Speciale libano

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Speciale libano
Hezbollah, la Resistenza come dono
- notiziario speciale sulla guerra d’aggressione israeliana in
Libano (http://www.rivistaindipendenza.org/home.htm)
C’è chi ha definito l’aggressione sionista in Libano come l’inizio della “terza guerra mondiale” (26
agosto). Svariate dichiarazioni (2, 13), rivelazioni (14) ed analisi, anche israeliane (17), vanno in
questa direzione: l’aggressione va inquadrata nel progetto statunitense di “Nuovo Ordine
Mondiale”, di cui il ridisegno della mappa e degli equilibri geopolitici in Medioriente è un tassello
fondamentale. Ecco perché i “venti di guerra” (19, 20, 23, 26) spirano ancora nell’area. Beirut è
semplicemente la prima tappa, Damasco e Teheran le prossime, anche se gli impantanamenti in
Iraq ed Afghanistan, ed il fallimento in Libano stanno scompaginando i piani dell’aggressività della
Casa Bianca. Sullo sfondo, più o meno defilati, restano quelli che per Washington sono i due veri
rivali geopolitici per il dominio nel XXI secolo: Mosca e Pechino.
Uno scenario del tutto occultato dalla manipolazione massmediatica dominante. Ancora oscuro è il
luogo (Israele o Libano?) dove i due soldati israeliani sono stati catturati (1), pretesto “ufficiale” del
conflitto, e poco o niente si parla delle centinaia e centinaia di libanesi sequestrati nelle prigioni
israeliane (1), alcuni da trent’anni. Pressoché nascoste, poi, le immagini delle vittime del
“terrorismo di Stato” (8) israeliano, delle distruzioni sistematiche, dei bombardamenti che hanno
visto sperimentate ed impiegate terrificanti armi di distruzione di massa (2, 5, 6, 11, 12, 14, 20, 21,
26, 29) sulla popolazione civile. Qualche notizia sulla percezione del conflitto nel mondo arabo (8)
e sull’aspra conflittualità nel mondo politico e massmediatico di Israele (9, 10, 11, 12, 14) per l’esito
disastroso del conflitto, non certo per il migliaio di vittime civili e le immani devastazioni in Libano
(8, 15, 23, 27, 30).
E su Hezbollah? Il battage mediatico dominante è univoco: si tratta di un’organizzazione
“terrorista”, che si servirebbe addirittura di scudi umani (2, 23), e non piuttosto di un legittimo
movimento di resistenza (3, 8, 12) costituitosi in seguito all’aggressione dell’«immorale» (30) (lo
dice l’ONU) Israele in Libano nel 1982 (1). Con buona pace (shalom) della propaganda sionista,
Hezbollah è un’organizzazione nazionale sciita libanese radicata nella società e nel popolo –grazie
a cui è riuscito a sconfiggere uno dei più potenti eserciti del mondo (2, 7, 11)– ed è parte
imprescindibile del quadro politico del paese, con deputati e persino ministri (11, 13). Una forza
antimperialista con un programma sociale avanzato, dentro Hezbollah dicono “di sinistra” (13, 16),
che, ampiamente diffusa nel paese, fornisce tra l’altro servizi amministrativi, sociali, sanitari e
previdenziali non solo agli sciiti, ma anche a cristiani, sunniti e drusi, in nome della valorizzazione
del fondamento nazionale e contro le logiche divisorie di stampo comunitario che le grandi potenze
hanno da sempre alimentato per spaccare il paese (13, 25).
Su questi ed altri nodi (curiose anche le notizie al 9, 13, 25) intende soffermarsi questo notiziario. È
importante che si prenda coscienza delle strategie statunitensi ed israeliane (non solo) nell’area e
dunque della funzione che andrà a giocare l’ONU (al 23 si rilevano alcune contraddizioni), di cui
l’Italia (12, 13, 23, 29), grazie al servilismo del governo (anche) di centrosinistra, costituisce forza
rilevante.
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Israele / Libano. 1 agosto. Dov’e avvenuta la cattura dei due militari israeliani, pretesto per
la progettata aggressione sionista in Libano? Non poche fonti la danno per avvenuta in
territorio libanese. Lo afferma l’Agenzia di stampa Reseau Voltaire in un comunicato del
luglio scorso, sostenendo che giornalisti ed agenzie di stampa “occidentali” avrebbero, su
richiesta del capo della censura militare di Israele, il colonnello Sima Vaknin-Gil, occultato
la verità sul luogo del rapimento. «Essi non hanno mentito, si sono soltanto astenuti dal
rivelare il luogo in cui i soldati israeliani sono stati fatti prigionieri», ha scritto Reseau
Voltaire. Una tesi che trova conferma esaminando i primi lanci sull’accaduto delle stesse
1
agenzie stampa. Vedasi, ad esempio, alcune news del 12 luglio, rese note tra l’altro
dall’italiana Aki- Adnkronos, secondo cui «la polizia libanese ha confermato che due soldati
israeliani sono stati catturati dagli Hezbollah, dopo che si erano “infiltrati” oltre il confine,
nella cittadina libanese di Aita al-Chaab». Sempre il 12 luglio comunica Joseph Panossian,
della Associated Press, la principale agenzia di stampa USA, fonte di notizie per 15mila
giornali, radio e televisioni in tutto il mondo. Il comunicato, leggibile sul sito della rivista
Forbes (www.forbes.com/technology/feeds/ap/2006/07/12/ap2873051.html), afferma, sulla
scorta di rivelazioni di anonimi funzionari del governo israeliano, che «the militant group
Hezbollah captured two Israeli soldiers during clashes Wednesday (durante gli scontri di
mercoledì, ndr) across the border in southern Lebanon», al di là del confine nel Libano del
Sud.
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Israele / Libano. 1 agosto. A quanto riportato sopra, aggiungiamo due articoli. Il primo,
ancora del 12 luglio, dell’israeliano The Jerusalem Post, che ha rilevato come «soltanto
alcune settimane fa, un’intera divisione di riservisti era stata scelta per addestrarla ad
un’operazione come quella che Tsahal sta predisponendo» contro gli Hezbollah. In
sostanza, l’invasione del Libano, così come rivelato da altre fonti, era già stata pianificata in
anticipo, e si aspettava il pretesto giusto. Il secondo è di un altro analista israeliano, Ran
HaCohen, autore dell’articolo «Respecting Lenanon’s sovereignty» (31 luglio 2006),
pubblicato sul sito Antiwar.com. Ran HaCohen, critico fortemente della politica israeliana, è
andato a leggersi i rapporti tra il 2001 ed il 2004 dell’Unifil –la forza dell’ONU presente
sulla frontiera israelo-libanese dal 1978, che ha visto quattro suoi osservatori uccisi nel mese
scorso dalle bombe sioniste– riscontrando le innumerevoli violazioni, sovente quotidiane,
dello spazio aereo libanese con «caccia, elicotteri e droni israeliani», «con gli aerei che
volano sul mare e penetrano nello spazio libanese a nord dell’area operativa Unifil, così
evitando l’osservazione diretta». I ripetitivi rapporti notavano che «queste incursioni non
sono giustificate e causano grande preoccupazione alla popolazione civile, specie i voli a
bassa quota che rompono la barriera del suono sopra gli abitati». Già, ma si sa che ad
Israele tutto è permesso.
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Iran / Libano. 1 agosto. “Così armammo gli Hezbollah”. Sul Corriere della Sera del 28
luglio, Alì Abkar Mohtashamipour, mullah, ex ministro degli interni ed ex ambasciatore di
Teheran, spiega come è nato Hezbollah. «Nell’82 sono stato io ad accogliere quei giovani in
cerca di riscatto, a dare loro l’aiuto di cui avevano bisogno. La mia sede era a Damasco; e
i libanesi potevano andare solo lì a cercare soccorso. Nessuno era riuscito a resistere
all’avanzata sionista: non i 30mila miliziani palestinesi, che erano stati la scusa
dell’invasione e che dovettero andarsene, dopo 78 giorni, verso la Tunisia o l’Egitto. Non
l’esercito palestinese che, come oggi, era troppo debole. Non quello siriano che pure era
presente e neppure le milizie dei vari partiti socialisti o drusi. Il leader del movimento
musulmano Haraket Amal era andato negli USA e ci sarebbe rimasto per tre mesi. Troppo.
Molti suoi uomini non volevano aspettare. Erano ansiosi di difendere il proprio Paese,
resistere all’invasore. Proprio come oggi».
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Iran / Libano. 1 agosto. L’attuale segretario generale della “Conferenza permanente dei
diritti palestinesi” Mohtashamipour, cui il Mossad, con un pacco bomba, ha fatto saltare la
mano destra e due dita della sinistra, prosegue così il suo racconto: «in quel 1982, tre erano
i leader più attivi: Abbas Mussavi, Sobi Tofeili e Abu Hosham. Tutti militavano in Amal e
tutti lo lasciarono per fondare Hezbollah. Avevano bisogno di aiuto materiale, di
addestramento militare dato che dal punto di vista politico erano anche più maturi di noi
iraniani. Con quella miriade di partiti politici l’esperienza politica libanese è imbattibile
(…) Così feci arrivare degli addestratori pasdaran (i Guardiani della Rivoluzione iraniana)
2
nel campo libanese di Genetah, già usato da Amal (…) Sono venuti anche personaggi
importanti dall’Iran: Hosseine Dehgahn e Hemmat, ad esempio, divenuti poi martiri nella
guerra contro l’Iraq».
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Iran / Libano. 1 agosto. Hassan Nasrallah, attuale capo dell’organizzazione sciita libanese,
in quegli anni non era ancora ai vertici del “Partito di Dio”. Nasrallah, che «aveva studiato
teologia nella città santa irachena di Najaf quando laggiù c’erano insegnanti come l’Imam
Khomeini e altre grandi figure come gli ayatollah Al Hakim e Al Sadr», entrambi padri
(uccisi) di attuali esponenti iracheni, era a quell’epoca «solo il comandante della resistenza
nella città di Beirut. Ma è stato grazie ai suoi successi che è iniziato il ritiro di Israele e
delle forze multinazionali che tenevano sotto controllo il Libano. C’erano i marines
francesi, inglesi e altri che avrebbero dovuto fare da cuscinetto e che invece parteggiavano
per Israele». Ecco quindi gli attentati che causarono la morte di 241 marines e di 58 parà
francesi. Una resistenza legittima quella di Hezbollah, ribadisce l’iraniano, che non ha
niente a che vedere con al Qaeda, «aggressiva e intollerante verso qualunque altra
religione. Persino musulmani non aderenti alla loro linea dottrinaria sono considerati
nemici. Siano sciiti o sunniti moderati. Hezbollah, invece, è un movimento patriottico che
combatte Israele perché minaccia il Libano».
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Iran / Libano. 1 agosto. «Ho sentito Nasrallah cinque mesi fa. Mi ha annunciato che
questo sarebbe stato l’anno della liberazione dei prigionieri libanesi in Israele. I due soldati
catturati servivano a questo. Ma i sionisti hanno scatenato una guerra totale. Peggio per
loro. Hezbollah, con l’aiuto di Allah, saprà sconfiggerli». Questa la conclusione
dell’intervista.
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Iran / Libano. 2 agosto. L’aggressione al Libano è un piano premeditato di Israele e Stati
Uniti ed un primo passo fondamentale per ridisegnare la mappa geopolitica del Medioriente
funzionalmente alle esigenze strategiche di dominio di Washington. È il senso di un
comunicato dell’Ayatollah Khamenei sulla strage di Qana. Dopo aver denunciato i crimini
contro l’umanità compiuti dagli israeliani col sostanziale assenso dell’ONU, della
maggioranza dei governi occidentali e l’appoggio di governi come quello britannico,
Khamenei ammonisce Washington dagli effetti delle sue politiche. «Il comportamento e
l’idiosincrasia aggressiva degli USA e di Israele ravviveranno sempre di più lo spirito di
resistenza del mondo islamico e renderanno più evidente il valore della jihad», afferma
Khamenei, che lancia una frecciata ai governi musulmani subalterni agli Stati Uniti ed un
appello all’unità al mondo islamico. «Sottomettersi ai governanti avventurosi e
corruttori statunitensi non fa altro che aumentare la loro arroganza e avidità, rendendo
difficile la situazione per i popoli (…) Il nemico sionista non distingue tra religione e
dottrina, moschea e chiesa, Shia e Sunna. È un regime razzista, aggressore e sanguinario,
che –se non gli venisse impedito– non esiterebbe a commettere qualsiasi crimine contro
qualunque gruppo o nazione. I popoli della zona e le scuole islamiche, così come tutti i
seguaci delle differenti religioni del Libano e di tutti i paesi islamici, devono unire
le proprie forze e non permettere che una loro divisione rafforzi il nemico».
