L`executive compensation: principi, strumenti e tendenze
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L`executive compensation: principi, strumenti e tendenze
RIVISTA DEI DOTTORI COMMERCIALISTI AnnoSLXVSFasc.S4S-S2014 ISSNS0485-2281 SandroSCataniSeSBrianSTerracciano « L’EXECUTIVE COMPENSATION: PRINCIPI, STRUMENTI E TENDENZE » Estratto MilanoS•SGiuffrèSEditore CORPORATE GOVERNANCE ARTICOLI L’EXECUTIVE COMPENSATION: PRINCIPI, STRUMENTI E TENDENZE di SANDRO CATANI e BRIAN TERRACCIANO 1. La Crisi e l’Executive Compensation. La remunerazione delle elite, politiche o economiche, rappresenta in Italia un tema particolarmente controverso. Se una certa attenzione ai compensi dei vertici aziendali è sempre stata presente negli ultimi 20 anni, la crisi del 2008 ha accentuato l’azione dei regolatori, degli investitori e della pubblica opinione sui compensi stellari dei vertici aziendali, in primis del settore finanziario. Di fronte a una crisi economica ed occupazionale senza precedenti negli ultimi 80 anni (fra il 2008 e il 2013 l’Unione Europea ha perso circa 6,36 milioni di posti di lavoro), molti manager aziendali si sono infatti ritrovati a dover giustificare compensi difficilmente difendibili o quantomeno poco coerenti con le performance aziendali. Vi è di più: i vari Paywatch pubblicati nel tempo, non hanno evidenziato alcun calmieramento dei compensi del Top Management, anzi ne segnalano un generale aumento. Nei Paesi anglosassoni il divario fra la remunerazione del Top Management e il lavoratore medio si è addirittura ampliato nel corso della crisi. Ne è un sintomo la decisione della Securities and Exchange Commission (SEC) americana nell’autunno 2013 di richiedere alle aziende la comunicazione del differenziale retributivo: la distanza tra la remunerazione del compenso del CEO rispetto a quello del lavoratore medio nella stessa azienda. Anche in Italia non sono mancate accese polemiche sui livelli retributivi, ritenuti da alcuni osservatori ingiustificati. Tuttavia, l’attuale dibattito è focalizzato eccessivamente sull’ammontare dei compensi (il quanto è tema indubbiamente importante), mentre tralascia l’aspetto rilevante: il come sono pagati i nostri capi-azienda e i manager di livello più elevato. Allo scopo di comprendere approfonditamente Rivista dei Dottori Commercialisti 4/2014 729 ATTUALITÀ E PRATICA PROFESSIONALE questo secondo aspetto è necessario fornire una definizione dell’Executive Compensation (1) e la funzione della politica retributiva nell’impresa moderna, caratterizzata dalla separazione del controllo dalla proprietà, come illustrato da Berle e Means (2) nel loro saggio del 1932. 2. Il reward: funzione strategica dell’Impresa. L’Executive Compensation afferisce a un sistema di principi e meccanismi che regolano i compensi delle risorse di vertice di un’azienda. La sua funzione obiettivo è quella di ottimizzare il costo dei fattori organizzativi rispetto alle performance (3) e di allineare il comportamento dell’Agente (il management) rispetto agli interessi del Principal (l’azionista). È questa la visione prevalente, nota come teoria dell’Agenzia, che si fa risalire a Jensen e Meckling e alla loro Theory of the Firm (1976). In termini semplici, attraverso la politica retributiva l’azionista si dota di uno strumento di governance ex ante, capace di indirizzare il comportamento dei manager verso gli obiettivi concordati. La politica retributiva opera su tre dimensioni: 1. Il livello retributivo totale, inteso come il costo totale che l’azionista ipotizza di pagare per il conseguimento dei propri obiettivi. Una scelta che indirizza la ricerca del manager verso certi mercati del lavoro manageriali piuttosto che altri; 2. La relazione tra la performance e il compenso, cioè l’algoritmo che prevede il/i parametro/i di performance e il variare del compenso al variare dei risultati; 3. La composizione del pacchetto: la componente fissa rispetto a quella variabile, l’incentivo legato a risultati di breve termine o lungo termine. Il Codice di Autodisciplina delle aziende quotate alla Borsa Italiana, uno dei principali riferimenti (4) in merito, definisce quali Executive gli Amministratori Esecutivi e i Dirigenti con responsabilità