Intervista a Calabrese – Gennaio 2003

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Intervista a Calabrese – Gennaio 2003
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PIETRO CALABRESE, direttore della Gazzetta dello Sport dal 1° marzo 2002. Nato a Roma l’8 maggio 1944, comincia nel ’69 all’Ansa
come cronista parlamentare, poi diventa corrispondente da Bruxelles, Parigi e Madrid. Nel ’77 entra al Messaggero come corrispondente dalla Spagna, nell’81 è nominato inviato e nell’87 caposervizio cultura. Con lo stesso ruolo passa nell’89 all’Espresso dove poi
diventa caporedattore. Rientra al Messaggero nella primavera ’93 come caporedattore centrale e nel febbraio ’95 è promosso vice direttore. Pochi mesi dopo lascia il quotidiano per dedicarsi come consulente a Olimpiadi 2004, la società che si occupa della candidatura di Roma alle Olimpiadi. Nel giugno ’96 torna al Messaggero da direttore; nel novembre ’99 passa alla Rai come direttore della Divisione Due; nel maggio 2000 è nominato responsabile delle attività multimediali di Rcs Editori e poi anche di Hdp.net. Nel febbraio
2001 diventa direttore di Capital che lascia il 1° marzo 2002 per La Gazzetta dello Sport (foto Graziano Villa).
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Mister 50mila ha fatto goal!
Ancora una volta Pietro Calabrese ha posato la sua mano santa
su una testata e quella è scattata in avanti di 50mila copie.
Ma il direttore geme: “Ho davanti un anno nero! Sarà terribile”
Pietro Calabrese da Roma. Pietro Calabrese del Tritone. Pietro Calabrese da Caltagirone. Non potrà mai dimenticare il suo giornale, Pietro Calabrese, il suo Mes saggero dove aveva già passato più di 15 anni quando il
primo giugno del 1996 la Montedison vende per 365 miliardi a Franco Caltagirone il quotidiano di Via del Tritone, nato in edicola il 16 dicembre del 1878.
Calabrese non dimenticherà mai quei cinque giorni,
dal primo al 6 giugno, quando il direttore Giulio Anselmi (“Il direttore dal quale ho imparato di più”) dà le dimissioni e lui gli subentra il 6 giugno.
Da quando nel maggio del 2000 Calabrese è arrivato a
Milano lasciando la Rai per la responsabilità delle attività multimediali della Rcs Editori, ha sopportato dentro le viscere questo bolo cocente del M e s s a g g e r o c h e ,
nel tentativo di uscire e tornare a Roma, gli ha addentato il fegato, scosso il cuore fino alla tachicardia, colpito
il braccio come se stesse per scatenarsi un infarto, avvinghiato la cervicale, paralizzato il piede destro. Ma, in
realtà, Calabrese non ha niente, è sano come un pesce,
ma soffre del mal d’amore per Il Messaggero, un male
che non lo lascerà mai più nemmeno ora che ha preso a
frequentare i piani alti dell’editoria dove entrano soltanto i direttori da pole position. Perché gli editori hanno
scoperto che Calabrese ha in tasca il segreto delle 50mila copie in più: come si avvicina a una testata, periodica
o quotidiana che sia, si china su di lei annusandola come una donna in calore e poi la manda in edicola accompagnandola con un pizzicotto nel culo che le fa fare
un salto di qualche migliaia di copie a numero. È successo così al M e s s a g g e r o, è successo così a C a p i t a l, che
era ormai un morto che camminava per abbrivo, ha fatto così alla Gazzetta dello Sport di cui parla in questa intervista.
Sì, certo, ama La Gazzetta dello Sport come tutte le testate che stuzzica fino a che tutti e cinque i sensi funzionano di nuovo come organi di chiesa stappati. Ma il suo
sangue rallenta ed esita nelle vene soltanto quando gli
dite M e s s a g g e r o.
P r i m a - L’altro giorno, quando le ho telefonato per
l’intervista, le ho chiesto: allora il miracolo è riuscito?
Cambiare La Gazzetta senza toccare la sua anima? Lei
mi ha detto di sì.