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Libano. 2 agosto. Nei 34 giorni di guerra, Israele ha usato in Libano armi “proibite”. Lo ha
affermato il deputato Severino Galante (PdCI) nella sua interrogazione parlamentare: «In
Libano è in corso una guerra di aggressione realizzata anche, secondo plurime e autorevoli
testimonianze, con armi che riducono le persone (tra cui molti bambini, donne e anziani) a
corpi straziati e carbonizzati, spesso ridotti a brandelli, corpi martoriati con devastazioni
profonde, quasi sempre senza la presenza di schegge ma bruciati fino all’osso, che non
lascerebbero dubbi sull’utilizzo da parte di Israele di armi chimiche».
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Israele / Libano. 2 agosto. Utilizzano numeri a tre cifre per identificarsi. Si alimentano di
scatolette di tonno, mortadella e cioccolato. Nascondono i loro occhiali da sole per evitare
che un riflesso solare marchi la loro posizione. Così Charles Levinson sul quotidiano
indipendentista Gara, dal villaggio di Srifa devastato dalle bombe israeliane, intervista due
combattenti di Hezbollah. Sono insegnanti, passati dai banchi di scuola ai kalashnikov e
“walkies-talkies”. «Allo scontro siamo preparati da molto tempo. Il mio compito è far sì che
i miei mortai fermino Israele», afferma Haj Rabiah Abu Hussein, conosciuto dai suoi
uomini con il numero di matricola 103. Questo comandante guerrigliero di 40 anni ha il
compito di difendere tre località. Con lui, Abu Mohammad, 44 anni, «codice 121». I due
uomini spiegano come combattono un nemico di gran lunga più numeroso e meglio armato.
«Contiamo sulla conoscenza del terreno. Per radio, identifichiamo le nostre posizioni con
un albero o una piccola collina che solo noi conosciamo. Come vuoi che gli israeliani lo
capiscano», dice Abu Mohammad. Entrambi sono cresciuti in questa regione ed hanno
giocato su queste colline dalla più tenera età. A Bint Jbeil, un altro comandante della
Resistenza libanese che si identifica come Hussein racconta la ritirata israeliana dopo un
tentativo di assalto frustrato. «Puoi immaginarti l’abissale differenza di arsenale tra quelli e
noi. Come li abbiamo vinti? È il segreto dei credenti, è il legame che esiste tra il
combattente ed il suo Dio», assicura. «Il comando ci ha dato un’istruzione
semplice:‘Quando vedete gli israeliani, attaccateli’. Così facciamo. Li attacchiamo
immediatamente e non diamo loro tempo perché arrivino rinforzi (...) Con i mortai diamo
copertura area ai nostri combattenti che si avvicinano agli invasori». Hussein mostra trofei
di guerra: vari fucili M-16, arma dell’esercito israeliano, e visori notturni. «Noi non ne
abbiamo. Questi saranno inviati a Beirut perché la nostra televisione, Al-Manar, li mostri.
Poi torneranno al fronte, dove ci saranno utili».
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Israele / Libano. 2 agosto. La struttura militare di Hezbollah ha impedito a Israele di
attaccare il cuore della resistenza: cellule decentralizzate, armate con kalashnikov, granate e
razzi, in grado di costruire devastanti congegni esplosivi. Mortai e moderni missili anti-carro
e la facile manovrabilità di queste armi, il loro semplice maneggiamento e rapido impiego li
stanno rendendo un’arma molto temuta per gli aggressori israeliani. Un comandante di
Hezbollah ricorda anche il loro «vantaggio su Israele. Mentre i soldati sionisti cercano di
mantenersi vivi, noi cerchiamo di rispettare i nostri princìpi anche a costo del sacrificio.
Del resto, che valore avrebbe una vita di umiliazioni? Noi siamo preparati per una guerra
di lunga durata».
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Israele / Libano. 2 agosto. Nella strategia del movimento di resistenza libanese, decisiva è
la conoscenza ed il controllo del territorio. Dopo la ritirata di Israele nel 2000, Hezbollah,
con l’assistenza di ingegneri militari, ha fatto costruire, a ridosso di posizioni strategiche,
costruzioni destinate o a fungere da “falsi bersagli” o da “fortini” costruiti in modo tale da
non collassare a seguito di bombardamento, bensì rimanere in equilibrio precario e da cui
dunque proseguire operazioni di fuoco. Sotto le fondamenta, in ordine sparso, sono stati
costruiti dei rifugi antiaerei con più vie di fuga per l’esterno. Dal momento che la
costruzione di un bunker richiese gli stessi materiali di una casa di un villaggio, la
ricognizione aerea e satellitare di Tsahal non è riuscita portare a termine una mappatura
affidabile che distinguesse costruzioni “normali” da quelle con strutture inspessite e interrate
utilizzate dai militanti di Hezbollah. Su tutte le strade di accesso ai villaggi, poco più che
strade sterrate, è stato interrato esplosivo plastico o posizionate cariche ai lati.
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Israele / Libano. 2 agosto. I servizi segreti d’Israele avevano avvertito dell’errore di
attaccare il Libano. Operativi israeliani non sono riusciti ad infiltrarsi in Hezbollah ed una
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serie di indicatori riconoscevano a questa organizzazione capacità di gran lunga superiori a
quelle della resistenza palestinese e della stessa OLP di Arafat del 1982, quando l’invasione
del Libano fu all’inizio una passeggiata militare. A differenza di quell’OLP, Hezbollah ha
saputo mantenersi legata alla popolazione libanese senza fare ostentazione manifesta del suo
potere. È difficile incontrare basi o accampamenti militari dell’organizzazione sciita.
Hezbollah ha seguito alla lettera i manuali delle lotte di guerriglia e si sono posti come pesci
nell’acqua della società libanese. Israele sta conducendo attacchi indiscriminati per
provocare la reazione della popolazione civile contro Hezbollah. Questa tecnica criminale
l’aveva già utilizzata in passato, ma al momento sta fallendo. Un recente studio nel paese,
prima della mattanza israeliana a Qana, rivelava che il 70.9% della popolazione appoggiava
la cattura dei due soldati israeliani a fini di scambio con le migliaia di prigionieri libanesi
dimenticati nelle carceri israeliane, mentre circa l’88% si mostra favorevole alla resistenza
contro Israele. A questo si aggiunge la preparazione di Hezbollah di fronte agli attacchi di
Israele. I diciotto anni (1982-2000) di esperienza ha permesso alla resistenza libanese di
conoscere tanto bene il suo nemico da potergli infliggere importanti rovesci.
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Colombia. 2 agosto. Solidarietà all’«eroica lotta dei popoli palestinese e libanese» contro
Israele. Così scrivono in un comunicato, dalle montagne della Colombia, le FARC-EP
(Forze Armate Rivoluzionarie di Colombia – Esercito Popolare), la più consistente
guerriglia attiva nel paese. Nello scritto vengono altresì inviati saluti alla resistenza irachena
e afgana «nelle fertili terre del Tigri e dell’Eufrate... e sulle dure ed indomite terre afgane».
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Libano. 2 agosto. Amnesty International denuncia il piano militare israeliano per cacciare la
popolazione dal sud del Libano. Donatella Rovera è a capo della missione di AI, che ha
visitato i villaggi devastati dai bombardamenti di Tel Aviv. Rovera sostiene che la
distruzione delle condutture dell’acqua, delle centrali elettriche, addirittura dei supermercati,
unita al bombardamento dei ponti di comunicazione vitale, «fanno pensare a piani
sistematici di espulsione della popolazione civile dalla zona». Le truppe israeliane non a
caso sono accompagnate da bulldozer che avevano lo scopo di abbattere il maggior numero
di case possibili. Quanto alle accuse di Tel Aviv che Hezbollah si serva della popolazione
civile come «scudi umani», la missione non ha incontrato alcuna prova di ciò, semmai il
contrario. Nei villaggi visitati la missione ha potuto constatare come i membri di Hezbollah
chiedessero ai più anziani e a coloro che non l’avessero già fatto di evacuare perché non
potevano garantire loro protezione.
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Malesia. 3 agosto. Il mondo musulmano è «indignato» per la «parzialità» della comunità
internazionale sull’offensiva israeliana nel Libano. Lo ha detto il segretario generale
dell’Organizzazione della Conferenza Islamica (OCI), il turco Ihsanoglu, nel corso di un
incontro urgente dell’OCI, che raggruppa 57 paesi musulmani.
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Libano. 3 agosto. «Perché chiamare Hamas o Hezbollah terroristi? Si chiamavano così i
partigiani?», si chiede padre Samir Khalil Samir, gesuita egiziano. Il docente di islamologia
a Beirut invita a riflettere sul conflitto israelo-libanese. «Gli atti di Hezbollah sono
“terroristici”. Ma perché non ci si domanda se il bombardamento dei civili con gli aerei
non è un atto terroristico?». Il padre ricorda che Hezbollah è nata dopo l'invasione del
Libano del 1982.
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Libano. 4 agosto. «Fino a quando rimarrà anche un solo soldato sul nostro suolo,
qualunque cessate il fuoco non ci riguarda. E nessun governo, né quello libanese né altri,
può imporci di non combattere per la liberazione del nostro Paese», ha dichiarato il
responsabile del settore informazione di Hezbollah, Hussein Rahaal in un’intervista
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concessa alla tv Al Jazeera. Un concetto ribadito in serata in tv da Nasrallah. Israele, ha
affermato lo sceicco, è «stata sorpresa su tutti i fronti dal fattore umano» della resistenza
dei guerriglieri Hezbollah. «È un miracolo», ha detto Nasrallah, perché Hezbollah sta
affrontando «interi battaglioni d’élite» dell’esercito israeliano. La tattica militare dei
miliziani sciiti «non è quella della difesa fissa di posizioni e di sacrificare i combattenti per
mantenere il controllo di un villaggio», ma quella di «attirare il nemico nel nostro territorio
e poi infliggergli le perdite più pesanti».
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Libano. 4 agosto. È un’«illusione» pensare di farla finita con il movimento sciita
Hezbollah, come pretende Israele. Lo ha detto all’agenzia russa Interfax Saad Hariri, capo
della maggioranza parlamentare in Libano e figlio dell’ex primo ministro libanese morto in
un attentato il 14 febbraio 2005. Secondo Hariri «bisognerebbe uccidere il 25 o il 30% dei
libanesi».
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Israele / Libano. 5 agosto. «Apriamo un’inchiesta». Lo chiede Gian Antonio Danieli,
professore di Biologia dell’Università di Padova, dopo la lettura dell’articolo di Dinucci
“Prove di guerra high-tech” (il Manifesto, 1 agosto 2006). Il biologo è rimasto colpito dal
riferimento, durante i bombardamenti israeliani, a feriti da schegge nei quali si manifesta
una rapidissima necrosi dei tessuti, che si estende anche dopo l’amputazione degli arti
colpiti. Per il Danieli potrebbe trattarsi di nuove armi biologiche sulla scia degli esperimenti
condotti dal colonnello giapponese Ishi in Manciuria nel corso della seconda guerra
mondiale: prigionieri di guerra statunitensi, britannici, australiani e neozelandesi vennero
esposti all’esplosione di piccoli ordigni contaminati con batteri patogeni per mettere a punto
proiettili che producessero veloce sviluppo della cancrena in ferite non-letali, in modo da
uccidere comunque la persona colpita. Tali ricerche sono continuate nel dopoguerra ed
hanno avuto ulteriore sviluppo negli ultimi decenni, portando alla costruzione di amri come
le BDBS (Biologically Derived Bioactive Substances) e le ADBMS (Artificially Designed
Biological-Mimicking Substances), assimilabili ad armi chimiche e rientranti quindi in una
categoria già bandita dalla legge internazionale. «Armi di questo tipo è molto probabile (ed
in qualche caso è anche stato documentato) che siano state usate per assassini mirati»,
afferma il Danieli, che auspica l’avvio di un’attenta analisi dei dati raccolti dai medici negli
ospedali libanesi.
