Progetto di ricerca e Piano attività

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Progetto di ricerca e Piano attività
 “Novi cives: costruttori di cittadinanza” Progetto di ricerca su metodi, strumenti e percorsi didattici per l’educazione alla cittadinanza attiva attraverso il patrimonio culturale Presentazione a supporto della domanda di Assegno di Ricerca Progetto di Beatrice Borghi MOTIVAZIONI DI FONDO: FRAMEWORK TEORICO L’esigenza di disporre di competenze e di conoscenze utili ad orientarsi per poter scegliere ed agire più proficuamente è stata condivisa da tutte le generazioni umane, ma oggi appare amplificata da un’inedita rapidità di cambiamento nei comportamenti, nelle scale di valore e nei contesti ambientali. Per dimostrare che proprio in presenza di questa straordinaria accelerazione nei processi evolutivi è necessario un generale recupero di capacità e di conoscenze tratte dal nostro patrimonio storico, è sufficiente constatare come lo smarrimento sia il primo e sicuro effetto per chi perda la memoria. L’impossibilità di fare scelte consapevoli, di formulare progetti motivati, di prevedere almeno in parte le conseguenze dei propri gesti rende ogni smemorato preda dell’angoscia di non poter decidere liberamente e lo subordina alla volontà altrui, poiché, ignorando il proprio vissuto, non dispone di riferimenti essenziali ed è costretto all’immobilità o a passi azzardati. Oggi si rischia di affrontare da smemorati un futuro dai contorni indefiniti, non conoscendo adeguatamente nemmeno le premesse e le radici delle questioni più pressanti e decisive dell’attualità: quella della convivenza sia a livello locale che internazionale; quella delle pari opportunità di genere e delle componenti sociali e culturali minoritarie; quella della legalità; quella dei limiti e degli squilibri dello sviluppo economico; quella delle motivazioni, della genesi e dell’adeguamento delle basi normative e costituzionali che sono state promulgate a livello nazionale e internazionale. L’appiattimento degli orizzonti, degli interessi e dell’informazione su un presente apparentemente privo di retroterra è poi uno dei possibili esiti del completamento di quel millenario processo di saldatura delle sorti umane in un unico orizzonte planetario che convenzionalmente chiamiamo “globalizzazione”. Mentre a beneficiarne sono ancora quasi esclusivamente i grandi monopoli economici e nell’attesa che a trarne vantaggio sia la totalità del genere umano, uno dei timori più giustificati che esso suscita è proprio quello dell’annullamento delle diversità in un panorama piatto e indistinto, uniformato alle culture e agli interessi dominanti. Si tratta di una svolta epocale di cui si colgono i primi pesanti esiti con sempre maggior chiarezza. A sostenerla e a renderla efficace sono i più potenti mezzi di diffusione e di propaganda che siano mai stati a disposizione della specie umana: quelli radiotelevisivi, quelli delle reti informatiche e telefoniche, al cui interno inarrestabili processi di concentrazione stanno selezionando i dispensatori di informazione e cultura con effetti concreti e già ben percepibili di condizionamento dei comportamenti e di manipolazione delle coscienze. D’altronde le opportunità offerte dagli strumenti informatici e telematici possono essere utilizzate anche in senso contrario rivalutando e mettendo a confronto voci, culture, conoscenze ed opinioni. In tale prospettiva i progetti formativi vanno finalizzati, oltre che ad una maggiore conoscenza delle origini e delle premesse delle realtà odierne, anche ad una fondata capacità critica e di comprensione nei confronti dei processi evolutivi in atto e alle conseguenti possibilità di progettare quanto più coscientemente il proprio futuro individuale e collettivo in un tornante 1 della storia in cui ogni grande scelta è destinata a ripercuotersi sulla qualità di vita delle generazioni future e rischia di divenire irreversibile. In una società sempre più composita tali progetti debbono essere indirizzati anche a promuovere una formazione culturale basata sulla consapevolezza delle diversità, nella convinzione che ogni identità si evolve e che è infondata qualsiasi presunzione di una sua immobilità con cui giustificare il rifiuto dei nuovi arrivi e dei relativi cambiamenti. A tutte queste motivazioni se ne aggiunge un’altra che dovrebbe essere particolarmente sentita da una comunità nazionale erede di un patrimonio storico-­‐artistico valutato tra i più ricchi e consistenti del mondo. L’interesse e la sensibilità verso i temi della salvaguardia e della tutela dei beni ambientali e culturali dipendono in buona parte dalla soglia e dalla qualità della conoscenza storica dell'intera società. L’attenzione per retaggi pervenutici dal passato non s’impone solo nell’ambito della formazione, ma anche come esigenza di percepirli e valorizzarli come risorsa. In questa luce le istituzioni accademiche e scolastiche possono concorrere alla sensibilizzazione necessaria, promuovendo in collaborazione con sedi museali, archivistiche e bibliotecarie una più ampia conoscenza dei beni presenti nel loro territorio. Il patrimonio culturale1 appare così come un approdo necessario e uno sfondo integratore di rilevante valenza formativa, capace di proiettare in orizzonti più ampi le potenzialità delle specifiche didattiche dei beni culturali e di avvalersi degli strumenti più aggiornati della comunicazione. In questa prospettiva esso diviene un’occasione di acquisizione e di produzione del sapere con cui si stimola l’apprendimento di competenze e la costruzione di conoscenze mediante specifiche esperienze di ricerca e di didattica; esige la confluenza di pertinenze e la convergenza di percorsi in un intreccio interdisciplinare; implica un uso sistematico di tutti gli strumenti della comunicazione e in particolare delle tecnologie telematiche e dei supporti multimediali utilizzabili in ogni progetto didattico e divulgativo. Da quanto esposto appare evidente come vi sia un nesso significativo tra il concetto di formazione e quello di “educazione al patrimonio” per la comune sottintesa tensione a sviluppare processi di apprendimento integrati, ricorrenti e permanenti. In particolare sono due gli aspetti che rendono strettamente attinente alla formazione l’apprendimento che verte sul “patrimonio”: l’integrazione di molteplici competenze e conoscenze tratte da attività di simbiosi tra scuola e sedi esterne in un quadro multidisciplinare di educazione alla consapevolezza e alla responsabilità; l’adozione di metodi costruttivi che motivino, coinvolgano e attivino all’apprendimento, spaziando dalla percezione e definizione delle componenti e delle sedi del “patrimonio” all’acquisizione specifica relativa alle sue componenti, fino ai più aggiornati metodi e strumenti di comunicazione. Il tutto in una continua ricerca di interazione tra le discipline che si occupano dei processi di conoscenza e di valorizzazione del “patrimonio”, degli aspetti estetici e storico-­‐
