1. I giochi spontanei e le forme di normalizzazione organizzata per

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1. I giochi spontanei e le forme di normalizzazione organizzata per
DIDATTICA DEL GIOCO NELL’ ATTIVITA’ MOTORIA
prof. Angela Capuzzo
A.A. 2006/2007
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Lezione on line n. 3
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Il Gioco è uno straordinario cibo,
nutriente e pieno di energie positive,
di cui ciascuno si può alimentare durante
tutte le età della vita e non solo quella infantile.
[A. Mori]
Quale la strada per indagare e per interpretare il gioco e la pratica del gioco
nell’ambiente delle attività motorie? La nostra capacità di lettura durante l’azione
educativa può risultare fortemente condizionata da pregiudizi rigidamente
strutturati, che ognuno di noi ha mutuato dalla sua personale esperienza del gioco,
dalla cultura del gioco nella quale è cresciuto. Questa informa infatti il suo modo di
intendere la pratica del giocare e può “orientare”, se non limitare la sua possibilità
di comprendere in modo più ampio, forse più significativo, le opportunità che il
gioco può offrire.
Per indagare il gioco è quindi utile osservare da una postazione privilegiata,
lontani da possibili pregiudizi, come si fa quando si esamina un evento strano e, al
contempo, predisporsi con attenzione per fissare alcuni aspetti particolari, come
quando si annotano i caratteri di una struttura complessa.
Nonostante la struttura articolata ed organizzata della società offra molteplici
opportunità di enti e di ambienti che si occupano di motricità e di gioco, la pratica e
l’esperienza del gioco tra i bambini e i giovani della nostra cultura si stanno
impoverendo in modo evidente anche agli occhi di coloro che non si interessano di
movimento e di attività ludica.
1. I giochi spontanei e le forme di normalizzazione organizzata per la
pratica del gioco: possibili letture ed interpretazioni del gioco
“E’ nata così l’idea di costruire un percorso che
dalle teorie del gioco potesse ricondurci alla prassi
del saper giocare, del saper far giocare, ma soprattutto del
saper ascoltare e decodificare i significati sottesi all’attività ludica,
rifuggendo dalla facile tentazione di nascondersi dietro
un uso intuitivo del gioco, sovente esaltato in chiave “tecnicista”, oppure
svalutato per la sua pretesa “naturalità”
(Belisario, 1988, in “Gioco e simbologia degli affetti:
aspetti relazionali della comunicazione ludica”, p. 13).
Prendendo avvio dalla classificazione del gioco proposta nella prospettiva piagetiana
Belisario sottolinea come siano state confermate le osservazioni e il
ruolo di primo piano che Piaget ha attribuito al gioco. Il gioco considerato come
spazio fondamentale nella vita del bambino, che gli consente di assimilare i dati
provenienti dall'esperienza ai propri schemi mentali. Le osservazioni dello studioso
ci portano ad affermare che i tre stadi principali del gioco individuati, si manifestano
in una particolare progressione temporale:
- il gioco d'esercizio, che si colloca nel periodo senso-motorio e consiste nella
ripetizione, finalizzata al puro divertimento, di attività acquisite altrove a scopo di
adattamento;
- il gioco simbolico, che segue il gioco d'esercizio e si situa tra i due/tre anni e i
cinque/sei anni d'età; il bambino acquisisce la capacità di rappresentare tramite
gesti o oggetti situazioni non attuali;
- i giochi con regole, che vengono trasmessi socialmente e aumentano di
importanza con il progredire della sviluppo infantile.
Preme sottolineare come per Piaget il gioco simbolico rappresenti l'apogeo del gioco
infantile, il momento di massima significatività delle funzioni stesse del gioco. Come
dire che poi le successive richieste di adattamento sociale introdotte con il
passaggio al gioco con regole costituiscono un elemento di pressione adattativa,
che rende il contesto ambientale del tutto inadeguato a consentire l'espressione dei
bisogni e delle necessità del bambino.
Il ricorso al gioco è giustificato in ambito pedagogico e didattico sia da un punto di
vista cognitivo che da quello emotivo (dinamico). Nella tabella sottostante lo
psicopedagogista Galli riassume osservazioni e conclusioni di ricerche di diversi
autori. Si osserva dunque che:
da un punto di vista cognitivo:
• Il bambino assimila a sé, costruisce un
proprio sistema di significanti,
soggettivo e docile ai propri voleri
• Il gioco, il saper giocare è
direttamente correlato con la creatività
e con l’apprendimento
• I bambini imparano meglio e più
rapidamente a risolvere problemi se
precedentemente hanno potuto
utilizzarne i materiali su di un piano
ludico (Bruner)
• Creare situazioni fittizie sempre più
complesse e strutturate porta allo
sviluppo del pensiero astratto
• Il gioco simbolico è l’apogeo del gioco
da un punto di vista dinamico
(emotivo-relazionale):
• Il gioco è una attività fondamentale
per quanto concerne la gestione
dell’ansia. In effetti nelle sue variazioni,
nei suoi tentativi, nelle sue fantasie… da
all’errore uno statuto che non
rientra in un contesto competitivo,
educativo…
• Il gioco è l’unico spazio d’attività in cui
viene concessa al bambino piena
autonomia dal mondo degli adulti. Il
processo di continuo adattamento del
bambino al mondo degli oggetti è
fortemente ansiogeno e conflittuale,
poiché rimanda ad ogni istante, la
valutazione del sé, della propria
infantile
• L’esperienza ludica diventa un terreno
dove provare, “sbagliare”, variare le
proprie sequenze d’azioni in un contesto
libero di continue re-invenzioni
• Il gioco è una spinta alla variazione
• Lo sviluppo del gioco va dal gioco
d’esercizio, a quello simbolico, a quello
di regole, da quello individuale a quello
sociale
• Il gioco è fonte di sviluppo e crea
l’area di sviluppo potenziale (Vygotskij)
capacità ed adeguatezza a figure
esterne che decidono per lui del suo
valore e delle sue possibilità
• Il giocare è una vicenda d’integrazione
dell’Io, questa istanza psichica
costantemente mediatrice tra le spinte
pulsionali interne e le componenti
superegoiche interiorizzate e il mondo
esterno
• L’Io infantile necessita di un luogo di
rappresentazione delle proprie difficoltà
in cui liquidare le tensioni che lo
abitano: il gioco consente al bambino di
diventare padrone unico e assoluto della
realtà, assumendo un ruolo attivo che
gli consente l’affermazione di sé e delle
proprie esigenze di controllo sul mondo.