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Libano. 6 agosto. Nelle analisi della stampa USA emerge che la guerra di Israele contro gli
Hezbollah comincia ad assomigliare alla guerra di George Bush contro l’Iraq. I reportage
parlano con maggior frequenza della stanchezza dei soldati israeliani, delle loro proteste e
del crescente malumore della popolazione: «Io ho combattuto esattamente le stesse battaglie
in Libano sedici anni fa», ha detto un veterano all’inviato del Washington Post. «Non
ottenemmo nulla allora, e non vedo come potremmo ottenere granché oggi. Voi come vi
sentireste se George Bush decidesse di spedirvi di nuovo in Vietnam?». Sempre ieri il
Washington Post notava come «il disaccordo fra i generali e i politici, e fra i vari corpi
delle forze armate, non è più dietro le quinte, ma è diventato parte del pubblico dibattito»,
che l’opinione pubblica e la stampa israeliana «sono sempre più disilluse» e che nelle parole
del premier Olmert c’è «una retorica eccessivamente ottimistica». Il New York Times ha
raccolto le proteste di un analista conservatore dello Shalem Center di Gerusalemme, il noto
storico Michael Oren: anche lui appare scoraggiato dal fatto che la guerra si sia ridotta a
ripetere un copione già fallito nel passato, ma sembra particolarmente indignato nel
constatare che l’esercito ha richiamato i riservisti per spedirli a combattere una guerra per la
quale non erano preparati. I servizi degli inviati televisivi danno il polso anche della
stanchezza fisica e psicologica dei soldati israeliani, della loro avanzata a passo di lumaca,
tesi e scontenti. Non nascondono lo sconcerto davanti a una missione che credevano
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facilissima e che si è rivelata ben più dura. Un ufficiale, che ha chiesto di mantenere
l’anonimato, ha cinicamente commentato per il New York Times che «la resistenza dura
degli Hezbollah» servirà a dare una lezione ai soldati israeliani circa l’abilità, la disciplina e
la decisione dei guerriglieri.
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Libano / Venezuela. 6 agosto. Chavez più coraggioso degli arabi. Il vicepresidente
dell’ufficio politico di Hezbollah, Mahmoud Komati, ha sottolineato, in un’intervista
all’emittente TeleSur, il «coraggio» del presidente del Venezuela, Hugo Chavez, che ha
ritirato l’ambasciatore da Israele. Komati ha contrapposto Chavez ai governanti dei regimi
arabi, che ha accusato di passività.
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Israele. 7 agosto. Tel Aviv lascia al loro destino i palestinesi con passaporto israeliano. La
deputata palestinese con passaporto israeliano del Partito Laburista, Nadia Helu, ha accusato
il governo di non fornire rifugi né sirene per gli arabi del nord d’Israele, che sono la metà
della popolazione. La sua denuncia è stata confermata dal quotidiano israeliano Haaretz.
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Libano. 7 agosto. È la formula che permette alla guerriglia di contrastare gli israeliani:
determinazione, disciplina, armi moderne e sofisticate. Non sono le sole sorprese che i
vertici militari israeliani hanno trovato dopo i primi scontri in Libano. Nonostante
l’intelligence israeliana sia ritenuta una delle più affidabili, i miliziani sciiti si sono procurati
informazioni su codici e sistemi di comunicazione israeliani: le unità di commando che
assalivano i villaggi si accorsero che gli avversari erano in grado di seguire le loro
trasmissioni radio, le comunicazioni fra i membri delle unità di assalto e anche le telefonate
dei soldati.
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Libano. 7 agosto. «I dirigenti e i semplici miliziani di Hezbollah sfoggiano una retorica
jihadista, ovvero ripetono la loro determinazione al martirio per combattere gli invasori,
ma intanto indossano giubbotti antiproiettile, hanno visori notturni, puntatori laser e usano
walkie-talkie, telefoni satellitari e Gps per coordinare i loro attacchi», sostiene un ufficiale
israeliano. L’efficienza tecnologia bellica a disposizione di Hezbollah l’hanno poi subita
(anche) i carri armati Merkava, vanto dell’esercito israeliano e considerati i migliori del
mondo. Tre di questi tank sono stati distrutti in Libano e altri danneggiati. Secondo il
quotidiano Maariv, Hezbollah si sarebbe procurato i dettagli tecnici (segreto di Stato per
Israele) e con essi i punti deboli dei carri armati. Tanto che dopo i primi assalti, i Merkava
Mark-3 sono stati sostituiti dai Mark-4 con corazze e sistemi di difesa potenziati. Contro di
loro i guerriglieri hanno usato missili guidati Milan e Kornet di fabbricazione russa, come
pure i lanciarazzi di ultima generazione (sempre russi) Rpg 29, capaci di perforare le
moderne corazze dei tank. Per non parlare delle due corvette della Marina israeliana colpite
da missili terra-mare lanciati da Hezbollah. Queste armi di nuova generazione sono state
usate secondo la tecnica del guerrigliero, ovvero da gruppi che conoscono perfettamente la
zona in cui operano e, quando necessario, sembrano scomparire. Per poi ricomparire, magari
alle spalle degli assalitori. Non solo grazie a tunnel scavati in precedenza, dove sono stati
piazzati anche depositi di armi e munizioni, ma anche mescolandosi alla popolazione e non
distinguendosi da essa, muovendosi in scooter e informando della situazione sul campo
mediante walkie-talkie. Negli ultimi dieci anni, sotto la direzione di Nasrallah, con l’aiuto e
i consiglieri iraniani, i miliziani si sono preparati alla battaglia. Non altrettanto hanno fatto
gli israeliani
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Israele / Libano. 8 agosto. Guerra di movimento nel paese. Attaccare e ritirarsi è la tattica
che anche Tsahal usa nell’offensiva nel paese. L’artiglieria israeliana bombarda a tappeto il
suolo libanese per coprire l’avanzata dei blindati alla ricerca dei lanciatori di razzi che ogni
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notte, dall’inizio del conflitto, colpiscono Israele. Nel corso degli ultimi giorni gli israeliani
abbandonano diverse delle postazioni conquistate per attaccarne altre. Nel suo ufficio del
quartier generale della Forza ONU, Ryszard Morczynski constata che Israele, al pari dei
suoi avversari, evita di mantenere posizioni fisse. Tuttavia le perdite israeliane sono
rilevanti. Secondo il cronista militare israeliano Ze’ev Schiff, la maggior parte delle perdite
israeliane sono causate dalle unità speciali anti-carro di Hezbollah.
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Israele. 8 agosto. Una Commissione internazionale, che esamini attentamente i campioni
biologici prelevati dalle vittime civili libanesi, per le armi di distruzione di massa israeliane.
Lo chiedono Angelo Baracca, Paola Manduca e Monica Zoppè, scienziate e scienziati contro
la guerra (indirizzo e-mail su questo tema: [email protected]). A parte la dispersione a
tappeto di uranio impoverito, e il grave danno ecologico derivato da carburanti e sostanze
chimiche in seguito ai bombardamenti su fabbriche e depositi, destano particolare
preoccupazione le testimonianze, raccolte da ospedali, testimoni, artificieri, giornalisti, e le
immagini, diffuse anche via internet (vedasi ad esempio www.fromisraeltolebanon.info),
che mostrano «sintomi strani e sconosciuti» nelle vittime in Libano, ma anche Gaza. Corpi i
cui i tessuti sono morti, ma che non mostrano ferite apparenti; corpi apparentemente
«rimpiccioliti»; feriti con le gambe semidistrutte, che nonostante l’amputazione vanno
incontro a necrosi diffusa e morte; pazienti con ferite interne come da esplosione, ma senza
traccia di schegge; cadaveri con gli indumenti integri, senza apparenti ferite esterne, con i
capelli non bruciati, ma con il corpo completamente annerito e disidratato. Immagini,
quest’ultime, che propongono effetti pressocché analoghi a quelli riscontrati a Fallujia in
Iraq, dove il generale italiano Fernando Termentini rilevò l’uso di nuove “armi a
microonde”: una nuova arma elaborata negli USA per disperdere folle di manifestanti
provocando dolorose bruciature, ma che a Fallujia è stata presumibilmente provata con
potenze superiori. Un’arma che è probabile ormai faccia parte anche dell’arsenale israeliano.
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Libano. 8 agosto. Hezbollah imbarazza i dirigenti arabi. «Nasrallah ha strappato la foglia
di fico con cui si coprivano, un immaginario processo di pace attraverso il quale facevano
solo concessioni senza avere nulla in cambio», ha scritto l’egiziano al Ahram, ricordando
che il ritratto di Nasrallah è stato innalzato al Cairo accanto a quello del presidente e icona
del pan-arabismo Gamal Abdel Nasser. Da questo conflitto il leader di Hezbollah uscirà
decisamente rafforzato. Anche il New York Times ha scritto che il mondo arabo ha ormai
trovato una nuova icona.
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Libano. 8 agosto. Hassan Nasrallah, nuovo simbolo della riscossa araba. «È l’unico leader
che fa quello che dice: sfidare l’esercito più potente del Medio Oriente». Il mondo arabo,
ormai, ha un nuovo punto di riferimento, capace di resistere per più quasi quattro settimane
alla maggiore potenza mediorientale: dopo Abdel Nasser, Saddam Hussein, Yasser Arafat, è
l’era di Hassan Nasrallah. Il 46enne segretario generale di Hezbollah, dal suo nascondiglio
in qualche bunker, ha riscritto le regole del conflitto che da più di cinquant’anni infiamma la
regione. «È l’uomo più potente del medio Oriente», assicura un diplomatico arabo. Che i
suoi uomini avessero colpito una nave da guerra operante nelle acque libanesi, è un fatto che
i più consideravano inimmaginabile. Ma vero, come ebbe modo di constatare la folla della
gente uscita nelle strade a Beirut per constatare, dal fumo che si intravvedeva al largo, che
una corvetta israeliana era stata colpita. La festa che seguì nelle strade della capitale,
nonostante i bombardamenti, celebrava i primi missili terra-mare lanciati da una guerriglia
araba.
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Libano. 8 agosto. Waddah Sharara, un sociologo libanese citato dal New York Times,
sostiene che Nasrallah ha creato una nuova figura di leader. Non fa promesse di distruggere
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Israele, come avevano tuonato Saddam prima e Osama bin Laden poi, ma afferma di
resistere alle preponderanti forze dello Stato sionista in modo da costringerlo a fare
concessioni. E lo dice con calma e fierezza, con il suo turbante nero dei Sayyid, ovvero i
discendenti diretti del profeta Maometto. Per giungere a questa situazione, Nasrallah si è
preparato a lungo. Fin da quando, all’età di 32 anni, nel 1992 aveva preso in mano
Hezbollah. E dimostrando di avere l’idea «geniale» di rimodellarlo, addestrando centinaia di
combattenti ben inseriti nel loro contesto sociale e geografico: dagli insegnanti ai camionisti.
E poi usando la religione sciita, che predica il martirio in nome di Allah, per motivarli a
combattere fino all’estremo sacrificio. Una strategia, questa, illustrata la settimana scorsa in
un discorso televisivo in uno studio che sfoggiava la bandiera del Libano accoppiata a quella
gialla di Hezbollah: «Non scegliamo di difendere a tutti i costi il territorio. Non vogliamo
che i nostri mujaheddin e i nostri giovani siano uccisi per difendere un villaggio, una
collina». La resistenza voluta dallo sceicco è impostata sulle regole della guerriglia: attirare
il nemico in scontri in posizioni per loro svantaggiate, poi sganciarsi. Magari ritornando ad
essere un innocuo abitante del luogo.
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Libano. 8 agosto. Dal Marocco all’Iraq, Hassan Nasrallah sta intanto conquistando i cuori
del mondo arabo. Il suo stile di vita lo hanno reso lo stesso un’icona non solo libanese ma
per il mondo arabo. Il suo primogenito Hadi fu ucciso nel 1997, all’età di 18 anni, in
un’azione contro i soldati israeliani. Gli restano una figlia e altri due figli, di questi il 26enne
Jawad sta combattendo nel Sud del Libano in quello che definisce «il triangolo
dell’eroismo, del coraggio e della fierezza». Se in un paese a maggioranza sciita, come
l’Iran, Nasrallah (“la victoria di Allah”, in arabo) era già una figura di riferimento, ora sta
facendo breccia anche nel mondo sunnita. E non solo nell’alleata Siria. «Nasrallah è per me
come Saladino, che liberò Gerusalemme dall’occupazione crociata. Con l’aiuto di Dio,
Nasrallah libererà la terra che oggi occupa Israele», pronostica il siriano Samer Abdulah
da una pasticceria al centro di Damasco dove spicca la bandiera di Hezbollah. «Hassan
Nasrallah ci ha restituito la dignità con questa battaglia santa condotta in nome della
Nazione araba, però disgraziatamente i nostri governanti non sono alla sua altezza»,
lamenta l’iracheno Hayder Abduljalil. «Hezbollah rappresenta la luce alla fine del tunnel»,
dice l’ingegnere giordano Jaled Humaidi. «Questa nuova generazione di musulmani pieni di
fede nel Corano merita tutto il nostro appoggio». L’egiziano Akram al Huseini, che dirige
un organismo europeo di promozione del commercio, riconosce che Nasrallah «non è
corrotto, sa parlare alle menti e ai cuori ed è l’unico che rappresenta l’orgoglio arabo, da
anni addormentato o intimorito a causa della servitù verso l’Occidente». Il 97% dei
palestinesi appoggia Hezbollah, secondo un’inchiesta. Ma anche oltre il mondo arabo, in
Turchia, la grande maggioranza dei deputati del gruppo di amicizia turco-israeliano ha
protestato contro l’aggressione.