artistici del territorio per una formazione che permetta e induca scambi concettuali, pratiche comparative e affinamenti metodologici oggi particolarmente importanti per attivare dialoghi interculturali e rapporti da svolgersi in tutti i settori delle attività umane e in orizzonti senza limiti. L’educazione alla cittadinanza attiva attraverso il patrimonio può consentire di affrontare con efficacia alcune delle più pressanti sollecitazioni alle quali è sottoposto ogni ambito formativo. 1 Il patrimonio culturale è l’eterogeneo e multiforme insieme di lasciti e risorse nel quale confluiscono e si sedimentano i caratteri, i beni, i valori e i saperi ambientali, storico-­‐artistici, scientifici e ideali raccolti e condivisi dalle comunità umane nei loro diversi ambiti territoriali. A queste spetta rilevarne, conoscerne, proteggerne e valorizzarne la presenza, rendendola nota, eloquente e fruibile nel più ampio quadro del patrimonio dell’Umanità (DONDARINI R., 2004). 2 Se da sistemi sociali e comunitari dotati di scarsa mobilità e articolazione interna si è passati in breve tempo a società sempre più complesse e articolate, riconoscere la molteplicità delle componenti del patrimonio culturale da condividere permette di affrontare la sfida di un sistema sociale dinamico, eterogeneo e composito facendo in modo che le diversità non si trasformino in disuguaglianze e conflittualità, ma possano divenire ricchezza e solidarietà. Se al monopolio formativo delle istituzioni scolastiche e all’egemonia dei loro saperi e delle relative forme di trasmissione si è sostituita una crescente pluralità delle fonti di istruzione e di cultura, occorre ridefinire il ruolo formativo di tali istituzioni dando spazio alla varietà delle opportunità extrascolastiche e rompendo il monopolio della trasmissione verbale a favore dell’eterogeneità degli apporti formativi. Se gli orizzonti territoriali e culturali della società si ampliano a comprendere soggetti, legami, rapporti e convivenze su scala planetaria, pur mantenendo e spesso consolidando l’ancoraggio alle realtà locali, occorre educare alla convivenza favorendo lo sviluppo di identità aperte e in continua evoluzione che puntino alla formazione di persone radicate, consapevoli e responsabili sia rispetto al proprio ambito comunitario e territoriale sia come cittadini della nazione, dell’Europa e del mondo, edificando nuove e più complessive appartenenze nel rispetto delle differenze. Constatando che, nonostante la molteplicità e l’eterogeneità degli apporti culturali attuali, il sistema formativo continua a separare l’ambito scientifico da quello umanistico, si deve perseguire un’educazione integrale in cui tutte le discipline e tutte le vene formative siano poste in relazione e concorrano alla formazione. In particolare debbono trovare spazio componenti essenziali e troppo trascurate dell’educazione, come quella musicale, quella artistica, quella tecnologica. Se le tendenze prevalenti nell’informazione e la propaganda a fini commerciali inducono al disimpegno e all’appiattimento impersonale e massificante e propinano come primari bisogni apparenti e superficiali e obiettivi effimeri, occorre perseguire l’educazione di persone che saranno tanto più consapevoli, responsabili, autonome e capaci di incidere sulla loro realtà, quanto più preparate e dotate di strumenti di cognizione e di comprensione. A tale scopo è doveroso non rifiutare i linguaggi correnti della comunicazione e della comunicazione, ma usarli come strumenti per mutarne le finalità. Anche se l’accesso veloce e generalizzato all’informazione e alle notizie consentito dalle reti e dagli strumenti della comunicazione non crea automaticamente conoscenze e competenze e rischia di tradursi in superficialità e labilità delle cognizioni, sarebbe anacronistico non avvalersi delle nuove tecnologie. Le crescenti opportunità di conoscenza che esse comportano vanno utilizzate rendendole funzionali alla formazione complessiva e quindi convergenti su obiettivi e finalità coerenti. Dalla constatazione che il metodo trasmissivo ancora prevalente comporta esiti deludenti, conoscenze mnemoniche e labili, scarsa capacità formativa e non coinvolge i loro soggetti, deriva l’esigenza di perseguire metodi educativi che si avvalgano della sperimentazione e del coinvolgimento, suscitando curiosità e creatività, impegno e assunzione attiva per rendere ogni soggetto protagonista della sua formazione. Visto i riferimenti dei sistemi educativi sono condizionati dai continui mutamenti delle scale di valore e dei modelli di comportamento, appare inutile e controproducente presumere che le modalità di formazione perseguite in passato siano ancora le migliori e arroccarsi a difesa di modelli superati. All’inutile resistenza passiva occorre opporre un’intraprendenza attiva che consenta di rinnovare continuamente la preparazione degli educatori. Il rapido evolversi della grande massa delle cognizioni proposte sia dagli apparati della comunicazione sia dalle discipline scolastiche sottolinea l’esigenza non solo di un aggiornamento continuo da parte degli insegnanti, ma anche della progettazione e dell’adozione di strategie didattiche che puntino all’apprendimento non tanto delle cognizioni, 3 cioè dei “saperi”, quanto in primo luogo delle competenze e delle abilità utili a raggiungerle, É infatti il “saper fare” che conferisce autonomia e capacità per continuare ad acquisire conoscenze e per ricondurle nell’alveo di una formazione culturale complessiva, organica e finalizzata alla consapevolezza e alla responsabilità. STATO DELL’ARTE: STORIA ED EDUCAZIONE ALLA CITTADINANZA L’insegnamento della storia per una pedagogia della cittadinanza Le discipline storiche sono da qualche decennio sottoposte ad una sfida che si potrebbe dire esiziale, di vera e propria sopravvivenza. Già come materie scolastiche rivelano che nelle loro vesti tradizionali sono ben al di fuori del gradimento degli studenti; d’altronde rimangono poco apprezzate anche all’esterno della scuola perché, se incalzate dagli interrogativi del presente, mostrano più che mai dei limiti. Un tempo imparare la storia significava ricevere in ogni stato le basi per divenire un cittadino o un suddito rispondente ai canoni dei modelli correnti: donne e uomini che sapessero rientrare in maniera armonica in una società articolata in gerarchie e dai ruoli in gran parte predefiniti già dalla nascita. Oggi, e meno male, moventi di questo tipo sono superati; la percezione dei contenuti della conoscenza storica ha subito una profonda mutazione. Ma quel nozionismo, che era elemento essenziale e portante dell’insegnamento della storia di un tempo, è rimasto anche oltre ogni residua giustificazione, mantenendo all’apprendimento della storia un prevalente carattere mnemonico. Dunque, purtroppo, nella maggior parte dei casi la storia si continua a insegnarla in modo