Catalogo 140 POLVERE DI COLORE - Associazione Artisti Bresciani

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Catalogo 140 POLVERE DI COLORE - Associazione Artisti Bresciani
la memoria figurativa
POLVERE
DI COLORE
IL PASTELLO
NELLE COLLEZIONI
BRESCIANE
1860-1940
140
edizioni aab
la memoria figurativa
POLVERE
DI COLORE
COMUNE DI BRESCIA
CIVICI MUSEI D’ARTE, STORIA E SCIENZE
PROVINCIA DI BRESCIA
ASSOCIAZIONE ARTISTI BRESCIANI
IL PASTELLO
NELLE COLLEZIONI
BRESCIANE
1860-1940
mostra a cura di
Pia Ferrari, Elena Lucchesi Ragni
e Maurizio Mondini
140
edizioni aab
aab - vicolo delle stelle 4 - brescia
24 febbraio - 21 marzo 2007
orario feriale e festivo 15.30-19.30
lunedì chiuso
POLVERE DI COLORE
Elena Lucchesi Ragni e Maurizio Mondini
Tra le tecniche che, per definizione, rientrano nell’ambito della grafica,
quella del pastello è la più vicina alla pittura quando assume esiti di particolare compiutezza cromatica; viceversa si accosta al disegno nelle
prove più libere ed estemporanee, dove prevale l’evidenza linearistica
del segno. Il pastello raggiunse nel XVIII secolo il suo riconosciuto vertice, per essere poi ampiamente ripreso dagli artisti tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento in tutta Europa. Questa stagione fortunata culminò nelle straordinarie sperimentazioni tecniche e formali di Degas, così come nelle numerose “società di pastellisti”, anche dilettanti,
nate in quegli anni. Ad essa contribuirono sia l’avvio di una produzione
di immagini di tipo industriale di buona qualità, sia le tendenze artistiche
coeve che, latamente indotte dalle poetiche impressioniste e simboliste,
trovarono nel pastello un congeniale mezzo di espressione.
Rispetto alla pittura il pastello presenta numerosi vantaggi: la sostanziale
inalterabilità del colore nel tempo, la leggerezza del supporto (in genere
cartaceo, ma si sperimentarono anche la pergamena e la tela appositamente preparata), la maggiore immediatezza esecutiva, con la possibilità
di interrompere e riprendere l’opera senza problemi. La sovrapponibilità dei toni risulta inoltre più agevole, con conseguenti effetti di istantaneità e di dissolvenza, di sintetica apparenza di forma, di fusione cromatica e luministica. Diversamente dalle altre tecniche grafiche affini, come
la matita e l’acquerello, il pastello permette quindi una gamma cromatica notevolmente estesa, con esiti variabili dal segno leggero e trasparente alla stesura densa e vellutata. Il suo impiego assume diversificate
maniere: vi sono artisti che privilegiano la ricerca della vaporosità e della sfumatura tonale; in altri si notano come prevalenti l’incisività e la manualità tracciante del tratto; in altri ancora tali ambivalenti possibilità si
combinano, magari con intenzionali effetti di “non finito”.
Pur nei limiti imposti dalla disponibilità delle opere, dalla parzialità e
dai termini cronologici della ricognizione, i pastelli conservati nei Civici Musei e nelle raccolte private bresciane, in prevalenza esposti ora al
pubblico per la prima volta, possono testimoniare la diffusione di questa tecnica nell’ambito artistico, e di riflesso collezionistico, locale tra
la seconda metà dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento. È
inoltre possibile cogliere, almeno in termini esemplificativi, le diverse
declinazioni esecutive e tematiche assunte dal pastello, secondo un
percorso che, ad iniziare dal descrittivismo minuzioso, ancora tradizionalmente accademico, della prima fase, giunge a una figurazione di
tipo sintetico ed astraente.
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Un’altra possibilità di lettura è offerta dalla duplice funzione che il pastello ha da sempre assunto nella pratica dell’artista: questa tecnica si
può infatti prestare sia all’esecuzione di un’opera da considerare compiuta, quindi dotata di autonomo valore estetico, sia all’elaborazione
preliminare di un’altra opera, in genere dipinta; il pastello si presenta
così sotto forma di aggiunta cromatica, variamente estesa, all’interno
di uno studio realizzato con strumenti quali la matita e il carboncino.
Quest’ultima eventualità è approfondita nel testo in catalogo di Pia
Ferrari, nell’analisi della sequenza che dai pastelli di Modesto Faustini
e di Gaetano Cresseri, portati ad uno stato di notevole finitezza, giunge ai cartoni di Eliodoro Coccoli, fino agli appunti ritrattistici di Guglielmo Achille Cavellini e di Francesco Carlo Salodini.All’ambito grafico
dello studio, con un rapporto a volte meno diretto con il corrispondente dipinto finito, appartengono inoltre per definizione corrente i pastelli
di tema paesistico, che si ispirano alla verità dei luoghi, come quello di
Giovanni Battista Bosio, oppure la interpretano più liberamente, come
quelli di Arnaldo Zuccari, Girolamo Calca e Vittorio Botticini.
Il pastello “compiuto” si collega storicamente alla produzione ritrattistica: in tale ambito, fin dal Settecento, il pastello raggiunse un’importanza paragonabile alla pittura. Nel corso dell’Ottocento emersero un
nuovo gusto e nuovi committenti: il ritratto a pastello ben si adatta,
anche per le ridotte dimensioni, agli ambienti e alle prerogative di intimità dell’abitazione borghese; alla sua notevole diffusione contribuirono quindi motivi di economicità rispetto alla pittura: con sedute di posa meno prolungate e con una elaborazione esecutiva più agevole si
potevano ottenere esiti di verosimiglianza prossimi a quelli della tela.
Nella stessa epoca un secondo fattore di diffusione era costituito dai
limiti tecnici, in termini di dimensioni e di assenza di colore, delle prime applicazioni della fotografia al ritratto, che i pittori potevano ovviamente superare. D’altra parte, all’immagine fotografica era ormai
attribuito il valore di rappresentazione verificabile, “segnata dalle regole della scienza”, del reale, tanto che i pittori stessi (com’è noto al
contempo spesso fotografi) iniziarono ben presto ad eseguire ritratti
con il supporto di dagherrotipi.Tale passaggio dalla ritrattistica di tipo
tradizionale a quella definibile come “parafotografica” è testimoniato
dai pastelli che avviano il percorso espositivo, nelle diversità riscontrabili, ad esempio, tra l’effigie giovanile di Giuseppina Muzzarelli, databile
alla metà del secolo ed ancora memore degli aristocratici esempi di
Rosalba Carriera, e quella della stessa nobildonna, successiva di pochi
decenni e dai toni più realistici e borghesi, dovuta a Marino Pompeo
Molmenti. La sua specchiante aderenza descrittiva presuppone, quasi
certamente, il ricorso ad una carte de visite al collodio o all’albumina,
secondo una pratica peraltro sperimentata dallo stesso pittore veneto
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che, fin dal 1846, cercò di adattare la propria formazione accademica
all’esigenza di conferire al ritratto dipinto la stessa “apparenza di verità” restituita dal mezzo fotografico.
Da tale tipologia ritrattistica si distaccano i pastelli della successiva generazione di pittori veristi o “postromantici”; le loro opere conseguono valenze soprattutto introspettive, nell’intenzione di catturare la
fuggevolezza di uno sguardo, oppure il senso di un’intima meditazione,
come accade nel ritratto della moglie di Angelo Landi e nel grande pastello di Umberto Franciosi. Le prerogative accademiche di compiutezza esecutiva sono superate da una maggiore spontaneità e libertà
di segno: nei ritratti di Rodolfo Premoli e di Gaetano Cresseri, negli
autoritratti dello stesso Franciosi e di Elisabetta Kaehlbrandt, l’attenzione si concentra sulle fattezze del volto, descritte con linearistica
precisione e con stesure compatte di colore. Quanto rimane della figura e lo sfondo sono trattati invece con maggiore sintesi, lasciati in
uno stato di intenzionale “non finito”, con veloci tratti di colore progressivamente distanziati; in tal modo l’opera riflette la maestria dell’artista, capace al contempo di definire i caratteri di un volto e di lasciare invece in una “poetica” indeterminatezza il resto dell’immagine.
Sia il pescarese Francesco Paolo Michetti, un protagonista della pittura
italiana tra Otto e Novecento, nel Ritratto di vecchia, sia il bresciano
Gaetano Cresseri nel Mandriano aggiornano la tradizione figurativa
delle “teste”, generalmente definite in termini di “carattere” o di
“espressione”. Mentre il ritratto propriamente detto si fonda sull’identità anche “biografica” dell’effigiato, in questo particolare ambito
prevale invece l’esemplarità del modello. Il suo esito finale è qui rappresentato dalla Giovinetta di Attilio Andreoli: il suo sguardo emergente dall’oscurità si carica di allusivi significati esistenziali, di metamorfosi
in atto dall’infanzia alla coscienza di sé.
La mostra presenta la maggior parte dei pastelli conservati nelle civiche raccolte; in riferimento al periodo considerato sono stati esclusi
per motivi di conservazione: Rodolfo Premoli, Ritratto di vecchio, inv.
853; Francesco Stoppani, Pastorello sdraiato sull’erba, inv. 786.
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IL PASTELLO: TECNICA E PROTAGONISTI
Maurizio Mondini
Prima della sua produzione di tipo commerciale, iniziatasi in Francia
verso il 1875, il pastello era, di norma, preparato direttamente dall’artista secondo un procedimento complesso che nel XVIII secolo divenne oggetto di specifiche pubblicazioni. Tecnicamente, il pastello si ottiene impastando il colore in polvere, lo stesso usato per la pittura ad
olio, la tempera e l’acquerello, con acqua e con un legante, in genere
composto da gomma arabica o da cera, con un dosaggio variabile in
base alla tonalità e alla durezza volute. In passato si preferirono colori
di natura minerale, più stabili rispetto a quelli vegetali, similmente
amalgamati (anche con colla di pesce, zucchero candito, sapone di
Marsiglia, succo di fico e siero di latte). L’impasto è quindi modellato
in forma cilindrica e lasciato essiccare.