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Libano. 8 agosto. «Da Israele terrorismo di Stato». È in lacrime Fùad Siniora mentre parla
ai ministri degli Esteri della Lega araba in riunione straordinaria Beirut. Le parole del primo
ministro libanese sono rotte dall’emozione mentre racconta l’ultimo furioso raid israeliano
su un villaggio del Sud abitato solo da contadini e pastori. Secondo un calcolo del ministero
della Sanità di Beirut, diffuso dallo stesso Siniora ieri alla riunione della Lega araba, sono
più di mille le persone uccise dagli israeliani, quasi tutti civili (tantissimi bambini), se si
esclude una manciata di qualche decina di miliziani di Hezbollah. I raid hanno distrutto 115
ponti e 6.800 unità abitative. Il bilancio dei danni è incalcolabile, certamente superiore ai
due miliardi e mezzo di dollari calcolata una settimana fa. Una catastrofe che ogni giorno
che passa assume dimensioni sempre più vaste.
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Libano. 8 agosto. Diktat di USA e Francia per un sostanziale mandato coloniale sul Libano.
La bozza di risoluzione concordata dai due paesi dà campo libero ad Israele per continuare
la guerra ed apre la strada all’invio di una forza multinazionale incaricata di «finire» il
lavoro lasciato a metà dall’esercito israeliano. Gli Hezbollah dovrebbero sospendere
qualsiasi attacco ma l’esercito israeliano potrà «difendersi», anche preventivamente,
rimanendo all’interno dei territori libanesi che occupa (le fattorie di Sheba e le aree prese in
questi 27 giorni di combattimenti). La risoluzione, inoltre, non chiede ad Israele di ritirarsi
sui confini del 1949; assolve la distruzione del Libano con oltre 1000 morti; chiede ad
Israele di consegnare le mappe dei campi minati creati fino al ritiro del maggio del 2000 ma
non di quelli messi in piedi in queste ultime settimane; istituisce una «fascia di sicurezza»
solamente dalla parte libanese (il paese invaso) del confine fino al fiume Litani, nella quale
non potranno operare le forze della resistenza libanese; impone il disarmo della resistenza
libanese; non accenna assolutamente al fatto che la crisi mediorentale deriva
dall’occupazione israeliana della West Bank, delle Fattorie di Sheba e del Golan, non
condanna le stragi portate avanti dall’esercito israeliano nel Libano del sud ed ignora la
necessità di uno scambio di prigionieri tra le due parti e le esigenze di sicurezza della
popolazione libanese.
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Libano. 8 agosto. Nessuna meraviglia, dunque, che il governo e le forze politiche libanesi,
sia le componenti vicine alla resistenza –i movimenti sciiti Hezbollah e Amal, gli
indipendenti sunniti, i seguaci del presidente cristiano maronita Emile Lahoud, e soprattutto
quelli dell’ex generale Michel Aoun, eroe della resistenza antisiriana e ora favorevole ad
un’intesa con gli Hezbollah– sia quelli schierati a favore dei piani franco-USA e contro ogni
accordo con la Siria –la Hariri Inc del premier Fouad Siniora e del figlio dell’ex premier
ucciso, le destre cristiano maronite di Geagea e di Gemayel, il druso Walid Jumblatt–
abbiano respinto questa risoluzione che soddisfa solamente le richieste del paese invasore e
non di quello invaso. Anche il più servile governo libanese non potrebbe accettare, pena una
generale rivolta popolare, tale risoluzione. Se la bozza franco-USA dovesse essere
approvata, Israele potrebbe portare a compimento la «pulizia etnica» di una fascia di 20
chilometri in territorio libanese e i profughi non potranno tornare nelle loro case prima
dell’arrivo di una forza di occupazione sotto la guida dell’ex potenza mandataria in Libano,
la Francia. Una forza che controllerà anche i porti, gli aeroporti e i posti di frontiera con la
Siria ponendo di nuovo sotto tutela l’intera «Repubblica dei cedri». «Israele non ha vinto
questa guerra e ha ottenuto una risoluzione come questa, cosa sarebbe successo se l'avesse
vinta?», è l’amaro commento del presidente del parlamento libanese, lo sciita moderato
Nabih Berri.
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Libano. 8 agosto. Un raid aereo israeliano ha causato la morte di 14 civili libanesi durante
il corteo funebre per altri civili uccisi ieri in un villaggio a sud di Sidone. Lo ha riferito la Tv
libanese Lbc. Secondo la Tv, il bombardamento sul corteo funebre, avvenuto nel villaggio di
Ghaziyeh, a ridosso della cittadina di Sidone, avrebbe provocato almeno 23 feriti. Al
momento dell’attacco, viene precisato, un gruppo di persone stava procedendo alla sepoltura
delle vittime dei raid dei giorni precedenti. Un altro deprecabile errore come a Qana?
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Libano. 9 agosto. Il dispiegamento delle forze armate libanesi nel sud del Paese non
fermerà la resistenza. Lo ha detto il vice capo dell’ufficio politico di Hezbollah, Mahmoud
Qamati, in un’intervista al quotidiano siriano Ath-Thawra (Rivoluzione), affermando che
l’esercito e il movimento di resistenza hanno giocato ruoli complementari e cooperato tra
loro negli anni scorsi.
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Israele / Libano. 9 agosto. Il governo libanese chiede emendamenti alla risoluzione per il
cessate-il-fuoco ed il responsabile della diplomazia tedesca s’infuria. Secondo il
socialdemocratico Frank-Walter Steinmeier, il Libano «non è in condizioni di esigere
emendamenti» ed ha aggiunto che «non è neppure membro del Consiglio di Sicurezza».
Come se essere il paese aggredito ed interessato al futuro dispiegamento di truppe non sia
sufficiente per tenere in conto la sua opinione. Bush ringrazia.
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Israele / Libano. 9 agosto. Non-politica con altri mezzi. Dopo 29 giorni di bombe, non un
obiettivo raggiunto: Israele rovescia il motto di Clausewitz. Ed il fallimento bellico
scatenerà il giorno dei lunghi coltelli: tutti, politici e militari, si scaricheranno la colpa a
vicenda. Lo prevede il pacifista ed ex deputato israeliano Uri Avnery su il Manifesto.
Avnery rilancia la tesi del conflitto come “guerra per procura” per conto degli USA
rilevando che «il presidente Bush è frustrato. L’esercito israeliano non gli è stato molto
utile. Bush li ha mandati alla guerra credendo che il più potente degli eserciti, equipaggiato
con le più potenti fra le armi americane, avrebbe finito il lavoro in qualche giorno,
eliminando Hezbollah, consegnando il Libano alle redini americane, indebolendo l’Iran e
magari facendo pure strada ad un cambio di regime in Siria». Ma anche in Israele il primo
ministro Olmert non se la passa bene. «È andato alla guerra di gran carriera ed a cuor
leggero, perché i generali dell’Aviazione gli avevano promesso di distruggere Hezbollah e i
loro razzi in pochi giorni. Adesso è impantanato e senza prospettive di vittoria». Quindi la
sua predizione: al termine dei combattimenti (ma forse anche prima), comincerà la “guerra
dei Generali”. «Già ne emergono le prime linee, con l’esercito contro l’aviazione ed i loro
portavoce nei media che già dichiarano che è un comando zeppo di ufficiali inetti».
•
Israele / Libano. 9 agosto. Il fallimento israeliano è frutto della tremenda arroganza e del
disprezzo nei confronti degli arabi. Avnery dichiara che «i nostri soldati stanno imparando
a loro spese che i “terroristi” sono combattenti duri ed assai motivati, non un branco di
drogati persi a sognare le loro vergini in paradiso». Inoltre il pacifista israeliano solleva un
problema militare di fondo: «è semplicemente impossibile vincere una guerra contro la
guerriglia. L’abbiamo già visto restando per 18 anni in Libano. Poi ci siamo
inevitabilmente arresi al ritiro. Adesso, Dio solo sa cosa ha dato a questi generali
l’infondata sicurezza nel ritenersi in grado di riuscire dove i loro predecessori hanno
fallito». Sul proseguimento di quello che definisce un «disastro», Avnery fa questa
constatazione: «all’inizio della guerra il governo ha furiosamente respinto qualsiasi ipotesi
di dispiegamento di forze internazionali al confine. L’esercito riteneva che una simile forza
avrebbe ostacolato le sue operazioni e neanche sarebbe bastata per proteggere Israele.
Adesso, improvvisamente, il dispiegamento di una simile forza è diventato uno dei motivi
principali di questa guerra. Il che costituisce, naturalmente, una scusa un po’ triste;
qualsiasi forza internazionale potrà essere dispiegata soltanto previo accordo con
Hezbollah. Nessun paese spedirebbe i propri uomini a combattere contro la popolazione
locale. E dappertutto, al confine, gli sciiti faranno ritorno ai propri villaggi –compresi i
guerriglieri Hezbollah. Quindi, la forza di peacekeeping sarà totalmente subordinata agli
accordi con Hezbollah. Altrimenti, basterà l’esplosione di una bomba sotto un bus pieno di
francesi, ed ecco levarsi l’urlo da Parigi: “Riportate a casa i nostri ragazzi!”. Come è
successo quando vennero bombardati a Beirut i marines americani».
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Israele / Libano. 9 agosto. Ma le forze autorizzate dall’ONU potranno essere utili nel
pattugliamento del confine siro-libanese per impedire eventuali consegne di armi a favore di
Hezbollah? Avnery è molto scettico. «È illusorio, trattandosi di un confine che si estende
per l’intero nord-est del Libano: chiunque voglia infiltrare armi dovrà soltanto tenersi
lontano dai principali raccordi stradali, che poi saranno gli unici ad essere pattugliati.
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Dopodiché ci saranno centinaia di stradine percorribili. Con la dovuta tangente, tutto è
fattibile in Libano». L’unica soluzione per concludere i conflitti, afferma Avnery, «sarebbe
negoziare con i palestinesi, con i libanesi e con i siriani. E con Hamas ed Hezbollah. Perché
la pace la si fa soltanto con i nemici».
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USA / Francia / Libano. 10 agosto. Braccio di ferro USA-Francia all’ONU. Parigi prova a
far accogliere da Washington alcune delle modifiche proposte dai paesi arabi alla nuova
risoluzione delle Nazioni unite sul Libano. La Francia, che si sente implicata in prima
persona in Libano –ne è stata l’amministratrice sotto l’egida di un mandato della Società
delle Nazioni tra il 1920 e il 1943 e Chirac aveva legami stretti con il presidente assassinato
Rafic Hariri, che si dice abbia contribuito non poco dal punto di vista finanziario alle
campagne presidenziali dell’amico francese– va avanti da sola, in un tête-à-tête con gli
USA. L’ambasciatore USA all’ONU, Bolton, per ora resiste.
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Israele / Libano. 10 agosto. Washington ha ora fretta di fermare il conflitto, visto il pantano
in cui si sta cacciando Israele con la massiccia invasione di terra. Le crescenti e forti perdite
tra i militari israeliani stanno lì a dimostrarlo. Secondo Europa Press, la Casa Bianca è
anche preoccupata dall’«escalation di violenza» nella regione (a partire dall’Iraq) che il
prosieguo delle operazioni militari di Tel Aviv potrebbe produrre. Il portavoce della Casa
Bianca, Tony Snow, ha detto che «stiamo lavorando duro per limare le differenze tra la
posizione degli Stati Uniti ed i nostri alleati», ha detto Snow che ha aggiunto: «Vogliamo la
cessazione delle violenze il prima possibile e non vogliamo escalation».
•
Israele / Libano. 10 agosto. Dalla Cecenia al Libano. Immigrati russi che hanno combattuto
con l’esercito russo come cecchini in Afghanistan e Cecenia, combattono ora Hezbollah in
Libano. L’edizione di ieri del quotidiano israeliano Yediot Aharonot informava che
«riservisti della Cecenia costituiscono una unità speciale di cecchini del reggimento di
fanteria Golani (una brigata d’élite dell’esercito israeliano, ndr)».