Per spiegare come avviene lo sviluppo individuale del bambino nelle interazioni
sociali, Vygotsky nel 1967 ha introdotto la nozione della "zona di sviluppo
prossimale" (Zone of Proximal Development) o ZPD che rappresenta "la distanza
tra l’attuale livello di sviluppo determinato dalla soluzione indipendente del
problema" e il livello di sviluppo del bambino "sotto una guida adulta o in
collaborazione con partners più capaci". Vygotsky suggerisce che proprio attraverso
il gioco i bambini creino la loro ZPD: esso, il gioco, permette alle attività
immaginative e concettuali dei bambini di essere estese oltre le loro comuni abilità.
Da questo ne segue che bambini della stessa età, o situazioni di relazione tra
bambini di età diverse impegnati insieme nell’attività di costruzione del gioco
sociale simulato potrebbero essere stimolati ad impegnarsi in comportamenti più
complessi. Ulteriori studi confermano che coppie di pari di età mista, imparentate,
sono facilitate nell’instaurare attività di gioco sociale simulato. All’interno della
coppia il bambino più grande sarebbe di stimolo ai tentativi del più piccolo,
trasmettendogli anche in alcuni momenti informazioni e strategie. Alcuni studi sulle
interazioni tra bambini con rapporto di fratellanza suggeriscono che, almeno in
questo campo dell’interazione tra pari di età mista, il gioco é facilitato. In uno
studio di Dunn e Dale (1984) si è visto che le coppie imparentate (con rapporto di
fratellanza) che avevano costruito attivamente gioco sociale simulato erano coppie
di bambini molto piccoli e in età prescolastica. Mentre le coppie di bambini in età
prescolastica potevano tentare di dirigere il gioco, le coppie imparentate di bambini
di 2 anni cooperavano attivamente all’interno del contesto condiviso, e discutevano
e negoziavano i ruoli di simulazione, suggerendo che il gioco sociale simulato era
stato costruito da entrambi i partecipanti [Bilotta E., 1997, “Il contesto ecologico
del gioco dei bambini”]
€ Ipotesi cognitivista sulle credenze ludiche
E come tutto il nostro complesso sistema culturale anche il mondo ludico sottostà
ad alcune credenze relative alla sua pratica. Lo studioso Paglieri indaga in ottica
cognitivista il gioco sottolineandone l’ambiguità del termine quando evidenzia che
“la stessa parola indica infatti sia un’attività («Il gioco di mio figlio coi suoi amici»),
sia un insieme di elementi e regole («Il gioco del bridge»). Detto in altri termini, il
gioco, nelle sue varie accezioni, indica ora un processo in atto, ora un sistema
astratto” [Paglieri F., 2002].
Utilizzando per l’analisi i modelli e i metodi della teoria degli scopi l’autore individua
tre aree principali di indagine, fra loro correlate:
€ gli scopi del giocatore
Æ cioè le strutture motivazionali che orientano i soggetti durante l’attività di
gioco
€ le credenze ludiche
Æ il sistema di conoscenze e valutazioni che permette di interpretare come
gioco l’attività e ne sorregge le strutture motivazionali
€ le funzioni del gioco
Æ cioè l’utilità adattiva dei comportamenti ludici, che influenza la condotta
individuale agendo su di essa come scopo esterno (Conte e Castelfranchi 1995).
Concentrando poi l’attenzione sul punto relativo al sistema di credenze
caratteristico del gioco, l’autore individua ed esplicita cosa occorre credere sul
soggetto Y per poter propriamente ritenere che egli stia giocando.
Per l’autore quindi si individua una caratterizzazione psicologica del gioco che si
presenta come un elenco di credenze, necessarie e sufficienti (per il soggetto) a
definire il fenomeno:
“Si consideri anzitutto una situazione come quella descritta da Bateson nella
sua visita allo zoo: un osservatore esterno (chiamiamolo X) interpreta come
gioco l’attività di un altro soggetto, detto Y. Quali credenze intrattiene
l’osservatore sul soggetto dell’azione, tali da fargli interpretare la sua attività
come un gioco? L’ipotesi qui discussa, in termini formali, è la seguente
Æ X ritiene che Y stia giocando se e solo se X crede che:
(1) Y sta agendo per libera scelta e non per costrizione (credenza di libertà)
(2) Y sta rispettando un sistema di regole Z di natura arbitraria, non imposto
per necessità fisica o sociale (credenza di regolamentazione arbitraria)
(3) Y persegue una motivazione Q prevista dal sistema di regole Z (credenza
di automotivazione)
(3.1) Y persegue la motivazione Q per la sola durata dell’attività in
corso (sottocredenza di separazione)
(3.2) Y persegue la motivazione Q con il massimo impegno
(sottocredenza di coinvolgimento)
(4) Y conosce preventivamente i limiti temporali dell’attività in corso, cioè sa
quando comincia e quando finisce, o quando si interrompe (credenza di
limitazione)
(5) Y non conosce preventivamente gli esiti esatti della sua azione (credenza
di incertezza). [Paglieri F., 2002]
L’autore sottolinea come per alcuni concetti qui utilizzati quali “libertà”, “regola”,
“impegno”, “arbitrarietà”, “motivazione… non sia possibile prescindere dal tentativo
di una loro definizione operato da Huizinga, Caillois e dai tanti altri che li hanno
seguiti. Ricompaiono infatti qui molte delle caratteristiche evidenziate da quegli
autori, rielaborate in termini soggettivi e riferite non più all’attività dei giocatori
(come accadeva in Bateson), bensì alla loro organizzazione cognitiva.
Possiamo nel nostro ruolo di educatori analizzare ora punto per punto le possibili
considerazioni che possono scaturire da questo tipo di approccio al gioco.
(1) Credenza di LIBERTÀ
X crede che Y sta agendo per libera scelta e non per costrizione
Questa credenza esprime, dal punto di vista del soggetto osservatore, un’idea
molto diffusa negli studi sul gioco: l’impossibilità di ordinare a qualcuno di
giocare (Huizinga 1938; Bateson 1956; Caillois 1967; Winnicott 1971). Il
gioco non può essere prescritto, perché, quand’anche fosse possibile
costringere il soggetto a replicare una sequenza di azioni riconoscibile
esteriormente come gioco, mancherebbe del tutto la sua effettiva
partecipazione psicologica all’attività, e proprio tale partecipazione
costituisce un elemento cruciale del fenomeno ludico. [Paglieri, 2002]
Una cosa è osservare un soggetto che gioca sotto la minaccia di una possibile
punizione (‘Se oggi non entri in campo insieme ai tuoi compagni di squadra ti
prenderai una nota sul registro!’) altra cosa è assistere ad una partita scaturita in
modo spontaneo in un contesto amicale tra pari.
In ambito cinematografico Paglieri riporta la scena descritta da Michael Cimino nel
film Il cacciatore dove i prigionieri americani vengono costretti dai soldati vietnamiti
a “giocare” alla roulette russa: in realtà non si tratta affatto di una reale situazione
ludica e lo spettatore del film ne è perfettamente consapevole. Ma in un momento
successivo uno dei prigionieri, scampato alla morte ma perso nella follia, sceglie
intenzionalmente di continuare a praticare lo stesso gioco nelle bettole di Saigon.
