il punto - Centro Studi Calamandrei
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IL PUNTO Le notizie di LiberaUscita Ottobre 2012 - n° 100 SOMMARIO ARTICOLI, COMUNICATI, INTERVISTE 2510 - Il difficile mestiere del parroco - di Corrado Augias 2511 - La religione e le responsabilità dello Stato - di Sergio Romano 2512 - Bagnasco accelera contro il testamento biologico- di Claudio Tanari 2513 - Le mie domande ai candidati alle primarie - di Ignazio Marino 2514 - Primarie, la mia risposta a Marino - di Pier Luigi Bersani 2515 - L’Italia dei diritti - del comitato per Bersani 2516 - Malati terminali cercansi - di Caterina Pasolini 2517 - Martini mi scrisse di pubblicare la sua lettera - di Vito Mancuso 2518 - Congresso ass.ne Luca Coscioni - intervento di Maria L. Cattinari 2519 - Congresso ass.ne Luca Coscioni - intervento di Mina Welby 2520 - La Chiesa pagherà mai l’IMU? - di Riccardo Nencini 2521 - Procreazione assistita: 4.000 italiani all'estero nel 2011 2522 - Biotestamento: come non è, come dovrebbe essere - di Mario Riccio 2523 - Aborto: la contraccezione lo favorisce? - di Cecilia Calamani 2524 - La stagione avvelenata - di Stefano Rodotà 2525 - 1970: il divorzio è legge dopo 18 ore e 4 svenuti - di Carlo Vulpio 2526 - Dio non esiste! E adesso arrestatemi. - di Giulio Cesare Vallocchia 2527 - Divorzio breve altra promessa tradita - di Maria Novella De Luca 2528 - Liberi di morire? - di Graziella Sturaro DALL’ESTERO 2529 - Francia - sondaggio sul fine vita 2530 - Francia - verso l'eutanasia attiva? - di Claudio Tanari 2531 - Usa - Grace, la nuova Terri Schiavo 2532 - Usa - poter morire come mio suocero, senza più accanimento 2533 - Massachussetts - si può morire con dignità - di Arnaldo Benini 2534 - Boston - si vota sul suicidio assistito - di Chiara Lalli 2535 - Uruguay - l’aborto è legge dello Stato PER SORRIDERE… 2536 - Le vignette di Maramotti: i consigli di Alfano 2537 - La differenza tra credenti e non credenti 2538 - Le vignette di Ellekappa: le sentenze si rispettano LiberaUscita – associazione nazionale laica e apartitica per il diritto di morire con dignità Tel: 366.4539907 – Fax: 06.5127174 – email: [email protected] – web: www.liberauscita.it 2510 - IL DIFFICILE MESTIERE DEL PARROCO - DI CORRADO AUGIAS da: la Repubblica di sabato 20 ottobre 2012 Caro Augias, sono un giovane prete che tra un dottorato in corso e il servizlo in carcere trova tempo anche per cercare «visioni» di futuro. Sere fa l'ho ascoltata mentre parlava alla comunità di base di San Paolo, in compagnia di Paolo Flores d'Arcais e di Vito Mancuso, mentre ascoltava don Franzoni. Ero in fondo alla sala, affollata, in piedi come molti altri. A un certo punto ho smesso di ascoltare le vostre puntuali e oneste analisi. mi sono messo a guardare ciò che avevo davanti e attorno a me. C'erano anche dei giovani. ma soprattutto tante teste coi capelli bianchi. Diciamo pure la maggioranza. Sono riconoscente dal profondo verso chi, oggi canuto, ha permesso a me e a tanti impegnati in un compito difficile di continuare a sognare anche col sacrificio delle proprie battaglie. Tuttavia provo una certa malinconia nel pensare ai giovani cattolici di oggi, così fieri di appartenere a movimenti diciamo luccicanti che trasmettono il brivido del «ma quanti siamo!». Applausi, riprese televisive, uomini famosi che salutano. Nello stesso tempo così assenti dai garage spogli come quello di san Paolo adibiti a laboratori di fede, di speranza e di amore, che danno il più povero, ma più sostanzioso brivido del «Ma quanti siamo!». Marco Di Benedetto - [email protected] Risponde Corrado Augias Ringrazio don Marco per questa lettera. Immagino quanto sia difficile il lavorodi un giovane prete che studia e lavora con i detenuti, credo di poter capire il suo stato d'animo quando vede che cosa succede nelle alte gerarchie dilaniate da lotte di potere, oppure nelle associazioni pompose, mescolate alla spartizione di quel potere, che sembrano aver perso per strada ogni richiamo al vangelo impegnate soprattutto a contare il denaro, se dobbiamo credere alle cronache. Alcuni di loro si chiamano perfino “Memores Domini”, niente meno, un titolo usurpato mentre si fanno portare in vacanza qua e là. Gratis. Durante la serata cui don Marco si riferisce si è parlato anche del processo-burla al maggiordomo Paolo Gabriele. Come ha fatto osservare Vito Mancuso, quei documenti sono si trafugati però sono autentici. E rivelano cose terribili su quanto avviene là dentro. Non so se sia stato più imbarazzante il silenzio di tomba - è il caso di dire – seguito all'assassinio delle guardie svizzere o la parodia di un vero processo che s'è appena celebrata. L'accusa e la difesa quasi mute. Alla difesa era stato perfino proibito di aprire bocca al di fuori dell' aula, cosa mai vista in Occidente da più di un secolo a questa parte. I giovani di cui parla don Marco quella sera erano pochi, è vero, prevalevano gli anziani, ma ciò che un non cattolico come me ha vis!o e udito in quel garage fa pensare che forse una speranza di recupero c'è ancora. Forse. 2511 -LA RELIGIONE E LE RESPONSABILITÀ DELLO STATO – DI SERGIO ROMANO da: Corriere della sera di lunedì 1 ottobre 2012 Il ministro Profumo fa una proposta davvero singolare. Sostiene che, poiché ci sono molti immigrati, bisogna modificare l'ora di religione. È esattamente vero il contrario. La società di oggi vive di diversità e si arricchisce con esse. Nel momento in cui un popolo rinuncia alle sue tradizioni viene meno alla sua identità. Delio Lomaglio, Napoli La proposta del ministro Profumo contro l'ora di religione cattolica, perché ormai la scuola è multietnica, è certo tra le migliori che siano venute fuori dal governo dei tecnici. Che l'Italia debba uscire dall'asfissiante tutela che la Chiesa cattolica esercita ancora in fatto di educazione religiosa, è il pio desiderio dei laici veri, che non hanno mai gradito che l'insegnamento della religione fosse stato appaltato alla gerarchia ecclesiastica cattolica. Nonostante la Costituzione, la revisione del Concordato del 1929 firmata da Craxi nel 2 1984 e le sentenze della Corte di Strasburgo che mettevano in discussione la liceità della presenza del crocifisso nelle aule scolastiche, l'insegnamento della religione (cattolica) resta ancora appannaggio dei vescovi che nominano i loro insegnanti, pagati però coi soldi dello Stato. È una furbata dalla quale si dovrebbe finalmente uscire, sicché lo Stato dovrebbe esso provvedere all'istituzione di una disciplina come «storia delle religioni», insegnata da docenti nominati dallo Stato stesso e non dai vertici di qualsiasi gerarchia religiosa. Paolo Fai Risponde Sergio Romano Cari lettori, l'insegnamento della religione cattolica è previsto dal secondo comma dell'art. 9 del nuovo Concordato, firmato il 18 febbraio 1984, ed è regolato da un protocollo addizionale in cui si legge che «nelle scuole materne ed elementari detto insegnamento può essere impartito dall'insegnante di classe, riconosciuto idoneo dall'autorità ecclesiastica, che sia disposto a svolgerlo». Ma il ministro della Pubblica istruzione ha fatto bene a constatare che la società italiana è alquanto cambiata e che quelle norme andrebbero riviste. I musulmani che vivono in Italia sono circa un milione e mezzo, gli ortodossi (romeni, ucraini, bielorussi) superano il milione; e lo Stato nel frattempo ha firmato intese concordatarie con i rappresentanti di tredici culti fra cui i valdesi, gli avventisti del Settimo giorno, gli ebrei, i luterani, gli ortodossi, i buddisti e gli induisti. È giusto che in un Paese ormai pluriconfessionale la sola religione insegnata nelle scuole sia quella cattolica e il suo insegnamento sia monopolio delle diocesi vescovili della penisola? So che la scelta dell'ora di religione è facoltativa, ma l'autorità della Chiesa, insieme a quella combinazione di pigrizia e conformismo che caratterizza la religiosità italiana, la rendono di fatto semi obbligatoria. Credo che alla scuola italiana, in queste circostanze, convenga essere uno spazio neutrale in cui il problema religioso viene affrontato, tutt'al più, in una prospettiva storica e non da un docente nominato dal vescovo. Ancora una osservazione. Il vero obbligo dello Stato non è quello di riservare alla Chiesa cattolica un posto privilegiato nel sistema educativo della Repubblica. La sua maggiore responsabilità è quella di garantire alle coscienze di esprimersi liberamente, ai fedeli di praticare il culto, a tutte le Chiese di diffondere i loro principi e le loro verità. La Chiesa cattolica, in particolare, dispone in Italia della sua più capillare organizzazione nel mondo: più di trecento vescovadi, migliaia di parrocchie e oratori, numerose scuole, un gran numero di associazioni, giornali, riviste, case editrici e poco meno di un miliardo di euro assicurato dalla tassa ecclesiastica dell'8 per mille. In materia d'educazione può certamente fare da sé. 2512-BAGNASCO ACCELERA CONTRO IL TESTAMENTO BIOLOGICO- DI C. TANARI da: www.cronachelaiche.it di mercoledì 3 ottobre 2012 «Serrare le file», naturalmente «per amore del Paese»: è il messaggio che viene fuori dalla prolusione del cardinale Angelo Bagnasco di fronte all'Assemblea Cei del 24 settembre che ha rilanciato l'iniziativa vaticana di fronte ad un quadro politico pericolosamente fluido. Caduto il governo Berlusconi, efficientissima cinghia di trasmissione tra le gerarchie ecclesiastiche e le istituzioni repubblicane, si profila un minaccioso scenario (se visto da Oltretevere), fatto di un probabile Parlamento dal tasso di laicità decisamente più pronunciato. A rischio l'invadente egemonia ultracattolica su temi scottanti della bioetica e dei diritti civili. I segnali ci sono tutti: il dibattito, perlopiù composto, aperto dal bel film di Bellocchio Bella addormentata; le rivelazioni sulla morte dignitosa del cardinal Martini; le dichiarazioni di 3 apertura del sindaco di Milano Pisapia a proposito delle adozioni da parte di coppie omosessuali; l'iniziativa del capogruppo PD del Comune di Bologna Sergio Lo Giudice che ha celebrato un matrimonio gay. Segnali di vita, insomma, dal fronte laico. Intollerabili, dalle parti della Cei. Che auspica con forza un'improvvisa, inopinata accelerazione dell'iter di un ddl che definire controverso è eufemistico. Bagnasco, mentre sottolineava una balzana, presunta laicità dell'impegno ecclesiastico, ha infatti lanciato un segnale esplicito alla diaspora politica cattolica: eccessivamente attendista, secondo lui, rispetto al «varo definitivo, da parte del Senato, del provvedimento relativo al fine vita». Si tratta del famigerato ddl Calabrò sul testamento biologico (per alcuni "Legge tortura" sul fine vita e "Legge contro il testamento biologico"), figlio di un ignobile disegno di legge partorito in fretta e furia oltre tre anni fa dai pasdaran del PDL che puntava - sull'onda delle aspre polemiche suscitate dal caso Englaro - ad impedire al cittadino di rinunciare a idratazione e nutrizione, persino nel caso in cui fosse stato cosciente o avesse precedentemente manifestato la volontà di interrompere le cure. Il presidente della Repubblica non controfirmò e bloccò il colpo di mano. Alla morte di Eluana seguì un disegno di legge, a firma Renato Calabrò, approvato nel 2009 al Senato, poi modificato alla Camera (2011) e ora fermo di nuovo al Senato, accantonato in attesa di tempi migliori dopo le critiche che ne hanno messo in dubbio la stessa costituzionalità. L'obiettivo del "nuovo" ddl è - si ricorderà - lo stesso del precedente: rendere di fatto impraticabile la libera scelta del paziente cancellandone il diritto all'autodeterminazione. Nel testo nutrizione e idratazione artificiali vengono infatti considerate «forme di sostegno vitale», non terapie e «non possono formare oggetto di dichiarazione anticipata di trattamento». Alla faccia degli articoli 13 e 32 della Costituzione, che garantiscono ai cittadini la piena e libera facoltà di decidere a quali trattamenti sanitari sottoporsi. 2513 - LE MIE DOMANDE AI CANDIDATI ALLE PRIMARIE – DI IGNAZIO MARINO da: [email protected] di mercoledì 3 ottobre 2012 Care amiche e cari amici, nelle primarie è giusto crederci e io ci credo. L’ho ribadito sull’Unità di oggi in una lettera che ho indirizzato a tutti i candidati. Questa volta il voto servirà per scegliere il candidato del centrosinistra alla Presidenza del Consiglio: una donna o un uomo che, se vinceremo le elezioni, deve avere preparazione tecnica ma anche personale autorevolezza nazionale ed internazionale per affrontare la crisi economica. Quel candidato dovrà lavorare per convincere gli italiani ad andare a votare, e a votare centrosinistra. Su alcuni temi sarebbe importante conoscere da subito il punto di vista dei candidati perché sono argomenti qualificanti di una proposta politica che si preoccupa del futuro dell’Italia. Riassumo le mie domande per punti: 1) Penso in primo luogo al tema del lavoro. Quali misure propongono i candidati per rilanciare l’occupazione? 2) Penso poi alla salute. La sostenibilità del servizio sanitario nazionale non riguarda solo le questioni di bilancio ma anche il livello di civiltà di un paese. Che fare dopo 21 miliardi di tagli negli ultimi tre anni, con sette regioni commissariate, con un sud dove la sanità pubblica è solo una parola teorica priva di concretezza? Sono d’accordo i candidati alle primarie ad eliminare il controllo della politica nei meccanismi di nomina di direttori generali e primari? 4 3) L’Italia è lontana dall’Europa su molti temi dalle unioni civili, alle norme per il fine vita, alla procreazione assistita, sino alla ricerca così promettente sulle cellule staminali embrionali. Sono d’accordo i candidati nel riconoscere che chi nasce in Italia è italiano? 4) Sono d’accordo nel garantire alle coppie di fatto, etero e gay, il pieno e pubblico riconoscimento civile dei propri diritti? 5) E sono d’accordo nel sostenere una legge sul testamento biologico che permetta a ognuno di noi di decidere con i propri affetti quali cure riteniamo appropriate per noi stessi e quali no? In altre parole, si impegneranno a rispettare, e fare rispettare da tutti, i principi di laicità della Costituzione italiana? 6) L’Italia inoltre è arretratissima in quanto a rappresentanza femminile nelle istituzioni e più in generale nel mondo produttivo. Sono pronti i candidati a lavorare per la parità di genere nelle istituzioni e nel mondo del lavoro? 