L`inverno, stagione dell`anima

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L`inverno, stagione dell`anima
GIOVEDÌ
18 FEBBRAIO 2016
La Guida
37
IL LIBRO / “Dentro le sue parole, come conchiglie, risuona il mare della libertà interiore perché i versi sono scavo dell’anima”
ANDOA I L’OMA PIJALA NA PARÒLA PARÈJ?
L’inverno, stagione dell’anima
Il “malëzzo”
o “merze”, nome
nato in area
francoprovenzale
Con “Litre d’ënvern”, il monregalese Remigio Bertolino si conferma
come una delle voci liriche più intense della poesia in lingua piemontese
Con Litre d’ënvern (Lettere d’inverno) Remigio Bertolino si conferma una delle voci
liriche più intense della poesia
in lingua piemontese e uno dei
più apprezzati poeti contemporanei. Il suo esordio avviene a metà degli anni Settanta
con piccole raccolte brevi, scritte nella parlata nativa di Montaldo di Mondovì. Determinante è l’incontro con Antonio Bodrero, Barba Tòni, poeta in provenzale e in piemontese, attivamente impegnato nella difesa
delle culture e delle lingue “tagliate”. Da lui prende coscienza dell’enorme patrimonio di
immagini e di vissuti racchiusi nella civiltà contadina e della
grande forza evocativa della lingua piemontese. Oggi la sua poesia è presente in tante antologie dedicate alla poesia in dialetto.
In questa sua ultima opera,
di notevole ricchezza metaforica e semantica, ritornano motivi fondanti quali l’inverno e la
neve, il vento e il silenzio, l’orfanezza e la morte, la povertà
e il mondo contadino. Il poeta,
nell’irto e aspro dialetto del paese natale, ritrova le parole materne che danno senso alla sua
poesia e ritrova quelle ancora
più antiche della nonna, parole
di pietra, un grande patrimonio
di immagini e di vissuto racchiusi nella civiltà contadina.
Il titolo è un po’ la cifra della
poetica di Bertolino perché l’inverno è la sua stagione dell’anima, con la neve, quella d’antan: Per la poesia / e gli orfani /
la neve / era una buona madre.
/ Ci chiudeva / nel suo manto
di candore. / Una conchiglia di
nuvole, / un tempo di luce e meraviglia.
Più avanti ricorda: Ho scritto
/ una lettera / con la neve / a farmi luce / dai vetri.
Remigio ama anche il silenzio, un silenzio che disegna i
paesaggi dell’anima: Il silenzio
di pietra, / come un baco, / ha
ilato la casa / e la mia mente.
In comunione con la natura,
lui ascolta anche il vento che
entra in casa dalle fessure dei
vetri e diventa musica: C’erano
delle notti / che il vento, dita di
gelo, / pizzicava gli abeti / come
arpe verdi.
Il luogo di elezione per la neve, il silenzio e il vento non può
che essere la montagna, una
terra povera, abitata da silenzi
perfetti e da fatiche indicibili. Il
poeta dà voce a rosari di pena,
fatica e lavoro, con versi essen-
ziali e con parole scarne che riscattano quelle esistenze.
In Litre d’ënvern ci sono anche i sogni e l’incanto delle piccole cose. “Lo scalpellìo quotidiano delle piccole cose preserva i ricordi”, scriveva la giovane
poetessa Antonia Pozzi, e in Remigio l’intensità delle emozioni
cattura una luce che abbaglia,
come scaturita da una sorgente interiore. Gli oggetti, manufatti dell’uomo, diventano condensatori di storie e gli odori, i
profumi, riportano proustiane
madeleines di ricordi, assieme
a una sinfonia di voci sperdute,
strappate al buio e al silenzio:
Ora la campanella / della sera ci
chiama. / I nasi vanno dietro / le
nuvole di vapore:/ anime di cavoli, patate, / a sciami nei limbi / freddi dei corridoi. / Tonin
si piega sulla mia spalla / e sussurra: “Orfanello, poveri orfanelli” / Nei suoi occhi / splendore di stelle.
Aggrappato al filo della memoria, Remigio vince il silenzio dei luoghi perduti e ci dà
l’atmosfera di un tempo di vite grame, ma vere. Un tempo
di uomini, forgiati dalla fatica e
dall’onestà, che vivevano in armonia con la natura. Un tempo, quello, connotato da oggetti
semplici, desideri modesti e sogni poveri.
L’ultima sezione del libro,
edito nel novembre del 2015 in
una sobria ed elegante veste per
i tipi di Nino Aragno editore,
racchiude una grande tragedia:
la guerra del sale. Sono quindici poesie già edite, nel 2012,
da Blu Genziana. Viene ricordato il massacro, avvenuto alla ine del Seicento, della gente
di Montaldo che si era ribellata
all’imposizione della gabella sul
sale imposta dai Savoia ai Comuni del distretto di Mondovì.
Il paese fu epicentro di violenti
scontri che causarono l’incendio di intere frazioni, l’abbattimento dei castagneti, l’impiccagione dei giovani e deportazioni di massa. I versi del poeta monregalese diventano preghiera e scorrono come grani
di rosario: Come si dondola la
neve / sull’altalena azzurra del
vento, / si dondolano al vento / i
giovani impiccati.
