In classe con Liao - CISADU
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In classe con Liao - CISADU
Scuola e culture. Materiali di antropologia della mediazione scolastica Elena Ravesi: In classe con Liao. Osservazioni antropologiche sull'inserimento di un alunno cinese in una scuola romana Tesi di laurea Università degli Studi di Roma 'La Sapienza' - Facoltà di Lettere e Filosofia - Corso di laurea in Lettere a.a. 2002/2003 Relatore: prof. Laura Faranda - Correlatore: prof. Alberto Sobrero Documento pubblicato sul sito del Dipartimento di Studi glottoantropologici e Discipline musicali il 12 luglio 2004 http://rmcisadu.let.uniroma1.it/glotto/index.html Capitolo III IN CLASSE CON LIAO: L’ESPERIENZA IN UNA SCUOLA MEDIA DI ROMA 3.1 Il bambino e la sua famiglia: una breve presentazione Liao, arrivato da pochi mesi in Italia, è un ragazzo cinese di tredici anni, originario dello Zhejiang, la zona di provenienza della maggior parte dei “cinesi d’oltremare”, attualmente presenti nel paese. Liao, di qualche anno più grande dei suoi attuali compagni, iscritto dai genitori nella scuola del quartiere di residenza, è stato inserito in una prima media. Secondo le informazioni in possesso degli insegnanti, e confermate successivamente dalle dichiarazioni del bambino stesso, Liao ha frequentato in Cina cinque anni di scuola elementare, dove ha imparato a leggere e scrivere in cinese nazionale. In Italia da diversi mesi, al momento dell’iscrizione a scuola, non comprendeva né parlava l’italiano, così come i suoi famigliari. I genitori del bambino, giunti in Italia, come la maggior parte dei cinesi, attraverso le catene migratorie basate sui legami parentali, si sono sistemati a Roma, dove hanno trovato, come punto di 97 riferimento lavorativo e affettivo, la famiglia dello zio (probabilmente paterno). Il padre di Liao, infatti, lavora nella rosticceria cinese del quartiere, gestita dallo zio. La madre, invece, secondo le indicazioni del ragazzo stesso, svolge compiti di casalinga. Non è stato facile riuscire ad ottenere informazioni sicure e attendibili sulla famiglia del bambino, né, tanto meno, sul grado effettivo di parentela esistente tra tutti i membri della famiglia del ragazzo. Infatti, all’oggettiva difficoltà di comunicazione, legata alla scarsa o nulla conoscenza dell’italiano da parte del bambino, è probabile che si siano aggiunti una serie di malintesi di tipo “culturale”, connessi alla diversa concezione che cinesi e italiani possiedono dei rapporti famigliari. A questo proposito, va, ad esempio, sottolineata l’abitudine da parte di molti cinesi, a far ricorso a termini indicanti consanguineità, per definire ed evidenziare l’esistenza di un rapporto di tipo affettivo con un amico. Sembrerebbe quindi frequente, da parte specialmente dei bambini, l’uso del termine “fratello” per indicare un individuo appartenente ad un nucleo famigliare diverso. D’altra parte, è proprio alla sfera famigliare, asse portante della società, che i cinesi fanno riferimento per “addomesticare” il mondo esterno, soprattutto quando appare minaccioso ed estraneo, come spesso avviene nel contesto migratorio1. Nonostante le insistenti e ripetute domande che i compagni incuriositi hanno posto al bambino, per tutto il primo quadrimestre circa, non è stato possibile, a causa delle risposte contraddittorie date dal ragazzo, riuscire a capire quanti fratelli avesse Liao. Peraltro, in un questionario bilingue che gli è stato consegnato nel mese di 1 Cfr. sull’argomento A. CECCAGNO, Cinesi d’Italia…, cit., pp. 110-2. 98 dicembre, il ragazzo ha dichiarato, dopo qualche minuto di riflessione, di avere un solo fratello2. Tuttavia, nel corso delle successive conversazioni, soprattutto con i compagni, è emerso che il bambino, giunto in Italia insieme ai genitori, ha lasciato in Cina due sorelle, quasi sicuramente più grandi di lui. D’altronde, analoghi malintesi, in verità verificatisi durante il mese di settembre, escluso dal periodo di effettiva osservazione, sembra si siano verificate in relazione alla data di nascita indicata da Liao ai compagni che chiedevano di sapere il giorno del suo compleanno. In questo caso, il problema nasceva quasi certamente dal fatto che presso molte famiglie cinesi, nonostante l’adozione ufficiale da parte del governo centrale del calendario occidentale, ancora sussiste l’abitudine di utilizzare, per i compleanni, le ricorrenze e le festività, il calendario tradizionale, basato su differenti meccanismi di conteggio3. Gli insegnanti di Liao hanno sottolineato più volte la totale mancanza di partecipazione alla vita scolastica del figlio da parte dei genitori, che, non conoscendo l’italiano, non sono intervenuti alle riunioni di classe, né si sono recati durante l’anno al ricevimento dei docenti. Gli unici scarsi contatti avuti con la famiglia del bambino da parte degli insegnanti, sono avvenuti attraverso la mediazione di un cugino adulto che parla italiano e che, stando alle stesse dichiarazioni del bambino, qualche volta ha aiutato Liao nello svolgimento dei compiti assegnati. Tuttavia questo aiuto, promesso dal cugino stesso all’inizio della scuola su sollecitazione degli insegnanti, è andato progressivamente esaurendosi, fino a scomparire del tutto negli 2 M. MARIGO, M. OMODEO, Questionario italiano-cinese per gli studenti, Firenze, COSPE - Vannini, 2000. Sul calendario tradizionale cinese cfr., ad esempio, L. SONG, Il calendario e i sistemi di datazione in Cina, in D. DE LORENZI, M. OMODEO (a cura di), A scuola con Xiaolin…, cit., pp. 66-71 ed anche S. FORMOSA, M. OMODEO, 3 99 ultimi mesi dell’anno. Peraltro, nessun membro della famiglia ha ritirato la scheda valutativa alla fine del primo quadrimestre. Questo comportamento, che da solo potrebbe dare l’idea di un disinteresse nei confronti della vita scolastica del figlio minorenne, in realtà è stato accompagnato da un atteggiamento caratterizzato da una certa “puntualità” nel dotare il figlio del materiale didattico richiesto, dei libri di testo e di tutti gli accessori necessari alle attività svolte in classe. Inoltre, il bambino ha partecipato regolarmente a quasi tutte le uscite e le visite didattiche effettuate durante l’anno scolastico. D’altronde, anche attraverso una serie di indagini svolte sulle famiglie cinesi immigrate, è stato ampiamente sottolineato come la cultura cinese attribuisca «una funzione primaria alla scuola come mezzo di formazione culturale del bambino»4. Questo atteggiamento, sembra, inoltre, influire fortemente sulla motivazione dei ragazzi ad apprendere in contesto scolastico: i giovani cinesi, vengono spesso addirittura incoraggiati dalle famiglie stesse a non nutrire dubbi sull’utilità della cultura e delle conoscenze fornite dagli insegnanti, figure centrali che godono di grande prestigio nell’ambito della concezione cinese5. A questo presupposto, comunque presente nella mentalità cinese, si aggiunge la specificità dell’esperienza migratoria, vissuta spesso con la consapevolezza della necessità di adeguarsi e di apprendere la lingua e i meccanismi della cultura ospitante, per potersi inserire all’interno del tessuto economico del paese d’approdo6. Questionario italiano-cinese per le scuole. Manuale per gli insegnanti, Firenze, COSPE – Regione Toscana, 1995, p. 8. 4 G. COCCHI, M. GIUSTI, M. R. MANZINI, T. MORI, L. M. SAVOIA, L’italiano come L2 nella scuola dell’obbligo. Il formarsi della competenza linguistica in bambini cinesi e rom, Roma, Bulzoni, 1996, p. 14. 5 Sul ruolo della scuola e sulla figura dell’insegnante in Cina, cfr. sopra, nel capitolo I, il paragrafo 1.2 A scuola in Cina: programmi, strategie e metodologie didattiche. 6 Cfr. sopra, nel capitolo II, il paragrafo 2.3 Dalla Cina all’Italia: strategie di inserimento ed organizzazione comunitaria. 100 Tuttavia, proprio a causa della centralità attribuita alla scuola nel processo di formazione dei ragazzi, i genitori cinesi tendono spesso a demandare all’istituzione pubblica, secondo una logica di tipo collettivistico, in Cina come nel paese d’arrivo, il compito di educare i loro figli7. Maria Omodeo, proprio in riferimento al distacco che le famiglie cinesi tendono a mostrare nei confronti della scuola e, più in generale, delle istituzioni pubbliche italiane, sottolinea proprio come non si tratti quasi mai di una “delega” legata al disinteresse, ma proprio di una totale fiducia spesso accompagnata da enormi aspettative nei confronti della riuscita scolastica del figlio. Da un lato, infatti, la famiglia cinese sembra configurarsi, nell’esperienza migratoria, come punto di riferimento per una cultura d’origine quasi mai rinnegata, dall’altro, sul fronte dell’apprendimento della lingua e della cultura d’arrivo, tende a «scomparire culturalmente per non influire negativamente sul figlio a scuola»8. D’altronde, attraverso l’analisi degli studi compiuti sull’inserimento dei ragazzi immigrati all’interno delle strutture scolastiche italiane, emergono, al di là del paese di provenienza, una serie di elementi ricorrenti nella maggior parte delle famiglie, legati prevalentemente alla specificità dell’esperienza migratoria. L’inserimento del figlio nella struttura scolastica del paese di approdo, sembra, in effetti, rappresentare un momento cruciale capace di modificare in senso positivo o negativo per tutto il nucleo famigliare, l’intero progetto migratorio. Questa “tappa” si configura per certi aspetti come una sorta di «ulteriore migrazione nella 7 8 Sull’argomento cfr. sopra, nel capitolo I, il paragrafo 1.3 La famiglia, l’infanzia e la “politica del figlio unico”. M. OMODEO, L’“errore linguistico” dei bambini cinesi nelle scuole italiane, in D. DE LORENZI, M. OMODEO (a cura di), A scuola con Xiaolin…, cit., pp. 60-5, p. 61. 101 migrazione che richiede nuove forme di adattamento, autorizzazioni reciproche, aggiustamenti inediti tra perdite e guadagni»9. La scuola, infatti, pur configurandosi, nelle aspettative dei genitori, come strumento fondamentale di trasmissione di competenze culturali e comunicative decisive ai fini dell’inserimento nel paese, finisce spesso per mettere in discussione il ruolo di guida e di punto di riferimento, degli stessi genitori. La famiglia, insomma, di fronte all’istituzione scolastica, rischia di mostrare tutta la sua “incompetenza culturale” agli occhi dei figli, ai quali viene spesso demandato, in special modo nell’ambito delle comunità cinesi, il compito di mediare con l’esterno10. In riferimento alle domande poste dal questionario, relative alla necessità di apprendere la lingua, Liao sottolinea, in effetti, come l’italiano appreso a scuola gli sia utile “per la vita quotidiana” e, senza esitazione, come, in relazione proprio alle aspettative famigliari, i genitori non siano contenti di come il figlio parli italiano11. La sicurezza e la velocità con cui il bambino ha risposto alle domande sull’utilità dell’italiano appreso a scuola, lascerebbe intendere proprio una certa fiducia da parte della famiglia del ragazzo nei confronti della possibilità di far assumere al figlio quel ruolo di “mediatore” con il mondo esterno, spesso rivestito proprio dai giovani. Tanto più che Liao, facendo intuire il riferimento a qualcosa di concreto, con prontezza, alla domanda relativa al motivo più specifico per cui i genitori “non sono soddisfatti” del suo italiano, ha risposto di non saper tradurre i documenti scritti dall’italiano al cinese12. 9 G. FAVARO, Costruire l’integrazione nella scuola multiculturale, in D. DEMETRIO, G. FAVARO, Didattica interculturale…, cit., pp. 152-84, p. 166. 10 Cfr. sopra, nel capitolo II, il paragrafo 2.4 Le trasformazioni della famiglia e il ruolo dei figli in Italia. 11 S. FORMOSA, M. OMODEO, Questionario italiano-cinese per gli studenti, cit., p. 19 e p. 20. 12 Ivi, p. 20. 