e Giappone

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e Giappone
Esteri
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Informazione L’insegnante di Fisica Vu Hung, arrestato tre giorni fa, è solo l’ultima vittima della nuova ondata repressiva
lanciata da Hanoi contro la libertà di espressione e di pensiero. Che sommerge anche blogger, economisti e scienziati
H
anoi. Vietato criticare le
scelte del governo, qualunque esse siano. In Vietnam
il rischio per molti giornalisti e
attivisti per i diritti non è la cancellazione del programma in cui
lavorano, un possibile licenziamento o l’allontanamento in uffici di periferia, bensì il carcere. Se
in Italia la stampa e la sua libertà di espressione sembrano essere in pericolo, con il rischio reale di perdere diritti consolidati, in
Vietnam è ancora difficile anche
solo poter esprimere liberamente
le proprie idee. Almeno quando
si parla di politica o di economia.
Così, alcuni attivisti, blogger e
giornalisti che recentemente avevano criticato le scelte dell’esecutivo si sono visti piombare la polizia in casa, pagando con l’arresto la scelta di voler informare e
divulgare le proprie idee attraverso la Rete. Vu Hung, un insegnante di Fisica delle scuole superiori,
che tre giorni fa è stato condannato a tre anni di carcere più tre
di libertà vigilata per aver invocato la democrazia pluripartitica
con uno striscione esposto su un
ponte, è solo l’ultima vittima della
morsa repressiva che attanaglia
il Paese. Con lui sono stati recentemente condannati Bui Thanh
Hieu, blogger di 37 anni, Pham
Doan Trang, giornalista web di 31
anni e Nguyen Ngoc Nhu Quynh,
blogger di 31 anni, colpevoli, secondo l’articolo 88 del Codice penale, di aver «condotto propaganda contro la Repubblica Socialista del Vietnam». Sono colpevoli
di aver criticato accordi commerciali e questioni non ancora risolte tra Pechino e Hanoi. In particolare, un controverso progetto minerario nella regione degli altopiani centrali e il conflitto territoriale sulla sovranità su due gruppi di isole note come Spratly e Paracel, situate nel Mar Cinese del
Sud. Nei due anni passati, alcuni
gruppi di attivisti vietnamiti han-
no più volte manifestato davanti le sedi diplomatiche cinesi, con
il placet delle forze di polizia, per
sostenere con forza la sovranità
vietnamita sulle isole contese. Gli
episodi si erano risolti con semplici scuse da parte di Hanoi, che
ha sempre risposto con fermezza a ogni singola rivendicazione
sulla sovranità delle isole da parte cinese. Resta da capire il motivo per cui in questi ultimi mesi
il governo vietnamita abbia scelto di voler limitare il dibattito sulle relazioni politiche ed economiche con la controparte. Secondo
l’analisi della rivista internazionale Asia Times, l’attuale crisi economica e alcune decisioni sbagliate
da parte dell’attuale governo vietnamita, avrebbero spostato l’ago
della bilancia a favore di Pechino.
A causa di una forte mancanza di
liquidità, dovuta a scarse riserve
di valuta estera, l’esecutivo cinese sarebbe intervenuto elargendo ingenti prestiti finanziari all’ex
colonia. In cambio, il Vietnam
avrebbe favorito l’accesso cinese
al progetto minerario per l’estrazione di bauxite nelle province di
Lam Dong e Dak Nong. Progetto
criticato da più parti, sia per ragioni economiche che ambientali. Anche l’eroe della battaglia di
Dien Bien Phu, il 97enne generale
Vo Nguyen Giap, aveva espresso le
sue riserve nei mesi scorsi. L’uomo
che sconfisse i francesi nel 1954 si
è detto contrario al progetto in
questione perché provocherebbe danni irreparabili all’ambiente in una zona fortemente legata
all’industria del caffè, che ha fatto del Vietnam uno dei principali
esportatori al mondo. Ma la nuova ondata repressiva nei confronti dei “liberi pensatori” potrebbe
essere frutto della battaglia tutta
interna al Partito comunista vietnamita che, nei primi mesi del
2011, deciderà le nuove linee politiche per i cinque anni futuri. Le
risposte alla crisi economica prese dal leader dell’ala liberale, il
primo ministro Dung, sembra ab-
Il design è fico.
