il punto - Centro Studi Calamandrei

Transcript

il punto - Centro Studi Calamandrei
IL PUNTO
Le notizie di LiberaUscita
Ottobre 2012 - n° 100
SOMMARIO
ARTICOLI, COMUNICATI, INTERVISTE
2510 - Il difficile mestiere del parroco - di Corrado Augias
2511 - La religione e le responsabilità dello Stato - di Sergio Romano
2512 - Bagnasco accelera contro il testamento biologico- di Claudio Tanari
2513 - Le mie domande ai candidati alle primarie - di Ignazio Marino
2514 - Primarie, la mia risposta a Marino - di Pier Luigi Bersani
2515 - L’Italia dei diritti - del comitato per Bersani
2516 - Malati terminali cercansi - di Caterina Pasolini
2517 - Martini mi scrisse di pubblicare la sua lettera - di Vito Mancuso
2518 - Congresso ass.ne Luca Coscioni - intervento di Maria L. Cattinari
2519 - Congresso ass.ne Luca Coscioni - intervento di Mina Welby
2520 - La Chiesa pagherà mai l’IMU? - di Riccardo Nencini
2521 - Procreazione assistita: 4.000 italiani all'estero nel 2011
2522 - Biotestamento: come non è, come dovrebbe essere - di Mario Riccio
2523 - Aborto: la contraccezione lo favorisce? - di Cecilia Calamani
2524 - La stagione avvelenata - di Stefano Rodotà
2525 - 1970: il divorzio è legge dopo 18 ore e 4 svenuti - di Carlo Vulpio
2526 - Dio non esiste! E adesso arrestatemi. - di Giulio Cesare Vallocchia
2527 - Divorzio breve altra promessa tradita - di Maria Novella De Luca
2528 - Liberi di morire? - di Graziella Sturaro
DALL’ESTERO
2529 - Francia - sondaggio sul fine vita
2530 - Francia - verso l'eutanasia attiva? - di Claudio Tanari
2531 - Usa - Grace, la nuova Terri Schiavo
2532 - Usa - poter morire come mio suocero, senza più accanimento
2533 - Massachussetts - si può morire con dignità - di Arnaldo Benini
2534 - Boston - si vota sul suicidio assistito - di Chiara Lalli
2535 - Uruguay - l’aborto è legge dello Stato
PER SORRIDERE…
2536 - Le vignette di Maramotti: i consigli di Alfano
2537 - La differenza tra credenti e non credenti
2538 - Le vignette di Ellekappa: le sentenze si rispettano
LiberaUscita – associazione nazionale laica e apartitica per il diritto di morire con dignità
Tel: 366.4539907 – Fax: 06.5127174 – email: [email protected] – web: www.liberauscita.it
2510 - IL DIFFICILE MESTIERE DEL PARROCO - DI CORRADO AUGIAS
da: la Repubblica di sabato 20 ottobre 2012
Caro Augias, sono un giovane prete che tra un dottorato in corso e il servizlo in carcere
trova tempo anche per cercare «visioni» di futuro.
Sere fa l'ho ascoltata mentre parlava alla comunità di base di San Paolo, in compagnia di
Paolo Flores d'Arcais e di Vito Mancuso, mentre ascoltava don Franzoni. Ero in fondo alla
sala, affollata, in piedi come molti altri. A un certo punto ho smesso di ascoltare le vostre
puntuali e oneste analisi. mi sono messo a guardare ciò che avevo davanti e attorno a me.
C'erano anche dei giovani. ma soprattutto tante teste coi capelli bianchi. Diciamo pure la
maggioranza. Sono riconoscente dal profondo verso chi, oggi canuto, ha permesso a me e
a tanti impegnati in un compito difficile di continuare a sognare anche col sacrificio delle
proprie battaglie. Tuttavia provo una certa malinconia nel pensare ai giovani cattolici di
oggi, così fieri di appartenere a movimenti diciamo luccicanti che trasmettono il brivido del
«ma quanti siamo!». Applausi, riprese televisive, uomini famosi che salutano. Nello stesso
tempo così assenti dai garage spogli come quello di san Paolo adibiti a laboratori di fede,
di speranza e di amore, che danno il più povero, ma più sostanzioso brivido del «Ma
quanti siamo!».
Marco Di Benedetto - [email protected]
Risponde Corrado Augias
Ringrazio don Marco per questa lettera. Immagino quanto sia difficile il lavorodi un giovane
prete che studia e lavora con i detenuti, credo di poter capire il suo stato d'animo quando
vede che cosa succede nelle alte gerarchie dilaniate da lotte di potere, oppure nelle
associazioni pompose, mescolate alla spartizione di quel potere, che sembrano aver perso
per strada ogni richiamo al vangelo impegnate soprattutto a contare il denaro, se
dobbiamo credere alle cronache. Alcuni di loro si chiamano perfino “Memores Domini”,
niente meno, un titolo usurpato mentre si fanno portare in vacanza qua e là. Gratis.
Durante la serata cui don Marco si riferisce si è parlato anche del processo-burla al
maggiordomo Paolo Gabriele. Come ha fatto osservare Vito Mancuso, quei documenti
sono si trafugati però sono autentici. E rivelano cose terribili su quanto avviene là dentro.
Non so se sia stato più imbarazzante il silenzio di tomba - è il caso di dire – seguito
all'assassinio delle guardie svizzere o la parodia di un vero processo che s'è appena
celebrata. L'accusa e la difesa quasi mute. Alla difesa era stato perfino proibito di aprire
bocca al di fuori dell' aula, cosa mai vista in Occidente da più di un secolo a questa parte.
I giovani di cui parla don Marco quella sera erano pochi, è vero, prevalevano gli anziani,
ma ciò che un non cattolico come me ha vis!o e udito in quel garage fa pensare che forse
una speranza di recupero c'è ancora.
Forse.
2511 -LA RELIGIONE E LE RESPONSABILITÀ DELLO STATO – DI SERGIO ROMANO
da: Corriere della sera di lunedì 1 ottobre 2012
Il ministro Profumo fa una proposta davvero singolare. Sostiene che, poiché ci sono molti
immigrati, bisogna modificare l'ora di religione. È esattamente vero il contrario. La società
di oggi vive di diversità e si arricchisce con esse. Nel momento in cui un popolo rinuncia
alle sue tradizioni viene meno alla sua identità.
Delio Lomaglio, Napoli
La proposta del ministro Profumo contro l'ora di religione cattolica, perché ormai la scuola
è multietnica, è certo tra le migliori che siano venute fuori dal governo dei tecnici. Che
l'Italia debba uscire dall'asfissiante tutela che la Chiesa cattolica esercita ancora in fatto di
educazione religiosa, è il pio desiderio dei laici veri, che non hanno mai gradito che
l'insegnamento della religione fosse stato appaltato alla gerarchia ecclesiastica cattolica.
Nonostante la Costituzione, la revisione del Concordato del 1929 firmata da Craxi nel
2
1984 e le sentenze della Corte di Strasburgo che mettevano in discussione la liceità della
presenza del crocifisso nelle aule scolastiche, l'insegnamento della religione (cattolica)
resta ancora appannaggio dei vescovi che nominano i loro insegnanti, pagati però coi soldi
dello Stato. È una furbata dalla quale si dovrebbe finalmente uscire, sicché lo Stato
dovrebbe esso provvedere all'istituzione di una disciplina come «storia delle religioni»,
insegnata da docenti nominati dallo Stato stesso e non dai vertici di qualsiasi gerarchia
religiosa.
Paolo Fai
Risponde Sergio Romano
Cari lettori,
l'insegnamento della religione cattolica è previsto dal secondo comma dell'art. 9 del nuovo
Concordato, firmato il 18 febbraio 1984, ed è regolato da un protocollo addizionale in cui si
legge che «nelle scuole materne ed elementari detto insegnamento può essere impartito
dall'insegnante di classe, riconosciuto idoneo dall'autorità ecclesiastica, che sia disposto a
svolgerlo». Ma il ministro della Pubblica istruzione ha fatto bene a constatare che la
società italiana è alquanto cambiata e che quelle norme andrebbero riviste.
I musulmani che vivono in Italia sono circa un milione e mezzo, gli ortodossi (romeni,
ucraini, bielorussi) superano il milione; e lo Stato nel frattempo ha firmato intese
concordatarie con i rappresentanti di tredici culti fra cui i valdesi, gli avventisti del Settimo
giorno, gli ebrei, i luterani, gli ortodossi, i buddisti e gli induisti.
È giusto che in un Paese ormai pluriconfessionale la sola religione insegnata nelle scuole
sia quella cattolica e il suo insegnamento sia monopolio delle diocesi vescovili della
penisola? So che la scelta dell'ora di religione è facoltativa, ma l'autorità della Chiesa,
insieme a quella combinazione di pigrizia e conformismo che caratterizza la religiosità
italiana, la rendono di fatto semi obbligatoria.
Credo che alla scuola italiana, in queste circostanze, convenga essere uno spazio
neutrale in cui il problema religioso viene affrontato, tutt'al più, in una prospettiva storica e
non da un docente nominato dal vescovo.
Ancora una osservazione. Il vero obbligo dello Stato non è quello di riservare alla Chiesa
cattolica un posto privilegiato nel sistema educativo della Repubblica. La sua maggiore
responsabilità è quella di garantire alle coscienze di esprimersi liberamente, ai fedeli di
praticare il culto, a tutte le Chiese di diffondere i loro principi e le loro verità. La Chiesa
cattolica, in particolare, dispone in Italia della sua più capillare organizzazione nel mondo:
più di trecento vescovadi, migliaia di parrocchie e oratori, numerose scuole, un gran
numero di associazioni, giornali, riviste, case editrici e poco meno di un miliardo di euro
assicurato dalla tassa ecclesiastica dell'8 per mille. In materia d'educazione può
certamente fare da sé.
2512-BAGNASCO ACCELERA CONTRO IL TESTAMENTO BIOLOGICO- DI C. TANARI
da: www.cronachelaiche.it di mercoledì 3 ottobre 2012
«Serrare le file», naturalmente «per amore del Paese»: è il messaggio che viene fuori
dalla prolusione del cardinale Angelo Bagnasco di fronte all'Assemblea Cei del 24
settembre che ha rilanciato l'iniziativa vaticana di fronte ad un quadro politico
pericolosamente fluido.
Caduto il governo Berlusconi, efficientissima cinghia di trasmissione tra le gerarchie
ecclesiastiche e le istituzioni repubblicane, si profila un minaccioso scenario (se visto da
Oltretevere), fatto di un probabile Parlamento dal tasso di laicità decisamente più
pronunciato. A rischio l'invadente egemonia ultracattolica su temi scottanti della bioetica e
dei diritti civili.
I segnali ci sono tutti: il dibattito, perlopiù composto, aperto dal bel film di Bellocchio Bella
addormentata; le rivelazioni sulla morte dignitosa del cardinal Martini; le dichiarazioni di
3
apertura del sindaco di Milano Pisapia a proposito delle adozioni da parte di coppie
omosessuali; l'iniziativa del capogruppo PD del Comune di Bologna Sergio Lo Giudice che
ha celebrato un matrimonio gay. Segnali di vita, insomma, dal fronte laico.
Intollerabili, dalle parti della Cei. Che auspica con forza un'improvvisa, inopinata
accelerazione dell'iter di un ddl che definire controverso è eufemistico. Bagnasco, mentre
sottolineava una balzana, presunta laicità dell'impegno ecclesiastico, ha infatti lanciato un
segnale esplicito alla diaspora politica cattolica: eccessivamente attendista, secondo lui,
rispetto al «varo definitivo, da parte del Senato, del provvedimento relativo al fine vita».
Si tratta del famigerato ddl Calabrò sul testamento biologico (per alcuni "Legge tortura" sul
fine vita e "Legge contro il testamento biologico"), figlio di un ignobile disegno di legge
partorito in fretta e furia oltre tre anni fa dai pasdaran del PDL che puntava - sull'onda delle
aspre polemiche suscitate dal caso Englaro - ad impedire al cittadino di rinunciare a
idratazione e nutrizione, persino nel caso in cui fosse stato cosciente o avesse
precedentemente manifestato la volontà di interrompere le cure.
Il presidente della Repubblica non controfirmò e bloccò il colpo di mano.
Alla morte di Eluana seguì un disegno di legge, a firma Renato Calabrò, approvato nel
2009 al Senato, poi modificato alla Camera (2011) e ora fermo di nuovo al Senato,
accantonato in attesa di tempi migliori dopo le critiche che ne hanno messo in dubbio la
stessa costituzionalità.
L'obiettivo del "nuovo" ddl è - si ricorderà - lo stesso del precedente: rendere di fatto
impraticabile la libera scelta del paziente cancellandone il diritto all'autodeterminazione.
Nel testo nutrizione e idratazione artificiali vengono infatti considerate «forme di sostegno
vitale», non terapie e «non possono formare oggetto di dichiarazione anticipata di
trattamento».
Alla faccia degli articoli 13 e 32 della Costituzione, che garantiscono ai cittadini la piena e
libera facoltà di decidere a quali trattamenti sanitari sottoporsi.
2513 - LE MIE DOMANDE AI CANDIDATI ALLE PRIMARIE – DI IGNAZIO MARINO
da: [email protected] di mercoledì 3 ottobre 2012
Care amiche e cari amici,
nelle primarie è giusto crederci e io ci credo. L’ho ribadito sull’Unità di oggi in una lettera
che ho indirizzato a tutti i candidati.
Questa volta il voto servirà per scegliere il candidato del centrosinistra alla Presidenza del
Consiglio: una donna o un uomo che, se vinceremo le elezioni, deve avere preparazione
tecnica ma anche personale autorevolezza nazionale ed internazionale per affrontare la
crisi economica. Quel candidato dovrà lavorare per convincere gli italiani ad andare a
votare, e a votare centrosinistra.
Su alcuni temi sarebbe importante conoscere da subito il punto di vista dei candidati
perché sono argomenti qualificanti di una proposta politica che si preoccupa del futuro
dell’Italia.
Riassumo le mie domande per punti:
1) Penso in primo luogo al tema del lavoro. Quali misure propongono i candidati per
rilanciare l’occupazione?
2) Penso poi alla salute. La sostenibilità del servizio sanitario nazionale non riguarda solo
le questioni di bilancio ma anche il livello di civiltà di un paese. Che fare dopo 21 miliardi di
tagli negli ultimi tre anni, con sette regioni commissariate, con un sud dove la sanità
pubblica è solo una parola teorica priva di concretezza?
Sono d’accordo i candidati alle primarie ad eliminare il controllo della politica nei
meccanismi di nomina di direttori generali e primari?
4
3) L’Italia è lontana dall’Europa su molti temi dalle unioni civili, alle norme per il fine vita,
alla procreazione assistita, sino alla ricerca così promettente sulle cellule staminali
embrionali. Sono d’accordo i candidati nel riconoscere che chi nasce in Italia è italiano?
4) Sono d’accordo nel garantire alle coppie di fatto, etero e gay, il pieno e pubblico
riconoscimento civile dei propri diritti?
5) E sono d’accordo nel sostenere una legge sul testamento biologico che permetta a
ognuno di noi di decidere con i propri affetti quali cure riteniamo appropriate per noi stessi
e quali no? In altre parole, si impegneranno a rispettare, e fare rispettare da tutti, i principi
di laicità della Costituzione italiana?
6) L’Italia inoltre è arretratissima in quanto a rappresentanza femminile nelle istituzioni e
più in generale nel mondo produttivo. Sono pronti i candidati a lavorare per la parità di
genere nelle istituzioni e nel mondo del lavoro?
7) Infine, uno sguardo al futuro: sappiamo che non ci sarà sviluppo né crescita se non si
punterà su ricerca e innovazione. Da dove passa la strada dell’innovazione?
Se pensate che un dibattito su questi temi sia utile, diffondete le mie domande e chiedete
delle risposte anche voi ai candidati alle primarie per il Partito Democratico…vedremo chi
ci risponderà e soprattutto come.