tradizionale, e viene percepita male e riproposta ancor peggio. Tutto questo dimostra l’esigenza di una riconversione radicale nel campo della didattica della storia, soprattutto quando, partendo dal nesso inscindibile che lega le tre dimensioni soggettive del tempo – passato, presente, futuro – si è convinti che la conoscenza del passato non sia affatto utile, ma che al contrario apporti chiari vantaggi nella progettazione del futuro. Questo è il motivo che impone agli storici di trovare degli ambiti tematici in cui appaia necessario e utile riflettere sul passato e ricevere dal passato le conoscenze. L’ambito privilegiato per eccellenza, che oggi si tende a sottolineare, è quello territoriale, in cui evidentemente il paesaggio ha un significato particolare. Il paesaggio è, infatti, un ambiente umanizzato, ossia un territorio che riporta impronte significative leggibili del passaggio e della vita di tante generazioni che ci hanno preceduto. Le stesse indicazioni ministeriali del 2012 per la scuola primaria, al capitolo su “Il senso dell’insegnamento della storia” ci ricordano che «la storia si manifesta alle nuove generazioni nella straordinaria sedimentazione di civiltà e di società leggibile nelle città, piccole o grandi che siano, nel paesaggio, nelle migliaia di siti archeologici, nelle collezioni d’arte, negli archivi, nelle manifestazioni tradizionali che investono insieme lingua, musica, architettura, arti visive, manifatture, cultura alimentare e che entrano nella vita quotidiana. La Costituzione stessa, all’articolo 9, impegna tutti, e dunque in particolare la scuola, nel compito di tutelare questo patrimonio». Stiamo parlando quindi di un ambiente che è stato modellato dalla natura, ma anche e fondamentalmente dalla presenza umana. Ogni paesaggio è diverso dall’altro perché ha aspetti comuni e confrontabili e altri assolutamente originali. In questo senso è il frutto provvisorio di un’interazione continua tra fattori naturali e azione umana e quindi destinato a mutare più o meno rapidamente. Tutte le epoche della storia hanno lasciato delle tracce nei paesaggi attuali, sta a noi cercare di individuarle e leggerle come se fossero scritte in un libro e soprattutto tutelarli. E a ricordarcelo è l’Unesco che stabilisce che gli Stati membri: «dovrebbero fare il tentativo nel 4 modo più appropriato, e nello specifico con programmi educativi e d’informazione, di consolidare nei propri cittadini il riconoscimento e il rispetto del patrimonio culturale e naturale come sopra definito. Essi dovrebbero intraprendere lo sforzo di tenere il pubblico informato a grandi linee sui pericoli che minacciano il patrimonio e sulle attività intraprese per sostenere il patrimonio culturale e naturale.» (Articolo 27 della Convenzione sulla “Conservazione del Patrimonio mondiale Culturale e Naturale”). Si aprono dunque due ordini di riflessioni: da un lato, oggi più che mai, l’importanza della conoscenza storica e la sua diffusione attraverso adeguate metodologie didattiche che ne facilitino e ne incuriosiscano l’apprendimento, e dall’altro la necessità di considerare il bene comune, cioè il patrimonio ereditato dal passato e la sua tutela, come un interesse superiore a qualsiasi altro affermando con determinazione il principio della pubblica utilità del patrimonio culturale. Il paesaggio urbano come “public history” Prima di riflettere sulle connessioni tra paesaggio urbano e public history, occorre spendere alcune parole su cosa si intende per “public history”. Si tratta di una delle più importanti novità degli anni Settanta del secolo scorso del mondo accademico britannico e statunitense, sviluppatasi con grande seguito anche in Canada, nel campo della storia e delle materie umanistiche, che ha acquisito una sua specifica autonomia nei dipartimenti di storia delle maggiori università e negli istituti di conservazione dei beni culturali, storici artistici e librari, dagli archivi alle biblioteche ai musei, sia pubblici che privati. La rete internet e l’impatto dei nuovi media sono diventati da tempo nella società americana strumenti e luoghi privilegiati e codificati per diffondere i risultati e le pratiche della “public history”, per custodire la memoria e per comunicare gli esiti delle indagini. Sarebbe inesatto tradurre testualmente il termine inglese con “storia pubblica”, che è ben altra cosa e che ci proietta immediatamente nel campo dell’“uso pubblico della storia”, un concetto che richiama le innumerevoli forme di strumentalizzazione, manipolazione e rivisitazione del passato messe in atto a fini ideologici, attraverso un preciso disegno politico, con visioni fuorvianti e ingannevoli, volte a subordinare agli interessi del presente la complessità e la problematicità del passato2. Fare “public history” vuol dire far uscire la storia dal mondo accademico e farla arrivare nella piazza pubblica. Non si tratta di un mero esercizio di compiacimento narcisistico di un docente universitario, intellettuale, che elargisce pillole di conoscenza ad un vasto pubblico che con l’Accademia ha ben poco a che fare; ma fare “storia scientifica pubblica”, per usare le parole di Serge Noiret, significa non solo insegnare e divulgare la storia legandola concretamente ai problemi attuali, sentiti e dibattuti nelle “arene pubbliche”, ma anche e soprattutto «fare una storia in contatto diretto con l’evoluzione della mentalità e del senso delle appartenenze collettive delle diverse comunità che convivono all’interno dello spazio nazionale e nel villaggio globale e valorizzare lo studio delle loro identità»3; significa fare – costruire, produrre – una storia condivisa. Robert Kelley4 ascrive la “public history”, nel suo più semplice significato, a diversi ambiti di interesse: «the employment of historians and the historical method outside of academia: in government, private corporations, the media, historical societies and museums, even in 2 N. GALLERANO, L’uso pubblico della storia, Milano 1995. 3 S. NOIRET, “Public History” e “storia pubblica” nella rete, «Ricerche storiche», XXXIX/ 2-­‐3, 2009, pp. 275-­‐327. 4 Nel 1976 Robert Kelley, docente della Facoltà di storia, ottenne una borsa di studio dalla Fondazione Rockefeller per l’attivazione di un corso di laurea che formasse giovani storici con sbocchi professionali nel settore pubblico e privato. R. KELLEY, Public history: its origins, nature, and prospects, «The Public Historian», vol . I, n. 4, 1978, pp. 111-­‐120. G. WESLEY JOHNSON, The Origins of The Public Historian and the National Council on Public History, «The Public Historian», vol. 21, n. 3, 1999, pp. 167-­‐79. 