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Israele / Libano. 10 agosto. Due generali, un solo fronte. Al generale Udi Adam, il capo
dell’esercito, Dan Halutz, eclissatosi dalla gestione diretta delle operazioni in Libano le
scorse settimane, decide di affiancare il «vecchio» Moshe Kaplinski. Tensione fra generali,
truppe e politici ed accuse contro gli alti ranghi dell’esercito e lo staff del ministro della
difesa Peretz, proprio ora che l’offensiva dovrebbe intensificarsi ed estendersi fino al fiume
Litani. Una cosa è certa: le colpe di quattro settimane di guerra e del fallimento
dell’offensiva di terra stanno ricadendo su Adam. Che questi non avesse mai avuto
esperienze di guerra e quindi garanzie da offrire, Dan Halutz lo sapeva bene. Lo aveva
scelto lui, portandolo via dalla sezione logistica di Tsahal. La prova ulteriore
dell’inesperienza di Adam sarebbe anche emersa durante le esercitazioni condotte nei mesi
di maggio e giugno al confine per preparare le truppe settentrionali all’offensiva in territorio
libanese (un dato che mostra come l’operazione israeliana fosse stata preparata da tempo). Il
generale Kaplinsky, invece, è un veterano delle leggendarie brigate Golani, con alle spalle
anni di servizio proprio nel Sud del Libano. Un uomo dal pugno di ferro che durante la
Seconda Intifada aveva affiancato da terra Halutz nelle incursioni in Cisgiordania.
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Israele / Libano. 11 agosto. Disastrosa iniziativa militare israeliana. Tsahal, dopo esser
penetrata in territorio libanese e conquistato per alcune ore una località cristiana situata a
sette chilometri dalla frontiera, ha subito il contrattacco della resistenza libanese che ha
distrutto, secondo fonti locali, 13 carri armati israeliani. Hezbollah ha assicurato di aver
ucciso 18 soldati, dato non confermato da Tel Aviv, che ribadisce di non aver ancora dato
ordine di iniziare l’offensiva di terra. Ad un mese dall’inizio della sua campagna di
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aggressione, l’esercito israeliano prova invano a conseguire il controllo di enclavi
strategiche nel sud del Libano, incocciando nella resistenza dell’organizzazione sciita
Hezbollah (Partito di Dio). Una resistenza che ha dello stupefacente se si rileva la disparità
di uomini e mezzi. Israele calcola di trovarsi di fronte qualcosa come più di 4mila miliziani,
organizzati in battaglioni di 150 membri con circa 10mila razzi a disposizione. Tsahal può
contare su 600mila uomini e più di 4mila carri armati. 7mila soldati hanno combattuto ieri in
Libano e altri 13mila aspettano alla frontiera. Ha compiuto 8mila attacchi aerei e ha lanciato
contro il Libano più di 100mila bombe. Eppure non avanza. La gran maggioranza delle
vittime libanesi sono civili, mentre da parte israeliana sono soldati. E in Israele gli esperti
militari insistono sulla necessità di vincere per ribadire agli arabi il mito dell’invincibilità
israeliana.
•
Israele / Libano. 11 agosto. Missili anti-carro della guerriglia, incubo per Tsahal. I moderni
missili anti-carro di Hezbollah stanno infliggendo dolorose perdite all’esercito israeliano
(Tsahal). I suoi portavoci riconoscono che la maggior parte delle perdite militari sono state
provocate da questi missili, efficacissimi contro i sofisticati blindati israeliani. «Hezbollah
ha studiato dettagliatamente le caratteristiche dei nostri blindati e conosce i suoi punti
deboli», segnala un ufficiale che chiede l’anonimato. Persino i Merkava di ultima
generazione, considerati i carri più potenti e i migliori blindati del mondo, si sono mostrati
vulnerabili agli attacchi. Gli esperti israeliani assicurano che i miliziani sciiti danno prova di
gran coraggio, avvicinandosi a Tsahal per aprire il fuoco a corta distanza. I missili più
efficaci di cui disporrebbe la guerriglia sono i «Metis-M ed i Kornet, fabbricati dalla Russia
e forniti dalla Siria negli anni Novanta». Il quotidiano Yediot Aharonot assicura che la
«mancanza di preparazione e di previsione di Tsahal contro i missili anti-carro costituisce
uno dei più gravi errori strategici di questa guerra». Il problema, però, non è tecnico, dato
che ci saranno sempre missili in grado di distruggere un carro armato. «Importante è che
Tsahal apprenda con il sangue che non affronta una banda di terroristi, ma un vero
esercito», commenta il quotidiano.
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Libano. 11 agosto. «Non è fosforo bianco». Non crede all’ipotesi del fosforo bianco il
generale Fernando Termentini, perito balistico presso il tribunale di Roma e consulente
presso le Nazioni unite. In un’intervista al settimanale Gente, Termentini si dichiara più
incline per l’ipotesi di “armi a microonde”. Quindi, armi ad energia diretta. Una nuova
generazione di ordigni già in uso sul fronte iracheno. È già consultabile su internet
l’inchiesta-documentario «Guerre stellari in Iraq» di Sigfrido Ranucci e Maurizio Torrealta,
sul sito www.rainews24.it.
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Libano. 11 agosto. Tele-proclama di Nasrallah alla televisione di Hezbollah, Al Manar, che
lo ha trasmesso ieri. Tra gli argomenti trattati: la bozza di risoluzione ONU, l’esercito
libanese, le stragi ed i fallimenti dell’esercito israeliano. Sul primo punto: «Il minimo che si
possa dire su quella bozza è che è ingiusta e che concede agli israeliani più di quanto essi
stessi volevano o chiedevano. In sostanza essa dava agli israeliani per via politica tutto ciò
che essi non avevano saputo ottenere per via militare». Nasrallah apre poi all’invio di
truppe libanesi nel sud del Libano: «La decisione del nostro governo di preparare 15.000
uomini dell’esercito libanese da dispiegare al Sud aiuterà il Libano ed i suoi amici ad
ottenere un qualche emendamento nella bozza di risoluzione, ed aprirà la strada ad un
appropriato processo politico che fermi l’aggressione perpetrata ai danni del Libano.
Riteniamo tale dispiegamento una onorevole soluzione poiché sarà il nostro esercito
nazionale ad essere schierato al confine e non forze dell’invasore, eserciti mercenari, o
forze che obbediscano soltanto al nemico: sarà un esercito che prende ordini dal governo
eletto dai libanesi. Ed in questo senso, come soluzione, lo accettiamo».
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Libano. 11 agosto. Sui crimini e massacri compiuti da Tsahal, Nasrallah fa una riflessione:
«Nell’ultimo discorso trasmesso, ho asserito che l’esercito nemico, alla luce dei propri
continui fallimenti militari, avrebbe perpetrato ulteriori attacchi contro le infrastrutture
civili libanesi e contro i civili stessi. Esattamente quello che è successo: nuovi massacri. C’è
davvero qualcuno convinto che questi ponti, strade ed infrastrutture vengano distrutti
soltanto per impedire i rifornimenti alle truppe della resistenza? L’uccisione dei civili, la
distruzione delle infrastrutture e delle case, serve soltanto a far pressione sui libanesi per
arrendersi alle condizioni israeliane. E non sorprende che la bozza di risoluzione del
Consiglio di sicurezza non accusi apertamente i sionisti dei loro crimini di guerra, i
massacri, il genocidio e la distruzione del Libano». Sulla situazione al fronte, il capo di
Hezbollah dichiara: «Stiamo ancora tenendo duro. Siamo ancora in forze. E questo è già di
per sé un grosso risultato, mentre il nemico non ha ancora raggiunto i propri obiettivi. Fino
ad ora il nemico non è riuscito a ridurre la capacità della resistenza di lanciare razzi, né è
riuscito ad indebolirla. Dico ai sionisti: venite, vi costerà molto. Non riuscirete a restare
nelle nostre terre. Ve ne cacceremo con la forza. Trasformeremo le preziose terre del Sud
nella tomba del nostro invasore». Nasrallah conclude con un messaggio per gli arabi di
Haifa: «ci addolorano le vostre perdite ed i vostri martiri. Vi prego, lasciate la città, perché
il vostro sangue è il nostro sangue».
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Israele. 11 agosto. Le polemiche sono sorprendenti, denotano stanchezza e frustrazione e
indecisione, e politici e analisti riportano alla memoria gli errori di valutazione e le scelte
sbagliate di passate guerre, non ultima l’invasione del Libano del 1982. Un alto ufficiale di
Tel Aviv ha ammesso che i guerriglieri di Hezbollah, radicati nel sud Libano, sono
sparpagliati ma presenti in tutti i villaggi, dotati di armi moderne e capaci di rendere molto
difficile l’eventuale avanzata dalle truppe. L’alto numero di soldati uccisi (altri dieci ieri,
secondo la televisione araba al-Jazeera) e feriti, oltre al fatto che un milione d’abitanti del
Nord è stato costretto a rifugiarsi altrove pesa sempre più sull’opinione pubblica che guarda
con sospetto e preoccupazione all’allargamento dello scontro.
•
Libano. 11 agosto. Timor Goksel, ex portavoce dal 1979 al 2000 dell’UNIFIL (Forza
provvisoria delle Nazioni Unite nel sud del Libano) qualifica sull’Hebdo Magazine come
«scandaloso» il primo progetto di risoluzione franco-statunitense. «Non poteva essere
accettato, ed è per questo che il governo libanese non aveva scelta e doveva rifiutarlo.
Fermare Hezbollah, che non pensa, dal suo punto di vista, di aver perso la guerra, e
lasciare gli Israeliani liberi di agire, rappresenterebbe un’occupazione inaccettabile.
Questa risoluzione offre troppo agli Israeliani e mette troppa pressione su un governo
libanese debole». Interessanti le considerazioni di Goksel sul primo ministro libanese:
«Fouad Siniora occupa un posto molto difficile e, pur essendo un uomo che apprezzo, lo
considero anche come un tecnocrate che deve soddisfare tutti. Ma il suo piano è il più
realistico. Perché non penso che una forza internazionale d’interposizione sia una buona
cosa. Sarebbe vissuta dalla popolazione come una forza d’occupazione (…) Il governo
libanese non avrebbe più autorità e sarebbe messo sotto scacco».
•
Libano. 11 agosto. Timor Goksel esprime anche qualche considerazione su Hezbollah.
Definisce Hassan Nasrallah «un uomo pragmatico, che ascolta ed è pronto ai compromessi,
non un dogmatico. Arriverei persino a dire che si tratta dello sceicco più tranquillo con cui
ho avuto a che fare!». Si mostra persino stupito per il comportamento di Nasrallah e degli
Hezbollah verso i cristiani. «Hezbollah è una parte con la quale si può trattare, che ha
deputati e che fa molta attenzione al problema della divisione confessionale. Hassan
Nasrallah ha sempre fatto particolarmente attenzione ai cristiani. Nel 2000, quando Israele
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si è ritirato dal sud del Libano, temevo molto per la sicurezza di tre villaggi, Qlayaa,
Rmeich e Debl, dove si trovavano cristiani fondamentalisti, che chiamavo gli Hezbollah
cristiani. Ebbene, non uno solo dei loro capelli è stato toccato! Hezbollah non intende
installare una repubblica islamica». Non ritiene possibile nelle condizioni attuali un
disarmo degli Hezbollah. «Che lo si voglia o meno, gli sciiti rappresentano il più grande
gruppo del Libano. 1.5 milioni di persone su 4 milioni di abitanti. Hezbollah rappresenta la
sicurezza per una popolazione che soffre. Il Libano-Sud è devastato e gli sciiti avranno
bisogno d’aiuto».
•
Libano. 11 agosto. Damasco e Teheran come burattinai di Hezbollah? Goksel scuote la
testa. «Esiste un’influenza spirituale iraniana innegabile e gli Hezbollah sono stati creati
dall’Iran, che li sostiene finanziariamente. Per quanto riguarda la Siria, si tratta più di
pragmatismo. Ma penso che né l’uno, né l’altro, controllino le operazioni del Partito di dio.
Gli Hezbollah tengono alla loro reputazione di solo gruppo libanese resistente di fronte ad
Israele, ed è per quello che Hassan Nasrallah è ora considerato come un eroe».
•
Libano. 11 agosto. Timor Goksel ha pure parole dure verso l’aggressione israeliana ed i
bombardamenti su villaggi come Qana. «Per me, bombardare senza ragione dei villaggi
interi è già un crimine contro l’umanità (…). Ciò che ho potuto osservare sul posto, nel sud
del Libano, è l’utilizzo delle bombe a frammentazione da parte degli Israeliani, che fanno
danni terribili. E l’ho visto più di una volta». Sull’evoluzione del conflitto, Gorkel, che si
aspetta «un’invasione terrestre di grande ampiezza da parte degli Israeliani prima di una
tregua», lancia fosche previsioni: «penso che si concluderà presto, non so quando, ma non
sarà purtroppo l’ultima guerra. Come le famiglie decimate sopporteranno la situazione?