Un caro saluto,
Ignazio Marino
2514 - PRIMARIE, LA MIA RISPOSTA A MARINO - DI PIER LUIGI BERSANI
da: l’Unità di giovedì 4 ottobre 2012
La lettera di Marino, che ho apprezzato molto, mi offre l’occasione di chiarire un punto
importante. Come candidato ma anche come segretario del Pd mi aspetto da tutti i
democratici che intendono impegnarsi nelle primarie il riconoscimento e il rispetto per il
lavoro programmatico svolto dal partito.
Un lavoro fatto nelle assemblee, nei gruppi parlamentari, negli appuntamenti di riflessione
e discussione organizzati negli ultimi anni. Questo lavoro, che è stata anche una
straordinaria palestra di discussione e di confronto, è un patrimonio a cui tutti hanno dato il
proprio contribuito, e Marino certamente, ciascuno secondo il proprio filone culturale.
Naturalmente non sono stati compiutamente risolti tutti i problemi, e anche nei casi in cui
sono state formulate proposte largamente condivise e considerate positive, l’evoluzione
delle cose suggerisce di essere aperti ai cambiamenti necessari per affrontare le sfide che
abbiamo di fronte con caratteri e intensità nuovi.
Questo patrimonio sarà essenziale per arrivare ad avere un quadro di riferimento unitario
insieme alle altre forze politiche della coalizione, anche grazie al contributo della nostra
Carta d’Intenti. Sarà poi il candidato premier scelto con le primarie a organizzare in modo
più specifico, in questo quadro generale, il programma di governo con il quale i
progressisti si proporranno alla guida del Paese nelle prossime elezioni politiche. Ho già
avuto modo di dire che, per quel che riguarda la mia sensibilità, prima ancora dei temi
economici sono decisivi la riforma istituzionale, la riscossa civica, il rinnovamento morale e
il rilancio dei diritti. Nella sua lettera Marino elenca molti di questi aspetti.
Più in particolare, sui diritti ho già chiarito molte volte che se gli italiani affidassero ai
progressisti il governo del Paese nella lista delle cose da fare subito, nei primi giorni, ci
sono la cittadinanza italiana ai figli degli immigrati, il riconoscimento giuridico delle unioni
civili, la rilettura e la modifica della legge 40 per ovviare al caos che ne è seguito,
l’umanizzazione del fine vita, la difesa della libertà di espressione e di organizzazione in
ogni luogo, a cominciare dai luoghi di lavoro.
I problemi economici che abbiamo di fronte sono gravi. Ma io credo che sia dalla riscossa
civica e morale che possa venire l’energia che serve all’Italia per tornare a crescere e a
riprendere il posto che le compete nel mondo.
5
Noi democratici mettiamo al centro delle nostre preoccupazioni il lavoro e l’uguaglianza,
che non è solo un valore, ma anche uno strumento per lo sviluppo.
Questo Paese è troppo diviso, troppo diseguale, e l’esperienza dimostra che la
disuguaglianza è un freno per la crescita. Da questa scelta discende forse la sfida più
ardua per i riformisti.
Noi intendiamo difendere e riformare il Welfare.
Noi riteniamo che di fronte a scuola, sanità e sicurezza non ci debbano essere né poveri
né ricchi.
Noi pensiamo che il Welfare universalistico sia un elemento di civiltà. Ma proprio per
questo dobbiamo fare in modo che il Welfare sia sostenibile, in particolare per quanto
riguarda la sanità. È una sfida difficile, rispetto alla quale mi aspetto che Marino ci offra
come sempre un contributo di esperienza, anche sul piano internazionale.
Mi ha fatto piacere che Marino abbia apprezzato e pienamente recepito il senso delle
nostre primarie: questa prova non è una sfida tra noi, ma il contributo coraggioso dei
progressisti che si mettono in gioco apertamente per riavvicinare i cittadini alla politica, per
parlare di Italia, per aprire tutti insieme una nuova stagione per il nostro Paese.
2515 - L’ITALIA DEI DIRITTI
Su l’Unità di martedì 9 ottobre è stato pubblicato il documento del “Comitato l’Italia dei
diritti per Bersani”, reperibile anche sul sito: http://www.unita.it/italia/ecco-l-italia-dei-dirittiper-bersani-1.453497?page=1. Se ne riporta qui sotto il testo, che contiene un preciso
riferimento alla legge sul testamento biologico unitamente ad altre proposte laiche.
Nella Carta di Intenti del Pd, per la prima volta si inserisce il tema dei diritti come uno dei
punti centrali del nostro agire per i prossimi anni.
Tutti i diritti umani, civili e sociali insieme, costituiscono quella visione necessaria a un
partito democratico e progressista per generare un concreto cambiamento e combattere le
disuguaglianze che sono la causa del ristagno economico e sociale dell’Italia.
Urge un riscatto dopo decenni bui del trionfo dell’egoismo a detrimento della solidarietà tra
le persone, dell’individualismo a scapito in primo luogo delle donne, e di molte altre
cittadinanze negate, tra cui quelle delle persone lgbt, i/le migranti, i/le disabili.
L’Italia oggi è la Repubblica delle disuguaglianze, non solo economiche. Per noi la
promozione della laicità costituzionale, come strumento regolatore di una convivenza civile
composta da pluralità culturali e sociali, è il terreno su cui si costruisce una piattaforma di
riforma civile e di ampliamento delle libertà, base essenziale per un vero sviluppo sociale,
culturale ed economico.
Sosteniamo Pier Luigi Bersani alle primarie del centrosinistra, perché lo riteniamo in grado
di concretizzare le proposte su cui da molti anni siamo impegnate e impegnati. Nell’ottica
di una Europa politica che salvi l’Europa economica chiediamo a Bersani di sostenere tutte
le Risoluzioni, Direttive, Convenzioni internazionali ed europee a tutela di tutti i diritti umani
e civili. Con questo documento costitutivo del Comitato tematico “L’Italia dei Diritti per
Bersani” lanciamo un appello a chi condivide le nostre idee: chiediamo non solo di
sottoscriverlo, ma anche di attivarsi per la costituzione di Comitati locali promuovendo
iniziative, così da poter tenere alto il confronto con chi sosterrà altre candidature.
Che cosa significa promuovere L’Italia dei diritti:
- La democrazia è tale quando donne e uomini paritariamente sono protagonisti dello
spazio pubblico e privato. Una società che non valorizza il 50% del suo capitale umano, e
cioè le energie e i talenti delle donne, è una società più povera economicamente e
socialmente. A partire dalla legge 120 del 2011 (che introduce quote femminili nei consigli
di amministrazione nelle società quotate e a partecipazione pubblica), chiediamo di
estendere il principio di promozione femminile a tutti i settori della società, nelle istituzioni,
6
nel mercato del lavoro e nelle responsabilità familiari. Principio che necessariamente porta
a ripensare le politiche di welfare.
- Riconoscere l’autonomia e la libertà delle persone nelle loro scelte individuali
accompagnata alla responsabilità nella relazione con gli altri. Vogliamo uno Stato che non
legiferi nella sfera privata solo sulla base di obblighi e divieti, ma sul principio della libertà
individuale come responsabilità.
- Adottare il Piano europeo di contrasto alle discriminazioni: di genere, di orientamento
sessuale (legge contro l’omofobia e la transfobia), di etnia, religione, di età(bambini e
anziani), di portatori di differenti abilità. Questo è un parametro del livello di sviluppo
economico e culturale del paese.
- Dare piena cittadinanza alle coppie omosessuali attraverso una legge che riconosca gli
stessi diritti e gli stessi doveri delle coppie eterosessuali. Pur nella convinzione che tale
obiettivo si raggiunge attraverso l’estensione del matrimonio agli omosessuali riteniamo
che il principio di uguaglianza possa essere raggiunto anche attraverso un istituto giuridico
equivalente ed equipollente a quello del matrimonio come il modello tedesco proposto da
Bersani (che ricomprenda anche la questione delle adozioni, a partire dalla tutela dei molti
bambini e ragazzi che già vivono in famiglie omogenitoriali).
- Essere d’impulso in tutti gli organismi sovranazionali al riconoscimento dei diritti umani
fondamentali come base delle costruzioni democratiche moderne. Rilanciare il ruolo della
nostra cooperazione nella convinzione che la pace sia il presupposto per l’effettiva
promozione dei diritti, a partire da quelli dei bambini, ancora adesso i più colpiti da miseria,
fame e malattie.
- Proseguire nell’impegno contro la pena di morte, e le tratte di esseri umani, contro le
persecuzioni religiose, dei cristiani in diversi Paesi, come dei musulmani dissidenti nei
confronti di regimi autoritari e teocratici, contro l’antisemitismo. In questo quadro sono
urgenti la legge quadro sulla libertà religiosa e quella contro la tortura;
- Combattere, e con forza, la nuova guerra di liberazione che abbiamo di fronte. Quella
contro tutte le mafie. Per ridare speranza al nostro Paese. Per guardare al futuro con la
certezza che sarà migliore. Le mafie ingrassano dove i legami sociale sono allentati, sono
forti dove la persona viene violata e crescono, sempre, nella scarsa conoscenza dei
fenomeni malativosi.Lo strumento più prezioso che abbiamo per batterle è il racconto della
verità. Per questo, occorre che la politica smetta di guardare dall’altra parte e assuma
l’impegno per la legalità e contro le mafie come la premessa fondamentale di qualsiasi
altra azione.
- Estendere la cittadinanza ad ogni bambino nato in Italia,
- Affrontare con rigore, sia sul piano legislativo che culturale, la violazione sistematica dei
diritti umani nelle carceri e nei Cie e, difendere le garanzie dei cittadini sancite all’art 27
della nostra Costituzione.
- Proporre una legge sul testamento biologico fondata sul diritto del cittadino a scegliere
liberamente le terapie alle quali essere sottoposto, affidando in caso di sua incapacità la
responsabilità su tali decisioni al fiduciario o alle persone a lui più prossime nel rispetto
delle volontà espresse. Alla persona non può essere sottratta la possibilità di rifiutare
l’idratazione e l’alimentazione artificiali.
- Rimarcare che il diritto alla maternità deve prevedere l’applicazione integrale della legge
194 a partire dalla prevenzione e dal rilancio dei consultori. Le strutture pubbliche, tenendo
conto del diritto individuale all’obiezione di coscienza, devono garantire l’applicazione della
legge quindi l’interruzione volontaria della gravidanza intervenendo, col personale
necessario, dove a oggi la legge risulta inapplicata o inapplicabile.
- Garantire, entro i codici deontologici e nella continuità di un dibattito pubblico, la libertà e
l’autonomia della ricerca. Ciò anche per prevenire un accesso “classista” alle cure e
terapie che la scienza dovesse elaborare nel tempo. In questo senso è doveroso,
7
attraverso linee guida rigide, affrontare l’avvio di protocolli che permettano di utilizzare le
cellule di quegli embrioni, altrimenti inutilizzabili, abbandonati nelle cliniche. - Riscrivere la
legge 40 dopo le sentenze d’innumerevoli tribunali, della Corte costituzionale e della Corte
europea prevedendo l’accesso a tecniche diverse di fecondazione anche per le coppie
eterosessuali, omosessuali e per i single per i quali è impossibile “emigrare” all’estero.
- Sostenere, con norme e strumenti adeguati, la democrazia economica, il diritto alla
rappresentanza della persona che lavora e il diritto alle libertà sindacali nei luoghi di
lavoro.
2516 - MALATI TERMINALI CERCANSI - DI CATERINA PASOLINI
da: la Repubblica di venerdì 5 ottobre 2012
«Cerchiamo malati terminali per ruolo da protagonisti. Fatevi vivi».
Voce da spot pubblicitario e immagine fissa di un letto vuoto dove qualcuno poggia un
contenitore col liquido che aiuterà per l’ultimo viaggio. Pubblicità choc, che colpisce come
uno pugno allo stomaco. Volutamente.
L’ha fatta l’associazione radicale Luca Coscioni, che ieri ha lanciato la sua campagna per
rendere legale l’eutanasia. «Per impedire che siano altri a decidere per noi, in nome di
Stati o religioni; per garantire libertà e responsabilità delle nostre scelte, drammatiche e
felici. Fino alla fine ». Pochi secondi (verranno messi sul sito www.eutanasialegale.it, su
You tube, social network e Ebay, ma sono pronti anche formati per giornali e radio) che
hanno provocato polemiche e condanne bipartisan, da Beppe Fioroni del PD a Eugenia
Roccella del PDL. Discussioni e dibattiti in questi giorni già tesi in cui si discute della legge
sul testamento biologico, duramente contestata da laici e centrosinistra perché «non
rispetta le volontà del malato e lascia l’ultima parola al medico».
«Cerchiamo malati terminali, ma anche attori disposti a recitare negli spot sulla libertà di
scelta, perché il punto è sempre quello: il diritto di decidere sulla propria vita, su come
essere curati e come morire». Filomena Gallo, presidente della Coscioni, annuncia l’avvio
di una raccolta di firme per una legge di iniziativa popolare sul diritto all’eutanasia e sul
testamento biologico. «Siamo in uno Stato laico e non si può dover finire ogni volta in
tribunale per vedere rispettati i propri diritti, violati per ignoranza o paura. Oggi chi aiuta un
malato senza speranze a morire rischia dodici anni di carcere. Se vogliamo che le cose
cambino, dobbiamo darci da fare e farci sentire».
Già nel 2010 i radicali scelsero la via della provocazione mettendo in rete uno spot pro
eutanasia girato dall’associazione Exit internazional. Immagini senza enfasi, senza toni da
crociata: un attore raccontava la sua vita, fatta di scelte banali, quotidiane. Fino a quella
finale. «Perché non ho scelto di essere un malato terminale, perché non posso mangiare,
mi fa male come ingoiare lamette da barba, perché non ho scelto io che la mia famiglia
viva questo inferno con me». Fotogrammi vietati in Australia, permessi in Canada e mai
trasmessi in tv in Italia, dove provocarono dure reazioni.
Eugenia Roccella, PDL, allora sottosegretario alla salute, sul nuovo spot è categorica:
«C’è la libertà di drogarsi, guidare senza casco, uccidersi, ma non un diritto per legge,
esigibile dal servizio sanitario. Questo annuncio mortifero non credo troverà clienti. I malati
vogliono cure, assistenza, condivisione, solidarietà. Quasi sempre chi decide di farla finita
si sente solo oppure un peso per gli altri. Dobbiamo aiutare i malati a vivere, non a
morire».
Contrario all’iniziativa anche Fioroni del PD: «Il tema della morte coinvolge in modo cosi
profondo le persone che esige rispetto. Questo spot non è una provocazione, ma diventa
offesa alle coscienze di molti. Io comunque dico no all’accanimento terapeutico come
all’eutanasia».
Diversa la posizione di Mina Welby. Lei il dolore di lasciar andare una persona amata lo
conosce bene, avendo rispettato con sofferenza il desiderio di suo marito Piergiorgio di
8
staccare le macchine che lo legavano alla vita dopo anni di completa paralisi, tranne un
battito di ciglia che usava per comunicare. «Quando ho visto lo spot sono rimasta senza
parole, non sono riuscita a dormite, tanto l’ho trovato duro. Poi ho pensato a quelli che mi
chiamano, che vogliono farla finita
ma non hanno soldi per andare all’estero, che non ne possono più. E allora ho pensato
che sì, anche questa comunicazione violenta ha un senso, perché se ne parli e si discuta
di un problema reale e drammatico»
2517- MARTINI MI SCRISSE DI PUBBLICARE LA SUA LETTERA - DI VITO MANCUSO
da: la Repubblica di sabato 6 ottobre 2012
Caro direttore, in un articolo dell’ultimo numero della Civiltà Cattolica a firma Gianpaolo
Salvini sul cardinal Martini si legge: «Con molta poca correttezza sono state usate come
“Prefazione” lettere private, non destinate alla pubblicazione, con cenni di incoraggiamento
inviate a qualche autore che gli aveva fatto avere le bozze di un suo libro».