5 private practice». Chi si occupa di “storia pubblica” è un esperto, un consulente, un professionista che, per le specifiche competenze acquisite, è parte integrante delle iniziative pubbliche: la risoluzione di un problema, una politica di intervento, l’utilizzo di una risorsa, l’organizzazione di un’attività. Tutte queste azioni necessitano di un’efficace pianificazione. Il public historian è chiamato a portare la dimensione del tempo nella pratica dell’oggi e la conoscenza del passato diviene così lo sguardo fondamentale ed essenziale per programmare efficacemente e consapevolmente il presente e le azioni future. La storia si concretizza e diventa pratica: il metodo di analisi storiografico è indubbiamente rilevante per comprendere il passato di una nazione, i nessi causali degli eventi, ma è essenziale per l’agire quotidiano, immediato in ogni ambito e situazione. Per sintetizzare, per “storia condivisa”, come afferma Enrica Salvatori5, «si intende quell’insieme di attività coordinate e metodologicamente valide, volte a fare percepire la storia e le sue tracce come patrimonio della comunità, che deve essere realmente condiviso e partecipato e non semplicemente divulgato»6. Pertanto il public historian, “fa storia”, valorizza attraverso la relazione e il coinvolgimento con le diverse comunità «che interagiscono all’interno di uno spazio geopolitico, valorizzando in modo scientificamente corretto lo studio delle loro identità. Nel farlo, il nuovo storico trova, nella rete e nei diversi software disponibili, una piattaforma e degli strumenti ormai imprescindibili, da usare in prevalenza o a complemento dei canali tradizionali di comunicazione»7. Condivisione, partecipazione, cittadinanza attiva: questi i tre concetti che possono riassumere le peculiarità della “public history” con l’obiettivo di rendere i cittadini consapevoli eredi e tutori dell’immenso patrimonio storico, artistico e culturale del proprio passato. Per fare ciò, occorre riscoprire la storia del proprio contesto urbano in modo scientificamente corretto: un’esigenza impellente, oggi più che mai, fortemente connessa alla conoscenza e alla valorizzazione delle identità comunitarie e ai quei tempi della “modernità liquida” (Baumann, 2007) in cui le forme sociali e i luoghi del vissuto fluiscono rapidamente e lasciano privi di strumenti certi per interpretare le nuove realtà. Queste le premesse. Cittadini per il bene comune: il ruolo della conoscenza storica Dobbiamo però rilevare un’evidente contraddizione, prevalentemente, ma non esclusivamente, italiana: spesso quando si parla di diffusione della storia il mondo accademico storce il naso. Come ben sappiamo, la didattica della storia è una delle discipline che vengono insegnate all’Università, ma considerata, da molti dei disciplinaristi, una materia di “serie B” rispetto alla Storia. Una Storia che, come è stato rilevato, non è tanto amata dai nostri studenti, perché insegnata male e pertanto recepita ancora peggio, probabilmente perché non se ne comprende l'utilità. In sintesi, la “public history” comprende un’ampia e variegata gamma di pratiche adottate in molteplici contesti eterogenei, e benché definirla con precisione sia compito non sempre semplice, purtuttavia possiamo rilevare tre elementi chiave che identificano e contraddistinguono gli aspetti della “storia condivisa” e della figura dello “storico pubblico”, e che sono: 5 Docente di storia medievale all’Università di Pisa, Enrica Salvatori è l’inventrice di uno dei primi podcast italiani dedicato alle lezioni di storia (http://web.arte.unipi.it/salvatori/). E’ l’autrice di diversi servizi e forme di sperimentazione didattica che prevedono l’uso di nuove tecnologie, tra cui Historycast. Storia da leggere storia da ascoltare (http://www.historycast.net) che affronta con valenza scientifica la storia presentandola come in uno spettacolo radiofonico. 6 E. SALVATORI, Un progetto di Public History nel cuore della Liguria, in Storia e territorio della Val di Vara, Ghezzano (PI) 2012, p. 168. 7 Ibidem 6 1.
l’utilizzo dei metodi della ricerca storiografica 2.
l’attenzione posta sull’utilità della conoscenza storica nell’agire quotidiano 3.
l’importanza della formazione e della pratica professionale8. I suoi campi di interesse riguardano: le scienze archivistiche la gestione del patrimonio culturale la salvaguardia e tutela del patrimonio storico artistico l’archeologia storica la museologia la storia orale le scienze sociali e umane la storia digitale. Si tratta pertanto di una metodologia e di un approccio volti a promuovere lo studio e la pratica della storia. Ritornando alle considerazioni sull’importanza della conoscenza storica e dell’utilizzo di didattiche attive che ne stimolino l’apprendimento, comprendiamo che esiste un nesso significativo tra il concetto di “formazione alla cittadinanza” e quello di “educazione al patrimonio” per la comune sottintesa propensione a sviluppare processi di apprendimento integrati, ricorrenti e permanenti. In particolare sono tre gli aspetti che rendono strettamente attinente all’educazione alla cittadinanza l’apprendimento che verte sul “patrimonio”, che abbiamo indicato anche col termine di “bene comune”: o
l’integrazione di molteplici competenze e conoscenze tratte da attività di simbiosi tra scuola e sedi extrascolastiche in un quadro di convergenza multidisciplinare; o
l’adozione di metodi costruttivi che motivino, coinvolgano e attivino all’apprendimento, spaziando dalla percezione e definizione delle componenti e delle sedi del “patrimonio” all’acquisizione specifica relativa alle sue componenti, fino ai più aggiornati metodi e strumenti di comunicazione; o
l’assunzione di consapevolezza e di responsabilità che deriva agli scolari come esito naturale del loro impegno attivo nel censimento, nella tutela e nella valorizzazione di componenti del Patrimonio. Tutte le metodologie che comportano un vissuto – dalle drammatizzazioni, ai giochi di ruolo, dalla lettura diretta di fonti ai sopralluoghi mirati a scavi, musei e monumenti – generano memoria e quindi l’assunzione di competenze e conoscenze durature ed efficaci tra cui la percezione viva dei propri diritti e doveri in relazione agli altri. Ed è attraverso queste azioni di conoscenza e di conseguente tutela del bene comune, che gli scolari esercitano la cittadinanza attiva, cioè, come afferma Moro, «la pluralità di forme con cui i cittadini si uniscono, mobilitano risorse e agiscono nelle politiche pubbliche esercitando poteri e responsabilità al fine di tutelare diritti, curare beni comuni e sostenere soggetti in difficoltà»9. 8 Questi tre elementi distintivi della “public history” sono espressi nella “missione” del Consiglio Nazionale Statunitense sulla Storia Pubblica (National Council on Public History): «To promote the utility of history in social through professional practice». B.J. HOWE, Reflections on an Idea: NCPH’s First Decade, «The Public Historian», vol. 11, n. 3, 1989, pp. 69–85. Si consulti anche il sito de National Council on Public History: http://ncph.org/cms/ 9 G. MORO, Cittadinanza attiva e qualità della democrazia, Roma 2013, p. 101. 