Dove può arrivare lo spirito di vendetta? Ma la cosa che mi preoccupa di più, è già il futuro
prossimo. Villaggi interi sono stati deliberatamente distrutti da Tsahal e la gente non vi
potrà più ritornare. Tutte le scuole cristiane sono piene di profughi sciiti, cosa faranno
quando le scuole dovranno riaprire? Dove andranno? Chi ricostruirà le case? Non vi si
pensa abbastanza. E, nella situazione attuale, ci sono già priorità sulle quali occorre agire.
Il gasolio sta mancando in maniera pesante e negli ospedali la gente morirà, se i generatori
non possono girare più».
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Libano. 12 agosto. Hezbollah accetta i termini della risoluzione delle Nazioni Unite sul
cessate il fuoco tra Libano e Israele, ma si riserva il diritto di continuare a «resistere» contro
lo Stato sionista fino a quando «occuperà» le terre libanesi. «Quando Israele fermerà la sua
aggressione, si fermerà la reazione della resistenza». «Resistere» a Israele è «un nostro
diritto naturale», ha aggiunto Nasrallah in un comunicato televisivo.
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Israele / Libano. 12 agosto. Il Consiglio dei Diritti Umani dell’ONU condanna le «gravi e
sistematiche» violazioni di Israele in Libano. Ieri, con una risoluzione, ne ha reclamato la
fine immediata. L’iniziativa è partita da un gruppo di paesi arabi e musulmani, oltre a Cina,
Russia e Cuba. La risoluzione ha ricevuto l’appoggio di 27 paesi, 11 si sono pronunciati
contro, 8 quelli astenuti.
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Libano. 12 agosto. Israele come gli USA ad Hiroshima. Lo afferma il docente universitario
Danilo Zolo sulla rivista Jura Gentium. Così come i bombardamenti USA nella cittadina
giapponese avevano l’obiettivo di «diffondere la morte e il terrore fra la popolazione civile
in un rapporto di assoluta asimmetria militare», analogamente Zolo rileva che «i
bombardamenti israeliani diffondono morte, terrore, distruzione e miseria nella più
assoluta impunità. Una popolazione senza difese è stretta nella morsa di una aggressione
nello stesso tempo terrestre, marittima ed aerea. Interi quartieri cittadini, ponti, strade,
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porti, aeroporti, depositi di carburante, fabbriche, stazioni radar, centrali elettriche sono da
settimane il facile bersaglio dei caccia-bombardieri israeliani, che hanno già compiuto
oltre 8.000 incursioni. I profughi sono almeno un milione». Tutto legittimo per Israele, che
può «radere al suolo il Libano senza tenere in minimo conto le convenzioni internazionali,
così come fecero gli alleati anglo-americani radendo al suolo le città tedesche e
giapponesi».
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Libano. 12 agosto. Zolo rilancia le accuse ad Israele, formulate tra gli altri dal presidente
libanese Emile Lahoud e da un rapporto di Human Rights Watch, di aver usato contro la
popolazione libanese anche armi non convenzionali. I bombardieri israeliani hanno fatto
uso, oltre che delle famigerate cluster bombs, anche di bombe termo-bariche, «già
largamente usate dagli Stati Uniti nella guerra del Golfo del 1991 e in Afghanistan (…)
considerati quasi-nucleari poiché, a parte le radiazioni, producono gli stessi effetti di
un’esplosione nucleare di raggio limitato (…) l’onda d’urto violentissima e la totale
combustione dell’ossigeno distruggono ogni forma di vita in un’area di circa 350 metri di
diametro». Il quotidiano israeliano Haaretz documenta pure che le forze israeliane hanno
usato in Libano «bombe al fosforo bianco e probabilmente anche armi chimiche di nuovo
tipo. E questo accade anche a Gaza, dove continua l’etnocidio del popolo palestinese: il
ministro della sanità ha accusato l'esercito israeliano di avere usato materiale esplosivo
contenente sostanze tossiche o radioattive, che bruciano e lacerano il corpo di chi le inala e
producono deformazioni degli arti e degli organi interni».
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Italia / Libano. 12 agosto. Anche l’Italia è coinvolta nei massacri in Libano, denuncia Zolo.
«La maggior parte di queste armi è fornita a Israele dagli Stati Uniti e molte passano da
Camp Darby e da altre basi statunitensi insediate nel nostro paese. Per di più, il recente
accordo di cooperazione tra le forze armate italiane e quelle israeliane, voluto dal governo
Berlusconi ed entrato in vigore nel giugno dello scorso anno, prevede che i due paesi
collaborino nella ricerca, nello sviluppo e nella produzione di tecnologie militari. Non è
dunque escluso, come ha sostenuto Manlio Dinucci su il Manifesto, che qualche arma non
convenzionale, sperimentata dalle forze israeliane nel poligono di tiro libanese, incorpori
segretamente anche tecnologia italiana: un contributo al “modello Hiroshima” che forse
contrasta con l’articolo 11 della nostra Costituzione».
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Israele / Libano. 12 agosto. Nonostante il genocidio perpetrato dall’esercito israeliano sulla
popolazione civile palestinese, l’aggressione sionista sta logorando sempre più Tel Aviv.
Ogni giorno che passa. Così come Hezbollah dopo la cattura dei due soldati –secondo
diverse fonti avvenuto in territorio libanese– anche Israele non si aspettava una simile
reazione da parte dei suoi avversari. Ed Israele, a ben vedere, ha molto più da perdere se
prosegue e si allarga il conflitto. Israele è stata incapace di distruggere Hezbollah, così come
si proponevano, è riuscita a compattare le comunità libanesi in nome dell’antisionismo, ha
sparso insicurezza nelle città israeliane, che può incrementarsi se Hezbollah farà uso di
missili a lungo raggio, facendo così soprattutto saltare la percezione israeliana di Stato
invulnerabile ed invincibile. Senza dimenticare l’alto costo economico, la perdita di vite
umane ed il logorio psicologico che comporta mantenere mobilitato per molto tempo un
numero elevato di truppe. Hezbollah, da parte sua, non ha ancora dispiegato tutto il
potenziale militare di cui dispone, controlla alla perfezione la gestione tattica della guerra di
guerriglia, ha l’appoggio quasi totale della popolazione sciita e ha tratto dalla sua parte
quote consistenti del resto della popolazione libanese e del mondo arabo e musulmano.
Quello che è chiaro è che Nasrallah ha vinto la battaglia dell’opinione pubblica musulmana,
mentre Israele (e sopratutto il Governo Olmert), ha perso credibilità in Occidente. E l’Iran
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potrebbe tornare a giocare un ruolo di mediazione decisivo per risolvere il conflitto così
come è stato in Iraq ed Afghanistan.
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USA / Israele / Libano. 12 agosto. Il vero “asse del male” si rivela sempre più essere
l’unione di interessi tra Israele ed USA. Gli ideologi neoconservatori e cristiano-sionisti
stanno però vedendo sempre più ostacoli frapporsi al loro progetto di ridisegno della mappa
geopolitica dell’area. Il dispiego di truppe amiche di paesi “alleati”/subalterni in Libano è
difficile che sarà sufficiente a spostare gli equilibri in campo. Le esperienze del passato,
quando le truppe statunitensi e francesi dovettero abbandonare il paese dopo aver sofferto un
numero cospicuo di perdite, l’insofferenza libanese ad altre occupazioni militari e le stesse
titubanze degli Stati subalterni nell’invio di propri militari, sono grosse incognite per i
progetti di dominio di Washington. Al di là degli interessi più o meno nascosti di molti di
questi Stati (la Germania che aspira ad un seggio permanente nel Consiglio di Sicurezza
ONU, l’Italia che spera con il proprio protagonismo politico di avere concessioni in campo
anche economico, eccetera), è da vedere la loro tenuta nei confronti della propria “opinione
pubblica” nel caso di riavvio in grande stile del conflitto, più volte annunciato da Israele.
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Iran / Siria / Libano. 12 agosto. Nei massmedia e nel mondo politico, è oramai divenuto un
luogo comune affermare che Siria ed Iran sono i “burattinai” di Hezbollah. Ciò è del tutto
falso. Il movimento libanese ha la sua propria agenda, prende decisioni autonomamente e le
attua secondo questa logica. Gli aiuti economici o logistici che possono aver fornito questi
due paesi non hanno condizionato in alcuna misura gli obiettivi di Hezbollah. Per certi versi
sembra più il regime siriano ad aver bisogno di Hezbollah che viceversa. Discorso analogo
con Teheran. Tra Iran ed Hezbollah ci sono sicuramente ottime relazioni cementate dalla
stessa religione sciita (ramo minoritario dell’Islam e considerato eretico dalla visione
saudita) e dagli stessi nemici strategici: Israele e Stati Uniti. Hezbollah è nato a seguito
dell’invasione del Libano nel 1982, come il più importante dei movimenti di resistenza della
comunità sciita, storicamente la più marginalizzata del paese. L’Iran è stato un fattore chiave
nello sviluppo del gruppo libanese, non solamente a livello ideologico ma anche in termini
di addestramento militare e di logistica. Tuttavia, il controllo che Teheran deteneva nei
confronti di Hezbollah è andato perdendo forza man mano che quest’ultimo si è andato
integrando nel sistema politico libanese ed ha preso forma propria. I piani di Nasrallah non
prevedono di convertire il “paese dei cedri” in uno Stato islamico sciita. Da più di una
decade Hezbollah ha optato per la via democratica e il dialogo con le altre comunità
religiose, mentre il suo ramo militare si è limitato a combattere dentro i confini libanesi
contro un esercito di occupazione.
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Israele / Libano. 12 agosto. Resa dei conti in Israele ad un mese dai cruenti bombardamenti
in Libano. Hezbollah mantiene intatta la sua capacità offensiva, e l’opposizione di destra del
Likud, che fino ad ora ha assecondato le decisioni del governo di coalizione tra Kadima ed i
laburisti, attacca il primo ministro Ehud Olmert ed esige le sue dimissioni se accetterà un
cessate-il-fuoco dell’ONU. La stampa è sempre più critica, l’opinione pubblica sempre più
scettica. Crescono le tensioni anche all’interno del governo. «Olmert deve dimettersi», è la
prima pagina del prestigioso Haaretz, che ne sottolinea gli “errori: «È entrato in guerra
arrogantemente e senza calcolare le conseguenze, si è affidato ciecamente ai militari (...) e
dopo essere precipitato nell’abisso è rimasto di ghiaccio e titubante», sostiene Ari Shavit.
L’altro influente quotidiano Yediot Aharonot difende i soldati. «Gli obiettivi non sono
chiari. I soldati non hanno idea di quello che li aspetta», confessa un capitano riservista.
Solo il 20% della popolazione crede che Israele stia vincendo la «guerra contro Hezbollah».
In seno al governo si registano crescenti tensioni tra l’ala dura, sostenuta dai militari, e
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un’ala più disposta a chiedere l’aiuto dell’ONU per far cessare il lancio di razzi nel nord di
Israele.
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Israele / Libano. 12 agosto. Messo sotto tiro, Olmert alza la posta e dà l’ok all'invasione di
massa del sud del Libano. Di fronte ad una risoluzione dell’ONU che non accoglie tutte le
condizioni poste da Israele, Ehud Olmert ha subito dato il via alla «grande offensiva» di
terra, che appare come una reazione alle critiche interne che lo stanno travolgendo. Il punto
è che Israele non sta vincendo la guerra e i katiusha continuano a colpire il nord del paese.
Per giorni Olmert e il ministro della difesa Peretz hanno riferito di vittorie, di centinaia di
combattenti di Hezbollah uccisi e hanno promesso la fine del leader sciita Hassan Nasrallah.
«Se accetterà il cessate il fuoco il governo dovrà rassegnare le dimissioni poiché avrà
consegnato a Hezbollah, e a tutti coloro che vogliono la distruzione di Israele, la vittoria»,
ha detto Yuval Steinitz (Likud). Avi Shavit, editorialista di Ha’aretz, scrive invece che
«l’Israele del dopo guerra, colpito e sanguinante, ha bisogno di un nuovo inizio e di un
nuovo leader. Ha bisogno di un premier vero», accusando Olmert di essersi precipitato in un
conflitto difficile senza averne calcolato le conseguenze. Va notato come la stampa
israeliana chieda la testa del premier e del ministro della difesa per la mancata sconfitta di
Hezbollah e non per aver cercato a tutti i costi una guerra che è costata la vita a oltre mille
libanesi, ferito altre migliaia, distrutto ponti e strade, migliaia di edifici civili, di villaggi
(quasi rasi al suolo) e un milione di sfollati. Soto questo aspetto, Olmert ha mantenuto la
promessa fatta un mese fa: riportare, con i bombardamenti, il Libano indietro di 20 anni.