102 Sembra emergere, da queste risposte, l’attribuzione, da parte della famiglia del ragazzo, di una funzione per certi aspetti “strumentale” e pratica alla scuola che, nell’ambito dell’esperienza migratoria vissuta dall’intero nucleo famigliare, risulterebbe, dunque, veicolo di inserimento fondamentale, attraverso il quale poter acquisire tutte le competenze necessarie per vivere la nuova realtà. D’altra parte, ad esempio, in riferimento alla lingua, Liao ha dichiarato, sempre attraverso il questionario, dopo una breve riflessione, che gradirebbe poter studiare anche cinese a scuola, ma di non conoscere l’opinione dei genitori in proposito. La lingua d’origine, legata all’universo di provenienza del ragazzo, potrebbe essere percepita, da questo punto di vista, come qualcosa di indipendente e distaccato dalla scuola italiana, concepita soprattutto in termini di utilità pratica. Questo atteggiamento confermerebbe, d’altronde, quella generale tendenza da parte di molte famiglie immigrate, a riconoscere alla scuola, in primo luogo, proprio una funzione “strumentale”, in particolar modo legata all’acquisizione delle competenze necessarie ad inserirsi nella società e nel mondo lavorativo, sia autonomo, come nelle aspettative di quasi tutti i cinesi, che dipendente13. Nel rapporto tra i genitori stranieri e l’istituzione scolastica, alle difficoltà di tipo linguistico, chiaramente centrali, ad esempio, nel caso dei genitori di Liao, vanno dunque ad aggiungersi una serie di problemi di adeguamento, legati sia alle eventuali consuetudini e abitudini mentali della cultura d’origine, che alla specificità dell’esperienza migratoria. La passività o la scarsa partecipazione alla vita scolastica del figlio, può essere dunque la conseguenza di un disagio legato alla 13 Cfr. sull’argomento G. FAVARO, Costruire l’integrazione nella scuola multiculturale, cit., pp. 167-9. 103 situazione di “incoerenza” che un genitore può trovarsi a vivere, tra il proprio passato e il proprio vissuto e la necessità di adeguarsi alle esigenze del nuovo contesto. La “dissonanza cognitiva”, generata da questa situazione rischia spesso di condurre ad un atteggiamento di auto-esclusione, vissuto come un’ammissione di incompetenza, oppure, in altri casi, di difesa e di rifiuto14. Nel caso della famiglia di Liao, dunque, nonostante i numerosi tentativi da parte degli insegnanti, non è stato possibile riuscire ad istaurare un rapporto di collaborazione, che andasse oltre la semplice mediazione linguistica da parte del cugino. D’altro canto, Francesco Susi, affrontando la questione, sottolinea quanto la condizione socio-economica della famiglia costituisca spesso un ostacolo materiale al rapporto genitori-scuola, anche indipendentemente dalla condizione di genitore immigrato. Infatti, secondo quanto rivelato da un’indagine effettuata nella metà degli anni Novanta, i genitori dei ragazzi stranieri sostengono di non poter partecipare alla vita della scuola, non tanto per un problema linguistico, quanto soprattutto a causa dei pressanti impegni lavorativi15. Anche in questo caso, tuttavia, l’esperienza migratoria, costringendo spesso il nucleo famigliare che si sposta, ad una vita di precarietà anche economica, sembra condizionare fortemente la partecipazione dei genitori, costretti spesso ad accettare condizioni lavorative che non lasciano altri spazi da dedicare, appunto, alla scuola dei figli o alla cura della famiglia. 14 Cfr. Ivi, pp. 167 e sul rapporto problematico tra scuola e famiglie immigrate anche ID., Problemi di inserimento nei servizi educativi: ne parlano genitori ed educatori, in ID. ( a cura di), I colori dell’infanzia…, cit., pp. 85-95, in partic. pp. 87-93. 15 Cfr. F. SUSI, Ricerca sulla presenza di allievi stranieri nelle scuole italiane, in ID. (a cura di), L’interculturalità possibile…, cit., pp. 105-19, in partic. le pp. 116-7. 104 3.2 L’inserimento nella classe e il rapporto con i compagni Durante il periodo di osservazione, che ha riguardato i mesi compresi tra il novembre del 2002 e il giugno del 2003, è stato possibile seguire da vicino il percorso di graduale inserimento compiuto da Liao, all’interno di una classe ad alta concentrazione di alunni di origine straniera. La classe, infatti, composta da sedici ragazzi di età compresa tra gli undici e i tredici anni, risultava caratterizzata dalla presenza di cinque alunni non italiani: oltre a Liao, erano presenti due allievi rom, Mehira ed Enver, rispettivamente macedone e bosniaco, Giovanni, un ragazzo moldavo, e Nadia, rumena, da due anni circa in Italia16. Fin dai primi giorni di osservazione è stato possibile notare un atteggiamento di grande interesse e curiosità, peraltro confermato dalle impressioni degli insegnanti, da parte dei compagni nei confronti del bambino di origine cinese. Lo spontaneo interesse, che spingeva i compagni a porre domande sulla Cina e sulla vita condotta da Liao prima della partenza per l’Italia, si è accompagnato, fin dall’inizio, ad un atteggiamento di protezione e di aiuto nei confronti del compagno che non parlava correntemente la lingua di insegnamento. Dalla ripetizione di quanto veniva detto in classe, attraverso formule ed espressioni semplificate, fino alla trascrizione dei compiti 16 Per una presentazione più ampia e dettagliata della classe cfr. avanti, nel capitolo IV, il paragrafo 4.1 Organizzazione didattica, accoglienza e relazioni tra gli alunni: una breve presentazione della classe. 105 assegnati sul diario, grosso modo tutti i compagni italiani gareggiavano tra loro nel fornire aiuto a Liao. L’interesse primario manifestato tanto dai compagni che dagli insegnanti si è concentrato fin dall’inizio sulla necessità di fornire al bambino delle adeguate competenze comunicative che lo ponessero in condizione di comprendere ed esprimersi, partecipando, in tal modo, alla vita di classe. D’altronde, le indagini compiute sull’inserimento dei ragazzi stranieri nelle scuole, mostrano quanto l’“imperativo linguistico” sia ritenuto di primaria importanza e come gli iniziali sforzi di integrazione, da parte di alunni e insegnanti, siano, per comprensibili e ovvie motivazioni, per lo più concentrati proprio sull’apprendimento della L217. Il problema linguistico sembra farsi, peraltro, ancora più pressante nel caso della scuola media, dove gli insegnanti, a differenza di quanto avviene alle elementari, non sono degli “alfabetizzatori” e dove l’insegnamento tende a concentrarsi, per l’organizzazione dei curricoli e dei programmi ministeriali, sulla trasmissione di saperi, spesso frammentati nelle varie discipline, più che sulla formazione degli alunni nella loro “globalità18. Ciò che maggiormente andrebbe sottolineato è dunque, non tanto la preoccupazione degli insegnanti, interessati chiaramente a mettere il bambino nella condizione di poter proseguire il prima possibile nel percorso educativo e formativo adeguato alla sua età, quanto, soprattutto, l’enorme interesse dei compagni ad istaurare un dialogo con Liao. 17 Cfr., a titolo d’esempio, V. PERSICHELLA, Indagine «Proteo» sull’inserimento degli alunni stranieri nelle scuole elementare e media di Bari in F. SUSI (a cura di), L’interculturalità possibile…, cit., pp. 131-93, in partic. 133-4. 18 In merito alle differenze esistenti tra scuola elementare e media cfr., ad esempio, F. SUSI, Ricerca sulla presenza di allievi stranieri nelle scuole italiane, cit., pp. 111-3. 106 D’altro canto, il bambino stesso, dopo una iniziale fase di rigidità e di timore, testimoniata dai racconti degli insegnanti, ha manifestato, da un lato, una forte motivazione ad apprendere l’italiano e, dall’altro, una tendenza a comunicare e a partecipare comunque alla vita di classe, attraverso i mezzi e gli strumenti a sua disposizione, indipendentemente dalle competenze strettamente linguistiche. I principali “strumenti” attraverso cui Liao ha instaurato un contatto con i suoi compagni sono stati, in primo luogo, soprattutto durante i primi due mesi di osservazione, il corpo e la gestualità. La ricerca del contatto fisico con i compagni, concretizzata attraverso abbracci e carezze, ma anche attraverso spinte e colpi bruschi, hanno caratterizzato i movimenti corporei del bambino, accompagnati spesso dall’espressione “amico”, una delle prime parole apprese e continuamente ripetuta. D’altronde, l’esperienza migratoria, specialmente di un giovane, può comportare una serie di trasformazioni nella percezione dello spazio, inteso nel senso più ampio del termine. Non è soltanto, dunque, lo spazio geografico che muta, attraverso lo spostamento e la conseguente perdita delle “coordinate” fisiche e culturali, ma anche quello corporeo, determinando, in alcuni casi, lo sconvolgimento nella percezione dei “limiti”19. Scrive Graziella Favaro: «Ogni cultura ha una percezione differente dello spazio prossemico, una maniera diversa di concepire le frontiere dell’intimità»20. E nel caso della cultura cinese, e in special modo delle abitudini in ambiente scolastico, è possibile, in effetti, costatare un atteggiamento nei confronti del corpo e delle 19 Cfr. G. FAVARO, La specificità del bambino migrante, in «Dirigenti Scuola», ann. XI 1991, n. 4, pp. 10-1, in partic. p. 10. 20 Ibidem. 107 abitudini motorie che, agli occhi di un osservatore occidentale, appare caratterizzato da forte rigidità. Sono numerose le testimonianze di insegnanti e compagni di classe alle prese con la freddezza degli alunni cinesi nei confronti dell’eccessiva gestualità manifestata anche per ovviare all’incomprensione linguistica. O, ancora, gli esempi di malintesi scaturiti dall’osservazione dello scarso contatto fisico tra madri e figli cinesi, interpretato come una mancanza di affetto o di attenzione21. D’altronde, nei programmi per la scuola dell’obbligo in Cina, l’educazione al controllo del corpo e della gestualità è considerata elemento centrale ai fini della formazione di un individuo. La compostezza nel sedersi e la rigidità nei movimenti sono esplicitamente raccomandate come insegnamenti fondamentali durante le prime settimane di scuola elementare22. Tuttavia, dopo un’iniziale fase di rigidità, tanto nell’uso del corpo quanto nell’atteggiamento generale, Liao, probabilmente stimolato dalle attenzioni manifestate dai compagni, ha finito, in assenza dello strumento linguistico, per servirsi proprio dei gesti e del contatto fisico come elemento di mediazione, per istaurare un “dialogo” e per partecipare emotivamente al formarsi delle relazioni affettive tra i membri della classe. Questa eccessiva gestualità nei momenti di contatto con i compagni, si è peraltro accompagnata, come osservato anche dagli stessi insegnanti, ad una rigidità nei gesti abituali, effettuati, ad esempio, durante i giochi con la palla organizzati nelle ore di ricreazione nel cortile. 21 Cfr., a titolo di esempio, ID., Mediazione e intrecci di culture. Percorsi di didattica interculturale, in D. DEMETRIO, G. FAVARO, Didattica interculturale, cit., pp. 108-47, le pp. 126-8; e anche G. CAMPANI, L. MADDII, I cinesi: immagini, stereotipi, pregiudizi nell’ambiente scolastico e nel contesto sociale, cit., p. 12. 22 Cfr. sopra, nel capitolo I, il paragrafo 1.2 A scuola in Cina: programmi, strategie e metodologie didattiche. 108 D’altronde nei momenti dedicati all’ascolto delle lezioni, nei quali Liao e i suoi compagni avevano scarse possibilità di comunicare o comunque di scambiarsi gesti e parole, il ragazzo ha sempre manifestato la tendenza a rimanere composto, seduto al suo banco, senza alzarsi o muoversi sulla sedia, come per lo più facevano invece i suoi compagni. A questo proposito, va sottolineato come lo spostamento da un luogo all’altro, per molti bambini, possa comportare un’esperienza di “frattura” e di “separazione”, vissuta e percepita in primo luogo proprio sul e attraverso il corpo. Può accadere, infatti, che, da un lato, il bambino continui a vivere in famiglia il corpo e lo spazio prossemico nei modi e nei tempi propri dell’universo di provenienza, e, dall’altro, nell’ambiente culturale esterno, si trovi a dover esperire nuove modalità di espressione corporea23. Sembra di poter sottolineare, quindi, come Liao, in genere composto e controllato nei movimenti, al punto di apparire impacciato di fronte alla maggiore scioltezza dei compagni italiani e stranieri, abbia fatto uso di un’accesa gestualità per poter entrare in contatto con il nuovo contesto culturale, estraneo all’universo famigliare d’origine. A conferma di questa tendenza, potrebbe essere sottolineato come, con il procedere dei mesi e, in modo già evidente, a partire dall’inizio del secondo quadrimestre, l’acquisizione di una maggiore padronanza della lingua italiana si sia accompagnata ad un graduale venir meno di questa forte corporeità. Liao ha insomma utilizzato per esprimersi e per comunicare con i suoi compagni sempre di più le parole che apprendeva, accompagnando, da un lato, questa 23 Cfr. D. DEMETRIO, G. FAVARO, Immigrazione e pedagogia interculturale…, p. 59. 