strategiche. Oltre a stabilire i destinatari delle politiche retributive, il Codice di Autodisciplina ne definisce principi e obiettivi, nell’articolo 6 dedicato. Secondo il Codice, la remunerazione degli Executive dovrebbe essere: • stabilita in misura sufficiente ad attrarre, trattenere e motivare i migliori talenti; • articolata in modo tale da allineare gli interessi del management con il perseguimento dell’obiettivo della creazione di valore per gli azionisti in un orizzonte di medio-lungo periodo; (1) Non verranno trattate le politiche e le prassi di remunerazione presso le banche e i gruppi bancari soggette alla regolamentazione di Banca d’Italia (2) The private corporation and private property, 1932. (3) Coase. (4) I principali riferimenti dell’Executive Compensation: l’Art. 2389 del Codice Civile, il Codice di Autodisciplina di Borsa Italiana, luglio 2014, l’art. 114 bis del Testo Unico della Finanza introdotto dalla legge 262/2005, il Regolamento Emittenti e la Raccomandazione 2009/385/CE della Commissione Europea. 730 Rivista dei Dottori Commercialisti 4/2014 CORPORATE GOVERNANCE • legata ai risultati economici raggiunti e/o ad obiettivi specifici. 3. Le componenti di un pacchetto retributivo. Figura 1 - Componenti della remunerazione e strumenti contrattuali dell’Executive Compensation - Fonti varie Poiché la funzione dell’EC dovrebbe garantire l’allineamento degli interessi tra l’azionista e il management, il Pay for Performance (o P4P), rappresenta il carattere fondamentale delle politiche retributive. Perciò anche nel nostro Paese una parte importante della remunerazione totale di un manager è progressivamente variabile e correlata al conseguimento di specifici obiettivi. Una buona politica di Executive Compensation prevede un mix equilibrato delle sue componenti: remunerazione fissa, benefit, perquisite, variabile di breve (Management by Objectives o MBO) e variabile di lungo termine (Long Term Incentive o LTI). La componente variabile di breve termine è, tendenzialmente, uno strumento monetario (di tipo cash) previa verifica del raggiungimento degli obiettivi fissati su base annuale e collegati di norma al budget. La componente variabile di lungo termine viene invece erogata su un Rivista dei Dottori Commercialisti 4/2014 731 ATTUALITÀ E PRATICA PROFESSIONALE arco temporale generalmente di tre anni, al fine di impegnare il Top Management su un orizzonte temporale ampio al fine di orientare il top management verso la sostenibilità della performance nel tempo. Un pay mix eccessivamente orientato alla componente fissa potrebbe portare ad una de-responsabilizzazione del management per quanto concerne le performance aziendali, viceversa un pacchetto retributivo con una forte preponderanza della componente di breve termine potrebbe portare il management ad assumere rischi eccessivi nella conduzione del business. Inoltre, l’incidenza delle componenti deve rispecchiare i diversi livelli di responsabilità assunti dagli Executive: è legittimo ipotizzare che un Dirigente con responsabilità strategiche abbia un pacchetto retributivo caratterizzato da una maggior incidenza del fisso rispetto a quello di un Amministratore Delegato. Risulterebbe anomalo che un Amministratore non esecutivo percepisca un compenso variabile di breve termine. In ultima analisi, la composizione del pacchetto retributivo assume un ruolo fondamentale nel contemperare la propensione al rischio (aspetto comunque ineludibile nei business) con la tensione degli Executive verso risultati verificabili. L’opportunità di valutare la performance di un Executive sulla base di risultati oggettivamente misurabili è il secondo elemento fondamentale di una buona politica di Executive Compensation. Infatti, se da un lato è importante che una quota consistente della remunerazione sia variabile, è altrettanto vero che quest’ultima deve essere ancorata a espliciti parametri di performance, coerenti con la strategia di quella impresa. Figura 2 - Albero dei parametri di performance - Nagima. Un’azienda che dichiari fra gli obiettivi strategici ad esempio l’aumento 732 Rivista dei Dottori Commercialisti 4/2014 CORPORATE GOVERNANCE dei ricavi o un determinato mix dei ricavi per