L’anima diventa uno specchio a lutto, ma il dolore, se vissuto in fondo, non è mai inutile. C’è sempre un tempo di luce e di meraviglia e l’anima può
nuovamente germogliare.
Argonauta dell’anima, Remigio Bertolino dispiega la vita,
ne scopre gli abissi, ripercorre
le vaste lande della memoria, riconosce e recupera fonti di gioia e rivela l’ininito divenire della vita. Dentro le sue parole, come conchiglie, risuona il mare della libertà interiore perché
i versi sono scavo dell’anima: E
poi che grafi, / che grovigli neri / sul foglio, / dentro l’anima…
E sono sempre le emozioni a
strappare barlumi di signiicato
al disordine della vita e a offrire
ponti di speranza.
Remigio Bertolino, Litre
d’ënvern, Lettere d’inverno, Nino Aragno editore, euro 10.
Marita Rosa
IL LIBRO / Le poesie di Maria Silvia Caffari in un’edizione senza pretese per una raccolta di notevole livello artistico
Forma boschi di grande valore paesaggistico e ha dato
un contributo fondamentale
allo sviluppo della civiltà alpina nelle vallate, grazie alle caratteristiche del suo legno: è
il larice e il suo nome in piemontese e in tutte le parlate
delle nostre montagne passa
da “malëzzo” a “merze” con
numerose variazioni sul tema.
Oltralpe si chiama
“mélèze”, e i linguisti concordano che questa parola è stata introdotta in Francia e dintorni dalle parlate francoprovenzali (dal Delinato nella fattispecie). Nell’area alpina a cavallo tra Italia, Francia e Svizzera questo albero è spesso indicato con nomi che trarrebbero origine
da una radice preromana, individuata nelle voci galliche
“melatia” o “melic”, che designavano proprio il larice.
Queste hanno lasciato nume-
rose tracce in nomi di luogo
(per esempio il Melezé a Bellino) e, secondo alcuni, deriverebbero a loro volta da una
radice “*meli” (non attestata in alcun documento) che
indicava la resina (il “miele”)
di questa conifera. Il “Trésor
de la langue française” sostiene l’ipotesi dell’origine gallica
ipotizzando in più un incrocio tra la radice celtica “*mel”
e il latino “laricem”. L’italiano, lo spagnolo e diverse lingue del Nord Europa invece
designano questo albero con
un nome che deriva dal latino “larix” (tedesco “Lärche”,
spagnolo “alerce”, svedese
“lärk” e così via).
Una curiosità: in francese
la parola “mélèze” era inizialmente femminile (1552), salvo poi diventare maschile più
recentemente (dopo il 1750),
in analogia con i nomi degli
altri alberi.
Paolo Caroni
A CURA DI
ELISABETTA LERDA
APPUNTAMENTI
LETTERARI A CUNEO
E IN PROVINCIA
Tra dolci nostalgie e affreschi dei luoghi cari Incontri con gli autori
irrompono le vicende della vita quotidiana
S
S
CUNEO
Stampate in proprio, escono
queste nuove poesie di Silvia
Caffari - l’intelligente collaboratrice di Giorgio Buridan.
Questa è una raccolta di testi, composti fra il 2014 e il
2015, nei quali si traccia il quadro di un’intera esistenza, insistendo non solo sulle note di
una dolce nostalgia per ciò che
non è più, ma ricavando un affresco di luoghi cari, legati ai
ricordi indelebili dell’infanzia e reso più suggestivo dalle note di una pungente mestizia. Sono richiami ad un tempo cronologicamente lontano, ma sempre vivo nel cuore,
benché sepolto sotto il cumulo
di tante esperienze. Un “passato estinto”? - come recita uno
dei testi più intensi. Non direi,
perché tutto della sua Mondovì
è impresso nel cuore di Silvia e
viene rivissuto con grazia e misura. Come sempre, resta vivo
il rimpianto per Giorgio Buridan (si veda “La bambina che
fingeva il sonno”), ma affiorano tante altre cose, e la stessa
epigrafe evangelica (“simile ad
un padrone di casa che estrae
dal suo tesoro cose nuove e cose antiche”, da Matteo, 13,52)
coglie felicemente il carattere
di questa silloge che è un inno
alla città in cui Silvia è vissuta
giovanissima, restando segnata
da episodi, da persone, da fatti
e dall’architettura stessa di un
luogo indimenticabile.
Il libro è specchio di una
profonda sensibilità che rende suggestivi non solo i passati
momenti della propria esistenza ma altrettanto quelli della
piccola vita cittadina. La ricchezza tematica vi appare straordinaria. Ricorrono felici metafore; fresche immagini colgono con garbo momenti di vita remota. Cose rivissute a tanti anni di distanza perché fortemente impressi nella psiche
ancora bambina. Fresche sensazioni afiorano da un passato lontano (“un odore di tanti odori / l’odore della notte di
Natale”- ne “I doni del Natale”).