109 acquisizione ad un graduale abbandono del corpo come unico strumento espressivo, e, dall’altro, mostrando, tuttavia, di muoversi, nei momenti di normale interazione, in modo più disinvolto e meno rigido. Ad una probabile iniziale sensazione di “aggressione” e di “invasione” del proprio spazio corporeo, sembra essere subentrata, dunque, una apertura nei confronti dell’uso che gli stessi compagni italiani facevano dei gesti e del contatto fisico per intrecciare rapporti ed istaurare legami. Tuttavia, nel passaggio dall’usuale rigidità tipica della cultura d’origine, alla maggiore disinvoltura nei gesti e nei movimenti appresa dall’osservazione degli altri ragazzi, Liao potrebbe aver perso di vista la misura e il limite ben presenti nella mente e nella percezione dei suoi compagni. D’altronde, il bambino migrante, costretto ad acquisire delle nuove norme per potersi “muovere” in modo adeguato nell’ambito della società ospitante, può a volte trovarsi nella condizione di commettere dei «veri e propri errori di comportamento che, come gli errori linguistici, sono da considerare tappe dell’acquisizione del codice, una specie di interlingua comportamentale»24. Antonella Ceccagno, trattando proprio dei malintesi scaturiti dal passaggio dalla rigidità del contesto culturale cinese a quello italiano, o comunque occidentale, mette in luce come, il contatto con una nuova situazione, possa facilmente generare una mancata percezione delle regole e dei limiti, inducendo ad un comportamento “inadeguato”. Per chi proviene da una società dove «il controllo sull’individuo 24 è tradizionalmente serrato, la tolleranza per R. ZUCCHERINI, L’apprendimento dell’italiano come lingua seconda, in F. GIACALONE, I. PALETTI, R. PERFETTI, R. ZUCCHERINI, L’identità sospesa. Essere stranieri nella scuola elementare. Ricerca-azione sull’inserimento dei bambini stranieri nella scuola elementare, Firenze-Perugia, Arnaud-Cidis, 1994, pp. 167-219, p. 171. 110 l’originalità scarsa»25, sostiene l’autrice, può in effetti, risultare estremamente facile interpretare l’apprezzamento per l’originalità in termini di libertà assoluta. Tuttavia, nonostante l’“aggressività corporea” manifestata dal bambino cinese, i compagni italiani e stranieri hanno avuto un atteggiamento di partecipazione e di comprensione verso Liao. Nei confronti dei gesti d’affetto e di ricerca di un contatto, come di quelli di rifiuto, i ragazzi della classe hanno mostrato, salvo qualche episodio di scarsa rilevanza, una tolleranza, se non addirittura una capacità di risposta, impensabile nei confronti degli altri compagni. Per certi aspetti si può sottolineare una tendenza, da parte dei compagni, ad adeguarsi, nelle prime fasi, alle modalità comunicative del compagno straniero, esasperando un uso dei gesti e del contatto fisico, in verità già molto marcato tra i ragazzi. Peraltro, con il passare del tempo, sembra che Liao stesso, nel processo di continua interazione, che lo ha portato gradualmente a “negoziare” una modalità relazionale sempre più “adeguata”, abbia ristabilito, alla fine, i giusti limiti tra sé e i compagni, di volta in volta rifiutando o accettando i gesti, i comportamenti e il tipo di comunicazione da istaurare. Liao, per fare solo un esempio, durante una discussione che aveva per oggetto i rapporti tra i compagni, organizzata e diretta dall’insegnante di italiano, si è lamentato, esprimendosi come poteva, degli scherzi di alcune compagne, che usavano le mani in modo eccessivo. La disponibilità da parte dei compagni verso Liao, è sembrata nascere soprattutto dal riconoscimento di una comune base di 25 A. CECCAGNO, Cinesi d’Italia…, cit., p. 102. 111 partenza, sulla quale appare possibile instaurare un “dialogo” che coinvolga in primo luogo le persone nella loro individualità. Il riconoscimento dell’altro, elemento portante dell’educazione interculturale, sembra passare, in effetti, attraverso l’individuazione, in primo luogo, delle similitudini e di quelle “comunanze” che Favaro e Demetrio definiscono come “universalità biografiche”26. Nel contesto scolastico, le storie di vita di ogni singolo alunno, italiano o straniero, finiscono per stabilire un contatto legato alla possibilità stessa di riconoscere le comuni esperienze umane, gettando dunque le basi per una educazione alla comprensione. Il favorevole “clima scolastico” che si è venuto a creare, anche e soprattutto attraverso l’azione educativa degli insegnanti27, ha determinato la possibilità dell’instaurarsi di un dialogo che, nel caso di Liao, ha messo in luce, al di sotto delle differenze, un universo di analogie nel vissuto e nell’esperienza comune tra i ragazzi. La prima fondamentale esperienza comune sembra essere quella della scuola, da intendersi, in primo luogo, come espressione di una specifica cultura. Secondo le opinioni e le testimonianze degli insegnanti stessi, Liao, a differenza, ad esempio, dei ragazzi rom, non solo ha dato l’impressione di trovarsi perfettamente a suo agio in ambiente scolastico, ma ha dimostrato anche una grande capacità di apprendimento, nonostante il consistente ostacolo rappresentato dalla lingua. D’altronde è frequente, in molte testimonianze di insegnanti e compagni di classe alle prese con alunni cinesi, riscontrare 26 Cfr. D. DEMETRIO, G. FAVARO, Immigrazione e pedagogia interculturale…, cit., p.107. Sulle esperienze e sui progetti didattici di educazione interculturale intrapresi nel corso dell’anno cfr. avanti, nel capitolo IV, il paragrafo 4.5 Valorizzare la diversità: metodi, attività e percorsi interculturali. 27 112 considerazioni relative proprio alla “diligenza” e al rispetto delle regole scolastiche, dimostrati in genere da questi ragazzi28. A questo si è aggiunta, nel corso già dei primi mesi, la bravura dimostrata da Liao soprattutto nelle materie meno legate alla conoscenza della lingua, coma la matematica. A questo proposito, va sottolineato come, le prime considerazioni che i compagni facevano nei riguardi del loro nuovo amico cinese, presentandolo o parlando di lui, riguardavano per lo più proprio la sua competenza in matematica e nelle materie tecniche. D’altronde, tanto l’insegnate di matematica quanto quella di educazione tecnica hanno più volte confermato questa prontezza e velocità di apprendimento dimostrate dal ragazzo nella comprensione delle spiegazioni, nonostante l’ostacolo linguistico. Liao, insomma, a differenza degli altri compagni stranieri, che in gradi e in modi diversi, hanno mostrato affanno sia nell’andamento scolastico sia, nel caso soprattutto di Enver e Giovanni, nella capacità di accettare le regole e la “cultura” dello stare in classe, ha manifestato da subito la sua conoscenza dell’ambiente scolastico, delle sue modalità di interazione, della sua organizzazione. Peraltro, va senza dubbio sottolineata la grande attenzione mostrata dai compagni nei confronti dell’attività lavorativa svolta dai famigliari di Liao: la rosticceria cinese dello zio del ragazzo, conosciuta da tutti nel quartiere, era meta di molte uscite famigliari raccontate successivamente in classe dagli alunni. A questo proposito, è importante mettere in luce come, i problemi di inserimento e il potenziale atteggiamento di rifiuto da parte degli allievi autoctoni verso i compagni stranieri, è spesso dettato dalla percezione di una distanza socio-economica, prima ancora che 28 Cfr. sugli “stereotipi” positivi venutesi a creare, a titolo di esempio, G. CAMPANI, L. MADDII, I cinesi: immagini, stereotipi, pregiudizi nell’ambiente scolastico e nel contesto sociale, cit., pp. 11-2. 113 culturale. Sulle relazioni interculturali, così come sulla percezione del “grado” di maggiore o minore “compatibilità”, finisce per pesare «la coscienza di una frustrante inferiorità»29, legata ad una modalità di inserimento che colloca inevitabilmente gli immigrati dai paesi più poveri, agli ultimi gradini della scala sociale. Il rifiuto, dunque, è spesso legato alla disagiata condizione economica nella quale sono costretti a vivere molti immigrati: «la povertà, e quindi anche la loro, è stata sempre male accolta; essa è stata ed è motivo di esclusione e repulsione»30. Il lavoro autonomo e autogestito, svolto dalla famiglia di Liao, anche al di là delle effettive condizioni economiche in cui si trovano i parenti del bambino, potrebbe aver rappresentato, da questo punto di vista, prima ancora che un concreto strumento di ascesa sociale, il simbolo di una possibile agiatezza economica. Sulla base della percezione di una comune condizione sociale, culturale ed esistenziale, è stato dunque possibile, da parte degli insegnanti, elaborare una serie di strategie educative che, al di là delle specifiche iniziative, hanno teso a valorizzare, attraverso un percorso che ha coperto l’intero anno scolastico, le singole individualità e le specifiche identità culturali di tutti gli alunni, italiani e stranieri. Il percorso educativo messo in atto, nel caso di Liao, è stato, dunque, agevolato, da un lato, proprio dal riconoscimento, da parte degli alunni, di queste comuni basi di partenza, e, dall’altro, dalla facilità e dalla spontaneità con cui il bambino stesso “mostrava” ai suoi compagni incuriositi tutto ciò che poteva del suo paese, delle sue abitudini e delle sue conoscenze. 29 30 F. SUSI, L’educazione interculturale fra teoria e prassi, cit., p. 42. Ivi, p. 17. 114 La mancanza dello strumento linguistico ha spinto Liao a fare uso del materiale didattico a disposizione che veniva fornito ai ragazzi come risposta ai loro interrogativi sulla Cina. Dalla cartina geografica, sulla quale Liao indicava ai compagni la sua regione di provenienza, fino alle immagini delle bellezze storiche e naturali del suo paese, che il bambino “riconosceva” come luoghi familiari, Liao ha dato l’impressione di voler continuamente mediare tra il suo vissuto personale e l’identità culturale cinese di cui si sentiva in qualche modo rappresentante31. Antonella Ceccagno, a questo proposito, sottolinea, tuttavia, anche il pericolo di considerare gli alunni cinesi, e stranieri in generale, come dei “piccoli antropologi” esperti delle loro rispettive culture di provenienza32. Questo eventuale atteggiamento, anche mosso dalle migliori intenzioni, potrebbe rischiare peraltro di irrigidire l’identità dei ragazzi provenienti da famiglie immigrate, trasformandoli «in ostaggi di una cultura etnica da preservare»33, spesso contro la loro stessa volontà. Sembra opportuno, in questo senso, riflettere sull’importanza, in sede di didattica interculturale, di non ridurre la pratica di “scambio interculturale” a momenti estemporanei in cui il bambino straniero è gravato dal peso di dover fungere da interprete di mentalità, abitudini ed elementi propri del suo universo d’origine. E tuttavia, per tornare al caso specifico di Liao, si potrebbe sostenere che l’individuazione di quel comune universo di esperienze affettive, emotive ed esistenziali umane, riconosciute nel vissuto dell’“altro”, sembra da un lato aver spinto il bambino a “mostrare” quella diversità comunque parte della sua storia individuale e, 31 Sulla tendenza da parte dei cinesi a farsi rappresentanti all’estero del loro paese cfr. sopra, nel capitolo II, il paragrafo 2.5 La Cina e i cinesi nell’immaginario degli italiani. 32 Cfr. A. CECCAGNO, Cinesi d’Italia…, cit., pp. 93-6. 33 F. SUSI, L’educazione interculturale fra teoria e prassi, cit., p. 60. 