servizi, dovrà per esempio includere il fatturato fra i parametri di performance della politica retributiva: un aumento della remunerazione variabile dell’Amministratore Delegato dovrà essere giustificato da un aumento dei ricavi e dal conseguimento del mix fissato. Infine, è rilevante stabilire i parametri di riferimento della politica retributiva: è cruciale definire l’algoritmo che lega la performance al premio. Infatti, se il primo passo è stabilire a quale parametro si desidera ancorare la componente variabile, il secondo sarà necessariamente definire i valori per i quali viene effettivamente erogato il premio: la soglia (threshold), l’obiettivo (target) e il tetto (cap). La soglia definisce il valore minimo del parametro stabilito, al di sotto del quale non viene erogato alcun premio. Il target rappresenta invece il livello di performance, generalmente identificato nel budget o nel piano industriale dell’azienda, per il quale si matura il premio obiettivo. La curva che mette in relazione questi valori dell’obiettivo e del compenso possono essere disegnate in modo differente, come mostrato di seguito, e consentono di avere sistemi più o meno sfidanti, in funzione dello specifico parametro, della situazione de settore, della cultura aziendale. Figura 3 - Modelli di incentivazione per il Top Management. 4. Gli strumenti finanziari. Dagli anni ’80 la politica retributiva è stata caratterizzata da un ricorso Rivista dei Dottori Commercialisti 4/2014 733 ATTUALITÀ E PRATICA PROFESSIONALE crescente degli strumenti finanziari che hanno altresì determinato la crescita esponenziale dei compensi dei manager. Gli strumenti più comuni nella prassi appartengono alle due grandi famiglie: le stock option (opzioni) e le stock grant (azioni). Figura 4 - Albero degli strumenti variabili di compensation. Le stock option attribuiscono al beneficiario il diritto di acquistare titoli rappresentativi del capitale di rischio della società. Le opzioni attribuite concedono il diritto di acquisire le azioni entro un dato intervallo di tempo (periodo di esercizio) e ad un determinato prezzo (prezzo d’esercizio o strike price). In questo caso, il beneficio in capo al partecipante al piano è pari al differenziale fra il prezzo dell’azione al momento dell’assegnazione dell’opzione ed il prezzo dell’azione al momento dell’esercizio del diritto di opzione. Un piano di stock grant, prevede invece l’assegnazione di azioni a titolo gratuito o con sconto sul valore di mercato ai partecipanti. Il beneficio monetario è pari al valore dell’azione al momento dell’assegnazione stessa, moltiplicata per il numero delle azioni assegnate. 734 Rivista dei Dottori Commercialisti 4/2014 CORPORATE GOVERNANCE Figura 5 - Funzionamento delle stock option e delle stock grant. Le stock option e le stock grant differiscono in due aspetti fondamentali: il profilo di rischio e il potere incentivante. Il rischio di perdita di valore delle opzioni è infatti superiore a quello delle azioni: se il prezzo del titolo scende al di sotto del prezzo di esercizio, il beneficiario delle stock option perde l’intero valore dell’incentivo. Al contrario, il destinatario di azioni vedrà “solo” diminuire il valore del premio assegnato proporzionalmente alla riduzione del valore di mercato del titolo. Se il profilo di rischio è indubbiamente più basso nel caso delle stock grant, le stock option presentano un potere incentivante maggiore: a parità di variazione del valore del titolo, determinano una maggiore variazione percentuale dell’entità del compenso. 5. La comunicazione della politica retributiva nelle aziende quotate. L’attenzione dei regolatori, degli analisti e degli investitori dalla crisi del 2008 è concentrata sul presidio di due condizioni: 1. Le decisioni in materia di politica retributiva siano fatte secondo le regole fissate e dai ruoli previsti (Comitato di Remunerazione, Consiglio di Amministrazione, Assemblea dei soci); 2. Che i pagamenti avvengano a fronte di performance predeterminate e misurate. Per questi motivi si assiste a una crescente e progressiva pressione sulla disclosure e trasparenza delle decisioni ex ante e ex post della politica retributiva. Le società quotate sono tenute a dimostrare