironia, e il duello sul tetto del treno fosse un momento che non avrebbe appunto sfigurato nel repertorio di Hitchcock. Travolgenti, come sempre, le musiche di Henry Mancini (candidate all’Oscar). ACADEMY AWARDS: 1 nomination GOLDEN GLOBES: 2 nomination RIMASTERIZZATO IN ESCLUSIVA PER LE SALE DIGITALI 2K A cura di Filippo Mazzarella Paramount Pictures presentano GLI INTOCCABILI (The Untouchables) (Usa 1987, 2h00’, colore, formato Panavision 2,35:1) Diretto da Brian De Palma. Con Kevin Costner, Sean Connery, Robert De Niro, Andy Garcia, Charles Martin Smith. Scritto da David Mamet. Prodotto da Art Linson. “Sei soltanto chiacchiera e distintivo!” Per riuscire a portare in tribunale Al Capone (Robert De Niro), che spadroneggia durante gli anni del proibizionismo, l’agente del Tesoro Elliot Ness (Kevin Costner) riunisce a sé un gruppo di “Intoccabili” incorruttibili: il vecchio poliziotto irlandese Malone (Sean Connery), il timido contabile Wallace (Charles Martin Smith), il caricatissimo italoamericano Giuseppe Petri alias George Stone (Andy Garcia). Il gangster-movie secondo Brian De Palma, dalle memorie del vero Ness dialogate con arguzia dal commediografo David Mamet: un trionfo di sequenze di cinema da antologia, che culmina nella battaglia a orologeria finale alla stazione con tanto di strizzata d’occhio alla “Corazzata Potemkin” di Ejzenstein. Un oggetto fuori dal tempo, e dall’estetica dei polizieschi/noir degli anni Ottanta: griffato (gli abiti del quartetto sono di Giorgio Armani, e si vede), stilizzato (impeccabili le musiche autoreferenziali di Ennio Morricone, candidate all’Oscar), citazionista. A neanche un decennio da “Toro Scatenato”, De Niro ingrassò di nuovo a dismisura, stavolta per interpretare il famoso gangster. Ma se la sua interpretazione è l’apice di gigioneria di una carriera e alcune delle sue memorabili battute sono diventate proverbiali, a vincere il suo primo e unico Oscar (e un Golden Globe), a 57 anni suonati, fu il gigantesco, umanissimo Sean Connery. ACADEMY AWARDS: 4 nomination, 1 OSCAR [miglior attore non protagonista: Sean Connery] GOLDEN GLOBES: 2 nomination 1 GOLDEN GLOBE [miglior attore non protagonista: Sean Connery] RIMASTERIZZATO IN ESCLUSIVA PER LE SALE DIGITALI 2K A cura di Filippo Mazzarella RSO / Paramount Pictures presentano GREASE (Usa 1978, 1h50’, colore, formato Panavision 2,35:1) Diretto da Randal Kleiser. Con John Travolta, Olivia Newton-John, Stockard Channing. Scritto da Bronté Woodard. Dal musical omonimo di Jim Jacobs e Warren Casey. Prodotto da Robert Stigwood e Allan Carr. “Grease is the word.” Dopo “Jesus Christ Superstar”, “Tommy” e “La febbre del sabato sera”, il centro più redditizio del produttore australiano Robert Stigwood. Gli echi del successo planetario di John Travolta nei panni “contemporanei” di Tony Manero non si erano ancora spenti che già era pronto per lui un nuovo ruolo di culto, ma stavolta nei mitici “Fifties”: quello del giovane liceale scavezzacollo in giubbotto di pelle Danny Zuko, pazzamente innamorato della biondina acqua e sapone Sandy (Olivia Newton-John). Che per lui compierà una radicale trasformazione. Pienamente inserito nel filone nostalgia degli anni Cinquanta del rock’n’roll e dei “ribelli senza causa” con look alla James Dean inaugurato da “American Graffiti” e figlio dell’imperitura tradizione del musical, con coreografie di Patricia Birch: una bomba per il botteghino. Se ogni adolescente di quegli anni ha ballato al ritmo dello scatenato duetto “You’re The One That I Want”, ad aggiudicarsi la nomination all’Oscar come miglior canzone fu la romantica “Hopelessly Devoted To You”. Ma è la sorniona title-track di Frankie Valli (scritta da Barry Gibb dei Bee Gees) ad aggiudicarsi la palma del cuore di una colonna sonora tra le più popolari di sempre. Negli anni dello sconquasso televisivo di “Happy Days”, ambientato nella medesima epoca, buona parte degli adolescenti maschi ritrovò il gusto per le magliette bianche attillate, i “trucker” di pelle nera, gli stivaletti. E quella “brillantina” del titolo, con cui impomatarsi ancora una volta i capelli prima dell’era del “gel” modellante. ACADEMY AWARDS: 1 nomination GOLDEN GLOBES: 5 nomination RIMASTERIZZATO IN ESCLUSIVA PER LE SALE DIGITALI 2K A cura di Filippo Mazzarella Alfran Productions / Paramount Pictures presentano IL PADRINO (The Godfather) (Usa 1972, 2h55’, colore, formato panoramico 1,85:1) Diretto da Francis Ford Coppola. Con Marlon Brando, Al Pacino, Robert Duvall, James Caan, Sterling Hayden, Diane Keaton. Scritto da Mario Puzo e Francis Ford Coppola. Dal romanzo omonimo di Mario Puzo. Prodotto da Albert S. Ruddy. “Sto per fargli un’offerta che non può rifiutare.” Dopo l’attentato a suo padre, il “padrino” don Vito (Marlon Brando), l’eroe di guerra Mike Corleone, fino ad allora estraneo all’attività malavitosa dei suoi consanguinei, finisce col ritrovarsi a capo della cosca famigliare e gestire in prima persona un sanguinoso regolamento di conti. La prima parte della fluviale saga della famiglia Corleone è il mafia-movie per eccellenza del cinema di ogni tempo, e uno dei cardini della Nuova Hollywood degli anni Settanta. Un progetto immenso, che ha ridefinito le strategie produttive dei film-evento della Mecca del Cinema. Un grande romanzo popolare moderno alla base (il controverso bestseller di Mario Puzo); un cast eterogeneo fatto di volti del cinema del passato, star consolidate e caratteristi di vaglia; una ricostruzione d’epoca maniacale per la cura di arredamenti, scenografie, costumi ed esterni; una colonna sonora tra le più note e orecchiabili di tutti i tempi