Pietro Calabrese - Cambiare La Gazzetta, un quotidiano diretto negli ultimi 19 anni da Candido Cannavò –
il giornalista che di calcio e di sport ne sa più di tutti i
giornalisti che ci sono sulla faccia della terra – beh,
cambiare un quotidiano così è come operare un vecchio
cardiopatico facendogli il solletico sotto i piedi. Il rischio che ti rimanga sotto i ferri è assoluto.
Prima - La Gazzetta vende sulle 50mila copie in più da
quando lei ha cominciato l’operazione. Vuol dire che ha
vinto la scommessa?
P. Calabrese - Per ora. Modificare La Gazzetta senza
perdere copie – e anzi guadagnarne – è solo il primo capitolo del libro sulla rivoluzione morbida della Gazzetta
che voglio scrivere fino in fondo.
Prima - E se il cuore del paziente non regge? La Rcs
Editori gli ha affidato una testata leggendaria. Non è
che lei, per strafare, la strangola.
P. Calabrese - No, sono sicuro di no.
Prima - Perché è così sicuro?
P. Calabrese - Quando dieci mesi fa stavo rimuginando le mosse più difficili per modificare La Gazzetta – rivedere l’ufficio centrale dei redattori capo, l’anima di
ogni giornale; schiumare le troppe rubriche; rivedere la
grafica, la prima pagina soprattutto; togliere la televisione dalla seconda pagina che per un giornale sportivo è
come gelare i suoi lettori più accaldati – ecco, mentre mi
stavo attrezzando per dare la scalata alla Gazzetta, mi
rendevo conto che mi stavo giocando la pelle.
Prima - Non ci vuole grande intuizione per capire che
molti speravano che rimanesse incrodato sulle mura della Gazzetta mentre i corvi le mangiavano il fegato.
P. Calabrese - Non stento a crederlo, come si dice. Ma
io avevo due carte sulle quali potevo contare a occhi
chiusi: una era che La Gazzetta è un quotidiano costruito da Cannavò con acciaio e cemento armato; e due, che
i 160 giornalisti della G a z z e t t a sono una redazione
straordinaria, che ha tutti, ma proprio tutti i più bravi
specialisti in ogni tipo di sport. Una forza di urto contro
i nemici esterni ma anche interni. Voglio dire che era
evidente che tutti loro si sarebbero schierati a difesa della Gazzetta se mi fosse tremato il bisturi. Lei immagini:
un giornalista romano, che di sport e calcio ne sa poco o
niente e che pretende di modificare quello che ha fatto
Candido Cannavò, un padre amatissimo e temuto, che
quando loro facevano le assemblee, dopo un’ora al massimo spalancava la porta e brontolava: “Beh, ora mi avete rotto i coglioni: tutti al lavoro!”. Insomma, ero convinto che certe innovazioni della G a z z e t t a erano indispensabili; ma sapevo anche che la redazione – nonostante tutto – sarebbe stata dalla mia parte mentre tentavo di cambiare il giornale. Erano pronti a fare i conti
con me, se andava male. Ma dopo. Mi avrebbero buttato
dalla finestra se avessimo perso una sola copia. Ma il responso dell’edicola è stato netto: avanti così, a tutta forza.
Prima - Scusi, sa egregio direttore. Capisco che lei sia
un direttore con una buona peluria sullo stomaco e che
non si farà sorprendere certo a fare il ganassa per i risultati ottenuti, ma non le sembra eccessiva quella faccia incazzata, come se le fosse morto il gatto. Si rilassi,
santo Iddio!
P. Calabrese - C’è poco da rilassarsi perché l’anno che
abbiamo davanti qui al gruppo, e particolarmente noi
della Gazzetta, è di quelli da farsi il segno della croce.
Certo che glielo spiego… Lei se ne intende un po’ di
sport, di calcio…
P r i m a - So che sono in undici, e che inseguono un
pallone tondo… più o meno.
P. Calabrese - Vedo che lei è un esperto. Sa per caso
cosa sono per i giornali sportivi gli anni dispari?
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“Enrico Greco mi ha accompagnato nella redazione della ‘Gazzetta’ l’11 marzo,
che era il mio primo giorno di scuola alla ‘Gazzetta’”
Nella foto sopra, Enrico Greco, a destra, con Candido Cannavò (foto Imagoeconomica).