Ora le circostanze sono cambiate e ci costringono a modificare l’interpretazione
della situazione: lo stesso gioco, la roulette russa, è riconoscibile a tutti gli effetti
come un gioco, per quanto perverso.
Dal punto di vista dell’osservatore, punto di vista privilegiato dell’insegnanteeducatore, si tende a credere che il giocatore mantenga questa libertà costitutiva
per l’intera durata del gioco. In effetti ogni giocatore ha in ogni momento la sua
possibilità di utilizzare la carta dell’uscita dal gioco dicendo: «Basta, non gioco
più!». Nella pratica, però, questa è una libertà limitata dall’interazione con altri
giocatori, per il semplice fatto che gli altri protagonisti del gioco sviluppano
aspettative sempre più forti sugli esiti dell’azione, e spesso l’abbandono da parte di
uno impedisce anche agli altri di verificare tali aspettative.
Non è dunque facile applicare il rifiuto a concludere un gioco ormai iniziato, se non
per unanime accordo dei giocatori. Ma questa stessa libertà costitutiva è invece
assoluta prima che il gioco cominci: in quel momento, è davvero impossibile
costringere il soggetto a giocare.
Paglieri evidenzia una seconda forma di autonomia di cui gode il giocatore che
chiama libertà strategica: è la possibilità di scegliere liberamente quali mosse fare,
pur nel rispetto delle regole condivise. La prospettiva si sposta verso una libertà nel
gioco, non più sul gioco, e dal punto di vista di un osservatore esterno risulta
intimamente connessa alla credenza di incertezza. Ci troveremo infatti nella
situazione di non poter interpretare come gioco l’azione osservata nel caso
registrassimo che il soggetto dell’attività sta seguendo una serie di passi
determinati a priori, senza nessuna alternativa o scarto o creatività, e questo per
due ragioni:
Æ
perché non ci appare libero (violazione della libertà strategica)
Æ
perché riteniamo che conosca a priori gli esiti della sua azione
(violazione della credenza di incertezza).
(2) Credenza di REGOLAMENTAZIONE ARBITRARIA
X crede che Y sta rispettando un sistema di regole Z di natura arbitraria, non
imposto per necessità fisica o sociale. Questa credenza, assolutamente
fondamentale, pone però due problemi: che cosa significhi rispettare delle
regole, e cosa si intenda per “sistema di regole di natura arbitraria”.
[…] E’ necessario distinguere, nell’analisi mentale della norma, due aspetti
diversi:
Æ le credenze normative, cioè la conoscenza dell’esistenza e dei contenuti
della regola in questione
Æ lo scopo normativo, cioè l’intenzione di seguire i dettami di quella regola
nella propria condotta, sviluppando così un vincolo (o impegno) ad agire in
un certo modo e non in altri.
Proprio il passaggio dalle credenze normative allo scopo normativo
costituisce il momento cruciale nell’elaborazione cognitiva dell’azione
secondo regole. Questa trasformazione avviene soltanto in presenza di
un’assunzione di pertinenza («Questa regola riguarda proprio me, e si applica
proprio alla situazione in cui mi trovo»), cui deve seguire l’effettiva adozione
della norma, cioè la decisione di rispettarla. [Paglieri, 2002]
In ambito ludico per l’osservatore X, credere che il soggetto Y rispetti le regole del
gioco significa credere che Y compia le seguenti operazioni mentali:
(1) si consideri soggetto a quelle regole,
(2) abbia lo scopo normativo di rispettarle,
(3) si senta vincolato a mantenere tale scopo per tutta la durata dell’interazione.
Paglieri osserva come non esistano sostanziali differenza tra l’interpretazione delle
regole di un gioco rispetto a quella delle norme in genere. Interessante piuttosto
indagare le relazioni che intercorrono fra regolamento ludico e norma sociale. E’
possibile verificare nella nostra quotidiana pratica di educatori come durante il gioco
si instauri spesso una sorta di “legislazione straordinaria”: nel gioco sono talvolta
permessi, o addirittura richiesti, atteggiamenti normalmente censurabili (ad
esempio l’aperta ostilità…), e il “far per gioco” porta spesso ad azioni altrimenti
impensabili.
Interessante anche la distinzione dell’autore su una questione aperta relativa
all’aspetto normativo del gioco: tutti i giochi hanno regole, oppure si può giocare
anche senza di esse?
Diversi i punti di vista evidenziati tra la lettura piagetiana che ha voluto vedere
proprio nella presenza o assenza di regole uno dei criteri classificatori del gioco,
nonché un passaggio cruciale nello sviluppo dalla prima infanzia all’età adulta
(Piaget 1932; 1945) e quella vygotskijana che muove dall’osservazione che i giochi
di immaginazione dei bambini implicano regole di comportamento non meno
restrittive di quelle dei giochi degli adulti (Vygotskij 1966), passando da Caillois il
quale sostiene che regola e finzione si escludano reciprocamente caratterizzando
due diverse “famiglie” di giochi: l’agon, o competizione regolamentata, e la
mimicry, o travestimento mimetico (Caillois 1967).
In ottica cognitivista si può sostenere che il rispetto di un sistema arbitrario di
regole accomuna tutti i giochi, senza eccezioni. Ciò che invece cambia è la natura di
queste regole, che nei giochi di immaginazione sono principalmente regole di
coerenza narrativa, stabilite e contrattate di volta in volta durante l’interazione,
mentre nei giochi tradizionali sono prescrizioni codificate a priori, che i giocatori
accettano senza discussioni né modifiche.
Da un punto di vista sociale, questa differente natura delle regole riflette in realtà
due fasi distinte del processo normativo:
Æ la creazione della norma nel gioco di immaginazione
Æ l’applicazione della norma nei giochi tradizionali.
Aggiungiamo inoltre che il carattere arbitrario della credenza di regolamentazione
comporta quanto segue: l’osservatore X non solo ritiene che Y rispetti il sistema di
regole Z, ma è anche convinto che arrivi a rispettarlo attraverso un processo di
adozione cooperativa – cioè è convinto che Y condivida gli obiettivi definiti dalle
regole del gioco, e consideri tali regole un buon mezzo per raggiungere quegli
obiettivi. Infatti ogni gioco è una forma di cooperazione, a prescindere dal fatto che
nel suo svolgersi generi conflitti o alleanze, aggressioni o soccorsi, violenze o
cortesie. Il concetto di cooperazione è sempre presente: la condivisione degli scopi
e dei vincoli imposti dalle regole è la conditio sine qua non del gioco stesso,
qualunque siano gli sviluppi successivi. Senza cooperazione, senza sottomissione al
sistema di regole, non potrebbero esserci gioco.