Nel suo blog ormai diventato un avamposto del cattolicesimo più conservatore e nemico
del dialogo (tanto da avere sparso veleno molte volte sul cardinal Martini) Sandro Magister
commenta così le parole della Civiltà Cattolica: «Chiara allusione a Vito Mancuso e al suo
primo libro al quale la prefazione abusiva spianò il successo: L’anima e il suo destino».
Penso che Magister in questo caso abbia ragione, la Civiltà Cattolica intendeva alludere
proprio a me e al mio libro pubblicato nel 2007 presso Raffaello Cortina nella collana
«Scienza e idee» diretta dal filosofo della scienza Giulio Giorello.
A parte il fatto che non si trattava del mio primo libro ma del sesto, posso attestare che
conservo nel mio computer una mail del cardinal Martini in cui testualmente mi si dice:
«Quanto al tuo libro, ho il rimorso di non aver fatto nulla. Forse mi puoi mandare la bozza
del testo e posso scriverti una lettera, che se vuoi puoi pubblicare almeno in parte. Tuo
Carlo Maria c. Martini, S. I.».
La mail è datata 2 novembre 2006 e posso esibirla agli interessati che ne facessero
richiesta mediante un semplice clic. Martini mi scriveva di avere un rimorso perché in
precedenza aveva rifiutato di scrivermi una prefazione a causa degli impegni e della salute
declinante. Poi ci ripensò e fu lui a chiedermi le bozze, non io a inviargliele dietro mia
iniziativa, come scrive erroneamente la Civiltà Cattolica, e fu sempre lui a dare il suo
assenso alla pubblicazione della lettera che mi avrebbe scritto e che quindi scrisse
sapendo che sarebbe stata pubblicata, del tutto al contrario rispetto a quanto afferma
ancora una volta erroneamente la Civiltà Cattolica parlando di «lettere private, non
destinate alla pubblicazione».
Ma al di là delle falsità sul mio conto prodotte da Civiltà Cattolica, quello che importa
sottolineare è, ancora una volta, l’operazione anestesia sulle scomode profezie del
cardinal Martini che è in corso nella Chiesa ufficiale e negli organi di informazione da lei
controllati. Si vuole normalizzare a tutti i costi, persino con le falsità, una figura scomoda,
facendola apparire del tutto conforme all’attuale configurazione ecclesiastica, della quale
invece egli disse, nella sua ultima intervista, che era «rimasta indietro di duecento anni».
2518 - CONGRESSO ASS.NE LUCA COSCIONI - INTERVENTO DI MARIA CATTINARI
Si riporta qui sotto l’intervento di Maria Laura Cattinari, Presidente di LiberaUscita, al IX
Congresso nazionale dell’ass.ne Luca Coscioni svoltosi a Milano il 7 ottobre 2012.
Sono felice ed onorata di poter portare a questo Vostro/Nostro Congresso nazionale, il
saluto di LiberaUscita, associazione nazionale, laica e apartitica che si batte perché sia
riconosciuto il diritto di morire con dignità, che per noi significa veder rispettate le proprie
volontà di fine vita. Operiamo in rete con le altre associazioni consorelle unite, in Europa,
nella Federazione RtDE e nel mondo nella WFRtDS
9
Mi è gradito annunciarvi subito che nei giorni 13 e 14 del prossimo mese di Giugno
LiberaUscita ospiterà il meeting della RtDE: in quella occasione confluiranno a Roma le
delegate e i delegati delle associazioni europee per il diritto di morire con dignità,
provenienti da paesi come Olanda, Belgio, Lussemburgo e Svizzera che hanno
conquistato con dure lotte ormai trentennali quel diritto che per noi è ancora quasi
impronunciabile. Ma arriveranno anche i delegati di Francia, Germania, Inghilterra,
Spagna, dove almeno il diritto all’autodeterminazione terapeutica è da tempo una realtà
consolidata, mentre da noi, nonostante il dettato costituzionale, le sentenze della
magistratura ordinaria e della Corte Costituzionale, il diritto internazionale e la volontà
popolare, resta ancora un obiettivo da raggiungere. Senza parlar poi del famigerato “Ddl
Calabrò” che, a futura memoria della sua indegnità, questo Parlamento potrebbe
approvare per compiacere le alte gerarchie vaticane.
Devo dire con vivo piacere che la nostra associazione ha accettato la proposta della RtDE
di tenere a Roma il prossimo meeting poiché ci rendiamo conto che le varie associazioni
europee, pur non vivendo l’oppressione illiberale che noi conosciamo e che fa dell’Italia
quasi un protettorato della Città del Vaticano, tuttavia devono frequentemente difendersi
dagli attacchi dell’integralismo cattolico.
Testamento biologico, diritto di morire nel rispetto delle proprie volontà, difesa della legge
sull’aborto, riforma della legge sulla procreazione assistita, unioni civili, lotta all’omo/trans
fobia, libertà della ricerca scientifica, sono traguardi di civiltà che presuppongono la laicità
delle Istituzioni, mai tanto compromessa in Italia come in questi ultimi anni per colpa di una
partitocrazia parassitaria, arrogante, autoreferenziale, attenta solo al proprio interesse
particolare ed ai voti della Chiesa.
Personalmente credo alla nobiltà della politica quella, appunto, che Voi evocate quando
dite: “dal corpo dei malati al cuore della politica”. Una politica protesa davvero verso il
BENE COMUNE, con donne e uomini che generosamente si spendono per costruire un
mondo più giusto e trovano in questo il loro vero scopo. Una politica, lasciatemelo dire,
guidata dall’intelligenza del cuore, vero motore dell’autentico progresso umano. Insomma
una politica, se posso permettermi, come la fa da una vita Marco Pannella.
Vorrei spendere l’ultimo minuto per ricordare qui l’opera coraggiosa, illuminata, l’alta figura
morale del giudice Guido Stanzani, scomparso nei mesi scorsi. Stanzani, quale giudice
tutelare del Tribunale di Modena, ha fatto da apri-pista in Italia firmando il primo decreto,
già nel 2008, di nomina dell’amministratore di sostegno anche per le cure di fine vita, in
previsione della incapacità di intendere e di volere, decreto che la stampa battezzò:
“testamento biologico per decreto”. Un giudice davvero al servizio sempre dei soggetti
deboli. E chi è più debole di chi non ha più voce perché versa in uno stato d’incoscienza o
non è più capace di comunicare la propria volontà?
Chiudo ritornando al meeting della RtDE del prossimo giugno: credo potrà essere un
appuntamento importante e noi confidiamo, per la sua miglior riuscita, nella collaborazione
tra le nostre due Associazioni che si sono trovate spesso ad operare unite. In proposito,
chiudo ricordando, con grande piacere, che Mina Welby, co-Presidente dell’Associazione
Luca Coscioni, è anche socia onoraria di LiberaUscita.
Grazie davvero.
2519 - CONGRESSO ASS.NE LUCA COSCIONI - INTERVENTO DI MINA WELBY
Si riporta qui sotto l’intervento della ns. socia onoraria Mina Welby al IX congresso
nazionale dell’associazione Luca Coscioni, di cui Mina è co-presidente. Link per il video:
http://www.associazionelucacoscioni.it/ix-congresso-dellassociazione-luca-coscioniintervento-della-co-presidente-mina-welby
Buon giorno a tutti i presenti e quelli che ci ascoltano via radio.
10
Vorrei iniziare con un ricordo, un articolo pubblicato su “La Nazione” del 24 novembre
2002 Pagina di Perugia
«Il maratoneta», corsa a muso duro di Coscioni verso la libertà di ricerca
“PERUGIA - Quando la lotta contro il male diventa un libro ecco «Il maratoneta». O meglio
la storia di una battaglia di libertà da conquistare con il rigore lucido dell'intelletto. Il libro
scritto «a muso duro» dall'orvietano Luca Coscioni, presidente dei Radicali Italiani, è di
quelli che suonano come una sfida. Pagine destinate a dar vita ad un dibattito politico ed
etico. L'autore, malato di sclerosi laterale amiotrofica, incarna infatti la lotta radicale per la
libertà di ricerca scientifica in campo medico.
«Grazie alla clonazione terapeutica e alle cellule staminali degli embrioni, gli scienziati
troveranno una cura per guarire la Sla, il morbo di Alzheimer e di Parkinson, l'atrofia
muscolare spinale, le lesioni traumatiche del midollo spinale, la distrofia, alcune forme di
tumore e di diabete - sostiene Coscioni -. Mi batto per la libertà della scienza che tra poco
però verrà messa in discussione dalla legge sulla fecondazione artificiale in discussione al
Senato. Infatti la nuova legge, su pressioni vaticane e clericali, proibisce la ricerca sugli
embrioni congelati, scartati dalle cliniche italiane dove si pratica la fecondazione assistita.
Insomma, si preferirà buttarli nella spazzatura, piuttosto che destinarli a studi che
potrebbero salvare la vita a milioni di persone».
Pagine meditate su una seggiola a rotelle e dettate ad un computer, sulla cui prefazione si
legge «attendevamo da molto tempo che si facesse giorno, eravamo sfiancati dall'attesa,
ma ad un tratto il coraggio di un uomo reso muto da una malattia terribile ci ha restituito
una nuova forza». Josè Saramago, premio nobel per la letteratura 1988.
L’articolo è scritto da Silvia Angelici”.
Quest’anno al decimo anniversario della fondazione dell’Associazione Luca Coscioni per
la libertà di ricerca scientifica vorrei fare delle considerazioni sul perché della strada
sempre più in salita alla ricerca di azzerare il deficit di libertà. L’intervento di Tonina
Cordedda ha dato voce a un grave problema delle persone disabili: la loro vita sessuale
che incide profondamente nella loro felicità e equilibrio psicofisico. Grazie Tonina! Proprio
da qui vorrei partire.
Gli azzeccagarbugli di questo paese chi sono? Appartengono a varie categorie: politici,
medici, ricercatori, scienziati che conosciamo, non sono nelle nostre file, non è venuto
nessuno al Congresso magari per difendere le proprie idee che sono indifendibili.
La libertà della ricerca scientifica, la libertà di scelta delle persone non è un problema
bioetico, come qualcuno vuol far credere, né un problema della scienza medica, né
giuridico, benché si pongano ostacoli a non finire in questa maratona che corriamo,
passando il testimone da uomo a donna e, da donna a uomo. Gli ostacoli sono posti dalla
frattura di cultura e politica, ben calcolati e progettati. Ma perché?
Bene, il mondo esistente fin dal Big-Bang è un chaos, o no? Ma c’è qualcuno che vuole un
mondo ordinato, pulito, programmato, comprensibile. C’è chi dice di conoscere e sapere
come funziona anche l’inimmaginabile, sanno chi è dio, cos’è vita, la natura, come
funziona la vita, da dove venga e dove va. “molte cose difficili si risolvono con la fede”, mi
sono sentita dire spesso. C’è chi dice di sapere cosa è bene e cosa è male, e vuole
stabilire regole entro le quali l’universo umano si dovrebbe muovere.
La scienza e la ricerca nel nostro paese sono diventati quasi un accessorio, spesso anche
scomodo e da evitare per chi pensa di avere la verità in tasca, anzi di più: è considerato
un atto di superbia nei confronti di un creatore della vita, che loro sanno di conoscere. Non
si può mettere disordine nell’Ordine Supremo, la scienza di fronte alla fede si deve
inchinare.
A coloro che dicono di sapere cosa è bene o male per noi e propongono leggi che
invadono la nostra libertà di coscienza del procreare, del vivere e del morire, chiedo se
sono disposti a mettersi a confronto con la sofferenza di una coppia desiderosa di un figlio
11
sano. Se sono disposti a passare una giornata nella famiglia di un malato di Sclerosi
Laterale Amiotrofica assistito soltanto dalla moglie e da un infermiere per un’ora al giorno?
Se sono disposti a passare una giornata con un distrofico senza famiglia che vive solo con
la porta di casa pericolosamente aperta giorno e notte. Ma lo sanno che ci sono malattie
che non colpiscono solo il malato, ma ci va di mezzo tutta la famiglia? Sono disposti ad
andare in una rianimazione, in un reparto intensivo, in un hospice e vedere e sentire le
testimonianze dei corpi attaccati con solo un filo alla vita. Conoscono il linguaggio degli
occhi imploranti di chi vorrebbe terminare la propria sofferenza?
Preferiscono stare commossi su un calvario immaginario, sdolcinato da iconografie da
santino, anziché partecipare a un calvario vero di corpi feriti e martoriati da tristezza,
abbandono, malattia. Falsa benevolenza ammanta ipocritamente arroganza e prepotenza.
Ma credete per davvero anche voi che vita è sempre un bene? Morte è solo male?
Rispondetevi da soli. Pensateci!
Luca Coscioni e Piero Welby umilmente si sono inchinati di fronte al grande Chaos dove
hanno intuito le regole del vivere e del morire. Regole che vogliono essere snocciolate e
adeguate ai tempi e alle situazioni reali. Regole che vengano adeguate ai diritti naturali
delle donne e degli uomini e degli animali. Regole che molti paesi del mondo si sono
riusciti a dare. L’Italia vi fa tanta fatica per delle leggi che tutelino il diritto personale di
autodeterminazione, proprio per i motivi che ho elencato.
Infatti, ancora non ha depositato il Decreto Ministeriale per l’attuazione della Convenzione
di Oviedo. Non ha inviato alla Commissione di Ginevra della Convenzione ONU il primo
rapporto che tutti gli stati, nei due anni successivi alla ratifica della Convenzione ONU sui
Diritti delle persone con disabilità, devono inviare alle Nazioni Unite, per consentire al
Comitato che se ne occupa di valutarne i contenuti e le eventuali contraddizioni con le
legislazioni nazionali vigenti. Per l’Italia il termine era quello del marzo 2011, ma ad oggi
ancora tutto tace. Che il nostro bel paese abbia delle cose indicibili da nascondere?
Arrivo al Disegno di Legge 10 che è in dirittura di discussione in Senato. È nata sulla
falsariga del Decreto Berlusconi Salva-Eluana. Recita degli articoli fondamentalmente per
persone in stato vegetativo.
Una legge sulle disposizioni anticipate sui trattamenti sanitari dovrebbe unicamente avere
la funzione di garantire i pazienti dal rischio di terapie non più utili e dal prolungamento
insensato di un'agonia per rispettare la dignità della persona.
I più recenti rilevamenti Eurispes danno il 74,7% degli italiani favorevoli alle disposizioni
anticipate sui trattamenti sanitari e il 50% favorevoli all’eutanasia. Questi principi ormai
fanno parte del sentire comune del paese. Gli italiani sono consapevoli di certi rischi e non
vogliono demandare ad altri decisioni difficili anche quello sull’eutanasia.
Ma se questa proposta di legge verrà approvata in Senato, i cittadini italiani, diversamente
da tedeschi o americani e altri ancora non potranno decidere nulla. Se non subirà profondi
cambiamenti, diventerà una legge incostituzionale per l’offesa che reca al diritto della
libertà personale e alla dignità dei cittadini. Ci prepariamo a un referendum abrogativo di
una legge che ci espropria della libertà di scelta? Sicuramente i cittadini si rivolgeranno ai
tribunali come era accaduto con la legge 40 sulla procreazione assistita. E a suon di
sentenze ci si appellerà alla Corte Costituzionale. Welby direbbe “È triste vivere in un
paese dove il governo fa i miracoli e la chiesa fa le leggi”.
Anche la libertà di limitare le proprie terapie con questa legge viene messa in bilico per la
citazione dei codici penali 575, 579 e 580. l’interruzione della ventilazione e della
nutrizione artificiale e di qualsiasi altra terapia salvavita potrebbero essere assimilati a
omicidio volontario. Quanti ricorsi ai giudici potrebbero esserci! Ma non ci stancheremmo a
farli.