7) Infine, uno sguardo al futuro: sappiamo che non ci sarà sviluppo né crescita se non si punterà su ricerca e innovazione. Da dove passa la strada dell’innovazione? Se pensate che un dibattito su questi temi sia utile, diffondete le mie domande e chiedete delle risposte anche voi ai candidati alle primarie per il Partito Democratico…vedremo chi ci risponderà e soprattutto come. Un caro saluto, Ignazio Marino 2514 - PRIMARIE, LA MIA RISPOSTA A MARINO - DI PIER LUIGI BERSANI da: l’Unità di giovedì 4 ottobre 2012 La lettera di Marino, che ho apprezzato molto, mi offre l’occasione di chiarire un punto importante. Come candidato ma anche come segretario del Pd mi aspetto da tutti i democratici che intendono impegnarsi nelle primarie il riconoscimento e il rispetto per il lavoro programmatico svolto dal partito. Un lavoro fatto nelle assemblee, nei gruppi parlamentari, negli appuntamenti di riflessione e discussione organizzati negli ultimi anni. Questo lavoro, che è stata anche una straordinaria palestra di discussione e di confronto, è un patrimonio a cui tutti hanno dato il proprio contribuito, e Marino certamente, ciascuno secondo il proprio filone culturale. Naturalmente non sono stati compiutamente risolti tutti i problemi, e anche nei casi in cui sono state formulate proposte largamente condivise e considerate positive, l’evoluzione delle cose suggerisce di essere aperti ai cambiamenti necessari per affrontare le sfide che abbiamo di fronte con caratteri e intensità nuovi. Questo patrimonio sarà essenziale per arrivare ad avere un quadro di riferimento unitario insieme alle altre forze politiche della coalizione, anche grazie al contributo della nostra Carta d’Intenti. Sarà poi il candidato premier scelto con le primarie a organizzare in modo più specifico, in questo quadro generale, il programma di governo con il quale i progressisti si proporranno alla guida del Paese nelle prossime elezioni politiche. Ho già avuto modo di dire che, per quel che riguarda la mia sensibilità, prima ancora dei temi economici sono decisivi la riforma istituzionale, la riscossa civica, il rinnovamento morale e il rilancio dei diritti. Nella sua lettera Marino elenca molti di questi aspetti. Più in particolare, sui diritti ho già chiarito molte volte che se gli italiani affidassero ai progressisti il governo del Paese nella lista delle cose da fare subito, nei primi giorni, ci sono la cittadinanza italiana ai figli degli immigrati, il riconoscimento giuridico delle unioni civili, la rilettura e la modifica della legge 40 per ovviare al caos che ne è seguito, l’umanizzazione del fine vita, la difesa della libertà di espressione e di organizzazione in ogni luogo, a cominciare dai luoghi di lavoro. I problemi economici che abbiamo di fronte sono gravi. Ma io credo che sia dalla riscossa civica e morale che possa venire l’energia che serve all’Italia per tornare a crescere e a riprendere il posto che le compete nel mondo. 5 Noi democratici mettiamo al centro delle nostre preoccupazioni il lavoro e l’uguaglianza, che non è solo un valore, ma anche uno strumento per lo sviluppo. Questo Paese è troppo diviso, troppo diseguale, e l’esperienza dimostra che la disuguaglianza è un freno per la crescita. Da questa scelta discende forse la sfida più ardua per i riformisti. Noi intendiamo difendere e riformare il Welfare. Noi riteniamo che di fronte a scuola, sanità e sicurezza non ci debbano essere né poveri né ricchi. Noi pensiamo che il Welfare universalistico sia un elemento di civiltà. Ma proprio per questo dobbiamo fare in modo che il Welfare sia sostenibile, in particolare per quanto riguarda la sanità. È una sfida difficile, rispetto alla quale mi aspetto che Marino ci offra come sempre un contributo di esperienza, anche sul piano internazionale. Mi ha fatto piacere che Marino abbia apprezzato e pienamente recepito il senso delle nostre primarie: questa prova non è una sfida tra noi, ma il contributo coraggioso dei progressisti che si mettono in gioco apertamente per riavvicinare i cittadini alla politica, per parlare di Italia, per aprire tutti insieme una nuova stagione per il nostro Paese. 2515 - L’ITALIA DEI DIRITTI Su l’Unità di martedì 9 ottobre è stato pubblicato il documento del “Comitato l’Italia dei diritti per Bersani”, reperibile anche sul sito: http://www.unita.it/italia/ecco-l-italia-dei-dirittiper-bersani-1.453497?page=1. Se ne riporta qui sotto il testo, che contiene un preciso riferimento alla legge sul testamento biologico unitamente ad altre proposte laiche. Nella Carta di Intenti del Pd, per la prima volta si inserisce il tema dei diritti come uno dei punti centrali del nostro agire per i prossimi anni. Tutti i diritti umani, civili e sociali insieme, costituiscono quella visione necessaria a un partito democratico e progressista per generare un concreto cambiamento e combattere le disuguaglianze che sono la causa del ristagno economico e sociale dell’Italia. Urge un riscatto dopo decenni bui del trionfo dell’egoismo a detrimento della solidarietà tra le persone, dell’individualismo a scapito in primo luogo delle donne, e di molte altre cittadinanze negate, tra cui quelle delle persone lgbt, i/le migranti, i/le disabili. L’Italia oggi è la Repubblica delle disuguaglianze, non solo economiche. Per noi la promozione della laicità costituzionale, come strumento regolatore di una convivenza civile composta da pluralità culturali e sociali, è il terreno su cui si costruisce una piattaforma di riforma civile e di ampliamento delle libertà, base essenziale per un vero sviluppo sociale, culturale ed economico. Sosteniamo Pier Luigi Bersani alle primarie del centrosinistra, perché lo riteniamo in grado di concretizzare le proposte su cui da molti anni siamo impegnate e impegnati. Nell’ottica di una Europa politica che salvi l’Europa economica chiediamo a Bersani di sostenere tutte le Risoluzioni, Direttive, Convenzioni internazionali ed europee a tutela di tutti i diritti umani e civili. Con questo documento costitutivo del Comitato tematico “L’Italia dei Diritti per Bersani” lanciamo un appello a chi condivide le nostre idee: chiediamo non solo di sottoscriverlo, ma anche di attivarsi per la costituzione di Comitati locali promuovendo iniziative, così da poter tenere alto il confronto con chi sosterrà altre candidature. Che cosa significa promuovere L’Italia dei diritti: - La democrazia è tale quando donne e uomini paritariamente sono protagonisti dello spazio pubblico e privato. Una società che non valorizza il 50% del suo capitale umano, e cioè le energie e i talenti delle donne, è una società più povera economicamente e socialmente. A partire dalla legge 120 del 2011 (che introduce quote femminili nei consigli di amministrazione nelle società quotate e a partecipazione pubblica), chiediamo di estendere il principio di promozione femminile a tutti i settori della società, nelle istituzioni, 6 nel mercato del lavoro e nelle responsabilità familiari. Principio che necessariamente porta a ripensare le politiche di welfare. - Riconoscere l’autonomia e la libertà delle persone nelle loro scelte individuali accompagnata alla responsabilità nella relazione con gli altri. Vogliamo uno Stato che non legiferi nella sfera privata solo sulla base di obblighi e divieti, ma sul principio della libertà individuale come responsabilità. - Adottare il Piano europeo di contrasto alle discriminazioni: di genere, di orientamento sessuale (legge contro l’omofobia e la transfobia), di etnia, religione, di età(bambini e anziani), di portatori di differenti abilità. Questo è un parametro del livello di sviluppo economico e culturale del paese. - Dare piena cittadinanza alle coppie omosessuali attraverso una legge che riconosca gli stessi diritti e gli stessi doveri delle coppie eterosessuali. Pur nella convinzione che tale obiettivo si raggiunge attraverso l’estensione del matrimonio agli omosessuali riteniamo che il principio di uguaglianza possa essere raggiunto anche attraverso un istituto giuridico equivalente ed equipollente a quello del matrimonio come il modello tedesco proposto da Bersani (che ricomprenda anche la questione delle adozioni, a partire dalla tutela dei molti bambini e ragazzi che già vivono in famiglie omogenitoriali). - Essere d’impulso in tutti gli organismi sovranazionali al riconoscimento dei diritti umani fondamentali come base delle costruzioni democratiche moderne. Rilanciare il ruolo della nostra cooperazione nella convinzione che la pace sia il presupposto per l’effettiva promozione dei diritti, a partire da quelli dei bambini, ancora adesso i più colpiti da miseria, fame e malattie. - Proseguire nell’impegno contro la pena di morte, e le tratte di esseri umani, contro le persecuzioni religiose, dei cristiani in diversi Paesi, come dei musulmani dissidenti nei confronti di regimi autoritari e teocratici, contro l’antisemitismo. In questo quadro sono urgenti la legge quadro sulla libertà religiosa e quella contro la tortura; - Combattere, e con forza, la nuova guerra di liberazione che abbiamo di fronte. Quella contro tutte le mafie. Per ridare speranza al nostro Paese. Per guardare al futuro con la certezza che sarà migliore. Le mafie ingrassano dove i legami sociale sono allentati, sono forti dove la persona viene violata e crescono, sempre, nella scarsa conoscenza dei fenomeni malativosi.Lo strumento più prezioso che abbiamo per batterle è il racconto della verità. Per questo, occorre che la politica smetta di guardare dall’altra parte e assuma l’impegno per la legalità e contro le mafie come la premessa fondamentale di qualsiasi altra azione. - Estendere la cittadinanza ad ogni bambino nato in Italia, - Affrontare con rigore, sia sul piano legislativo che culturale, la violazione sistematica dei diritti umani nelle carceri e nei Cie e, difendere le garanzie dei cittadini sancite all’art 27 della nostra Costituzione. - Proporre una legge sul testamento biologico fondata sul diritto del cittadino a scegliere liberamente le terapie alle quali essere sottoposto, affidando in caso di sua incapacità la responsabilità su tali decisioni al fiduciario o alle persone a lui più prossime nel rispetto delle volontà espresse. Alla persona non può essere sottratta la possibilità di rifiutare l’idratazione e l’alimentazione artificiali. - Rimarcare che il diritto alla maternità deve prevedere l’applicazione integrale della legge 194 a partire dalla prevenzione e dal rilancio dei consultori. Le strutture pubbliche, tenendo conto del diritto individuale all’obiezione di coscienza, devono garantire l’applicazione della legge quindi l’interruzione volontaria della gravidanza intervenendo, col personale necessario, dove a oggi la legge risulta inapplicata o inapplicabile. - Garantire, entro i codici deontologici e nella continuità di un dibattito pubblico, la libertà e l’autonomia della ricerca. Ciò anche per prevenire un accesso “classista” alle cure e terapie che la scienza dovesse elaborare nel tempo. In questo senso è doveroso, 7 attraverso linee guida rigide, affrontare l’avvio di protocolli che permettano di utilizzare le cellule di quegli embrioni, altrimenti inutilizzabili, abbandonati nelle cliniche. - Riscrivere la legge 40 dopo le sentenze d’innumerevoli tribunali, della Corte costituzionale e della Corte europea prevedendo l’accesso a tecniche diverse di fecondazione anche per le coppie eterosessuali, omosessuali e per i single per i quali è impossibile “emigrare” all’estero. - Sostenere, con norme e strumenti adeguati, la democrazia economica, il diritto alla rappresentanza della persona che lavora e il diritto alle libertà sindacali nei luoghi di lavoro. 2516 - MALATI TERMINALI CERCANSI - DI CATERINA PASOLINI da: la Repubblica di venerdì 5 ottobre 2012 «Cerchiamo malati terminali per ruolo da protagonisti. Fatevi vivi». Voce da spot pubblicitario e immagine fissa di un letto vuoto dove qualcuno poggia un contenitore col liquido che aiuterà per l’ultimo viaggio. Pubblicità choc, che colpisce come uno pugno allo stomaco. Volutamente. L’ha fatta l’associazione radicale Luca Coscioni, che ieri ha lanciato la sua campagna per rendere legale l’eutanasia. «Per impedire che siano altri a decidere per noi, in nome di Stati o religioni; per garantire libertà e responsabilità delle nostre scelte, drammatiche e felici. Fino alla fine ». Pochi secondi (verranno messi sul sito www.eutanasialegale.it, su You tube, social network e Ebay, ma sono pronti anche formati per giornali e radio) che hanno provocato polemiche e condanne bipartisan, da Beppe Fioroni del PD a Eugenia Roccella del PDL. Discussioni e dibattiti in questi giorni già tesi in cui si discute della legge sul testamento biologico, duramente contestata da laici e centrosinistra perché «non rispetta le volontà del malato e lascia l’ultima parola al medico». «Cerchiamo malati terminali, ma anche attori disposti a recitare negli spot sulla libertà di scelta, perché il punto è sempre quello: il diritto di decidere sulla propria vita, su come essere curati e come morire». Filomena Gallo, presidente della Coscioni, annuncia l’avvio di una raccolta di firme per una legge di iniziativa popolare sul diritto all’eutanasia e sul testamento biologico. «Siamo in uno Stato laico e non si può dover finire ogni volta in tribunale per vedere rispettati i propri diritti, violati per ignoranza o paura. Oggi chi aiuta un malato senza speranze a morire rischia dodici anni di carcere. Se vogliamo che le cose cambino, dobbiamo darci da fare e farci sentire». Già nel 2010 i radicali scelsero la via della provocazione mettendo in rete uno spot pro eutanasia girato dall’associazione Exit internazional. Immagini senza enfasi, senza toni da crociata: un attore raccontava la sua vita, fatta di scelte banali, quotidiane. Fino a quella finale. «Perché non ho scelto di essere un malato terminale, perché non posso mangiare, mi fa male come ingoiare lamette da barba, perché non ho scelto io che la mia famiglia viva questo inferno con me». Fotogrammi vietati in Australia, permessi in Canada e mai trasmessi in tv in Italia, dove provocarono dure reazioni. Eugenia Roccella, PDL, allora sottosegretario alla salute, sul nuovo spot è categorica: «C’è la libertà di drogarsi, guidare senza casco, uccidersi, ma non un diritto per legge, esigibile dal servizio sanitario. Questo annuncio mortifero non credo troverà clienti. I malati vogliono cure, assistenza, condivisione, solidarietà. Quasi sempre chi decide di farla finita si sente solo oppure un peso per gli altri. Dobbiamo aiutare i malati a vivere, non a morire». Contrario all’iniziativa anche Fioroni del PD: «Il tema della morte coinvolge in modo cosi profondo le persone che esige rispetto. Questo spot non è una provocazione, ma diventa offesa alle coscienze di molti. Io comunque dico no all’accanimento terapeutico come all’eutanasia». Diversa la posizione di Mina Welby. Lei il dolore di lasciar andare una persona amata lo conosce bene, avendo rispettato con sofferenza il desiderio di suo marito Piergiorgio di 8 staccare le macchine che lo legavano alla vita dopo anni di completa paralisi, tranne un battito di ciglia che usava per comunicare. «Quando ho visto lo spot sono rimasta senza parole, non sono riuscita a dormite, tanto l’ho trovato duro. Poi ho pensato a quelli che mi chiamano, che vogliono farla finita ma non hanno soldi per andare all’estero, che non ne possono più. E allora ho pensato che sì, anche questa comunicazione violenta ha un senso, perché se ne parli e si discuta di un problema reale e drammatico» 2517- MARTINI MI SCRISSE DI PUBBLICARE LA SUA LETTERA - DI VITO MANCUSO da: la Repubblica di sabato 6 ottobre 2012 Caro direttore, in un articolo dell’ultimo numero della Civiltà Cattolica a firma Gianpaolo Salvini sul cardinal Martini si legge: «Con molta poca correttezza sono state usate come “Prefazione” lettere private, non destinate alla pubblicazione, con cenni di incoraggiamento inviate a qualche autore che gli aveva fatto avere le bozze di un suo libro». Nel suo blog ormai diventato un avamposto del cattolicesimo più conservatore e nemico del dialogo (tanto da avere sparso veleno molte volte sul cardinal Martini) Sandro Magister commenta così le parole della Civiltà Cattolica: «Chiara allusione a Vito Mancuso e al suo primo libro al quale la prefazione abusiva spianò il successo: L’anima e il suo destino». Penso che Magister in questo caso abbia ragione, la Civiltà Cattolica intendeva alludere proprio a me e al mio libro pubblicato nel 2007 presso Raffaello Cortina nella collana «Scienza e idee» diretta dal filosofo della scienza Giulio Giorello. A parte il fatto che non si trattava del mio primo libro ma del sesto, posso attestare che conservo nel mio computer una mail del cardinal Martini in cui testualmente mi si dice: «Quanto al tuo libro, ho il rimorso di non aver fatto nulla. Forse mi puoi mandare la bozza del testo e posso scriverti una lettera, che se vuoi puoi pubblicare almeno in parte. Tuo Carlo Maria c. Martini, S. I.». La mail è datata 2 novembre 2006 e posso esibirla agli interessati che ne facessero richiesta mediante un semplice clic. Martini mi scriveva di avere un rimorso perché in precedenza aveva rifiutato di scrivermi una prefazione a causa degli impegni e della salute declinante. Poi ci ripensò e fu lui a chiedermi le bozze, non io a inviargliele dietro mia iniziativa, come scrive erroneamente la Civiltà Cattolica, e fu sempre lui a dare il suo assenso alla pubblicazione della lettera che mi avrebbe scritto e che quindi scrisse sapendo che sarebbe stata pubblicata, del tutto al contrario rispetto a quanto afferma ancora una volta erroneamente la Civiltà Cattolica parlando di «lettere private, non destinate alla pubblicazione». Ma al di là delle falsità sul mio conto prodotte da Civiltà Cattolica, quello che importa sottolineare è, ancora una volta, l’operazione anestesia sulle scomode profezie del cardinal Martini che è in corso nella Chiesa ufficiale e negli organi di informazione da lei controllati. Si vuole normalizzare a tutti i costi, persino con le falsità, una figura scomoda, facendola apparire del tutto conforme all’attuale configurazione ecclesiastica, della quale invece egli disse, nella sua ultima intervista, che era «rimasta indietro di duecento anni». 