Frequente la poesia della memoria: cose lontane nel tempo,
ma vicine al cuore. Un piccolo mondo di volti e cose quotidiani; umili posti, cari al ricordo che fa rivivere tante persone
e restituisce loro una dimensione affettuosa. Originali, affascinanti paragoni e vivaci similitudini; ricchezza di echi e richiami; notevole messe di immagini e suggestioni (si veda
“Sotto le stelle lontane”) o ancora: “Soltanto i bambini nei
giochi della sera / contendevano alle rondini le frenesie dei
tramonti” (“Venticinque lire”).
Come si sa, riandando ai cari volti o ai cari posti della pro-
pria infanzia, afiora alla mente un gran numero di cose, ma
pochi, se non chi ha cuore di
poeta, sa rendere al vivo questa
“ricerca di un mondo perduto”. Si vedano, per fare qualche
esempio, “Gli orti abbandonati”: bella concentrazione di impressioni, di immagini parlanti (“Si stende un silenzio d’ombra / ricade tra gli orti l’azzurro / socchiudono gli occhi i iori”). Oppure si legga “Via delle scuole”, vivace quadretto di
ambiente. E tante le presenze
umane colte in prospettiva, e
tanti gli scorci di un paesaggio
nitido e teneramente rivissuto.
Molte le definizioni calzanti e
gli accostamenti originali (“tutto si dissolveva senza memoria
/ nel deserto della notte…”).
Il testo è colmo di riferimenti
a luoghi e ad angoli monregalesi (“la strada per Carassone, / la
tranquilla bellezza / dell’affacciarsi sulle colline…») con particolari incisi nella memoria
che a tratti si riaffacciano e acquistano rilievo. Metafore sempre nuove e incisive: “le balconate / colme di oscurità”; “Si ritraevano scoperti / i fantasmi
/ con un frusciar di abiti / polverosi / in un pulviscolo di piume” (“Il teatro sociale”); geniali
lampi, originali e inediti accostamenti (ib.).
Altrove la Caffari prende
spunto da fatti dell’esistenza
quotidiana per ricavare considerazioni sulla vita e ora sono
brevi ma incisive immagini ora
sono rapidi flashes che squarciano il velo su un tempo lontano. Si noti il felice impressionismo visivo del “Funerale a
Piazza”; o ne “Il Santissimo”, la
bella pagina di poesia religiosa
colma di lontane reminiscenze.
Ne “La Madonna di Mondovì”
una fantasia plastica “legge” i
monumenti e ridona loro freschezza di vita. O ancora “La
Madonna Bambina” (“Il mistero grazioso/ dell’infanzia immortale, / avvolta in fasce l’innocenza / che disarma ogni arroganza…” con delicate immagini dell’infanzia. O “La mia
maestra”, dove risaltano episodi incisi nella memoria con vivida precisione. Altrove invece
appaiono vivaci ritratti di persone (“Giuseppina Hoffer”) con
lampi di verità rivelate da piccoli particolari impressi nell’animo: “Come un’ombra a protrarre il rimpianto / per una
vita ch’era da vivere altrove”
(“Don Pirata”) o come in “Claudia Greggi”. Così bella e originale, così densa di motivi e di
igure, questa raccolta meriterebbe un’edizione nazionale
che la restituisse ad un pubblico e ad una risonanza più vasti.
Carlo Luigi Torchio
18 FEBBRAIO
TANTESÈT ONÈT
Giovedì 18 febbraio alle 18, presso l’Ippogrifo Bookstore di
corso Nizza 1, presentazione del volume “Stantesèt Sonèt”, di
Giovanni Tesio (2015, Centro Studi Piemontesi). In sala sarà
presente l’autore. Introduce Mario Cordero.
SAVIGLIANO
18 FEBBRAIO
DAL CUNEESE ALLA LIBIA
Giovedì 18 febbraio alle 21, presso la Sala Mutuo Soccorso,
in piazza Cesare Battisti, presentazione del volume “Dal Cuneese alla Libia. 1911-1912 La guerra dimenticata”, di Luca Martini, Elena Angeleri, Emanuele Forzinetti (2015, Araba Fenice).
Interviene Sergio Soave. Presenta Giulio Ambroggio.
SALUZZO
19 FEBBRAIO
L’EREDITÀ DELL’ARTE
Venerdì 19 febbraio alle 17,30, nella Sala Verdi della Scuola di Alto Perfezionamento Musicale, per la rassegna “Un libro
per the”, presentazione del volume “L’eredità dell’arte”, di Silvana Cincotti (Arpeggio Libero, 2015). Insieme all’autrice intervengono Daniela Botto, Denis Campana, Nicole Ninotto e Livio Secco.
BORGO S.D.
19 FEBBRAIO
SCHIZZI D’AUSTRALIA
Venerdì 19 febbraio alle 21, nella Sala Blu della Libreria Sognalibro, presentazione del volume “Schizzi d’Australia”, di
Giorgio Enrico Bena (Neos Edizioni, 2014). L’evento è accompagnato dall’esposizione dei disegni che corredano il testo.