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Prima - Quelli che portano male…
P. Calabrese - Quelli sono gli anni bisestili. Ma per un
giornale sportivo la differenza è niente. Faccia conto, insomma, che l’anno dispari per un giornale sportivo è un
anno in cui non succede niente. Lei conosce il ritmo dei
Campionati del Mondo, tornei internazionali, Campionati europei? Niente, eh? Va beh, ma non si impressioni:
faccia finta che nel 2003 non c’è niente, nel 2004 le
Olimpiadi ad Atene e gli Europei di calcio, nel 2005
niente, nel 2006 i Mondiali di calcio in Germania… capito come funziona? Ecco, ora ci troviamo di fronte al
2003, che è un anno buio. Ed è buio non solo perché
non ci sono grandi avvenimenti sportivi che tirano le
vendite, ma perché in tutto il mondo c’è una fiacca nei
consumi che così non s’è mai vista e perché in Italia abbiamo una crisi dell’investimento pubblicitario che per
amor di patria facciamo finta che non sia disastrosa…
Prima - Sembra che al suo gruppo questa crisi sia costata cento miliardi di lire in meno rispetto al 2001. Giusto?
P. Calabrese - Credo che le cifre siano più o meno
quelle. Ora, se mette insieme l’anno buio e crisi della
pubblicità, lei capisce che i dieci mesi di successo che
abbiamo avuto con La Gazzetta mi andranno di traverso.
Prima - Mi sembra che lei sia già andato sotto questo
mese rispetto ai favolosi dodici o addirittura diciannove
per cento in più che ha registrato nei mesi passati.
P. Calabrese - Sì, ma il meno 2% cui lei si riferisce è
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in effetti determinato da due fattori: c’è mancato a dicembre un turno di campionato, che da solo vale il 2%, e
in più c’è stato il taglio di tiratura dell’azienda sulla diffusione all’estero della Gazzetta. Certo, è una cosa che fa
rabbia in pieno sviluppo della G a z z e t t a, ma non possiamo prendercela con l’azienda se vuol mettere una toppa
sui cento miliardi in meno di pubblicità tagliando un po’
i costi.
Prima - Bravo, così parla un direttore che se ne intende.
P. Calabrese - C’è poco da prendere in giro.
Prima - Ma no, non la prendo in giro. Dico soltanto
che gli è andata bene nel rilanciare una testata leggendaria come La Gazzetta: che lei nemmeno ci sperava in un
successo così netto. E allora non mi sembra ora il caso
di mettersi a fare il piagnone. Tanto la concorrenza –
che poi lei la concorrenza non ce l’ha nemmeno – sa che
la perdita di copie dipende dalle decisioni dell’azienda di
risparmiare sulla diffusione estera.
P. Calabrese - Il ferro bisogna batterlo finché è caldo.
P r i m a - Se lei si guarda intorno, vedrà una folla di
fabbri che batte inutilmente il ferro caldo. Ma senta un
po’, a me sembra che il punto che stiamo facendo sulla
G a z z e t t a e sul mestiere dell’editore non è completo se
non diciamo una cosa: che il successo anche del più bravo direttore di questo mondo dipende dall’aiuto che gli
d à l ’a zienda dove lavora . E che se il manag ement
dell’azienda gli mette i bastoni tra le ruote, quello finisce
per spezzarsi le gambe.
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“Il ‘Corriere’ ha ‘Repubblica’ che gli soffia sul collo e deve mantenere
a tutti i costi quel distacco di 50mila copie”
Nella foto sopra, Ferruccio de Bortoli, direttore del Corriere (foto Imagoeconomica).
P. Calabrese - Certo che è così.
Prima - Spieghi.
P. Calabrese - Beh, in dieci mesi di lavoro io ho avuto
sempre il management dalla mia parte.
Prima - Che esagerazione!
P. Calabrese - Perché dice così?
Prima - Perché manager e giornalisti sono come cani
e gatti. Il quotidiano esce tutti i giorni. Manager e direttore hanno motivi per sbranarsi minimo tre giorni alla
settimana.