2518 - CONGRESSO ASS.NE LUCA COSCIONI - INTERVENTO DI MARIA CATTINARI Si riporta qui sotto l’intervento di Maria Laura Cattinari, Presidente di LiberaUscita, al IX Congresso nazionale dell’ass.ne Luca Coscioni svoltosi a Milano il 7 ottobre 2012. Sono felice ed onorata di poter portare a questo Vostro/Nostro Congresso nazionale, il saluto di LiberaUscita, associazione nazionale, laica e apartitica che si batte perché sia riconosciuto il diritto di morire con dignità, che per noi significa veder rispettate le proprie volontà di fine vita. Operiamo in rete con le altre associazioni consorelle unite, in Europa, nella Federazione RtDE e nel mondo nella WFRtDS 9 Mi è gradito annunciarvi subito che nei giorni 13 e 14 del prossimo mese di Giugno LiberaUscita ospiterà il meeting della RtDE: in quella occasione confluiranno a Roma le delegate e i delegati delle associazioni europee per il diritto di morire con dignità, provenienti da paesi come Olanda, Belgio, Lussemburgo e Svizzera che hanno conquistato con dure lotte ormai trentennali quel diritto che per noi è ancora quasi impronunciabile. Ma arriveranno anche i delegati di Francia, Germania, Inghilterra, Spagna, dove almeno il diritto all’autodeterminazione terapeutica è da tempo una realtà consolidata, mentre da noi, nonostante il dettato costituzionale, le sentenze della magistratura ordinaria e della Corte Costituzionale, il diritto internazionale e la volontà popolare, resta ancora un obiettivo da raggiungere. Senza parlar poi del famigerato “Ddl Calabrò” che, a futura memoria della sua indegnità, questo Parlamento potrebbe approvare per compiacere le alte gerarchie vaticane. Devo dire con vivo piacere che la nostra associazione ha accettato la proposta della RtDE di tenere a Roma il prossimo meeting poiché ci rendiamo conto che le varie associazioni europee, pur non vivendo l’oppressione illiberale che noi conosciamo e che fa dell’Italia quasi un protettorato della Città del Vaticano, tuttavia devono frequentemente difendersi dagli attacchi dell’integralismo cattolico. Testamento biologico, diritto di morire nel rispetto delle proprie volontà, difesa della legge sull’aborto, riforma della legge sulla procreazione assistita, unioni civili, lotta all’omo/trans fobia, libertà della ricerca scientifica, sono traguardi di civiltà che presuppongono la laicità delle Istituzioni, mai tanto compromessa in Italia come in questi ultimi anni per colpa di una partitocrazia parassitaria, arrogante, autoreferenziale, attenta solo al proprio interesse particolare ed ai voti della Chiesa. Personalmente credo alla nobiltà della politica quella, appunto, che Voi evocate quando dite: “dal corpo dei malati al cuore della politica”. Una politica protesa davvero verso il BENE COMUNE, con donne e uomini che generosamente si spendono per costruire un mondo più giusto e trovano in questo il loro vero scopo. Una politica, lasciatemelo dire, guidata dall’intelligenza del cuore, vero motore dell’autentico progresso umano. Insomma una politica, se posso permettermi, come la fa da una vita Marco Pannella. Vorrei spendere l’ultimo minuto per ricordare qui l’opera coraggiosa, illuminata, l’alta figura morale del giudice Guido Stanzani, scomparso nei mesi scorsi. Stanzani, quale giudice tutelare del Tribunale di Modena, ha fatto da apri-pista in Italia firmando il primo decreto, già nel 2008, di nomina dell’amministratore di sostegno anche per le cure di fine vita, in previsione della incapacità di intendere e di volere, decreto che la stampa battezzò: “testamento biologico per decreto”. Un giudice davvero al servizio sempre dei soggetti deboli. E chi è più debole di chi non ha più voce perché versa in uno stato d’incoscienza o non è più capace di comunicare la propria volontà? Chiudo ritornando al meeting della RtDE del prossimo giugno: credo potrà essere un appuntamento importante e noi confidiamo, per la sua miglior riuscita, nella collaborazione tra le nostre due Associazioni che si sono trovate spesso ad operare unite. In proposito, chiudo ricordando, con grande piacere, che Mina Welby, co-Presidente dell’Associazione Luca Coscioni, è anche socia onoraria di LiberaUscita. Grazie davvero. 2519 - CONGRESSO ASS.NE LUCA COSCIONI - INTERVENTO DI MINA WELBY Si riporta qui sotto l’intervento della ns. socia onoraria Mina Welby al IX congresso nazionale dell’associazione Luca Coscioni, di cui Mina è co-presidente. Link per il video: http://www.associazionelucacoscioni.it/ix-congresso-dellassociazione-luca-coscioniintervento-della-co-presidente-mina-welby Buon giorno a tutti i presenti e quelli che ci ascoltano via radio. 10 Vorrei iniziare con un ricordo, un articolo pubblicato su “La Nazione” del 24 novembre 2002 Pagina di Perugia «Il maratoneta», corsa a muso duro di Coscioni verso la libertà di ricerca “PERUGIA - Quando la lotta contro il male diventa un libro ecco «Il maratoneta». O meglio la storia di una battaglia di libertà da conquistare con il rigore lucido dell'intelletto. Il libro scritto «a muso duro» dall'orvietano Luca Coscioni, presidente dei Radicali Italiani, è di quelli che suonano come una sfida. Pagine destinate a dar vita ad un dibattito politico ed etico. L'autore, malato di sclerosi laterale amiotrofica, incarna infatti la lotta radicale per la libertà di ricerca scientifica in campo medico. «Grazie alla clonazione terapeutica e alle cellule staminali degli embrioni, gli scienziati troveranno una cura per guarire la Sla, il morbo di Alzheimer e di Parkinson, l'atrofia muscolare spinale, le lesioni traumatiche del midollo spinale, la distrofia, alcune forme di tumore e di diabete - sostiene Coscioni -. Mi batto per la libertà della scienza che tra poco però verrà messa in discussione dalla legge sulla fecondazione artificiale in discussione al Senato. Infatti la nuova legge, su pressioni vaticane e clericali, proibisce la ricerca sugli embrioni congelati, scartati dalle cliniche italiane dove si pratica la fecondazione assistita. Insomma, si preferirà buttarli nella spazzatura, piuttosto che destinarli a studi che potrebbero salvare la vita a milioni di persone». Pagine meditate su una seggiola a rotelle e dettate ad un computer, sulla cui prefazione si legge «attendevamo da molto tempo che si facesse giorno, eravamo sfiancati dall'attesa, ma ad un tratto il coraggio di un uomo reso muto da una malattia terribile ci ha restituito una nuova forza». Josè Saramago, premio nobel per la letteratura 1988. L’articolo è scritto da Silvia Angelici”. Quest’anno al decimo anniversario della fondazione dell’Associazione Luca Coscioni per la libertà di ricerca scientifica vorrei fare delle considerazioni sul perché della strada sempre più in salita alla ricerca di azzerare il deficit di libertà. L’intervento di Tonina Cordedda ha dato voce a un grave problema delle persone disabili: la loro vita sessuale che incide profondamente nella loro felicità e equilibrio psicofisico. Grazie Tonina! Proprio da qui vorrei partire. Gli azzeccagarbugli di questo paese chi sono? Appartengono a varie categorie: politici, medici, ricercatori, scienziati che conosciamo, non sono nelle nostre file, non è venuto nessuno al Congresso magari per difendere le proprie idee che sono indifendibili. La libertà della ricerca scientifica, la libertà di scelta delle persone non è un problema bioetico, come qualcuno vuol far credere, né un problema della scienza medica, né giuridico, benché si pongano ostacoli a non finire in questa maratona che corriamo, passando il testimone da uomo a donna e, da donna a uomo. Gli ostacoli sono posti dalla frattura di cultura e politica, ben calcolati e progettati. Ma perché? Bene, il mondo esistente fin dal Big-Bang è un chaos, o no? Ma c’è qualcuno che vuole un mondo ordinato, pulito, programmato, comprensibile. C’è chi dice di conoscere e sapere come funziona anche l’inimmaginabile, sanno chi è dio, cos’è vita, la natura, come funziona la vita, da dove venga e dove va. “molte cose difficili si risolvono con la fede”, mi sono sentita dire spesso. C’è chi dice di sapere cosa è bene e cosa è male, e vuole stabilire regole entro le quali l’universo umano si dovrebbe muovere. La scienza e la ricerca nel nostro paese sono diventati quasi un accessorio, spesso anche scomodo e da evitare per chi pensa di avere la verità in tasca, anzi di più: è considerato un atto di superbia nei confronti di un creatore della vita, che loro sanno di conoscere. Non si può mettere disordine nell’Ordine Supremo, la scienza di fronte alla fede si deve inchinare. A coloro che dicono di sapere cosa è bene o male per noi e propongono leggi che invadono la nostra libertà di coscienza del procreare, del vivere e del morire, chiedo se sono disposti a mettersi a confronto con la sofferenza di una coppia desiderosa di un figlio 11 sano. Se sono disposti a passare una giornata nella famiglia di un malato di Sclerosi Laterale Amiotrofica assistito soltanto dalla moglie e da un infermiere per un’ora al giorno? Se sono disposti a passare una giornata con un distrofico senza famiglia che vive solo con la porta di casa pericolosamente aperta giorno e notte. Ma lo sanno che ci sono malattie che non colpiscono solo il malato, ma ci va di mezzo tutta la famiglia? Sono disposti ad andare in una rianimazione, in un reparto intensivo, in un hospice e vedere e sentire le testimonianze dei corpi attaccati con solo un filo alla vita. Conoscono il linguaggio degli occhi imploranti di chi vorrebbe terminare la propria sofferenza? Preferiscono stare commossi su un calvario immaginario, sdolcinato da iconografie da santino, anziché partecipare a un calvario vero di corpi feriti e martoriati da tristezza, abbandono, malattia. Falsa benevolenza ammanta ipocritamente arroganza e prepotenza. Ma credete per davvero anche voi che vita è sempre un bene? Morte è solo male? Rispondetevi da soli. Pensateci! Luca Coscioni e Piero Welby umilmente si sono inchinati di fronte al grande Chaos dove hanno intuito le regole del vivere e del morire. Regole che vogliono essere snocciolate e adeguate ai tempi e alle situazioni reali. Regole che vengano adeguate ai diritti naturali delle donne e degli uomini e degli animali. Regole che molti paesi del mondo si sono riusciti a dare. L’Italia vi fa tanta fatica per delle leggi che tutelino il diritto personale di autodeterminazione, proprio per i motivi che ho elencato. Infatti, ancora non ha depositato il Decreto Ministeriale per l’attuazione della Convenzione di Oviedo. Non ha inviato alla Commissione di Ginevra della Convenzione ONU il primo rapporto che tutti gli stati, nei due anni successivi alla ratifica della Convenzione ONU sui Diritti delle persone con disabilità, devono inviare alle Nazioni Unite, per consentire al Comitato che se ne occupa di valutarne i contenuti e le eventuali contraddizioni con le legislazioni nazionali vigenti. Per l’Italia il termine era quello del marzo 2011, ma ad oggi ancora tutto tace. Che il nostro bel paese abbia delle cose indicibili da nascondere? Arrivo al Disegno di Legge 10 che è in dirittura di discussione in Senato. È nata sulla falsariga del Decreto Berlusconi Salva-Eluana. Recita degli articoli fondamentalmente per persone in stato vegetativo. Una legge sulle disposizioni anticipate sui trattamenti sanitari dovrebbe unicamente avere la funzione di garantire i pazienti dal rischio di terapie non più utili e dal prolungamento insensato di un'agonia per rispettare la dignità della persona. I più recenti rilevamenti Eurispes danno il 74,7% degli italiani favorevoli alle disposizioni anticipate sui trattamenti sanitari e il 50% favorevoli all’eutanasia. Questi principi ormai fanno parte del sentire comune del paese. Gli italiani sono consapevoli di certi rischi e non vogliono demandare ad altri decisioni difficili anche quello sull’eutanasia. Ma se questa proposta di legge verrà approvata in Senato, i cittadini italiani, diversamente da tedeschi o americani e altri ancora non potranno decidere nulla. Se non subirà profondi cambiamenti, diventerà una legge incostituzionale per l’offesa che reca al diritto della libertà personale e alla dignità dei cittadini. Ci prepariamo a un referendum abrogativo di una legge che ci espropria della libertà di scelta? Sicuramente i cittadini si rivolgeranno ai tribunali come era accaduto con la legge 40 sulla procreazione assistita. E a suon di sentenze ci si appellerà alla Corte Costituzionale. Welby direbbe “È triste vivere in un paese dove il governo fa i miracoli e la chiesa fa le leggi”. Anche la libertà di limitare le proprie terapie con questa legge viene messa in bilico per la citazione dei codici penali 575, 579 e 580. l’interruzione della ventilazione e della nutrizione artificiale e di qualsiasi altra terapia salvavita potrebbero essere assimilati a omicidio volontario. Quanti ricorsi ai giudici potrebbero esserci! Ma non ci stancheremmo a farli. Un ricordo: 12 anni fa era stata archiviata la procedura di denuncia della moglie di Emilio Vesce. In nessun conto