al mercato l’allineamento delle proprie politiche retributive alle best practice e mostrarsi compliant alle regole previste in materia dalla Consob e dal Codice di Autodisciplina. Rivista dei Dottori Commercialisti 4/2014 735 ATTUALITÀ E PRATICA PROFESSIONALE In data 23 dicembre 2011, mettendo l’Italia finalmente in pari con le indicazioni Europee, la Consob ha pubblicato la delibera n. 18049 con cui modificava il Regolamento Emittenti. Con tale documento, la Consob ha dato attuazione alla delega contenuta all’art. 123-ter TUF, tenendo nel debito conto sia le nuove disposizioni emanate dalla Banca d’Italia e dall’Isvap (oggi IVASS), sia le novità introdotte nell’ambito dell’autoregolamentazione. In materia di trasparenza informativa sulle remunerazioni, l’art. 123-ter TUF ha previsto che le società con azioni quotate mettano a disposizione del pubblico, almeno 21 giorni prima dell’assemblea annuale chiamata per l’approvazione del bilancio una relazione sulla remunerazione e ha delegato la Consob, sentite Banca d’Italia e Isvap, ad adottare un regolamento per indicare le informazioni da includervi. Rispetto alla relazione sulla remunerazione, il nuovo art. 123-ter del TUF stabilisce che detto resoconto sia articolato in due sezioni: 1. la Prima Sezione illustra la politica di remunerazione dei componenti dell’organo di amministrazione, dei direttori generali e dei dirigenti con responsabilità strategiche con riferimento almeno all’esercizio successivo e le procedure utilizzate per l’adozione di tale politica e per darvi attuazione; 2. la Seconda Sezione illustra analiticamente i compensi effettivamente corrisposti o comunque attribuiti nell’esercizio a tali soggetti, in forma nominativa per i componenti degli organi di amministrazione e controllo e per i direttori generali e in forma aggregata per i dirigenti con responsabilità strategiche, salva diversa indicazione prevista in via regolamentare dalla Consob. La relazione sulla remunerazione è approvata dal consiglio di amministrazione, tuttavia, l’art. 123-ter, c. 3, TUF prevede che l’assemblea si esprima — seppure con un voto non vincolante — sulla Prima Sezione della relazione e che gli esiti del voto siano messi a disposizione del pubblico. Come è stato evidenziato in apertura, la disclosure della remunerazione dovrebbe contenere 4 elementi: • La composizione del pacchetto retributivo o pay mix; • I parametri di performance cui è legato il variabile e che rispecchiano la strategia dell’impresa; • L’algoritmo che lega la performance e il premio; • Il confronto con altre aziende comparabili (peer group) e come si è evoluta la remunerazione delle figure apicali rispetto al passato; • La previsione delle buone uscite o di altri meccanismi di pagamento. In merito a questo ultimo punto recente è la revisione dell’art 7 del Codice di Autodisciplina, che fa seguito alla comunicazione Consob del 19 giugno 2014, nella quale si richiede all’emittente informazioni dettagliate, mediante un comunicato al mercato, in occasione della cessazione e/o dello scioglimento del rapporto con un amministratore esecutivo o un direttore generale. Non sempre l’allineamento fra le regole e i comportamenti delle emittenti si è verificato in Italia. Peraltro, se l’intervento del regolatore è indotto 736 Rivista dei Dottori Commercialisti 4/2014 CORPORATE GOVERNANCE dall’ipotesi che una maggiore disclosure sui meccanismi di remunerazione favorisca la diffusione di sistemi di remunerazione più virtuosi e in linea con l’attuale contesto macro-economico, l’esperienza di questi anni ha in realtà evidenziato che la maggiore trasparenza da una parte ha sollecitato comportamenti più “meritocratici”, dall’altra non ha portato a un calmieramento dei compensi. Anzi la possibilità per un manager di consultare il livello dei compensi di omologhi può avere in alcuni casi spinto al rialzo le retribuzioni per via di un effetto emulazione tipico del mercato delle Superstar. 