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Libano. 12 agosto. Armi letali e strane ustioni. Crescono i sospetti sull’uso di armi
chimiche da parte di Israele. Lo conferma in un’intervista al Tg3 il dottor Ibrahim Faraj,
medico in un ospedale di Tiro, il quale ha informato che il grado delle ustioni che i pazienti,
vittima delle bombe, presentano è difficile da classificare, il tessuto della pelle si sbriciola,
ci sono secrezioni e odori strani. Il che, ha aggiunto il medico libanese, accresce i sospetti
che non si tratti di bombe vere e proprie.
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Libano. 13 agosto. «Nessun esercito al mondo, da solo, avrebbe potuto sconfiggere
Hezbollah». Lo ha detto il ministro degli Esteri israeliano, Tzipi Livni, a margine della
riunione di gabinetto sulla risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell'ONU.
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Italia / Libano. 13 agosto. Militari italiani in Libano: gli stati maggiori hanno già fatto i
calcoli. La missione costerà 150 milioni a semestre, avrà bisogno di circa 3mila uomini sul
terreno e dovrebbe partire fra tre settimane. Il comando del contingente internazionale,
innanzitutto, dovrebbe spettare alla Francia, che da tempo lo rivendica in sede ONU, mentre
l’Italia potrebbe assumere il vice comando. La «forza d’ingresso» sarà affidata ai lagunari
(inquadrati nell’esercito) della Serenissima e al reggimento San Marco (che risponde alla
Marina). A questi potrebbero aggiungersi i paracadutisti della Folgore, le brigate
dell’esercito Ariete e Pozzuolo del Friuli e, infine, un nutrito gruppo di carabinieri con
compiti di polizia militare. E ancora: un centinaio di mezzi, tra carri armati e mezzi di
trasporto blindati, almeno tre navi di supporto ed aerei da trasporto C-130 e velivoli senza
pilota Predator, in rientro dall’Iraq. Un ruolo fondamentale nell’operazione dovrà poi
fornirlo il Sismi, in questi giorni nella bufera per l’inchiesta sul rapimento su suolo italiano
dell’iman egiziano Abu Omar ad opera della CIA. È dal 1979, nell’ambito della missione
ONU UNIFIL, che i militari italiani sono impiegati nell’area. Attualmente sono di stanza a
Naqoura con compiti ben precisi: sgomberi sanitari, operazioni di ricognizione, ricerca e
soccorso, attività antincendio. Ma da settembre l’impegno sarà più pervasivo.
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Italia. 13 agosto. Tremila uomini: un impegno elevato, circa un quinto dell’intero
contingente che dovrebbe attestarsi intorno alle 15mila unità. La difesa italiana è già molto
impegnata all’estero: oltre i 3.000 - 3.500 uomini (e donne) non può andare. Un impegno
comunque notevole dal punto di vista finanziario. La cifra prevista di 150 milioni dovrà
trovare spazio nella prossima finanziaria, dove già si parla di pesanti tagli alla spesa sociale.
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Libano. 13 agosto. Il governo Siniora approva la risoluzione 1701 dell’ONU all’unanimità,
con l’accordo di Hezbollah. Indiscrezioni parlano di una telefonata di Bush che, dopo
l’approvazione della risoluzione 1701 da parte del Consiglio di Sicurezza, ha chiesto al
premier Fuad Siniora di «eliminare» l'influenza di Hezbollah dalla vita politica libanese.
Richiesta che il primo ministro, che appena qualche settimana fa non nascondeva la sua
ostilità a Hezbollah e criticava Damasco e Teheran, non può recepire. I massacri e le
distruzioni israeliane hanno cambiato il quadro politico interno. Hezbollah è ora garante
della stabilità del Libano e parte di un accordo nazionale che nessuno vuole o può rinnegare.
Non è un caso che ieri Siniora, prima di presiedere il consiglio dei ministri che in serata
avrebbe approvato all’unanimità la risoluzione ONU, abbia elogiato il comportamento della
guerriglia di Hezbollah: «La fermezza dei combattenti della resistenza sul campo è stata
molto importante, così come la fermezza e l’unità dimostrate dalla popolazione».
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Libano. 13 agosto. Nonostante la risoluzione ONU non preveda il ritiro immediato delle
forze israeliane dal Libano del sud e dalle Fattorie di Shebaa e regali a Israele un «diritto
alla difesa» che si trasformerà certamente in quello di «attacchi preventivi», il Segretario di
Hezbollah, Hassan Nasrallah, ritiene in questa fase importante mantenere e rafforzare l’unità
nazionale libanese: «Non saremo di ostacolo ad alcuna decisione che il governo ritenga
appropriata ma i nostri ministri esprimeranno delle riserve su quegli articoli che ritengono
ingiusti e iniqui. Rispetteremo la cessazione delle ostilità, ma finché ci saranno offensive
israeliane, la resistenza risponderà», ha detto ieri Nasrallah in un discorso alla televisione
Al Manar. Il leader di Hezbollah ha lanciato poi un avvertimento: «né la resistenza, né il
governo né il popolo devono commettere l’errore di credere che la guerra sia finita», anche
alludendo all’offensiva terrestre su vasta scala fino al fiume Litani lanciata da Israele.
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Israele. 13 agosto. «Olmert aveva promesso il ritorno dei soldati rapiti il 12 luglio, la
rimozione della minaccia dei razzi di Hezbollah e il disarmo dei miliziani libanesi. Non ha
ottenuto nessuno di questi obiettivi», ha esclamato Gideon Saar, capo del gruppo
parlamentare del Likud.
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Francia / Israele / Libano. 13 agosto. «Stop al massacro». Firmato: «Noi, ebrei contro i
bombardamenti di Israele». È il senso dell’appello di 177 personalità lanciato dal medico
Marcel-Francis Kahn e pubblicato su Liberation. I firmatari vogliono battersi contro
«l’offensiva sanguinosa di Israele» e chiedono che venga applicato un «immediato cessate il
fuoco» in Medioriente. Secondo l’ex ambasciatore francese all’ONU, Stéphane Hessel,
«tocca alla dispora mettere in evidenza gli errori del governo israeliano». Rony Brauman,
ex presidente di Médecins sans frontières, deplora «lo spirito comunitaristico degli ebrei di
Francia che si ritrovano sistematicamente a fianco di Israele». Secondo i firmatari, esiste in
Francia un «monopolio» dell'immagine degli ebrei in mano ad organizzazioni comunitarie,
come il Crif (Consiglio rappresentativo delle istituzioni ebraiche di Francia), che non lascia
spazio al confronto di idee differenti. Ma per Roger Cukierman, presidente del Crif, i
firmatari dell’appello a favore del cessate il fuoco sono soltanto espressione di «una
corrente estremamente minoritaria» tra i cittadini francesi di religione ebraica, quindi per
nulla rappresentativi.
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Libano. 13 agosto. I combattimenti a terra sono stati, secondo il quotidiano israeliano
Haaretz, furiosi. Nell’incalzare della battaglia, due soldati sono rimasti schiacciati da un
loro stesso carro armato Merkava. Agli Stati uniti era anche pervenuta la richiesta urgente di
una partita di missili M-16, giunti probabilmente ieri in giornata, caricati con granate a breve
gittata. Cluster bombs, per intendersi: quelle che Daniel Ayalon, ambasciatore israeliano a
Washington, la settimana scorsa aveva dichiarato assenti dall’arsenale israeliano perché
proibite dalle Nazioni Unite.
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Libano. 13 agosto. «Non siamo teleguidati da Teheran. Noi siamo un’organizzazione
libanese indipendente. Non accettiamo ordini da nessuno. Ma questo non significa che non
cooperiamo. Lo ripeto, noi siamo resistenti. Siamo al fianco dell’Iran e della Siria. Sono i
nostri fratelli. Ogni minimo attacco contro Teheran o Damasco lo vediamo come
un’aggressione contro di noi. Siamo pronti a difenderli fino al nostro ultimo respiro. Noi
sosteniamo la resistenza globale al terrorismo imperialista globale». Parole del segretario
generale di Hezbollah, Seyyed Hassan Nasrallah, al giornale turco Evrensel dell’edizione di
ieri, prima che venisse proclamato il cessate-il-fuoco tra Israele e Libano.
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Libano. 13 agosto. Nasrallah parla del martirio di civili innocenti, donne e bambini e
risponde anche alle accuse di attentare alla vita degli arabi israeliani. «Contrariamente al
nemico sionista, noi agiamo con cautela e discernimento. Non spariamo sui civili. Essi
mentono quando affermano che facciamo questo. Lanciamo missili su obiettivi militari che
avevamo localizzato precedentemente. Bisogna però sapere che i sionisti stanno spingendo
deliberatamente gli arabo-israeliani verso la frontiera. Li utilizzano come bersagli. Noi
rifiutiamo di cadere nella provocazione e nella discordia con gli arabi israeliani. I nostri
bersagli non sono i civili ma le forze militari sioniste», contrastate duramente sul campo di
battaglia. A loro Nasrallah lancia un avvertimento: devono sapere che non abbiamo ancora
utilizzato il nostro arsenale più importante. Proprio perché avrebbero capito di non potere
sconfiggere Hezbollah, «distruggono le nostre strade e assassinano le nostre donne e
bambini. Credono di poterci portare così alla capitolazione, ma noi non ci arrenderemo
mai! Non accettiamo alcuna soluzione se non la libertà della nostra patria (…) Questa
guerra terminerà con la vittoria di tutti gli oppressi e di tutti i Musulmani del mondo».
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Libano. 13 agosto. I piani di Washington e di Tel Aviv di divide et impera nel Medioriente
non riusciranno, proclama Nasrallah: «Il regime sionista spera di creare uno scontro etnico
e religioso non soltanto in Libano ma nell’intera regione, fomentando le tensioni tra le
differenti comunità. Ma Hezbollah ha rovinato questo piano. I popoli oppressi del nostro
paese e del Medio Oriente hanno difeso Hezbollah e gli hanno fornito il proprio sostegno.
Cristiani e socialisti compresi». E denuncia: «È evidente che l’imperialismo abbia creato,
già al tempo dell’URSS, false organizzazioni islamiche collaborazioniste. Queste
organizzazioni non solo hanno sparso odio e discordia tra le comunità, ma hanno anche
combattuto le forze rivoluzionarie. Al presente, le condizioni sono cambiate. Per citare un
altro esempio: prima di rovesciare Saddam Hussein, gli Stati Uniti d’America l’hanno
utilizzato per combattere l’Iran, i Kurdi e noi altri. Diverse organizzazioni al soldo
dell’imperialismo sono state utilizzate per questi conflitti tra differenti comunità. Siamo
perfettamente coscienti di questa strategia. L’abbiamo ben compresa e durante la nostra
storia abbiamo accuratamente evitato di cadere in questa trappola».
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Libano. 13 agosto. Fomentare “guerre civili” nei paesi da conquistare è dunque una delle
strategie con cui Washington prova a conseguire il dominio. Come ad esempio in Iraq.
«Quando gli imperialisti non riescono a sconfiggere un popolo con le armi, creano delle
organizzazioni interne, che si pretendono “movimenti di resistenza”, al fine di fomentare
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delle guerre civili. Questo permette agli imperialisti di presentarsi come salvatori e
vincitori. Ma qualsiasi cosa facciano, non raggiungono i loro obiettivi. Questo gioco è stato
utilizzato in Iraq contro gli Sciiti e i Kurdi. Gli imperialisti persistono attualmente con la
stessa strategia. Oggi Saddam non è più al potere ma ci sono centinaia di potenziali
Saddam. Siamo attenti affinché il nostro popolo, i nostri popoli, restino vigili di fronte alle
minacce di guerre fratricide».