7 Promuovere i beni comuni è un compito educativo e civico che coinvolge tutte le istituzioni, dalla scuola alla pubblica amministrazione e ognuno di noi. Risulta importante pertanto sul piano educativo concepire e strutturare le azioni di tutela del patrimonio comune come strategia didattica ed educativa nei quali si impara facendo reciprocamente, prevedendo cioè interventi di “public history”, di salvaguardia del bene culturale a vantaggio della collettività e del futuro. A tal fine, occorre avvalersi di tutte le risorse presenti sul territorio per l’informazione e l’educazione alla sostenibilità, al paesaggio, al patrimonio. Ciò di cui abbiamo bisogno è una alleanza di tutti gli innovatori, affinché le buone pratiche non restino servizio virtuoso a lato dei modelli tradizionali, ma si consolidino e diventino un nuovo modo di fare politica, sia nelle pubbliche amministrazioni, sia nell’agire quotidiano dei giovani scolari. Tra le finalità che dovrebbero essere perseguite nei progetti di educazione alla cittadinanza va posta in primo piano l’assunzione della consapevolezza delle diverse dimensioni identitarie di cui ogni scolaro quale cittadino europeo è portatore, quella personale quella a raggio locale, regionale, nazionale, europeo, mondiale. Oggi si fa un gran parlare di cittadinanza attiva, di rispetto delle diversità, di intercultura, di esercizio responsabile della democrazia, ma sarebbe vano e ipocrita fermarsi agli appelli verbali. In tale prospettiva l’insegnamento della storia va finalizzato oltre che ad una maggiore conoscenza delle origini e delle premesse delle realtà odierne, anche ad una fondata capacità critica e di comprensione nei confronti dei processi evolutivi in atto e alle conseguenti possibilità di progettare quanto più coscientemente e volontariamente il proprio futuro individuale e collettivo in un tornante della storia in cui ogni grande scelta è destinata a ripercuotersi sulla qualità di vita delle generazioni future e rischia di divenire irreversibile10. La formazione degli insegnanti e la didattica del patrimonio Al Consiglio europeo di Lisbona del marzo 2000, i capi di stato o di governo, constatando che “l'Unione europea si trovava dinanzi a una svolta epocale risultante dalla globalizzazione e dalle sfide presentate da una nuova economia basata sulla conoscenza”, si posero un obiettivo da raggiungere per il 2010. Entro quella scadenza l'Unione Europea deve “diventare l'economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo, in grado di realizzare una crescita economica sostenibile con nuovi e migliori posti di lavoro e una maggiore coesione sociale» puntando non solo ad “… una trasformazione radicale dell'economia europea», ma anche a realizzare «un programma ambizioso al fine di (. . .) modernizzare i sistemi di previdenza sociale e d'istruzione”. Si riconosceva in tale contesto il ruolo strategico della formazione, considerata essenziale per conferire alla coesione l’apporto delle sue risorse umane; costituendo la principale ricchezza comune, esse vanno preparate e mobilitate, investendo sull’istruzione e sull’assunzione di una cittadinanza attiva e instaurando relazioni più strette fra gli ambiti formativi e quelli produttivi, anche ai fini di una maggiore crescita in campo economico e nella prospettiva di un mercato del lavoro europeo aperto alle nuove istanze di intercomunicazione e mobilità. Si rimarcava che a sua volta la società della conoscenza genera nuovi bisogni in termini di coesione sociale, di cittadinanza attiva e di sviluppo personale, bisogni ai quali soltanto l'istruzione e la formazione possono apportare un sostanziale contributo. Abbiamo sottolineato a più riprese che l’educazione alla cittadinanza integra conoscenze storiche (e non solo), abilità, confronti, discussioni, partecipazione e impegno che rendono il cittadino in grado di esercitare le virtù civiche. Per sviluppare una cultura civica, essenziale 10 Sul tema vedi anche: R. DONDARINI, L’albero del tempo.., cit., pp. 47 -­‐ 94; P. BEVILACQUA, Sull’utilità della storia per l’avvenire delle nostre scuole, Roma 2000, p. XIII; L. LANDI, Il bambino e la storia, Roma 1999, pp. 100-­‐101. 8 risulta partire con gli studenti dalla consapevolezza dei problemi locali per giungere a considerazioni globali degli stessi problemi attraverso la diretta esperienza dei luoghi, del potere che lo spazio urbano evoca e rimanda, attraverso cioè una continua interazione con l’ambiente, il paesaggio e col suo modificarsi. La formazione degli insegnanti, sia in entrata che in servizio, però presenta alcune falle. Di fatto non esiste o se presente si riduce, molte volte, a qualche breve accenno. In Italia, il “Bel Paese” che è indiscutibilmente riconosciuto unico al mondo non ha ancora istituito un Dottorato in ricerca in Didattica della Storia e del Patrimonio. Non esistono Corsi di Laurea, Master, corsi di specializzazione volti a formare professionalità di public historians oppure attività formative di conoscenza storica – una volta avremmo utilizzato il termine di “cultura generale –, rivolti a manager, dirigenti, personale di istituzioni pubbliche e private, insomma percorsi di apprendimento storiografico lifelong learning. E’ evidente pertanto che per una formazione di qualità è necessario un dialogo condiviso, attivo, partecipato tra i livelli istituzionali e territoriali e che rifletta congiuntamente sui percorsi formativi tra diffusione dei saperi e competenze operative. L’università svolge un ruolo essenziale nella costruzione di un continuum formativo tra la preparazione iniziale degli insegnanti, la loro specializzazione, la pratica della loro professione e il suo costante aggiornamento. Il territorio, la città, il paesaggio urbano sono “history public”, “storia condivisa”. Uno dei ruoli dello storico, del docente universitario, di colui cioè che assume la professionalità del “public historian”, del divulgatore che scende nelle “arene pubbliche” e opera con la cittadinanza, è quello di voler “rendere accessibile” (Le Goff, 2008)11 la storia. I settori di formazione (Antropologia, Arte, Cultura, Diritto, Filosofia, Letteratura, Musica, Scienza e Storia) gravitano attorno ad alcuni fulcri tematici coordinati, tra cui lo sviluppo di mentalità ed idee, il ruolo del pensiero e delle sue multiformi espressioni nella formazione delle culture e della loro memoria la cui conoscenza appare basilare alla consapevolezza sul presente e alla progettazione per il futuro. Si tratta di proporsi e rilanciare la pienezza della persona mettendo in campo tutte le eredità culturali e scientifiche che permettano di promuovere e perseguire una formazione dagli apporti molteplici, dagli orizzonti ampi e dagli sviluppi illimitati; di suscitare la capacità di riconoscere, comprendere e gestire le diverse componenti del patrimonio culturale nella sua varietà ed interezza scientifica. L’estrema eterogeneità delle risorse culturali richiede infatti la decifrazione di codici e linguaggi diversi e a volte divergenti: quelli peculiari dell’ambito archeologico, archivistico, storico