La superficie delicata e volatile del pastello ha posto, e pone tuttora,
all’artista e al restauratore il problema della sua durata nel tempo, ovvero della sua conservazione, in specie per quanto riguarda l’aderenza
del pigmento al supporto cartaceo: le sperimentazioni effettuate in tal
senso, anche in età moderna, non hanno dato esiti soddisfacenti; tutti i
prodotti fissativi modificano infatti sensibilmente la rifrazione luminosa e, di conseguenza, la percezione stessa del colore.
Con l’arte moderna l’esecuzione diventa più elaborata: la casistica
operativa è talmente variabile ed individuale da non poter essere talvolta dedotta dall’aspetto dell’opera finita. Al tradizionale ripasso con
le dita, usato per amalgamare e al contempo fissare le tinte (mediante
il grasso naturale della mano), si aggiunge l’uso del pennello, impiegato
per stendere il pigmento a secco oppure diluito con acqua. L’artista
può inoltre intervenire per sottrazione, asportando il colore, ad
esempio, con una gomma o con un tessuto; ancora in termini operativi, il pastello può essere mescolato alla tempera, alla matita, all’acquerello e alla pittura ad olio.
Il termine pastello, che etimologicamente deriva da pasta, è di origine italiana. La prima citazione di tale “modo di colorare a secco” si
rintraccia nel Codice Atlantico di Leonardo, conservato alla Biblioteca
Ambrosiana di Milano; si ritiene che la “ricetta” sia stata rivelata a
Leonardo da Jean Perréal, artista parigino giunto nel 1499 a Milano
al seguito del re di Francia Luigi XII. Nel dicembre dello stesso anno,
a Mantova, Leonardo applicò tale tecnica nel celebre Ritratto di profilo di Isabella d’Este (Parigi, Louvre), disegno preparatorio per un dipinto che non fu poi realizzato. L’opera è condotta con matite nere
e rosse di origine minerale, mentre il pastello è utilizzato, in una to7
nalità gialla, unicamente al fine di mettere in risalto il bordo dorato
della scollatura della veste. Oltre a segnare l’introduzione del pastello nella ritrattistica, che avrà particolare fortuna, l’opera costuisce il
prototipo di tale tecnica, come sarà generalmente applicata dagli artisti del Cinquecento: il suo impiego pare limitarsi al “rialzo” di dettagli descrittivi o alla sfumatura di superfici omogenee che, secondo
varianti cromatiche alquanto ridotte, si aggiungono all’immagine già
definita con la matita nera o con il carboncino. Nei fogli elaborati
dagli allievi di Leonardo, come Bernardino Luini (1481 circa - 1532),
così come nei raffinatissimi ritratti eseguiti in Francia da Jean Clouet
(1475 circa - 1541), il pastello appare in tal senso complementare ai
segni rossi e ai tocchi bianchi, ottenuti rispettivamente con la matita
rossa e con il gessetto. Superata la fase dello sperimentalismo leonardesco, fin da questi primi esempi appare evidente come al pastello sia conferito il valore di una pratica di tipo specialistico: per alcuni artisti esso diventa quindi mezzo privilegiato, sia pure non ancora
esclusivo, di espressione grafica. Come generalmente accade, la preferenza accordata ad una tecnica esecutiva si spiega non solo in termini di scelta individuale, ma trova, storicamente, complesse motivazioni di tipo estetico e stilistico.
L’intenzione di conferire al disegno un’apparenza policroma confrontabile con la pittura si avverte precocemente in ambito veneto. Rimane in tal senso esemplare l’attività grafica di Jacopo Bassano (1517 circa - 1592): con un segno di vigorosa immediatezza, l’artista mescola, in
un sovrapporsi quasi indistinguibile, il pastello al carboncino e alla matita rossa; l’effetto tonale è accentuato, quale supporto fisico e base
cromatica intermedia, dalla carta azzurra, vanto delle manifatture veneziane fin dal secolo precedente. Non casualmente questi disegni rivestono spesso la funzione di studi preparatori, con il vantaggio di
un’esecuzione più rapida ed agevole rispetto al bozzetto dipinto. Ciò
si verifica in modo esemplare anche nella copiosa produzione grafica
dell’urbinate Federico Barocci (1526 - 1612), che non si limita a disegnare con il carboncino e con la matita nera e rossa, ma ricorre a sensibilissime stesure a pastello, allo scopo di meglio prefigurare l’impostazione cromatica e luministica del dipinto nel suo insieme, così come l’espressione di un volto o i riflessi di un panneggio.
Dalla secondà metà del XVII secolo, in particolare nell’ambito della ritrattistica e soprattutto in Francia, il pastello si affermò come tecnica
artistica autonoma e professionalmente riconosciuta. Mentre i ritratti,
interamente condotti a pastello, eseguiti da Charles Le Brun (1619 1690) hanno ancora una funzione preparatoria, quelli di Joseph Vivien
(1657 - 1734), il primo “pittore di pastelli” ammesso all’Accademia
reale nel 1701, erano degni di essere esposti in una galleria e si con8
frontavano con i dipinti ad olio per l’ufficialità celebrativa delle pose,
per le grandi dimensioni e per il sapiente mimetismo descrittivo.
Questa tipologia è ben presto superata da un nuovo gusto che conferisce al ritratto, anche attraverso la ricercata luminosità dei toni e la
superficiale vaporosità del tocco, una declinazione più intimista e una
grazia seduttiva che saranno proprie di tutto il Settecento. Il soggiorno a Parigi di Rosalba Carriera (1675 - 1757) nel 1720 contribuì a tale
mutamento. La celebratissima pittrice veneziana rinnovò l’uso del pastello in senso tecnico e figurativo: come ella stessa scrisse, i suoi colori non erano legati con la gomma ma con il gesso da sarto e il guscio di tartaruga macinato; al disegno prepatorio, saldamente strutturato con linearistica precisione, la Carriera sovrapponeva una consistente stesura a secco, fino quasi ad annullare, mediante lo sfumino, i
contorni; le sue opere raggiungono così effetti di astraente leggerezza
formale e di ininterrotta fusione cromatica.
Tra i numerosi artisti francesi che si dedicarono al pastello nel corso
dello stesso secolo sono da ricordare Maurice-Quentin de Latour
(1704 - 1788) e, sia pure con minore continuità, François Boucher
(1703 - 1770) e Jean-Baptiste-Siméon Chardin (1699 - 1779); quest’ultimo si accostò a tale tecnica negli ultimi otto anni della sua vita, eseguendo alcuni straordinari ritratti della moglie e di se stesso. Il pittore
si presenta in primo piano, davanti al cavalletto e con gli occhiali, in
abbigliamento quotidiano e nella penombra dello studio; la superficie
polverosa del pastello sembra perfettamente adeguata a quel senso di
profonda verità delle piccole cose, di presenza insieme fisica ed esistenziale, in precedenza ricercato esclusivamente attraverso la pittura
nella raffigurazione di nature morte e di scene d’interno. Il Settecento
si chiude con il ginevrino Jean-Étienne Liotard (1702 - 1789), protagonista forse insuperato della storia del pastello. Nella sua lunga attività
l’artista frequentò le corti di tutta Europa e non solo, dall’Italia alla
Turchia, dall’Austria all’Inghilterra. I suoi ritratti si caratterizzano per
un virtuosismo tecnico mai esibito, per una stesura omogenea che, rifinita nei contorni e nei dettagli, evita l’evidenza del tratto grafico; alla
neutralità descrittiva e alla naturalezza delle pose corrispondono
sfondi vuoti e tonalmente omogenei, appena rischiarati dall’alone luminoso soffuso dai volti. Verso la fine della carriera Liotard si dedicò
pure alla natura morta: opere di sorprendente essenzialità, in cui la visione dall’alto riporta in primo piano anche gli oggetti distanti, oltrepassando le tradizionali regole prospettiche.
Nel prima metà dell’Ottocento l’uso del pastello subì un sostanziale declino, anche se non mancarono esempi nella ritrattistica, compresa quella
italiana, dell’inizio del secolo; tale tecnica sembrò tornare a funzioni meramente preparatorie e di studio, come accade negli schizzi di Eugène
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Delacroix (1798 - 1863) e di Giovanni Carnovali detto il Piccio (1804 1873): attraverso l’aggiunta di rapidi tocchi a pastello i due artisti sembrano trasporre sulla carta il colorismo vibrante e l’apparente indefinitezza dell’immagine che fondano la precorritrice “modernità” dei loro
dipinti.
Nella produzione grafica di Jean-François Millet (1814 - 1875) tra gli
anni ’50 e ’60 si nota il progressivo passaggio ad opere compiute
esclusivamente con il pastello, prima limitato al rialzo cromatico del
disegno abbozzato a matita. Nelle scene contadine con pochi personaggi posti in primo piano il pittore applica larghe stesure preliminari
di colore omogeneo, sopra le quali traccia, con tonalità più intense,
segni di andamento parallelo che, posti in evidenza, modellano le forme, pure rilevate da contorni tracciati con il nero. Negli stessi anni
Eugène Boudin (1824 - 1898) espose ai Salon piccoli paesaggi marini
eseguiti dal vero, ammirati di Baudelaire per le loro “bellezze metereologiche”, dove il tocco leggero del pastello suggerisce la cangiante
luminosità delle nuvole e delle onde che si susseguono verso lontananze quasi indistinte.