115 dall’altro, aver stimolato l’interesse e la spontanea curiosità dei suoi compagni. Se, dunque, lo straniero è, con la sua estraneità, evocatore di perdita e cambiamento, poiché «minaccia i nostri luoghi, i nostri linguaggi, i nostri punti di riferimento»34, è proprio attraverso il riconoscimento della sua similitudine che deve inevitabilmente passare una pratica formativa interculturale che voglia educare alla differenza. Le strategie educative messe in pratica nel corso dell’anno e, in particolare, le specifiche e concrete iniziative portate a termine, soprattutto quelle riguardanti la scrittura, la lingua e la civiltà cinese, si sono configurate, dunque, come risposta agli interrogativi dei ragazzi stessi, stimolati dalla “diversità” del compagno. Si potrebbe sostenere, insomma, che gli alunni hanno, per certi versi, riconosciuto al compagno cinese una sua identità, definita non in termini di mancanza, ma di diversità “legittima” e, in quanto tale, non solo comprensibile, ma anche stimolante e interessante. I progetti interculturali e i percorsi didatti sembrano essersi configurati, per altro verso, anche come base d’appoggio per il bambino stesso desideroso di parlare di sé e del suo paese, ma ostacolato nel farlo dalla scarsa conoscenza dell’italiano e dalla inevitabile mancanza di adeguate competenze. D’altronde, l’atteggiamento di Liao, che ha mostrato grande disponibilità e disinvoltura nel mettersi a disposizione degli insegnanti e dei compagni nelle pratiche di “scambio interculturale”, è parso funzionare da stimolo per gli altri ragazzi stranieri presenti nella classe. 34 D. DEMETRIO, G. FAVARO, Immigrazione e pedagogia interculturale…, cit., p. X. 116 Effettivamente anche i compagni stranieri, comunque in modi diversi alle prese con i loro problemi linguistici o di inserimento, hanno mostrato di partecipare, in forme e in gradi differenti, al clima di aiuto e di sostegno nei confronti di Liao, chiaramente più in difficoltà degli altri sul piano dell’acquisizione della necessaria competenza comunicativa. Inoltre, Nadia e Giovanni, messi di fronte ai vari progetti di educazione interculturale, effettuati attraverso la collaborazione di Liao, hanno mostrato interesse nei confronti della possibilità di poter contribuire anche con le loro specificità, linguistiche e culturali, all’elaborazione dei progetti ideati35. Un discorso a parte è quello riguardante il rapporto con i due ragazzi rom presenti nella classe36. Mehira, sicuramente più inserita del compagno bosniaco all’interno del contesto scolastico, secondo l’impressione degli stessi insegnanti, sembra aver manifestato nei confronti del bambino cinese, un atteggiamento ambivalente, fatto di apertura e partecipazione, ma anche di diffidenza e presa di distanza. Tuttavia, è sembrata emergere, da parte della ragazza, una certa partecipazione proprio a quel clima di sostegno spontaneo creatosi tra gli alunni, fino al punto di prendere le difese del compagno nei confronti di altri allievi della scuola. I maggiori problemi di incomprensione si sono invece verificati soprattutto con Enver, che ha manifestato, fin dall’inizio del periodo di osservazione, un atteggiamento estremamente competitivo nei confronti di Liao. 35 Sull’inserimento di Nadia e di Giovanni nella classe cfr. avanti, nel capitolo IV, il paragrafo 4.4 Un’identità “sospesa”: i casi di Giovanni e Nadia. 36 Sull’inserimento dei due ragazzi rom cfr. avanti, nel capitolo IV, il paragrafo 4.3 Un’identità negata: l’inserimento dei rom nella classe. 117 In realtà, l’insofferenza verso le attenzioni che i compagni rivolgevano al ragazzo cinese e il rifiuto nei confronti di molte delle iniziative didattiche che lo coinvolgevano in prima persona, si sono a volte accompagnati anche a timidi tentativi di partecipare al clima di collaborazione costruito all’interno della classe. Tuttavia, probabilmente anche di fronte all’evidente disparità di trattamento da parte dei compagni, è sembrato prevalere, tra i due ragazzi, il contrasto piuttosto che i tentativi di comprensione. Più volte Enver ha manifestato, nel corso dell’anno scolastico, addirittura degli atteggiamenti aggressivi e violenti, peraltro immediatamente ricambiati dal ragazzo cinese. Inoltre, lo stesso Liao ha esplicitamente affermato, durante la discussione in classe, di non andare per niente d’accordo con il compagno bosniaco. D’altronde, Liao, oltre alle esperienze affettive di contatto e comunanza, sembrava condividere con i compagni anche il sentimento di parziale presa di distanza, peraltro mai esplicita, da un’identità, come quella dei rom, che è probabilmente apparsa agli occhi dei ragazzi inconciliabile e incompatibile con la stessa “cultura della scuola”37. Peraltro, va sottolineato come si siano verificati, al di fuori della classe, un altro paio di episodi di contrasto tra Liao e alcuni ragazzi rom, appartenenti a diverse classi. Dal vero e proprio contrasto fisico, fino all’atteggiamento più o meno derisorio dei rom nei confronti di Liao, questi episodi sembrano, per certi aspetti, incarnare l’opposizione che, sul piano più generale, è possibile costatare tra due diverse modalità di inserimento sociale e culturale, rappresentate proprio dalla cultura cinese e da quella rom. Basti pensare, per il momento, soltanto all’opposto 37 Sull’argomento cfr. avanti, nel capitolo IV, il paragrafo 4.2 L’oralità a scuola: il caso di Enver. 118 atteggiamento presente all’interno dei due gruppi, nei confronti della scuola. Alla centralità attribuita dalle comunità cinesi all’istituzione scolastica, come mezzo di formazione dei giovani, fanno, in effetti, da contro altare «gli atteggiamenti di distacco, di scarsa frequenza, di disinteresse nei confronti dei valori e delle conoscenze trasmesse a scuola nonché del clima costruttivo e di apprendimento che si può instaurare in classe»38. D’altra parte, Liao, al di là degli episodi di incomprensione che hanno riguardato in particolare il suo rapporto con questi ragazzi rom, sembrava manifestare maggiori difficoltà di socializzazione al di fuori del contesto della sua classe. É probabile che non sia un caso che i pochi episodi di intolleranza, o comunque di derisione, siano avvenuti fuori delle mura della classe, anche a dispetto dell’atteggiamento protettivo dei compagni. D’altronde, quel positivo “clima scolastico” venutosi a creare intorno al bambino, faticosamente costruito anche attraverso una educazione interculturale che, intesa nel senso più globale del termine, si è basata sul riconoscimento tanto delle differenze, quanto delle somiglianze, non sempre ha trovato terreno fertile al di fuori dell’aula, negli “interstizi” dell’interazione sociale o tra ragazzi estranei a quel contesto. 3.3 L’andamento scolastico: interventi didattici, partecipazione e risultati conseguiti 38 G. COCCHI, M. GIUSTI, M. R. MANZINI, T. MORI, L. M. SAVOIA, L’italiano come L2 nella scuola dell’obbligo…, cit., p. 117. 119 La scarsa padronanza della lingua di insegnamento ha, senza dubbio, condizionato fortemente l’acquisizione di nuove competenze nelle singole discipline che Liao ha affrontato nel corso dell’anno scolastico. É stata dunque necessaria, proprio per ovviare il più possibile ai problemi derivanti dall’ostacolo linguistico, l’elaborazione di strategie didattiche specifiche, in grado di facilitare l’apprendimento e la comprensione da parte del bambino. A questo proposito va rilevata la grande attenzione che la letteratura specifica dedica proprio al problema del rischio del ritardo scolastico, che grava fortemente sui figli delle famiglie immigrate, anche e soprattutto a causa delle difficoltà linguistiche. Graziella Favaro, non a caso, pone proprio il ruolo degli insegnanti come “facilitatori di apprendimento”, tra le attenzioni primarie che una strategia educativa interculturale deve tenere in considerazione, per poter svolgere una positiva funzione di “integrazione”, intesa, chiaramente, come processo “interattivo”, e non meramente “assimilativo”39. Gran parte dei dispositivi di accoglienza che, soprattutto negli altri paesi europei, da più tempo meta dei consistenti flussi migratori provenienti dai paesi più poveri, sono stati fino ad oggi messi in atto, hanno per lo più riguardato proprio l’apprendimento della L2, processo ovviamente fondamentale ai fini non soltanto della riuscita strettamente scolastica, ma anche del più globale inserimento sociale40. Tuttavia, nell’ambito degli studi relativi alla riuscita scolastica degli allievi migranti, oltre all’importanza dello strumento linguistico, sembra emergere, come tema centrale una «doppia 39 Cfr., G. FAVARO, Costruire l’integrazione nella scuola multiculturale, cit., p. 179. 120 marginalità, etnico-culturale e socio-economica»41, che conferma l’importanza delle difficoltà globali di adattamento come causa fondamentale dell’abbandono scolastico. Inoltre, va rilevato, più in generale, come gli obiettivi di crescita cognitiva, chiaramente perseguiti all’interno dei percorsi didattici, debbano, ai fini di un positivo processo di inserimento scolastico, sempre tener conto di tutti gli altri aspetti legati alla socializzazione dei ragazzi migranti. In poche parole, sembra opportuno, all’interno di un globale percorso di educazione interculturale, portare avanti una serie di interventi «di coinvolgimento-accettazione in grado di rendere integrati il versante cognitivo e quello affettivo- motivazionale ed emozionale nel processo di insegnamentoapprendimento»42. Dunque, anche la riuscita strettamente scolastica non sembra poter essere scissa da un più globale processo di inserimento sociale ed emotivo, capace soprattutto di motivare il ragazzo straniero all’apprendimento, viste le inevitabili difficoltà aggiuntive che è costretto ad affrontare, rispetto ai suoi compagni autoctoni. Proprio in virtù di queste problematiche, sono state, nel corso dell’anno scolastico, messe in atto una serie di strategie finalizzate a conciliare la necessità di un percorso individualizzato, con l’esigenza di non generare la percezione e l’auto-percezione del bambino straniero come “corpo estraneo” rispetto alla classe. A questo proposito va rilevata la grande preoccupazione e il conseguente dibattito che sembra coinvolgere spesso insegnanti ed educatori alle prese con le esigenze di alfabetizzazione e di recupero, da attuare in un contesto separato dallo spazio della classe. Se da un 40 Sulle strategie messe in atto negli altri paesi europei, cfr., a titolo di esempio, D. DEMETRIO, G. FAVARO, Immigrazione e pedagogia interculturale…, cit., pp. 69-78. 41 D. DEMETRIO, G. FAVARO, Immigrazione e pedagogia interculturale…, cit., p. 69. 121 lato, infatti, sembra emergere la necessità di non isolare gli alunni stranieri rispetto al gruppo-classe, all’interno del quale deve realizzarsi il processo di inserimento, dall’altro, le esigenze legate all’acquisizione delle necessarie competenze cognitive, che la scuola deve garantire, sembrano spingere verso una separazione fisica da attuarsi in determinati momenti. Tuttavia, oltre che del possibile senso di “frattura” determinato da questa separazione, sembrerebbe necessario tener conto anche del disagio, non meno problematico, in cui rischia di trovarsi un bambino costretto a vivere in classe una situazione di totale isolamento acustico e linguistico. Per soddisfare queste necessità, soprattutto durante le lezioni di lettere, i momenti di permanenza nella classe sono stati alternati alle ore di lavoro individualizzato, in cui Liao, spesso insieme ad altri ragazzi stranieri e italiani, è stato portato fuori dall’aula. Questo lavoro, possibile grazie alla presenza di più persone durante le ore di lezione, che hanno consentito la suddivisione degli alunni in più gruppi, è servito sia alla realizzazione di alcuni progetti di educazione interculturale, rivolti a tutti i ragazzi, che alla prosecuzione del percorso di recupero per gli alunni che manifestavano difficoltà. Le ore dedicate al percorso individuale seguito in particolare dal bambino cinese, sono state dedicate in parte all’alfabetizzazione e all’apprendimento dell’italiano come L243, e in parte alla ripetizione e all’approfondimento dei contenuti specifici delle singole materie di volta in volta prese in considerazione. Col procedere del tempo, in particolare nel secondo quadrimestre, le ore dedicate all’insegnamento delle singole materie sono 42 G. DOMENICI, Il profitto scolastico degli studenti stranieri e le previsioni di successo formulate dagli insegnanti, in F. SUSI (a cura di), L’interculturalità possibile…, cit., pp. 121-30, p. 122. 