a cui sfuggì la nomination all’Oscar perché il suo autore Nino Rota l’aveva clonata da un’altra sua partitura (scritta per “Fortunella” di Eduardo De Filippo): elementi bastevoli a far entrare di prepotenza il film nell’immaginario collettivo. E a sfumare definitivamente i contorni di Bene e Male nella rappresentazione del crimine sul grande schermo. Una pioggia di nomination, ma soli tre Oscar, di cui uno per la magistrale caratterizzazione di Brando, a cui bastò mettersi in bocca del cotone idrofilo per ottenere la maschera indimenticabile di don Vito Corleone. Che l’attore però rifiutò, inviando a suo nome una sedicente pellerossa (poi rivelatasi un’attrice) per polemizzare sulla discriminazione razziale da parte degli Usa (e di Hollywood) dei nativi americani. ACADEMY AWARDS: 11 nomination, 3 OSCAR [miglior film, regia, attore protagonista: Marlon Brando] GOLDEN GLOBES: 2 nomination, 1 GOLDEN GLOBE RIMASTERIZZATO IN ESCLUSIVA PER LE SALE DIGITALI 2K A cura di Filippo Mazzarella Polygram Filmed Entertainment /Paramount Pictures presentano FLASHDANCE (Usa 1983, 1h35’, colore, formato panoramico 1,85:1) Diretto da Adrian Lyne. Con Jennifer Beals, Michael Nouri, Lilia Skala. Scritto da Joe Eszterhas e Thomas Hedley jr. Prodotto da Don Simpson e Jerry Bruckheimer. “… what a feeling.” Operaia di giorno e ballerina quasi “burlesque”di notte, la bella Alex sogna l’amore e l’ammissione a una prestigiosa scuola di danza. Avrà entrambe le cose. Con un incasso globale pari a 20 volte il suo budget, il fenomeno “Flashdance” oscurò ogni altro film musicale coevo concorrente. E non erano pochi. Con medi fenomeni come “Beat Street” e “Breakdance”, che documentavano stili di danza nascenti, o blockbuster come “Staying Alive” che rafforzavano miti preesistenti (il Tony Manero di “Saturday Night Fever”), l’aggiornamento in chiave musical/ operaia della fiaba di Cenerentola spazzò via la concorrenza grazie alla freschezza esordiente di Jennifer Beals (poi destinata a una carriera in calando), alle musiche battenti di Giorgio Moroder, alle canzoni che dominarono le hit parade dell’anno (“Maniac” di Michael Sembello, nominata all’Oscar; la celeberrima “Flashdance…What A Feeling” di Irene Cara, premiata con la statuetta), alla scaltrezza tutta pubblicitaria dell’impostazione visiva di Adrian Lyne, stimatissimo regista di “commercial” e poi dominatore del box office con i seguenti (e non meno epocali) “9 settimane e ½”, “Attrazione fatale”, “Proposta indecente”. Vero “role model” per la generazione precedente a quella dei reality show, l’eroina romantica Jennifer Beals impose alle ragazzine dell’epoca, appena uscite dal “Tempo delle mele”, un look più sexy in scaldamuscoli neri: anche se i fan rimasero delusi quando seppero che per i primissimi piani della sequenze di danza più complicate furono usate le gambe di una controfigura. ACADEMY AWARDS: 4 nomination, 1 OSCAR [miglior canzone originale] GOLDEN GLOBES: 5 nomination, 2 GOLDEN GLOBE [miglior colonna sonora, miglior canzone] RIMASTERIZZATO IN ESCLUSIVA PER LE SALE DIGITALI 2K A cura di Filippo Mazzarella Paramount Pictures presenta STAYING ALIVE (Usa 1983, 1h33’, colore, formato panoramico 1,85:1) Diretto da Sylvester Stallone. Con John Travolta, Cynthia Rhodes, Finola Hughes. Scritto da Sylvester Stallone e Norman Wexler. Prodotto da Robert Stigwood e Sylvester Stallone. “Vado a farmi il mondo.” Sei anni dopo “La febbre del sabato sera”, il “disco-dancer” Tony Manero è ancora alla ricerca del riscatto: ma l’epoca di Reagan è già iniziata, e l’anonimato della discoteca non basta più. Il suo nuovo orizzonte è Broadway, dove cerca di sfondare come ballerino professionista. E ce la farà. Non è un caso che alle redini del film ci sia stavolta Sylvester Stallone, che trasforma il personaggio di Tony Manero in una versione tersicorea del suo Rocky, sostituendo il palcoscenico al ring e le figurazioni della danza alle coreografie del pugilato: il “nuovo” Tony è un John Travolta riscolpito nel fisico che passa da mito “realistico” degli anni Settanta a una epitome plastificata della vacuità del decennio successivo, anticipando anche qualcosa del fenomeno dei “talent show” che verrà. Anche la “disco” si trasforma in un ricordo: le acrobazie del palco sono scandite da ritmi più sostenuti, e il tema musicale portante è la solida “Far From Over” di Frank Stallone, fratello del regista. Un altro ballerino successivamente “eccellente” fa una fugace apparizione in sala prove: è il Patrick Swayze che con “Dirty Dancing” ridarà lustro al cinema “di ballo” anni Ottanta. Nomination ai GOLDEN GLOBE come migliore canzone originale RIMASTERIZZATO IN ESCLUSIVA PER LE SALE DIGITALI 2K A cura di Filippo Mazzarella RSO / Paramount Pictures presentano LA FEBBRE DEL SABATO SERA (Saturday night fever) (Usa 1977, 1h58’, colore, formato panoramico 1,85:1) Diretto da John Badham. Con John Travolta, Karen Lynn Gorney, Barry Miller. Scritto da Norman Wexler. Prodotto da Robert Stigwood. “Gimme that night fever, night fever. We know how to do it.” Abito bianco e dito alzato verso il cielo, il ventitreenne John Travolta cristallizza in un passo di danza il tentativo della generazione Usa post-Vietnam di emergere dallo squallore della quotidianità. E l’italoamericano Tony Manero, commesso in un negozio di vernici di giorno e ballerino instancabile la sera, diviene una nuova, dolente, icona del “sogno americano”. Ma lo scenario affascinante ed effimero delle nuove sale da ballo in cui impera il genere musicale nascente della “discomusic” trascende le intenzioni di critica sociale dei realizzatori: e il film, pur