era stato tenuto dai medici il testamento biologico che Emilio 12 Vesce aveva redatto. Un infarto, seguito da anossia, compromise e spense la sua corteccia celebrale, provocandogli una “morte corticale”. La motivazione fu che «lo stato vegetativo per la legge è ancora vita, per cui qualsiasi atto medico destinato a stabilizzarlo non può configurarsi come accanimento terapeutico, ma come atto medico. La tracheostomia e la gastrostomia sono atti di assistenza di base. [...] Compito del medico non è solo quello di guarire ma [...] anche quello di mantenere in vita il paziente in stato vegetativo persistente» -. L’esito del caso Vesce, pur nella sua scontatezza, avrebbe potuto, se ci fosse stato un giudice a Berlino, rappresentare un volto nuovo sul delicato fronte della legalità e del rispetto delle volontà espresse da un adulto. Il verdetto dei giudici per Eluana Englaro era di posizione opposta. Ma l’ipocrisia clericoperbenista sembra esser una maschera della quale l’Italia non sa fare a meno. In un porta a porta qualche anno fa, un medico consigliava una madre, stressata dalle cure e attenzioni da diversi anni verso un figlio in stato vegetativo, di diminuire progressivamente il contenuto della sacca per la nutrizione artificiale, fino a causare il decesso del proprio figlio. L’unico a rimanere interdetto dei presenti fu il padre di Eluana Englaro che testardamente ribadì: “io voglio per mia figlia una risposta dalla e nella “società”. Da un’altra parte c’è un medico di famiglia ipocrita che costringe i parenti di una persona novantenne ad accettare di farle posizionare il sondino naso-gastrico per la nutrizione artificiale perché non poteva più nutrirsi adeguatamente. Io preferirei essere accompagnata amorevolmente da una mano che mi imbocca, anche se il cibo non è più sufficiente, e mi accarezza, e non con nutrizione forzata, contro la mia volontà. Da una parte l’ipocrisia non vuole lasciarci morire, quando lo vogliamo e come vogliamo noi, ma c’è in corso una programmazione burocratica dei posti letto negli ospedali che fa orrore ed è causa di sofferenze e morti in disperazione. Il malato non può occupare il letto più di tanto, poi va dimesso. L’assistente sociale che conosce le condizioni della famiglia deve tacere e la famiglia si arrangia, perché anche da parte delle ASL non c’è sempre il pronto intervento per assicurare le cure domiciliari. A malincuore ho accettato quell’orribile video manifesto della nostra Associazione A.A.A. Cerchiamo Malati Terminali per ruolo da attore protagonista, perché riflettendo e dormendoci sopra sono venuta alla conclusione che soltanto con un impatto forte, sgradevole e scandaloso si può ottenere ascolto in un paese con i tappi nelle orecchie, i tappi di una tv pubblica che anestetizza o meglio manipola i cervelli di sprovveduti cittadini, incollati agli schermi, spesso fin da bambini. Quando noi diciamo che la proposta di legge Calabrò in Senato è incostituzionale e contro la libertà di scelta dei cittadini, c’è l’ex-sottosegretario Eugenia Rocella che mischia le carte e dice che i radicali vogliono una legge per l’Eutanasia. Certo che la vogliamo una legge che ci tuteli e che dia libertà di scelta a tutti i cittadini come essere o non essere curati, ma non facciamo confusione. L’accento non è sul come morire, ma sul come essere liberi e avere l’assistenza medica nel nostro personalissimo e migliore interesse anche nel omento estremo dove solo il morire può essere ancora il meglio da scegliere e se necessario anticiparlo nel tempo. E per questo ripeto che non finiremo tutti in stato vegetativo e non si devono strumentalizzare i disabili per definire, quanto sia importante la nutrizione artificiale! Questo doloroso capitolo chiudo con le parole di Luca Coscioni, espresse nel dicembre del 2005, dove ci indica, come deve essere fatta una buona legge per le nostre disposizioni anticipate sui trattamenti: “Ecco dunque il diritto alla dignità del morire, il riconoscimento del diritto di morire dignitosamente, il riconoscimento della volontà del morente, libera, autentica volontà assunta come norma che preveda e garantisca, la manifestazione della coscienza di ciascuno di noi, che non esprima altro significato se non quello intimamente voluto.” Ecco il nostro primo attore che ha dato la sua testimonianza con il proprio corpo. 13 Lo ha seguito Piero Welby che conclude così la sua lettera al Presidente della Repubblica Napolitano: Il mio sogno, anche come co-Presidente dell’Associazione che porta il nome di Luca, la mia volontà, la mia richiesta, che voglio porre in ogni sede, a partire da quelle politiche e giudiziarie è oggi nella mia mente più chiaro e preciso che mai: poter ottenere l’eutanasia. Vorrei che anche ai cittadini italiani sia data la stessa opportunità che è concessa ai cittadini svizzeri, belgi, olandesi. Terminò la sua vita non per eutanasia volontaria, come avrebbe voluto, ma accettando l’interruzione della terapia ventilatoria, anche se per lui era difficile e doloroso, ma con la sicurezza che Mina, il soldatino, come nell’ultimo pomeriggio mi aveva chiamato, avrebbe continuato la sua battaglia per una legge che garantisca a tutti il diritto alla piena libertà di scelta. È vero quello che dice Martin Lutero: la superstizione, l’idolatria e l’ipocrisia percepiscono ricchi compensi, mentre la verità va in giro a chiedere l’elemosina. Eccovi alcuni attori protagonisti: ne abbiamo di conosciuti, per es. Paolo Ravasin che lotta per una vita di qualità per la sua libertà di scegliere, Rosma Scuteri che altre tre volte è saltata dalla pala del becchino, perché è attaccata alla vita come un vitigno, anche se non riesce nemmeno più a comunicare con il suo eye gaze, e anche con l’etran la capisce solo chi è allenato. Reclama in un vecchio video, ancora sul nostro sito, quanto sia importante per persone imprigionate in un corpo inerme come il suo, avere accanto assistenti che la rispettino come persona e che non la trattino come se fosse una bambola. Donatella Chiossi che si propone come cavia per esperimenti sul suo corpo colpito dalla SLA e le viene rifiutato. Ricordo con affetto Luisa Panattoni che non poteva affrontare il viaggio. Lei nonostante infiniti ostacoli e difficoltà, da insegnante di materie in agraria, per la sua sclerosi multipla, è diventata insegnante di vita. Sono convinta che una maestra del suo spessore non sarà mai dimenticata. Ma aiuterà a molti dei suoi alunni a inventarsi una vita nuova, se un caso determinasse la necessità.Alberto Damilano caparbiamente non voleva inviare un messaggio. Ma da protagonista dal vero ci invia i suoi libri “Questa notte la mia”, dove lo potete riconoscere nel protagonista, chiamato Andrea, non da medico, che realmente è, ma da giornalista impegnato. Un forte messaggio culturale di integrazione nella vita, di adattamento a tutte le situazioni e soluzioni di problemi. Questo era il suo messaggio al Congresso: “mentre cresce il mio impegno sul piano culturale, sarei felice di farti avere copie del libro anche come finanziamento per l’associazione. La situazione è questa: mi sono avanzate circa un centinaio di copie della prima edizione edita da Ali&No, mentre ho firmato un nuovo contratto con la Longanesi, per cui uscirà, stavolta in tutte le librerie, a gennaio del nuovo anno”. Un applauso a questo nostro grande protagonista! Grazie Alberto! Gli anelli deboli, i malati, disabili, anziani diventino anelli forti di tenuta, di assicurazione con la propria battaglia personale per il bene di questo paese. Non devo dimenticare Luisa Codato, nostra iscritta di Marcon (VE), che lamenta che Venezia con 1300 firme e Marcon con 320 hanno rifiutato di istituire il registro per il Testamento biologico. A dimostrazione della sua volontà ha protocollato il suo testamento biologico al suo Comune di Marcon. I suoi medici che la curano con chemioterapia per la sua patologia oncologica le hanno raccomandato di portare sempre con sé il suo testamento biologico protocollato. Grazie per avermi ascoltata. 2520 - LA CHIESA PAGHERÀ MAI L’IMU? - DI RICCARDO NENCINI da: LucidaMente di lunedì 8 ottobre 2012 14 «Scommettiamo che neppure nel 2013 la Chiesa pagherà l’Imu?» Se lo chiede il segretario nazionale del Partito socialista italiano, Riccardo Nencini, commentando il parere del Consiglio di Stato. «La bocciatura del decreto attuativo del Tesoro da parte del Consiglio di Stato – prosegue Nencini – rafforza la convinzione che l’Italia continui ad essere un Paese a sovranità limitata. Ci sono materie sulle quali il Parlamento, qualunque sia la maggioranza di governo, non può legiferare liberamente. Dalle leggi che riguardano le libertà civili come le unioni di fatto e il “fine vita”, a quelle che toccano le finanze della Chiesa, come l’Imu, per l’appunto, che costerebbe alla Conferenza episcopale italiana circa 600 milioni di euro. Delle due l’una: o il ministro Grilli, e prima di lui lo stesso professor Monti, non sanno fare il loro lavoro, visto che in otto mesi non sono riusciti a scrivere una norma essenziale per i conti pubblici, oppure il Consiglio di Stato riceve suggerimenti dal Vaticano e li accoglie». «Per la verità – continua il leader socialista – c’è una terza possibilità, ovvero che la norma sia stata scritta tardi e male a bella posta contando proprio sulla bocciatura. In ogni caso però, questa del governo Monti è la più brutta figura, collettiva e personale, da quando è entrato in carica, soprattutto se si considera il pesante fardello che ha caricato sulle spalle degli italiani per sanare i guasti dell’economia. Ci auguriamo che sia in grado di porvi riparo per sanare una clamorosa ingiustizia a danno dei cittadini italiani o in alternativa – conclude Nencini – proponiamo che chi ha scritto male il decreto attuativo paghi la multa di 10 milioni di euro della Commissione europea». 2521 - PROCREAZIONE ASSISTITA: 4.000 ITALIANI ALL'ESTERO NEL 2011 da: notiziario Aduc n. 41 di lunedì 8 ottobre 2012 Almeno 4.000 coppie italiane nel 2011 hanno varcato i confini nazionali per ricorrere a trattamenti di procreazione assistita. Di queste, secondo i dati dell'Osservatorio sul turismo procreativo, 1.530 hanno scelto la Svizzera. Complici una normativa più flessibile, la vicinanza geografica e la diffusione della lingua italiana, il Paese elvetico è in testa alle preferenze degli aspiranti genitori, seguito dalla Spagna (1.450 coppie) e dal Belgio (510 coppie). Gli italiani non si recano in Svizzera solo per trattamenti di procreazione assistita non disponibili in Italia, come la fecondazione eterologa, ma anche per pratiche consentite nel nostro Paese come la fecondazione omologa, la stimolazione ormonale e la criopreservazione ovocitaria. Delle 1.530 coppie che hanno scelto la Svizzera per risolvere i problemi di fertilità, infatti, 630 si sono sottoposte alla fecondazione eterologa (41%) e 900 alla omologa e ad altri trattamenti disponibili anche in Italia (59%). Le percentuali trovano rispondenza nei dati registrati dal Centro Cantonale di Fertilità di Locarno, che ha preso in cura 278 aspiranti genitori durante lo scorso anno (139 coppie, il 40% per l'eterologa e il 60% per l'omologa) e 144 nei primi sei mesi del 2012. 2522 - BIOTESTAMENTO: COME NON È, COME DOVREBBE ESSERE – DI M. RICCIO da: babylonpost.globalist.it di giovedì 11 ottobre Come ha dimostrato uno studio dell'Istituto Mario Negri nel 2008, oltre l'80 per cento dei pazienti che viene ricoverato in rianimazione italiana non è in grado di intendere e di volere al momento dell'ingresso. Anche se è opinione comune che i pazienti delle rianimazioni siano esclusivamente "acuti" (intesi come traumatismi maggiori, patologie cardiache o cerebrovascolari), spesso invece queste persone sono affette da patologie croniche degenerative sia neurologiche che respiratorie e metaboliche. Il ricovero in un reparto di rianimazione è pertanto spesso dovuto al peggioramento di una malattia - a volte più malattie concomitanti - di cui il paziente è affetto da anni e la cui evoluzione degenerativa dovrebbe essere conosciuta 15 dal paziente stesso. Il condizionale in questo caso è d'obbligo e la questione - cioè l'effettiva conoscenza della malattia e della sua evoluzione da parte del malato - non è certo secondaria. Infatti, se correttamente informato, il malato potrebbe anzitutto decidere - o aver precedentemente deciso e già messo per iscritto - a quali ulteriori terapie intenda sottoporsi e quali invece rifiutare. Ad esempio, in caso di una patologia degenerativa respiratoria, è inevitabile che si giunga all'indicazione del collegamento a un ventilatore. Però soggetti pur uniti nella malattia, possono assumere decisioni finali diverse: Luca Coscioni, Karol Wojtyla, Piergiorgio Welby e, ultimo in ordine di tempo, il cardinale Martini. Luca Coscioni scelse di non andare neanche in ospedale durante una ennesima crisi respiratoria e morì a casa propria. Giovanni Paolo II accettò solo alcuni trattamenti (tracheotomia e sondino nasogastrico) che però ovviamente non furono sufficienti a evitargli la morte in pochi giorni. Piergiorgio Welby - come noto - accettò per dieci anni il ventilatore meccanico, che infatti a un certo momento decise di rifiutare. Martini ha atteso serenamente di perdere anche la minima attività respiratoria facendosi sedare - come risulta dalle cronache - poco prima di morire. Il problema si pone invece per quei pazienti cronici degenerativi che - privi di alcuna precedentemente espressa volontà - vengono ricoverati in rianimazione senza essere più in grado di intendere e di volere. Come detto sono gran parte del totale (80 per cento). Il problema non è limitato alla sola terapia nutrizionale per via enterale, come si potrebbe dedurre dall'annoso dibattito sul caso Englaro e dal relativo corto circuito mediatico sul sondino nasogastrico provocato dalla proposta di legge Calabrò sulle Direttive anticipate di trattamento. Infatti in rianimazione ogni trattamento può essere correttamente definito una forma di sostegno vitale. La ventilazione tramite una macchina, così come la dialisi in sostituzione della funzione renale, i farmaci che sostengono l'attività cardiaca, gli antibiotici per combattere le gravi infezioni, le continue trasfusioni di sangue, sono tutte terapie ordinarie e necessarie in rianimazione per sostenere un paziente critico. L'interruzione o anche la sola riduzione di uno dei precedenti trattamenti porta a morte il paziente, alcuni immediatamente, altri in un tempo più o meno prolungato. Sempre nello studio già citato dell'Istituto Mario Negri, è riportato che in Italia il 60 per cento dei decessi in rianimazione è dovuto alla decisione clinica di ridurre, interrompere o non iniziare del tutto una delle precedenti terapie. Questo fa ben comprendere che non è possibile appellarsi a un concetto di morte naturale, semplicemente perché la stessa non esiste. L'evoluzione di una patologia sia cronica che acuta, può essere modificata, rallentata, combattuta dalla moderna medicina. Ovviamente se il paziente lo desidera. Tutti noi moriamo con una diagnosi, una prognosi e una terapia, almeno nel mondo occidentale. E ancor di più sarebbe inutile, in questo scenario, cercare di stabilire un concetto condiviso di accanimento terapeutico. Semplicemente perché - data la sua assoluta soggettività - non è oggettivabile. E infatti tale termine non è usato nel dibattito bioetico, giuridico e politico di nessun altro Paese occidentale. La morte è sempre meno un evento puntuale, preciso, istantaneo. È invece un processo lungo, complesso, di cui sempre più spesso si può procrastinare la fine. Di frequente questo processo continua anche in una condizione di incapacità cognitiva del paziente, talvolta temporanea, spesso permanente. È in questa ampia fascia che troverebbe appunto utilità - se non addirittura necessità - lo strumento giuridico delle Direttive anticipate di trattamento. 