La tecnica esecutiva di Millet e gli effetti atmosferici di Boudin sarebbero stati ripresi, sia pure con maggiore libertà segnica e tonale, da
tutti gli artisti francesi della successiva stagione impressionista e simbolista. Con loro la pratica del pastello assunse nuovamente un ruolo
privilegiato, un modo per sperimentare, con maggiore immediatezza
rispetto alla pittura ad olio, quella sintesi istantanea tra colore, luce e
forma sulla quale si fonda la novità delle loro opere. Sarebbe troppo
lungo seguire, individualmente e nel dettaglio, gli esiti figurativi ottenuti negli ultimi decenni del secolo dai maggiori esponenti dell’impressionismo, da Édouard Manet (1832 - 1883) a Camille Pissarro (1830 1903), da Claude Monet (1840 - 1926) a Pierre-Auguste Renoir (1841
- 1919). Un cenno a parte merita Edgar Degas (1834 - 1917), che si
dedicò al pastello quale mezzo privilegiato di sperimentazione tecnica
e di ricerca formale. Nelle sue opere la polvere colorata è applicata
sulla carta o sulla tela (appositamente preparata), utilizzata a secco secondo la tradizione, oppure inumidita per vaporizzazione, talora nella
stessa opera; si trova pure mescolata alla tempera, all’acquerello e alla
pittura ad olio (diluita con la benzina). La giustapposizione tra la figura
e lo sfondo e la definizione linearistica ancora tipica delle opere degli
anni ’70 appaiono più tardi superate da una più sintetica evidenza plastica, dalla frantumazione irregolare, con tratti abbreviati, di contorni e
di superfici.Tale evoluzione si coglie non tanto nel trattamento seriale
dei soggetti, nei gesti istantanei delle ballerine sospese nella luce artificiale del palcoscenico, cosi come nelle pose statiche della bagnanti
colte nell’intimità, ma nell’ingrandirsi dei formati e nei molteplici strati
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di pigmento colorato che, sovrapponendosi, moltiplicano trasparenze
e riverberi.
Alla fine del secolo l’impiego del pastello diventò fenomeno generalizzato nell’ambito europeo: interscambiale con la pittura nei temi e nelle modalità figurative, coinvolse protagonisti e comprimari delle tendenze postimpressioniste, simboliste ed espressioniste del tempo. Basterà ricordare le scene di vita contemporanea di Henri de ToulouseLautrec (1864 - 1901), le monumentali tahitiane di Paul Gauguin (1848
- 1903), i misteriosi profili femminili e i vasi fioriti di Odilon Redon
(1840 - 1916), ai quali si accostano le silenti visioni di Fernand Knoff
(1858 - 1921) e le angosciose atmosfere di Edvard Munch (1863 1944). Nel primo Novecento l’impiego del pastello continua, ormai
pienamente assimilato alle pratiche esecutive proprie del mestiere
dell’artista: il suo impiego si propaga, come precocemente testimoniano i fogli di Klee e Kandinsky, alle tendenze astratte e gestuali che ancora considerano il colore e la superficie del foglio o della tela come
mezzi privilegiati di espressione.
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IL PASTELLO, OPERA PRELIMINARE
E DI DERIVAZIONE
Pia Ferrari
L’opera a pastello, come altre forme di grafica, può essere, oltre che
opera conclusa, anche lavoro iniziale, inteso come studio, bozzetto,
ipotesi che precede il dipinto definitivo, oppure derivazione da un originale, voluta dall’artista per correggere, o replicare un soggetto di
successo.A questi ultimi due aspetti sono funzionali la relativa rapidità
di applicazione e la facilità di abbinamento ad altri materiali pittorici.
Nella seconda metà dell’Ottocento e nei primi decenni del Novecento, dopo la spinta impressionista e divisionista nei confronti della rilevanza del colore, la tecnica del pastello, pur rimanendo di norma preparatoria, ha assunto importanza e diffusione sempre maggiori, oltre
che nel genere del ritratto, anche in quello del paesaggio, per le possibilità offerte da un segno gestuale ed immediato in sintonia con i mutamenti dell’arte dal verismo al liberty, dal postimpressionismo all’espressionismo.
Nei paesaggi qui presentati il pastello è spesso praticato, per semplicità d’esecuzione, in fase di osservazione en plein air della natura. Nasce come prova di effetti cromatici per svolgimenti successivi, quasi
sempre assai differenti, ad olio o tempera, fissa impressioni in modo
duttile e vario, con stesure a tasselli, a puntini, a macchia, lineari, prestandosi ad essere un po’ disegno un po’ colore; diviene, a volte, opera compiuta.
Un esempio in questo senso sono i paesaggi di Gian Battista Bosio,
iconograficamente “tradizionali” e lontani dai modi delle avanguardie,
ma particolari perché il pittore, verso gli anni Trenta del Novecento,
sostituisce quasi completamente l’esecuzione ad olio con quella a pastello. Accusato da alcuni suoi contemporanei di ricercare una piacevolezza più commerciabile, Bosio pare invece scegliere il pastello in
modo nuovo rispetto al verismo, ricercando valori atmosferici colti
dopo appostamenti lunghi, preparati da scatti fotografici a segnare
l’angolo visuale fisso, e rappresentando leggerezze e riflessioni che
sembrano motivi introspettivi.
Arnaldo Zuccari, circa vent’anni prima, usa il pastello per la particolare funzionalità all’applicazione del linguaggio divisionista, stendendo a
piccoli tocchi il colore e rappresentando in accordo allo stile temi di
vita contadina dalle atmosfere simboliste, in formato orizzontale, come negli stessi anni fanno a Brescia Cesare Bertolotti ed altri esponenti dell’Associazione artistica “Arte in famiglia”. Tonalità intense e
colore materico usa invece, negli anni Venti, Gerolamo Calca, allievo
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del milanese Tallone e dunque attento al lato naturalistico del colore.
Con i pastelli realizza una pittura larga, tonale, dai colori caldi che accendono nuvole e tramonti quasi espressionisti. La strada scelta da
Vittorio Botticini nei primi anni Quaranta è quella di Cézanne: il paesaggio viene letto secondo i canoni del razionalismo contemporaneo
e la pittura bresciana riannoda il rapporto con l’Europa, abbandonando il verismo ed anche il novecentismo. I suoi studi di paesaggio sono
ricerche sulla composizione, in cui la natura è sottomessa, ma poeticamente, alla struttura dello spazio e il pastello è segno leggero che cerca direzioni. Francesco Carlo Salodini dipinge e disegna paesaggi ancora più essenziali, tra astrattismo, espressionismo e primitivismo, un po’
Matisse e un po’ De Staël, in cui la natura, gli oggetti e le figure vengono riassunti in modo asciutto per macchie di colore uniformi che si
bilanciano creando armonie ed equilibri tra forma e colore.
Oltre ai paesaggi, nella mostra sono presenti opere più propriamente
considerabili studi preparatori o derivazioni, dalla parentela con l’opera originale verificabile e documentata.
È il caso del pastello con Cristo crocifisso, realizzato da Modesto Faustini nel 1882 come studio di gusto eclettico-neorinascimentale per il
Crocifisso della Madonna delle Grazie, dipinto che rimarrà allo stato di
cartone per l’interruzione del rapporto di lavoro con la Commissione
del santuario.
I disegni a pastello di Eliodoro Coccoli, allievo di Cresseri ed in contatto con gli artisti bresciani più interessati al linguaggio liberty, da Zanelli e Castelli a Mozzoni e Trainini, e collaboratore della Bottega d’arte di Dante Bravo, testimoniano la piena aderenza a questa corrente e
sono rappresentativi di quella abilità artigiana, tipica di molti pittoridecoratori dei primi decenni del Novecento, intesa come rifiuto dell’improvvisazione e fatta di lenti processi di elaborazione eseguiti secondo la tradizione dei frescanti, dallo schizzo iniziale d’insieme agli
studi dei particolari, al bozzetto in scala, ai grandi cartoni a rapporto
reale. L’iconografia, tra art nouveau e neocinquecentismo paganeggiante, delle figure alate, dei putti e dei festoni che possono comparire sia
in glorie d’angeli che in allegorie mitologiche, adattabile dunque per
commissioni sacre e dimore private, spiega il successo come prototipi
di figure realizzate dall’artista e dunque la necessità, anche, di replicarne alcune con varianti decorative quali i motivi floreali policromi.
Di dieci anni più anziano, il maestro Gaetano Cresseri è artista attento alle novità secessioniste: il bozzetto per La notte, di proprietà privata (mentre la versione ad olio ed il cartone preparatorio sono conservati nei Civici Musei d’arte e storia), presenta tonalità velate e trasparenze degne di un’opera definitiva ed in particolar modo di un
paesaggio con figura, dove alberi e cielo, schiariti e senza antichità
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classiche, assumono maggior importanza e freschezza rispetto alle altre due versioni. Il suo Ritratto di donna è un appunto lirico, un non finito voluto, in cui il volto verista si conclude nel panneggio appena accennato dell’abito, quasi in un contrasto cercato tra tradizione e modernità.
Con una tendenza che sembra andare in senso contrario rispetto al
paesaggio, l’uso del pastello per i ritratti e le figure pare diradarsi nei
primi decenni del Novecento, ricondotto al ruolo di appunto e di studio realizzabile indifferentemente anche a matita o a carboncino. Nei
volti disegnati da Francesco Carlo Salodini si indagano fisionomie in
modo naturalistico ed esistenziale insieme, con tratto lineare e quasi
sempre monocromo: dunque una scelta, da parte del pittore, di rappresentazione nel senso classico della pratica del disegno come conoscenza. Di opposto segno, veloci ed estemporanei, sono i ritratti
schizzati da Guglielmo Achille Cavellini negli anni Quaranta, che sembrano inserirsi nella tradizione della caricatura bresciana ottocentesca, praticata, tra gli altri pittori, da Zuccari e Manziana.