artistico, musicale e scientifico12. Per educare al riconoscimento dei propri diritti e doveri, delle proprie responsabilità nei confronti degli altri e al fine di promuovere una convivenza basata sui valori della pace, della tolleranza, nel rispetto delle culture e delle tradizioni dei diversi paesi europei occorre contare su un proficuo dialogo tra la scuola e il territorio in cui gli enti locali e tutti gli altri soggetti educativi esterni possano concorrere ad allestire gli itinerari formativi. Fermo restando che non c’è paese dell’Europa che oggi non ponga tra gli obiettivi formativi del suo sistema scolastico quello di dare rilievo all’identità europea e naturalmente nemmeno il nostro paese sfugge a questa norma, si rileva però che in Italia il naturale e scontato divario tra promulgazioni e applicazioni è stato ed è aggravato per quanto concerne l’adesione degli insegnanti alle direttive e agli inviti istituzionali a educare alla cittadinanza, dal perdurare di una diffusa sottovalutazione degli obiettivi che nell’ambito della formazione mirano a far 11 Intervista rilasciata il 10 ottobre 2008 a Parigi. 12 R. DONDARINI, L’albero del tempo, Bologna 2007; ID., Per entrare nella storia, Bologna 1999; R. DONDARINI, L. GUERRA, Un patrimonio per il Patrimonio, in Un patrimonio di esperienze per la didattica del patrimonio, a cura di B. Borghi, Bologna 2008, pp. 9-­‐11. 9 acquisire competenze, ancora schiacciati nella pratica se non nei propositi teorici da quelli che puntano a fornire conoscenze. Va poi considerato quel fenomeno ben noto per il quale la preoccupazione di gran lunga principale presso molti docenti è quella di condurre a compimento i programmi delle materie di insegnamento più nozionistiche e di rendere i propri scolari capaci di superare le relative verifiche, trascurando così gli aspetti più complessivi della formazione, come l’assunzione di consapevolezza e responsabilità che sono tra le finalità di ogni percorso di educazione alla cittadinanza. In questa prospettiva la crescita di rilievo della dimensione europea ha avuto ed ha un effetto trascinante, dato che è impossibile far percepire il comune godimento delle prerogative dei cittadini dell’Unione senza trattare delle questioni della convivenza civile e delle relative norme per ogni altro ambito politico-­‐territoriale. Forti ripercussioni di tale crescita si sono verificate in merito all’editoria scolastica che vede oggi la totalità dei manuali e dei libri di testo riportare trattazioni, fonti e documenti inerenti i temi della cittadinanza e quello dell’Europa. Numerose sono poi le iniziative editoriali che puntano a rendere più accessibili i dettami e le dichiarazioni di riferimento come quelli della Costituzione e della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, casomai attraverso apparati illustrativi particolarmente accattivanti o il ricorso a linguaggi semplificati, come quelli del fumetto; a questi strumenti se ne stanno aggiungendo altri tratti dal mondo digitale e telematico. È tuttavia ben noto che l’adozione di tali strumenti non si traduce automaticamente in apprendimento efficace; non solo perché per i docenti che non danno alcuno spazio ai temi della convivenza civile la disponibilità di testi con riferimenti a tali temi diventa un palliativo o addirittura un alibi, ma anche perché se si intendono curare argomenti non sempre immediatamente afferrabili e concreti come quelli dei diritti e dei doveri, della convivenza e del rispetto delle leggi, non è assolutamente sufficiente un approccio teorico e passivo che si limiti alla lettura di trattazioni o alla trasmissione di informazioni e notizie, ma occorre indurre interesse e apprendimento attivo attraverso forme di coinvolgimento e di sperimentazione che creino vissuti e relative forme di memoria13. Si rimarca inoltre che sul piano normativo e istituzionale l’attenzione alla dimensione europea sia stata progressivamente indotta e incentivata sia dall’intensificarsi e dal sommarsi di dichiarazioni e provvedimenti degli organi comunitari e di quelli nazionali sia dalla percezione diffusa e generale dei primi esiti concreti dell’unificazione. Tuttavia si è rileva anche come spesso le sperimentazioni di alcuni insegnanti abbiano preceduto le perorazioni e le disposizioni di tali organi. In questa progressiva crescita di attenzione e di impegno si è man mano passati dall’isolamento e dall’ordine sparso delle attività didattiche intraprese in precedenza a rinnovate forme di coordinamento che spesso si avvalgono della formazione di reti di scuole concordi nell’affrontare i temi della convivenza civile e della cittadinanza in un quadro europeo. Parallelamente e conseguentemente, dalle iniziative didattiche prese in occasione di 13 A questo proposito è opportuno precisare che “… Un ulteriore chiarimento è necessario a proposito del concetto di memoria, troppo spesso frainteso e accomunato a quelli di storia, di storiografia e di conoscenza storica. Tale conoscenza si acquisisce attraverso le opere della storiografia, a sua volta tratta dalle interpretazioni e dalle ricostruzioni dei fatti della storia per mezzo delle sue fonti, ma non può diventare memoria finché non viene recepita e fatta propria da ciascuno. Ogni memoria fa riferimento e risale ad un vissuto. Si consideri che persona vivente è un soggetto più o meno rilevante nella storia attuale, che continua a scorrere comunque sia sotto i nostri occhi sia a nostra insaputa coi suoi eventi e le sue trasformazioni che si attuano anche quando non ci coinvolgono direttamente. Noi dunque viviamo nella storia, ma perché una parte di essa diventi memoria occorre che se ne divenga partecipi attivi sia attraverso l’impegno e la partecipazione sia facendo nostre le relative conoscenze ed esprimendo opinioni in merito” (R. DONDARINI, L’albero del tempo, op. cit., pp. 35-­‐36). 10 ricorrenze o di avvenimenti specifici si sta passando a programmi organici di sviluppo di percorsi da svolgersi in permanenza e integrati con il resto del curricolo. Benché tali forme di coordinamento si stiano moltiplicando, rimangono innumerevoli le modalità di approccio e di conduzione delle attività didattiche. Abbiamo già evidenziato come l’educazione alla cittadinanza tout court dovrebbe attraversare tutte le materie scolastiche14, ma anche come una simile constatazione tradotta in direttiva si traduca quasi sempre in un totale disimpegno. Per questo l’insegnamento della storia riveste una particolare importanza per curare argomenti e temi così difficilmente circoscrivibili in specifiche discipline dato che le situazioni attuali solo il risultato provvisorio delle vicende dei tempi e delle generazioni che ci hanno preceduto. Grossomodo i percorsi adottati per perseguire un’educazione alla cittadinanza attraverso la storia sono i seguenti. Il più comune e diffuso è quello che si limita ad utilizzare le celebrazioni e le ricorrenze civili che si