snobbato dagli Oscar (che però non scordano di nominare il protagonista come miglior attore) diventa un fenomeno di moda e costume planetario al di là delle sue stesse intenzioni. Il doppio album della colonna sonora resta primo in classifica per un anno intero e rilancia il falsetto dei Bee Gees con brani ormai storici come “Stayin’ Alive”, “Night Fever”, “More Than A Woman” e “You Should Be Dancing” (ma fa la parte del leone anche un “martello” come “Disco Inferno” dei Trammps), e Travolta diventa il simbolo di una nuova ondata di “ribelli senza causa”: dal rock’n’roll, i giubbotti di pelle e la strada dell’era di James Dean ai sintetizzatori e il look kitsch da “dancefloor” il passo è brevissimo. GOLDEN GLOBES: 1 nomination RIMASTERIZZATO IN ESCLUSIVA PER LE SALE DIGITALI 2K A cura di Filippo Mazzarella Paramount Pictures presenta VOGLIA DI TENEREZZA (Terms of endearment) (Usa 1983, 2h12’, colore, formato panoramico 1,85:1) Diretto da James L. Brooks. Con Shirley MacLaine, Debra Winger, Jack Nicholson, Danny DeVito, Jeff Daniels. Scritto da James L. Brooks. Dal romanzo omonimo di Larry McMurtry. Prodotto da James L. Brooks. “Non adorarmi finché non me lo sono meritato.” Una famiglia americana sui generis, tre lustri di vita, un rapporto madre-figlia da manuale dei sentimenti: mamma Aurora (Shirley MacLaine), vedova, ritrova l’amore con il problematico ex-astronauta Garrett (Jack Nicholson) mentre sua figlia Emma (Debra Winger) sbaglia sia matrimoni che amanti prima di morire di cancro. L’esordio dietro la macchina da presa di Brooks, sino ad allora stimato e fortunatissimo produttore televisivo. Un film d’attori, di risate e commozione, dai dialoghi schietti e realistici (anche in tema di sesso), piovuto sul cinema americano con grande tempismo, in un’epoca di ricomposizione dei valori della famiglia dopo tanti anni di visioni “contestatrici”. Con un cast di straordinaria perfezione che ha riportato la MacLaine all’Oscar, aperto lo sfrenato Nicholson alla commedia, imposto definitivamente il piccolo grande caratterista DeVito e confermato l’eccezionale Debra Winger (impostasi l’anno prima all’attenzione del pubblico con “Ufficiale e gentiluomo”) come nome di punta della Hollywood al femminile anni Ottanta. ACADEMY AWARDS: 11 nomination, 5 OSCAR [miglior film, regia, sceneggiatura, migliore attrice: Shirley MacLaine, miglior attore non protagonista: Jack Nicholson] GOLDEN GLOBES: 6 nomination, 4 GOLDEN GLOBE [miglior film, sceneggiatura, migliore attrice: Shirley MacLaine, miglior attore non protagonista: Jack Nicholson] RIMASTERIZZATO IN ESCLUSIVA PER LE SALE DIGITALI 2K A cura di Filippo Mazzarella Dreamworks SKG presenta AMERICAN BEAUTY (Usa 1999, 2h02’, colore, formato Panavision 2,35:1) Diretto da Sam Mendes. Con Kevin Spacey, Annette Bening, Mena Suvari. Scritto da Alan Ball. Prodotto da Bruce Cohen e Dan Jinks. “…guarda da vicino.” L’immagine-sogno di Mena Suvari coperta di petali di rosa ha fatto il giro del mondo, ponendosi come icona temporanea di fine anni Novanta: l’epoca in cui il consumo di massa standardizzato, l’avvento di Internet, il moltiplicarsi esponenziale dei dispositivi di fruizione del cinema, la chiusura delle sale a un solo schermo e l’invasione (pacifica) dei multiplex hanno radicalmente cambiato la percezione del prodotto-film e alterato la sua vita nella memoria dello spettatore. Ciò malgrado, la tragedia del quarantenne in crisi Lester Burnham (Kevin Spacey), stufo della moglie e attratto dalla provocante compagna di scuola della figlia, si è depositata nell’immaginario facendo leva su tensioni molto quotidiane, condivisibili e dunque dall’indubbia capacità di solleticare l’immedesimazione dello spettatore: l’alienazione del lavoro, il crollo dei valori della “middle class”, l’ossessione dei media per l’argomento pedofilia, il matrimonio come istituzione da un pezzo non più “intoccabile”. Quasi un aggiornamento/equivalente (mutato di segno e più spregiudicato e duro nella messa in immagini), del catalizzatore di tensioni famigliari che fu “Gente comune” un ventennio prima. Cast sfavillante (sacrosanto l’Oscar a Spacey, erede naturale del grande Jack Lemmon), confezione impeccabile, immagini memorabili e simboliche: come, oltre al “sogno” in rosa già citato, il sacchetto che vola nel vento ripreso dalla videocamera del figlio dei vicini. ACADEMY AWARDS: 8 nomination, 5 OSCAR [miglior film, regia, sceneggiatura, attore protagonista: Kevin Spacey, fotografia] GOLDEN GLOBES: 6 nomination, 3 GOLDEN GLOBE [miglior film, regia, sceneggiatura] DAVID DI DONATELLO [miglior film straniero] RIMASTERIZZATO IN ESCLUSIVA PER LE SALE DIGITALI 2K A cura di Filippo Mazzarella Liberty Films / RKO / Paramount Pictures presentano LA VITA È MERAVIGLIOSA (It’s a wonderful life) (Usa 1946, 2h10’, b/n, formato Academy 1,37:1) Diretto da Frank Capra. Con James Stewart, Donna Reed, Lionel Barrymore. Scritto da Frank Capra, Frances Goodrich e Albert Hackett. Dal racconto omonimo di Philip Van Doren Stern. Prodotto da Frank Capra. “Nessun uomo è un fallito se ha degli amici.” Per guadagnarsi le ali, un angelo di seconda classe deve salvare dal suicidio un brav’uomo psicologicamente distrutto dal rischio di bancarotta. E mostrandogli il futuro terribile che aspetterebbe i suoi cari e la sua città se mettesse in atto il suo folle proposito, gli fa tornare la voglia di vivere. Esattamente come raccontato dal film, ci si potrebbe chiedere anche come sarebbe stata la storia del cinema se non fosse mai esisitito “La vita è meravigliosa”. E rendere quindi ancor più grazie alla maestria di Frank Capra e al proverbiale