I madrigali di Michelangelo
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I madrigali di Michelangelo
Sintesi della presentazione dei commento ai Madrigali di Michelangelo Michelangelo fu grandissimo scultore, nessuno lo può negare. E come scultore fu particolarmente pagato ed apprezzato a suo tempo, scultore diventò in opposizione al padre che stimava vile la scultura e disdicevole per il suo supponente livello sociale, per lui era accettabile tutt’al più la pittura tanto da permettere al figlio di andare a bottega da un pittore, del Ghirlandaio Ma fu, a mio parere, ancora più grande come pittore, direi: massimo pittore proprio perché personalmente non si sentiva pittore, massimo pittore contro sua voglia, però straordinario pittore anche se produsse maggiormente opere di scultura . Ricordo ancora l’emozione di me poco più che ventenne nel vedere nei miei consueti Uffizi la tavola restaurata del “Tondo Doni”, mi saltarono agli occhi stupefatti quei “rossi” vivaci, gli “arancio“ cangianti, i “verdi” teneri, gli “azzurro” intensi, quasi sfacciati, i “viola” pallidi, le lontananze ed i primi piani trasfigurati nel variato contenuto seppure ambedue grandiosi, nei teneri incarnati, colori che mai avevo trovato in pittori precedenti. (Ed il colore è essenziale nelle opere di pittura). Un cangiarsi continuo di colori che, nel tempo, l’amorfo grigiore della vernice sovrapposta aveva trasformato in un grandioso monumentalismo ma niente più. Il dipingere di Michelangelo era svanito, era nascosto. La verità, come sempre restava al dilà dell’apparenza. Nessuno prima di Michelangelo aveva osato usare quei colori che ritroveremo poi nel Rosso Fiorentino, nel Pontormo nel Beccafumi ed in tanti altri. Non li aveva usati Cimabue, non Giotto né Masaccio, né Gentile da Fabriano, e neanche il genio innovatore di Leonardo, non Raffaello, non i precedenti veneziani. Ma ancora più grande,per me, fu il Michelangelo poeta; è, insieme a Tasso ed Ariosto fra i più grandi poeti del ‘500 e della poesia mondiale. Lo attestano le sue rime (e, tra le rime, ancora di più i suoi sonetti ed i suoi madrigali) , quasi sconosciute o , se conosciute , conosciute ed apprezzate soltanto da pochi. Più volte Michelangelo ebbe ad affermare di non essere poeta e di non sentirsi pittore forse per volontà di falsa modestia, o per orgogliosa coscienza di sommo scultore. Chissà. Come scultore soprattutto era stato già proclamato ed osannato. E poi la scultura fu per lui fonte di grande guadagno; la poesia, no. Anzi, la doveva tenere nascosta, per prudenza. A scuola non me lo fecero apprezzare, un po’, se ben ricordo, mi fu parlato del sonetto scritto mentre dipingeva il soffitto della Cappella Sistina e dei versi sulla ”Notte”, ma non nelle lezioni di letteratura italiana ma a storia dell’arte, senza valorizzarne né contenuto né forma bensì me ne accennarono soltanto come semplice aneddoto, Tra l’altro anche il De Sanctis l’aveva trascurato assolutamente nella sua storia della letteratura italiana che informò generazioni di studenti. Il Croce, poi, avrebbe affermato che in quelle rime il gran Michelangelo non era poeta e che non era veramente, o solo in rari tratti, un Michelangelo poeta ed artista. Scrisse infatti: “Erano innamoramenti di varia qualità, talvolta sensuali, più spesso sentimentali e fantasiosi, rimasti nel vaneggiamento e corteggiamento e nel desiderio; era l’ideale dell’amor platonico, per la somma bellezza beatificante, cui anch’esso credeva; erano le insofferenze e gli scatti di un temperamento tempestoso, di un animo virile che spesso si sentiva malsicuro e che inclinava al pessimismo; la tristezza degli anni tardi, che la seduzione