(3) Credenza di AUTOMOTIVAZIONE
X crede che Y persegue una motivazione Q prevista dal sistema di regole Z
Sottocredenza di SEPARAZIONE Æ X crede che Y persegue la motivazione Q per la
sola durata dell’attività in corso
Sottocredenza di COINVOLGIMENTO Æ X crede che Y persegue la motivazione Q con
il massimo impegno
Esiste unanime consenso sul fatto che il gioco sia un’attività “fine a se
stessa”. [Paglieri, 2002]
Si definisce il gioco automotivante perché il giocatore, per potervi davvero
partecipare, non deve avere secondi fini: un’attività è autenticamente ludica
quando rispetta tutte le credenze fondamentali. Possiamo quindi dire che
l’osservatore X, se si convince che il soggetto Y è spinto a giocare da motivazioni
estranee al gioco, interpreterà l’attività di Y non più come gioco vero e proprio, ma
piuttosto come uno pseudogioco.
Le motivazioni di Y possono risultare estranee al gioco in due modi:
Æ o perché non previste dal sistema di regole (violazione della credenza
di automotivazione),
Æ o perché mantenute oltre la durata dell’attività (violazione della
sottocredenza di separazione).
La motivazione ludica si può soltanto caratterizzare come prevista dal sistema di
regole (credenza di automotivazione) e circoscritta all’attività di gioco
(sottocredenza di separazione).
Paglieri considera poi la sottocredenza di coinvolgimento chiedendosi se il
coinvolgimento sia davvero una caratteristica necessaria del gioco.
La questione aperta è questa: un giocatore svogliato può ancora essere considerato
un giocatore autentico, oppure no? La risposta sembra essere negativa poiché sono
numerose le evidenze che dimostrano come uno degli elementi caratteristici del
gioco sia proprio l’assoluto coinvolgimento dei partecipanti: il gioco si caratterizza
quindi come una situazione di manifesta motivazione e ciò ha portato spesso a
chiedersi come si potrebbe recuperare questo serbatoio di “impegno spontaneo”,
per poterlo utilizzare anche a fini didattici.
(4) Credenza di LIMITAZIONE
X crede che Y conosce preventivamente i limiti temporali dell’attività A, cioè
sa quando comincia e quando finisce, o quando si interrompe.
Questa credenza esprime l’idea che il gioco sia fondamentalmente separato
dalle altre attività umane: un’ipotesi condivisa dagli autori presi in
considerazione, e radicalizzata dallo stesso Bateson [Paglieri, 2002].
Per Bateson l’interpretazione del gioco comporta il riconoscimento di una speciale
cornice, caratteristica dell’attività (Bateson 1955). In ottica cognitivista l’ipotesi è
che tale cornice sia di tipo temporale.
Ciò spiega la particolare formulazione della credenza: è fondamentale poter fissare
a priori un momento iniziale e uno stato finale del gioco, oltre a sue eventuali
interruzioni, riprese e ripetizioni. Questa cornice temporale, precodificata e
condivisa dai giocatori, distingue l’attività ludica da tutte quelle forme di interazione
a carattere durativo e indefinito. Un’attività senza fine non è interpretabile come
gioco – ovvero, un bel gioco dura poco.
(5) Credenza di INCERTEZZA
X crede che Y non conosce preventivamente gli esiti esatti della sua azione
L’incertezza sui risultati è uno dei tratti fondamentali del gioco, come già
sostenuto da molti autori. Il fatto è tanto ovvio quanto cruciale: infatti,
proprio questo margine di incertezza distingue i giochi dai rituali, che per
molti altri aspetti assomigliano ai primi. Ma nel rituale l’esito è determinato a
priori, anzi, spesso costituisce il momento più intenso e sacro dell’interazione.
Al contrario, nel gioco sono incerti non solo gli esiti, ma anche le procedure
per conseguirli: un gioco strategico è tanto più entusiasmante, quanto più a
lungo rimangono imprevedibili i suoi sviluppi. Il piacere stesso della
competizione non dipende solo da spinte aggressive verso gli altri, ma anche
dagli ostacoli sempre nuovi che la presenza di avversari ci impone – insomma,
come sosteneva Callos, il gioco come pura passione per la difficoltà gratuita
[Paglieri, 2002]
Dal punto di vista dell’osservatore esterno X, è quindi fondamentale poter attribuire
a Y questo stato di incertezza sugli esiti dell’azione, pena l’impossibilità di
considerarla un gioco. Osservando per un periodo continuato i “giochi scolastici” di
un gruppo di bambini delle elementari che giocavano sottobanco a Tris durante le
ore di lezione, l’autore sottolinea come una volta che l’esperienza aveva permesso
ai 4 ragazzi più dotati di imparare a memoria tutte le possibili combinazioni e di
diventare virtualmente imbattibili il gioco rischiava di diventare noioso e ciò
minacciava di impedirgli di giocare oltre. In altre parole, il gioco non era più incerto,
e in quanto tale rischiava di esaurirsi, o di trasformarsi in una routine priva di senso
e per nulla ludica. La soluzione individuata dal gruppo di studenti fu esemplare:
“Decisero allora di rivedere alcune regole del gioco, per reintrodurre
l’elemento di incertezza che era venuto a mancare. Stabilirono che, nelle fasi
finali in cui si scontravano gli “imbattibili”, bastasse la perdita di una partita
per decretare la sconfitta, mentre normalmente si giocava al meglio di cinque
sfide; inoltre, ai giocatori era imposto di compiere le loro mosse con la
massima rapidità, senza perdere tempo a riflettere. Questi nuovi vincoli
servivano di fatto a ricreare dei margini di incertezza al gioco, ora non più
sulla scelta delle mosse, bensì sulla capacità di mantenersi concentrati e
reattivi per tutta la durata della partita. Quella che prima era una gara di
ragionamento strategico, ora diventava una prova di resistenza mentale:
infatti la finale, giocata su ritmi elevatissimi, durò quasi un’ora, finché uno
dei due non commise l’errore fatale.” [Paglieri, 2002]
Questa scelta ha reso la loro attività di gioco piuttosto nevrotica (a volte il gioco lo è),
ma ha permesso ai giocatori di continuare a giocare: l’incertezza sugli esiti era di nuovo
salva!
2. Gli ambienti possibili per la pratica del gioco
Riteniamo che il Diritto al Gioco e il Diritto di Cittadinanza,
per la qualità dei valori educativi e democratici di cui sono portatori
e a cui fanno riferimento, debbano poter essere garantiti
ad ogni cittadino grande o piccolo che sia.
In questo senso assume una significativa importanza
la ricorrenza di ogni anno quando alla fine di Maggio
viene celebrata in ogni continente la Giornata Mondiale del Gioco.