43 Cfr. sul percorso di apprendimento della L2, avanti, in questo capitolo, il paragrafo 3.4 L’alfabetizzazione e l’apprendimento dell’italiano: problemi e strategie di insegnamento. 122 aumentate, anche in coincidenza con le esigenze manifestate dal bambino stesso di acquisire competenze e nuove conoscenze, adeguate alla sua età. In effetti, da questo punto di vista, sembra emergere proprio il problema, sicuramente in parte verificatosi nel caso di Liao, della contraddizione tra la necessità di dedicare più tempo all’alfabetizzazione, e la percezione di una possibile frustrazione da parte dei ragazzi stranieri, legata all’esigenza di proseguire in un percorso di acquisizione e di apprendimento adeguato all’età. Queste problematiche, hanno portato all’elaborazione di una strategia che mirasse ad utilizzare materiale didattico alternativo ai libri di testo, chiaramente non adatti al basso livello di competenza in L2 posseduto da Liao. In particolare, il materiale più utilizzato è stato quello reperito durante le gite e le escursioni scolastiche cui Liao ha quasi sempre partecipato. Opuscoli, fotografie, cartoncini riassuntivi, si sono dimostrati materiali estremamente utili ai fini delle spiegazioni semplificate soprattutto per materie come la storia e la geografia. Infatti, Liao, ha dimostrato di essere facilitato nell’apprendimento e nella memorizzazione dai ricordi di ciò che aveva concretamente osservato e notato durante le escursioni e le visite guidate. Soprattutto, di particolare utilità si è dimostrata la gita a Castelporziano, che, inserita all’interno di un più globale percorso didattico di educazione ambientale per tutti i ragazzi, ha consentito di affrontare con Liao alcuni argomenti del programma di geografia. É stato possibile avviare un analogo percorso didattico partendo dalla visita al Ludus Magnus e al Colosseo, che si è dimostrata estremamente utile durante il periodo in cui Liao ha affrontato lo studio dell’antica Roma. 123 A questi strumenti, sono stati affiancati, quando possibile, altri materiali didattici da utilizzare per tutta la classe, come filmati, documentari e videocassette. Inoltre, per facilitare la comprensione, sono state raccolte fotocopie e immagini tratte da libri semplificati di storia e geografia, spesso accompagnati da esercizi finalizzati alla verifica della effettiva comprensione dei brani e delle descrizioni. Per quanto riguarda le altre materie insegnate dalla docente di lettere, va ricordato l’uso di libri bilingui italiano-cinese e, in particolare, la lettura che Liao ha potuto svolgere del racconto di impronta autobiografica di Ji Yue, L’aquilone bianco44, partecipando, in tal modo, all’attività di lettura individuale svolta da tutti gli alunni, secondo le indicazioni dell’insegnante45. A questo proposito va, in effetti, sottolineato come Liao, nonostante la scarsa conoscenza della lingua di insegnamento, fin dall’inizio dell’anno, abbia mostrato di voler restare in classe per partecipare attivamente alle attività di lettura, di ascolto o di ripetizione di volta in volta portate a termine dai suoi compagni italiani e stranieri. Va ricordata, a titolo di esempio, la pazienza con cui il bambino ha tradotto, con l’aiuto del suo vocabolario, un breve paragrafo riportato sul libro di storia adottato dalla classe, dedicato allo sviluppo della civiltà fluviale in Cina, già letto precedentemente dai suoi compagni. In effetti, se da un lato Liao ha più volte manifestato la volontà di partecipare alle regolari lezioni e di condividere con i compagni di classe i contenuti dei libri di testo e gli argomenti affrontati, dall’altro ha anche mostrato grande interesse nei confronti della possibilità di studiare argomenti legati al suo paese di origine. 44 J. YUE, L’aquilone bianco, a cura di A. GALLONE, Roma, Sinnos, 2001. 124 Tuttavia, i libri di testo, per lo più caratterizzati da una scarsa presenza di riferimenti a culture e civiltà diverse da quella occidentale, non sembravano venire incontro a questa necessità. Da un’indagine condotta nei primi anni ‘90, sui contenuti dei libri di testo usati nelle scuole dell’obbligo46, è emersa, a questo riguardo, una chiara tendenza etnocentrica, che rende difficile venire incontro all’esigenza di “decentramento” del punto di vista, che costituisce invece un elemento di fondamentale importanza per la realizzazione di una educazione realmente interculturale. Per riallacciarsi alla situazione in esame, nel caso dei libri di storia, la ricerca ha, in effetti, evidenziato la generale tendenza a narrare i fatti per lo più privilegiando il punto di vista europeo e trascurando, spesso, gli aspetti specifici delle culture trattate. L’evidente desiderio di Liao, notato anche dagli insegnanti, di continuare a studiare aspetti geografici, culturali e sociali del suo paese di origine, mostrandoli contemporaneamente ai suoi compagni, non potendo essere dunque realizzato attraverso l’ausilio dei normali libri di testo, è stato in parte concretizzato attraverso attività extracurricolari, indirizzate a tutti gli alunni. Per ciò che riguarda le altre materie, va rilevata la grande capacità che Liao ha dimostrato di possedere nello studio della matematica, abilità che sembra confermare quella sorta di luogo comune che vorrebbe i bambini cinesi tutti competenti in questa disciplina. In effetti, la tendenziale abilità degli alunni cinesi deriva soprattutto dal prestigio che questa disciplina sembra godere in patria, dove vige anche l’abitudine di privilegiare la velocità nei calcoli effettuati a mente. Non è probabilmente un caso, quindi, che 45 Sul tipo di materiale didattico utilizzato cfr. avanti, nel capitolo IV, il paragrafo 4.5 Valorizzare la diversità: metodi, attività e percorsi interculturali. 46 Cfr. P. FALTERI (a cura di), Interculturalismo e immagine del mondo non occidentale nei libri di testo della scuola dell’obbligo, Roma, I quaderni di Eurydice, 1993. 125 Liao abbia mostrato, durante lo svolgimento degli esercizi in classe, un grande abilità proprio nei calcoli, superando in velocità i suoi compagni italiani47. Tuttavia, nonostante l’abilità dimostrata, che ha comunque permesso al bambino una buona riuscita nella materia, la stessa insegnante di matematica ha più volte sottolineato come il problema linguistico abbia necessariamente ostacolato la comprensione delle spiegazioni. Questo problema per il momento non sembra aver causato ritardi, anche grazie all’intervento compensativo dell’insegnante, che, durante lo svolgimento delle lezioni, ha prestato una particolare attenzione al ragazzo straniero. Peraltro, la prontezza dimostrata da Liao nell’afferrare le spiegazioni, ha fatto pensare ad una preventiva conoscenza da parte del bambino di alcuni degli argomenti trattati nel corso dell’anno, sconosciuti al resto della classe. Tuttavia, in futuro, andando avanti nel programma, nonostante la crescente competenza comunicativa acquisita da Liao, secondo l’opinione della stessa insegnante, l’ostacolo linguistico potrebbe generare dei problemi aggiuntivi, per il momento compensati dall’abilità e dalla prontezza dimostrata dal bambino. Più grandi problemi si sono verificati con le scienze naturali, in cui Liao è rimasto inevitabilmente indietro rispetto al resto della classe: l’impianto discorsivo con cui vengono affrontate queste materie di studio sembra necessitare, infatti, di buone competenze linguistiche. La materia che Liao stesso indica come più difficile per lui è sicuramente la lingua straniera. In effetti, durante le ore di osservazione in classe, se da un lato è emersa una grande volontà di ascolto e partecipazione da parte di Liao, dall’altro, è stato da subito evidente un grande disagio vissuto 126 dal bambino, costretto, chiaramente, a prestare attenzione non solo all’italiano come “lingua-veicolo” di insegnamento, ma anche all’inglese come “lingua-oggetto” esplicito di studio. Peraltro, le riflessioni sulla lingua straniera, effettuate sulla base di un confronto con la L1 della maggior parte dei ragazzi, devono essere per forza di cose apparse al bambino, al di là dei problemi comuni a tutte le discipline e legati alla scarsa competenza comunicativa, difficili da afferrare in se stesse, a causa delle lacune sulle conoscenze della struttura dell’italiano. A conferma di questa difficoltà, va rilevato come l’insegnante di inglese, sia stata costretta, per forza di cose, a dedicare le ore di recupero nella sua materia alla prosecuzione con Liao del percorso di alfabetizzazione e di apprendimento dell’italiano, prima ancora che della lingua straniera. Tuttavia, anche in inglese, Liao ha mostrato alla fine dell’anno un certo miglioramento, che ha riguardato soprattutto il piano lessicale e l’esecuzione degli esercizi più semplici, come quelli relativi alla costruzione di frasi negative e, in alcuni casi, interrogative. Infine, va rilevata l’abilità dimostrata dal bambino nelle materie tecniche e, in particolare, nell’esecuzione dei disegni. L’insegnate di educazione tecnica ha più volte sottolineato la bravura e la precisione del bambino nella parte pratica della sua materia. Non è stato possibile, invece, per Liao partecipare attivamente alle ore di lezione dedicate alla teoria, basate in parte sulla ripetizione orale e, in parte, sulla stesura di relazioni scritte. In linea di massima, è possibile notare un generale percorso di acquisizione di nuove conoscenze e competenze, faticosamente realizzato attraverso l’impegno degli insegnanti, che, sia dedicando 47 Cfr. in proposito, sopra, nel capitolo I, il paragrafo 1.2 A scuola in Cina: programmi, strategie e metodologie didattiche. 127 una maggiore attenzione al bambino in classe che attuando interventi separati nelle ore di recupero, hanno tentato di ovviare alle difficoltà linguistiche di Liao. Tuttavia, al di là delle specifiche strategie didattiche messe in atto, è emersa soprattutto l’esigenza di integrazione sociale e affettiva del bambino, come fondamentale strumento in grado di motivare e di stimolare Liao nello sviluppo delle competenze linguistiche necessarie. É soprattutto per questo che, come già sottolineato, in particolare nelle ore di italiano, sono state messe in atto strategie miranti ad alternare momenti di lavoro individuale, con fasi di lavoro di gruppo, di volta in volta predisposte e sperimentate accuratamente, proprio per stimolare il più possibile l’interazione tra i ragazzi. I compagni italiani sono stati sollecitati, soprattutto attraverso la mediazione degli insegnanti, ad aiutare Liao, così come gli altri compagni in difficoltà, nella preparazione delle interrogazioni, nella stesura di composizioni, dialoghi e presentazioni di complessità crescente. Grosso modo tutti gli alunni, hanno, in tal modo, contribuito alla riuscita scolastica di Liao, traendone, secondo l’opinione degli stessi insegnanti, grandi benefici, se non altro per il clima di collaborazione che, in taluni momenti, si è venuto a creare all’interno del gruppo-classe. 