2523 - ABORTO: LA CONTRACCEZIONE LO FAVORISCE? - DI CECILIA CALAMANI da: www.cronachelaiche.it di domenica 14 ottobre 2012 16 Finalmente abbiamo scoperto come mai, secondo illustri fonti di stampa in odor di santità, la contraccezione aumenterebbe gli aborti. Tesi battuta e ribattuta negli ambienti della scienza "cattolica", quella, cioè, che ha come fine ultimo la dimostrazione delle tesi bibliche (o posteriori della Chiesa), come se la scienza possa avere una qualche finalità ideologica. E così, tra chi pervicacemente continua a cercare le prove della veridicità della Sindone, che le rilevazioni scientifiche datano del XIV secolo, e chi si ostina a dichiarare che la famosa ampolla partenopea contiene il sangue del defunto Gennaro, c'è anche chi cerca di dare un senso alle famose parole di Benedetto XVI: «I preservativi aumentano i problemi». Ebbene, immaginate che piova e voi non avete l'ombrello. Perché rischiare di bagnarvi? Per altro, l'ombrello potrebbe non ripararvi bene o si potrebbe rompere e vi trovereste inzuppati in mezzo alla strada, preda di facili influenze. Che possono trasformarsi in bronchiti e poi in broncopolmoniti e potreste essere costretti ad andare in ospedale. Se invece non avete l'ombrello, magari eviterete di andarvi a cercare malanni sotto la pioggia. E allora, perché non vietarli, questi maledetti ombrelli, che ci fanno ritenere immuni all'acqua mentre magari la pioggia è troppo forte o si inceppano e ci troviamo fradici e ammalati? L'ombrello ci incentiva a uscire con la pioggia e quindi a contrarre malattie da raffreddamento che possono degenerare. Modifica cioè il nostro comportamento: se ne possediamo uno ricalcoliamo il rischio di bagnarci sulla base della sicurezza che apparentemente ci fornisce e usciamo di casa con la pioggia molto più spesso di quanto non faremmo se non l'avessimo. Da lì ad ammalarci, poi, il passo è breve. Non ci avevate mai pensato? Se il ragionamento non vi convince, provate a pensare agli incidenti stradali. Come abbatterne drasticamente il numero? Semplice, evitando di usare l'automobile. Ecco, più o meno sulla stessa scia è la dichiarazione del dottor Renzo Puccetti, specialista della società medico-scientifica Promed Galileo, che al Congresso mondiale di ginecologia e ostetricia ha presentato una sua ricerca controcorrente, diciamo così. Puccetti vuole dimostrare che l'uso dei contraccettivi aumenta l'abortività, un po' come l'ombrello aumenta il rischio di malattie respiratorie e l'automobile quello di incidenti stradali. Questo ciò che dichiara in un'intervista a Zenit, l'agenzia di stampa dei Legionari di Cristo (ripresa, ça va sans dire, anche dal settimanale ciellino Tempi): «Il comportamento sessuale, come peraltro in molti altri campi, tende a seguire alcuni schemi che gli studiosi hanno esplorato ed in molti casi individuato. Uno di questi è la tendenza a modificare il proprio comportamento sulla base delle conseguenze previste. Una volta che il soggetto viene esposto all'idea che mediante il contraccettivo l'attività sessuale non avrà conseguenze sgradevoli (la gravidanza, il contagio infettivo), tende a ricalcolare l'utilità dell'attività sessuale alla luce dei nuovi parametri ed a trovarla così conveniente da indurlo a praticare l'attività sessuale da cui invece si sarebbe astenuto in mancanza del contraccettivo». E ciò, naturalmente, aumenterebbe il rischio di aborti. Ma le chiacchiere non bastano, ci vogliono le prove, i dati e le registrazioni dei risultati. Eccoli: «Nei contesti dove è maggiormente diffuso il sentimento pro-life si registra un'abortività nettamente inferiore. Inoltre anche la restrizione all'aborto si associa a tassi di abortività inferiori». Come dire, monsieur de La Palisse non avrebbe saputo esprimersi meglio. Commento. Perché il dottor Renzo Puccetti non fa una ricerca sugli effetti negativi che il divieto dei contraccettivi e degli aborti avrebbe sull’aumento della popolazione e di conseguenza sul futuro del pianeta? Chi sostiene ancora oggi la teoria del “crescete e moltiplicatevi”, con la popolazione mondiale che si avvicina a otto miliardi di persone, dovrebbe essere chiamato a rispondere di reati contro l’umanità. (gps) 17 2524 - LA STAGIONE AVVELENATA - DI STEFANO RODOTÀ da: la Repubblica di martedì 16 ottobre 2012 Sopravviverà la democrazia italiana alle cinque crisi che la stanno pericolosamente avvolgendo? Mai, nella storia della Repubblica, si erano manifestate insieme, e via via sempre più intrecciate, una crisi istituzionale, una politica, una civile, una economica, una sociale. Cogliamo ogni giorno i frutti amari e avvelenati di una cosiddetta Seconda Repubblica nata dall’improvvisazione e dall’imprevidenza, di un dissennato “bipolarismo feroce” (copyright del direttore di Avvenire), di una lotta politica degenerata in rissa continua, del degrado del linguaggio, della fine del rispetto dell’altro, di una regressione culturale senza fine. La crisi civile e morale ci avvolge. Implacabili, i quotidiani bollettini di guerra ci indicano i protagonisti di una torbida stagione vissuta all’insegna della cancellazione d’ogni confine tra lecito e illecito, tra privato e pubblico. Ma gli arrestati, gli indagati, gli autori di furti legali non sono soltanto gli occasionali “testimonial” di vicende corruttive, le “pecore nere”, le “mele marce”. Si rivelano ogni giorno di più come l’avanguardia di schiere infinite, gli emuli a ogni livello di chi si è scritto leggi ad personam e ha coltivato conflitti d’interesse. Questa logica si è generalizzata, un numero crescente di persone ha trasferito risorse pubbliche nelle sue disponibilità private, anche sulla base di norme predisposte proprio a questo fine – dalle ordinanze della Protezione civile alle regole a maglie larghissime dei consigli regionali, che consentono ai mariuoli di dire d’aver seguito prassi legittime. Si è costruita una “legalità parallela” per legittimare il malaffare. Oggi è saltato proprio quello che era stato giustamente definito il “compromesso permanente tra legalità e illegalità”. La politica sembra attonita, balbetta. Che cosa sarebbe accaduto se, all’indomani dell’assassinio del generale Dalla Chiesa, il Parlamento si fosse limitato alle esecrazioni rituali, invece di approvare tempestivamente la legge La Torre-Rognoni? Che cosa sarebbe accaduto se, all’indomani dell’assassinio di Giovanni Falcone, il Parlamento, riunito per l’elezione del Presidente della Repubblica, avesse proseguito nel rito di innumerevoli votazioni, giungendo per sfinimento all’elezione di Giulio Andreotti, invece di rompere l’incantesimo eleggendo subito Oscar Luigi Scalfaro? Non sono richiami azzardati, di fronte al quotidiano assassinio della credibilità delle istituzioni, della legalità democratica. Non arriva nessun segnale forte, se si fa eccezione per lo scioglimento del consiglio comunale di Reggio Calabria. Il Parlamento, in un sussulto di dignità, avrebbe dovuto approvare subito una vera, seria legge sulla corruzione. E invece rimane prigioniero di ricatti, si sfianca nella ricerca di un nuovo compromesso. La crisi della politica, allora. Palese nell’altro infinito inseguimento, quello ad una legge elettorale ormai concepita soprattutto come un mezzo per neutralizzare un esito elettorale temuto, per regolare preventivamente conti all’interno del sistema dei partiti. 18 Le elezioni come un intralcio, un problema, e non come il momento in cui la parola torna nella sua pienezza ai cittadini? Non si vuole più correre il “rischio democratico” del voto. Ecco, quindi, l’ossessiva ricerca della continuità, che s’impiglia nell’altro vizio di questi anni, l’estrema personalizzazione della politica. Monti con la sua “agenda”, quindi, che diviene un modo per sfuggire alle responsabilità proprie. Un vero transfert, che rivela la difficoltà della politica di liberarsi dei suoi mali e tornare ad essere davvero tale. Ma i promotori del “giuramento Monti” si sono presto rivelati come degli apprendisti stregoni, aprendo la strada alla nuova scorreria di Berlusconi. Un Monti ostaggio, pedina di manovre interne ai partiti, strumento per trasformare le elezioni in un referendum pro o contro la sua persona? Diciamo, piuttosto, una vicenda che rivela una volta di più le miserie della politica. Tutto questo avviene all’ombra non dissipata d’una crisi istituzionale. I tre soggetti che negli anni pericolosi del berlusconismo hanno impedito il collasso della legalità e, con essa, della democrazia – Presidenza della Repubblica, Corte costituzionale, magistratura – si trovano ora divisi, contrapposti. È il lascito di un’estate avvelenata, che ha visto il trasformarsi di una discussione legittima in una furia polemica che sembra inconsapevole del pericolo di una terra bruciata. Ovvio che si potesse discutere intorno alla opportunità politica e alla portata istituzionale delle posizioni assunte dal Presidente della Repubblica nella nota vicenda delle intercettazioni telefoniche conservate presso la Procura di Palermo. Ma che senso ha descrivere le posizioni in campo come un conflitto tra “trombettieri del Quirinale” e difensori della verità, delegittimando preventivamente chi esprime un’opinione diversa dalla propria? Vizi diffusi, e non da una parte sola. E che hanno progressivamente impedito di vedere che un problema esiste, che nasce proprio da controversie intorno alle prerogative presidenziali e che non può essere risolto con un meccanico rinvio a regole della procedura penale. La posizione costituzionale del Presidente della Repubblica ci indica un orizzonte più largo e va oltre quei soli riferimenti (e non può certo essere strumentalizzata per chiedere salvacondotti per altri soggetti istituzionali o per mendicare la stretta autoritaria sulle intercettazioni). Lo ha ribadito ieri lo stesso Presidente, sottolineando l’improprietà di una personalizzazione della questione e la necessità di non lasciare alcuna ombra sui rapporti tra il Capo dello Stato e altri soggetti istituzionali.. Proprio nella temperie politica e costituzionale che viviamo, una precisazione così importante appare indispensabile (e rischiano di non contribuire al chiarimento alcuni toni della memoria a difesa della Procura di Palermo). E non mi pare che sia stato apprezzato adeguatamente il fatto che Giorgio Napolitano abbia deciso di sottoporsi al giudizio di un organo terzo, la Corte costituzionale appunto. Una mossa democratica, che si è cercato di delegittimare delegittimando la stessa Corte, presentandola come un organo privato di autonomia proprio dall’iniziativa presidenziale, persino con argomenti di tipo berlusconiano, quali sono quelli che richiamano il fatto che alcuni dei giudici della Consulta sono stati nominati da lui. La verità è che, di fronte ai molti misteri della Repubblica, prorompe quasi sempre un bisogno di giustizia sostanziale, insofferente d’ogni regola. Ecco, allora, la presentazione della posizione del Presidente della Repubblica come un intralcio alle indagini dei magistrati siciliani. Tesi contraddetta dalle stesse dichiarazioni della procura di Palermo sulla non rilevanza delle intercettazioni a questo fine. Ma di cui si è data una versione tutta politica, insistendo su un isolamento dei magistrati siciliani che, se mai, ha le sue origini altrove. È ancora possibile ricostruire un clima nel quale la decisione della Corte venga intesa come la definizione del quadro costituzionale e non come una pronuncia che dà torto ad una parte e ragione all’altra? Non è questa la logica del giudizio costituzionale. Certo, 19 pieno deve essere il sostegno al lavoro dei magistrati dai quali, se riusciranno a fare finalmente chiarezza sulle violazioni della legalità, verrà un contributo essenziale per la ricerca di quella verità storica e politica che è comunque responsabilità di altri organi costituzionali. Questo contesto politico e istituzionale non è il più propizio per un governo adeguato della crisi economica e di quella sociale, che non può essere affidato, come sta accadendo, all’erosione dei diritti di cittadinanza, a partire da quelli fondamentali alla salute e all’istruzione, a una rinnovata riduzione del lavoro a merce. La sospensione di fondamentali garanzie, che toccano lo stesso diritto all’esistenza, non può essere giustificato con nessuna emergenza. Tutto questo determina tensioni sociali sempre più forti, alle quali si accompagna un passaggio dai rischi del populismo a quelli della demagogia. Qui è il pericolo per la democrazia e le sue istituzioni che, se vogliono riconquistare fiducia, devono rimettere in onore i diritti delle persone. Questione, a ben vedere, che riguarda pure le necessarie trasformazioni dell’Unione europea, irriducibili al solo rafforzamento del governo dell’economia. A chi conviene una democrazia senza popolo? 