[ALI per Giocare - Associazione Italiana dei Ludobus e delle Ludoteche]
€ Ipotesi ecologica sui sistemi ambiente-uomo
Affrontando il tema degli ambienti del gioco pare interessante presentare
l’approccio della psicologia ad indirizzo ecologico che studia gli individui e i loro
ambienti come sistemi che si influenzano e si modellano continuamente, cambiando
ed adattandosi in risposta al cambiamento dell’altro. Alcuni studi si sono occupati
del gioco del bambino in differenti contesti ecologici quali la casa, la comunità, i
parco-giochi, rafforzando così l’idea che il gioco viene determinato dalle
caratteristiche ecologiche di tali ambienti e, più in generale, dalle influenze che
l’ambiente esercita sul comportamento del bambino. Definiamo il termine ‘contesto’
(setting) che viene usato dagli psicologi ad indirizzo ecologico. Per ‘contesto’ si
intende un luogo fisico, delimitato nello spazio e nel tempo, all’interno del quale il
soggetto opera secondo un programma di azioni o un ‘modello fisso di
comportamento’ con il quale è congruente [Bilotta, 1997]. Altro termine importante
è quello relativo alla ‘pressione ambientale’ definita come l’influenza combinata
delle forze di lavoro in un ambiente, per adattare il comportamento e lo sviluppo
delle persone in quell’ambiente. Ciò che accade è che la pressione ambientale risultato delle condizioni che circondano un individuo - produce un momento psicosociale guidando l’individuo in una particolare direzione. Così accade che spesso il
comportamento dell’individuo tende ad assecondare le richieste dell’ambiente.
L’effetto sui modelli di comportamento dell’individuo e quindi anche sul gioco
spontaneo infantile è che essi vengono rinforzati o estinti in funzione di ciò che
l’ambiente richiede, punisce o tollera.
Ogni ambiente presenta caratteristiche differenti, con presenza di punti deboli e
forti, fonti di rischio socio-culturale e opportunità. Tutte queste forze possono
lavorare per o contro la creazione di un ambiente positivo per la crescita e lo
sviluppo dei bambini. Esse in modo simile lavorano per o contro l’espressione del
gioco spontaneo. Le forze che sostengono i bambini rappresentano delle
opportunità per adeguate esperienze dello sviluppo se accrescono la qualità e la
quantità del gioco [Bilotta, 1997]. L’approccio cultural-ecologico allarga
ulteriormente il campo di analisi, spostando il punto di vista dai contesti di
comportamento immediatamente circostanti l’individuo (la casa, il quartiere, la
classe, il terreno di gioco, il gruppo dei pari…) ad un ambiente sia pur prossimo al
bambino ma che considera in modo più ampio le forze sociali, culturali, economiche
e politiche che influenzano i gruppi e che guidano i contesti del comportamento
dove i bambini giocano.
In questa prospettiva ecologica, il gioco considerato come attività dominante dei
bambini in tutte le culture, viene letto come un’attività che influisce e può subire
l’effetto delle influenze culturali. E’ letto anche come espressione della cultura e
come un importante contesto nel quale si verificano l’interazione e l’apprendimento
cruciali per lo sviluppo del bambino. Viene infine utilizzato come un valido
indicatore e un’espressione dello sviluppo del bambino.
Esistono varie interpretazioni del sistema ambiente-bambino.
Æ Nella teoria di Bronfenbrenner (1986) il contesto ecologico dello sviluppo é
visto come una serie ordinata di sistemi interagenti incluso l’uno nell’altro come un set
di bambole russe. L’autore considera quattro sistemi caratterizzati dalla prossimità e
dall’immediatezza dei loro effetti sui bambini:
€ i microsistemi: sono il prodotto dei contesti fisici e delle interazioni
comportamentali nei quali i bambini sperimentano e creano giorno per giorno la
realtà, coincidono coi posti nei quali essi abitano, con le persone che sono là con
loro e con le cose che essi fanno insieme. Nell’ambito del microsistema il gioco
ha un ruolo preminente sin dai primi mesi di vita che diventa sempre più grande
man mano che il bambino cresce.
€ i mesosistemi: sono le relazioni tra i contesti, cioè tra i microsistemi, nei quali il
soggetto in età evolutiva fa esperienza della realtà. I mesosistemi importanti per
i bambini includono le relazioni tra casa e scuola, tra casa e quartiere e tra scuola
e quartiere. Il mesosistema scuola-casa ha un grande significato di sviluppo per
il bambino. In generale, lo sviluppo del bambino é accresciuto laddòve questo
mesosistema "é caratterizzato da una più frequente interazione tra i genitori e la
scuola, e da più frequenti comunicazioni tra casa e scuola".
€ gli esositemi: sistemi dove il bambino non partecipa di persona ma dove si
attivano situazioni che hanno un diretto impatto con i suoi genitori e gli altri
adulti che interagiscono con lui. Alcuni esempi possono essere il posto di lavoro
dei genitori e quei centri di potere come i consigli della scuola e le commissioni
di progettazione, che prendono decisioni che influenzano la vita del bambino
giorno per giorno. Essi favoriscono lo sviluppo quando rendono più facile la vita
ai genitori e minano lo sviluppo nel caso contrario. Alcuni studi hanno
evidenziato come genitori che lavorano in contesti dove si pretende
conformismo piuttosto che auto-direttiva, riflettano questo orientamento nei loro
bambini, reprimendo perciò importanti aspetti dello sviluppo del bambino,
limitando il suo più probabile obiettivo che é il gioco libero.
€ il macrosistema: consiste nelle norme riguardo a come lo sviluppo procede,
nella natura appropriata e nella struttura dei micro, meso, ed ecosistema.
Per Bronfenbrenner le influenze ambientali sullo sviluppo del bambino hanno origine
dai sistemi a tutti e quattro i livelli nell’ecologia umana del bambino. L’impatto
totale dell’ambiente emerge dall’equilibrio dinamico tra tutte le influenze.
Æ Un altro modello culturale-ecologico è quello proposto da Beatrice e John Whiting
(Whiting e Whiting, 1975). Per questi autori la storia di una cultura, le sue
caratteristiche climatiche, e i suoi aspetti geografici determinano i tipi di "sistemi di
mantenimento" che prevalgono dentro una cultura. Differenze negli aspetti dei
sistemi di mantenimento determinano i tipi di contesti immediati che gli adulti
assegnano ai bambini come anche le competenze di cui essi credono che i bambini
abbiano bisogno. Differenze nei modelli di sussistenza, nei modelli sociali e fisici di
residenza, influenzano anche le attività che i bambini osservano e a cui essi
partecipano, e il gioco che essi fanno o hanno bisogno di fare dentro i loro contesti.
Analizzando attraverso i risultati dei diversi studi gli effetti che il contesto ha sul
comportamento si possono osservare le seguenti ricorsività:
1. I diversi aspetti del comportamento di un bambino spesso cambiano
clamorosamente non appena il bambino si muove da un contesto all’altro.
2. I comportamenti di bambini diversi, negli stessi contesti, sono più simili che
il comportamento di ciascun bambino in differenti contesti.