dell’amore ancora visitava e pungeva, e sconvolgeva dolorosamente; la paura e l’attrazione insieme della morte , che dà pace; gli impeti di zelo e fervore religioso, della tradizionale religione, che in lui non soffrì mai travagli eterodossi” Calzolaio che non andava al di là della ciabatta, absit iniuria verbo. E seguitando: “E li metteva in verso nelle forme consuete della letteratura del suo tempo, qualche volta stambottesche, rusticane e bernesche ma il più delle volte petrarchesche, trattandole senza la disciplina e l’abilità del letterato, e perciò con improprietà, zeppe, oscurità, contorsioni, durezze, che non si possono accettare, perché realmente sgradevoli, e non si osa, nonché desiderare, neppur ideare che egli le avesse addolcite e abbellite con l’abile letteratura neppure essa di certo gradevole.....” E via di seguito, segno che appena appena le aveva scorse ma senza capirne alcun che. Furono quegli “innamoramenti di varia qualità” che nel periodo fascista, col suo Minculpop tutto teso all’esaltazione della virilità guerriera e della razza pura, misero da parte il Michelangelo poeta, andazzo che continuò nel perbenismo bacchettone del dopoguerra democristiano. Perché Michelangelo, con le sue poesie, scava nel suo intimo, scende nel profondo della sua mente con una sincerità che sconvolge, mette a nudo la sua omosessualità scorticando la sua pelle e facendola sanguinare. Una omosessualità intrisa di dolore, difficilmente intravedibile in un artista titanico quale era e per tale motivo, per tanti, la sua omosessualità non era accettabile perché ne sarebbe stata sminuita la grandezza dell’artista. Michelangelo, innamorato di natura, non poteva vivere senza l’amore, anche se ne pativa la spasimante crudeltà, illusione o realtà che fosse; il suo amore lo portava al di là della sua sessualità anatomica, lui vede infatti “un uomo in una donna, anzi un dio” quasi che vedendo, nel corpo di un maschio, (nel profondo del suo “essere”) una donna nascosta e mascherata da maschio, una donna paragonabile ad un dio creatore di forme e “genitrice”, riportando il corpo umano nella sua primitiva essenza, addirittura prima della creduta creazione di Eva. Sembra che la sua sessualità si rivolga addirittura all’Adam primordiale od addirittura all’essenza del Dio biblico che secondo interpretazioni bibliche è madre oltre che padre, maschio e femmina insieme,che “simile a sé lui lo creò”, l’uomo. Certamente la sua frequentazione in casa Medici, (in quell’ambito culturale intriso di neo platonismo e certamente di raffinatezze non comuni), influenzò Michelangelo e certamente lì, alla corte medicea, avrà imparato anche a leggere Dante e Petrarca dei quali, specie di Dante, fu appassionato cultore. Il Foscolo, afferma: ”in gioventù sappiamo che la sera egli leggeva agli amici Dante e Petrarca.” E Michelangelo, nelle rime, talora, manifesta anche la reminescenza di Petrarca. Ma,oltre che quella di casa Medici, non si deve dimenticare però la sua frequentazione del convento agostiniano di Santo Spirito, a Firenze, le cui stanze mortuarie furono palestra di segreta, notturna notomia per la permissione del Priore di Santo Spirito, un uomo di ampie vedute. E fu denso e partecipato il suo agostinismo, (uguale e pari del resto all’agostinismo della Colonna vista da qualcuno come luterana), cui tante volte Michelangelo ritorna (pur non essendo, lui, un luterano; semmai è da ricordare che Lutero fosse un agostiniano): “poi che non fusti del tuo sangue avaro che sarà di tal don la tua clemenza se il ciel non s’apre a noi con altra chiave” Ed ancora “Non mirin co’ iustizia i tuo sant’occhi il mie passato, e ‘l gastigato orecchio non