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LE OPERE IN MOSTRA
1. Pittore veneto della metà del XIX secolo
Ritratto giovanile di Giuseppina Muzzarelli, 1850 – 1860
cm 54,5x46,5
Civici Musei d’arte e storia di Brescia, inv. 977
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2. Pittore veneto della seconda metà del XIX secolo
Ritratto di Vespasiano Muzzarelli, 1870 – 1880
cm 55x47
Civici Musei d’arte e storia di Brescia, inv. 978
19
3. Marino Pompeo Molmenti
Ritratto di Giuseppina Muzzarelli, 1885 circa
cm 65,5x50
Civici Musei d’arte e storia di Brescia, inv. 981
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4. Marino Pompeo Molmenti
Ritratto di Angelo Muzzarelli, 1885 circa
cm 66x50,5
Civici Musei d’arte e storia di Brescia, inv. 980
21
5. Modesto Faustini
Cristo crocifisso, 1882
cm 37x57
Civici Musei d’arte e storia di Brescia, inv. 510
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6. Modesto Faustini
Santa Teresa in estasi, 1880 – 1890
cm 57x36,4
Civici Musei d’arte e storia di Brescia, inv. 509
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7. Franz von Lenbach
Ritratto di Eleonora Duse, 1885
cm 68x47
Civici Musei d’arte e storia di Brescia, inv. 494
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8. Francesco Paolo Michetti
Ritratto di vecchia, 1880 – 1890
cm 46x37,5
Civici Musei d’arte storia di Brescia, inv. 1347
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9. Gaetano Cresseri
Ritratto di mandriano, 1900 – 1910
cm 68,5x47
Civici Musei d’arte e storia di Brescia, inv. 575
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10. Rodolfo Premoli
Nudo femminile, 1900 – 1910
cm 73x53
Civici Musei d’arte e storia di Brescia, inv. 832
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11. Rodolfo Premoli
Ritratto maschile con berretto (Ritratto di pittore o Autoritratto), 1900 – 1910
cm 78x48
Civici Musei d’arte e storia di Brescia, inv. 841
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12. Umberto Franciosi
Ritratto di una giovane donna con un bimbo, 1910 circa
cm 80x61
Civici Musei d’arte e storia di Brescia, inv. 606
29
13. Umberto Franciosi
Autoritratto, 1909
cm 58x46
Civici Musei d’arte e storia di Brescia, inv. 570
30
14. Umberto Franciosi
Ritratto di giovane donna con autoritratto, 1912
cm 132x90
Civici Musei d’arte e storia di Brescia, inv. 838
31
15. Elisabetta Kaehlbrandt Zanelli
Autoritratto,1910 – 1920 circa
cm 50x41
Civici Musei d’arte e storia di Brescia
32
16. Angelo Landi
Ritratto di giovane donna (Elisa Barberis), 1920 circa
cm 46,5x41,5
Civici Musei d’arte e storia di Brescia, inv. 1290
33
17. Gian Battista Bosio
Paesaggio sul lago di Garda, 1930 – 1940
cm 20,4x26,6
Civici Musei d’arte e storia di Brescia, inv. 1342
34
18. Gaetano Cresseri
La notte, 1902
cm 56x65
Brescia, collezione Capretti
35
19. Gaetano Cresseri
Ritratto di donna, 1900 – 1910
cm 62,5x45,5
Brescia, collezione Capretti
36
20. Arnaldo Zuccari
Contadina nel campo, 1900 – 1905
cm 35x45
Brescia, collezione privata
37
21. Eliodoro Coccoli
Figure allegoriche, 1920 – 1930
cm 190x170
Gussago, collezione privata
38
22. Eliodoro Coccoli
Angelo con festoni, 1920 – 1930
cm 120x90
Brescia, collezione privata
39
23. Gerolamo Calca
Paesaggio, 1910 – 1920
cm 35x46
Rovato, collezione Davide Castelvedere
40
24. Gerolamo Calca
Paesaggio, 1920 – 1930
cm 35x46
Erbusco, collezione B. Bonetti e A. Zucchetti
41
25.Attilio Andreoli
Ritratto di giovinetta, 1925 – 1935
cm 42,9x34,6
Brescia, collezione privata
42
26.Vittorio Botticini
Paesaggio bresciano, 1940 – 1945
cm 25x35
Brescia, collezione privata
43
27.Vittorio Botticini
Natura morta, 1945 circa
cm 30x40
Brescia, collezione privata
44
28. Guglielmo Achille Cavellini
Ritratto della signora I.S.B., 1945
cm 33x24
Brescia, collezione privata
45
29. Francesco Carlo Salodini
Studio di testa maschile, 1935 – 1940
cm 24x19
Brescia, collezione Giuseppe Feola
46
30. Francesco Carlo Salodini
Marina, 1947
cm 25x35
Brescia, collezione Luciano Salodini
47
SCHEDE
I PASTELLI DEI CIVICI MUSEI
D’ARTE E STORIA
Elena Lucchesi Ragni e Maurizio Mondini
Le schede redatte da Elena Lucchesi Ragni sono siglate ELR, quelle da Maurizio Mondini MM.
1
Pittore veneto della metà del XIX secolo
Ritratto giovanile di Giuseppina Muzzarelli
cm 54,5x46,5, ovale
inv. 977; legato Muzzarelli, 1927
Bibliografia: Stradiotti, 1989, p. 208
Certamente di origine veneta, l’opera risulta di problematica datazione in quanto non sono noti gli
estremi biografici della nobildonna, vissuta tra Venezia, Bassano e Brescia, come si deduce dai ritratti e
dalle scarsissime notizie che la riguardano: si sa che
sposò, prima del 1884, il cugino Angelo, esponente
del ramo bresciano dei Muzzarelli. Il ritratto è pervenuto ai Musei bresciani insieme a quello, eseguito più
tardi a pendant, del padre Vespasiano Muzzarelli.
Come suggerisce anche la foggia dell’abito, il pastello
fu probabilmente eseguito verso la metà del secolo, in
date prossime al ritratto della stessa Giuseppina dipinto dal vicentino Pietro Roi e conservato nel Museo
Civico di Bassano, che la raffigurò in poltrona sullo
sfondo dell’isola veneziana di San Giorgio visibile da
una finestra di palazzo Dandolo. Allo stesso Roi (Sandrigo, 1819 – Venezia, 1896) è forse da riferire anche il
pastello, del tutto corrispondente al dipinto bassanese
nell’impostazione del volto e nel lieve sorriso che attraversa lo sguardo. Pur nei limiti di un’apprezzabile
correttezza professionale, il pastello sembra riprendere la tradizione della grafica veneta, nell’uso della carta
azzurra come supporto, e la lezione di Rosalba Carriera, nel ricorso a stesure di tonalità chiara e leggermente sfumata. Il gusto descrittivo per il dettaglio e la salda
apparenza della figura rimandano invece alla coeva ritrattistica di matrice accademica.
MM
2
Pittore veneto della seconda metà del XIX secolo
Ritratto di Vespasiano Muzzarelli
cm 55x47, ovale
inv. 978; legato Muzzarelli, 1927
Bibliografia: Stradiotti, 1989, p. 208
L’identità dell’effigiato, rimasta finora generica, si ricava
dal noto dipinto di Marino Pompeo Molmenti (Bassano, Museo civico), giustamente considerato tra le opere più innovative e celebrate della ritrattistica veneta
dell’Ottocento. Datata al 1846, la tela rappresenta lo
stesso personaggio, a figura intera e in sembianze decisamente più giovanili. Su Vespasiano Muzzarelli mancano precise notizie biografiche: conte e letterato, sposò
Alfonsina Danieli, figlia di quel Danieli che aveva trasformato in albergo di lusso lo storico palazzo della famiglia Dandolo in Riva degli Schiavoni. Una vecchia
scheda inventariale, presente nell’archivio dei Musei,
conferma quindi che il ritrattato era padre di Giuseppina e “proprietario dell’Hotel Danieli di Venezia, assai
noto per le sue azioni patriottiche”.
Concepito per essere accoppiato a quello della figlia,
come pure dimostrano le cornici identiche, il pastello
è tuttavia da ritenersi posteriore di almeno di un decennio e di autore diverso; anche grazie ad un ottimo
stato di conservazione, il livello esecutivo appare decisamente superiore, nella restituzione accuratissima
dell’incarnato del volto e dei riflessi luminosi che rilevano, in modo quasi tattile, la fluente barba. L’opera
può essere riferita all’ambito veneto, come indica il
foglio azzurro di supporto, forse allo stesso Molmenti per la realistica aderenza al modello affine alla coeva ritrattistica mitteleuropea.
MM
3
Marino Pompeo Molmenti
(Villanova di Livenza, 1819 – Venezia, 1894)
Ritratto di Giuseppina Muzzarelli
cm 65,5x50
inv. 981; legato Muzzarelli, 1927
Bibliografia: Stradiotti, 1989, p. 208; Ievolella, 2001, p.
271 (ill.)
Eseguito insieme al pendant raffigurante il marito Angelo, il ritratto è da ritenersi di poco posteriore al
1884, quando i coniugi Muzzarelli si trasferirono da
Brescia a Venezia. Nella stessa città Molmenti era allora artista molto apprezzato, in particolare per i dipinti di genere storico e per i ritratti; reduce da lunghi viaggi in Italia e all’estero (dalla Siria alla Francia),
nel 1852 era diventato insegnante presso l’Accademia di Belle Arti veneziana. D’altra parte, Giuseppina
ebbe modo di conoscere Molmenti fin dal 1846,
quando il padre Vespasiano gli commissionò il proprio ritratto (Bassano, Museo Civico).
Anche nella fase tarda della sua carriera, Molmenti rimase estraneo alle novità artistiche del tempo, adottando nei dipinti di soggetto storico e letterario una
certa teatralità di effetti e nei ritratti un realismo di
esibite capacità mimetiche. Benché il pastello non si
trovi in perfette condizioni di conservazione, da esso
traspare tuttavia l’intenzione di restituire lo sguardo
attento e penetrante di Giuseppina, oltre alla sobria
eleganza dell’abbigliamento impreziosito da perle. Insolitamente i due ritratti sono compresi in un finto
passe-partout ovale, eseguito a pastello.