Un ricordo: 12 anni fa era stata archiviata la procedura di denuncia della moglie di Emilio
Vesce. In nessun conto era stato tenuto dai medici il testamento biologico che Emilio
12
Vesce aveva redatto. Un infarto, seguito da anossia, compromise e spense la sua
corteccia celebrale, provocandogli una “morte corticale”. La motivazione fu che «lo stato
vegetativo per la legge è ancora vita, per cui qualsiasi atto medico destinato a stabilizzarlo
non può configurarsi come accanimento terapeutico, ma come atto medico. La
tracheostomia e la gastrostomia sono atti di assistenza di base. [...] Compito del medico
non è solo quello di guarire ma [...] anche quello di mantenere in vita il paziente in stato
vegetativo persistente» -.
L’esito del caso Vesce, pur nella sua scontatezza, avrebbe potuto, se ci fosse stato un
giudice a Berlino, rappresentare un volto nuovo sul delicato fronte della legalità e del
rispetto delle volontà espresse da un adulto.
Il verdetto dei giudici per Eluana Englaro era di posizione opposta. Ma l’ipocrisia clericoperbenista sembra esser una maschera della quale l’Italia non sa fare a meno. In un porta
a porta qualche anno fa, un medico consigliava una madre, stressata dalle cure e
attenzioni da diversi anni verso un figlio in stato vegetativo, di diminuire progressivamente
il contenuto della sacca per la nutrizione artificiale, fino a causare il decesso del proprio
figlio. L’unico a rimanere interdetto dei presenti fu il padre di Eluana Englaro che
testardamente ribadì: “io voglio per mia figlia una risposta dalla e nella “società”.
Da un’altra parte c’è un medico di famiglia ipocrita che costringe i parenti di una persona
novantenne ad accettare di farle posizionare il sondino naso-gastrico per la nutrizione
artificiale perché non poteva più nutrirsi adeguatamente. Io preferirei essere
accompagnata amorevolmente da una mano che mi imbocca, anche se il cibo non è più
sufficiente, e mi accarezza, e non con nutrizione forzata, contro la mia volontà.
Da una parte l’ipocrisia non vuole lasciarci morire, quando lo vogliamo e come vogliamo
noi, ma c’è in corso una programmazione burocratica dei posti letto negli ospedali che fa
orrore ed è causa di sofferenze e morti in disperazione. Il malato non può occupare il letto
più di tanto, poi va dimesso. L’assistente sociale che conosce le condizioni della famiglia
deve tacere e la famiglia si arrangia, perché anche da parte delle ASL non c’è sempre il
pronto intervento per assicurare le cure domiciliari.
A malincuore ho accettato quell’orribile video manifesto della nostra Associazione A.A.A.
Cerchiamo Malati Terminali per ruolo da attore protagonista, perché riflettendo e
dormendoci sopra sono venuta alla conclusione che soltanto con un impatto forte,
sgradevole e scandaloso si può ottenere ascolto in un paese con i tappi nelle orecchie, i
tappi di una tv pubblica che anestetizza o meglio manipola i cervelli di sprovveduti cittadini,
incollati agli schermi, spesso fin da bambini.
Quando noi diciamo che la proposta di legge Calabrò in Senato è incostituzionale e contro
la libertà di scelta dei cittadini, c’è l’ex-sottosegretario Eugenia Rocella che mischia le
carte e dice che i radicali vogliono una legge per l’Eutanasia. Certo che la vogliamo una
legge che ci tuteli e che dia libertà di scelta a tutti i cittadini come essere o non essere
curati, ma non facciamo confusione. L’accento non è sul come morire, ma sul come
essere liberi e avere l’assistenza medica nel nostro personalissimo e migliore interesse
anche nel omento estremo dove solo il morire può essere ancora il meglio da scegliere e
se necessario anticiparlo nel tempo. E per questo ripeto che non finiremo tutti in stato
vegetativo e non si devono strumentalizzare i disabili per definire, quanto sia importante la
nutrizione artificiale!
Questo doloroso capitolo chiudo con le parole di Luca Coscioni, espresse nel dicembre del
2005, dove ci indica, come deve essere fatta una buona legge per le nostre disposizioni
anticipate sui trattamenti: “Ecco dunque il diritto alla dignità del morire, il riconoscimento
del diritto di morire dignitosamente, il riconoscimento della volontà del morente, libera,
autentica volontà assunta come norma che preveda e garantisca, la manifestazione della
coscienza di ciascuno di noi, che non esprima altro significato se non quello intimamente
voluto.” Ecco il nostro primo attore che ha dato la sua testimonianza con il proprio corpo.
13
Lo ha seguito Piero Welby che conclude così la sua lettera al Presidente della Repubblica
Napolitano: Il mio sogno, anche come co-Presidente dell’Associazione che porta il nome di
Luca, la mia volontà, la mia richiesta, che voglio porre in ogni sede, a partire da quelle
politiche e giudiziarie è oggi nella mia mente più chiaro e preciso che mai: poter ottenere
l’eutanasia. Vorrei che anche ai cittadini italiani sia data la stessa opportunità che è
concessa ai cittadini svizzeri, belgi, olandesi.
Terminò la sua vita non per eutanasia volontaria, come avrebbe voluto, ma accettando
l’interruzione della terapia ventilatoria, anche se per lui era difficile e doloroso, ma con la
sicurezza che Mina, il soldatino, come nell’ultimo pomeriggio mi aveva chiamato, avrebbe
continuato la sua battaglia per una legge che garantisca a tutti il diritto alla piena libertà di
scelta.
È vero quello che dice Martin Lutero: la superstizione, l’idolatria e l’ipocrisia percepiscono
ricchi compensi, mentre la verità va in giro a chiedere l’elemosina.
Eccovi alcuni attori protagonisti: ne abbiamo di conosciuti, per es. Paolo Ravasin che lotta
per una vita di qualità per la sua libertà di scegliere, Rosma Scuteri che altre tre volte è
saltata dalla pala del becchino, perché è attaccata alla vita come un vitigno, anche se non
riesce nemmeno più a comunicare con il suo eye gaze, e anche con l’etran la capisce solo
chi è allenato. Reclama in un vecchio video, ancora sul nostro sito, quanto sia importante
per persone imprigionate in un corpo inerme come il suo, avere accanto assistenti che la
rispettino come persona e che non la trattino come se fosse una bambola. Donatella
Chiossi che si propone come cavia per esperimenti sul suo corpo colpito dalla SLA e le
viene rifiutato. Ricordo con affetto Luisa Panattoni che non poteva affrontare il viaggio. Lei
nonostante infiniti ostacoli e difficoltà, da insegnante di materie in agraria, per la sua
sclerosi multipla, è diventata insegnante di vita. Sono convinta che una maestra del suo
spessore non sarà mai dimenticata. Ma aiuterà a molti dei suoi alunni a inventarsi una vita
nuova, se un caso determinasse la necessità.Alberto Damilano caparbiamente non voleva
inviare un messaggio. Ma da protagonista dal vero ci invia i suoi libri “Questa notte la mia”,
dove lo potete riconoscere nel protagonista, chiamato Andrea, non da medico, che
realmente è, ma da giornalista impegnato. Un forte messaggio culturale di integrazione
nella vita, di adattamento a tutte le situazioni e soluzioni di problemi. Questo era il suo
messaggio al Congresso: “mentre cresce il mio impegno sul piano culturale, sarei felice di
farti avere copie del libro anche come finanziamento per l’associazione. La situazione è
questa: mi sono avanzate circa un centinaio di copie della prima edizione edita da Ali&No,
mentre ho firmato un nuovo contratto con la Longanesi, per cui uscirà, stavolta in tutte le
librerie, a gennaio del nuovo anno”. Un applauso a questo nostro grande protagonista!
Grazie Alberto!
Gli anelli deboli, i malati, disabili, anziani diventino anelli forti di tenuta, di assicurazione
con la propria battaglia personale per il bene di questo paese.
Non devo dimenticare Luisa Codato, nostra iscritta di Marcon (VE), che lamenta che
Venezia con 1300 firme e Marcon con 320 hanno rifiutato di istituire il registro per il
Testamento biologico.
A dimostrazione della sua volontà ha protocollato il suo testamento biologico al suo
Comune di Marcon. I suoi medici che la curano con chemioterapia per la sua patologia
oncologica le hanno raccomandato di portare sempre con sé il suo testamento biologico
protocollato.
Grazie per avermi ascoltata.
2520 - LA CHIESA PAGHERÀ MAI L’IMU? - DI RICCARDO NENCINI
da: LucidaMente di lunedì 8 ottobre 2012
14
«Scommettiamo che neppure nel 2013 la Chiesa pagherà l’Imu?» Se lo chiede il
segretario nazionale del Partito socialista italiano, Riccardo Nencini, commentando il
parere del Consiglio di Stato.
«La bocciatura del decreto attuativo del Tesoro da parte del Consiglio di Stato – prosegue
Nencini – rafforza la convinzione che l’Italia continui ad essere un Paese a sovranità
limitata. Ci sono materie sulle quali il Parlamento, qualunque sia la maggioranza di
governo, non può legiferare liberamente. Dalle leggi che riguardano le libertà civili come le
unioni di fatto e il “fine vita”, a quelle che toccano le finanze della Chiesa, come l’Imu, per
l’appunto, che costerebbe alla Conferenza episcopale italiana circa 600 milioni di euro.
Delle due l’una: o il ministro Grilli, e prima di lui lo stesso professor Monti, non sanno fare il
loro lavoro, visto che in otto mesi non sono riusciti a scrivere una norma essenziale per i
conti pubblici, oppure il Consiglio di Stato riceve suggerimenti dal Vaticano e li accoglie».
«Per la verità – continua il leader socialista – c’è una terza possibilità, ovvero che la norma
sia stata scritta tardi e male a bella posta contando proprio sulla bocciatura. In ogni caso
però, questa del governo Monti è la più brutta figura, collettiva e personale, da quando è
entrato in carica, soprattutto se si considera il pesante fardello che ha caricato sulle spalle
degli italiani per sanare i guasti dell’economia. Ci auguriamo che sia in grado di porvi
riparo per sanare una clamorosa ingiustizia a danno dei cittadini italiani o in alternativa –
conclude Nencini – proponiamo che chi ha scritto male il decreto attuativo paghi la multa
di 10 milioni di euro della Commissione europea».
2521 - PROCREAZIONE ASSISTITA: 4.000 ITALIANI ALL'ESTERO NEL 2011
da: notiziario Aduc n. 41 di lunedì 8 ottobre 2012
Almeno 4.000 coppie italiane nel 2011 hanno varcato i confini nazionali per ricorrere a
trattamenti di procreazione assistita. Di queste, secondo i dati dell'Osservatorio sul turismo
procreativo, 1.530 hanno scelto la Svizzera. Complici una normativa più flessibile, la
vicinanza geografica e la diffusione della lingua italiana, il Paese elvetico è in testa alle
preferenze degli aspiranti genitori, seguito dalla Spagna (1.450 coppie) e dal Belgio (510
coppie).
Gli italiani non si recano in Svizzera solo per trattamenti di procreazione assistita non
disponibili in Italia, come la fecondazione eterologa, ma anche per pratiche consentite nel
nostro Paese come la fecondazione omologa, la stimolazione ormonale e la
criopreservazione ovocitaria.
Delle 1.530 coppie che hanno scelto la Svizzera per risolvere i problemi di fertilità, infatti,
630 si sono sottoposte alla fecondazione eterologa (41%) e 900 alla omologa e ad altri
trattamenti disponibili anche in Italia (59%). Le percentuali trovano rispondenza nei dati
registrati dal Centro Cantonale di Fertilità di Locarno, che ha preso in cura 278 aspiranti
genitori durante lo scorso anno (139 coppie, il 40% per l'eterologa e il 60% per l'omologa)
e 144 nei primi sei mesi del 2012.
2522 - BIOTESTAMENTO: COME NON È, COME DOVREBBE ESSERE – DI M. RICCIO
da: babylonpost.globalist.it di giovedì 11 ottobre
Come ha dimostrato uno studio dell'Istituto Mario Negri nel 2008, oltre l'80 per cento dei
pazienti che viene ricoverato in rianimazione italiana non è in grado di intendere e di
volere al momento dell'ingresso.
Anche se è opinione comune che i pazienti delle rianimazioni siano esclusivamente "acuti"
(intesi come traumatismi maggiori, patologie cardiache o cerebrovascolari), spesso invece
queste persone sono affette da patologie croniche degenerative sia neurologiche che
respiratorie e metaboliche. Il ricovero in un reparto di rianimazione è pertanto spesso
dovuto al peggioramento di una malattia - a volte più malattie concomitanti - di cui il
paziente è affetto da anni e la cui evoluzione degenerativa dovrebbe essere conosciuta
15
dal paziente stesso. Il condizionale in questo caso è d'obbligo e la questione - cioè
l'effettiva conoscenza della malattia e della sua evoluzione da parte del malato - non è
certo secondaria. Infatti, se correttamente informato, il malato potrebbe anzitutto decidere
- o aver precedentemente deciso e già messo per iscritto - a quali ulteriori terapie intenda
sottoporsi e quali invece rifiutare.
Ad esempio, in caso di una patologia degenerativa respiratoria, è inevitabile che si giunga
all'indicazione del collegamento a un ventilatore.
Però soggetti pur uniti nella malattia, possono assumere decisioni finali diverse: Luca
Coscioni, Karol Wojtyla, Piergiorgio Welby e, ultimo in ordine di tempo, il cardinale Martini.
Luca Coscioni scelse di non andare neanche in ospedale durante una ennesima crisi
respiratoria e morì a casa propria. Giovanni Paolo II accettò solo alcuni trattamenti
(tracheotomia e sondino nasogastrico) che però ovviamente non furono sufficienti a
evitargli la morte in pochi giorni. Piergiorgio Welby - come noto - accettò per dieci anni il
ventilatore meccanico, che infatti a un certo momento decise di rifiutare. Martini ha atteso
serenamente di perdere anche la minima attività respiratoria facendosi sedare - come
risulta dalle cronache - poco prima di morire.
Il problema si pone invece per quei pazienti cronici degenerativi che - privi di alcuna
precedentemente espressa volontà - vengono ricoverati in rianimazione senza essere più
in grado di intendere e di volere.
Come detto sono gran parte del totale (80 per cento). Il problema non è limitato alla sola
terapia nutrizionale per via enterale, come si potrebbe dedurre dall'annoso dibattito sul
caso Englaro e dal relativo corto circuito mediatico sul sondino nasogastrico provocato
dalla proposta di legge Calabrò sulle Direttive anticipate di trattamento.
Infatti in rianimazione ogni trattamento può essere correttamente definito una forma di
sostegno vitale. La ventilazione tramite una macchina, così come la dialisi in sostituzione
della funzione renale, i farmaci che sostengono l'attività cardiaca, gli antibiotici per
combattere le gravi infezioni, le continue trasfusioni di sangue, sono tutte terapie ordinarie
e necessarie in rianimazione per sostenere un paziente critico. L'interruzione o anche la
sola riduzione di uno dei precedenti trattamenti porta a morte il paziente, alcuni
immediatamente, altri in un tempo più o meno prolungato.
Sempre nello studio già citato dell'Istituto Mario Negri, è riportato che in Italia il 60 per
cento dei decessi in rianimazione è dovuto alla decisione clinica di ridurre, interrompere o
non iniziare del tutto una delle precedenti terapie. Questo fa ben comprendere che non è
possibile appellarsi a un concetto di morte naturale, semplicemente perché la stessa non
esiste. L'evoluzione di una patologia sia cronica che acuta, può essere modificata,
rallentata, combattuta dalla moderna medicina. Ovviamente se il paziente lo desidera.