susseguono nell’arco dell’anno scolastico; si risolve nell’impartire agli scolari conoscenze che dovrebbero indurre sensibilità e consapevolezza sulle questioni e sulle grandi conquiste nel campo della convivenza civile. Tuttavia in proposito va osservato che l’abbinamento di commemorazioni particolarmente significative a metodi di insegnamento puramente trasmissivi rischia di essere controproducente e di generare disinteresse o addirittura avversione e fastidio negli scolari. Su quelle occasioni incombe infatti il pericolo dell’effetto repulsivo degli eccessi di enfasi e di retorica. D’altronde il senso di estraneità non minaccia solo gli scolari; lo testimonia il fatto che anche le conquiste più alte e indiscusse raggiunte nel campo della convivenza civile possono essere debilitate e insidiate dal progressivo smarrimento delle motivazioni profonde e originarie che spinsero intere generazioni e innumerevoli persone ad affrontare lotte e sacrifici per raggiungerle e salvaguardarle. Nello scorrere della quotidianità e dei suoi molteplici problemi, concetti addirittura basilari come quelli di libertà, di democrazia e di diritto rischiano di essere percepiti solo come vocaboli di circostanza, certo nobili e altisonanti, ma in parte svuotati e privati dei loro significati pregnanti. Tanto più se, nel nome di interessi e di poteri circoscritti, componenti cospicue e influenti della società cercano di eroderne il valore e l’efficacia, casomai avvalendosi di formazioni politiche e di apparati propagandistici particolarmente incisivi e determinati. Un criterio metodologico basilare per perseguire e suscitare interesse è l’adozione di una continua interconnessione tra la ricerca e l’insegnamento attraverso la lettura dello spessore storico del presente. In quest’ottica si pongono sia i progetti connotati da viaggi di studio e da scambi con altri studenti sia le forme di apprendimento attivo che si avvalgono delle risorse e dei beni del Patrimonio. Sempre più diffusi e incentivati dalla promozione e dal sostegno di istituzioni extrascolastiche e in particolare delle Regioni – oltre che dalle accresciute facilità di spostamento -­‐ i primi sono percorsi di apprendimento che pongono all’interno e alla fine delle esperienze viaggi e visite nei luoghi della memoria con scambi e incontri con coetanei. La mobilitazione su questi obiettivi intermedi e finali che penetrano nel vissuto degli studenti ne provoca un coinvolgimento che spesso non si limita all’impegno per apprendere, ma entra nella sfera emotiva. A proposito del ricorso a percorsi didatti incentrati sul Patrimonio si affermare che ogni politica culturale svolta finora e che si prospetti per il prossimo futuro appare del tutto inadeguata alla ricchezza e alle esigenze di rilevamento e di salvaguardia del nostro immenso patrimonio storico artistico, e che pertanto le scuole hanno l’occasione di fungere da agenzie di censimento e tutela dei beni presenti nel loro territorio, conferendo fra l’altro un senso 14 Come rilevato lo sottolineava già nel 1958: “Le singole materie di studio non bastano a soddisfare tale esigenza, specie alla stregua di tradizioni che le configurano in modo particolaristico e strumentale”. 11 concreto allo studio della storia locale. In pratica le ricerche e le esperienze condotte in numerosi contesti specifici hanno indotto a considerare il “patrimonio” come uno sfondo integratore di rilevante valenza formativa, capace di proiettare in orizzonti più ampi le potenzialità delle specifiche didattiche dei beni culturali e di avvalersi degli strumenti più aggiornati della comunicazione. Esso diviene così un’occasione di acquisizione e di produzione del sapere con cui si stimola assunzione di competenze e la costruzione di conoscenze mediante specifiche esperienze di ricerca e di didattica; esige la confluenza di pertinenze e la convergenza di percorsi in un intreccio interdisciplinare; implica un uso sistematico di tutti gli strumenti della comunicazione e in particolare delle tecnologie telematiche e dei supporti multimediali utilizzabili in ogni progetto didattico e divulgativo. Le sfide future: la conoscenza storica, un apprendimento permanente In tempi non lontani la trasmissione della cultura e dei ruoli era senz’altro meno traumatica poiché all’interno delle società tradizionali ogni persona finiva col trovare una collocazione già in gran parte determinata dalle sue origini. Era la conseguenza di rigidità sociali e di staticità culturali che spesso persistono nelle società ancora chiuse in gerarchie patriarcali, ma che per fortuna appaiono definitivamente superate nei paesi cosiddetti avanzati e pluralisti. Tuttavia quelle forme di trasmissione avevano anche gli effetti rassicuranti che derivavano dalla continuità e dal senso di appartenenza nel quale ogni singolo trovava almeno un significato sociale alla sua esistenza15. E' evidente che non è auspicabile un ritorno a simili modalità, ma il recupero di valori offuscati dalle tendenze odierne può avvalersi della conoscenza delle linee evolutive attraverso cui si sono manifestati i cambiamenti. Insomma proprio oggi che alla generale facilità e alla rapidità delle comunicazioni si contrappongono paradossalmente crescenti difficoltà di rapporti interpersonali con allarmanti forme di isolamento e di disorientamento individuale e collettivo, si fa evidente l’esigenza di una formazione culturale scevra da mode e da miti passeggeri e che sappia individuare valori e riferimenti in un quadro più vasto di quello offerto dall’attualità. La conoscenza storica può essere anche un antidoto agli atteggiamenti irrazionali affioranti dal passato e su cui divengono facili le speculazioni attualistiche, poiché conoscere se stessi e gli altri costituisce da sempre una delle migliori contromisure all'incomprensione e all'ostilità. Le esperienze di cittadinanza attiva sono uno strumento di grande valore produttivo per la crescita della conoscenza e rinvia ad un’idea di bellezza. In tal senso, educare al bello significa mostrare la valenza educativa della storia, un bene comune da conoscere, da coltivare e da tutelare. L’educazione alla cittadinanza richiama un’idea di paesaggio, di patrimonio naturale, storico, artistico e culturale intesi come elementi di un’identità di un territorio e di coesione sociale, rinviando così a qualcosa di dinamico e in continuo divenire. IL PROGETTO DI RICERCA STEP L’assegno di ricerca richiesto rientra nelle attività del progetto europeo di ricerca-­‐