3. La congruenza del comportamento del bambino e del contesto é più
sostanziale tra le maggiori configurazioni del comportamento e del contesto,
non tra i momentanei e specifici comportamenti del bambino e gli immediati
e vari input provenienti dall’ambiente del contesto.
La coercitività dei contesti é per certo riconosciuta da ogni soggetto al livello di
quello che potrebbe essere chiamato "programma di promulgazione". Quindi, se
un bambino partecipa ad un gioco in cui si corre il bambino correrà, un bambino
in un gruppo artistico probabilmente disegnerà. La coercitività, comunque, si
allarga al di là di questi ovvi rapporti, a influenzare la quantità e la qualità di
interazione sociale, e l’esperienza emozionale di coloro che partecipano al
contesto [Bilotta, 1997]
Vygotskij sottolinea come i compagni di gioco siano importantissimi agenti sociali
che possono favorire l’emergere e la costruzione del gioco sociale simulato (social
pretended play). Il contesto eco-culturale del gruppo dei pari prende in
considerazione il "gioco sociale simulato" come una forma di gioco in cui materiale
non letterale o simbolico é integrato in interazioni di gioco sociale. Ciò avviene
quando all’interno del contesto del gioco sociale con i propri pari, i bambini
aggiungono elementi di fantasia e comunicano al compagno che la natura del gioco
é simulata. Le frasi utilizzate dai bambini per dare inizio al gioco sono del tipo:
"facciamo finta di andare a fare shopping e "c’è un leone sul nostro sentiero",
oppure "tu sei la mamma e io sarò la sorella".
Per investigare come gli effetti del contesto ecologico-culturale influenzano le
attività di gioco dei bambini all’interno dei contesti naturali di casa e comunità,
attraverso culture diverse, Bloch (1985) ha raccolto informazioni sulle attività di
gioco e di non gioco di bambini all’interno di due distinti contesti culturali: una
comunità americana della periferia del Midwest, di classe media, e un villaggio
rurale dell’Africa occidentale nel Senegal.
Il campione americano era composto di 83 bambini di 38 famiglie che vivevano in
un’area residenziale periferica, con reddito medio, in una città del Midwest. Ogni
famiglia aveva due o più bambini, uno dei quali era al di sotto dei due anni.
Il campione senegalese consisteva quasi tutto di bambini fra i 0 e i 6 anni. Furono
studiati 38 bambini fra i 2 e i 4 anni e 16 bambini fra i 5 e i 6 anni. I bambini con le
madri vivevano in case definite "gruppi di parenti che lavoravano e mangiavano
insieme". La maggioranza dei 700 residenti del villaggio appartenevano al gruppo
etnico dei Lebou, un gruppo tradizionale di pescatori costieri del Senegal; le
famiglie Lebou di questo studio si erano spostate verso l’interno nei primi anni ‘20 e
avevano adottato l’agricoltura. Ogni famiglia aveva due o più bambini, con almeno
un bambino sotto i due anni. La media del numero di bambini nati da una data
madre nel campione era di 4 (variando dai 2 agli 8 anni), con conseguente
presenza di fratelli e sorelle nel contesto di gioco del bambino (una media di un
fratello con un range di età fra i 2 e i 6 anni) insieme a quella di altri bambini che
vivevano tra le mura del villaggio.
Le conclusioni dello studio hanno evidenziato che il gioco, all’interno dei contesti
casa e comunità, era un’attività dominante in tutte e due le culture. In entrambi i
campioni, americano e senegalese, i bambini s’impegnavano nel gioco diretto con
altri bambini più spesso che con adulti, e si occupavano di tipi di gioco simili a
dispetto della vasta differenza nei contesti culturale-ecologici di gioco, nello spazio
in cui i bambini giocavano, nei materiali disponibili per giocare, o a dispetto delle
differenze nell’interazione adulto-bambino e nelle altre attività.
€ A proposito di spazi ludici: e se è il gioco che va a … Maometto?!
Il Ludobus è un mezzo mobile attrezzato che porta in ogni luogo giochi,
attrezzature e materiali ludici, animatori e programmi di gioco. La sua azione
favorisce il diritto al gioco di tutti i cittadini, con particolare riguardo all’infanzia e
all’adolescenza. I programmi gioco proposti hanno infatti come protagonisti
principali in particolare le bambine, i bambini, le ragazze e i ragazzi che liberamente
e gratuitamente possono partecipare alle attività da soli, in gruppo o con i loro
accompagnatori adulti, ma sono fruibili a vario livello anche da un pubblico di ogni
età.Il Ludobus si reca dove vivono i bambini per stimolarli a giocare grazie ai
materiali in dotazione e alle idee che vengono proposte e per far loro vivere nuove
esperienze, rivitalizzando in maniera giocosa luoghi che non sono destinati
espressamente al gioco, creando relazioni positive. Il Ludobus è un modo di ovviare
alla carenza di possibilità di giocare ed è un utile complemento alle azioni per un
generale miglioramento della qualità della vita. L’arrivo del Ludobus, animato da
un’equipe di operatori qualificata ed esperta nel campo del gioco, trasforma gli
spazi cittadini sempre in modo sorprendentemente festoso. L’attività del Ludobus è
stata riconosciuta nel 1997 in Italia, dalla ex legge 285, come una delle buone
pratiche per promuovere nelle città i diritti dell’infanzia e dell’adolescenza.
Vedi su: http://www.ludobus.it/
3. I materiali e gli oggetti per la pratica del gioco
Linus e la sua copertina: è un’immagine che ben ci
rappresenta quanto Winnicott descriveva parlando del legame
che i bambini hanno con i loro oggetti, specie i giocattoli: ne
associano significati di legame con i genitori in particolar modo
con la madre e portandoli a scuola, portandoli con sé portano
qualcosa della casa, della famiglia con loro, come sinonimo di
protezione, di sicurezza.