Tutti noi moriamo con una diagnosi, una prognosi e una terapia, almeno nel mondo
occidentale. E ancor di più sarebbe inutile, in questo scenario, cercare di stabilire un
concetto condiviso di accanimento terapeutico. Semplicemente perché - data la sua
assoluta soggettività - non è oggettivabile. E infatti tale termine non è usato nel dibattito
bioetico, giuridico e politico di nessun altro Paese occidentale.
La morte è sempre meno un evento puntuale, preciso, istantaneo. È invece un processo
lungo, complesso, di cui sempre più spesso si può procrastinare la fine. Di frequente
questo processo continua anche in una condizione di incapacità cognitiva del paziente,
talvolta temporanea, spesso permanente.
È in questa ampia fascia che troverebbe appunto utilità - se non addirittura necessità - lo
strumento giuridico delle Direttive anticipate di trattamento.
2523 - ABORTO: LA CONTRACCEZIONE LO FAVORISCE? - DI CECILIA CALAMANI
da: www.cronachelaiche.it di domenica 14 ottobre 2012
16
Finalmente abbiamo scoperto come mai, secondo illustri fonti di stampa in odor di santità,
la contraccezione aumenterebbe gli aborti. Tesi battuta e ribattuta negli ambienti della
scienza "cattolica", quella, cioè, che ha come fine ultimo la dimostrazione delle tesi
bibliche (o posteriori della Chiesa), come se la scienza possa avere una qualche finalità
ideologica. E così, tra chi pervicacemente continua a cercare le prove della veridicità della
Sindone, che le rilevazioni scientifiche datano del XIV secolo, e chi si ostina a dichiarare
che la famosa ampolla partenopea contiene il sangue del defunto Gennaro, c'è anche chi
cerca di dare un senso alle famose parole di Benedetto XVI: «I preservativi aumentano i
problemi».
Ebbene, immaginate che piova e voi non avete l'ombrello. Perché rischiare di bagnarvi?
Per altro, l'ombrello potrebbe non ripararvi bene o si potrebbe rompere e vi trovereste
inzuppati in mezzo alla strada, preda di facili influenze. Che possono trasformarsi in
bronchiti e poi in broncopolmoniti e potreste essere costretti ad andare in ospedale. Se
invece non avete l'ombrello, magari eviterete di andarvi a cercare malanni sotto la
pioggia. E allora, perché non vietarli, questi maledetti ombrelli, che ci fanno ritenere
immuni all'acqua mentre magari la pioggia è troppo forte o si inceppano e ci troviamo
fradici e ammalati?
L'ombrello ci incentiva a uscire con la pioggia e quindi a contrarre malattie da
raffreddamento che possono degenerare. Modifica cioè il nostro comportamento: se ne
possediamo uno ricalcoliamo il rischio di bagnarci sulla base della sicurezza che
apparentemente ci fornisce e usciamo di casa con la pioggia molto più spesso di quanto
non faremmo se non l'avessimo. Da lì ad ammalarci, poi, il passo è breve. Non ci avevate
mai pensato? Se il ragionamento non vi convince, provate a pensare agli incidenti
stradali. Come abbatterne drasticamente il numero? Semplice, evitando di usare
l'automobile.
Ecco, più o meno sulla stessa scia è la dichiarazione del dottor Renzo Puccetti,
specialista della società medico-scientifica Promed Galileo, che al Congresso mondiale di
ginecologia e ostetricia ha presentato una sua ricerca controcorrente, diciamo così.
Puccetti vuole dimostrare che l'uso dei contraccettivi aumenta l'abortività, un po' come
l'ombrello aumenta il rischio di malattie respiratorie e l'automobile quello di incidenti
stradali. Questo ciò che dichiara in un'intervista a Zenit, l'agenzia di stampa dei Legionari
di Cristo (ripresa, ça va sans dire, anche dal settimanale ciellino Tempi): «Il
comportamento sessuale, come peraltro in molti altri campi, tende a seguire alcuni
schemi che gli studiosi hanno esplorato ed in molti casi individuato. Uno di questi è la
tendenza a modificare il proprio comportamento sulla base delle conseguenze previste.
Una volta che il soggetto viene esposto all'idea che mediante il contraccettivo l'attività
sessuale non avrà conseguenze sgradevoli (la gravidanza, il contagio infettivo), tende a
ricalcolare l'utilità dell'attività sessuale alla luce dei nuovi parametri ed a trovarla così
conveniente da indurlo a praticare l'attività sessuale da cui invece si sarebbe astenuto in
mancanza del contraccettivo». E ciò, naturalmente, aumenterebbe il rischio di aborti.
Ma le chiacchiere non bastano, ci vogliono le prove, i dati e le registrazioni dei risultati.
Eccoli: «Nei contesti dove è maggiormente diffuso il sentimento pro-life si registra
un'abortività nettamente inferiore. Inoltre anche la restrizione all'aborto si associa a tassi
di abortività inferiori». Come dire, monsieur de La Palisse non avrebbe saputo esprimersi
meglio.
Commento. Perché il dottor Renzo Puccetti non fa una ricerca sugli effetti negativi che il
divieto dei contraccettivi e degli aborti avrebbe sull’aumento della popolazione e di
conseguenza sul futuro del pianeta? Chi sostiene ancora oggi la teoria del “crescete e
moltiplicatevi”, con la popolazione mondiale che si avvicina a otto miliardi di persone,
dovrebbe essere chiamato a rispondere di reati contro l’umanità. (gps)
17
2524 - LA STAGIONE AVVELENATA - DI STEFANO RODOTÀ
da: la Repubblica di martedì 16 ottobre 2012
Sopravviverà la democrazia italiana alle cinque crisi che la stanno pericolosamente
avvolgendo? Mai, nella storia della Repubblica, si erano manifestate insieme, e via via
sempre più intrecciate, una crisi istituzionale, una politica, una civile, una economica, una
sociale.
Cogliamo ogni giorno i frutti amari e avvelenati di una cosiddetta Seconda Repubblica nata
dall’improvvisazione e dall’imprevidenza, di un dissennato “bipolarismo feroce” (copyright
del direttore di Avvenire), di una lotta politica degenerata in rissa continua, del degrado del
linguaggio, della fine del rispetto dell’altro, di una regressione culturale senza fine.
La crisi civile e morale ci avvolge. Implacabili, i quotidiani bollettini di guerra ci indicano i
protagonisti di una torbida stagione vissuta all’insegna della cancellazione d’ogni confine
tra lecito e illecito, tra privato e pubblico. Ma gli arrestati, gli indagati, gli autori di furti legali
non sono soltanto gli occasionali “testimonial” di vicende corruttive, le “pecore nere”, le
“mele marce”. Si rivelano ogni giorno di più come l’avanguardia di schiere infinite, gli emuli
a ogni livello di chi si è scritto leggi ad personam e ha coltivato conflitti d’interesse. Questa
logica si è generalizzata, un numero crescente di persone ha trasferito risorse pubbliche
nelle sue disponibilità private, anche sulla base di norme predisposte proprio a questo fine
– dalle ordinanze della Protezione civile alle regole a maglie larghissime dei consigli
regionali, che consentono ai mariuoli di dire d’aver seguito prassi legittime. Si è costruita
una “legalità parallela” per legittimare il malaffare.
Oggi è saltato proprio quello che era stato giustamente definito il “compromesso
permanente tra legalità e illegalità”. La politica sembra attonita, balbetta.
Che cosa sarebbe accaduto se, all’indomani dell’assassinio del generale Dalla Chiesa, il
Parlamento si fosse limitato alle esecrazioni rituali, invece di approvare tempestivamente
la legge La Torre-Rognoni? Che cosa sarebbe accaduto se, all’indomani dell’assassinio di
Giovanni Falcone, il Parlamento, riunito per l’elezione del Presidente della Repubblica,
avesse proseguito nel rito di innumerevoli votazioni, giungendo per sfinimento all’elezione
di Giulio Andreotti, invece di rompere l’incantesimo eleggendo subito Oscar Luigi
Scalfaro?
Non sono richiami azzardati, di fronte al quotidiano assassinio della credibilità delle
istituzioni, della legalità democratica. Non arriva nessun segnale forte, se si fa eccezione
per lo scioglimento del consiglio comunale di Reggio Calabria. Il Parlamento, in un
sussulto di dignità, avrebbe dovuto approvare subito una vera, seria legge sulla
corruzione. E invece rimane prigioniero di ricatti, si sfianca nella ricerca di un nuovo
compromesso.
La crisi della politica, allora. Palese nell’altro infinito inseguimento, quello ad una legge
elettorale ormai concepita soprattutto come un mezzo per neutralizzare un esito elettorale
temuto, per regolare preventivamente conti all’interno del sistema dei partiti.
18
Le elezioni come un intralcio, un problema, e non come il momento in cui la parola torna
nella sua pienezza ai cittadini? Non si vuole più correre il “rischio democratico” del voto.
Ecco, quindi, l’ossessiva ricerca della continuità, che s’impiglia nell’altro vizio di questi
anni, l’estrema personalizzazione della politica.
Monti con la sua “agenda”, quindi, che diviene un modo per sfuggire alle responsabilità
proprie. Un vero transfert, che rivela la difficoltà della politica di liberarsi dei suoi mali e
tornare ad essere davvero tale. Ma i promotori del “giuramento Monti” si sono presto
rivelati come degli apprendisti stregoni, aprendo la strada alla nuova scorreria di
Berlusconi. Un Monti ostaggio, pedina di manovre interne ai partiti, strumento per
trasformare le elezioni in un referendum pro o contro la sua persona? Diciamo, piuttosto,
una vicenda che rivela una volta di più le miserie della politica.
Tutto questo avviene all’ombra non dissipata d’una crisi istituzionale. I tre soggetti che
negli anni pericolosi del berlusconismo hanno impedito il collasso della legalità e, con
essa, della democrazia – Presidenza della Repubblica, Corte costituzionale, magistratura
– si trovano ora divisi, contrapposti.
È il lascito di un’estate avvelenata, che ha visto il trasformarsi di una discussione legittima
in una furia polemica che sembra inconsapevole del pericolo di una terra bruciata. Ovvio
che si potesse discutere intorno alla opportunità politica e alla portata istituzionale delle
posizioni assunte dal Presidente della Repubblica nella nota vicenda delle intercettazioni
telefoniche conservate presso la Procura di Palermo. Ma che senso ha descrivere le
posizioni in campo come un conflitto tra “trombettieri del Quirinale” e difensori della verità,
delegittimando preventivamente chi esprime un’opinione diversa dalla propria?
Vizi diffusi, e non da una parte sola. E che hanno progressivamente impedito di vedere
che un problema esiste, che nasce proprio da controversie intorno alle prerogative
presidenziali e che non può essere risolto con un meccanico rinvio a regole della
procedura penale.
La posizione costituzionale del Presidente della Repubblica ci indica un orizzonte più largo
e va oltre quei soli riferimenti (e non può certo essere strumentalizzata per chiedere
salvacondotti per altri soggetti istituzionali o per mendicare la stretta autoritaria sulle
intercettazioni). Lo ha ribadito ieri lo stesso Presidente, sottolineando l’improprietà di una
personalizzazione della questione e la necessità di non lasciare alcuna ombra sui rapporti
tra il Capo dello Stato e altri soggetti istituzionali..
Proprio nella temperie politica e costituzionale che viviamo, una precisazione così
importante appare indispensabile (e rischiano di non contribuire al chiarimento alcuni toni
della memoria a difesa della Procura di Palermo). E non mi pare che sia stato apprezzato
adeguatamente il fatto che Giorgio Napolitano abbia deciso di sottoporsi al giudizio di un
organo terzo, la Corte costituzionale appunto. Una mossa democratica, che si è cercato di
delegittimare delegittimando la stessa Corte, presentandola come un organo privato di
autonomia proprio dall’iniziativa presidenziale, persino con argomenti di tipo
berlusconiano, quali sono quelli che richiamano il fatto che alcuni dei giudici della Consulta
sono stati nominati da lui.
La verità è che, di fronte ai molti misteri della Repubblica, prorompe quasi sempre un
bisogno di giustizia sostanziale, insofferente d’ogni regola. Ecco, allora, la presentazione
della posizione del Presidente della Repubblica come un intralcio alle indagini dei
magistrati siciliani. Tesi contraddetta dalle stesse dichiarazioni della procura di Palermo
sulla non rilevanza delle intercettazioni a questo fine. Ma di cui si è data una versione tutta
politica, insistendo su un isolamento dei magistrati siciliani che, se mai, ha le sue origini
altrove.
È ancora possibile ricostruire un clima nel quale la decisione della Corte venga intesa
come la definizione del quadro costituzionale e non come una pronuncia che dà torto ad
una parte e ragione all’altra? Non è questa la logica del giudizio costituzionale. Certo,
19
pieno deve essere il sostegno al lavoro dei magistrati dai quali, se riusciranno a fare
finalmente chiarezza sulle violazioni della legalità, verrà un contributo essenziale per la
ricerca di quella verità storica e politica che è comunque responsabilità di altri organi
costituzionali.
Questo contesto politico e istituzionale non è il più propizio per un governo adeguato della
crisi economica e di quella sociale, che non può essere affidato, come sta accadendo,
all’erosione dei diritti di cittadinanza, a partire da quelli fondamentali alla salute e
all’istruzione, a una rinnovata riduzione del lavoro a merce. La sospensione di
fondamentali garanzie, che toccano lo stesso diritto all’esistenza, non può essere
giustificato con nessuna emergenza.
Tutto questo determina tensioni sociali sempre più forti, alle quali si accompagna un
passaggio dai rischi del populismo a quelli della demagogia. Qui è il pericolo per la
democrazia e le sue istituzioni che, se vogliono riconquistare fiducia, devono rimettere in
onore i diritti delle persone.
Questione, a ben vedere, che riguarda pure le necessarie trasformazioni dell’Unione
europea, irriducibili al solo rafforzamento del governo dell’economia. A chi conviene una
democrazia senza popolo?
2525 - 1970: IL DIVORZIO È LEGGE DOPO 18 ORE E 4 SVENUTI - DI CARLO VULPIO
da: Corriere della Sera di domenica 21 ottobre 2012
Se sciogliere il matrimonio era il «male assoluto» per la Chiesa, il Pci fu tiepido. I partiti a
favore divennero i «nemici della famiglia» per i cattolici, che vennero sconfitti al
referendum nel '74. Oriana Fallaci scrisse: «Siamo cresciuti. Senza i promotori non lo
avremmo saputo»
Oggi il problema è opposto rispetto a quello di quarant'anni fa. Allora, la Democrazia
cristiana di Amintore Fanfani, il Movimento sociale italiano di Giorgio Almirante, il Partito
monarchico di Alfredo Covelli, i Comitati civici del professor Gabrio Lombardi, e anche
papa Paolo VI, credevano che il divorzio fosse il «male assoluto».
Ma oggi il problema è inverso, e se lo pone soprattutto la Chiesa cattolica, che si domanda
come non escludere e anzi recuperare i divorziati — anche quelli che si sono risposati —,
non come impedir loro a tutti i costi di ricorrere allo scioglimento del matrimonio, il
«malefico» divorzio. Di più, la Chiesa sembra voler guardare ancora più lontano, se lascia
che un teologo come Bruno Forte, vescovo di Chieti-Vasto, vada in giro per università a
parlare della «drammatica situazione dei figli dei divorziati che si sono risposati» e
ribadisca ogni volta «la necessità di avviare una riflessione sui modi e i tempi necessari
per il riconoscimento della nullità del vincolo matrimoniale».
Oggi, i clericali più accaniti possono pure gridare allo scandalo, considerare questa via più
esiziale della breccia di Porta Pia e rispolverare accuse di «protestantizzazione» della
Chiesa di Roma (magari facendo notare di sfuggita che il più attivo in tema di divorzio è
proprio il clero tedesco e che, guarda caso, anche Martin Lutero era tedesco...), ma ormai
una nuova strada è stata tracciata.