Il riciclo è arte.
biano spinto quella conservatrice
sempre più nelle braccia di Pechino. Dung, quindi, troppo vicino
a politiche di mercato influenzate forse da Washington, rischia di
rimanere solo ed essere sopraffatto da un’ondata reazionaria. È in
questo clima di timore e tensioni
che il 15 settembre scorso è stato
approvato con firma dello stesso
Dung il decreto numero 97. Con
tale atto si è deciso di limitare la
ricerca tecnico-scientifica a 317
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by
D
etroit incarna meglio di
qualunque altra città la
crisi statunitense. Palazzi abbandonati, case bruciate,
aree una volta urbane intervallate da avamposti di case solitarie tra prati e fabbriche dimesse. “The D”, come la chiamano i
suoi abitanti, è una città che sta
scomparendo: la popolazione è
passata da 2,2 milioni a meno di
800mila in meno di venti anni,
dispersa su una superficie di 370
chilometri quadrati, un’area sufficiente per contenere, Boston,
Manhattan e San Francisco. Città operaia per antonomasia, oggi la disoccupazione ha raggiunto oltre il 40 per cento. La popolazione è composta a maggioranza da afroamericani e da una
delle comunità musulmane più
grandi degli Usa. Molti dei “bianchi”, invece, hanno abbandonato
Detroit seguendo un trend diffuso, quello dei white flights, le migrazioni di cittadini bianchi, dai
centri delle città americane verso i nuovi suburbi. Un esodo iniziato nel luglio 1967, dopo gli
scontri tra neri e forze dell’ordine che hanno lasciato una ferita
che vive ancora oggi.
ambiti di studio. In pratica, gruppi
indipendenti e statali non hanno
più il diritto di discutere pubblicamente di determinate questioni. I primi a pagare sono stati i ricercatori del Vietnam institute of
development studies (Ids), l’unico
think tank privato e indipendente del Paese, costretti a chiudere
per aver pubblicamente discusso le scelte economiche adottate
dal governo. Nell’organizzazione
nata appena cinque anni fa anche
emeriti intellettuali ed economisti di fama nazionale, già membri
del Partito comunista vietnamita. «Bloccare la libertà di pensiero è contrario alla scienza, al progresso e alla democrazia», afferma il consiglio scientifico di Ids. Il
timore è che paura, terrore e crisi siano la giustificazione per limitare, bloccare e arrestare il libero
e democratico scambio di pensieri e opinioni, in Vietnam come nel
resto del mondo globalizzato.
In un tribunale di Hanoi,
un televisore trasmette le
immagini del processo a
Vu Hung, insegnante di
Fisica delle scuole superiori
condannato a tre anni di
carcere più tre di libertà
vigilata per aver invocato la
democrazia pluripartitica
con uno striscione esposto
su un ponte
Maltempo Dopo Ketsana, anche l’uragano Parma investe l’arcipelago, causando almeno 180 morti e un numero elevato
di feriti. Chiesto da Manila l’aiuto della comunità internazionale. Intanto il Sol Levante è alle prese con il ciclone Melor
Tifoni su Filippine e Giappone
A
www.ecotv.it
Emanuele Bompan
I primi a pagare
sono stati i
membri del
Vietnam institute
of development
studies, costretti
a rinunciare alla
propria attività
Paolo Tosatti
solo su
The D, la città dei motori
che non vuole spegnersi
© STEINGLASS/ansa
Roberto Tofani
ncora morti nelle Filippine a causa del maltempo. L’uragano Parma si è
abbattuto su un’area montuosa
nella parte settentrionale dell’arcipelago, a nord dell’isola di Luzon, provocando una serie di frane e di inondazioni, con un bilancio provvisorio di almeno 180
morti e un numero imprecisato
di feriti. La zona più colpita sarebbe la provincia di Benguet,
dove si calcola che abbiano perso la vita circa 120 persone. «I
danni nella regione sono gravissimi», ha detto il capo della Protezione civile provinciale, Olive
Luces. «Abbiamo notizie di frane
in tutta l’area». Nella località turistica montuosa di Baguio, altre
17 persone sono state uccise da
una valanga di fango che ha sommerso parte della cittadina, mentre migliaia di persone sarebbero
bloccate sui tetti delle loro case
in oltre venti centri abitati della provincia di Pagasinan. I due
tifoni e le piogge torrenziali che
si sono abbattuti sull’arcipelago
nelle ultime due settimane hanno causato almeno 540 vittime e
milioni di sinistrati. L’ultimo bilancio fornito dalle autorità sulla
tempesta Ketsana è di 337 morti e 37 dispersi. Il Paese è in ginocchio e il governo di Manila
ha chiesto l’intervento della comunità internazionale per fronteggiare l’emergenza. L’esercito
Usa, che aveva già inviato aiuti
dopo il passaggio di Ketsana, ha
messo a disposizione alcune delle sue unità dotate di mezzi aerei
e di gommoni.