ottimismo che caratterizzava le sue produzioni. Prototipo di ogni film “natalizio” delle epoche successive, è una parabola che deve molto a Charles Dickens (impossibile non riconoscere nel “malvagio” Henry Potter una personificazione -impunita- dell’Ebenezer Scrooge del “Canto di Natale”)e che rievoca paure e traumi sia della II Guerra Mondiale appena terminata sia della Grande Depressione e del New Deal del decennio precedente. Nascondendo per la prima volta dietro la retorica della bontà una metafora di ombre cupe sul futuro della società americana. Eccezionale e insuperata la performance di James Stewart, impreziosita dalla fotografia in bianco e nero smagliante di Joseph Biroc e dalla memorabile partitura musicale di Dimitri Tiomkin. ACADEMY AWARDS: 1 nomination GOLDEN GLOBES: 4 nomination RIMASTERIZZATO IN ESCLUSIVA PER LE SALE DIGITALI 2K A cura di Filippo Mazzarella Paramount Pictures presenta GHOST (Usa 1990, 2h07’, colore, formato panoramico 1,85:1) Diretto da Jerry Zucker. Con Patrick Swayze, Demi Moore, Whoopi Goldberg. Scritto da Bruce Joel Rubin. Prodotto da Lisa Weinstein e Howard W. Koch. “Prima di essere ucciso Sam aveva detto a Molly che l’avrebbe amata e protetta. Per sempre.” L’agente bancario Sam resta ucciso in quello che sembra un tentativo di rapina e in realtà è un piano per eliminarlo. Ma gli viene concesso di tornare sotto forma di fantasma dall’adorata moglie Molly e di proteggerla dalle macchinazioni del suo nemico. Grazie anche alla sedicente, simpaticissima medium Oda Mae. Conosciuto sino ad allora come regista “demenziale” (“L’aereo più pazzo del mondo”) in trio col fratello David e Jim Abrahams, nel 1990 Jerry Zucker balza dietro la macchina da presa da solo per realizzare una commistione di commedia, fantasy, thriller e horror che sbanca inaspettatamente il botteghino. Le chiavi del successo del film sono l’aspetto sentimentale, spinto a vertici di commozione assoluti, e la perfetta “chemistry” della coppia di protagonisti. La sequenza della lavorazione del vaso sulle note della classica “Unchained Melody” nella versione dei Righteous Brothers diventa da subito un momento cult del cinema “d’amore” di tutti i tempi. E se Patrick Swayze consolida la fama di sex symbol raggiunta con “Dirty Dancing”, la giovame Demi Moore trova finalmente il personaggio con cui diventare una star dopo gli esordi in commedie giovanilistiche che non le avevano dato modo di emergere. Mentre il tocco comico della straordinaria Whoopi Goldberg (doppiamente premiata: Oscar e Golden Globe) contribuisce a conferire al mix di stili del film quell’unicità che lo ha reso irripetibile. ACADEMY AWARDS: 5 nomination, 2 OSCAR [migliore sceneggiatura, migliore attrice non protagonista: Whoopi Goldberg] GOLDEN GLOBES: 4 nomination, 1 GOLDEN GLOBE [migliore attrice non protagonista: Whoopi Goldberg] RIMASTERIZZATO IN ESCLUSIVA PER LE SALE DIGITALI 2K A cura di Filippo Mazzarella NBI Productions / Warner Bros Pictures presentano SPLENDORE NELL’ERBA (Splendor in the grass) (Usa 1961, 2h04’, colore, formato panoramico 1,85:1) Diretto da Frank Capra. Con Natalie Wood, Warren Beatty, Pat Hingle. Scritto da William Inge. Prodotto da Elia Kazan. “Questo mondo è la tua ostrica.” 1928: in una piccola città del Kansas, i giovani studenti Wilma Dean Loomis detta Deanie (Natalie Wood) e Bud Stamper (Warren Beatty) s’innamorano malgrado le convenzioni sociali e le rispettive famiglie impediscano loro di vivere liberamente la propria attrazione. Separati l’uno dall’altra, faticheranno non poco a tornare a vivere. Anche perché sull’America sta per abbattersi la Grande Depressione. Il titolo cita la poesia che viene letta in classe all’inizio del film, “Intimations of Immortality”, dello scrittore inglese William Wordsworth; e il film, una sceneggiatura originale della densità di un grande romanzo classico, è sia un magnifico studio psicologico di educazione sentimentale sia un inno alla giovinezza perduta. Ma anche un violento atto d’accusa contro una società ipocrita e moralista. E la prima pellicola hollywoodiana in cui i protagonisti si baciano “alla francese”, in un’inquadratura che fece scalpore. Warren Beatty, esordiente, già mette in mostra tutte quelle qualità che lo hanno reso un sex symbol per i due decenni successivi. E Natalie Wood, candidata all’Oscar (l’Academy le preferì però la Loren della “Ciociara”) nel medesimo anno in cui interpretava anche l’indimenticabile Maria di “West Side Story”, fornisce la sua più memorabile prova d’attrice. ACADEMY AWARDS: 2 nomination, 1 OSCAR [migliore sceneggiatura] GOLDEN GLOBES: 3 nomination RIMASTERIZZATO IN ESCLUSIVA PER LE SALE DIGITALI 2K A cura di Filippo Mazzarella Gruskoff/Venture Films / 20th Century Fox Film Corporation presentano FRANKENSTEIN JUNIOR (Young Frankenstein) (Usa 1974, 1h46’, b/n, formato panoramico 1,85:1) Diretto da Mel Brooks. Con Gene Wilder, Marty Feldman, Peter Boyle. Scritto da Gene Wilder e Mel Brooks. Prodotto da Michael Gruskoff. “Il lupu ululà, il castello ululì!” Con l’aiuto del servo gobbo Igor (Marty Feldman), il nipote del barone Frankenstein (Gene Wilder) torna nel laboratorio di famiglia per ritentare l’esperimento fallito del parente: ma mette insieme un mostro (Peter Boyle) di bontà. Il grande Mel Brooks era già conosciuto per il trionfo comico di “Per favore non toccate le vecchiette”, ma fu con questo film che venne consacrato come genio della parodia. Omaggiando e citando con una staordinaria fotografia in bianco e nero i classici horror della Universal, firmò quello che con “The Rocky Horror Picture Show” è forse il cult movie per eccellenza di