Quarant'anni fa, no: non era così. Era davvero un altro mondo quello in cui — la notte fra il
30 novembre e il 1° dicembre del 1970 — il Parlamento italiano, dopo una seduta lunga
diciotto ore in cui quattro deputati si sentirono male e svennero, approvava con 325 voti a
favore e 283 contrari (164 sì e 150 no al Senato) la legge numero 898 istitutiva del
divorzio, intitolata «Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio» e più nota come
legge Fortuna-Baslini, dai nomi di Loris Fortuna (socialista e poi anche radicale) e Antonio
Baslini (liberale) che unirono in un solo testo i rispettivi progetti di legge. In quel mondo
così diverso, quel tema così scabroso — il divorzio, nientedimeno — stava viaggiando già
da cinque anni su un treno chiamato Lid, Lega italiana per il divorzio, fondata nel 1965 e
guidata dallo stesso Fortuna e da Marco Pannella, il quale per il divorzio si batterà da par
20
suo anche durante il referendum del 1974, nonostante l'oscuramento subìto dalla Rai, che
non lo inviterà a nessuna delle tribune referendarie con la scusa che non è il segretario di
un partito presente in Parlamento.
Pannella e i radicali in particolare, assieme a socialisti, liberali e repubblicani, in quegli
anni furono additati dal mondo politico cattolico come i nemici della famiglia, quelli che
volevano distruggere il nucleo primario e fondamentale della società, e questo diciamo
pure che era abbastanza normale.
Meno normali erano invece gli attacchi e le scomuniche che dovettero subire dal Partito
comunista italiano prima, durante e dopo l'approvazione della legge. I comunisti, infatti,
erano tiepidi nei confronti dell'introduzione del divorzio in Italia perché, dicevano sempre,
«ben altri» erano i problemi e gli obiettivi di «un grande partito» come il Pci. E quando non
erano tiepidi, erano feroci.
Aldo Tortorella, uno dei massimi dirigenti del partito, che allora di fatto era già guidato da
Enrico Berlinguer a causa della grave malattia che colpì Luigi Longo, diede dei divorzisti
questa amena definizione: «Sono servi dei padroni, vogliono ostacolare la politica
dell'incontro e del dialogo con i cattolici».
Naturalmente, dopo la vittoria dei No al referendum del 1974, il primo della storia
repubblicana, voluto dal fronte antidivorzista, «l'Unità» titolerà: «Grande vittoria della
libertà».
La legge 898 tuttavia fu votata — sebbene per motivi di opportunità politica — anche dai
comunisti. Ed era una legge, si sfiancavano a spiegare i suoi sostenitori, che non incitava
a divorziare, ma era soltanto la medicina necessaria a cui ricorrere quando la malattia era
già insorta.
Nella sua versione originaria, per esempio, la legge prevedeva che la sentenza di divorzio
potesse essere pronunciata solo dopo cinque anni di separazione giudiziale, che
diventavano sei in caso di opposizione dell'altro coniuge e addirittura sette in caso di
separazione pronunciata per colpa esclusiva del coniuge che richiedeva il divorzio.
Cautele che non bastarono a dissuadere il fronte referendario antidivorzista, che provò a
chiamare a raccolta il popolo in nome della salvaguardia della integrità della famiglia, ma
venne sconfitto. Il 59,3 per cento degli italiani che andarono a votare disse di no
all'abrogazione della legge che istituiva e regolava il divorzio.
Ma fu un no dell'Italia centro-settentrionale e, grande sorpresa, della Sicilia (50,5 per cento
di no), cioè proprio la regione più citata nei comizi e nei dibattiti in quanto patria per
eccellenza del «delitto d'onore», ovvero della più nefasta conseguenza dell'adulterio, che
era la prima causa di fallimento del matrimonio e quindi la patologia più grave a cui il
divorzio («meglio una separazione di un omicidio») doveva rimediare. Tutte le altre regioni
del Sud e, altra sorpresa, il Trentino (50,6 per cento di sì) votarono compatte per
l'abolizione della legge Fortuna-Baslini.
L'Italia però non era più a metà del guado, con l'introduzione del divorzio scoprì d'essere
diventata un Paese più adulto. «Siamo cresciuti, siamo cambiati. Senza i promotori del
referendum non lo avremmo saputo. Bisogna ringraziarli», scrisse ironica ed emozionata
Oriana Fallaci.
E infatti siamo così cambiati che oggi la prima causa di divorzio non è nemmeno più
l'adulterio, ma la noia, assieme all'incomunicabilità e all'incompatibilità di carattere. Siamo
così cambiati che più dell'aumento dei divorzi (10.618 nel 1975, 54.456 nel 2009) colpisce
la diminuzione del numero dei matrimoni (419 mila nel 1972, 210 mila nel 2010). Non
siamo cambiati invece nella capacità di rendere difficile e persino odioso l'esercizio dei
diritti.
Così accade che per ottenere la sentenza di divorzio, che oggi dovrebbe arrivare dopo tre
anni dalla pronuncia di separazione, e nonostante 4 divorzi su 5 siano consensuali, si
impieghino «normalmente» dai sette ai dieci anni, con costi che riducono sul lastrico molti
21
coniugi e costi umani che li avvelenano e li tengono impegnati in una guerra permanente
che nemmeno La guerra dei Roses, il celebre film di Danny De Vito con Kathleen Turner e
Michael Douglas. Il risultato è quello che Paolo Guzzanti nella prefazione al libro I
perplessi sposi di Gian Ettore Gassani (Aliberti) ha definito «turismo divorzile»: per far
prima e meglio si stabilisce per poco tempo la residenza all'estero, ad esempio in Francia,
e si divorzia lì, facendosi poi trascrivere la sentenza in Italia.
Un altro calvario che, riconoscono molti giuristi, richiederebbe un aggiornamento della
legge 898 è quello degli obblighi di assistenza economica tra i coniugi anche dopo il
divorzio, mentre sull'affidamento dei figli si entra in una landa desolata che meriterebbe un
discorso a parte.
Siamo cambiati, non c'è dubbio.
Oggi se Domenico Modugno cantasse di nuovo “L'anniversario” verrebbe applaudito da
tutti. «Amore senza data, senza carta bollata/ Ti sposo ogni mattina e tu rispondi sempre
sì/ Noi non giuriamo niente, perché non c'è bisogno/ Con un contratto non si lega un
sogno...».
La canzone era a sostegno della legge sul divorzio, ma potrebbe andare benissimo anche
per il Family Day e il Gay Pride.
2526 - DIO NON ESISTE! E ADESSO ARRESTATEMI. – DI GIULIO C. VALLOCCHIA
Se io affermo che Dio non esiste corro il rischio di subire una condanna penale, questo
almeno secondo la sentenza di cui si parla su www.uaar.it/news/2012/10/22/proscioltomanlio-padovan-pm-dio-non-esiste-offesa/.
Basta dimostrare, non si capisce bene con quali criteri, che avevo l'intenzione di offendere
i cattolici e la galera è assicurata.
L'incredibile motivazione riguarda però solo i cattolici, avendo evidentemente il giudice
estensore delle motivazioni della sentenza, attribuito l'affermazione della non esistenza al
solo Dio esclusivo della religione cattolica. Se io invece dicessi, per esempio, Geova non
esiste, o Allah non esiste, o Giove non esiste, potrei essere indiziato e probabilmente
incriminato per offesa agli ebrei, agli islamici e ai pagani. Quindi per la proprietà transitiva
della divinità il rischio di galera dipende solo dal nome usato per identificare (con intenzioni
offensive dei relativi credenti) un qualsiasi dio menzionato nelle varie versioni della
Menzogna Globale .
Ebbene io, Giulio Cesare Vallocchia, affermo che nessun dio esiste, qualunque sia il nome
proprio che viene attribuito all'immaginaria entità soprannaturale da qualunque seguace di
qualunque religione.
E adesso arrestatemi!
Commento. Tramite l’associazione UAAR abbiamo reperito la “sentenza” di cui parla
l’amico Vallocchia. In effetti, si tratta di una richiesta di archiviazione risalente al 18 aprile
2011 emessa dalla Procura della Repubblica di Rovigo in ordine alle denunce mosse da
alcuni cittadini di Papozze (Rovigo) nei confronti del rappresentante UAAR Manlio
Padovan. La procura motiva la sua richiesta in base al fatto che l'affissione dei manifesti
(peraltro vidimati dall'Ufficio affissioni) con la dicitura "La cattiva notizia è che Dio non
esiste. Quella buona, è che non ne hai bisogno" costituisce sì una "offesa nei confronti
della popolazione di Papozze di culto cattolico", ma può invocarsi il "legittimo dubbio sulla
volontà dell'indagato di offendere direttamente chi professa una religione", anche se taluni
di essi si sono "obiettivamente ritenuti offesi".
Si tratta, come si dice in Italia, di "un colpo al cerchio e uno alla botte", che però contrasta
con il diritto di esprimere il proprio pensiero su problemi di fondo della società e dello
stesso genere umano.
Cosa sarebbe successo se uno scrittore o un giornalista avesse pubblicato un suo libro o
un suo articolo con lo stesso titolo dei manifesti? Sicuramente nulla. A Papozze, invece,
22
taluni "cittadini" integralisti si sono indignati, hanno strappato i manifesti e la polizia locale
è intervenuta rimettendo il tutto all'autorità giudiziaria.
Alla faccia della laicità dello Stato.(Giampietro Sestini).
2527 - DIVORZIO BREVE ALTRA PROMESSA TRADITA - DI MARIA N. DE LUCA
da: la Repubblica di sabato 27 ottobre 2012
Più che una legge, il fantasma di una legge. Appare, scompare, non viene mai discussa e
tutto resta com’è. Milioni di italiani la aspettano da decenni, eppure la legge sul divorzio
breve già pronta nel giugno scorso, è di nuovo scomparsa dal calendario dei lavori
parlamentari. Missing. Inabissata nella lunga lista di testi di legge che non approdano mai
alla discussione in Parlamento.
E guarda caso, commenta amara Giulia Bongiorno, presidente della commissione
Giustizia della Camera, «si tratta quasi sempre di temi che riguardano i diritti civili o i diritti
delle donne». La formula è semplice: “N. C.”, basta non calendarizzare, e quella legge
scompare, per anni e anni, in una nebbia di rinvii e di rimandi di cui si perde traccia. Ed è
questo il destino, sembra, del cosiddetto “divorzio breve”, disegno di legge che punta ad
accorciare i tempi della separazione, da tre a due anni in presenza di minori e da tre anni
a anno se nella coppia non ci sono figli. Una rivoluzione per il nostro paese, dove per un
divorzio “medio” cioè consensuale ci vogliono quasi 5 anni, due sentenze, due avvocati e
un fiume di soldi.
Così da ieri per denunciare il nuovo rischio di oblio della legge, i radicali della “Lega per il
divorzio breve” hanno iniziato uno sciopero della fame, sostenuti da coppie e cittadini che
da anni aspettano di poter sciogliere il proprio matrimonio.
Spiega Rita Bernardini: «È evidente che c’è un veto da parte delle gerarchie
ecclesiastiche, che fanno leva su alcune forze politiche perché la conferenza dei
capigruppo rinvii, sine die, la discussione della legge. E molti partiti incredibilmente
temono ancora oggi di spaccarsi su un tema come il divorzio, ma forse si vergognano di
ammetterlo. L’assemblea però si deve esprimere, avendo il coraggio di dire un sì o un no.
Questa legge era stata calendarizzata: perché è stata cancellata dall’ordine del giorno e
fatta scomparire?». Chissà, forse c’è chi pensa che «42 anni siano ancora troppo pochi
per modificare la legge sul divorzio» conclude sarcastica l’esponente radicale.
In effetti dall’approvazione nel 1970, passando per il referendum del 1974, i tempi delle
separazioni sono stati modificati soltanto una volta, nel 1987, passando da cinque e tre
anni. Nel 2003 la legge sul divorzio breve era riapprodata a Montecitorio, ma subito
affossata da Lega e Udc, con presidente della Camera Pierferdinando Casini. Poi soltanto
tentativi falliti.
«Eppure questa volta dopo un lungo lavoro di mediazione e la stesura di un testo davvero
moderato e attento, eravamo convinti di arrivare alla discussione » dice Giulia Bongiorno.
Invece... «Invece credo che l’Italia stia per ricevere dall’Europa la maglia nera per i diritti
civili. Sono cattolica, credente, ma so che le resistenze arrivano da lì, da quel mondo, da
chi crede erroneamente che il divorzio breve potrebbe minare l’unità della famiglia. Ma da
23
penalista vedo invece che è proprio dai tempi lunghi che nascono sofferenze e problemi».
E la deputata di FLI ricorda quante leggi sui diritti civili si sono arenate: il diritto della
madre a mettere alla nascita il proprio cognome al figlio, o la bocciatura sull’omofobia, «il
cui testo da quattro anni torna in commissione».
Aggiunge Guido Paniz, avvocato, ex leader dei padri separati, deputato PDL e relatore del
testo sul divorzio breve: «Sono veramente sconfortato. Da mesi chiedo perché la legge sia
scomparsa dal calendario, ma dalla conferenza dei capigruppo soltanto risposte evasive.
La verità è che molti partiti a cominciare dal mio sono spaccati, e più sensibili ai richiami di
Oltretevere che ai bisogni dei cittadini». E poi, incalza Paniz, «faccio l’avvocato da decenni
e so per esperienza che quando si è deciso di divorziare non si torna indietro, qualsiasi
siano i tempi della separazione».
Diego Sabatinelli, segretario della Lega per il divorzio breve, da ieri in sciopero della fame,
parla di una legge «depennata senza motivo», e di quelle nuove famiglie che i separati
formano nei lunghi anni di attesa del divorzio, «famiglie - dice Sabatinelli - senza tutele e
senza diritto».
Nebbie, silenzi, rinvii. E poche speranze che il divorzio breve torni all’ordine del giorno
prima della fine della legislatura.
Benedetto Della Vedova fa parte della conferenza dei capigruppo: «La legge slitta perché
tra i partiti non c’è la volontà politica di discuterla. E non credo che ci sia il progetto di
accelerare i tempi».
2528 - LIBERI DI MORIRE? - DI GRAZIELLA STURARO
Nei primi giorni di ottobre, presso il Circolo dei Lettori a Torino, è stato presentato e
riproposto dalla casa editrice Indiana il libro dal titolo “Liberi di morire. Dissertazione
filosofica sulla morte” di Alberto Radicati di Passerano, uno dei celebri rappresentanti
dell’Illuminismo italiano che Piero Gobetti definì “Il primo illuminista della Penisola”.
Aristocratico piemontese, consigliere di Vittorio Amedeo II durante il periodo di massima
tensione con la Santa Sede, esule a Londra e ufficialmente bandito dalla patria nel 1728
che, in seguito, si trasferì in Olanda dove morì nel 1737 completamente in miseria.
In realtà si tratta di un saggio sul suicidio raramente citato che ha sempre ottenuto scarsa
fortuna per giungere poi al Novecento quando tale tematica tornò al centro dell’attenzione
grazie a filosofi e sociologi dell’epoca, dal momento che, con le nuove correnti di pensiero
si cominciò a mettere in discussione l’esistenza di Dio e così anche l’etos cristiano. Un
argomento molto scomodo trattato sino agli anni ’60 nei paesi del Nord d’Europa. Periodo
durante il quale emerse la problematica dei suicidi in età adolescenziale per cui se ne
occuparono anche la psicologia e le scienze mediche.
Una dissacrante trattazione nella quale si cerca di trovare una giustificazione al suicidio
partendo dal presupposto che materia e movimento sono poco cercati da Dio e si discute
della circolazione del corpo dopo la morte partendo da nozioni scientifiche e ponendosi la
seguente domanda: perché avere paura della stessa?
Pertanto il fattore di disturbo rimane la religione cattolica con i suoi dogmi mentre il
giudizio che si dà all’azione è considerato un semplice costrutto psicologico umano.
L’uomo è un animale come tutti gli altri, la Dea natura concede la vita fino ad una
condizione e, cioè, quando la stessa diventa detestabile ed insopportabile.