€ Una possibile classificazione
…se diciamo giochi e giocattoli abbiamo ben in mente ciò a cui ci riferiamo, ma
se cerchiamo una definizione precisa, un limite preciso, il discorso si complica e
ci accorgiamo come in questo campo e a questo scopo la pratica sia più
esauriente e precisa della teoria. Ciò che possiamo affermare e' che mentre il
giocattolo e' uno strumento materiale, un oggetto che serve per giocare, il gioco
può benissimo svolgersi senza giocattolo. L'assenza di una precisa definizione
ci suggerisce che ancora più imprecisa possa essere una classificazione di
giochi e giocattoli. Ci si potrà avvalere dell'esperienza e delle esigenze nate da
chi, per professione, si occupa di giochi. Fiere del giocattolo, manifestazioni
culturali a carattere ludico, riviste specializzate, animatori, hanno un gergo
comune per individuare particolari categorie di giochi o di giocattoli [Cecconi A. e
Trabucchi MG]
Con il mutare dell'età mutano i gusti riguardo i giocattoli, ma anche per l’uso del
giocattolo l'età critica è l'adolescenza: la volontà di sentirsi grandi e, soprattutto, di
apparire grandi, fa abbandonare quasi con disprezzo i vecchi giochi e li fa sostituire
con "cose più importanti". Accade così che gli unici giochi degni di attenzione sono
quelli che hanno assunto una veste di gioco sportivo. Quando poi si diventa adulti ci
si accorge che il gioco può avere ancora valore: come momento per stare con gli
amici, come hobby, per sdrammatizzare situazioni, per far venire il buon umore…
Certo in questa fase della vita i giochi sono differenti, solo in certi casi sono
evoluzione dei giochi che si facevano da bambini: è lo spirito che è cambiato. Nel
gioco del bambino la realtà si confonde con la fantasia, il confine e' molto labile:
uno scontro tra due bambini mascherati da Zorro può diventare in un attimo un
vero e proprio duello con forza ed aggressività. Nel gioco i bambini si mettono alla
prova con la massima serietà. I grandi, invece, sono consapevoli che si tratta di un
gioco, ma allo stesso tempo la realtà e la quotidianità si sono talmente radicate in
loro che diventa più difficile l'immedesimazione, ancora più difficile l'emozione.
L'adulto ha una grande possibilità, quella di giocare consapevolmente per il gusto di
giocare (eliminando, quindi, quei sentimenti negativi che si possono scatenare nella
competizione). Il nostro obiettivo di adulti e di educatori e' dunque quello di
imparare a giocare con la serietà e l'immedesimazione del bambino, restando
consapevoli che si tratta di un gioco, ma condividendo con i nostri piccoli o grandi
giocatori la capacità di sperimentare e conoscere anche attraverso l’uso e/o la
costruzione di strumenti per il gioco. Immedesimazione significa entrare nel mondo
del gioco con tutti i cinque sensi, lasciando che la mente corra liberamente fuori dai
binari della quotidianità: dentro di noi devono poter nascere le immagini, i suoni, i
profumi del mondo in cui stiamo giocando.
Una prima classificazione può sfruttare le indicazioni degli operatori del settore.
Troveremo così giocattoli per:
- Prima infanzia: questa categoria e' imposta dalla normativa sulla sicurezza del
giocattolo che pone una netta barriera tra giocattoli per bambini al di sotto di 3 anni
e giocattoli per piu' grandi. Tale normativa impone regole precise sulla sicurezza dei
giocattoli ed in particolare per i giocattoli "prima infanzia".
- Giocattoli sportivi: vi rientrano tutti i giocattoli, o meglio tutti quegli strumenti,
con i quali si praticano sport: palloni, biciclette, pattini, racchette… Proprio perche'
qui si sta parlando di giocattoli, non bisogna confonderli con gli stessi strumenti
professionali venduti nei negozi sportivi.
- Giocattoli didattici: comprende tutti quegli strumenti che permettono di giocare e
contemporaneamente imparare a scrivere, leggere, contare, distinguere forme e
colori…
- Giocattoli scientifici: la si potrebbe definire una sottocategoria dei giocattoli
didattici. In particolare qui rientrano strumenti dalle caratteristiche didatticheculturali per bambini o ragazzi di eta' superiore a quelli a cui sono indirizzati i giochi
didattici. Tipici di questa categoria sono: il piccolo chimico, i planetari, i pupazzi
smontabili con tutti gli organi del corpo umano…
- Bambole e personaggi: il nome della categoria indica una differenza tra femmine e
maschi per i giocattoli di questo tipo. Per le bambine le bambole restano comunque
giocattoli importanti e fonte di giochi anche se non si identificano con precisi
personaggi. Per i maschi invece oggi si parla di personaggi e non più di pupazzi: si
producono infatti solo pupazzi che rappresentano eroi di serie televisive (cartoni
animati o telefilms) o fumetti.
- Peluches: i peluches al contrario di quanto visto al punto precedente, non hanno
differenziazioni per acquirenti maschi o femmine. Sono sempre giocattoli di
successo (molto venduti anche per gli adulti), tanto da meritare un proprio settore
in fiere e negozi.
- Giocattoli professionali: non si tratta di giocattoli per professionisti, ma di tutti
quei giocattoli che riproducono strumenti da lavoro. Alcuni esempi sono: il banco
del falegname, il meccanico, il venditore di ortaggi, ecc.
- Giocattoli creativi: la categoria comprende tutti quei giocattoli con i quali si crea o
si costruisce qualcosa, seguendo istruzioni precise o seguendo la propria fantasia.
Due esempi famosi sono: i mattoncini lego e il das. Ma tra questi sono compresi
anche i kit di pittura, il meccano, crea profumi, maglieria magica, dolceforno…
- Giocattoli multimediali: computer, consolle da gioco sempre più potenti, in una
sola parola videogames. Per alcuni studiosi questi giochi possono limitare la
creatività, anche se stimolano molto i riflessi e la logica. Talvolta possono indurre
nei bambini stati di ansia da prestazione.
- Giochi da tavolo: la categoria comprende numerosissimi giochi, solitamente in
scatola, che possono riguardare argomenti e tematiche molto diverse tra loro,
adatti ad età diverse.
- Modellismo: settore dedicato principalmente agli adulti. E’ spesso definito hobby
più che gioco, rientra comunque tra i settori di fiere e manifestazioni ludiche.
- Giochi vari: categoria necessaria in un settore così vasto come il mondo del
giocattolo. Qui ovviamente rientrano tutti quegli oggetti da gioco che non sono
compresi nelle precedenti categorie e che necessiterebbero di un infinità di
sottocategorie. Alcuni esempi: piste elettriche, rompicapi, animaletti, soldatini (oggi
quasi scomparsi…).
In uno studio sul mondo del giocattolo e sul suo utilizzo anche in ambito di
rieducazione e di integrazione della diversa abilità Besio riporta ed evidenzia le 10
Linee-Guida per l’accessibilità e la scelta dei giocattoli [Besio S., 2006]
1. Qualità multisensoriale
2. Modalità di attivazione
3. Contesti d’uso del giocattolo
4. Possibilità di successo
5. Popolarità del giocattolo fra i bambini
6. Creatività
7. Adattabilità
8. Capacità del bambino
9. Sicurezza e durata
10. Potenziale di interazione
L’autrice sottolinea inoltre come nel relazionarsi all’oggetto giocattolo si debba
tener conto:
• delle sue valenze educative per supportare lo sviluppo cognitivo, affettivo,
psicomotorio, relazionale del bambino
• delle caratteristiche estetiche e strutturali del giocattolo
• il giocattolo deve essere pensato per una “utenza ampliata”
• il giocattolo deve assumere prevalentemente valenze di svago e
divertimento
Possibili valenze positive del giocattolo-robot:
• terapeutiche (pet-therapy…)
• riabilitative (per es., come supporto all’attenzione e alla motivazione,
supporto all’esperienza sensoriale e alle relazioni sociali)
• sociali (come compagni di gioco)
• educative, di supporto allo sviluppo di competenze cognitive
€ Giocattoli e possibili ambiti di lavoro: il giocattolo lo costruisco io
by Renzo Laporta _ Toymakingactivities
http://www.toymakingactivities.com
Viaggiatori leggeri
Portano Mondi
Dentro di Sé
[Anonimo]
Mi piace entrare in classe accompagnato da una vecchia valigia
da viaggiatore e, gradualmente, svelare come "il Mondo è nei
giocattoli".