P. Calabrese - Non nel mio caso.
Prima - Forse perché lei è stato deposto tra le braccia
dei suoi manager da Cesare Romiti in persona. Avrà pure avuto il suo peso, non crede?
P. Calabrese - Deve avere avuto la sua importanza,
certo. Ma io non dimentico che Enrico Greco, capo dei
quotidiani della Rcs Editori, mi ha accompagnato nella
redazione della Gazzetta l’11 marzo, che era il mio primo giorno di scuola alla Gazzetta. E nessuno glielo aveva chiesto.
Prima - Non faccia il sentimentale.
P. Calabrese - Non faccio il sentimentale. Ma lei capisce che se sono particolarmente sensibile agli atteggiamenti del top management c’è un perché.
Prima - Lei vuol dire che alla Rcs Editori sono più delicati di quel simpaticone di Franco Caltagirone (suo ex
editore del M e s s a g g e r o). Pensi che ha corso il rischio di
vederselo riapparire come un misirizzi al posto di Franco
Tatò… pensi che scena! Pronto, Calabrese?… mi sente?
P. Calabrese - La sento, la sento… Stavo parlando di
Greco che mi aveva accompagnato alla Gazzetta il primo
giorno di scuola. Beh, in dieci mesi di lavoro insieme di
problemi e di proposte ne avrò tirati fuori uno al giorno.
E lui non mi ha mai mandato al diavolo, con tutto quello che aveva da fare. Alle mie richieste ha sempre risposto con ragionamenti molto convincenti.
Prima - Che spiegavano perché i miliardi andavano al
Corriere e alla Gazzetta nemmeno una lira.
P. Calabrese - Perché il Corriere ha Repubblica che gli
soffia sul collo e deve mantenere a tutti i costi quel distacco di 50-60mila copie. La Gazzetta ha aumentato in
questi ultimi mesi le vendite di 50mila copie e per di più
non ha nessuno che gli soffia sul collo.
Prima - Lei, insomma, non ha proteste da fare se la
sua azienda investe sul Corriere.
P. Calabrese - Farei lo stesso, se dipendesse da me.
Perché l’investimento sul Corriere è per le nuove rotative
full color. A me va bene. Quando il Corriere avrà le nuove rotative, La Gazzetta potrà stampare con quelle attuali del C o r r i e r e. La Gazzetta ha bisogno di più pagine.
Metta che un lunedì oltre al calcio ci sia la Formula Uno
e Varenne. Beh, per noi, sotto il profilo giornalistico è
un massacro non poter stampare più di quaranta pagine
il lunedì. La Gazzetta è un giornale che il lunedì dovrebbe uscire a 48 pagine, non dico a 62, ma a 48 sì. Tenere
La Gazzetta a 40 pagine è un delitto. Tu sei morto, morto: nemmeno dieci righe sulle partite di serie C. Ma, di-
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“Questi manager mi vanno molto bene, a cominciare da Cesare Romiti
che mi ha regalato il più bel giocattolo della sua azienda”
Nella foto sopra, Cesare Romiti, a destra, presidente della Rcs Editori, con Pietro Calabrese (foto Olycom).
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co, sto parlando di città come Avellino, città grosse…
Tenere La Gazzetta a 40 pagine è come bestemmiare in
chiesa.
Prima - Ci fosse mai un direttore che dice: le pagine
che ho mi bastano. Deve essere una bulimia cartaria dei
direttori di giornali.
P. Calabrese - Veramente io avevo pensato anche alla
radio… Ma sì, appena arrivato mi sono battuto per avere
una Radio Gazzetta. Gazzetta + Radio Gazzetta era un
format di informazione spettacolare. Ma mi è stato spiegato con argomenti convincenti perché non si poteva fare quell’investimento. Un argomento soprattutto: non
c’erano soldi per comprare una radio, che non hanno
più i prezzi folli di cinque anni fa, ma sono sempre molto care.
Prima - L’hanno convinto. Voglio dire: lei ha creduto a
quello che le dicevano. Non ha fatto caso, voglio dire,
all’incazzatura del direttore del C o r r i e r e, de Bortoli, che
sacramentava perché gli utili del Corriere servivano a tappare tutti i buchi dell’azienda, compresi quelli della Hdp.