Il professore Giuseppe Ricuperati, docente di Storia Moderna presso l’Università di Lettere
a Torino, al quale venne affidata l’opera che depose successivamente alla Fondazione
Einaudi, sostiene che quello di Radicati è un Illuminismo radicale in perfetto stile europeo
ossia la forma di pensiero del viaggiatore a contatto con il pluralismo delle società
dell’epoca. Ed è per questo che la sua esperienza può essere affiancata a quella di Pietro
Giannone, anch’esso personaggio di spicco della cultura illuminista italiana, che si trovò, a
causa delle persecuzioni, alla corte asburgica di Vienna sotto la protezione del Principe
24
Eugenio di Savoia-Soissons, grande nobile illuminato e mecenate di letterati e artisti,
figura esemplare dell’uomo moderno che, anche dal punto di vista strategico-politico,
pensava già ad un’Europa come unione di Stati esente da conflitti bellici.
Giulio Giorello, nella sua prefazione, cita Cesare Beccaria il quale, nel 1764, nella celebre
opera “Dei delitti e delle pene” dichiarava che “Il suicidio è un delitto che sembra non poter
ammettere una pena propriamente detta poiché ella non può cadere che o su gl’innocenti,
o su di un corpo freddo e insensibile”.
Lo stesso Giorello sostiene che è di questo tipo di Illuminismo che abbiamo ancora
bisogno, forse oggi più che allora, dal momento che in tempi come i nostri si insiste tanto
sul diritto alla vita e sull’obbligo di vivere ad ogni costo creando leggi che privano il
cittadino dell’autodeterminazione.
In effetti Radicati sosteneva la liceità del suicidio prescindendo dall’ira divina in quanto
sostituita dalla natura “costante e perpetua” nelle sue operazioni per cui la morte consiste
in una mera “dissoluzione delle parti corporee” che, dopo essersi separate, si trasformano.
Mentre la paura è un costrutto teorico creato da un’opera molto astuta e sottile di coloro
che, “audaci impostori”, pensano di essere interpreti assoluti della volontà divina e quindi
portatori di una verità altrettanto assoluta e indiscutibile.
E questo, partendo dallo sfruttamento di tutto il repertorio delle varie forme di scetticismo
sviluppate a partire dal Cinquecento inserite nella concezione di un universo senza confini,
cornice di una sorta di “relativismo morale” grazie alla quale si accettano e si giustificano
le diversità sconfinando nelle ricerche antropologiche.
Infatti, molto interessanti, sono le discussioni relative agli usi e costumi dei vari popoli
nonché alle diverse confessioni religiose ricordando celebri massacri e inaudite violenze
accadute nella storia sotto il patrocinio della chiesa romana.
Non manca il riferimento biblico.
“A chi fare ricorso dunque, perché sia stabilita la nuda verità per quanto riguarda la bontà
o la malvagità della morale?”. La certezza consiste nel fatto che se a tutti i pensatori
venisse posta la domanda di Pilato che pose a Cristo quando gli chiese “Quid est veritas?”
si comporterebbero con saggezza e rimarrebbero in silenzio senza esprimere alcun parere
su una cosa che non conoscono.
Ovviamente l’autore intervenne nell’acceso dibattito settecentesco sul suicidio causato dal
diffondersi del puritanesimo. Opere di grande rilievo furono il “Biathanatos” di John Donne,
edito postumo nel 1648, nel quale vengono smontate tutte le obiezioni mosse contro il
suicidio e le “Lettere persiane” del Barone di Montesquieu dove, per l’appunto, nella lettera
76, si giustifica “il diritto al suicidio” quando la vita diventa solamente sofferenza morale,
fisica e materiale.
E’ evidente che si trattava di argomentazioni che ruotarono nei circoli intellettuali
dell’epoca frequentati da nobili e borghesi di elevata cultura e apertura mentale i quali, già
trecento anni fa, sollevavano una questione sorta nell’ambito della filosofia greca
ragionando sui diritti umani individuali in rapporto all’etica.
Questione tuttora sospesa che sebbene ci ha portato verso l’esigenza e la concezione di
uno Stato laico lascia ancora numerosi interrogativi relativi all’eutanasia: a chi appartiene
la nostra vita? Nella situazione legislativa attuale del nostro paese possiamo considerarci
padroni del nostro corpo? Perché si vuole imporre il cosiddetto “sondino di Stato”?
In effetti come affermava Seneca nelle “Lettere a Lucilio” citate in epigrafe “Le cose umane
sono così ordinate che nessuno è infelice se non per sua colpa. Ti piace la vita? Vivi. Non
ti piace? Puoi tornare donde sei venuto”.
Purtroppo spesso l’uomo, durante il proprio percorso di vita, può trovarsi in determinate
condizioni di grande sofferenza fisica e psicologica sicuramente non per sua scelta e non
sta sicuramente a noi stabilire, in questi casi, ciò che è giusto e ciò che non lo è.
25
Lo stesso Radicati, ed in questo fortemente anticuriale, conclude con le seguenti parole
ossia “un uomo stanco o sazio di vivere può morire quando lo desidera senza recare
offesa alla natura, poiché morendo utilizza il rimedio che la natura gli ha generosamente
messo nelle mani per curarsi dei mali di questa vita”.
La Dissertazione, che non va considerata come un elogio al togliersi la vita e tanto meno
un’esaltazione dell’ateismo, fu definita dal suo stesso autore uno dei suoi “molto orribili
errori”, un semplice “libro inglese sulla morte”, ritrovato dopo quasi tre secoli da un
avvocato che lascia al lettore ancora molti dubbi ed una sola certezza: la libertà di scelta
come legittima e inalienabile.
L’uomo, se è il caso, “deve riprendersi il proprio corpo” anche con un gesto ritenuto da
molti sconsiderato e contrario alle leggi divine.
2529 - FRANCIA - SONDAGGIO SUL FINE VITA
Si riportano qui sotto i risultati più interessanti tratti dall’indagine condotta dall’IFOP
(Institut Français d'Opinion Publique) per la rivista Pèlerin Magazine tra il 4 e il 13
settembre 2012 su un campione di 2010 persone, tutte maggiorenni – Traduzione per
LiberaUscita di Christiane Krzyzyk
Ha già assistito fino alla morte un parente in fin di vita?
- Sì: 39%
- No: 61%
Pensando al fine vita, che cosa teme di più? (possibilità di dare 2 risposte)
- Perdere l’autonomia fisica: 43%
- Diventare un peso per i parenti: 32%
- La sofferenza fisica: 29%
- Perdere la ragione: 25%
- La solitudine, non essere circondato dai propri cari: 12%
- La povertà, la mancanza di mezzi: 10%
Pensando al fine vita, che importanza dà alla religione?
- Gradirebbe l’assistenza e l’accompagnato spirituale: 20%
- Non vi ha seriamente riflettuto, ci penserà quando il momento si presenterà: 33%
- Non accorda nessuna importanza alla religione: 47%
In Francia, l’attuale legge sul fine vita permette di:
- Attenuare le proprie sofferenze fisiche o morali - Sì: 37%, No: 48%, Nsp: 15%
- Evitare qualsiasi forma di accanimento terapeutico - Sì: 25%, No: 59%, Nsp: 16%
- Rispettare le volontà del malato sulla fine della sua vita - Sì: 19%, No: 68%, Nsp: 13%
L’eutanasia è una pratica che, sotto il controllo di un medico, mira a provocare il decesso
di una persona affetta da una malattia incurabile. Lei è favorevole o contraria alla
legalizzazione dell’eutanasia?
- Favorevoli: 86% (molto favorevoli: 35%, abbastanza favorevoli: 51%)
- Contrari : 14% (molto contrari: 4%, abbastanza contrari: 10%)
Per quali ragioni è favorevole all’eutanasia? (domanda posta soltanto a chi si è dichiarato
favorevole, dunque soltanto all’86% del campione).
- Volendo mantenere in vita persone molto gravi, a volte vengono inflitte loro sofferenze
inutili: 40% (54% cattolici praticanti, 41% cattolici non praticanti, 34% senza religione)
- Ognuno ha il diritto di disporre della propria vita e di decidere quando può “partire”: 36%
(20% cattolici praticanti, 34% cattolici non praticanti, 43% senza religione)
- Una vita troppo degradata dalla malattia, dall’handicap o dall’età troppo avanzata non è
più una vita degna: 18% (20% cattolici praticanti, 18% cattolici non praticanti, 19% senza
religione)
26
- Praticare l’eutanasia può permettere di alleviare il dolore dei parenti esposti alle
sofferenze dell’ammalato: 6% (6% cattolici praticanti, 7% cattolici non praticanti, 4% senza
religione)
Per quale ragione è contraria alla legalizzazione dell’eutanasia? (domanda posta soltanto
a chi si è dichiarato contrario alla legalizzazione dell’eutanasia, dunque soltanto al 14% del
campione).
- Esiste un reale rischio di deriva: pressione dei parenti, risparmi per il sistema sanitario:
41%
- Nessuno ha il diritto di togliere la vita né di chiedere che venga abbreviata la propria vita:
29%
- Ogni vita merita di essere vissuta fino in fondo: 19%
- E’ una grave responsabilità per il personale sanitario: 11%
2530 - FRANCIA - VERSO L'EUTANASIA ATTIVA? - DI CLAUDIO TANARI
da: www.cronachelaiche.it di mercoledì 10 ottobre 2012
Nelle sale francesi dopo essere stato presentato ai festival di Locarno e Toronto,
Quelques heures de printemps di Stéphane Brizé - cronaca di una relazione ritrovata in
extremis tra un figlio incompiuto e un'anziana madre malata terminale - affronta con
equilibrio e delicatezza il tema del fine vita.
Alain e Yvette, interpretati da Vincent Lindon ed Hélène Vincent, si metteranno in viaggio
verso la Svizzera, dove l'eutanasia è legale: insieme procederanno con dignità e dolcezza
lungo i passi previsti dal protocollo clinico.
Dopo Amour di Haneke, vincitore a Cannes e La bella addormentata di Bellocchio, sembra
che il cinema europeo individui nel difficile tema della diritto alla buona morte un
argomento particolarmente adatto a scandagliare le profondità dell'animo umano. Senza
ideologismi e convinzioni preconcette, in questo ambito davvero fuori luogo.
Il film di Brizé - che a noi italiani richiama irresistibilmente la vicenda dolorosa di Lucio
Magri - probabilmente proprio in ragione dei suoi toni misurati, pur nel realismo della sua
rappresentazione (quasi insostenibile il piano sequenza finale), ha suscitato in Francia un
forte interesse anche da parte dei massimi organi istituzionali.
Francois Hollande, dopo aver visto la pellicola e registrato il dibattito nel paese, ha infatti
disposto un'inchiesta sul fine vita a livello nazionale, incaricando il professor Didier Sicard,
presidente del Comitato nazionale consultivo di etica: entro dicembre l'indagine dovrà dare
indicazioni al governo in vista di una modifica della legge del 2005.
Si tratta della Legge Leonetti, dal nome del medico e deputato gollista che la promosse,
che autorizza già oggi l'eutanasia passiva: in Francia il malato terminale può rifiutare le
cure quando si configurino come accanimento terapeutico. E' per ora esclusa l'eutanasia
attiva, l'intervento del medico che pone fine alla vita.
Marisol Touraine, oggi ministro della Sanità, consigliera di Hollande per i temi sociali e
della salute, aveva dichiarato nel corso della campagna elettorale che avrebbe portato il
leader socialista all'Eliseo: «La legge Leonetti permette di lasciarsi morire. Oggi, invece,
dobbiamo permettere l'aiuto a morire».
27
E sembra che a pensarla così sia la maggioranza dei francesi. Eloquenti i dati del
sondaggio IFOP secondo i quali l'86 per cento della popolazione esprime un parere
favorevole "a una legalizzazione completa dell'eutanasia". Tra i non credenti la quota sale
al 94 per cento, ma la vera la sorpresa sta nel 59 per cento dei cattolici praticanti che
condividono l'opinione di gran parte dei loro concittadini.
2531 – USA - GRACE, LA NUOVA TERRI SCHIAVO
da: la Repubblica di sabato 6 ottobre 2012
NEW YORK — La ragazza che vuole morire ha tutto il diritto di farlo. La più alta corte dello
stato ha deciso che Grace Sung Eun Lee può fare staccare i tubi che la tengono ancora in
vita per non si sa però più quanto: perché Grace è malata terminale di tumore al cervello,
paralizzata dal collo in giù, e per lei non ci sono più speranze.
Grace è la nuova Terri Schiavo che divide l’America. Ma come nel caso di Terri Schiavo a
dividersi è prima di tutto una famiglia.
Grace ha 28 anni, fa l’analista finanziaria, e ha confessato ai medici del North Shore
University Hospital, Manhasset, New York che non sopporta più di vivere così com’è: e
dice basta all’accanimento terapeutico. Ma i suoi genitori si oppongono. Sono immigrati
coreani e sostengono che staccare i tubi è contro la loro religione: di cui il padre è anche
un pastore. Per lui smettere la terapia sarebbe, per la ragazza, un suicidio. Grace finirebbe
all’inferno.
Proprio come nel caso di Terri Schiavo, anche qui c’è una prova che dimostrerebbe che
Grace deve vivere: è il video registrato dai genitori sta già facendo il giro di YouTube. C’è
un uomo che solleva il capo della ragazza: «Vuoi che sia tuo padre a prendersi legalmente
cura di te per cure?». «Sì». «E quando vorresti lasciare l’ospedale?». «Subito».
Quell’uomo è il cugino e il video dura solo 24 secondi. Troppo pochi: i critici sostengono
che possa essere stato manipolato. Anche perché quello che Grace dice nelle immagine è
il contrario di quello che raccontano i medici.
«Noi vogliamo solo aderire alla sua volontà», dice Terry Lynam, la portavoce dell’ospedale
che col New York Times non vuole però commentare sul video. Chiamato senza mezzi
termini: «Grace ci dice che vuole lasciare quest’ospedale».
La battaglia non è solo giuridica. Lo psichiatra della clinica sostiene che - malgrado la
malattia terminale - Grace è in grado di intendere e prendere le sue decisioni da sé. Il
padre Man Ho Lee, pastore dell’Antioch Missionary Church nel Queens, giura invece che
è stata manipolata dai dottori: «E’ sotto la loro influenza».
Il dramma è cominciato nell’ottobre dell’anno scorso e la malattia implacabile ha in
brevissimo travolto questa ragazza che lavorava alla Bank of America e si stava allenando
per la maratona di New York.
Malgrado il video su YouTube, la sentenza dell’alta corte adesso raccoglierebbe le sue
ultime volontà: fine della corsa.
2532 – USA - POTER MORIRE COME MIO SUOCERO, SENZA PIU’ ACCANIMENTO
da: la Repubblica di mercoledì 10 ottobre 2012 – di Bill Keller, giornalista premio Pulitzer
28
Il Liverpool Care Pathway adatta al contesto ospedaliero molte pratiche di assistenza in
genere limitate agli ospizi, offrendole a un maggior numero di pazienti terminali. «Non si
tratta di affrettare il decesso», dice Sir Thomas, «ma di riconoscere che una persona è
giunta alla fine della propria vita, e di offrirgli delle scelte. Desidera una maschera di
ossigeno sul volto? O vorrà baciare la moglie?».
I medici di Anthony Gilbey avevano concluso che non avesse senso prolungare
un’esistenza vicinissima alla fine, tormentata da dolore, immobilità, incontinenza,
depressione, progressiva demenza. Il paziente e i familiari erano dello stesso avviso.
Perciò l’ospedale ha smesso di somministrare insulina e antibiotici, scollegato i tubi
d’alimentazione e idratazione, lasciando solo una fleboclisi per tenere sotto controllo
dolore e nausea.
L’andirivieni di maschere d’ossigeno, termometri, apparecchiature per misurare la
pressione e monitorare il battito cardiaco è stato interrotto. Le infermiere hanno trasferito il
paziente in una camera silenziosa, lontana dal bip bip dei macchinari, in attesa del
trapasso.