3.4 L’alfabetizzazione e l’apprendimento dell’italiano: problemi e strategie di insegnamento Rispetto agli altri ragazzi stranieri presenti all’interno della classe, Liao, arrivato nella scuola senza parlare italiano, è quello che ha 128 incontrato sicuramente maggiori difficoltà comunicative, da cui sono dipesi gran parte degli ostacoli affrontati dal bambino e dai suoi insegnanti nel corso dell’anno scolastico. Lucia Maddii, mette in luce, in questo senso, proprio la generale difficoltà comunicativa e linguistica che in genere i cinesi, più di altri gruppi etnici, sono costretti ad affrontare, nell’apprendimento dell’italiano. Ai fattori sociali che influiscono nell’acquisizione della L2, vanno, in effetti, affiancati alcuni elementi più strettamente linguistici, che appaiono per lo più costanti nelle osservazioni di insegnanti ed educatori48. Una delle maggiori difficoltà sembra riguardare, secondo le analisi effettuate, l’acquisizione degli elementi morfologici. L’invarianza delle parole, tipica del cinese, sembra condizionare fortemente l’apprendimento di una lingua come l’italiano, caratterizzata da una morfologia ricca, complessa e flessibile, che si basa, appunto, sulla variazione delle vocali finali, in genere poco percepite da un ascoltatore straniero49. Liao ha, in effetti, faticato non poco a comprendere e poi a mettere in pratica, mantenendo elevato il numero degli errori, il meccanismo di formazione del plurale e singolare, del maschile e femminile. Inoltre, è stato possibile notare, da parte del bambino, la presenza di diversi stadi relativi proprio alla padronanza di questi specifici elementi. All’inizio, infatti, Liao sembrava stentare nella comprensione stessa del meccanismo di formazione e variazione, poi, una volta compreso teoricamente il procedimento, il ragazzo ha cominciato ad usarlo lentamente, applicando la regola anche alle eccezioni: “uomo” al plurale diventava “uomi”. Infine, proprio nell’ultimo mese, ha iniziato ad utilizzare abbastanza correttamene, 48 49 L. MADDII, L’immigrazione cinese nell’area fiorentina: problemi linguistici e sociali, cit., pp. 449-54. Cfr. Ivi, p. 450. 129 continuando naturalmente a commettere degli errori, il meccanismo di variazione, autocorreggendosi ed usando le eccezioni in modo spontaneo. Più complessa è stata la comprensione dell’uso del genere maschile e femminile. D’altronde, per un cinese, che parla una lingua dove gli oggetti inanimati sono neutri, «è difficile accettare inizialmente che anche le cose hanno un sesso»50. L’altra grande difficoltà, riscontrata in tutte le analisi ed evidente anche in Liao, risiede in genere nell’uso dell’articolo, inesistente in cinese. Peraltro, occorre sottolineare, naturalmente, quanto la competenza nella scrittura e nell’esposizione orale siano differenti tra loro, passando attraverso le varie fasi di acquisizione. Liao, infatti, nel corso dell’anno, ha continuato, nel parlare, ad omettere gli articoli fino alla fine, mentre, nelle composizioni scritte è arrivato al punto di autocorreggersi, inserendo l’articolo là dove era stato omesso. Sul piano fonologico è stato possibile osservare gli errori e le difficoltà più evidenti. Dalla confusione tra i fonemi /r/ ed /l/, alla scarsa differenziazione tra le vocali (“a” ed “e” soprattutto), fino agli errori legati alla produzione delle geminate, Liao ha mostrato grandi difficoltà nella pronuncia dell’italiano. Per quanto riguarda i verbi, il ragazzo, più che sull’uso dell’infinito, ha basato la sua comunicazione sulla terza persona dell’indicativo presente e, in una fase interlinguistica leggermente successiva, sul participio passato per esprimere un’azione compiuta. Per ciò che concerne la scrittura, Liao ha mostrato di conoscere abbastanza bene l’alfabeto latino, nonostante qualche errore nella resa scritta di alcuni fonemi dell’italiano, legato probabilmente alle 50 Ibidem. 130 differenti consuetudini del pinyin, il sistema di trascrizione fonetica usato in Cina anche nelle scuole. Gli errori ortografici più frequenti, consistevano per lo più nell’uso sbagliato delle doppie e dei gruppi consonantici “gl” e “gn”. Da rilevare è sicuramente la tendenza, soprattutto nella lettura delle parole, ad invertire le consonanti. Una possibile spiegazione, potrebbe risiedere nella tendenza, peraltro riscontrata in altre circostanze, a voler leggere la parola nella sua totalità, senza pronunciare, come invece avveniva per lo più nel caso degli altri ragazzi non italiani, in successione le singole sillabe. A questo riguardo, è peraltro necessario tener presenti le eventuali difficoltà legate al passaggio dagli ideogrammi all’alfabeto latino che il ragazzo, abituato ad un altro sistema di scrittura, può avere incontrato: «il passaggio da una scrittura all'altra per un apprendente può comportare problemi di interpretazione del nuovo sistema scrittorio, sia rispetto alla direzione degli elementi grafici che rispetto alla densità di informazione contenuta in ognuno di essi»51. Le attività finalizzate al raggiungimento di una migliore padronanza linguistica da parte del ragazzo, si sono svolte attraverso diverse modalità di insegnamento e di organizzazione temporale da parte degli insegnanti che, come nel caso del percorso di recupero per gli alunni più in difficoltà, hanno cercato di alternare momenti di lavoro individuale, con altri di attività di gruppo. Questa alternanza si è peraltro intrecciata con le particolari esigenze del percorso di apprendimento, basato contemporaneamente sia sull’aspetto propriamente linguistico e grammaticale, che su quello più globalmente comunicativo. 51 B. TURCHETTA, La scrittura: funzioni e tecniche, nel CD-Rom Qui è la nostra lingua, Roma Tre - Dipartimento di Linguistica, Comune di Roma-Assessorato alle Politiche Educative e Scolastiche, 2003. 131 A questo proposito, la letteratura in merito all’insegnamento della L2 in contesto migratorio, tende, in effetti, a mettere in luce l’importanza di un apprendimento basato soprattutto sulla comunicazione concreta, piuttosto che sull’analisi metalinguistica. Per un alunno inserito all’interno di un contesto di totale “immersione linguistica”, nell’insegnamento della L2, dovrebbe prevalere una comunicazione «il più possibile vicino a quella naturale, cioè centrata sul contenuto e non sulla forma»52. Ed effettivamente, le attività collettive, per lo più organizzate in piccoli gruppi, sono state pensate proprio per favorire la comunicazione tra gli alunni stessi, dando quindi a Liao la possibilità di esprimersi e di “negoziare” il significato dei suoi e degli altrui discorsi. Coerentemente con le più accreditate teorie, sostenitrici dell’esistenza di fasi interlinguistiche dotate di una autonoma grammatica, attraverso cui l’apprendente deve inevitabilmente passare53, le forme scorrette e gli errori di Liao, sono stati per lo più accettati, privilegiando l’acquisizione di competenza comunicativa, in grado di porlo in condizione di capire e di esprimersi. In questo senso, il lavoro all’interno di un gruppo di alunni, ha comportato per il bambino una maggiore possibilità di interazione spontanea, senza la mediazione di un insegnante. A questo proposito, la stessa insegnante di italiano, ha più volte notato e sottolineato come, nei dialoghi con i compagni, Liao abbia per lo più dimostrato di possedere una maggiore capacità di espressione e di comprensione dell’italiano, rispetto a quella 52 L. MADDII, L’italiano seconda lingua. Riflessioni sulle esperienze in una scuola ad alta presenza di alunni cinesi, in «LEND. Lingua e Nuova Didattica», ann. XXVIII 1999, n. 1, pp. 38-43, p. 40. 53 Per una breve ma completa trattazione dell’argomento cfr., ad esempio, G. COCCHI, M. GIUSTI, M. R. MANZINI, T. MORI, L. M. SAVOIA, L’italiano come L2 nella scuola dell’obbligo…, cit., pp. 25-30; ed anche G. PALLOTTI, La seconda lingua, Milano, Bompiani, 2000, pp. 21-106. 132 manifestata nelle conversazioni con gli insegnanti. In effetti, i compagni hanno dimostrato di riuscire, attraverso una paziente negoziazione, ad ottenere, per esempio, informazioni aggiuntive rispetto a quelle possedute dagli stessi docenti. Tenendo anche presente l’atteggiamento estremamente rispettoso, tenuto da Liao verso i suoi insegnanti e, in generale, verso gli adulti nella scuola, è probabile che il bambino si sia sentito più libero di sbagliare e, dunque, di interagire spontaneamente con i suoi compagni, manifestando invece la tendenza a ricercare conferma o correzione da parte dei docenti. Da una serie di indagini e di esperimenti in ambito glottodidattico, è emersa, da questo punto di vista, proprio l’importanza centrale nell’apprendimento di una L2, dell’interazione tra l’apprendente e i parlanti nativi. Peraltro, sembra che l’interazione offra non solo delle buone opportunità sul piano della comprensione, ma anche su quello dell’accrescimento delle capacità di produzione linguistica54. É stato, infatti, ampiamente osservato, che l’apprendimento linguistico, e in particolare quello di una seconda lingua, è attivato da fattori legati soprattutto «alla volontà/necessità di produrre messaggi comprensibili e comprendere messaggi degli interlocutori per raggiungere determinati obiettivi rilevanti per il parlante»55. D’altra parte, l’approccio comunicativo, utilizzato, per quanto possibile, anche all’interno delle lezioni individuali, sembra indurre «gli allievi a trasferire le strutture linguistiche apprese in situazioni che li coinvolgono come interlocutori reali»56. 54 Cfr. G. PALLOTTI, La seconda lingua, cit., pp. 174-6. A questo proposito, va anche rilevata l’importanza in ambito didattico di tenere in considerazione proprio le competenze linguistiche già acquisite in modo “naturale”. Cfr. in merito M. VEDOVELLI, La lingua degli stranieri immigrati in Italia, in «LEND. Lingua e Nuova Didattica», ann. X 1981, n. 3, pp. 17-23, in partic. p. 19. 55 G. COCCHI, M. GIUSTI, M. R. MANZINI, T. MORI, L. M. SAVOIA, L’italiano come L2 nella scuola dell’obbligo…, cit., p. 91. 56 G. ACQUISTAPACE, Alunni stranieri nella scuola media, in «Dirigenti Scuola», ann. XI 1991, n. 4, pp. 47-52, p. 49. 133 Tuttavia, se l’opinione prevalente tra gli studiosi tende a riconoscere attualmente l’importanza fondamentale della comunicazione spontanea, d’altro canto, molti autori propongono di integrarvi anche una certa dose di riflessione e di attenzione posta sulla grammatica. Vedovelli, ad esempio, sottolinea anche l’importanza della riflessione metalinguistica all’interno di un più globale percorso di acquisizione di L2 in contesto migratorio. Rispetto al passato, in cui si è teso a sottovalutare, soprattutto da parte dei divulgatori meno attenti dell’approccio comunicativo alla glottodidattica, il ruolo dell’attività metalinguistica, sembra che attualmente si possa parlare di una rinnovata attenzione verso questo aspetto dell’apprendimento e dell’importanza che esso sembra assumere anche all’interno del processo di acquisizione spontanea57. A questo proposito, anche Graziella Favaro, riflettendo sulle modalità di apprendimento della seconda lingua, mette in luce come una strategia di insegnamento adeguata non possa in alcun modo trascurare la necessità di stabilire un collegamento tra i momenti di apprendimento guidato e quelli di acquisizione spontanea. Occorre, insomma, tenere sempre presente che «la situazione di “bagno linguistico” o di immersione, da sola, non consente al bambino di diventare italofono»58. Come sottolinea Pallotti, si tratta spesso anche di prendere in considerazione i diversi “stili cognitivi” degli apprendenti: se, infatti, «alcuni provano un rifiuto per tutto ciò che è astrazione e 57 Cfr. M. VEDOVELLI, Apprendimento e insegnamento linguistico in contesto migratorio: dall’apprendimento spontaneo a quello guidato dell’italiano L2, in «SILTA. Studi Italiani di Linguistica Teorica e Applicata», ann. XXIII 1994, n. 2, pp. 193-220, in partic. pp. 194-6 e pp. 213-4. 58 G. FAVARO, Alunni stranieri a scuola, Roma, CIES, 1992, p. 21. 134 formalizzazione, altri, più analitici, troveranno l’attività di riflessione metalinguistica un compito cognitivo avvincente»59. É possibile, a questo riguardo, sottolineare come il ragazzo stesso abbia più volte manifestato la tendenza a chiedere spiegazioni esplicite sulle forme linguistiche nuove che incontrava. In special modo durante i primi mesi di osservazione, erano frequenti, da parte di Liao, una serie di interrogativi che si incentravano, ad esempio, sulla variazione dei termini e sulla sua conseguente difficoltà a rintracciare molte delle parole che incontrava sul vocabolario che portava sempre con sé. In questo senso, è possibile mettere in luce proprio come la competenza metalinguistica sia in grado di «fornire al migrante strumenti per meglio gestire il proprio apprendimento», costituendo, peraltro, «una via d’accesso attraverso la quale l’insegnamento guidato si connette agli apprendimenti spontanei»60. Tenendo conto di queste esigenze, il percorso di apprendimento dell’italiano, è stato organizzato prevedendo anche alcune ore settimanali di lavoro individuale, che consentissero a Liao di seguire, con un apposito testo, un corso di lingua italiana, per lo più basato su un approccio comunicativo, affiancato, tuttavia, da un volume specificamente dedicato all’analisi più strettamente linguistica61. Durante le ore in cui i compagni erano impegnati a seguire le spiegazioni più complesse, specialmente nel primo quadrimestre, Liao è stato condotto fuori dalla classe, per proseguire separatamente nel percorso di apprendimento dell’italiano. L’insegnamento e le esercitazioni sono per lo più consistite nella lettura di brani e dialoghi in italiano, seguiti spesso da domande di comprensione, 59 60 G. PALLOTTI, La seconda lingua, cit., p. 325. M. VEDOVELLI, Apprendimento e insegnamento linguistico in contesto migratorio…, cit., p. 213. M. P. AZZARO CHIESA, V. LOSANNA CAIRE, Anch’io parlo, leggo, scrivo, in italiano. Corso di lingua italiana per stranieri, Vol. A e B, Milano, Trevisini Editore, 2001. 