MM
51
4
Marino Pompeo Molmenti
(Villanova di Livenza, 1819 – Venezia, 1894)
Ritratto di Angelo Muzzarelli
cm 66x50,5
inv. 980; legato Muzzarelli, 1927
Bibliografia: Stradiotti, 1989, p. 208; Ievolella, 2001, p.
271 (ill.)
Il ritratto a mezzo busto restituisce, in posa frontale
e con aderenza quasi fotografica, il volto di Angelo
Muzzarelli (Brescia, 1832 – Venezia, 1904): laureatosi
in medicina a Padova nel 1837, Muzzarelli prestò assistenza ai feriti della battaglia di San Martino e Solferino nel 1859, svolgendo poi un’intensa attività professionale; tra le numerose cariche da lui assunte, si ricordano la nomina all’Ateneo (dal 1872) e la presidenza della sezione della Croce Rossa. Dopo avere
sposato la cugina Giuseppina, nel 1884 si stabilì a Venezia (Fappani, 1993).
Il pastello presenta la stessa maestria descrittiva
che Molmenti applica nella pittura, e in particolare
nella ritrattistica, in cui la “rassomiglianza” costituiva parametro corrente di apprezzamento. L’artista
non sembra tuttavia accontentarsi di una raffigurazione naturalisticamente aderente al modello, ancora fondata su un solido impianto disegnativo di matrice accademica e sul morbido tonalismo che richiama gli esempi della Carriera: sullo sfondo neutro e omogeneo, il medico bresciano si impone con
accostante immediatezza, in termini peraltro adeguati all’età, ai trascorsi professionali e, probabilmente, alla sua personalità. Curiosamente, la forma
ovale del ritratto e di quello della moglie non è dovuta ad un passe-partout, ma ad una stesura omogenea che lo imita.
MM
5
Modesto Faustini
(Brescia, 1839 – Roma, 1891)
Cristo crocifisso
cm 37x57
siglato in alto a sinistra: MF
inv. 510; acquisto, 1892
Bibliografia: Capretti, De Leonardis, 2003, pp. 88-89
(ill.), con bibliografia precedente
Il pastello è da considerarsi il modello, ad evidenza
parziale, elaborato nel 1882 da Faustini per la Crocifissione del santuario cittadino della Madonna delle
Grazie: l’opera non fu poi realizzata, in quanto il pittore abbandonò il grande cantiere decorativo da lui
avviato cinque anni prima (Capretti, De Leonardis,
2003, pp. 15 e 101). Fin dai primi anni del soggiorno
romano (iniziatosi nel l870) Faustini impiegò spesso
il pastello con esiti di apprezzabile maestria tecnica,
in cui l’effetto grafico prevale in genere su quello
52
pittorico. Il foglio costituisce in tal senso un’eccezione, rapportabile alla volontà di prefigurare fedelmente l’opera che Faustini si apprestava ad eseguire. L’insistita precisione descrittiva, sia pure di matrice accademica, che pervade il modellato del corpo e la fisionomia del volto, così come i dettagli delle ferite e della corona di spine, conferiscono alla figura un’evidenza, insieme realistica ed emotiva, dissonante dalle eclettiche stilizzazioni, di tipo purista,
preraffaellita o simbolista, peculiari del pittore bresciano.
MM
6
Modesto Faustini
(Brescia, 1839 – Roma, 1891)
Santa Teresa in estasi
cm 57x36,4
firmato in basso a sinistra: M. Faustini Roma
inv. 509; acquisto, 1892
Bibliografia: Capretti, De Leonardis, 2003, p. 89 (ill.),
con bibliografia precedente
Il pastello, firmato come un’opera compiuta, si trovava a Brescia quando la vedova nel 1892 decise,
subito dopo la morte dell’artista, di vendere alcune
opere allora presenti nello studio. Oltre alla stessa
Santa Teresa, in tale occasione furono pure acquistati per la Pinacoteca municipale il Cristo crocifisso e il
Cardinale (olio su tela, inv. 505; Capretti, De Leonardis, 2003, p. 89). È probabile che questo foglio facesse parte del gruppo di pastelli esposti a Roma
alla mostra organizzata dalla Società degli amatori e
cultori di belle arti nel 1885, un periodo di successo e di importanti commissioni per Faustini (Capretti, De Leonardis, 2003, p. 24). Lontano dal gusto
preraffaellita che condizionò gran parte della produzione sacra di Faustini, questo foglio accentua
l’atteggiamento estatico e la plasticità della figura,
di ascendenze barocche, grazie alla conduzione vigorosa del pastello, steso con colpi decisi e con
forti contrasti luministici.
ELR
7
Franz von Lenbach
(Schrobenhausen, 1836 – Monaco di Baviera, 1904)
Ritratto di Eleonora Duse
cm 68x47
firmato e datato in basso a destra: F. Lenbach 1885 /
Roma – Marzo 1885
inv. 494; legato Giuseppe Zanardelli, 1904
Bibliografia:Terraroli, 1989, p. 111 (ill.); Mondini, 2004,
p. 149
Franz von Lenbach, famoso ritrattista della Germania
guglielmina ricercato soprattutto dalla nobiltà e dai
personaggi del mondo politico e finanziario, raffigurò
più volte Eleonora Duse, amica di famiglia, come prova il bellissimo pastello che la ritrae con Marion, la figlioletta del pittore, ancora oggi esposto nella casa
natale dell’artista.
Proveniente dal legato dello statista Giuseppe Zanardelli, il ritratto testimonia un soggiorno romano
del pittore, che, spesso in Italia per aggiornare la sua
formazione sui modelli classici, coglie la giovane attrice in una espressione languida ed ispirata, ripresa
da uno degli scatti fotografici più noti della diva. Il
profilo disegnato con la punta del pastello, le morbide stesure delle campiture più ampie e il freddo
cromatismo caratterizzano questo ritratto rispetto
a quello dello stesso autore, assai simile nella posa,
conservato nel Museo civico di Bassano e all’altro,
poco più tardo, dove il profilo della “divina” Duse
compare come in una visione onirica.
ELR
8
Francesco Paolo Michetti
(Tocco di Casauria, Pescara, 1851 – Francavilla al Mare, Chieti, 1929)
Ritratto di vecchia
cm 46x37,5
inv. 1347; legato Astorre Copetta, 1955
Bibliografia: Stradiotti, 1989, p. 198
Michetti occupa un ruolo di notevole rilievo nella pittura italiana dell’Ottocento e del primo Novecento:
formatosi nell’ambito verista napoletano, si accostò
poi al gusto esotico e simbolista di Mariano Fortuny.
Dopo il 1880 i temi agresti, le feste popolari e le cerimonie religiose si tradussero in dipinti di grandi
proporzioni e di ambientazione abruzzese che, pervasi da un’ancestrale e vitalistica coralità, si posero in
stringente relazione con le coeve ricerche letterarie
dall’amico Gabriele D’Annunzio.
In questo pastello emerge lo stesso interesse per i
dettagli della fisionomia e del costume, intesi come
tipici dell’ambito territoriale ed umano di provenienza. La Vecchia mostra tuttavia un insolito livello
di definizione formale, anche maggiore rispetto alle
analoghe figure femminili presenti nelle famose tele
del Voto (1883; Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna) e del Morticino (1884; Piacenza, Galleria d’Arte Moderna Ricci Oddi), alle quali si accosta probabilmente l’opera stessa anche in termini cronologici.
Al linearistico risalto conferito al profilo, che riflette
l’inquietante fissità dello sguardo, corrisponde una
più libera giustapposizione di macchie e di segni colorati. Nell’attività michettiana la tecnica del pastello, unito talvolta alla tempera e al carboncino, assume un rilievo considerevole, da rapportare a quel
virtuosismo esecutivo tanto ammirato, e talora pure
criticato in termini di facilità di effetti, dai contemporanei.
MM
9
Gaetano Cresseri
(Brescia, 1870 – 1933)
Ritratto di mandriano
cm 68,5x47
firmato in basso a destra: Cresseri G
inv. 575; acquisto, 1925
Bibliografia: Stradiotti, 1989, p. 189; Stradiotti, 2005, p.
131 (ill.)
Nella lunga attività di Cresseri il pastello riveste un
ruolo importante fin dagli esordi, spesso adottato nei
ritratti e nei paesaggi (Anelli, 2005; Stradiotti, 2005).
Dopo gli studi compiuti a Brera, Cresseri si presentò
alle esposizioni milanesi del 1900 e del 1906 con alcuni studi a pastello, probabilmente simili a quello
esposto in termini di aderenza descrittiva al modello,
solidamente accademica, e di piacevolezza del soggetto, ancora legato alla tradizione della pittura di genere popolare e delle “teste di carattere”. L’opera sembra tuttavia rivelare qualche affinità (insolita per l’autore) con le tendenze veriste di tema sociale e con la
ritrattistica lombarda, in particolare con le caratterizzazioni fisionomiche di Gerolamo Induno e la realistica compiutezza di Mosè Bianchi e di Cesare Tallone.
D’altra parte, l’opera testimonia il virtuosismo raggiunto da Cresseri nell’uso del pastello, sia nel sovrapporre sfumature di tonalità simile, sia nel dare risalto a singoli tratti colorati. In questo caso, il ritratto
assume un’accentuata dimensione narrativa: evoca il
sole degli alpeggi attraverso l’incarnato rossastro del
volto, così come la saggezza propria dell’età e della
vita solitaria nello sguardo rivolto verso indefinite
lontananze.
MM
10
Rodolfo Premoli
(Brescia, 1881 – Orbassano, 1938)
Nudo femminile
cm 73x53
firmato in basso a sinistra: Premoli Rod
inv. 832; provenienza ignota
Bibliografia: Lonati, 1980, p. 78; Stradiotti, 1989, p. 198
Il nudo femminile risale probabilmente alla fase giovanile del pittore: l’esecuzione risolta con levigate campiture di colore e la salda struttura del modellato,
che stacca la figura dallo sfondo, conferiscono al pastello i caratteri di una tradizionale esercitazione accademica. Nel controllato verismo e nella ricercata
eleganza della posa, Premoli si dimostra più vicino alla ritrattistica di Cesare Bertolotti, suo iniziale maestro, piuttosto che agli accenti introspettivi del coetaneo Umberto Franciosi, che, anche nel pastello, adotta una tecnica esecutiva di maggiore immediatezza.