Negli Stati Uniti, nulla infervora il dibattito sulle cure sanitarie più che la questione di
quando e come negarle. Il Liverpool Care Pathway, o altre varianti, oggi rappresenta la
norma negli ospedali britannici e in diversi altri Paesi, ma non in America. Questo per un
motivo ovvio, e per un altro, meno ovvio.
Il motivo ovvio è che i paladini di simili iniziative sono stati demonizzati: criticati dalla
Chiesa cattolica nel nome della “vita” e diffamati da Sarah Palin e Michele Bachmann in
nome di un vile tornaconto politico. I sostenitori britannici dell’approccio Liverpool sono
stati vittime di attacchi analoghi — in particolare dai lobbisti che si battono per il “diritto alla
vita”, che lo vedono come una sorta di eutanasia, ma anche dei paladini dell’eutanasia,
che non lo considerano sufficientemente “eutanasico”.
Le indagini sulle famiglie che si sono avvalse dell’approccio Liverpool rilevano pareri
favorevoli; tuttavia, è inevitabile che certe pratiche che toccano le corde più intime delle
famiglie e richiedono il coordinamento di diverse discipline mediche, infermieristiche e di
consulenza familiare, non riescano sempre ad assicurare una fine agevole quanto quella
di mio suocero.
Sospetto, però, che il problema meno ovvio derivi dal fatto che in America i promotori di
simili iniziative tendano a presentarle come una questione economica: un quarto o più dei
costi dell’assistenza sanitaria si concentra nell’ultimo anno di vita. Questo indica che
stiamo sperperando una fortuna per garantirci qualche settimana o mese in più di vita, da
trascorrere attaccati a delle macchine e consumati dalla paura e dal disagio.
L’esigenza di contenere la spesa sanitaria è indubbiamente impellente. Il piano promosso
da Obama è un punto di partenza, poiché prevede l’istituzione di una commissione che
identifichi possibili aree di risparmio. Ma non è che un inizio. Il buon senso suggerisce che
potremmo risparmiare ulteriormente negando le cure mediche nei casi in cui, anziché
salvare una vita, servano solo a prolungare per breve le sofferenze.
Tuttavia, credo che si tratti di una posizione discutibile dal punto di vista economico e
pessima sotto il profilo politico. Infatti, a prescindere dal buon senso, le prove che queste
procedure producano un risparmio sono poche. Studiando i dati, piuttosto lacunosi,
Emanuel conclude che, a parte l’assistenza ai malati di tumore, le misure prese per
eliminare trattamenti vani nei pazienti prossimi alla morte non si sono tradotte in risparmi
significativi.
Anche se si riuscisse a dimostrare che le iniziative come il Liverpool Pathway consentono
risparmi cospicui, promuovere l’assistenza per il fine vita per motivi fiscali alimenta i timori
di chi ritiene che il sistema medico-industriale abbia fretta di portare i nostri cari all’obitorio
per risparmiare il costo dei medici e liberare posti letto. Quando chiedo a degli specialisti
29
britannici se il protocollo di Liverpool riduca effettivamente i costi, questi rispondono di non
aver mai posto una simile domanda, né di aver intenzione di farlo.
«Quest’anno sono usciti articoli molto sgradevoli sul Pathway, descritto come un modo per
uccidere i pazienti in fretta e liberare posti letto», dice Sir Thomas. «Il momento che si
tocca quel tasto si rischia di mettere a rischio l’intero programma».
In America nulla accade senza un’analisi costi-benefici, ma l’argomento a favore di una
morte meno straziante potrebbe poggiare su una base più neutra, meno inquietante,
ovvero sul fatto che si tratta semplicemente di una morte più umana.
Nei sei giorni precedenti alla morte, Anthony Gilbey, avvolto in una coltre di morfina, ha
ripetutamente perso e riacquistato coscienza. Libero da tubi e da medici solleciti, ha potuto
ricordare il passato, scusarsi, scambiare battute e promesse di amore con la famiglia,
ricevere i sacramenti cattolici e ingoiare un’ostia che è stata forse il suo ultimo pasto. Poi è
entrato in coma. È morto umanamente: amato, dignitoso, pronto.
«Ho combattuto la morte tanto a lungo», aveva detto a mia moglie verso la fine. «È un tale
sollievo potersi lasciare andare». Sarebbe bello se tutti potessimo morire come lui.
(©The New York Times La Repubblica -Traduzione Marzia Porta)
2533 – MASSACHUSSETTS - SI PUÒ MORIRE CON DIGNITÀ - DI ARNALDO BENINI
da: il Sole 24 ore di domenica 14 ottobre 2012
II 6 novembre prossimo gli elettori dello Stato americano del Massachusetts voteranno
non solo per eleggere il Presidente degli Stati Uniti, ma anche su una legge che consente
ai medici di fornire a un ammalato in fin di vita medicamenti per porre termine alla tortura
dell'agonia. Il paziente deve averne fatta esplicita richiesta in condizioni mentali intatte. Si
tratta del aid-in-dying o physician-assisted suicide, cioè del suicidio assistito. Lo scritto
distribuito agli elettori del Massachusetts è esemplare per chiarezza e misura.
Fa parte del benessere generale sapere che è in vigore una procedura ben definita e
senza rischi con la quale un cittadino del Massachusetts, che ha appreso dal medico di
soffrire di una malattia terminale che lo porterà a morte entro sei mesi, possa disporre, con
piena consapevolezza, di un medicamento, che prenderà di sua iniziativa, per morire con
umanità e dignità. La procedura deve essere volontaria per il malato, per coloro che
l'hanno in cura e per il medico.
Negli Stati Uniti il suicidio assistito è consentito nell'Oregon dal 1998 dopo un referendum
del 1994. L'Oregon fu il primo paese al mondo ad approvare il Death with Dignity Act.
Nello Stato del Montana fu introdotto nel 2009 per decisione della Corte Suprema, nello
stato di Washington nello stesso anno dopo referendum. Il suicidio assistito è consentito in
Svizzera e in Lussemburgo, in Olanda dal 2001 e in Belgio dal 2002. In Lussemburgo,
Olanda e Belgio non c'è distinzione fra suicidio assistito ed eutanasia attiva (proibita in
Svizzera), preferita perché - scrive Marcia Angeli - la procedura è più rapida e più gradita
al malato e ai familiari. Nel giugno di quest'anno la Corte suprema della British Colombia
ha respinto la legge canadese contraria al decesso volontario assistito (suicidio ed
eutanasia). Se non ci saranno ricorsi, la British Colombia avrà presto la stessa legge di
Olanda, Belgio e Lussemburgo. Nel Nord dell'Australia il suicidio assistito fu consentito nel
1996, poi, per iniziativa dell'Australian Medical Association, fu proibito dal parlamento
federale. In Inghilterra, nonostante il favore dell'80% della popolazione, compresi credenti
cattolici e protestanti, la proposta di consentire il suicidio assistito, appoggiata dal Roval
College of Physician Committee on Etìlical Issues in Medicine, fu respinta dalla Camera
dei Lords nel 1995.
In Massachusetts, secondo un sondaggio del 2005, il 70% erano favorevoli, oggi
sarebbero il 50%, nonostante l'opposizione della Massachusetts Medicai Society e le
parole sferzanti del vescovo di Boston, Cardinale Sean O'Malley, secondo il quale il
suicidio assistito non è un atto di pietà ma una sheer brutality, una "pura brutalità".
30
La procedura è più o meno uguale ovunque. Il medico, dopo aver visitato, spesso più
volte, il paziente per accertare la gravità e l'inesorabilità della malattia stabilisce il dosaggio
di barbiturati, in genere diluiti, che l’ammalato prende dal comodino accanto al letto, di
solito nella sua abitazione. Il malato porta alla bocca la soluzione e la beve sapendo che
dopo meno di due minuti gli s'insegna di versare la soluzione nella sonda gastrica o a
iniettare il medicamento per endovena.
Non è, di fatto e giuridicamente, eutanasia perché non è il medico (o una terza persona),
ma il paziente a compiere l'atto fatale. Dopo il decesso sono informate polizia e
magistratura.
Marcia Angeli, per anni direttrice del prestigioso settimanale medico «New England
Journal of Medicine», coglie l'occasione del referendum in Massachusetts per tracciare la
storia di come, negli Stati Uniti, e nel mondo, a partire dal 1976, lentamente cambiasse la
considerazione della morte. La storia, di cui la Angeli fu in parte protagonista per i lavori
che fece pubblicare nel suo Journal a favore di procedure secolari e non ideologiche, è un
va e vieni di decisioni coraggiose e lungimiranti e poi ritratte, di passi nella giusta direzione
ostacolati non solo da religiosi ma anche da laici, di zuffe spesso poco decorose fra
credenti e atei, o fra laici e clericali.
Si sono raggiunti in ogni modo alcuni risultati. Presto s'identificò la morte con la morte
cerebrale e non con l'arresto di cuore e respirazione, che consentì il trapianto d'organi. La
diagnosi di morte della corteccia cerebrale nello stato vegetativo permanente sta portando
la discussione sul senso della sopravvivenza delle persone colpite su un piano realistico.
A partire dal 1980 in tutti gli Stati Uniti è accettato che il malato possa rifiutare i
provvedimenti che lo tengono in vita (life support), ma rimane strettamente vietato ai
medici di interrompere attivamente una vita (mercy killing), anche se ciò è desiderato - a
volte con la disperazione di una sofferenza immensa - dal malato.
Nel 2009 la Chiesa cattolica e quella protestante tedesca hanno elaborato un documento
comune che consente sia la "eutanasia indiretta" (somministrazione al paziente morente di
farmaci sedativi che come effetto secondario possono accelerare il subentrare della morte)
sia la "eutanasia passiva" (sospensione di trattamenti come l'alimentazione e la
respirazione artificiale, la dialisi, la somministrazione d'antibiotici) in malati inguaribili o
terminali che ne facciano richiesta. Il problema del suicidio assistito, avverte la Angeli, si
pone spesso per quei pazienti in cui la sospensione dei trattamenti non comporta
inevitabilmente la morte (ad esempio nelle orribili depressioni, come quella che indusse al
suicidio assistito Lucio Magri).
Dal momento che il suicidio è un diritto inalienabile e naturale, la persecuzione legale di
chi assiste il malato che vuole uccidersi in condizioni senza scampo, in società
secolarizzate, è incomprensibile. Il suicidio assistito è molto più umano, ha scritto il teologo
cattolico Hans Kung, che gettarsi sotto il treno, spararsi, annegarsi, precipitarsi nel vuoto.
La sua legalizzazione per referendum nello Stato più cattolico d'America sarebbe un
segnale importante nella direzione di consentire a ogni essere umano di decidere come
porre termine alla sua vita senza imposizioni estranee alle sue convinzioni.
2534 - BOSTON - SI VOTA SUL SUICIDIO ASSISTITO - DI CHIARA LALLI
da: Corriere della sera di domenica 28 ottobre 2012
Il prossimo 6 novembre i cittadini del Massachusetts voteranno sul suicidio assistito. Se la
maggior parte sceglierà per la legalizzazione, sarà il terzo Stato degli Usa, dopo l'Oregon
e Washington, a permettere ai medici di prescrivere un farmaco letale. Il Massachusetts
Death With Dignity Act consentirebbe ai residenti di scegliere di morire in caso di malattia
terminale, o meglio di scegliere come morire nel caso in cui l'aspettativa di sopravvivenza
sia inferiore ai sei mesi, le condizioni di vita siano insopportabili o il dolore intrattabile. Il
dibattito, come sempre quando si discute delle decisioni di fine vita, è infuocato.
31
A opporsi sono i gruppi religiosi, le associazioni di disabili - principalmente per ragioni di
principio - e quelle mediche, che mettono in guardia dai possibili abusi e dalla inevitabile
vaghezza di alcune condizioni stabilite. Di diverso avviso molte associazioni di pazienti e
di malati di Aids. Per molti c'è il ricordo di un proprio caro alle prese con una grave
malattia, per tutti il pensiero di che cosa farebbero se accadesse loro. La controversia va
ben oltre la legalizzazione, ma investe l'autonomia individuale e il rapporto tra medico e
paziente.
Una paura diffusa riguarda il messaggio che deriverebbe dalla legalizzazione, il rischio di
suggerire o peggio imporre la rassegnazione ai malati e di vedere aumentare le richieste.
Per evitare questo la proposta prevede un'attenta valutazione della capacità di intendere e
di volere e delle modalità della richiesta, oltre a stabilire come condizione necessaria la
consapevolezza delle alternative. Inoltre può essere utile sapere che cosa è successo nel
2011 in Oregon e Washington (rispettivamente con 3 e 2,5 milioni di abitanti): in entrambi
gli Stati poco più di 100 pazienti hanno chiesto la prescrizione, e circa 70 ne hanno fatto
uso. È abbastanza frequente ascoltare dai malati che il solo sapere di potervi fare ricorso
è rassicurante.
Vi sono poi casi come quello del reverendo Tim Kutzmark, della Unitarian Universalist
Church of Reading. Fortemente contrario quando studiava all'Harvard Divinity School, oggi
è convinto che proibire il suicidio assistito sia una violazione della sacralità della vita. A
fargli cambiare idea, secondo l'Associated Press, è stata la conoscenza del «mondo
reale», soprattutto quello di un suo amico malato di Parkinson.
Qualunque sia il nostro parere, il Death With Dignity Act ha il merito di offrire una sezione
di definizioni dei termini necessari per la discussione, a partire da «medico» fino a concetti
complessi come «capace» (di prendere decisioni in ambito sanitario) e «decisione
informata», e di invitarci a riflettere su una questione profondamente mutata
dall'avanzamento della medicina: la nostra morte.
2535 – URUGUAY - L’ABORTO È LEGGE DELLO STATO
da: ADUC Salute n. 42 del 18 ottobre 2012
Il Senato uruguayano ha approvato oggi un disegno di legge per la depenalizzazione
dell’aborto, una riforma già passata al vaglio dalla Camera dei Deputati e che ora dovrà
essere promulgata in legge dal presidente della Repubblica, Josè Mujica, che ha
dichiarato che non ne ostacolerà l'applicazione.
La norma è stata approvata da 17 senatori su un totale di 31, ossia tutti quelli che
appartengono al Frente Amplio (Fa, coalizione di sinistra, al governo) e uno
dell’opposizione.
Mujica ha dichiarato che – contrariamente al suo predecessore, Tabar Vazquez, anche lui
del Fa - non porrà il veto presidenziale sulla riforma, ma l’opposizione ha già annunciato
che organizzerà un referendum abrogativo.
La legge sulla depenalizzazione dell’aborto – che in America Latina esiste solo a Cuba e
in Guyana - ha provocato un forte dibattito nella società uruguayana, e il testo finalmente
approvato oggi in via definitiva dal Parlamento ha scontentato tanto i favorevoli quanto i
contrari alla legalizzazione dell’interruzione della gravidanza.
Se gli antiabortisti si oppongono al principio stesso della legge, infatti, i pro sostengono
che risulta troppo restrittiva, giacché si applicherà solamente durante le prime 12
settimane di gestazione e le donne che desiderino ricorrere ad essa dovranno prima
incontrarsi con una commissione composta da medici, psicologi ed assistenti sociali per
spiegare i motivi della decisione. La commissione – che non autorizza nè proibisce l’aborto
- dovrà “contribuire a superare le cause che possono indurla all’interruzione della
gravidanza, assicurandosi che disponga delle informazioni necessarie per prendere una
decisione conscia e responsabile”.
32
2536 - LE VIGNETTE DI MARAMOTTI: I CONSIGLI DI ALFANO
2537 - LA DIFFERENZA TRA CREDENTI E NON CREDENTI
2538 - LE VIGNETTE DI ELLEKAPPA: LE SENTENZE SI RISPETTANO
33