61 135 secondo una difficoltà crescente, e in una serie di esercizi focalizzati di volta in volta sugli argomenti affrontati dall’insegnante di italiano. É stata posta particolare attenzione, in un primo momento, sull’aspetto lessicale e ortografico, con insistenza sulle doppie, sui gruppi “gn” e “gl” e sulla funzione della “h” dopo la “c” e la “g”. Successivamente, gli esercizi si sono basati sull’articolo e sulla formazione del plurale e singolare, sul maschile e femminile. Uno degli ultimi argomenti affrontati, in verità accennato continuamente durante l’anno, è stato il verbo, con particolare attenzione alla coniugazione di “essere” e “avere”. L’altra parte del percorso di apprendimento si è invece svolta attraverso attività collettive, per lo più, come già evidenziato, finalizzate a creare occasioni di interazione tra gli alunni. Queste attività si sono svolte sia in classe che in ambienti separati, cercando di sfruttare il più possibile le ore di compresenza, rivelatesi di fondamentale importanza, non solo per il percorso di alfabetizzazione e apprendimento della L2, ma anche nella strategia didattica ed educativa interculturale messa in atto. I lavori collettivi e di gruppo, dunque, in stretto legame con le esigenze di accrescimento della competenza comunicativa, si sono per lo più incentrati sull’ampliamento del lessico, la cui acquisizione è stata posta in primo piano, specialmente nei primi mesi dell’anno scolastico. La prima attività, svolta soprattutto durante le prime settimane di dicembre, è stata quella di “scambio lessicale” tra la lingua italiana e quella cinese. La curiosità e la partecipazione di quasi tutti i compagni italiani e stranieri, ha stimolato l’acquisizione lessicale in Liao, mettendo peraltro il bambino nella condizione di dover necessariamente 136 interagire con i compagni, per comprendere le loro richieste e spiegare loro i significati delle singole parole. L’attività ha, infine, comportato la realizzazione, sul quaderno di Liao, di piccoli schemi che raccogliessero insiemi coerenti di parole, suddivisi per tema e, quindi, anche più facili da memorizzare. Il lavoro svolto si è, peraltro, riallacciato ad alcune attività interculturali che hanno avuto per tema la lingua e la scrittura, con particolare attenzione alla cultura cinese. Da questo punto di vista, va, in effetti, messa in luce l’importanza del collegamento che si è venuto a realizzare tra l’insegnamento della L2 ai ragazzi non italiani e la più generale strategia didattica ed educativa messa in pratica nella classe multietnica. Inoltre, va tenuto conto del fatto che lo scambio lessicale tra le lingue dei ragazzi stranieri e l’italiano, esplicitamente utilizzato ai fini della realizzazione di questa specifica attività, in realtà è stato continuamente al centro di gran parte del lavoro svolto in classe, legato tanto al programma, quanto alle attività extracurricolari. Altra attività di gruppo, effettuata dalla classe e, in particolare, durante le ore di recupero, dai ragazzi stranieri, è stata quella di “denominazione”, realizzata attraverso l’esecuzione di disegni, corredati di scritte descrittive e indicanti i nomi degli oggetti raffigurati62. Il lavoro, peraltro ben accolto dai ragazzi e protrattosi per tutto il primo quadrimestre circa, ha comportato una organizzazione per piccoli gruppi, composti da due o tre alunni. Questa esigenza ha consentito a Liao di interagire direttamente con un compagno, scelto di volta in volta dall’insegnante, e di impegnarsi sia nella scrittura che nella memorizzazione dei vocaboli incontrati. 62 Per l’attività di “denominazione” cfr. avanti in allegato. 137 I disegni con le scritte sono stati successivamente, per quanto possibile, raggruppati per tema e affissi sulle pareti dell’aula, in modo tale che Liao li avesse sempre sotto gli occhi. L’uso delle immagini nel lavoro lessicale è sembrato chiaramente, secondo l’opinione della stessa insegnante di lettere, agevolare la memorizzazione delle parole italiane. Tuttavia, anche in questo caso, è necessario in primo luogo sottolineare come l’importanza di questi progetti, più che nelle specifiche strategie glottodidattiche, è sembrata risiedere proprio nelle occasioni di contatto, mediazione e interazione, che si sono venute a determinare all’interno del gruppo-classe. L’apprendimento dell’italiano per Liao e per gli altri ragazzi stranieri è apparso, in questo senso, inscindibile da un più globale processo di inserimento sociale all’interno della classe, che potesse motivare gli alunni non italiani, ad imparare la lingua per poter socializzare con i compagni e partecipare attivamente alla vita di classe. A questo riguardo, Liao, secondo l’opinione degli stessi insegnanti, è apparso estremamente stimolato verso l’apprendimento linguistico proprio dal positivo atteggiamento dei compagni: i fattori sociali, d’altronde, sembrano contribuire notevolmente a determinare gli esiti, positivi o negativi, dell’apprendimento linguistico63. In questo senso, tutte le attività extracurricolari realizzate all’interno del più globale progetto di educazione interculturale, hanno costituito anche una risorsa fondamentale ai fini dell’acquisizione linguistica da parte dei ragazzi stranieri. Lo scambio, l’interazione e la possibilità stessa di muoversi e parlare liberamente, hanno fornito, inevitabilmente, uno stimolo significativo verso il dialogo e la negoziazione, ampliando, in tal 63 Cfr. sul rapporto tra fattori sociali e apprendimento linguistico, ad esempio, G. PALLOTTI, La seconda lingua, cit., pp. 184-9. 138 modo, le competenze comunicative dei ragazzi stranieri. Questa tendenza è stata tanto più evidente nel caso di Liao, che, in alcune fasi delle varie attività svolte, ha ricoperto, spesso su iniziativa dei suoi stessi compagni, un ruolo centrale che lo ha spinto verso la continua necessità di comunicare. I fattori sociali e culturali, d’altra parte, sembrano condizionare persino l’atteggiamento mentale dell’apprendente nei confronti della lingua stessa oggetto di studio. Poiché, infatti, «ogni lingua porta in sé simboli, messaggi e valori morali diversi»64, soprattutto andando avanti con l’età, l’acquisizione di una seconda lingua comporta «sia una volontà di socializzazione, sia un impegno competitivo, una scoperta di valori ed una messa in discussione di quelli della propria cultura»65. La maggior parte degli autori che hanno affrontato il problema dell’apprendimento-insegnamento dell’italiano L2, sottolineano l’importanza di non abbandonare la lingua madre che, anzi, dovrebbe, in questo senso, continuare ad essere oggetto di studio da parte dei ragazzi stranieri nel contesto migratorio66. Continuare a far uso della propria lingua madre sembrerebbe, in effetti, costituire una condizione ideale per i ragazzi immigrati, non soltanto sul piano strettamente linguistico, ma anche e soprattutto su quello affettivo ed emotivo, comportando l’acquisizione di un «bilinguismo coordinato e aggiuntivo, che prevede nuove acquisizioni e arricchimenti senza perdite e rotture di legami affettivi importanti»67. 64 M. OMODEO, L’ABC dei cinesi. Come si insegna una lingua, in «Avvenimenti», 22 aprile 1992, pp. 58-61, a p. 59. Ibidem. 66 Cfr. ad esempio il progetto di educazione interculturale descritto in P. POLLIANI, La scuola elementare: inserimento scolastico dei minori cinesi e sperimentazione di attività didattiche interculturali, in «Dirigenti Scuola», ann. XI 1991, n. 4, pp. 45-6. 67 G. FAVARO, Costruire l’integrazione nella scuola multiculturale, cit., p. 181. 65 139 Scrive Maria Omodeo che «quando non si è sicuri della propria identità culturale e linguistica, si hanno molte più difficoltà ad accettare le altre culture e lingue»68. E questa considerazione, sembrerebbe tanto più vera nel caso degli immigrati cinesi, tradizionalmente attaccati al loro universo culturale d’origine e, per la natura stessa della scrittura ideografica, soggetti, più di altri gruppi etnici, all’analfabetismo di ritorno. Tuttavia, nel caso di Liao, chiaramente, la mancanza di specifiche conoscenze sulla lingua cinese da parte dei docenti, non ha consentito nemmeno di prendere in considerazione una tale eventualità. D’altra parte, le sperimentazioni relative all’organizzazione di corsi paralleli di lingua cinese, sono state per lo più realizzate all’interno di contesti ad alta concentrazione di ragazzi di origine cinese, come, ad esempio, nelle zone di Firenze, Prato e Campi Bisenzio e hanno previsto la partecipazione di mediatori linguistici e culturali esterni. Tuttavia, pur mancando l’aspetto più strettamente linguistico di una simile esperienza, è rimasta costante, nel corso di tutto l’anno scolastico, una certa tendenza a valorizzare, con attività rivolte a tutti gli alunni, le lingue di origine dei ragazzi stranieri, come aspetti del loro universo culturale di provenienza, ponendo particolare attenzione allo stretto legame tra lingua e cultura. 3.5 Dalla scuola cinese a quella italiana: l’adattamento ad una nuova realtà 68 M. OMODEO, Leggere e scrivere cinese per imparare l’italiano, in «Avvenimenti», 6 gennaio 1993, pp. 48-9, p. 49. 140 Durante tutto l’anno scolastico, è stato possibile osservare, secondo le opinioni degli stessi insegnanti, un percorso di graduale adattamento messo in atto da Liao, mediante il quale il ragazzo sembra essere passato dalla maggiore rigidità dei primi giorni di scuola, testimoniata da alunni e docenti, ad una più aperta flessibilità verso la nuova situazione scolastica sperimentata. D’altronde, lo stesso uso della corporeità e della gestualità, come strumenti di interazione con il nuovo contesto vissuto al di fuori dell’universo famigliare, sembra avvalorare l’ipotesi di una “strategia” di adeguamento messa in atto nel paese di emigrazione69. A questo processo di apertura verso una corporeità più “conforme” a quella dei suoi compagni, Liao ha accompagnato un percorso di graduale acquisizione di flessibilità nei confronti delle regole e del comportamento scolastico, di cui, la più libera gestualità, sembra essere la manifestazione più evidente. Per fare soltanto un esempio, potrebbe non essere casuale il fatto che Liao abbia impiegato del tempo per abituarsi all’idea di allontanarsi dall’aula, per seguire i suoi compagni. Specialmente nei primi mesi, durante l’intervallo, infatti, Liao, usciva dalla classe soltanto se costretto dalla assenza di tutti i compagni, per poi tornarvi immediatamente al seguito di qualcuno che, per varie ragioni, decideva di trascorrere la ricreazione in aula. Nel passaggio da un sistema scolastico rigidamente controllato, ad uno che concede grande attenzione alle libertà del singolo, un alunno potrebbe trovarsi a vivere, in questo senso, un enorme scarto, che necessita, appunto, di adeguate strategie di mediazione70. Nell’ambito della scuola italiana, infatti, secondo una concezione tipicamente occidentale, «il bambino si costituisce come soggetto 69 Cfr. sopra, in questo capitolo, il paragrafo 3.2 L’inserimento nella classe e il rapporto con i compagni. 