tutti i tempi. Un capolavoro comico indiscutibile (seppur snobbato dagli Oscar, che non hanno mai amato molto la comicità) che fu ancor più valorizzato da doppiaggio e adattamento italiani (curati da Oreste Lionello) e di cui la quasi totalità delle battute è entrata stabilmente nella memoria degli spettatori. Tra invenzioni folgoranti (i cavalli che nitriscono terrorizzati solo sentendo nominare la terribile domestica Frau Blucher), capolavori di caratterizzazione (l’”Aigor” di Marty Feldman, attore dai bulbi oculari impossibili), straordinari ruoli cameo (il cieco Gene Hackman), un po’ di sana volgarità “anatomica” (il mostro superdotato) e una serie di sequenze da antologia senza soluzione di continuità (su tutte, il balletto tra creatore e creatura sulle note della celebre “Puttin’ On The Ritz”). ACADEMY AWARDS: 2 nomination GOLDEN GLOBES: 2 nomination RIMASTERIZZATO IN ESCLUSIVA PER LE SALE DIGITALI 2K A cura di Filippo Mazzarella 20th Century Fox Film Corporation presenta ALL’INSEGUIMENTO DELLA PIETRA VERDE (Romancing the stone) (Usa 1984, 1h46’, colore, formato Panavision 2,40:1) Diretto da Robert Zemeckis. Con Michael Douglas, Kathleen Turner, Danny DeVito. Scritto da Diane Thomas. Prodotto da Michael Douglas. “Jack, sei il tempo migliore che ho trascorso.” La scrittrice di romanzetti Joan Wilder (Kathleen Turner) e l’avventuriero sbruffone Jack T. Colton (Michael Douglas). Uno smeraldo di inestimabile valore. Commedia. Azione. Romanticismo. Foreste della Colombia. Un soffio di vitalità, e un omaggio dichiarato al cinema d’avventura dell’età d’oro di Hollywood. Prima di lanciarsi nella saga di “Ritorno al futuro” e di diventare uno dei più geniali sperimentatori del cinema contemporaneo, Robert Zemeckis aveva già le idee chiare su come confezionare un perfetto prodotto d’intrattenimento: e nell’anno in cui usciva un blockbuster d’avventura attesissimo come il primo sequel di Indiana Jones, riuscì a ottenere comunque incassi da capogiro. Se Douglas era già una star planetaria, l’affascinante Kathleen Turner (che aveva esordito con un piccolo ruolo in “Brivido caldo” di Lawrence Kasdan) lo diventò con questo film. Che dopo “Voglia di tenerezza”, confermò la verve anche del piccolo grande Danny DeVito. Un grande successo il brano omonimo: “Romancing the Stone” di Eddy Grant. ACADEMY AWARDS: 1 nomination GOLDEN GLOBES: 2 nomination RIMASTERIZZATO IN ESCLUSIVA PER LE SALE DIGITALI 2K A cura di Filippo Mazzarella American Entertainment Partners / 20th Century Fox Film Corporation presentano WALL STREET (Usa 1987, 2h06’, colore, formato panoramico 1,85:1) Diretto da Oliver Stone. Con Michael Douglas, Charlie Sheen, Daryl Hannah, Martin Sheen. Scritto da Oliver Stone e Stanley Weiser. Prodotto da Edward R. Pressman. “L’avidità è giusta.” Dopo “Salvador” e “Platoon”, entrambi ambientati in zone di guerra, sorprese non poco che il regista-rivelazione Oliver Stone si dedicasse anima e corpo a un dramma più tradizionale e “metropolitano”, imperniato sul conflitto tra lo squalo della finanza Gordon Gekko (Michael Douglas) e un suo giovane operatore di borsa (Charlie Sheen). Ma la New York della sua acida parabola morale dell’era “yuppie” (dedicata alla memoria del padre, ex-broker) non è nient’altro che un nuovo e moderno fronte bellico, dove i pesci piccoli possono essere sacrificati per un fine più ampio, esattamente come i soldati al fronte. Douglas dipinge con gigionesca maestria e memorabili battute un personaggio bifido e dal cognome appositamente “strisciante” che gli è valso l’Oscar e altri cinque premi internazionali per la recitazione; e il passaggio di testimone sullo schermo tra Martin Sheen e l’allora lanciatissimo figlio Charlie è commovente. Ma il cast riserva altre sorprese: come i brevi ruoli di Terence Stamp, Hal Holbrook, James Spader. E della bellissima Sean Young, cacciata dal set dopo furibonde liti che non mancarono di alimentare il gossip dell’epoca attorno alla produzione del film. Caso unico nella storia del regista, il seguito autografo a oltre venti anni di distanza. Academy Awards: 1 nomination, 1 OSCAR [miglior attore: Michael Douglas] GOLDEN GLOBES: 2 nomination, 1 GOLDEN GLOBE [miglior attore: Michael Douglas] RIMASTERIZZATO IN ESCLUSIVA PER LE SALE DIGITALI 2K A cura di Filippo Mazzarella Zanuck/Brown Productions / 20th Century Fox Film Corporation presentano COCOON (Usa 1985, 1h57’, colore, formato panoramico 1,85:1) Diretto da Ron Howard. Con Steve Guttenberg, Don Ameche, Wilford Brimley, Hume Cronin, Tahnee Welch. Scritto da Tom Benedek. Dal romanzo di David Saperstein. Prodotto da David Brown, Lili Fini Zanuck e Richard D. Zanuck. “Più bello di un sogno al di là di ogni immaginazione.” Nella piscina di una casa di riposo della Florida, un bozzolo alieno restituisce a un gruppo di vecchietti la forza e l’ardire della giovinezza. Ma il miracolo non è destinato a durare. O sì? Con “Splash – Una sirena a Manhattan” l’ex Richie Cunningham di “Happy Days” Ron Howard si era già messo in luce come dotato regista: ma è stata la favola fantascientifica degli anziani ringalluzziti grazie alla forza extraterrestre a consacrarlo re del botteghino. E non poteva essere altrimenti. Perché “Cocoon” è il film con il “target” più ampio della storia: e vedere un gruppo di veterani di Hollywood divertirsi in un grande spettacolo di effetti speciali e buoni sentimenti è come vedere il passato e il futuro della storia del cinema che magicamente riescono a coincidere in un unico spazio e in un unico tempo. Dei giovani protagonisti, Guttenberg era già stato baciato dal successo come agente Maloney della “Scuola