tenda a quello il tuo braccio severo. Tuo sangue sol mie colpe lavi e tocchi, e più abondi, quant’i’ son più vecchio, di pronta aita e di perdono intero.” Ed in altra parte ancora, alla fine di una quartina “fuor del tuo sangue no fa l’uom beato” ed in un frammento di sonetto “Signor mie car tu sol che vesti e spogli, e col tuo sangue l’alme purghi e sani da l’infinite colpe e moti umani” Ed infine “Ma pur par nel sangue tuo si comprende se per noi par non ebbe il tuo martire, senza misura sien tuo cari doni”. Così, a testimonianza della sua frequentazione di Santo Spirito e di Sant’ Agostino. Ma è anche da ricordare la sua partecipazione alle idee savonaroliane. Michelangelo fu certamente l’artista più versatile ed il più colto e preparato di tutti i tempi. Il madrigale, una composizione poetica varia sia nella lunghezza della composizione, sia nella lunghezza del verso, endecasillabi alternati con versi più corti, di solito settenari, sia nel variato alternarsi delle rime che lo fa ben diverso del sonetto che comporta regole più severe; il madrigale permette più libertà del sonetto. La differenza di lunghezza del verso insieme alla rima variata danno al madrigale una possibilità di un variabile presentarsi, di un diverso danzare; anzi il succedersi delle varie rime danno luogo ad un metaritmo, oltre il ritmo all’interno del verso. Tale metaritmo talora si adegua al contenuto del madrigale. Lo sottolinea, lo coinvolge, ne fa un tutt’uno splendidamente evocativo. Il discorrere michelangiolesco é talora duro, talora oscuro, talora difficilmente comprensibile, ciò che può averne scoraggiato la lettura ma non perciò può dirsi brutto e non poetico. Le parole del discorso restano talvolta ostili e talora quasi, o del tutto, incomprensibili, e talora diventano parti di voli pindarici dato il carattere irruente, problematico ed introverso, e fantasioso, di chi scriveva quelle parole che non erano parole ma cose “e’ dice cose, e voi dite parole” come ben si esprime il Berni nel Capitolo a Fra Bastian Dal Piombo. Il che può rendere ostica la lettura ma che, superandone lo scoglio, ben si appiana. Chi non supera l’ostacolo dice che Michelangelo è incomprensibile. Del resto, di fronte alle variazioni sintattiche e grammaticali risontrabili nelle rime di Michelangelo, (talora è difficile capire dove si sia rintanato il soggetto), rime che spesso si fanno personalissime dato la tempra dell’autore ma che denotano abbreviazioni, dilatazioni, espansioni. E restano allora i segni come segni di subbia che abbiano fatto partire schegge, e che schegge. La sintesi strutturale ed inusuale dell’analisi logica e grammaticale è presente in tante sue rime che incatenano e racchiudono idee e immagini. Questo è Michelangelo. Un segnare rapido e furioso che rimanda al suo “non finito”. Così ci fa sentire indispensabile la nostra personale partecipazione per poter fruire appieno i Madrigali di Michelangelo. Si gode l’opera d’arte quanto più la si ama e tanto più ci commuove; e se ne gusta e si apprezza la sua grandezza e bellezza quanto più si ama l’autore, l’amore che trasforma in gaudio l’improvvisa, estasiante inaspettata bellezza. Perché l’opera d’arte si possa dire compiuta è necessaria la partecipazione dello spettatore che vede e gusta quell’opera d’arte, l’artista non opera solo per sé stesso ma anche e soprattutto per chi vede ed apprezza l’opera. Anzi, chi gode l’opera dell’artista la porta a compimento nella propria mente. Solo chi sa amare passionalmente può apprezzare Michelangelo poeta nella sua interezza. Evidentemente il Croce e quelli come lui non lo sapevano fare. E non lo capirono, non lo gustarono, malauguratamente per loro.