6. Attuali dinamiche dell’Executive Compensation in Italia. Le classifiche dei compensi dei capi-azienda italiani, riportati annualmente dai media, riportano retribuzioni milionarie che stridono con l’attuale contesto macro-economico caratterizzato da bassa crescita e alta disoccupazione. Di conseguenza, l’idea che i nostri capi-azienda siano strapagati rientra oramai nell’immaginario collettivo. Ma è vero che i capi-azienda italiani sono pagati più dei loro omologhi in altri Paesi? L’analisi dei dati dimostra che è vero se mai il contrario. Infatti, confrontando le retribuzioni 2012-2013 dell’Osservatorio sulla Eccellenza nei sistemi di governo nelle prime 20 aziende quotate italiane (le società dell’indice FTSE MIB con la più alta capitalizzazione di mercato) con le prime 20 della borsa francese (il CAC40) e inglese (LSE), si nota che i nostri capi-azienda sono in realtà pagati meno. Figura 6 - Retribuzioni medie e mediane dell’Amministratore Delegato nel periodo 2012. Fonte - The European House Ambrosetti, 2013. Perciò possiamo concludere: l’Executive Compensation in Italia remuRivista dei Dottori Commercialisti 4/2014 737 ATTUALITÀ E PRATICA PROFESSIONALE nera adeguatamente e i nostri capi-azienda sono vittime di un apparato mediatico che li accusa ingiustamente? La questione è mal posta: la criticità italiana non riguarda l’ammontare della remunerazione che, come abbiamo visto, è inferiore ai valori di altri mercati di riferimento. La criticità riguarda invece come sono remunerati i nostri capi-azienda. Osservando infatti la composizione dei compensi sopra citati si noterà l’alta incidenza della componente fissa all’interno del pacchetto retributivo dei capi-azienda italiani. Se nel Regno Unito e in Francia, l’incidenza della componente fissa sulla remunerazione complessiva è pari rispettivamente al 29% e 31%, in Italia arriva quasi al 48%! L’anomalia italiana sembrerebbe essere quindi l’eccessivo garantismo che tutela le retribuzioni dei capi-azienda. Tale peculiarità ha permesso ai vertici italiani di mantenere i propri compensi sostanzialmente stabili malgrado performance aziendali tutt’altro che lusinghiere. In questo senso la remunerazione risulta “anelastica” ai risultati conseguiti. Non è un caso infatti che le evidenze empiriche dimostrino una scarsa correlazione fra l’andamento dei compensi e quello della performance d’impresa. Figura 7 - Pay mix dei capi-azienda (% su totale), 2012 (5) - Fonte - The European House Ambrosetti, 2013. Una seconda criticità è rappresentata da un livello di trasparenza delle relazioni sulla remunerazione che consideriamo migliorabile. La forte spinta del regolatore ha attenuato la tradizionale riservatezza attorno ai compensi dei nostri capi-azienda. (5) 738 Valori dell’Italia aggiornati al 2013. Rivista dei Dottori Commercialisti 4/2014 CORPORATE GOVERNANCE Tuttavia, passando in rassegna le relazioni sulla remunerazione che vengono pubblicate annualmente dalle società quotate si osserva che non sempre gli obblighi informativi vengono rispettati. Le politiche sono talvolta descritte in maniera generica e poco chiara. L’eccesso di testo e le poche rappresentazioni grafiche (al contrario di quanto accade in mercati come l’Inghilterra) non aiuta la comprensione da parte dell’azionista medio. Il livello generalmente basso della trasparenza attorno alle politiche retributive si può ragionevolmente attribuire alla peculiare struttura proprietaria delle aziende italiane. Come noto, il nostro sistema imprenditoriale si caratterizza per una forte concentrazione dell’assetto proprietario e la presenza di un azionista forte: circa il 58% delle imprese italiane sopra i E 50 milioni di fatturato è a controllo familiare e l’85% delle società quotate è controllato da uno o pochi azionisti. 7. Il ruolo crescente degli investitori istituzionali. Un fenomeno che sta avendo importanti implicazioni sul piano della remunerazione e più in generale sulla Corporate Governance delle società quotate è il crescente attivismo degli investitori istituzionali. In parallelo, assistiamo all’emergere di figure che si inseriscono all’interno della relazione fra investitori istituzionali ed emittenti: i proxy advisors e i proxy solicitors (6). Sebbene gli investitori istituzionali vantino un’incidenza ancora relativamente bassa all’interno del capitale azionario (41% contro una media del 62% in Francia e del 64% in Germania), essi svolgono un ruolo diretto (attraverso i propri rappresentanti