P. Calabrese - Senta, facciamola fuori questa storia.
Perché mi sembra che lei, sotto sotto, pensi che io sia un
provinciale che beve tutto quello che gli danno da bere.
Prima - Va bene, facciamola fuori. Se ci riesce.
P. Calabrese - Allora: è chiaro che sui grandi investimenti sono d’accordo con l’azienda che privilegia il
Corriere perché la sua leadership di mercato venga difesa? Ok, è chiaro. Ed è chiaro che ritengo che l’unico
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grande investimento che si potrebbe fare sulla Gazzetta
è Radio Gazzetta, e che non si fa perché mancano non i
ragionamenti di marketing ma i soldi? Ok, anche questo è chiaro. E finalmente: è chiaro che nell’anno terribile, il 2003, vedrei possibili minimi investimenti per
cassette, dvd e speciali della Gazzetta che renderebbero
subito più soldi di quello che costano con un’illuminazione del nostro budget pubblicitario interessante. Ok?
Prima - Parla come un libro stampato.
P. Calabrese - Non capisco questa sua diffidenza, anche un po’ offensiva, devo dire… E certo che è offensiva,
scusi sa… Io le racconto sentimenti anche riservati che
ho nei confronti dei manager di questa azienda, di quelli
che lavorano con me e lei mi fa la manfrina, ridacchia,
sospetta. E che cazzo!
Prima - Ma no, non è vero, direttore. Io non sono diffidente. Solo che sono stupito perché lei ha come un fremito commosso per gli uomini della sua azienda.
P. Calabrese - Commozione? Ma quale commozione!
Io non sono affatto commosso. Ma figuriamoci! Devo
soltanto confessare che – le piaccia o no – questi manager, questi top manager qui, rispetto a quelli che ho incontrato nella mia vita professionale, beh, questi mi
vanno molto bene. A cominciare da Cesare Romiti che
stimo, e al quale devo riconoscenza per avermi regalato
il più bel giocattolo della sua azienda.
Prima - Intende la direzione della Gazzetta dello
Sport?
P. Calabrese - Appunto.
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“Ho lavorato all’‘Ansa’, per ‘Il Messaggero’, per il gruppo L’Espresso,
per la Rai. Ma la Rizzoli se li mangia tutti”
Nella foto sopra, Franco Caltagirone (con gli occhiali), editore del Messaggero e del Mattino, con Pietro Calabrese (foto Imagoeconomica).
Prima - E lei questa direzione la considera un giocattolo?
P. Calabrese - Dico che dirigere un giocattolo favoloso come La Gazzetta è un regalo prezioso per un giornalista.
Prima - Ne sono convinto. Ma lei mi ha preso un po’
alla sprovvista con questo suo ‘anema e core’ con l’azienda. Non ci sono abituato… mi sembra Betlemme, il presepe, i re magi, il bue e l’asinello. Io sono rimasto alle iene e ai serpenti del caso di Claudio Calabi.
P. Calabrese - Non conosco la storia.
Prima - Lasciamo perdere. Anch’io tengo famiglia. Lei
quando era il direttore del Messaggero era il Re di Roma,
giusto?
P. Calabrese - Giusto.
Prima - E ora si sentirà il Re di Milano.
P. Calabrese - Ma va.
Prima - E perché no?
P. Calabrese - Perché io pago tutti i giorni un conto
salatissimo alla G a z z e t t a. Stare lontano da Roma e dalla
mia famiglia mi costa molto. Non sono di quegli sgarzolini che a stare lontano di casa gli si arruffano tutte le
penne e becchettano di qua e di là.
Prima - Madonna, come la mette giù dura. Sembra un
giornalista che dorme sotto i ponti del Lambro, invece
di un direttore con l’autista e Romiti che pensa a lui.
P. Calabrese - Vuole che la mandi a cagare?
Prima - Ma cosa vuol dire?
P. Calabrese - Vuol dire che lei parla come se non sa-
pesse che vita ho fatto prima di entrare alla Rizzoli. E
invece lei lo sa benissimo.
Prima - Lo dica lei.
P. Calabrese - Voglio dire che io ho lavorato all’A n s a,
per Il Messaggero, per il gruppo L’Espresso e alla Rai.