formazione dal titolo “Pedagogia della cittadinanza e formazione degli insegnanti: un’alleanza tra scuola e territorio”, sezione KA2. 15 Da notare come la sociologia evidenzi la persistenza del bisogno di appartenenza anche nelle società avanzate, in cui le forme di aggregazione spontanea o organizzata divengono sempre più frequenti fino a configurare gli eccessi delle tifoserie sportive, il cui vero coagulante sta nella ricomposizione del gruppo o, se si vuole, del branco. 12 Il progetto STEP si prefigura come un’occasione di confronto e costruzione di conoscenze e competenze sull’educazione alla cittadinanza attiva. In particolare, il progetto si propone di costituire una rete transnazionale tra enti e istituzioni deputate alla formazione iniziale e continua degli insegnanti che realizzi una piattaforma di scambio di buone pratiche e di approcci innovativi in una prospettiva europea. Le attività di ricerca-­‐formazione sono volte a definire concetti e metodologie didattiche per la costruzione di un curricolo multidisciplinare e interdisciplinare per la scuola e l’alta formazione. Gli obiettivi so dell’assegno di ricerca rientrano tra le principali finalità definiti dal progetto STEP, tra le quali si ricordano • Mettere a punto un curricolo transnazionale di pedagogia della cittadinanza attraverso l’educazione ambientale, alla sostenibilità e al patrimonio materiale e immateriale. • Potenziare la qualità della formazione iniziale e in servizio degli insegnanti (scuola dell’infanzia e primaria) e degli insegnanti formatori. • Sperimentare e validare strategie di ricerca-­‐formazione. • Promuovere azioni di scambio d’esperienza e di ricerca ‘sul campo’ attraverso metodi di collaborative learning e dell’uso di nuove tecnologie. • Attivare sperimentazioni di-­‐ dattiche nella scuola dell’infanzia e primaria tra scuola e territorio secondo una prospettiva transdisciplinare. • Validare e disseminare i risultati con-­‐ seguiti e le sperimentazioni sul doppio livello, formazione degli insegnanti e formazione degli scolari, attraverso iniziative nazionali e internazionali. IMPIANTO METODOLOGICO E PIANO DELLE ATTIVITA’ Generalmente tra le finalità da perseguire attraverso le attività educative viene indicata l’acquisizione di autonomia di pensiero e di capacità creative e progettuali. In questo caso si intende attivare una ricerca in coerenza con i temi di studio proposti dal Dipartimento col suo “Centro internazionale di Didattica della Storia e del Patrimonio” (DiPaSt) sui metodi, sugli strumenti e sui percorsi didattici utili a raggiungere tali finalità di fondo; ciò attraverso una serie di obiettivi intermedi, in coerenza con l’obiettivi del progetto STEP e del Centro di ricerca CRESPI sulla professionalità docente che saranno raggiunti attraverso la metodologia della ricerca storica e della ricerca-­‐formazione: - raccogliere e valorizzare l’ampio patrimonio di ricerche, progettazioni e attività promosse e condotte negli ultimi decenni a livello nazionale e internazionale presso archivi, biblioteche, raccolte scientifiche, musei, pinacoteche e sedi di valorizzazione ambientale e territoriale nell’ambito della didattica della Storia e dell’educazione al Patrimonio, avvalendosi e attivando le tecnologie più aggiornate della comunicazione e della divulgazione dei beni culturali; - ricercare metodi e strategie per l’apprendimento efficace dei presupposti e dei processi evolutivi che hanno portato alla stesura della Costituzione Italiana e alle normative fondamentali della Comunità Europea e Internazionale, valutandone sviluppi e prospettive e ricorrendo alla collaborazione con Enti ed Istituti che promuovono e conducono progetti di educazione alla Costituzione e alla cittadinanza (Fondazione della Camera dei Deputati, Istituti e Musei storici della Resistenza e del Risorgimento, Centri di documentazione della Shoah e dello stragismo). - promuovere una dimensione europea in questo specifico settore della didattica; 13 -
creare regolari occasioni di confronto tra sedi e ambiti nazionali e internazionali; in particolare attraverso la comunicazione e la condivisione di presupposti, terminologie, metodi, pratiche e strumenti adottati in varie sedi e paesi; attivare un sito in rete accessibile da parte dei degli studenti e dei docenti del Dipartimento e degli enti coinvolti nel progetto; conferire all’Italia, a Bologna e alle sue sedi una nuova centralità in un settore culturale di particolare rilievo e in auspicabile sviluppo. Tempi di attuazione La ricerca si svolgerà nell’arco di 12 mesi con decorrenza dal 1° luglio 2016 e sarà scandita da relazioni trimestrali sulle acquisizioni in itinere e su eventuali aggiustamenti di obiettivi, metodi e strumenti. 14 PIANO DELLE ATTIVITÀ Data Risultato Stato dell’arte -­‐ raccogliere e valorizzare l’ampio patrimonio di ricerche, progettazioni e attività promosse e condotte negli ultimi decenni a livello nazionale e internazionale; -­‐ ricercare metodi e strategie per l’apprendimento efficace dei presupposti e dei processi evolutivi che hanno portato alla stesura della Costituzione Italiana e alle normative fondamentali della Comunità Europea e Internazionale; -­‐ collaborazione alla progettazione e Luglio-­‐novembre 2016 realizzazione della XIII edizione della “Festa internazionale della storia” che sarà dedicata al tema del “Patrimonio”; -­‐ attivare un sito in rete accessibile da parte dei degli studenti e dei docenti del Dipartimento e degli enti coinvolti nel progetto; -­‐ partecipazione alle attività di ricerca-­‐
formazione volte a definire e a sperimentare il curricolo di educazione alla cittadinanza attiva del progetto STEP; -­‐ supportare la sperimentazione delle attività di educazione alla cittadinanza nelle scuole che aderiscono al progetto STEP. La dimensione europea e internazionale Dicembre 2016-­‐febbraio -­‐ promuovere una dimensione europea in questo specifico settore della 2017 didattica, attraverso al partecipazione attiva al progetto europeo “Step” e alle iniziative volte alla diffusione della conoscenza storica (rapporti con le 15 sedi universitarie europee di Siviglia, Jaén, e le istituzioni comunali di Cahor e Périgueux); -­‐ creare regolari occasioni di confronto tra sedi e ambiti nazionali e internazionali; in particolare attraverso la comunicazione e la condivisione di presupposti, terminologie, metodi, pratiche e strumenti adottati in varie sedi e paesi. Nuovi progetti di ricerca -­‐ partecipare alla progettazione di attività di ricerca europee; -­‐ porgettare e realizzare i “Parlamenti degli Studenti”; Marzo-­‐giugno 2017 -­‐ pubblicare dei primi esiti delle ricerche; -­‐ monitoraggio delle attività condotte dagli insegnati di scuola dell’infanzia e primaria che hanno aderito alla sperimentazione del progetto STEP Durante l’intero progetto Attività di monitaraggio e di ricerca valutazione del percorso di ricerca BIBLIOGRAFIA PER UN’EDUCAZIONE ALLA CITTADINANZA ATTIVA E PARTECIPATA AGGIORNATA A MARZO 2016 a cura di Beatrice Borghi ABS H. J., VELDGUIS R., Indicators on Active Citizenship for Democracy. The social, cultural and economic domain, European Commission’s Joint Research Center in Ispra, Italy August 2006. ACCARDO A., BALDOCCHI U., Politica e storia. Manuali e didattica della storia nella costruzione dell’unità europea, Laterza, Roma-­‐Bari 2004. 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