di Polizia”; ma per Tahnee Welch (figlia di Raquel) che aveva esordito l’anno prima in Italia con “Amarsi un po’…” di Vanzina è stato un trampolino di lancio notevole. E il grande Don Ameche, classe 1908, conquistò l’agognato Oscar che attendeva da un’intera carriera. ACADEMY AWARDS: 2 nomination, 2 OSCAR [migliori effetti visivi, miglior attore non protagonista: Don Ameche] GOLDEN GLOBES: 1 nomination RIMASTERIZZATO IN ESCLUSIVA PER LE SALE DIGITALI 2K A cura di Filippo Mazzarella 20th Century Fox Film Corporation presenta EDWARD MANI DI FORBICE (Edward scissorhands) (Usa 1990, 1h45’, colore, formato panoramico 1,85:1) Diretto da Tim Burton. Con Johnny Depp, Winona Ryder, Vincent Price. Scritto da Caroline Thompson e Tim Burton. Prodotto da Tim Burton e Denise Di Novi. “Non mi ha finito.” Edward (Johnny Depp) è il “figlio” di un eccentrico inventore (Vincent Price) morto prima di portarne a termine le mani, sostituite da un insieme di lame. Il ragazzo, educato e gentile, sarebbe condannato alla solitudine se non venisse “adottato” dalla famiglia della giovane Kim (Winona Ryder). Ma non riuscirà ad affrancarsi dalla sua natura di “diverso”. Un bianco, malinconico Pierrot con lame al posto delle dita e una capigliatura “emo” ante litteram. Al pari di pochissimi altri autori al mondo, Tim Burton ha creato uno stile definibile solo aggettivizzando il suo nome. In quello che resta probabilmente il suo film più personale, tutto è “burtoniano”: l’aspetto gentile e inquietante del “mostro” buono, la linea “gotica” delle scenografie, l’umorismo che sfocia nel macabro, il sentimentalismo che si colora di crudeltà, i rasoi di Edward che modellano cespugli, ghiaccio e chiome. Un mix di “Frankenstein”, “La Bella e la Bestia” e di serie B suburbana degli anni Cinquanta, sottovalutato alla sua uscita, soprattutto dal pubblico (che dopo i record di “Batman” non si aspettava nulla di simile da Burton): ma che con gli anni è diventato un punto di riferimento per gli adolescenti di tutto il mondo. Segna per il regista il saldarsi definitivo di un sodalizio (quello con il compositore della magnifica colonna sonora, Danny Elfman, poi musicista di ogni suo film) e l’inizio di un altro (quello con Depp, ai tempi poco più che sconosciuto) destinato a dare altri frutti meravigliosi: “Ed Wood”, “Sleepy Hollow”, “La fabbrica di cioccolato”. Una performance straordinaria, anche in considerazione del fatto che l’attore pronuncia in tutto solo 169 parole. ACADEMY AWARDS: 1 nomination GOLDEN GLOBES: 1 nomination RIMASTERIZZATO IN ESCLUSIVA PER LE SALE DIGITALI 2K A cura di Filippo Mazzarella Paramount Pictures presenta FORREST GUMP (Usa 1994, 2h22’, colore, formato Panavision 2,35:1) Diretto da Robert Zemeckis. Con Tom Hanks, Robin Wright Penn, Gary Sinise, Sally Field. Scritto da Eric Roth. Dal romanzo omonimo di Winston Groom. Prodotto da Steve Tisch, Steve Starkey, Wendy Finerman. “La vita è come una scatola di cioccolatini. Non sai mai quello che ti capita.” Seduto alla fermata di un autobus, il quarantenne dall’apparenza stupida Forrest Gump (Tom Hanks) racconta la storia della sua incredibile vita (e una fetta di quella americana) ad attoniti ascoltatori occasionali. Dall’infanzia nei primi anni Cinquanta, quando involontariamente ispirò Elvis Presley, all’incontro con JFK; da velocissimo eroe del football a eroe del Vietnam; da discensore dei rapporti tra Usa e Cina (grazie al ping pong) alla lunga marcia che lo renderà inconsapevole portatore di un messaggio di pace. Dalla vita con la mamma iperprotettiva alla lunghissima storia di quasi amore con l’adorata Jenny (Robin Wright Penn). La struggente, divertente, emozionante epopea dell’uomo-massa, ignaro del suo peso nella Storia, è una delle più grandi riuscite artistiche del cinema degli anni Novanta: Zemeckis integra gli effetti speciali digitali nel quotidiano (il computer fa “sparire” le gambe amputate del veterano Gary Sinise, e consente a Tom Hanks di apparire in filmati d’epoca accanto ad alcuni tra i personaggi principali del XX secolo), aprendo una nuova frontiera nella finzione cinematografica. Le innocenti e profonde sortite di Forrest Gump (“Stupido è chi lo stupido fa”) diventano istantaneamente patrimonio comune. Colonna sonora epocale, con 34 “american classics” tra i quali Presley, Dylan, Doors, Byrds, Jefferson Airplane, Mamas & Papas, Creedence Clearwater Revival. E una pioggia di premi. ACADEMY AWARDS: 13 nomination, 6 OSCAR [miglior film, regia, sceneggiatura, montaggio, effetti speciali, miglior attore: Tom Hanks] GOLDEN GLOBES: 7 nomination, 3 GOLDEN GLOBE [miglior film, regia, miglior attore: Tom Hanks] RIMASTERIZZATO IN ESCLUSIVA PER LE SALE DIGITALI 2K A cura di Filippo Mazzarella Mirisch Corporation / United Artists / Metro-Goldwyn-Mayer presentano LA CALDA NOTTE DELL’ISPETTORE TIBBS (In the heat of the night) (Usa 1967, 1h49’, colore, formato panoramico 1,85:1) Diretto da Norman Jewison. Con Sidney Poitier, Rod Steiger, Warren Oates, Lee Grant. Scritto da Stirling Silliphant. Dal romanzo omonimo di John Ball. Prodotto da Walter Mirisch. “Mi stanno chiamando Mister Tibbs!” Un anno dopo il Nobel per la pace a Martin Luther King e nel periodo di strenua lotta per i diritti civili da parte delle comunità di colore degli Stati Uniti, e in particolare contro la segregazione ancora vigente nel Sud del paese, un film come “La calda notte dell’ispettore Tibbs” affrontava con le armi del grande spettacolo un tema di scottante attualità, inserendosi nel clima di acceso dibattito culturale nazionale come un fulmine a ciel sereno. Nel soggetto da thriller del detective afroamericano Virgil Tibbs (Sidney Poitier) che inviato in una cittadina del profondo Sud a investigare su un omicidio si scontra con il rude sceriffo bianco razzista Bill Gillespie (Rod Steiger) e l’ostilità dei locali, si nascondeva infatti quello spirito di denuncia “liberal” che sarebbe poi diventato tipico del cinema della Nuova Hollywood del decennio successivo. L’Oscar per il miglior attore andò alla perfezione di Steiger, ma Poitier incarnava perfettamente gli ideali di speranza e di parità dei diritti dei neri: tanto che, nello stesso anno, fu protagonista anche del celeberrimo e non meno provocatorio “Indovina chi viene a cena?”