nel Consiglio di Amministrazione) e indiretto (attraverso il voto proprio o quello di consulenti designati sulla relazione sulle remunerazione) significativo e crescente. In effetti, ciò che emerge dall’evidenza empirica è che gli investitori istituzionali pongono attenzione alla politica di remunerazione, con particolare riguardo al pay mix e alla trasparenza. Sarà casuale, ma al crescente ruolo degli investitori istituzionali si è assistito ad una progressiva diluizione del capitale all’interno delle società FTSE MIB e, aspetto ancor più interessante, ad un maggior allineamento delle minoranze alla proposta dell’azionista di riferimento per quanto concerne la politica di remunerazione. (6) Mentre i proxy advisors assistono gli investitori istituzionali nel prendere decisioni rilevanti in sede di voto in Assemblea degli azionisti (ad. es. votare contro alla politica di remunerazione proposta), i proxy solicitorsassistono le aziende nell’interpretare le decisioni degli investitori istituzionali. Le principali società di proxy advisors sono MSCI/InternationalShareholder Services (ISS), mentre le più influenti società di proxy solicitors sono Sodali e Georgeson. Rivista dei Dottori Commercialisti 4/2014 739 ATTUALITÀ E PRATICA PROFESSIONALE Figura 8 - Esiti della votazione sulla sezione 1 della Relazione sulla Remunerazione delle società del FTSE MIB: il capitale sociale presente in Assemblea, 2012-2014 - Fonte - The European House Ambrosetti, 2013. In ultima analisi, il crescente attivismo degli investitori istituzionali sta inevitabilmente influenzando le politiche retributive delle società del FTSE MIB, orientandole verso una maggior trasparenza, competitività e prevedibilità. D’altra parte, ignorare le richieste di trasparenza degli investitori istituzionali (che ricordiamo impegnano il 41% del capitale azionario delle maggior società quotate italiane) può essere una decisione estremamente costosa per un azionista di riferimento, sia in termini di consenso durante la votazione sulla Relazione sulla Remunerazione sia in termini di futura attrattiva di capitale per l’azienda. 8. Le tendenze dell’Executive Compensation. In conclusione, quali criteri seguire per disegnare una buona politica retributiva del management? Tracciare un manuale delle buone pratiche appare impresa fuorviante. La stella polare da seguire è quella di ancorare la politica retributiva allo specifico aziendale: il suo settore, il ciclo di business, la struttura proprietaria, il grado di internazionalizzazione, alla luce di alcune ragionevoli previsioni: 1. la retribuzione fissa, come detto in precedenza, ha raggiunto in Italia un livello eccessivo, è presumibile che avrà una crescita lenta o rimarrà stabile; 2. al contrario crescerà ulteriormente il peso del variabile e in particolare dell’incentivo a medio/lungo termine; 3. l’utilizzo degli strumenti finanziari ritornerà o comunque i bonus saranno maggiormente collegati al valore del titolo per allineare i compensi con gli interessi dell’azionista; 4. le performance share e le restricted share saranno preferite, salvo nel caso di IPO; 740 Rivista dei Dottori Commercialisti 4/2014 CORPORATE GOVERNANCE 5. il numero dei destinatari dei sistemi di incentivazione tenderà a ridursi per il costo crescente, in particolare per gli incentivi a lungo termine; 6. l’evoluzione dei parametri di performance verso il modello ESG (Environment, Governance, Social) accanto a quelli economico finanziari; 7. la clausola di claw back (7) si diffonderà anche nelle nostre imprese lcosì come è accaduto negli Stati Uniti; 8. i Comitati di Remunerazione dovranno svolgere un ruolo più severo nelle quotate; 9. gli investitori istituzionali saranno più attivi e la remunerazione sarà una leva per “punire” il management non capace di realizzare buone performance; 10. lo Stato e i Regolatori accentueranno l’azione di presidio accrescendo il potere degli azionisti e delle Assemblee con il voto vincolante sulla politica retributiva. (7) Tale previsione è stata inserita all’art. 7 del Codice di Autodisciplina, versione luglio 2014, tra i criteri delle politiche di remunerazione degli amministratori esecutivi. Rivista dei Dottori Commercialisti 4/2014 741