Intanto, alcuni paralleli più a
nord, anche nell’arcipelago nipponico è toccato fare i conti con i
danni causati dal tifone Melor, il
primo a colpire il Paese dal 2007,
che ha causato 4 morti e oltre
120 feriti. Il ciclone ha attraversato alla velocità di 270 chilometri orari la città di Nemuro, nella
prefettura di Hokkaido Le abitazioni danneggiate ammontano a
oltre 1.200; i ritardi o le interruzioni delle linee ferroviarie e marittime hanno causato numerosi
disagi in tutto il Paese, soprattutto nella capitale Tokyo.
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Reportage Licenziamenti nel settore automobilistico, elevate tasse sulla proprietà, prestiti predatori, pianificazione
urbana inesistente. Detroit è diventata il simbolo della crisi degli Stati Uniti. Eppure i suoi abitanti stanno reagendo
Il 15 settembre è
stato approvato
con firma del primo
ministro Dung il
decreto numero 97.
Con tale atto si è
deciso di limitare
la ricerca tecnicoscientifica a 317
ambiti di studio
Vietnam, attivisti e giornalisti
stretti nella morsa della censura
sabato 10 ottobre 2009
www.terranews.it
Nelle aree suburbane intorno alla
città, alcune tra le più ricche d’Ame-
rica, un’immensa distesa di quasi 3 milioni di persone, si celebra il sogno americano, tra centri commerciali e case monofamiliari dai giardini ben curati.
Dentro i confini della città decine di migliaia di abitazioni sono
abbandonate e quasi tutte la catene in franchising hanno chiuso. Le cause di questa desertificazione, che ha spinto migliaia
di persone sulla strada, vanno ricercate nei licenziamenti nel settore automobilistico, nelle elevate tasse sulla proprietà (in caso d’insolvenza si procede al sequestro) e nei prestiti predatori, dove clausole nascoste e termini mal negoziati hanno ingannato migliaia di debitori: come Yvonne Blessett, 47enne, cassaintegrata da Chrysler, a cui è
stata pignorata la casa svalutata, dopo otto anni di rate pagate.
Chi rimane deve affrontare anche una crescente ondata criminale, con gang che assaltano case abbandonate o pignorate oppure le bruciano per cercare di
ripristinare i valori immobiliari
di un tempo o intascare una polizza assicurativa. Per molti, però, responsabile della crisi non è
solo l’industria automobilistica o
quella creditizia ma anche l’amministrazione comunale. Secondo A.M., studentessa, il Comune
«è corrotto, composto da incompetenti». I cittadini, tra gli scandali dei vari ex sindaci (si vota a
novembre) e un deficit di oltre
300 milioni di dollari, non credono più nell’amministrazione.
E non sono serviti a rivitalizzare
il bilancio (e la fiducia) progetti
come i casinò Motor City e Greektown e il nuovo stadio Comerica Park. Insomma nessun indicatore statistico sembra mostrare trend di ripresa.
È la prima città contemporanea destinata a svanire, come una Cartagine del XXI secolo? Il polso di De-
troit pulsa ancora, anche se non
è semplice individuarlo: è sopravvissuta al declino delle città
americane, ha comunità vibranti
che cercano forme di economia
alternative sostenibili, un’inedita
partecipazione dal basso e inno-
© Sancya/ap/lapresse
sabato 10 ottobre 2009
© Marquez/ap/lapresse
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vativi spazi sociali autogestiti da
pensionati, giovani disoccupati,
parrocchie e attivisti. «La necessità si fa virtù e la gente reagisce
in maniera creativa e sorprendente», dice Lottie Spady, attivista. Detroit sta rivelando, infatti, una forza sotterranea che unisce Ong, movimenti, singoli cittadini, artisti, università e commercianti. C’è chi celebra Detroit come una piccola utopia,
chi la definisce un’opportunità
per ridisegnare il concetto di città, chi è assolutamente entusiasta di vivere una vita rurale nel
cuore di un’area metropolitana.
In una sala della chiesa centrale metodista una dozzina di persone discute armeggiando con i
propri portatili. Sono gli organizzatori del prossimo Us Social Forum (Ussf) che si terrà dal 22 al
26 giugno 2010.