. Spettacolo solido, montato superbamente dal futuro regista Hal Ashby (premiato con l’Oscar), con colonna sonora “hot” del genio Quincy Jones. ACADEMY AWARDS: 7 nomination, 5 OSCAR [miglior film, sceneggiatura, montaggio,sonoro, miglior attore: Rod Steiger] GOLDEN GLOBES: 7 nomination, 3 GOLDEN GLOBE [miglior film, sceneggiatura, miglior attore: Rod Steiger] RIMASTERIZZATO IN ESCLUSIVA PER LE SALE DIGITALI 2K A cura di Filippo Mazzarella Chartoff-Winkler Productions / United Artists / Metro-Goldwyn-Mayer presentano ROCKY (Usa 1976, 1h59’, colore, formato panoramico 1,85:1) Diretto da John G. Avildsen. Con Sylvester Stallone, Talia Shire, Burt Young, Burgess Meredith. Scritto da Sylvester Stallone. Prodotto da Robert Chartoff e Irwin Winkler. “E se sono ancora in piedi io saprò per la prima volta in vita mia che non sono soltanto un bullo di periferia.” Rocky Balboa, pugile italoamericano di belle speranze, si prepara a sfidare il campione mondiale dei pesi massimi. Non ha speranze, ma arrivare sul ring conta più che vincere. Sylvester Stallone, il più grande eroe proletario Usa, si cuce addosso un personaggio mitico che diventa uno dei più straordinari e popolari simboli simboli dell’”american dream”. Il racconto trabocca di emozioni, determinazione, agonismo, umanità e speranza: la boxe e la lotta sul ring continuano a essere una metafora della vita, come nella grande tradizione del cinema pugilistico americano (“Lassù qualcuno mi ama”, “Il colosso d’argilla”). Ma lo sguardo “dal basso” e l’enfatizzazione delle fanfare della colonna sonora culto di Bill Conti conferiscono a ogni sequenza una forza speciale. Rocky che si allena usando come punching ball i quarti di carne; Rocky che si prepara una “colazione energetica” bevendo mezza dozzina di uova in un fiato; Rocky che si dichiara, indifeso, all’innamorata; Rocky che termina l’allenamento in cima alla scalinata del museo di Philadelphia; Rocky che resiste fino all’ultima ripresa; Rocky che si fa strada tra la folla cercando l’amata (“Adriana!”). Immagini ed emozioni incise nella memoria, sull’onda dell’irresistibile “Gonna Fly Now”. ACADEMY AWARDS: 10 nomination, 3 OSCAR [miglior film, regia, montaggio] GOLDEN GLOBES: 6 nomination, 1 GOLDEN GLOBE [miglior film] RIMASTERIZZATO IN ESCLUSIVA PER LE SALE DIGITALI 2K A cura di Filippo Mazzarella Jerome Hellman Productions / Metro-Goldwyn-Mayer presentano UN UOMO DA MARCIAPIEDE (Midnight cowboy) (Usa 1969, 1h53’, colore, formato panoramico 1,85:1) Diretto da John Schlesinger. Con Dustin Hoffman, Jon Voight, Sylvia Miles. Scritto da Waldo Salt. Dal romanzo omonimo di James Leo Herlihy. Prodotto da Jerome Hellman. “L’unica cosa che mi riesce è fare l’amore.” Stetson e giacca di pelle a frange: in grezzo texano (Jon Voight) a New York con mire da gigolo incontra l’emarginato tisico (Dustin Hoffman) con il mito della Florida. Un’amicizia maschile sui generis, ma anche uno studio sul mito statunitense e sull’impossibilità per troppi di vedere realizzato il proprio sogno. In piena rivoluzione culturale, un film hollywoodiano a suo modo estremo per la verità degli ambienti descritti (il milieu omosessuale non era mai stato rappresentato così esplicitamente) e per la disperazione di fondo. Nell’occhio di Schlesinger c’è tutta la lezione del Free Cinema inglese, da cui il regista proveniva, ma anche l’interesse per i fermenti culturali statunitensi dell’epoca (con Paul Morrissey, sono protagonisti di un cameo anche altri esponenti della Factory del re della “pop art” Andy Warhol) e il fascino per la macchina spettacolare da grandi masse. E la complementarità del pressoché esordiente Voight e del già navigato Hoffman (al travaglio interiore del primo fa da controcanto la gigioneria cialtrona del secondo) è pura alchimia del cinema. Fu il primo film vietato ai minori a vincere l’Oscar, e lanciò una canzone ancor oggi notissima: “Everybody’s Talking”, scritta da Fred Neil ed eseguita da Harry Nillson. ACADEMY AWARDS: 7 nomination, 3 OSCAR [miglior film, regia, sceneggiatura] GOLDEN GLOBES: 7 nomination, 1 GOLDEN GLOBE [miglior esordiente: Jon Voight] RIMASTERIZZATO IN ESCLUSIVA PER LE SALE DIGITALI 2K A cura di Filippo Mazzarella Mirisch Corporation / Phalanx Productions / United Artists / Metro-Goldwyn-Mayer presentano IRMA LA DOLCE (Irma la douce) (Usa 1963, 2h27’, colore, formato CinemaScope 2,35:1) Diretto da Billy Wilder. Con Shirley MacLaine, Jack Lemmon, Lou Jacobi. Scritto da Billy Wilder e I.A.L. Diamond. Dalla commedia omonima di Alexandre Breffort. Prodotto da Billy Wilder e Edward L. Alperson. “Sai, mi hanno chiesto di fare le cose più strane, ma mai di smettere di fumare.” Innamorato della prostituta parigina Irma (Shirley MacLaine) e smanioso di limitarne l’attività “professionale” che la donna non vuole abbandonare per poterlo mantenere, l’ex-poliziotto povero in canna Nestore Patou (Jack Lemmon) si traveste da ricchissimo lord e convince la ragazza a diventarne l’unico cliente. Ma