L’opera si segnala tuttavia per un’apprezzabile correttezza formale, capace di graduare gli effetti luminosi
53
che sfumano con delicatezza l’incarnato della modella, sul quale risaltano, in contrasto con la penombra
dominante, il riverbero dorato dell’orecchino e il
rosso del panno accostato al seno.
MM
11
Rodolfo Premoli
(Brescia, 1881 – Orbassano, 1938)
Ritratto maschile con berretto (Ritratto di pittore o Autoritratto)
cm 78x48
inv. 841; provenienza ignota
Bibliografia: Lonati, 1980, p. 78; Stradiotti, 1989, p. 198
L’opera può essere interpretata come un autoritratto, mostrando il personaggio abbigliato con la blusa e
con il berretto tipico dei pittori. Le scarse notizie
sull’artista bresciano si ricavano in prevalenza dai
giornali del tempo (Lonati, 1980, pp. 77-78): iniziatasi
presso Cesare Bertolotti, la sua formazione proseguì
a Roma, grazie alla borsa di studio del legato Brozzoni ottenuta nel 1904. Due anni dopo frequentò l’Accademia di Torino, dove poi si stabilì definitivamente,
svolgendo un’intensa attività pittorica, rivolta anche
all’insegnamento e alla decorazione. Con la città natale Premoli mantenne contatti sporadici, come si desume dall’assenza quasi totale di sue opere nelle
esposizioni e nelle collezioni locali.
Il pastello rivela un’apprezzabile professionalità nella
disposizione dei contrasti luminosi e nel risalto conferito ai tratti del volto, al volume rossastro del berretto e alla superficie candida della camicia, mentre il
fondo appare risolto con un rapido tratteggio che si
infittisce intorno alla figura.
MM
12
Umberto Franciosi
(Brescia, 1883 – 1917)
Ritratto di una giovane donna con un bimbo
cm 80x61
firmato in basso a destra: U. Franciosi
inv. 606; acquisto, 1925
Bibliografia: Capretti, De Leonardis, 2004, p. 80 (ill),
con bibliografia precedente
Durante la sua breve carriera Franciosi si dedicò
quasi esclusivamente al ritratto utilizzando preferibilmente il pastello. In questo foglio, che si riteneva raffigurasse la moglie con la figlia, l’artista, sempre interessato a cogliere i riflessi esteriori di uno stato d’animo, fissa un raro momento di serenità e un delicato
trasporto affettivo. L’indefinito tocco delle vesti e
dell’elemento vegetale accentua la forza dei volti che
emergono dal fondo del foglio risparmiato dal colore.
ELR
54
13
Umberto Franciosi
(Brescia, 1883 – 1917)
Autoritratto
cm 58x46
firmato e datato in basso a sinistra: U. Franciosi / 09
inv. 570; acquisto, 1925
Bibliografia: Capretti, De Leonardis, 2004, p. 81 (ill.),
con bibliografia precedente
La vocazione ritrattistica e il possesso di strumenti
adeguati a cogliere i caratteri distintivi di un volto si
manifestano al livello più alto nella serie di autoritratti che seguono lo svolgersi della breve vita dell’artista, fino all’ultimo, drammatico, che lo riprende “dal
letto di morte”. Egli predilige il pastello per fissare
l’immediatezza della tensione del volto e dello sguardo; il suo interesse per l’introspezione psicologica si
accosta alla ricerca che, negli stessi anni, andava svolgendo Romolo Romani. Frequentemente gli autoritratti a pastello sono in relazione con un dipinto a
olio, spesso come modello che viene riprodotto con
poche varianti.
Anche in questo disegno, dove prevalgono i toni
freddi e i colori acidi stesi a colpi, Franciosi si ritrae dal basso in una visione ravvicinata, che, insolita nella tipologia dell’autoritratto, sottolinea lo
sguardo provocatorio e l’atteggiamento di sfida.
Nella versione ad olio la posa fortemente scorciata
è compensata dall’aggiunta della tavolozza tenuta in
mano.
ELR
14
Umberto Franciosi
(Brescia, 1883 – 1917)
Ritratto di giovane donna con autoritratto
cm 132x90
firmato e datato in basso a sinistra: U. Franciosi /
1912
inv. 838; acquisto, 1925
Bibliografia: Capretti, De Leonardis, 2004, pp.12 e 80
(ill.), con bibliografia precedente
Questo doppio ritratto, una delle opere più impegnative, e non solo per le dimensioni, fu eseguito
dall’artista come saggio della propria abilità dopo il
conferimento della pensione del Legato Brozzoni. Il
premio, che gli avrebbe consentito un aggiornamento della formazione in una capitale artistica,
non fu mai utilizzato in modo sistematico per il carattere irrequieto del giovane artista, anche se gli
permise di entrare in contatto con l’ambiente milanese di Cesare Tallone.
L’opera si distingue dalla produzione ritrattistica di
Franciosi anche per un’impronta simbolica dagli ambigui significati: la giovane donna, ritratta a figura intera
secondo una tipologia non altrimenti nota per l’arti-
sta, si identifica forse con la sorella della futura moglie, che sembra colta nello studio del pittore durante
una visita occasionale. Bella ed elegante nel suo abbigliamento da passeggio, la ragazza è investita da una
forte luce laterale, domina la scena e in parte occulta
con la sua veste l’autoritratto del pittore firmato e
datato, che occhieggia, inquietante, nell’ombra. Sul pavimento si materializzano anche alcune corolle di fiori, forse un’allusione sentimentale. La composizione,
costruita con una struttura linearistica, trova forza
espressiva nella intensa ombreggiatura e nel colore
giallo acido della veste guarnita da fiocchi di luce.
ELR
15
Elisabetta Kaehlbrandt Zanelli
(Riga, 1880 – Bergamo, 1970)
Autoritratto
cm 50x41
legato Magda Zanelli, 2005
Pervenuto recentemente ai Civici Musei attraverso
il cospicuo legato della figlia Magda, il pastello è rimasto allo stato di abbozzo, con pochi tratti velocemente tracciati anche a matita, spesso variamente ripresi per ottenere una migliore definizione dell’immagine. In base all’età apparente dell’effigiata,
l’opera è probabilmente da considerarsi uno studio
preparatorio, di valenza soprattutto grafica, per
l’autoritratto della pittrice, moglie dello scultore
bresciano Angelo Zanelli, dipinto verso il 1917-18
(Tedeschi, Di Raddo, De Leonardis, 2002, p. 62), anche se l’impostazione della posa risulta poi nella tela ruotata frontalmente verso l’osservatore. Nella
pur sintetica restituzione delle proprie fattezze lievemente abbellite, come si desume anche dall’osservazione dei ritratti fotografici, la pittrice adotta
un linearismo fluido ed elegantemente “decorativo”, accentuato dall’assenza quasi totale di ombreggiature, mentre conferisce allo sguardo un’espressione di ieratica distanza. Oltre a richiamare la ritrattistica coeva di gusto internazionale, il pastello
riflette quella particolare declinazione secessionista
e simbolista che la pittrice ebbe modo di assimilare
durante i lunghi soggiorni a Monaco e a Parigi,
quindi in Austria e infine, dal 1909, a Roma, a contatto con i protagonisti del liberty italiano, da Aristide Sartorio ad Adolfo De Carolis.
MM
16
Angelo Landi
(Salò, 1879 – 1944)
Ritratto di giovane donna (Elisa Barberis)
cm 46,5x41,5
siglato in basso a destra:A L
inv. 1290; dono di Elisa Barberis, vedova dell’autore,
1967
Bibliografia: Terraroli, 1989, p. 115 (ill.), con bibliografia precedente
Questa figura, databile agli anni Venti, rappresenta bene la scelta compiuta dal pittore di utilizzare il pastello per garantirsi, come ebbe a dire Bruno Passamani
(Passamani, Ferrari, 1980, p. 25), un rapporto vivo ed
immediato con il modello, in questo caso identificabile con la seconda moglie di Landi, come attesta la
scheda inventariale redatta in occasione della donazione e il confronto con il coevo busto in bronzo di
Claudio Botta, pure conservato nei Musei Civici bresciani (inv. 97; Anelli, 2006, p. 36). La stessa Elisa compare forse anche in un ritratto ad olio risalente al
1899 (Lucchesi Ragni, Stradiotti, 1985, p. 218). La luminosità evanescente del pastello, ottenuta mescolando i colori dalle tinte fredde e dai toni chiari, restituisce a questo ritratto una grazia trattenuta e un
senso intimistico.
ELR
17
Gian Battista Bosio
(Verolanuova, 1873 – Desenzano, 1946)
Paesaggio sul lago di Garda
cm 20,4x26,6
firmato in basso a destra: GB. Bosio
inv. 1342; legato Astorre Copetta, 1955
Bibliografia: Stradiotti, 1989, p. 198
Il pastello rientra tra le numerose opere, di dimensioni similmente ridotte, che il paesaggista
bresciano dedicò all’insenatura del Vò nei pressi di
Desenzano che, verso il 1904-1905, diventò il luogo di studio e poi di abitazione del pittore. Agli
stessi anni risale la sperimentazione del pastello,
tecnica che diventerà quindi dominante e, dal
1935, esclusiva della sua produzione. In effetti la
polvere colorata meglio si presta, rispetto alla
consistenza dei colori ad olio e alle scarse opportunità di ripresa dell’acquerello, a suggerire le elegiache e rarefatte atmosfere care al pittore bresciano. Sia pur variando il grado di definizione, il
metodo operativo dell’artista si attesta su brevi
segni accostati di andamento rettilineo che, oltre
ad incrociarsi tra loro, si sovrappongono e si
confondono con le stesure più uniformi e sfumate,
in genere riferite al lago e allo sfondo. Anche nel
pastello esposto, di cronologia solo ipotizzabile
data la frequente ripetizione del tema, si apprezza
l’immediatezza con la quale Bosio condensa in un
piccolo foglio la vastità del paesaggio, descritto in
una versione probabilmente autunnale, come suggeriscono la prevalenza dei toni grigi e bruni, così
come l’effetto di svaporante luminescenza che trapassa dalla superficie riflettente dell’acqua a quella
più omogenea del cielo.