2525 - 1970: IL DIVORZIO È LEGGE DOPO 18 ORE E 4 SVENUTI - DI CARLO VULPIO da: Corriere della Sera di domenica 21 ottobre 2012 Se sciogliere il matrimonio era il «male assoluto» per la Chiesa, il Pci fu tiepido. I partiti a favore divennero i «nemici della famiglia» per i cattolici, che vennero sconfitti al referendum nel '74. Oriana Fallaci scrisse: «Siamo cresciuti. Senza i promotori non lo avremmo saputo» Oggi il problema è opposto rispetto a quello di quarant'anni fa. Allora, la Democrazia cristiana di Amintore Fanfani, il Movimento sociale italiano di Giorgio Almirante, il Partito monarchico di Alfredo Covelli, i Comitati civici del professor Gabrio Lombardi, e anche papa Paolo VI, credevano che il divorzio fosse il «male assoluto». Ma oggi il problema è inverso, e se lo pone soprattutto la Chiesa cattolica, che si domanda come non escludere e anzi recuperare i divorziati — anche quelli che si sono risposati —, non come impedir loro a tutti i costi di ricorrere allo scioglimento del matrimonio, il «malefico» divorzio. Di più, la Chiesa sembra voler guardare ancora più lontano, se lascia che un teologo come Bruno Forte, vescovo di Chieti-Vasto, vada in giro per università a parlare della «drammatica situazione dei figli dei divorziati che si sono risposati» e ribadisca ogni volta «la necessità di avviare una riflessione sui modi e i tempi necessari per il riconoscimento della nullità del vincolo matrimoniale». Oggi, i clericali più accaniti possono pure gridare allo scandalo, considerare questa via più esiziale della breccia di Porta Pia e rispolverare accuse di «protestantizzazione» della Chiesa di Roma (magari facendo notare di sfuggita che il più attivo in tema di divorzio è proprio il clero tedesco e che, guarda caso, anche Martin Lutero era tedesco...), ma ormai una nuova strada è stata tracciata. Quarant'anni fa, no: non era così. Era davvero un altro mondo quello in cui — la notte fra il 30 novembre e il 1° dicembre del 1970 — il Parlamento italiano, dopo una seduta lunga diciotto ore in cui quattro deputati si sentirono male e svennero, approvava con 325 voti a favore e 283 contrari (164 sì e 150 no al Senato) la legge numero 898 istitutiva del divorzio, intitolata «Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio» e più nota come legge Fortuna-Baslini, dai nomi di Loris Fortuna (socialista e poi anche radicale) e Antonio Baslini (liberale) che unirono in un solo testo i rispettivi progetti di legge. In quel mondo così diverso, quel tema così scabroso — il divorzio, nientedimeno — stava viaggiando già da cinque anni su un treno chiamato Lid, Lega italiana per il divorzio, fondata nel 1965 e guidata dallo stesso Fortuna e da Marco Pannella, il quale per il divorzio si batterà da par 20 suo anche durante il referendum del 1974, nonostante l'oscuramento subìto dalla Rai, che non lo inviterà a nessuna delle tribune referendarie con la scusa che non è il segretario di un partito presente in Parlamento. Pannella e i radicali in particolare, assieme a socialisti, liberali e repubblicani, in quegli anni furono additati dal mondo politico cattolico come i nemici della famiglia, quelli che volevano distruggere il nucleo primario e fondamentale della società, e questo diciamo pure che era abbastanza normale. Meno normali erano invece gli attacchi e le scomuniche che dovettero subire dal Partito comunista italiano prima, durante e dopo l'approvazione della legge. I comunisti, infatti, erano tiepidi nei confronti dell'introduzione del divorzio in Italia perché, dicevano sempre, «ben altri» erano i problemi e gli obiettivi di «un grande partito» come il Pci. E quando non erano tiepidi, erano feroci. Aldo Tortorella, uno dei massimi dirigenti del partito, che allora di fatto era già guidato da Enrico Berlinguer a causa della grave malattia che colpì Luigi Longo, diede dei divorzisti questa amena definizione: «Sono servi dei padroni, vogliono ostacolare la politica dell'incontro e del dialogo con i cattolici». Naturalmente, dopo la vittoria dei No al referendum del 1974, il primo della storia repubblicana, voluto dal fronte antidivorzista, «l'Unità» titolerà: «Grande vittoria della libertà». La legge 898 tuttavia fu votata — sebbene per motivi di opportunità politica — anche dai comunisti. Ed era una legge, si sfiancavano a spiegare i suoi sostenitori, che non incitava a divorziare, ma era soltanto la medicina necessaria a cui ricorrere quando la malattia era già insorta. Nella sua versione originaria, per esempio, la legge prevedeva che la sentenza di divorzio potesse essere pronunciata solo dopo cinque anni di separazione giudiziale, che diventavano sei in caso di opposizione dell'altro coniuge e addirittura sette in caso di separazione pronunciata per colpa esclusiva del coniuge che richiedeva il divorzio. Cautele che non bastarono a dissuadere il fronte referendario antidivorzista, che provò a chiamare a raccolta il popolo in nome della salvaguardia della integrità della famiglia, ma venne sconfitto. Il 59,3 per cento degli italiani che andarono a votare disse di no all'abrogazione della legge che istituiva e regolava il divorzio. Ma fu un no dell'Italia centro-settentrionale e, grande sorpresa, della Sicilia (50,5 per cento di no), cioè proprio la regione più citata nei comizi e nei dibattiti in quanto patria per eccellenza del «delitto d'onore», ovvero della più nefasta conseguenza dell'adulterio, che era la prima causa di fallimento del matrimonio e quindi la patologia più grave a cui il divorzio («meglio una separazione di un omicidio») doveva rimediare. Tutte le altre regioni del Sud e, altra sorpresa, il Trentino (50,6 per cento di sì) votarono compatte per l'abolizione della legge Fortuna-Baslini. L'Italia però non era più a metà del guado, con l'introduzione del divorzio scoprì d'essere diventata un Paese più adulto. «Siamo cresciuti, siamo cambiati. Senza i promotori del referendum non lo avremmo saputo. Bisogna ringraziarli», scrisse ironica ed emozionata Oriana Fallaci. E infatti siamo così cambiati che oggi la prima causa di divorzio non è nemmeno più l'adulterio, ma la noia, assieme all'incomunicabilità e all'incompatibilità di carattere. Siamo così cambiati che più dell'aumento dei divorzi (10.618 nel 1975, 54.456 nel 2009) colpisce la diminuzione del numero dei matrimoni (419 mila nel 1972, 210 mila nel 2010). Non siamo cambiati invece nella capacità di rendere difficile e persino odioso l'esercizio dei diritti. Così accade che per ottenere la sentenza di divorzio, che oggi dovrebbe arrivare dopo tre anni dalla pronuncia di separazione, e nonostante 4 divorzi su 5 siano consensuali, si impieghino «normalmente» dai sette ai dieci anni, con costi che riducono sul lastrico molti 21 coniugi e costi umani che li avvelenano e li tengono impegnati in una guerra permanente che nemmeno La guerra dei Roses, il celebre film di Danny De Vito con Kathleen Turner e Michael Douglas. Il risultato è quello che Paolo Guzzanti nella prefazione al libro I perplessi sposi di Gian Ettore Gassani (Aliberti) ha definito «turismo divorzile»: per far prima e meglio si stabilisce per poco tempo la residenza all'estero, ad esempio in Francia, e si divorzia lì, facendosi poi trascrivere la sentenza in Italia. Un altro calvario che, riconoscono molti giuristi, richiederebbe un aggiornamento della legge 898 è quello degli obblighi di assistenza economica tra i coniugi anche dopo il divorzio, mentre sull'affidamento dei figli si entra in una landa desolata che meriterebbe un discorso a parte. Siamo cambiati, non c'è dubbio. Oggi se Domenico Modugno cantasse di nuovo “L'anniversario” verrebbe applaudito da tutti. «Amore senza data, senza carta bollata/ Ti sposo ogni mattina e tu rispondi sempre sì/ Noi non giuriamo niente, perché non c'è bisogno/ Con un contratto non si lega un sogno...». La canzone era a sostegno della legge sul divorzio, ma potrebbe andare benissimo anche per il Family Day e il Gay Pride. 2526 - DIO NON ESISTE! E ADESSO ARRESTATEMI. – DI GIULIO C. VALLOCCHIA Se io affermo che Dio non esiste corro il rischio di subire una condanna penale, questo almeno secondo la sentenza di cui si parla su www.uaar.it/news/2012/10/22/proscioltomanlio-padovan-pm-dio-non-esiste-offesa/. Basta dimostrare, non si capisce bene con quali criteri, che avevo l'intenzione di offendere i cattolici e la galera è assicurata. L'incredibile motivazione riguarda però solo i cattolici, avendo evidentemente il giudice estensore delle motivazioni della sentenza, attribuito l'affermazione della non esistenza al solo Dio esclusivo della religione cattolica. Se io invece dicessi, per esempio, Geova non esiste, o Allah non esiste, o Giove non esiste, potrei essere indiziato e probabilmente incriminato per offesa agli ebrei, agli islamici e ai pagani. Quindi per la proprietà transitiva della divinità il rischio di galera dipende solo dal nome usato per identificare (con intenzioni offensive dei relativi credenti) un qualsiasi dio menzionato nelle varie versioni della Menzogna Globale . Ebbene io, Giulio Cesare Vallocchia, affermo che nessun dio esiste, qualunque sia il nome proprio che viene attribuito all'immaginaria entità soprannaturale da qualunque seguace di qualunque religione. E adesso arrestatemi! Commento. Tramite l’associazione UAAR abbiamo reperito la “sentenza” di cui parla l’amico Vallocchia. In effetti, si tratta di una richiesta di archiviazione risalente al 18 aprile 2011 emessa dalla Procura della Repubblica di Rovigo in ordine alle denunce mosse da alcuni cittadini di Papozze (Rovigo) nei confronti del rappresentante UAAR Manlio Padovan. La procura motiva la sua richiesta in base al fatto che l'affissione dei manifesti (peraltro vidimati dall'Ufficio affissioni) con la dicitura "La cattiva notizia è che Dio non esiste. Quella buona, è che non ne hai bisogno" costituisce sì una "offesa nei confronti della popolazione di Papozze di culto cattolico", ma può invocarsi il "legittimo dubbio sulla volontà dell'indagato di offendere direttamente chi professa una religione", anche se taluni di essi si sono "obiettivamente ritenuti offesi". Si tratta, come si dice in Italia, di "un colpo al cerchio e uno alla botte", che però contrasta con il diritto di esprimere il proprio pensiero su problemi di fondo della società e dello stesso genere umano. Cosa sarebbe successo se uno scrittore o un giornalista avesse pubblicato un suo libro o un suo articolo con lo stesso titolo dei manifesti? Sicuramente nulla. A Papozze, invece, 22 taluni "cittadini" integralisti si sono indignati, hanno strappato i manifesti e la polizia locale è intervenuta rimettendo il tutto all'autorità giudiziaria. Alla faccia della laicità dello Stato.(Giampietro Sestini). 2527 - DIVORZIO BREVE ALTRA PROMESSA TRADITA - DI MARIA N. DE LUCA da: la Repubblica di sabato 27 ottobre 2012 Più che una legge, il fantasma di una legge. Appare, scompare, non viene mai discussa e tutto resta com’è. Milioni di italiani la aspettano da decenni, eppure la legge sul divorzio breve già pronta nel giugno scorso, è di nuovo scomparsa dal calendario dei lavori parlamentari. Missing. Inabissata nella lunga lista di testi di legge che non approdano mai alla discussione in Parlamento. E guarda caso, commenta amara Giulia Bongiorno, presidente della commissione Giustizia della Camera, «si tratta quasi sempre di temi che riguardano i diritti civili o i diritti delle donne». La formula è semplice: “N. C.”, basta non calendarizzare, e quella legge scompare, per anni e anni, in una nebbia di rinvii e di rimandi di cui si perde traccia. Ed è questo il destino, sembra, del cosiddetto “divorzio breve”, disegno di legge che punta ad accorciare i tempi della separazione, da tre a due anni in presenza di minori e da tre anni a anno se nella coppia non ci sono figli. Una rivoluzione per il nostro paese, dove per un divorzio “medio” cioè consensuale ci vogliono quasi 5 anni, due sentenze, due avvocati e un fiume di soldi. Così da ieri per denunciare il nuovo rischio di oblio della legge, i radicali della “Lega per il divorzio breve” hanno iniziato uno sciopero della fame, sostenuti da coppie e cittadini che da anni aspettano di poter sciogliere il proprio matrimonio. Spiega Rita Bernardini: «È evidente che c’è un veto da parte delle gerarchie ecclesiastiche, che fanno leva su alcune forze politiche perché la conferenza dei capigruppo rinvii, sine die, la discussione della legge. E molti partiti incredibilmente temono ancora oggi di spaccarsi su un tema come il divorzio, ma forse si vergognano di ammetterlo. L’assemblea però si deve esprimere, avendo il coraggio di dire un sì o un no. Questa legge era stata calendarizzata: perché è stata cancellata dall’ordine del giorno e fatta scomparire?». Chissà, forse c’è chi pensa che «42 anni siano ancora troppo pochi per modificare la legge sul divorzio» conclude sarcastica l’esponente radicale. In effetti dall’approvazione nel 1970, passando per il referendum del 1974, i tempi delle separazioni sono stati modificati soltanto una volta, nel 1987, passando da cinque e tre anni. Nel 2003 la legge sul divorzio breve era riapprodata a Montecitorio, ma subito affossata da Lega e Udc, con presidente della Camera Pierferdinando Casini. Poi soltanto tentativi falliti. «Eppure questa volta dopo un lungo lavoro di mediazione e la stesura di un testo davvero moderato e attento, eravamo convinti di arrivare alla discussione » dice Giulia Bongiorno. Invece... «Invece credo che l’Italia stia per ricevere dall’Europa la maglia nera per i diritti civili. Sono cattolica, credente, ma so che le resistenze arrivano da lì, da quel mondo, da chi crede erroneamente che il divorzio breve potrebbe minare l’unità della famiglia. Ma da 23 penalista vedo invece che è proprio dai tempi lunghi che nascono sofferenze e problemi». E la deputata di FLI ricorda quante leggi sui diritti civili si sono arenate: il diritto della madre a mettere alla nascita il proprio cognome al figlio, o la bocciatura sull’omofobia, «il cui testo da quattro anni torna in commissione». Aggiunge Guido Paniz, avvocato, ex leader dei padri separati, deputato PDL e relatore del testo sul divorzio breve: «Sono veramente sconfortato. Da mesi chiedo perché la legge sia scomparsa dal calendario, ma dalla conferenza dei capigruppo soltanto risposte evasive. La verità è che molti partiti a cominciare dal mio sono spaccati, e più sensibili ai richiami di Oltretevere che ai bisogni dei cittadini». E poi, incalza Paniz, «faccio l’avvocato da decenni e so per esperienza che quando si è deciso di divorziare non si torna indietro, qualsiasi siano i tempi della separazione». Diego Sabatinelli, segretario della Lega per il divorzio breve, da ieri in sciopero della fame, parla di una legge «depennata senza motivo», e di quelle nuove famiglie che i separati formano nei lunghi anni di attesa del divorzio, «famiglie - dice Sabatinelli - senza tutele e senza diritto». Nebbie, silenzi, rinvii. E poche speranze che il divorzio breve torni all’ordine del giorno prima della fine della legislatura. Benedetto Della Vedova fa parte della conferenza dei capigruppo: «La legge slitta perché tra i partiti non c’è la volontà politica di discuterla. E non credo che ci sia il progetto di accelerare i tempi». 