Irma rischia di innamorarsi del suo alter ego inesistente. E Nestore deve inscenare la morte del suo altro sé stesso. Eccezionale dimostrazione del funzionamento degli elementi classici della commedia degli equivoci, e un esempio ardito di messa in scena: lo scenografo Alexandre Trauner ricostruì maniacalmente Parigi in studio, conferendo al film una patina teatrale e iperrealista, e Wilder si concentrò sull’essenzialità più assoluta di tagli d’inquadratura e movimenti di macchina. Il risultato è un vaudeville sospeso, straordinariamente servito dalle musiche di André Previn, dalla lunare presenza scenica di Lemmon e dalla maliziosa femminilità della MacLaine (solo candidata all’Oscar, ma premiata col Golden Globe), indimenticabile in reggiseno di pizzo verde a balconcino verde e sigaretta tra le labbra. ACADEMY AWARDS: 3 nomination, 1 OSCAR [miglior colonna sonora] GOLDEN GLOBES: 3 nomination, 1 GOLDEN GLOBE [miglior attrice: Shirley MacLaine] RIMASTERIZZATO IN ESCLUSIVA PER LE SALE DIGITALI 2K A cura di Filippo Mazzarella Ashton Production / Mirisch Entertainment / United Artists / Metro-Goldwyn-Mayer presentano A QUALCUNO PIACE CALDO (Some like it hot) (Usa 1959, 2h00’, b/n, formato panoramico 1,85:1) Diretto da Billy Wilder. Con Jack Lemmon, Tony Curtis, Marilyn Monroe, George Raft. Scritto da Robert Thoeren, Michael Logan, Billy Wilder e I.A.L. Diamond. Prodotto da Billy Wilder. “Nessuno è perfetto.” 1929. Per scampare ai gangster che li inseguono, due jazzisti senz’arte né parte, testimoni involontari del massacro di San Valentino, si travestono da donne e partono in tournée alla volta della Florida in un’orchestra tutta al femminile. La commedia perfetta esiste, ed è questa: un capolavoro di ritmo, di gag, di recitazione, che non si tira indietro di fronte a nessun espediente per raggiungere i suoi obiettivi. Modernissima nella sofisticazione dei dialoghi e nel tono della comicità verbale, provocatoria per l’epoca sotto l’aspetto dell’ambiguità sessuale; ma anche splendidamente classica per il ricorso a temi e modalità di costruzione degli eventi comici tipici del cinema muto (i travestimenti, gli inseguimenti, perfino le torte in faccia). Curtis e Lemmon in abiti muliebri sono così incredibili da risultare perfettamente credibili: anche perché a oscurare il loro discutibile sex appeal c’è il mito Marilyn/Zucchero Kandinsky , nel ruolo che più di ogni altro ha contribuito a edificare il suo mito eterno. Splendida quando si esibisce all’ukulele, mozzafiato quando si lancia nelle esibizioni canore. Ed è come se i brani “I Wanna Be Loved By You” e “I’m Through With Love” fossero stati scritti appositamente per mostrare le sue due anime: quella “esteriore” della sexy bionda platinata e quella più malinconica della ragazzona di provincia catapultata nel magico mondo dello star-system. Mai l’Academy fu più miope: sei nomination all’Oscar (ma non quella per il miglior film) e una sola, minore, trasformata in premio. Più sensati i Golden Globes (3 premi): ma si ha comunque l’impressione che sia stata commessa un’ingiustizia ai danni di uno dei film che il pubblico ha più amato nell’intera storia del cinema. La celeberrima battuta finale tra “Boccuccia di Rosa” e Daphne/Lemmon, azzardatissima per il suo sottinteso omosessuale, è forse la più celebre e geniale chiusura mai filmata. ACADEMY AWARDS: 6 nomination, 1 OSCAR [migliori costumi] GOLDEN GLOBES: 3 nomination, 3 GOLDEN GLOBES [miglior film, miglior attore: Jack Lemmon, miglior attrice: Marilyn Monroe] RIMASTERIZZATO IN ESCLUSIVA PER LE SALE DIGITALI 2K A cura di Filippo Mazzarella Mirisch Corporation / United Artists / Metro-Goldwyn-Mayer presentano HOLLYWOOD PARTY (The party) (Usa 1968, 1h39’, colore, formato Panavision 2,35:1) Diretto da Blake Edwards. Con Peter Sellers, Claudine Longet, Marge Champion. Scritto da Blake Edwards, Tom Waldman e Frank Waldman. Prodotto da Blake Edwards. “Molto bello barzelletto!” Cacciato da un set hollywoodiano per aver rovinato le riprese di un film in costume, il figurante indiano Hrundi V. Bakshi (Peter Sellers) finisce per errore sulla lista degli invitati a un party esclusivo nella lussuosa villa di un produttore. E anche qui, rovina catastroficamente la festa. Il pretesto è da comica “slapstick”, ma il sottotesto è critico: il personaggio di Sellers, alieno all’ambiente in cui si ritrova, innesca la distruzione sistematica e simbolica di un mondo completamente fasullo, dominato dai falsi miti del denaro, del successo, dell’apparire. E quella che a tutti gli effetti è una immensa, divertentissima, incessante parata di gag diventa anche una critica spietata e interna dell’anarchico Blake Edwards allo stesso “sistema Hollywood”. Una lezione di tempi comici ineguagliata (le gag più travolgenti sono quelle a “combustione lenta”) che ha aperto la strada al genere “demenziale” del decennio successivo e che da quarant’anni non smette di ispirare legioni di comici e registi di ogni paese. Tra i re indiscussi della commedia, il trasformista Peter Sellers sfodera una fisicità e una parlata da cartoon già sperimentate con Edwards nei film della “Pantera Rosa” ed è irresistibile nei panni di un personaggio dalla goffaggine improbabile e totale. Anche le musiche del fido Henry Mancini si adeguano alla follia del contesto. Un film così in anticipo sui tempi da non essere minimamente preso in considerazione dalla giuria dell’Academy, che gratificò il regista con un’unica nomination all’Oscar solo nel 1982 (per “Victor Victoria”) e gliene attribuì uno, tardivo, alla carriera solo nel 2004. RIMASTERIZZATO IN ESCLUSIVA PER LE SALE DIGITALI 2K