MM
55
I PASTELLI
DELLE COLLEZIONI PRIVATE
Pia Ferrari
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Gaetano Cresseri
(Brescia, 1870 – 1933)
La notte
cm 56x65
firmato in basso a sinistra: G Cresseri
Brescia, collezione Capretti
Bibliografia:Anelli, 2005, pp. 176 e 198 (ill)
È il bozzetto proveniente dalla collezione di Carlo
Manziana, realizzato a carboncino e pastelli su carta,
per l’omonimo dipinto ad olio del 1902 di proprietà
dei Civici Musei d’arte e storia.
Il pastello mostra, rispetto al cartone preparatorio e
all’olio definitivo realizzato per il concorso Brozzoni,
differenze evidenti che riguardano il formato, quadrangolare e non tondo, la riduzione di particolari caratterizzanti, come le antichità su cui è assisa la figura
e le architetture cimiteriali sullo sfondo, i colori più
chiari, resi tali anche dall’uso di sostanze diluenti, nella parte paesistica. La donna velata non è rappresentata a figura quasi intera come nel caso delle due successive versioni, pertanto non presenta quelle incertezze nella resa anatomica che, nel cartone preparatorio, furono segnalate dalla critica in occasione della
mostra all’Esposizione Bresciana del 1904 (Robecchi,
1981, p. 131): variante, questa, che insieme alle precedenti potrebbe far pensare che il pastello, anziché
una premessa, possa essere una sorta di versione
corretta dell’opera ad olio.
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Gaetano Cresseri
(Brescia, 1870 – 1933)
Ritratto di donna
cm 62,5x45,5
firmato in basso a destra: G Cresseri
Brescia, collezione Capretti
Bibliografia: Stradiotti, 2005, pp. 130 e 139 (ill.)
L’opera ha caratteri fortemente veristici specialmente nella resa analitica dei capelli e della pelle solcata
da sottilissimi tratti in grafite e carboncino. Un chiaroscuro molto evidente sottolinea la tensione dinamica del collo che sembra volgersi di lato con uno
scatto improvviso. I tratti a pastello segnano piccole
aree di colore, dalla bocca rosata al balenare degli
orecchini, alle lumeggiature bianche sul viso, a quelle,
rapide come un appunto di memoria, che accennano
all’abito.
L’acconciatura e la posizione del volto di profilo, rivolto verso l’alto a ricordare posture liricamente tar-
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doromantiche, fanno propendere per una datazione
del pastello entro il primo decennio del XX secolo.
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Arnaldo Zuccari
(Brescia, 1861 – 1939)
Contadina nel campo
cm 35x45
firmato in basso a sinistra:A. Zuccari
Brescia, collezione privata
Bibliografia: Stradiotti (in De Leonardis, Stradiotti),
1998, pp. 12 e 8 (ill.)
Il pastello fa parte di un nucleo di opere, fra cui numerose piccole tele come Raccolta del fieno e Tramonto a Villa Paradiso, dipinte da Zuccari nei primi anni del
Novecento con soggetto paesistico-agreste. Questo
piccolo paesaggio, in cui la natura e la figura in controluce si accendono ai colori del tramonto, è interamente colorato a pastello con tecnica divisionista, a
filamenti nel cielo e a piccoli tocchi nella parte inferiore. Il tema è vicino a Millet e Segantini: una scena
di vita contadina che allude più ad un’immersione spirituale nella natura che alla fatica del lavoro.
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Eliodoro Coccoli
(Brescia, 1880 – 1974)
Figure allegoriche
cm 190x170
firmato in basso a sinistra: E. Coccoli
Gussago, collezione privata
Disegno di grandi dimensioni realizzato a carboncino
e pastelli su carta.
Alcune caratteristiche dell’esecuzione, come i segni di
riporto, l’assenza di tracce di spolvero, la coloritura a
pastello limitata alle parti prettamente decorative ed
in particolar modo ai festoni, le zone di luce ottenute
con gommature, la presenza della firma generalmente
assente nei cartoni preparatori, fanno pensare che
questo ed il lavoro di Coccoli qui di seguito presentato siano una replica voluta dall’artista di una parte di
cartone preparatorio per affresco. Il soggetto, angeIo o
figura allegorica, tolto dal contesto dell’opera intera
nella quale era inserito, con l’aggiunta di particolari piacevoli e colorati di gusto profano, può così assumere
significato autonomo e funzione decorativa adatti alle
richieste della committenza privata.
Per affinità iconografiche e stilistiche il disegno è riconducibile ai cartoni per affreschi, dimensionalmente simili, realizzati a Brescia per Casa Venturi nel 1913
e anche alla figura maschile col volto scorciato che fa
parte del Corteo di Flora dipinto in Palazzo Monti nel
1920 (Passamani, 1983, pp.53 e 54). Simile, ma speculare, è la testa che sporge dietro l’angelo affrescato
nel 1924 nella cupola della parrocchiale di San Marco
a Gardone Val Trompia.
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Eliodoro Coccoli
(Brescia, 1880 – 1974)
Angelo con festoni
cm 120x90
firmato in basso a destra: E. Coccoli
Brescia, collezione privata
Questa rappresentazione di gusto decisamente liberty, dipinta con tecnica mista a carboncino e pastello con cromie delicate, quasi esclusivamente a segnare i festoni floreali, è vicinissima alle Figure allegoriche e presenta le stesse caratteristiche d’esecuzione.
La figura dell’angelo, ma speculare e senza festoni, è
riscontrabile, più chiaramente della precedente, nel
disegno preparatorio e nell’affresco della cupola della
parrocchiale di San Marco a Gardone Valtrompia, dai
quali evidentemente deriva.
23
Gerolamo Calca
(Rovato, 1878 – 1957)
Paesaggio
cm 35x46
firmato in basso a destra: G. Calca
Rovato, collezione Davide Castelvedere
In questo lavoro, interamente eseguito a pastello tra
gli anni Dieci e Venti del secolo scorso, Calca si discosta dal suo più consueto modo di stendere il colore a larghe campiture e, nella libertà del segno sfumato, a puntini, o appena nervosamente accennato,
sembra volere sperimentare il pastello in modo decisamente alternativo al disegno, eliminando i contorni
degli elementi naturali come negli stessi anni fanno i
divisionisti. Proprio a questa corrente, in particolar
modo a Previati ed al gruppo ligure, al Merello ad
esempio, sembra avvicinarsi il taglio della veduta, che
mette in risalto in modo semplificato gli andamenti
essenziali del paesaggio, mentre gli elementi descrittivi vengono ridotti per privilegiare la varietà di accordi delle cromie.
24
Gerolamo Calca
(Rovato,1878 – 1957)
Paesaggio
cm 35x46
Erbusco, collezione B. Bonetti e A. Zucchetti
Bibliografia: Ricca Cottone, 2006, p. 128 (ill.)
Come il precedente, questo pastello pare più un
esercizio di fantasia che non uno studio dal vero,
perché probabilmente solo il passaggio ed il trascolorare delle nuvole sono stati studiati en plein air,
mentre poco descrittiva è la rappresentazione dei
luoghi montani: sembra, in questo senso, un omaggio all’ultimo Renica di Nuvole rosa, quando il pitto-
re bresciano si avvicinò agli studi atmosferici di
Constable.
Evidente è in questo paesaggio l’interesse dell’artista
per le possibilità libere del colore ed anche del gesto
che lo stende: il cielo si accende di tonalità calde e
mediterranee condotte con vigore espressionista più
marcato rispetto ai dipinti ad olio.
Negli anni Venti Calca fu effettivamente interessato al
paesaggio del sud e rappresentò alcune vedute di
Gallipoli, tramonti, aurore e marine, nelle quali si riscontrano cieli e colori altrettanto intensi.
25
Attilio Andreoli
(Chiari, 1877 – Cavaglio di Novara, 1950)
Ritratto di giovinetta
cm 42,9x34,6
firmato in alto a destra:A.Andreoli
Brescia, collezione privata
Il ritratto, realizzato in chiaroscuro a tecnica mista
con pastello e carboncino su carta, si accorda pienamente con la pittura dell’artista clarense che, anche
nei ritratti ad olio, con luminismi scapigliati e colori
trattati matericamente modella il volto più che disegnarlo. Qui il colore, quasi esclusivamente giocato
sulle tonalità del nero e steso essenzialmente con le
dita e a piccoli tocchi, si dimostra decisamente alternativo al disegno per quanto riguarda le possibilità di
rappresentazione rapida e caratterizzante della figura.
La scelta della bicromia potrebbe essere funzionale
allo studio per incisioni, in cui Andreoli ha rappresentato con simile gusto per l’immediatezza ritratti
di fanciulle (si veda la puntasecca riprodotta in Colusso, 1994, p. 43). Per il tipo di acconciatura e affinità con ritratti dipinti come Tramonto felice, il pastello è databile tra la fine degli anni Venti ed i primi
anni Trenta.
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Vittorio Botticini
(Brescia, 1909 – 1978)
Paesaggio bresciano
cm 25x35
firmato in basso a sinistra:V. Botticini
Brescia, collezione privata
Come gli altri disegni a grafite e pastelli degli anni
Quaranta, questo paesaggio dimostra un’importante
fase di passaggio e ricerca nell’operare del pittore
bresciano che, meditando sulla pittura di Cézanne e
delle avanguardie, si allontana dalla rappresentazione
mimetica della realtà e dal novecentismo.