2528 - LIBERI DI MORIRE? - DI GRAZIELLA STURARO Nei primi giorni di ottobre, presso il Circolo dei Lettori a Torino, è stato presentato e riproposto dalla casa editrice Indiana il libro dal titolo “Liberi di morire. Dissertazione filosofica sulla morte” di Alberto Radicati di Passerano, uno dei celebri rappresentanti dell’Illuminismo italiano che Piero Gobetti definì “Il primo illuminista della Penisola”. Aristocratico piemontese, consigliere di Vittorio Amedeo II durante il periodo di massima tensione con la Santa Sede, esule a Londra e ufficialmente bandito dalla patria nel 1728 che, in seguito, si trasferì in Olanda dove morì nel 1737 completamente in miseria. In realtà si tratta di un saggio sul suicidio raramente citato che ha sempre ottenuto scarsa fortuna per giungere poi al Novecento quando tale tematica tornò al centro dell’attenzione grazie a filosofi e sociologi dell’epoca, dal momento che, con le nuove correnti di pensiero si cominciò a mettere in discussione l’esistenza di Dio e così anche l’etos cristiano. Un argomento molto scomodo trattato sino agli anni ’60 nei paesi del Nord d’Europa. Periodo durante il quale emerse la problematica dei suicidi in età adolescenziale per cui se ne occuparono anche la psicologia e le scienze mediche. Una dissacrante trattazione nella quale si cerca di trovare una giustificazione al suicidio partendo dal presupposto che materia e movimento sono poco cercati da Dio e si discute della circolazione del corpo dopo la morte partendo da nozioni scientifiche e ponendosi la seguente domanda: perché avere paura della stessa? Pertanto il fattore di disturbo rimane la religione cattolica con i suoi dogmi mentre il giudizio che si dà all’azione è considerato un semplice costrutto psicologico umano. L’uomo è un animale come tutti gli altri, la Dea natura concede la vita fino ad una condizione e, cioè, quando la stessa diventa detestabile ed insopportabile. Il professore Giuseppe Ricuperati, docente di Storia Moderna presso l’Università di Lettere a Torino, al quale venne affidata l’opera che depose successivamente alla Fondazione Einaudi, sostiene che quello di Radicati è un Illuminismo radicale in perfetto stile europeo ossia la forma di pensiero del viaggiatore a contatto con il pluralismo delle società dell’epoca. Ed è per questo che la sua esperienza può essere affiancata a quella di Pietro Giannone, anch’esso personaggio di spicco della cultura illuminista italiana, che si trovò, a causa delle persecuzioni, alla corte asburgica di Vienna sotto la protezione del Principe 24 Eugenio di Savoia-Soissons, grande nobile illuminato e mecenate di letterati e artisti, figura esemplare dell’uomo moderno che, anche dal punto di vista strategico-politico, pensava già ad un’Europa come unione di Stati esente da conflitti bellici. Giulio Giorello, nella sua prefazione, cita Cesare Beccaria il quale, nel 1764, nella celebre opera “Dei delitti e delle pene” dichiarava che “Il suicidio è un delitto che sembra non poter ammettere una pena propriamente detta poiché ella non può cadere che o su gl’innocenti, o su di un corpo freddo e insensibile”. Lo stesso Giorello sostiene che è di questo tipo di Illuminismo che abbiamo ancora bisogno, forse oggi più che allora, dal momento che in tempi come i nostri si insiste tanto sul diritto alla vita e sull’obbligo di vivere ad ogni costo creando leggi che privano il cittadino dell’autodeterminazione. In effetti Radicati sosteneva la liceità del suicidio prescindendo dall’ira divina in quanto sostituita dalla natura “costante e perpetua” nelle sue operazioni per cui la morte consiste in una mera “dissoluzione delle parti corporee” che, dopo essersi separate, si trasformano. Mentre la paura è un costrutto teorico creato da un’opera molto astuta e sottile di coloro che, “audaci impostori”, pensano di essere interpreti assoluti della volontà divina e quindi portatori di una verità altrettanto assoluta e indiscutibile. E questo, partendo dallo sfruttamento di tutto il repertorio delle varie forme di scetticismo sviluppate a partire dal Cinquecento inserite nella concezione di un universo senza confini, cornice di una sorta di “relativismo morale” grazie alla quale si accettano e si giustificano le diversità sconfinando nelle ricerche antropologiche. Infatti, molto interessanti, sono le discussioni relative agli usi e costumi dei vari popoli nonché alle diverse confessioni religiose ricordando celebri massacri e inaudite violenze accadute nella storia sotto il patrocinio della chiesa romana. Non manca il riferimento biblico. “A chi fare ricorso dunque, perché sia stabilita la nuda verità per quanto riguarda la bontà o la malvagità della morale?”. La certezza consiste nel fatto che se a tutti i pensatori venisse posta la domanda di Pilato che pose a Cristo quando gli chiese “Quid est veritas?” si comporterebbero con saggezza e rimarrebbero in silenzio senza esprimere alcun parere su una cosa che non conoscono. Ovviamente l’autore intervenne nell’acceso dibattito settecentesco sul suicidio causato dal diffondersi del puritanesimo. Opere di grande rilievo furono il “Biathanatos” di John Donne, edito postumo nel 1648, nel quale vengono smontate tutte le obiezioni mosse contro il suicidio e le “Lettere persiane” del Barone di Montesquieu dove, per l’appunto, nella lettera 76, si giustifica “il diritto al suicidio” quando la vita diventa solamente sofferenza morale, fisica e materiale. E’ evidente che si trattava di argomentazioni che ruotarono nei circoli intellettuali dell’epoca frequentati da nobili e borghesi di elevata cultura e apertura mentale i quali, già trecento anni fa, sollevavano una questione sorta nell’ambito della filosofia greca ragionando sui diritti umani individuali in rapporto all’etica. Questione tuttora sospesa che sebbene ci ha portato verso l’esigenza e la concezione di uno Stato laico lascia ancora numerosi interrogativi relativi all’eutanasia: a chi appartiene la nostra vita? Nella situazione legislativa attuale del nostro paese possiamo considerarci padroni del nostro corpo? Perché si vuole imporre il cosiddetto “sondino di Stato”? In effetti come affermava Seneca nelle “Lettere a Lucilio” citate in epigrafe “Le cose umane sono così ordinate che nessuno è infelice se non per sua colpa. Ti piace la vita? Vivi. Non ti piace? Puoi tornare donde sei venuto”. Purtroppo spesso l’uomo, durante il proprio percorso di vita, può trovarsi in determinate condizioni di grande sofferenza fisica e psicologica sicuramente non per sua scelta e non sta sicuramente a noi stabilire, in questi casi, ciò che è giusto e ciò che non lo è. 25 Lo stesso Radicati, ed in questo fortemente anticuriale, conclude con le seguenti parole ossia “un uomo stanco o sazio di vivere può morire quando lo desidera senza recare offesa alla natura, poiché morendo utilizza il rimedio che la natura gli ha generosamente messo nelle mani per curarsi dei mali di questa vita”. La Dissertazione, che non va considerata come un elogio al togliersi la vita e tanto meno un’esaltazione dell’ateismo, fu definita dal suo stesso autore uno dei suoi “molto orribili errori”, un semplice “libro inglese sulla morte”, ritrovato dopo quasi tre secoli da un avvocato che lascia al lettore ancora molti dubbi ed una sola certezza: la libertà di scelta come legittima e inalienabile. L’uomo, se è il caso, “deve riprendersi il proprio corpo” anche con un gesto ritenuto da molti sconsiderato e contrario alle leggi divine. 2529 - FRANCIA - SONDAGGIO SUL FINE VITA Si riportano qui sotto i risultati più interessanti tratti dall’indagine condotta dall’IFOP (Institut Français d'Opinion Publique) per la rivista Pèlerin Magazine tra il 4 e il 13 settembre 2012 su un campione di 2010 persone, tutte maggiorenni – Traduzione per LiberaUscita di Christiane Krzyzyk Ha già assistito fino alla morte un parente in fin di vita? - Sì: 39% - No: 61% Pensando al fine vita, che cosa teme di più? (possibilità di dare 2 risposte) - Perdere l’autonomia fisica: 43% - Diventare un peso per i parenti: 32% - La sofferenza fisica: 29% - Perdere la ragione: 25% - La solitudine, non essere circondato dai propri cari: 12% - La povertà, la mancanza di mezzi: 10% Pensando al fine vita, che importanza dà alla religione? - Gradirebbe l’assistenza e l’accompagnato spirituale: 20% - Non vi ha seriamente riflettuto, ci penserà quando il momento si presenterà: 33% - Non accorda nessuna importanza alla religione: 47% In Francia, l’attuale legge sul fine vita permette di: - Attenuare le proprie sofferenze fisiche o morali - Sì: 37%, No: 48%, Nsp: 15% - Evitare qualsiasi forma di accanimento terapeutico - Sì: 25%, No: 59%, Nsp: 16% - Rispettare le volontà del malato sulla fine della sua vita - Sì: 19%, No: 68%, Nsp: 13% L’eutanasia è una pratica che, sotto il controllo di un medico, mira a provocare il decesso di una persona affetta da una malattia incurabile. Lei è favorevole o contraria alla legalizzazione dell’eutanasia? - Favorevoli: 86% (molto favorevoli: 35%, abbastanza favorevoli: 51%) - Contrari : 14% (molto contrari: 4%, abbastanza contrari: 10%) Per quali ragioni è favorevole all’eutanasia? (domanda posta soltanto a chi si è dichiarato favorevole, dunque soltanto all’86% del campione). - Volendo mantenere in vita persone molto gravi, a volte vengono inflitte loro sofferenze inutili: 40% (54% cattolici praticanti, 41% cattolici non praticanti, 34% senza religione) - Ognuno ha il diritto di disporre della propria vita e di decidere quando può “partire”: 36% (20% cattolici praticanti, 34% cattolici non praticanti, 43% senza religione) - Una vita troppo degradata dalla malattia, dall’handicap o dall’età troppo avanzata non è più una vita degna: 18% (20% cattolici praticanti, 18% cattolici non praticanti, 19% senza religione) 26 - Praticare l’eutanasia può permettere di alleviare il dolore dei parenti esposti alle sofferenze dell’ammalato: 6% (6% cattolici praticanti, 7% cattolici non praticanti, 4% senza religione) Per quale ragione è contraria alla legalizzazione dell’eutanasia? (domanda posta soltanto a chi si è dichiarato contrario alla legalizzazione dell’eutanasia, dunque soltanto al 14% del campione). - Esiste un reale rischio di deriva: pressione dei parenti, risparmi per il sistema sanitario: 41% - Nessuno ha il diritto di togliere la vita né di chiedere che venga abbreviata la propria vita: 29% - Ogni vita merita di essere vissuta fino in fondo: 19% - E’ una grave responsabilità per il personale sanitario: 11% 2530 - FRANCIA - VERSO L'EUTANASIA ATTIVA? - DI CLAUDIO TANARI da: www.cronachelaiche.it di mercoledì 10 ottobre 2012 Nelle sale francesi dopo essere stato presentato ai festival di Locarno e Toronto, Quelques heures de printemps di Stéphane Brizé - cronaca di una relazione ritrovata in extremis tra un figlio incompiuto e un'anziana madre malata terminale - affronta con equilibrio e delicatezza il tema del fine vita. Alain e Yvette, interpretati da Vincent Lindon ed Hélène Vincent, si metteranno in viaggio verso la Svizzera, dove l'eutanasia è legale: insieme procederanno con dignità e dolcezza lungo i passi previsti dal protocollo clinico. Dopo Amour di Haneke, vincitore a Cannes e La bella addormentata di Bellocchio, sembra che il cinema europeo individui nel difficile tema della diritto alla buona morte un argomento particolarmente adatto a scandagliare le profondità dell'animo umano. Senza ideologismi e convinzioni preconcette, in questo ambito davvero fuori luogo. Il film di Brizé - che a noi italiani richiama irresistibilmente la vicenda dolorosa di Lucio Magri - probabilmente proprio in ragione dei suoi toni misurati, pur nel realismo della sua rappresentazione (quasi insostenibile il piano sequenza finale), ha suscitato in Francia un forte interesse anche da parte dei massimi organi istituzionali. Francois Hollande, dopo aver visto la pellicola e registrato il dibattito nel paese, ha infatti disposto un'inchiesta sul fine vita a livello nazionale, incaricando il professor Didier Sicard, presidente del Comitato nazionale consultivo di etica: entro dicembre l'indagine dovrà dare indicazioni al governo in vista di una modifica della legge del 2005. Si tratta della Legge Leonetti, dal nome del medico e deputato gollista che la promosse, che autorizza già oggi l'eutanasia passiva: in Francia il malato terminale può rifiutare le cure quando si configurino come accanimento terapeutico. E' per ora esclusa l'eutanasia attiva, l'intervento del medico che pone fine alla vita. Marisol Touraine, oggi ministro della Sanità, consigliera di Hollande per i temi sociali e della salute, aveva dichiarato nel corso della campagna elettorale che avrebbe portato il leader socialista all'Eliseo: «La legge Leonetti permette di lasciarsi morire. Oggi, invece, dobbiamo permettere l'aiuto a morire». 27 E sembra che a pensarla così sia la maggioranza dei francesi. Eloquenti i dati del sondaggio IFOP secondo i quali l'86 per cento della popolazione esprime un parere favorevole "a una legalizzazione completa dell'eutanasia". Tra i non credenti la quota sale al 94 per cento, ma la vera la sorpresa sta nel 59 per cento dei cattolici praticanti che condividono l'opinione di gran parte dei loro concittadini. 2531 – USA - GRACE, LA NUOVA TERRI SCHIAVO da: la Repubblica di sabato 6 ottobre 2012 NEW YORK — La ragazza che vuole morire ha tutto il diritto di farlo. La più alta corte dello stato ha deciso che Grace Sung Eun Lee può fare staccare i tubi che la tengono ancora in vita per non si sa però più quanto: perché Grace è malata terminale di tumore al cervello, paralizzata dal collo in giù, e per lei non ci sono più speranze. Grace è la nuova Terri Schiavo che divide l’America. Ma come nel caso di Terri Schiavo a dividersi è prima di tutto una famiglia. Grace ha 28 anni, fa l’analista finanziaria, e ha confessato ai medici del North Shore University Hospital, Manhasset, New York che non sopporta più di vivere così com’è: e dice basta all’accanimento terapeutico. Ma i suoi genitori si oppongono. Sono immigrati coreani e sostengono che staccare i tubi è contro la loro religione: di cui il padre è anche un pastore. Per lui smettere la terapia sarebbe, per la ragazza, un suicidio. Grace finirebbe all’inferno. Proprio come nel caso di Terri Schiavo, anche qui c’è una prova che dimostrerebbe che Grace deve vivere: è il video registrato dai genitori sta già facendo il giro di YouTube. C’è un uomo che solleva il capo della ragazza: «Vuoi che sia tuo padre a prendersi legalmente cura di te per cure?». «Sì». «E quando vorresti lasciare l’ospedale?». «Subito». Quell’uomo è il cugino e il video dura solo 24 secondi. Troppo pochi: i critici sostengono che possa essere stato manipolato. Anche perché quello che Grace dice nelle immagine è il contrario di quello che raccontano i medici. «Noi vogliamo solo aderire alla sua volontà», dice Terry Lynam, la portavoce dell’ospedale che col New York Times non vuole però commentare sul video. Chiamato senza mezzi termini: «Grace ci dice che vuole lasciare quest’ospedale». La battaglia non è solo giuridica. Lo psichiatra della clinica sostiene che - malgrado la malattia terminale - Grace è in grado di intendere e prendere le sue decisioni da sé. Il padre Man Ho Lee, pastore dell’Antioch Missionary Church nel Queens, giura invece che è stata manipolata dai dottori: «E’ sotto la loro influenza». Il dramma è cominciato nell’ottobre dell’anno scorso e la malattia implacabile ha in brevissimo travolto questa ragazza che lavorava alla Bank of America e si stava allenando per la maratona di New York. Malgrado il video su YouTube, la sentenza dell’alta corte adesso raccoglierebbe le sue ultime volontà: fine della corsa. 