Questo è il quinto posto dove lavoro. E la Rizzoli se li
mangia tutti. Voglio dire che è un’azienda molto più…
Prima - Dica…
P. Calabrese - Molto più solida, dove si può lavorare
molto meglio che in qualunque altro posto dove ho lavorato.
Prima - Senta, direttore, ci siamo infilati in un fiume
di miele, zucchero e panna montata. Proviamo a uscirne.
P. Calabrese - Io non ho alcun problema ad apprezzare le persone che mi stanno intorno. E di dirlo. Ma lei,
invece… non è mica necessario che faccia il giornalista
duro e puro. Io dico quello che penso e lo penso sul serio. Ma lei può fare quello che vuole. Io alla Rizzoli mi
trovo bene, molto bene. E sa perché? Perché sono sicuro
che questa è un’azienda che rispetta quelli che lavorano
bene. In Rcs non ho mai visto fino ad ora che venga trattata male una persona che ha lavorato bene per l’azienda.
Prima - E?…
P. Calabrese - E penso che se mi comporto correttamente e ottengo i risultati che mi chiedono, l’azienda
avrà verso di me un atteggiamento positivo.
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“Io vorrei fare una ‘Gazzetta’ che celebra le vittorie dei grandi, come Schumacher o come
Valentino Rossi, che da solo vale i novanta centesimi della ‘Gazzetta’”
Nella foto sopra, Michael Schumacher al pitt stop (foto Ferrari Press Office).
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Prima - E?…
P. Calabrese - E quando non sarò più direttore della
Gazzetta l’azienda non mi butterà via.
Prima - E?…
P. Calabrese - E avrò un posto dentro l’azienda.
Prima - E?…
P. Calabrese - E quindi mi sento garantito e tutelato
da questa azienda. Insomma: non mi devo guardare le
spalle! E sono quindi sicuro che non sarò attaccato dai
giornali della Rcs Editori.
Prima - Allude?
P. Calabrese - Alludo. Tutto sommato – nel senso di
sommare tutti gli aspetti positivi trovati in Rizzoli – tutto sommato, dunque, sono contento di stare qui, di lavorare qui. E chi non la pensa come me peste lo colga!
P r i m a - Caro direttore, ma lo sa che è davvero una
bella soddisfazione parlare con lei. Perché lei è di quelli
che non ti racconta solo del passato e magnifica quello
che ha fatto; ma parla pure del futuro e ti dichiara che
sarà terribile. Peccato, eh, perché se fosse stato come
l’anno passato, se non ci fosse l’anno buio e la crisi della
p ub b l i ci t à c hi ss à co sa av r eb b e i nv en t a t o p er L a
G a z z e t t a. Non so davvero immaginarlo. Ma sarà perché
io non sono uno del mestiere, voglio dire un appassionato, uno sportivo. Magari se lo racconta lei…
P. Calabrese - Guardi, lei ha presente il Medioevo, i
tornei, i cavalieri, i cavalli, le spade, i nitriti, il polverone
degli scontri… Diciamo le battaglie di Paolo Uccello e le
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avventure di cappa e spada di Walter Scott e del suo Ivanohe? Ecco, io quello avrei fatto della Gazzetta se non ci
fosse stata questa congiuntura. E in effetti avevo già cominciato. Lei non se n’è accorto perché non è un grande
lettore della Gazzetta, e se le chiedo di che colore è la
carta della Gazzetta scommetto che ha un momento di
esitazione… Visto? Lo dicevo. Beh, le raccontavo che
avevo già cominciato a usare le pagine della Gazzetta c ome grandi tende per i tornei dei tifosi di calcio. Avevo
cominciato venerdì, sabato e domenica a dedicare tre
pagine a un format di racconti di atleti. Il format aveva
sulla cima della tenda le insegne della Gazzetta e il titolo
‘La Storia, le storie’. Ed era l’avventurosa vita dei capitani del pallone, del ciclismo e di altri sport famosi… storie di ragazzini che per qualche anno avevano mangiato
più fango che gloria, più erba del campo da gioco che
euro, più strilli che applausi, più calci negli stinchi che
pacche sulle spalle, più risolini di scherno che abbracci.