141 attivo del processo educativo»71e, dunque, come destinatario di strategie didattiche volte a promuoverne l’autonomia di giudizio e la capacità di “esplorazione”. La scuola italiana, insomma, a differenza di quella cinese, non sembra, nelle intenzioni dei legislatori stessi, finalizzata alla trasmissione di ideologie precostituite, ma all’acquisizione di competenze in grado di stimolare la creatività, la capacità di formulare idee e costruire progetti. L’esperienza di scolarizzazione in Cina, se, dunque, da un lato ha consentito a Liao, di individuare ed utilizzare un linguaggio grosso modo comune ai vissuti dei suoi nuovi compagni italiani, d’altro canto, sembra essere alla base anche di una serie di evidenti differenze nell’atteggiamento e nel comportamento del bambino rispetto al nuovo contesto. In altri termini, la presenza di alunni stranieri nel sistema educativo italiano, nonostante la condivisione dell’esperienza scolastica come elemento centrale del vissuto individuale, sembra comportare la necessità di una valutazione del «rapporto fra la situazione culturale di partenza degli allievi e la cultura della scuola, che comprende saperi consolidati da trasmettere, metodi, valori, norme e regole»72. A differenza dei suoi compagni, Liao, nel corso dell’anno, ha mostrato una certa reticenza nell’intervenire direttamente anche per chiedere spiegazioni e, se interpellato dagli stessi insegnanti, ha manifestato una tendenza ad assecondare l’interlocutore, asserendo comunque di aver capito. 70 Sulla rigidità del sistema scolastico cinese cfr. sopra il capitolo I, in partic. il paragrafo 1.2 A scuola in Cina: programmi, strategie e metodologie didattiche. 71 M. SBORDONI, Dalle scuole cinesi a quelle italiane…, cit., p. 15. 72 G. COCCHI, M. GIUSTI, M. R. MANZINI, T. MORI, L. M. SAVOIA, L’italiano come L2 nella scuola dell’obbligo…, cit., p. 115. 142 L’atteggiamento estremamente rispettoso, mostrato nei confronti dei docenti, ha, dunque, rischiato più volte di condizionare il buon esito del rapporto alunno-insegnanti, proprio a causa della necessità di questi ultimi, di verificare, in modo più diretto, l’effettiva comprensione da parte del bambino. Ma le più evidenti manifestazioni di questo differente atteggiamento nei confronti della realtà e del contesto scolastico, si sono verificate proprio sul piano più strettamente didattico. A differenza dei suoi compagni, Liao, non sembrava abituato, infatti, ad esporre e manifestare la sua opinione, dando l’impressione di porsi spesso nei confronti dei contenuti e degli insegnamenti ricevuti, in termini di puro apprendimento mnemonico. La creatività, d’altra parte, in Cina, come già messo in luce, «è concepibile solo come flessibilità nell’utilizzazione di certe tecniche e solo al seguito di una riconosciuta padronanza»73, legandosi, chiaramente, ad una concezione del sapere stesso, come qualcosa di già dato. E in questo senso potrebbero essere interpretati i numerosi episodi in cui il bambino è sembrato ricercare, nei confronti degli insegnanti, non tanto una spiegazione, ma una conferma o meno della correttezza di ciò che faceva. Gli esercizi, persino quelli che nell’ottica occidentale tendono ad essere maggiormente legati alla sfera della creatività, come le composizioni scritte, i temi, i disegni, sono stati spesso concepiti dal ragazzo nei termini di una logica legata alla ricerca di un risultato, da concepire come giusto o sbagliato. Mentre Liao non aveva difficoltà a comprendere, infatti, gli esercizi con risposta a scelta multipla o del tipo “vero-falso”, 73 M. SBORDONI, Dalle scuole cinesi a quelle italiane…, cit., p. 19. 143 rimaneva spesso inibito di fronte alla richiesta di inventare dialoghi, o di realizzare dei disegni, mettendo in gioco la sua fantasia. Durante lo svolgimento dell’attività di denominazione, ad esempio, Liao, incaricato di realizzare un disegno a suo piacimento, sulla base di indicazioni fornite dall’insegnante, ha incontrato notevoli difficoltà. Posto davanti all’esigenza di inventare la figura di un uomo grasso, il bambino ha tentato di copiare il disegno che l’insegnante aveva realizzato per fargli comprendere la sua richiesta. Per le successive realizzazioni, Liao ha prima copiato e poi letteralmente calcato i disegni dall’originale, mostrando di concepire, come notato dalla stessa insegnante di italiano, i disegni in termini di risultato corretto, più che di bravura nel realizzarli. Nella creazione dei disegni, insomma, così come nell’invenzione dei dialoghi in italiano, gli esercizi erano sempre effettuati sulla base di un “modello” cui far riferimento, che potesse verificare la correttezza dell’esecuzione. Persino le spiegazioni ricevute dagli insegnanti sembravano più spesso finalizzate, nell’ottica del bambino, alla successiva esecuzione degli esercizi di verifica, piuttosto che alla comprensione degli argomenti affrontati. A questo proposito, gli insegnanti hanno, in effetti, più volte notato come Liao copiasse, a volte senza capire, i compiti a casa dal compagno di banco, per mostrare poi agli insegnanti il quaderno completo di tutti gli esercizi svolti. D’altronde, in Cina, le strategie didattiche sembrano concentrarsi, in questo senso, proprio sulla «correttezza delle forme di esecuzione»74, piuttosto che sulla necessità di fornire spiegazioni di quanto viene richiesto agli alunni. 74 G. COCCHI, M. GIUSTI, M. R. MANZINI, T. MORI, L. M. SAVOIA, L’italiano come L2 nella scuola dell’obbligo…, cit., p. 116. 144 Alcune indagini portate a termine proprio sull’andamento scolastico degli allievi cinesi, mostrano, in effetti, proprio come nelle scuole italiane, dove una simile “inflessibilità” è sconosciuta, molti bambini e ragazzi cinesi, si trovino, di fronte al diverso tipo di strategia didattica utilizzata, in gravi difficoltà. D’altronde, l’intero sistema educativo cinese sembra basarsi proprio su percorsi educativi e cognitivi che mirano a presentare le attività «spezzettandole nelle componenti più minute e addestrando i bambini fino a che non raggiungono la perfezione nell’esecuzione»75, attraverso un andamento che parte dal semplice per arrivare al complesso. L’organizzazione scolastica e le strategie didattiche messe in atto nel corso dell’anno, hanno, da questo punto di vista, teso invece verso la realizzazione, dove possibile, di una pratica educativa all’insegna dell’interdisciplinarità, cercando di sfruttare il più possibile le ore di compresenza, proprio per meglio connettere i differenti saperi coinvolti nelle varie attività interculturali e, più genericamente, extracurricolari. La scuola italiana, d’altro canto, mira il più possibile, in effetti, a collocarsi all’interno di una tradizione educativa che basa l’apprendimento e la crescita cognitiva, a differenza di quella cinese, proprio sulle esperienze e sulle esplorazioni76. Se, dunque, l’originalità e l’abitudine all’interdisciplinarità, tanto apprezzate dagli insegnanti e, spesso mostrate volentieri dagli alunni italiani, hanno costituito un problema per il bambino, difficoltà altrettanto grandi sembrano essersi verificate nei confronti delle modalità organizzative e temporali della didattica. 75 76 Ibidem. Cfr. in merito Ivi, pp. 114-8. 145 É più volte capitato che Liao, al suono della campanella, non avendo terminato il lavoro cominciato, mostrasse chiaramente di voler concludere l’esercizio, nonostante i continui richiami degli insegnanti. Talvolta Liao ha persino preferito saltare l’intervallo, pur di terminare un esercizio da sottoporre poi all’attenzione dell’insegnante. Per certi aspetti, questo atteggiamento potrebbe essere legato proprio ad un’impostazione didattica, tipica delle strategie educative cinesi, che considera la capacità di applicarsi costantemente e ripetutamente ad una sola attività per volta, come una qualità positiva da accrescere nei bambini. Scrivono Tobin, Wu e Davidson in proposito: «L’enfasi che i cinesi pongono sulla perseveranza è evidente nella durata tipica di un’attività didattica. […] In Cina si insegna ai bambini […] a stare seduti fermi e a concentrarsi su un solo compito per quaranta minuti o più»77. Francesca Gobbo sottolinea, a questo proposito, proprio come, nelle strutture educative, i valori della cultura dominante determinino l’organizzazione del tempo e dello spazio scolastici, dettando le regole stesse dell’apprendimento da parte degli alunni78. Gli studenti, dunque, oltre ai contenuti dell’insegnamento, «imparano anche, gradualmente, ma irreversibilmente, che tale apprendimento deve procedere secondo un ritmo che spesso non tiene conto delle differenti esigenze e competenze dei diversi alunni»79. Anche in questo caso, insomma, sembra emergere la necessità di mantenere costante quella disponibilità al confronto tra le differenti culture scolastiche e, in alcuni casi, tra queste e le diverse modalità inculturative specifiche dei differenti universi provenienza degli alunni. 77 J. J. TOBIN, D. Y. H. WU, D. H. DAVIDSON, Infanzia in tre culture…, cit., p. 148. Cfr. F. GOBBO, Pedagogia interculturale…, pp. 128-37. 79 Ivi, p. 129. 78 culturali di 146 A queste difficoltà, si è spesso aggiunta una manifestazione di disagio da parte del bambino nei momenti di libertà organizzativa concessa dagli insegnanti. Infatti, durante le ore dedicate ad alcune delle attività svolte, l’insegnante, ha più volte concesso ampia autonomia agli alunni, proprio per lasciare spazio alle capacità creative e alle competenze progettuali dei ragazzi, nell’elaborazione dei cartelloni e dei lavori di gruppo. Dallo spostamento da un gruppo all’altro, fino all’isolamento dal resto della classe, secondo le impressioni degli stessi insegnanti, Liao, durante questi momenti, ha manifestato chiari segni di insofferenza. La difficoltà incontrata nel collocarsi spontaneamente all’interno di un gruppo, senza le chiare direttive di un insegnante, sembra anche in questo caso riallacciarsi alle modalità tipiche del sistema educativo di origine. Nuovamente lo scarto tra la realtà della scuola cinese, segnata da un’assenza pressoché totale di libertà organizzativa per gli alunni, e quella della scuola occidentale, in cui l’iniziativa personale e la capacità decisionale vengono, in linea di massima, valutate positivamente, potrebbe aver giocato, dunque, un ruolo centrale nell’atteggiamento di Liao. D’altra parte, molti autori concordano proprio nel sostenere come la scuola italiana appaia agli occhi della maggior parte dei cinesi «troppo caotica, indisciplinata ed eccessivamente sbilanciata su attività ludico-ricreative»80, determinando spesso un senso di totale disorientamento da parte degli alunni cinesi, cresciuti e secolarizzati in patria. Tuttavia, nel corso dell’anno, il graduale percorso di adattamento alla realtà scolastica incontrata in Italia, è sembrato condurre Liao 80 D. COLOGNA, Bambini e famiglie cinesi a Milano…, cit., p. 94. 147 verso l’acquisizione e la valorizzazione di una certa dose di creatività individuale. Già durante la realizzazione di un’attività portata aventi nelle ore di informatica, Liao aveva mostrato una certa volontà di inventare e creare, anche con l’aiuto dei suoi compagni, prendendo come punto di riferimento il vissuto personale, base di partenza di molte dei lavori svolti durante l’anno scolastico. E tuttavia, è con l’ultima composizione scritta sulla gita a Castelporziano, che Liao sembra aver operato uno “stacco” rispetto ai precedenti esercizi, per lo più basati sulla ripetizione di quanto già letto e ascoltato. Il bambino, infatti, di sua iniziativa, ha voluto riportare, insieme alle informazioni ricavate dal solito materiale illustrativo, la descrizione di ciò che lui stesso aveva notato e osservato durante la visita guidata, mostrando chiaramente di ripercorrere con la mente i ricordi di quella giornata. Ma soprattutto, alla fine dello scritto, Liao ha voluto esprimere, secondo una impostazione che si avvicina alle abitudini dei suoi compagni italiani e stranieri, il suo personale giudizio sulla visita e le sue positive impressioni sulla giornata trascorsa. Ed è proprio in questo senso che sembra possibile sottolineare come la strategia di adattamento messa in atto da parte del ragazzo cinese, abbia comportato un graduale adeguamento anche nei confronti di quella valorizzazione dell’originalità e della creatività soggettiva, che è alla base di una logica educativa tipicamente occidentale.