2532 – USA - POTER MORIRE COME MIO SUOCERO, SENZA PIU’ ACCANIMENTO da: la Repubblica di mercoledì 10 ottobre 2012 – di Bill Keller, giornalista premio Pulitzer 28 Il Liverpool Care Pathway adatta al contesto ospedaliero molte pratiche di assistenza in genere limitate agli ospizi, offrendole a un maggior numero di pazienti terminali. «Non si tratta di affrettare il decesso», dice Sir Thomas, «ma di riconoscere che una persona è giunta alla fine della propria vita, e di offrirgli delle scelte. Desidera una maschera di ossigeno sul volto? O vorrà baciare la moglie?». I medici di Anthony Gilbey avevano concluso che non avesse senso prolungare un’esistenza vicinissima alla fine, tormentata da dolore, immobilità, incontinenza, depressione, progressiva demenza. Il paziente e i familiari erano dello stesso avviso. Perciò l’ospedale ha smesso di somministrare insulina e antibiotici, scollegato i tubi d’alimentazione e idratazione, lasciando solo una fleboclisi per tenere sotto controllo dolore e nausea. L’andirivieni di maschere d’ossigeno, termometri, apparecchiature per misurare la pressione e monitorare il battito cardiaco è stato interrotto. Le infermiere hanno trasferito il paziente in una camera silenziosa, lontana dal bip bip dei macchinari, in attesa del trapasso. Negli Stati Uniti, nulla infervora il dibattito sulle cure sanitarie più che la questione di quando e come negarle. Il Liverpool Care Pathway, o altre varianti, oggi rappresenta la norma negli ospedali britannici e in diversi altri Paesi, ma non in America. Questo per un motivo ovvio, e per un altro, meno ovvio. Il motivo ovvio è che i paladini di simili iniziative sono stati demonizzati: criticati dalla Chiesa cattolica nel nome della “vita” e diffamati da Sarah Palin e Michele Bachmann in nome di un vile tornaconto politico. I sostenitori britannici dell’approccio Liverpool sono stati vittime di attacchi analoghi — in particolare dai lobbisti che si battono per il “diritto alla vita”, che lo vedono come una sorta di eutanasia, ma anche dei paladini dell’eutanasia, che non lo considerano sufficientemente “eutanasico”. Le indagini sulle famiglie che si sono avvalse dell’approccio Liverpool rilevano pareri favorevoli; tuttavia, è inevitabile che certe pratiche che toccano le corde più intime delle famiglie e richiedono il coordinamento di diverse discipline mediche, infermieristiche e di consulenza familiare, non riescano sempre ad assicurare una fine agevole quanto quella di mio suocero. Sospetto, però, che il problema meno ovvio derivi dal fatto che in America i promotori di simili iniziative tendano a presentarle come una questione economica: un quarto o più dei costi dell’assistenza sanitaria si concentra nell’ultimo anno di vita. Questo indica che stiamo sperperando una fortuna per garantirci qualche settimana o mese in più di vita, da trascorrere attaccati a delle macchine e consumati dalla paura e dal disagio. L’esigenza di contenere la spesa sanitaria è indubbiamente impellente. Il piano promosso da Obama è un punto di partenza, poiché prevede l’istituzione di una commissione che identifichi possibili aree di risparmio. Ma non è che un inizio. Il buon senso suggerisce che potremmo risparmiare ulteriormente negando le cure mediche nei casi in cui, anziché salvare una vita, servano solo a prolungare per breve le sofferenze. Tuttavia, credo che si tratti di una posizione discutibile dal punto di vista economico e pessima sotto il profilo politico. Infatti, a prescindere dal buon senso, le prove che queste procedure producano un risparmio sono poche. Studiando i dati, piuttosto lacunosi, Emanuel conclude che, a parte l’assistenza ai malati di tumore, le misure prese per eliminare trattamenti vani nei pazienti prossimi alla morte non si sono tradotte in risparmi significativi. Anche se si riuscisse a dimostrare che le iniziative come il Liverpool Pathway consentono risparmi cospicui, promuovere l’assistenza per il fine vita per motivi fiscali alimenta i timori di chi ritiene che il sistema medico-industriale abbia fretta di portare i nostri cari all’obitorio per risparmiare il costo dei medici e liberare posti letto. Quando chiedo a degli specialisti 29 britannici se il protocollo di Liverpool riduca effettivamente i costi, questi rispondono di non aver mai posto una simile domanda, né di aver intenzione di farlo. «Quest’anno sono usciti articoli molto sgradevoli sul Pathway, descritto come un modo per uccidere i pazienti in fretta e liberare posti letto», dice Sir Thomas. «Il momento che si tocca quel tasto si rischia di mettere a rischio l’intero programma». In America nulla accade senza un’analisi costi-benefici, ma l’argomento a favore di una morte meno straziante potrebbe poggiare su una base più neutra, meno inquietante, ovvero sul fatto che si tratta semplicemente di una morte più umana. Nei sei giorni precedenti alla morte, Anthony Gilbey, avvolto in una coltre di morfina, ha ripetutamente perso e riacquistato coscienza. Libero da tubi e da medici solleciti, ha potuto ricordare il passato, scusarsi, scambiare battute e promesse di amore con la famiglia, ricevere i sacramenti cattolici e ingoiare un’ostia che è stata forse il suo ultimo pasto. Poi è entrato in coma. È morto umanamente: amato, dignitoso, pronto. «Ho combattuto la morte tanto a lungo», aveva detto a mia moglie verso la fine. «È un tale sollievo potersi lasciare andare». Sarebbe bello se tutti potessimo morire come lui. (©The New York Times La Repubblica -Traduzione Marzia Porta) 2533 – MASSACHUSSETTS - SI PUÒ MORIRE CON DIGNITÀ - DI ARNALDO BENINI da: il Sole 24 ore di domenica 14 ottobre 2012 II 6 novembre prossimo gli elettori dello Stato americano del Massachusetts voteranno non solo per eleggere il Presidente degli Stati Uniti, ma anche su una legge che consente ai medici di fornire a un ammalato in fin di vita medicamenti per porre termine alla tortura dell'agonia. Il paziente deve averne fatta esplicita richiesta in condizioni mentali intatte. Si tratta del aid-in-dying o physician-assisted suicide, cioè del suicidio assistito. Lo scritto distribuito agli elettori del Massachusetts è esemplare per chiarezza e misura. Fa parte del benessere generale sapere che è in vigore una procedura ben definita e senza rischi con la quale un cittadino del Massachusetts, che ha appreso dal medico di soffrire di una malattia terminale che lo porterà a morte entro sei mesi, possa disporre, con piena consapevolezza, di un medicamento, che prenderà di sua iniziativa, per morire con umanità e dignità. La procedura deve essere volontaria per il malato, per coloro che l'hanno in cura e per il medico. Negli Stati Uniti il suicidio assistito è consentito nell'Oregon dal 1998 dopo un referendum del 1994. L'Oregon fu il primo paese al mondo ad approvare il Death with Dignity Act. Nello Stato del Montana fu introdotto nel 2009 per decisione della Corte Suprema, nello stato di Washington nello stesso anno dopo referendum. Il suicidio assistito è consentito in Svizzera e in Lussemburgo, in Olanda dal 2001 e in Belgio dal 2002. In Lussemburgo, Olanda e Belgio non c'è distinzione fra suicidio assistito ed eutanasia attiva (proibita in Svizzera), preferita perché - scrive Marcia Angeli - la procedura è più rapida e più gradita al malato e ai familiari. Nel giugno di quest'anno la Corte suprema della British Colombia ha respinto la legge canadese contraria al decesso volontario assistito (suicidio ed eutanasia). Se non ci saranno ricorsi, la British Colombia avrà presto la stessa legge di Olanda, Belgio e Lussemburgo. Nel Nord dell'Australia il suicidio assistito fu consentito nel 1996, poi, per iniziativa dell'Australian Medical Association, fu proibito dal parlamento federale. In Inghilterra, nonostante il favore dell'80% della popolazione, compresi credenti cattolici e protestanti, la proposta di consentire il suicidio assistito, appoggiata dal Roval College of Physician Committee on Etìlical Issues in Medicine, fu respinta dalla Camera dei Lords nel 1995. In Massachusetts, secondo un sondaggio del 2005, il 70% erano favorevoli, oggi sarebbero il 50%, nonostante l'opposizione della Massachusetts Medicai Society e le parole sferzanti del vescovo di Boston, Cardinale Sean O'Malley, secondo il quale il suicidio assistito non è un atto di pietà ma una sheer brutality, una "pura brutalità". 30 La procedura è più o meno uguale ovunque. Il medico, dopo aver visitato, spesso più volte, il paziente per accertare la gravità e l'inesorabilità della malattia stabilisce il dosaggio di barbiturati, in genere diluiti, che l’ammalato prende dal comodino accanto al letto, di solito nella sua abitazione. Il malato porta alla bocca la soluzione e la beve sapendo che dopo meno di due minuti gli s'insegna di versare la soluzione nella sonda gastrica o a iniettare il medicamento per endovena. Non è, di fatto e giuridicamente, eutanasia perché non è il medico (o una terza persona), ma il paziente a compiere l'atto fatale. Dopo il decesso sono informate polizia e magistratura. Marcia Angeli, per anni direttrice del prestigioso settimanale medico «New England Journal of Medicine», coglie l'occasione del referendum in Massachusetts per tracciare la storia di come, negli Stati Uniti, e nel mondo, a partire dal 1976, lentamente cambiasse la considerazione della morte. La storia, di cui la Angeli fu in parte protagonista per i lavori che fece pubblicare nel suo Journal a favore di procedure secolari e non ideologiche, è un va e vieni di decisioni coraggiose e lungimiranti e poi ritratte, di passi nella giusta direzione ostacolati non solo da religiosi ma anche da laici, di zuffe spesso poco decorose fra credenti e atei, o fra laici e clericali. Si sono raggiunti in ogni modo alcuni risultati. Presto s'identificò la morte con la morte cerebrale e non con l'arresto di cuore e respirazione, che consentì il trapianto d'organi. La diagnosi di morte della corteccia cerebrale nello stato vegetativo permanente sta portando la discussione sul senso della sopravvivenza delle persone colpite su un piano realistico. A partire dal 1980 in tutti gli Stati Uniti è accettato che il malato possa rifiutare i provvedimenti che lo tengono in vita (life support), ma rimane strettamente vietato ai medici di interrompere attivamente una vita (mercy killing), anche se ciò è desiderato - a volte con la disperazione di una sofferenza immensa - dal malato. Nel 2009 la Chiesa cattolica e quella protestante tedesca hanno elaborato un documento comune che consente sia la "eutanasia indiretta" (somministrazione al paziente morente di farmaci sedativi che come effetto secondario possono accelerare il subentrare della morte) sia la "eutanasia passiva" (sospensione di trattamenti come l'alimentazione e la respirazione artificiale, la dialisi, la somministrazione d'antibiotici) in malati inguaribili o terminali che ne facciano richiesta. Il problema del suicidio assistito, avverte la Angeli, si pone spesso per quei pazienti in cui la sospensione dei trattamenti non comporta inevitabilmente la morte (ad esempio nelle orribili depressioni, come quella che indusse al suicidio assistito Lucio Magri). Dal momento che il suicidio è un diritto inalienabile e naturale, la persecuzione legale di chi assiste il malato che vuole uccidersi in condizioni senza scampo, in società secolarizzate, è incomprensibile. Il suicidio assistito è molto più umano, ha scritto il teologo cattolico Hans Kung, che gettarsi sotto il treno, spararsi, annegarsi, precipitarsi nel vuoto. La sua legalizzazione per referendum nello Stato più cattolico d'America sarebbe un segnale importante nella direzione di consentire a ogni essere umano di decidere come porre termine alla sua vita senza imposizioni estranee alle sue convinzioni. 2534 - BOSTON - SI VOTA SUL SUICIDIO ASSISTITO - DI CHIARA LALLI da: Corriere della sera di domenica 28 ottobre 2012 Il prossimo 6 novembre i cittadini del Massachusetts voteranno sul suicidio assistito. Se la maggior parte sceglierà per la legalizzazione, sarà il terzo Stato degli Usa, dopo l'Oregon e Washington, a permettere ai medici di prescrivere un farmaco letale. Il Massachusetts Death With Dignity Act consentirebbe ai residenti di scegliere di morire in caso di malattia terminale, o meglio di scegliere come morire nel caso in cui l'aspettativa di sopravvivenza sia inferiore ai sei mesi, le condizioni di vita siano insopportabili o il dolore intrattabile. Il dibattito, come sempre quando si discute delle decisioni di fine vita, è infuocato. 31 A opporsi sono i gruppi religiosi, le associazioni di disabili - principalmente per ragioni di principio - e quelle mediche, che mettono in guardia dai possibili abusi e dalla inevitabile vaghezza di alcune condizioni stabilite. Di diverso avviso molte associazioni di pazienti e di malati di Aids. Per molti c'è il ricordo di un proprio caro alle prese con una grave malattia, per tutti il pensiero di che cosa farebbero se accadesse loro. La controversia va ben oltre la legalizzazione, ma investe l'autonomia individuale e il rapporto tra medico e paziente. Una paura diffusa riguarda il messaggio che deriverebbe dalla legalizzazione, il rischio di suggerire o peggio imporre la rassegnazione ai malati e di vedere aumentare le richieste. Per evitare questo la proposta prevede un'attenta valutazione della capacità di intendere e di volere e delle modalità della richiesta, oltre a stabilire come condizione necessaria la consapevolezza delle alternative. Inoltre può essere utile sapere che cosa è successo nel 2011 in Oregon e Washington (rispettivamente con 3 e 2,5 milioni di abitanti): in entrambi gli Stati poco più di 100 pazienti hanno chiesto la prescrizione, e circa 70 ne hanno fatto uso. È abbastanza frequente ascoltare dai malati che il solo sapere di potervi fare ricorso è rassicurante. Vi sono poi casi come quello del reverendo Tim Kutzmark, della Unitarian Universalist Church of Reading. Fortemente contrario quando studiava all'Harvard Divinity School, oggi è convinto che proibire il suicidio assistito sia una violazione della sacralità della vita. A fargli cambiare idea, secondo l'Associated Press, è stata la conoscenza del «mondo reale», soprattutto quello di un suo amico malato di Parkinson. Qualunque sia il nostro parere, il Death With Dignity Act ha il merito di offrire una sezione di definizioni dei termini necessari per la discussione, a partire da «medico» fino a concetti complessi come «capace» (di prendere decisioni in ambito sanitario) e «decisione informata», e di invitarci a riflettere su una questione profondamente mutata dall'avanzamento della medicina: la nostra morte. 2535 – URUGUAY - L’ABORTO È LEGGE DELLO STATO da: ADUC Salute n. 42 del 18 ottobre 2012 Il Senato uruguayano ha approvato oggi un disegno di legge per la depenalizzazione dell’aborto, una riforma già passata al vaglio dalla Camera dei Deputati e che ora dovrà essere promulgata in legge dal presidente della Repubblica, Josè Mujica, che ha dichiarato che non ne ostacolerà l'applicazione. La norma è stata approvata da 17 senatori su un totale di 31, ossia tutti quelli che appartengono al Frente Amplio (Fa, coalizione di sinistra, al governo) e uno dell’opposizione. Mujica ha dichiarato che – contrariamente al suo predecessore, Tabar Vazquez, anche lui del Fa - non porrà il veto presidenziale sulla riforma, ma l’opposizione ha già annunciato che organizzerà un referendum abrogativo. La legge sulla depenalizzazione dell’aborto – che in America Latina esiste solo a Cuba e in Guyana - ha provocato un forte dibattito nella società uruguayana, e il testo finalmente approvato oggi in via definitiva dal Parlamento ha scontentato tanto i favorevoli quanto i contrari alla legalizzazione dell’interruzione della gravidanza. Se gli antiabortisti si oppongono al principio stesso della legge, infatti, i pro sostengono che risulta troppo restrittiva, giacché si applicherà solamente durante le prime 12 settimane di gestazione e le donne che desiderino ricorrere ad essa dovranno prima incontrarsi con una commissione composta da medici, psicologi ed assistenti sociali per spiegare i motivi della decisione. La commissione – che non autorizza nè proibisce l’aborto - dovrà “contribuire a superare le cause che possono indurla all’interruzione della gravidanza, assicurandosi che disponga delle informazioni necessarie per prendere una decisione conscia e responsabile”. 32 2536 - LE VIGNETTE DI MARAMOTTI: I CONSIGLI DI ALFANO 2537 - LA DIFFERENZA TRA CREDENTI E NON CREDENTI 2538 - LE VIGNETTE DI ELLEKAPPA: LE SENTENZE SI RISPETTANO 33