La vita, la vita giovane, lo sport, il cuore che salta in gola... il nemico che ti viene addosso e ti abbatte, e tu ti
rialzi che non ti sembra nemmeno di essere caduto, e
poi quell’urlo bestiale, l’urlo di tutto lo stadio, un urlo
che ti fa accapponare la pelle… goal!! cazzo! che è la cosa più bella che ci sia con il sudore che ti acceca gli occhi e tu piangi di gioia, cazzo! e abbracci i tuoi compagni e spalanchi la bocca che ti esce un grido pazzesco…
goal! goal!… Oppure senti il sibilo delle ruote che ti
stanno addosso mentre lo striscione dell’arrivo è lì davanti, ma non arriva mai, e senti il fiato di quelli che ti
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“Candido Cannavò, direttore per 19 anni… una direzione così lunga
che soltanto un uomo spiritato e geniale poteva reggere”
Nella foto sopra, Candido Cannavò (foto Almasio & Cavicchioni).
vorrebbero spazzare via, e trionfare travolgenti come il
vento e tu che non ce la fai più, le gambe irrigidite, i
muscoli che non si muovono più, che scoppiano e quello
che spunta sulla tua sinistra, come un mostro, e viene
avanti, viene avanti e tu gemi chiedendo ancora tre metri, soltanto tre metri… Ecco, vede… questa è la vittoria,
una cosa che non te la dimentichi più, che è la Storia,
che sono le storie di tutti quelli che tentano fino all’ultimo spasimo…, come gli Schumacher e i Valentino Rossi... questa è La Gazzetta che vorrei fare. Ma non so se ce
la farò, perché ho di fronte un anno buio e l’azienda che
deve risparmiare, e il Corriere che deve essere privilegiato perché ha dietro le spalle R e p u b b l i c a, piegata sulle
informazioni, che morde le pagine con quel piccolo direttore, Ezio Mauro, che ha pronto un grido che nemmeno Majorca avrebbe potuto urlare uscendo da un inferno di 200 metri sotto acqua.
Prima - Riprenda fiato, direttore, che mi preoccupa.
P. Calabrese - Eppure è così che bisogna fare con
questa G a z z e t t a. Si può fare ancora, si può fare ancora,
forse.
Prima - Quanto tempo ha davanti per riuscirci?
P. Calabrese - Si ricorda come dice Massimo Quinto Meridie, gladiatore e generale delle legioni del settentrione
quando Commodo gli chiede da quanto tempo è lontano da
casa? Ecco, anch’io ho a disposizione ancora tre anni, dieci
mesi, sette giorni e questo pomeriggio. Perché un direttore
non può stare più di quattro anni alla guida di una testata,
cinque se proprio l’editore glielo chiede in ginocchio.
Prima - E Candido Cannavò, allora?
P. Calabrese - Candido è stato e rimane il numero
uno del giornalismo sportivo, la firma più prestigiosa,
continua a scrivere sulla Gazzetta e scrive le cose migliori. È il numero uno. Ed è rimasto il numero uno per 19
anni. Una direzione così lunga che solo un uomo spiritato e geniale poteva reggere.
Prima - E lei, invece?
P. Calabrese - Io sono un direttore da squadra. Io faccio squadra.
Prima - Eppure ha qualcosa di straordinario perché è
riuscito a vendere 50mila copie più di Cannavò?
P. Calabrese - Sono stato aiutato da una stagione ricca di eventi sportivi.
Prima - Oh, santo cielo, come l’ha detto male. Si sente
che il primo a non crederci è proprio lei. Faccia uno
sforzo: dica qualcosa di più.
P. Calabrese - Felice La Rocca, l’uomo che mi ha
assunto al M e s s a g g e r o, e il giornalista da cui ho imparato di più, ogni tanto mi veniva a trovare a Via del
Tritone e mi diceva: “Tu, direttore, non capisci un
cazzo di un sacco di cose. Ma c’è una cosa che ti invidio: sai portare in prima pagina una notizia che altri
direttori mettono in quinta. Ed è quella che i tuoi lettori vogliono”.
Prima - E qual è il segreto?
P. Calabrese - Forse la leggerezza. La leggerezza della
vita, dei fatti, dei racconti.
Intervista di Umberto Brunetti
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