Nella veduta bresciana, lievemente tratteggiata con
prevalenza dei colori amati dall’artista provenzale, l’ocra, il rosso e il verde, Botticini cerca la struttura dell’oggetto più che la narrazione, delineando col colore
anche il profilo geometrico di case ed alberi: dunque,
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come dalla critica è stato spesso ricordato (Corradini, 1995), si serve del disegno come strumento per
conoscere le forme dell’architettura e della natura,
immerse in un unico ambiente atmosferico.
Il pastello accenna a movimenti e ariosità un po’ alla
De Pisis, che dai primi anni Cinquanta lasceranno il
posto a forme più legate alla costruzione e alla decostruzione cubista.
27
Vittorio Botticini
(Brescia, 1909 – 1978)
Natura morta
cm 30x40
firmato in alto a destra:V. Botticini
Brescia, collezione privata
La ricerca sulle strutture della composizione e sulla
relazione tra le cose spinge Botticini negli anni Quaranta a rappresentare semplicissimi soggetti come
questa natura morta, dove la presenza dell’anguria,
frutto popolare, ma qui non trattato aneddoticamente, è quotidiano elemento comune anche a molti dipinti che avranno lo stesso tema fino alla metà degli
anni Cinquanta. In questo caso il pastello apre spazi
di ariosità e rarefazione tra le forme semplici, di taglio spigoloso, a scaglie, con segni orizzontali e verticali che lasciano trasparire la luce del foglio e permettono che le forme stesse comincino a compenetrarsi.
28
Guglielmo Achille Cavellini
(Brescia, 1914 – 1990)
Ritratto della signora I.S.B.
cm 33x24
firmato e datato in basso a destra: Cavellini 1945
iscrizione in basso a sinistra: Omaggio a Botticini
Brescia, collezione privata
Cavellini, prima di divenire il più importante collezionista bresciano del secondo dopoguerra e poi l’artista dell’autostoricizzazione, per una breve stagione,
mentre frequentava il gruppo di pittori bresciani tra
cui Botticini e Lancini, dal ’45 al ’48 si dedicò con piacere ed attitudine al disegno, riproducendo soprat-
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tutto paesaggi, ritratti ed autoritratti dai toni immediati e leggermente caricaturali, con tratto fresco e
rapido che, come lui stesso ricorda, gli riusciva meglio della pittura ad olio (Cavellini, 1989, p. 5).
Questo pastello è un divertito ed arguto omaggio alla moglie di un caro amico.
29
Francesco Carlo Salodini
(Calvisano, 1903 – Monza, 1950)
Studio di testa maschile
cm 24x19
firmato in basso a destra: Salo
Brescia, collezione Giuseppe Feola
Questo pastello su carta del pittore ed illustratore
bresciano è databile alla seconda metà degli anni
Trenta.
Pur con le caratteristiche dimensionali e stilistiche
dello studio preparatorio e a differenza dei dipinti,
dove il colore steso in modo essenziale e scarno
mette in evidenza le forme della composizione, nel
disegno si indaga il volto con gli strumenti della linea
e della luce, attraverso un’accurata analisi della fisionomia del modello.
La testa, colta con gusto espressionista e pathos quasi wildtiano, suggerisce una malinconica e raccolta situazione esistenziale.
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Francesco Carlo Salodini
(Calvisano, 1903 – Monza, 1950)
Marina
cm 25x35
firmato e datato in basso a sinistra: Salodini 47
Brescia, collezione Luciano Salodini
Bibliografia: Lorenzi, Salodini, 2003, p. 110 (ill.)
Più che un paesaggio con figure questa marina è
un’essenziale ricerca sulle forme e sui rapporti cromatici. Il colore, steso rapidamente sulla carta con
tratti alternatamente netti o diluiti, riempie campiture quasi astratte che si equilibrano in una corrispondenza semplice e quasi perfetta di forma e colore. Le
due figure femminili sono immerse in un’atmosfera di
gusto novecentista.
BIBLIOGRAFIA
a cura di Pia Ferrari, Elena Lucchesi Ragni e Maurizio Mondini
La bibliografia si riferisce esclusivamente ai testi citati nei saggi e nelle schede.
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R. Lonati, Dizionario dei pittori bresciani, voll. 3,
Brescia
B. Passamani, P. Ferrari (a cura di), Angelo Landi
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1981
R. Robecchi, Il liberty e Brescia, Brescia
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B. Passamani, Eliodoro Coccoli, catalogo della mostra, Brescia,AAB
1985
E. Lucchesi Ragni, R. Stradiotti, Il ritratto, in Brescia postromantica e liberty 1880 -1915, catalogo
della mostra a cura di B. Passamani, Brescia, pp.
207-224
1989
G.A. Cavellini,Vita di un genio, Brescia
R. Stradiotti, L’inventario dei dipinti e delle sculture
dei secoli XIX e XX, in Dai Neoclassici ai Futuristi
ed oltre. Proposte per una civica galleria d’arte moderna e contemporanea, catalogo della mostra a
cura di R. Stradiotti, Brescia, pp. 179-212
V.Terraroli, Dai postromantici ai contemporanei, in
Dai Neoclassici ai Futuristi ed oltre. Proposte per
una civica galleria d’arte moderna e contemporanea, catalogo della mostra a cura di R. Stradiotti, Brescia, pp. 107-151
1993
A. Fappani, Muzzarelli, Angelo, in Enciclopedia bresciana, vol. IX, Brescia, p. 127
1994
M. Colusso, Attilio Andreoli, in Il Novecento clarense, catalogo della mostra, Chiari
1995
M. Corradini, Vittorio Botticini. Disegnare per conoscere. Diario di lavoro, catalogo della mostra,
Brescia,AAB
1998
R. Stradiotti, F. De Leonardis (a cura di), Arnaldo
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2001
L. Ievolella, Pompeo Marino Molmenti. Dall’Accademia al realismo, in «Saggi e memorie di storia
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2002
F.Tedeschi, E. Di Raddo, F. De Leonardis (a cura
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L. Capretti, F. De Leonardis (a cura di), Modesto
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F. Lorenzi, L. Salodini (a cura di), 1903 1950
2003 Francesco Carlo Salodini, catalogo della mostra, Brescia,AAB
2004
L. Capretti, F. De Leonardis (a cura di), Umberto
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M. Mondini, Dipinti e altri oggetti di interesse zanardelliano dei Civici Musei di arte e storia, in Giuseppe Zanardelli, capo di governo, a cura di S. Onger e G. Porta, Brescia, pp. 149-169
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L. Anelli, I dipinti da cavalletto: paesaggi, figure, fiori, dipinti simbolici, figure “di genere”, in Giornata di
studi sul pittore Gaetano Cresseri. Atti, a cura di L.
Anelli, Brescia, Ateneo di Scienze, Lettere ed
Arti, 10 novembre 2002, Brescia, pp. 157-200
R. Stradiotti, Gaetano Cresseri ritrattista, in
Giornata di studi sul pittore Gaetano Cresseri. Atti, a cura di L. Anelli, Brescia, Ateneo di Scienze, Lettere ed Arti, 10 novembre 2002, Brescia, pp. 129-138
2006
L.Anelli, Angelo Landi da Salò 1879 - 1944.“Pittore
vagabondo” dal Garda alle capitali d’Europa. Inediti
e nuove ricerche tra Brescia, Roma, Milano, Parigi,
Pompei, catalogo della mostra, Roccafranca
E. Ricca Cottone, Sempre, un paese nell’anima,
Rovato
59
Sommario
p.
3
Polvere di colore
Elena Lucchesi Ragni e Maurizio Mondini
p.
7
Il pastello: tecnica e protagonisti
Maurizio Mondini
p.
13
Il pastello, opera preliminare
e di derivazione
Pia Ferrari
p.
17
Le opere in mostra
p.
49
Schede
p.
51
I pastelli dei Civici Musei d’arte e storia
Elena Lucchesi Ragni e Maurizio Mondini
p.
56
I pastelli delle collezioni private
Pia Ferrari
p.
59
Bibliografia
Pia Ferrari, Elena Lucchesi Ragni e Maurizio Mondini
La memoria figurativa – 21
Polvere di colore.
Il pastello nelle collezioni bresciane 1860-1940
Mostra promossa e organizzata dall’Associazione Artisti Bresciani
24 febbraio - 21 marzo 2007
Cura della mostra
Pia Ferrari, Elena Lucchesi Ragni e Maurizio Mondini
Comitato organizzativo
Luisa Cervati, Vasco Frati, Martino Gerevini,
Giuseppina Ragusini, Laura Rossi, Renata Stradiotti
Cura del catalogo
Vasco Frati e Giuseppina Ragusini
Progetto grafico del catalogo
Martino Gerevini
Allestimento
Beppe Bonetti
Referenze fotografiche
Roberto Mora, Brescia
Fotostudio Rapuzzi, Brescia
Piera Tabaglio, Brescia
Trasporti
Squadra tecnica dei Civici Musei
Cortesi srl
Assicurazione
Società Cattolica di Assicurazione,Agenzia generale di Brescia
Segreteria dell’AAB
Simona Di Cio e Corrado Venturini
L’AAB e i curatori della mostra rivolgono un cordiale ringraziamento
per la loro preziosa collaborazione alla Soprintendenza per il
patrimonio storico, artistico ed etnoantropologico per le province di
Brescia, Cremona e Mantova, in particolare al soprintendente Filippo
Trevisani e al funzionario Rita Dugoni; alla direzione dei Civici Musei
d’arte, storia e scienze, in particolare alla direttrice Renata Stradiotti,
a Luisa Cervati, Laura Rossi, Ugo Spini, Piera Tabaglio, Giuliana Ventura,
Gerardo Brentegani e alla Squadra tecnica; ai collezionisti
prestatori; alle Fondazioni CAB e ASM Brescia; agli sponsor.
Fotocomposizione e stampa
Arti Grafiche Apollonio – Brescia
Finito di stampare nel mese di febbraio 2007.
Di questo catalogo sono state stampate 250 copie.
FONDAZIONE
dal 1919