I giocattoli che porto in valigia sono oggetti che riflettono il
Mondo in cui si vive, perché sono fatti di materiali presenti nella
vita quotidiana dei bambini e delle bambine, materiali che
solitamente sono destinati alla discarica, alla dissennata pratica dell'usa e getta ed
altre volte ad una accurata selezione e per il loro riciclaggio. Questi giocattoli però
rinviano anche ad un "mondo possibile", perchè nel loro essere esprimono come sia
facile e divertente aprirsi alla creatività, quella che è insita nell'esercizio delle abilità
manuali di base, trasformando e ri-animando con semplicità quello che era
destinato ad una fine prematura.
La loro ricchezza non è nel valore economico, ma per quel loro intrinseco potere di
evocare altri valori:
€ il sostenibile in primo luogo
€ la giustizia sociale
€ la partecipazione
€ la responsabilità verso il riconoscimento dei diritti
Lavorare su questi prospettive attraverso il giocattolo "povero", significa maturare il
diritto ad avere una visione critica rispetto al Mondo che abitiamo. E se è vero che il
Mercato globale è troppo spesso responsabile e preme affinché - anche i bambini e
le bambine - risultino da esso "educati" a divenire precoci ed acritici consumatori, è
altresì vero che esso è creazione umana. Se c'ì qualcosa da mettere in crisi e
cambiare in meglio, è la nostra concezione di sviluppo, il quotidiano agire nel locale
ma con un pensiero che non immagina abbastanza di decorare sé, gli altri, il Mondo
di un sur-plus di umanità. E' mia esperienza che anche i bambini e le bambine
possono arrivare a comprendere questo, con i dovuti modi. Lavorare su questi
prospettive attraverso il giocattolo "povero", significa maturare il diritto ad avere
una visione critica rispetto al Mondo che abitiamo.
Ritornando nel piccolo ed osservabile/sperimentabile, gli oggetti ludici che presento
anche funzionano, consumandosi nel gioco. Siccome "funzionando", raccontano di
come "lavora il Mondo", dei suoi elementari principi di fisica di base. Questa è
spesso la prospettiva preferita dagli insegnanti di scienze, che trovano utile e
motivante l'apprendimento curricolare attraverso il laboratorio sul giocattolo autocostruito - ed hanno ragione.
Sono oggetti che traggono ispirazione dal passato, sia dalle tradizioni delle diverse
culture che dal folklore di bambini. E questo è facilmente riconoscibile dalle loro
forme esteriori. Altri prima di me, hanno già identificato la costate che li lega: sono
appartenenti ad una "cultura ludica planetaria", intimamente collegata con i Diritti
Naturali dei bambini e delle bambine. I giocattoli che ho costruito e che insegno a
costruire, sono frutto del mondo dell'infanzia; ed all'infanzia desidero che ritornino
perché sono forte incoraggiamento a recuperare la cultura propria dei bambini e
delle bambine: come gli adulti hanno bisogno della loro cultura così anche i bambini
e le bambine hanno bisogno della cultura da loro costruita. Purtroppo è da
registrare che, con la scomparsa delle diversità culturali, delle lingue, della
biodiversità, si sta assistendo anche alla graduale comparsa delle
differenze/ricchezze insite nel folklore dei bambini e delle bambine.
Aprendo la valigia
I giocattoli che ne escono, nella loro semplicità di veste ed uso, evocano da subito
meraviglia e stupore: motori questi capaci di eccitare un intenso desiderio di
sperimentazione e di possesso.
Ma sarà un "possedere" diverso, più duraturo ed intimamente collegato con
l'assimilare da dentro. Niente a che vedere con un "avere mercificato", esteriore e
confinato all'usa e getta. Infatti, ed ogni volta, è forte la richiesta che dal gruppo
giunge: "Anche a noi piacerebbe costruire i giocattoli della valigia". Così durante
l'incontro - come vi sarà il tempo per conoscere e scoprire il Mondo giocando i
giocattoli della valigia - ci sarà il tempo per "il laboratorio delle mani", dove attivare
la possibilità - a tutti e tutte distribuita - di partecipare alla definizione di una
ludoteca del “fai da te”.
L'attività di costruzione di uno (o più) giocattoli, riutilizzando materiale povero e di
riciclo, utilizzando tecnologie semplici, consegue alla loro presentazione e
sperimentazione.
I percorsi
L'incontro con "il viaggiatore e la sua valigia" potrà chiudersi qui oppure,
mantenendo il giocattolo come riferimento, orientarsi su altre e differenti direzioni
di ricerca:
€ AAA cercasi Etichette per i giocattoli della Mondialità, liberare immaginari
colonizzati.
€ La trottola di cioccolato, ovvero: storie di ordinaria ingiustizia sociale ed
ambientale per sensibilizzare alla cittadinanza planetaria.
€ I giocattoli di Iqbal, diritti e doveri per i cittadini "in erba".
€ Do you speak English? Making toys to learn basic English
Per approfondire le tematiche trattate:
€ Paglieri F. “Giocare altrove: tre dogmi dell’interazione ludica”
http://www.idearium.org/2002/09/28/giocare-altrove-tre-dogmidellinterazione-ludica/
€ Paglieri F., 2002, "Credendo di giocare: verso un'interpretazione cognitivista
dei processi ludici". In Sistemi intelligenti, XIV: 3.
€ Bronfenbrenner U. (1986) Ecologia dello sviluppo umano, Il Mulino, Bologna.
€ Belisario L., Gioco e simbologia degli affetti: aspetti relazionali della
comunicazione ludica, Guerini, Milano, 1988
€ G. Galli e D. Sodi, gennaio 2006, “A che gioco giochiamo?”
http://web.ticino.com
in:
€ Besio S., “Incontrare occasioni di apprendimento:l’accessibilità del gioco e
dei giocattoli per favorire la crescita di tutti e di ciascuno” su Handimatica,
2006
€ Bilotta E. [1997], “ll contesto ecologico nel gioco del bambino”, in “Il gioco
nell’etologia e nell’ Intelligenza Artificiale”, Dip. Scienze dell’Educazione,
Centro Interdip della Comunicazione, Università della Calabria