«Il Forum è una grande opportunità
per la città: servirà per fare il punto
di come l’America sta cambiando
con la crisi», racconta Lou Novak, della sezione locale del Green Party. Ahmina Maxey, 24 anni,
organizzatrice Ussf e membro del
gruppo di ecologia politica East
Michigan environmental action
council, racconta che un esempio dell’azione diretta dei cittadini è rappresentato dalle fattorie informali e i community garden, piccoli orti ricavati da spazi
abbandonati o dismessi. «La città ha molti problemi ambientali
- spiega l’ecologista - come l’inquinamento dell’aria e suoli contaminati. Ma uno dei più immediati è l’assenza di cibo fresco disponibile. Detroit è quello che si
chiama un food desert, un luogo dove non c’è accesso al cibo:
gli alimentari si trovano spesso
a miglia di distanza dalle abitazioni. Questo tipo di agricoltura, biologica e sostenibile, può
essere la chiave per il futuro della città». Maliki Yakini, direttore
del Detroit black community food security network, ha creato
In circa vent’anni la
popolazione è passata da
2,2 milioni a meno di 800
mila. Su una superficie di
370 chilometri quadrati
Nonostante la recessione,
sta crescendo una forza
sotterranea che unisce
Ong, movimenti e singoli
cittadini
Tra inquinamento e suoli
contaminati sorgono
ancora fattorie
e orti ricavati da spazi
abbandonati
8.000 metri quadrati di fattoria
urbana, nei pressi di Rouge Park,
dove si coltivano verdure biologiche, si produce miele e s’insegna a conservare i prodotti della terra che sono venduti ai mercati locali riuniti in cooperativa.
Gli orti, sparsi ovunque, sono oltre 170.
Il vero problema di Detroit rimane,
però, la gestione urbanistica. La cit-
tà ha una densità abitativa minima e in molti casi le abitazioni
sono vuote. La pianificazione urbana è inesistente in molte aree,
quindi i cittadini hanno pensato di fare da soli. Southwest Housing Soultions, una Onlus locale, ha trovato una ricetta perfetta
per trasformare dal basso l’urbanistica della città. Impiegando un
mix tra fondi pubblici, volontariato, donazioni, project financing e
imprenditorialità, Tim Thorland,
direttore visionario della Onlus,
ha impostato la strategia basata
sul densificare i centri abitati e riattivare la comunità, specialmente nel quartiere Southwest. «Noi
compriamo case a poco, le siste-
miamo e riqualifichiamo l’isolato, dando avvio ad attività commerciali ed educative cofinanziate. Mettiamo a disposizione abitazioni sociali miste, dove homeless, famiglie e studenti convivono, evitando così la formazione
di ghetti. Inoltre, per chi ha problemi di insolvenza offriamo servizi gratuiti d’assistenza». A dare valore alle nuove pratiche degli spazi post industriali ci pensa
anche il fervido sostrato artistico
di Detroit, città del blues e mecca della techno, ma anche sede di
creativi, artigiani e istituti d’arte.
Uno dei progetti più esemplari in
cui l’arte ha dato nuova linfa alla
città è l’Heidelberg projecy. Paesaggi fantastici, installazioni con
barche piene di pupazzi o stormi
di tetrapodi ricavati da ex aspirapolveri. «Questo è quello che serve a Detroit: una medicina per
cambiare la città», spiega il creatore Tyree Guyton. Il progetto,
aggiunge la manager di Tyree,
prevede anche la creazione di un
ostello per giovani, laboratori, e
imprese legate al turismo culturale. Qualcuno come Phil Cooley, artista e proprietario del ristorante BBQ Slows, ha scelto di
vivere a Detroit. «È un luogo dove la gente lavora insieme, non lo
lascerei mai. Nei posti più impensati fioriscono spazi creativi dove il topic costante è la rielaborazione dello spazio urbano», dice.
Come il Russell industrial center,
un laboratorio sociale ricavato
da una ex fabbrica, dove persone
come Oneita Porter, ex impiegata
Chrysler, ora creatrice di monili,
progetta nuovi spazi sociali condivisi. «È come se si fosse ricreato l’ambiente culturalmente fertile degli anni 60», sostiene Aaron Timlin, direttore dell’autorganizzato Contemporary art institute of Detroit. Tra le macerie,
forse una nuova cultura urbana
sta mettendo radici a Detroit, laboratorio inaspettato di nuove
pratiche e di nuovi modi di pensare la città.