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Libano. 13 agosto. Hassan Nasrallah ringrazia il presidente venezuelano Hugo Chavez ed
invita alla lotta antimperialista globale. «Per un certo tempo il movimento socialista ha
preso le distanze dalla lotta internazionale. Oggi, al contrario, ha finalmente iniziato ad
appoggiarci moralmente. L’esempio più concreto è il sostegno fornito dal presidente del
Venezuela, Hugo Chavez. Il richiamo del proprio ambasciatore da Israele è un atto che
alcuni Stati musulmani non hanno osato fare. Chavez ha inoltre annunciato il proprio
sostegno alla nostra resistenza in maniera esplicita. Questa dichiarazione ci ha
enormemente incoraggiato». Nasrallah si ramarica del fatto che, Chavez a parte, nel mondo
“di sinistra” non siano arrivati molti più sostegni: «Dobbiamo purtroppo notare che la
fratellanza del tempo passato, che esisteva tra coloro che combattevano il nemico comune,
non è più così viva. Avremmo voluto combattere l’imperialismo ed il sionismo, fianco a
fianco, con i nostri fratelli socialisti libanesi. Perché questa guerra non è solamente la
nostra. Questa è una battaglia comune di tutti gli oppressi del mondo. Non dimenticate che
se la Palestina ed il Libano perdessero questa guerra, sarebbe una sconfitta per tutti i
popoli oppressi».
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Libano. 13 agosto. Nasrallah invita dunque i rivoluzionari di tutto il mondo a sostenere
Hezbollah: «Ai nostri amici socialisti che vogliono combattere insieme a noi per la
fratellanza e la libertà, diciamo che se è per dirci che “la religione è l’oppio dei popoli”,
non vale la pena venire. Noi rifiutiamo tali concezioni. Al di là delle nostre differenze,
abbiamo dato prova delle nostre capacità; le foto di Chavez, di Che Guevara, di Sadr e di
Khamenei brandiscono fianco a fianco. Queste guide salutano insieme il nostro popolo. Se
noi rispettiamo le vostre opinioni e voi le nostre, nessuna potenza imperialista potrà
sconfiggerci!».
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Libano. 13 agosto. «Le potenze imperialiste dichiarano senza troppi giri di voler
soggiogare i popoli della regione e rimodellare il Medio Oriente installando dei governi
servili. E contro questo che noi resistiamo al fianco di Siria e Iran. La provocazione
dell’attentato contro l’ex primo ministro libanese Rafik Hariri è stata usata per ottenere il
ritiro delle truppe siriane dal Libano. Ma questi codardi non si sono voluti accontentare di
questo. Al presente, essi vogliono attaccare militarmente Teheran e Damasco, sempre con
lo stesso genere di pretesti (…) Gli imperialisti occidentali sperano di fare del Libano e
della nostra regione un secondo Kosovo, accendendo le tensioni tra le comunità. Noi non
partecipiamo a questo gioco. Nelle nostre strade, tutti i libanesi, siano essi cristiani, sunniti
o sciiti, brandiscono le bandiere di Hezbollah. Il loro mondo “unipolare” fa ormai parte del
passato. Di fronte ad essi ci siamo noi, l’Iran, la Siria, il Venezuela, Cuba e la Corea del
Nord. E c’è la resistenza in Palestina, in Iraq e in Afghanistan! Fintanto che l’imperialismo
e le sue guerre di occupazione esisteranno, i popoli proseguiranno la loro resistenza». Così
conclude Nasrallah nell’intervista al giornale turco Evrensel.
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Israele. 14 agosto. Oltre 5,1 bilioni di dollari (4.1 bilioni di euro): a tanto ammonta, per
Israele, il costo dell’aggressione in Libano. Secondo il quotidiano finanziario The Marker, la
somma deriva dal denaro impiegato per finanziare la guerra e la ricostruzione, oltre
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all’anticipo del Prodotto Nazionale Lordo previsto. Il costo diretto dell’aggressione è
stimato in 2.1 bilioni di euro.
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USA / Israele / Libano. 14 agosto. La guerra scatenata da Israele contro gli Hezbollah era
stata pianificata con anticipo e con il benestare della Casa Bianca. Lo scrive il giornalista
investigativo Seymour Hersh, nel numero del settimanale New Yorker. Hersh sostiene, senza
voler svelare le fonti che gli hanno dato queste informazioni, che una delegazione israeliana
era stata a Washington nella tarda primavera, per spiegare i propri piani, e che aveva cercato
e ottenuto l’assenso del vicepresidente Dick Cheney, dopodiché «persuadere Bush non fu un
problema, e anche Condi Rice salì a bordo». «Gli israeliani ci dissero che sarebbe stata
una guerra poco costosa e con numerosi benefici», segnala una delle fonti di Hersh, che
aggiunge: «Perché opporci a questo? Inseguirli e bombardare tunnel e bunker. Sarebbe
stata una dimostrazione per l’Iran». L’unico a non essere d’accordo sarebbe stato il
segretario della Difesa Donald Rumsfeld, normalmente un falco convinto. “Rummy” «non
voleva un’altra guerra che potesse esporre le truppe in Iraq a pericoli ancora maggiori». Il
mondo oramai conosce bene il nome di Hersh. La sua carriera cominciò con la denuncia del
massacro di My Lai in Vietnam, dove le truppe USA uccisero 500 civili vietnamiti. Nel
1998 fu lui a rivelare che il presidente Clinton aveva fatto bombardare per sbaglio una
fabbrica di medicinali in Sudan, credendo che fosse uno dei campi di Osama Bin Laden.
Due anni fa ha contribuito a portare alla luce i maltrattamenti contro i detenuti in Iraq, nella
prigione di Abu Ghraib. E di recente ha accusato la Casa Bianca di avere già pianificato una
guerra contro l’Iran. E l’Iran sarebbe la ragione per cui gli uomini di Bush avrebbero dato la
luce verde alla guerra di Israele contro Hezbollah. Il vicepresidente Dick Cheney, fautore di
un attacco contro le centrali nucleari iraniane, avrebbe visto di buon occhio l’ipotesi di
disarmare gli Hezbollah, che avrebbero potuto vendicare un simile attacco prendendosela
con Israele. Varie fonti hanno inoltre spiegato a Hersh che in una vittoria contro le milizie ci
sarebbero state altre ricadute positive: Israele sarebbe stata più sicura e il governo del
Libano avrebbe avuto più potere sul proprio territorio. Non solo: la guerra, che inizialmente
doveva essere solo condotta con bombardamenti aerei, sarebbe stata una prova generale per
l’eventuale attacco all’Iran.
•
USA / Israele / Libano. 14 agosto. Sia il Pentagono, che il Consiglio di sicurezza
nazionale, che il Dipartimento di Stato hanno negato che la teoria raccontata da Hersh sia
vera. Hersh insiste di aver avuto conferme da diplomatici e funzionari dell’intelligence. E
spiega che Israele non ha teso una trappola a Hezbollah, come si potrebbe credere: «Da
tempo le due parti si attaccavano», ha detto un consulente del Pentagono. «Di fatto erano
già in guerra». Il sostegno USA si è sfaldato quando le operazioni non sono andate come gli
israeliani avevano promesso: la delegazione aveva garantito «molti benefici a un costo molto
piccolo», e invece Hezbollah si è rivelato un nemico «dalla forza sorprendente». L’ex
vicesegretario di Stato Richard Armitage commenta: «La campagna di Israele in Libano
può essere un ammonimento per la Casa Bianca sull’Iran. Se la più grande forza militare
della regione non può pacificare un paese come il Libano, che ha una popolazione di 4
milioni di persone, bisognerà pensare con cautela prima di applicare lo stesso paradigma
all’Iran, che ha grande profondità strategica e una popolazione di settanta milioni di
persone».
•
Israele / Libano. 14 agosto. Ehud Olmert, nell’esaminare la risoluzione, si è detto
soddisfatto per il documento che considera una vittoria della diplomazia israeliana. «La
risoluzione 1701 delle Nazioni Unite è una buona risoluzione che crea vere condizioni per
attuare la 1559 ed evita il ritorno allo status quo. Hezbollah non continuerà ad essere uno
stato nello stato all’interno del Libano ed il governo libanese diverrà il punto di contatto
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con il governo israeliano», ha commentato il premier senza dilungarsi sul fatto che il
documento è considerato da tutti soltanto l’elencazione dei punti da risolvere senza che
siano indicati i meccanismi d’attuazione. «Basta discutere se era o non era necessaria»
l’operazione di terra, ha quasi gridato rispondendo alle crescenti critiche dell’opposizione e
dei mass media per i quali l’attacco sferrato proprio mentre veniva accettata la risoluzione
dell’ONU non aveva senso. A rafforzare queste critiche, il numero altissimo di vittime tra i
soldati. Venticinque, sabato, e ieri almeno cinque. Critiche al premier anche perché la
cessazione delle ostilità non è legata al rilascio dei due soldati catturati da Hezbollah anche
se la loro cattura è stato l’elemento scatenante di questa guerra. Il premier, parlando con i
parenti dei militari ha detto che è pronto a negoziare con il movimento sciita per farli tornare
a casa. Un mese fa aveva respinto l’ipotesi di un negoziato con i guerriglieri. Sta per
cominciare «la guerra degli ebrei in Israele», secondo l’editorialista dello Yediot Aharonot
riferendosi alle crescenti, caustiche, polemiche tra militari e militari, politici e politici,
politici e militari.
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Libano. 14 agosto. Nuove bombe israeliane su Beirut, nuove distruzioni, nuove vittime.
«Non ho mai visto un tale accanimento. Non ho mai visto tali distruzioni in un lasso così
breve di tempo. È una catastrofe». Il commento viene dal personaggio più qualificato per
farlo, Fadli Chalak, il presidente del Consiglio per la ricostruzione e lo sviluppo. Ovvero il
manager a cui il Libano da trent’anni si affida per ricostruire quanto guerra civile (dal 1975
al 1990), precedenti invasioni israeliane (1978, 1982) e terrorismo hanno distrutto. Un
lavoro immenso il suo. Che rimanda alle fatiche di Sisifo: gran parte di quello che è riuscito
a rimettere in piedi, le bombe israeliane hanno di nuovo sbriciolato. Le cifre fornite da
Chalak sono impressionanti: le distruzioni di case, palazzi, piccoli business attuali superano,
e di molto, quelle subite nei precedenti trent’anni. Si registrano le distruzioni di 29
infrastrutture vitali (l’aereoporto di Beirut, porti, riserve d’acqua, depuratori, centrali
elettriche), 630 chilometri di strade, 32 pompe di benzina, 145 ponti. Un quarto della
popolazione del Libano ha dovuto lasciare le proprie abitazioni; del milione di rifugiati,
almeno 200.000 persone non avrà più una casa in cui tornare nei prossimi giorni, sperando
che il cessate il fuoco si realizzi e si mantenga; otto ospedali della capitale hanno dovuto
chiudere. «Tra i ponti distrutti dagli israeliani vi è il famoso viadotto Mdeirij, nella strada
che collega Beirut e Damasco. Un ponte unico in tutto il Medio oriente con i suoi piloni
portanti di 70 metri. Potevano bloccare la strada, ma hanno scelto di colpire varie volte il
Mdeirij. Ricostruirlo costerà 65 milioni di dollari», sostiene il presidente del Consiglio di
ricostruzione.
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Libano. 14 agosto. Per ricostruire strade, ponti, scuole, fabbriche e quant’altro è stato
sbriciolato saranno necessari «fino a 2,5 miliardi di dollari», sostiene Sami Haddad,
ministro dell’Economia e del Commercio. Una cifra troppo bassa secondo l’economista
Marwan Iskandar: «Bisogna anche aggiungere il costo degli aiuti alle migliaia di società
sotto minaccia di fallimento. La cifra finale per far ripartire l’economia del Libano
potrebbe arrivare fino al tetto di 10 miliardi di dollari». Ma dove trovare i soldi, visto che le
casse del governo sono state prosciugate dalla precedente ricostruzione? Alla fine del 1990,
il Paese aveva già speso diversi miliardi di dollari, soprattutto grazie al ricco imprenditore
Rafic Hariri –poi eletto premier e assassinato l’anno scorso– che aveva finanziato la
ricostruzione del centro storico di Beirut. «I finanziamenti per le opere più urgenti, le
infrastrutture, circa 785 milioni di dollari, dovranno venire da donatori», afferma il
ministro dell’Economia e del Commercio. Di fatto la crescita economica che nei primi sei
mesi dell’anno era confortante (+6%) è stata azzerata; la bilancia dei pagamenti, che aveva
registrato un attivo storico di 1.8 miliardi di dollari, è in caduta libera. Come pure il settore
23
del turismo, dove si prevede che almeno il 60% dei 200.000 lavoratori del settore resterà
senza lavoro.
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Libano. 14 agosto. Secondo il Los Angeles Times, il presidente del Consiglio per la
ricostruzione e lo sviluppo Chalak è «uno di quei moderati ai quali il presidente Bush
guarda per costruire il Nuovo Medio Oriente». Ma ora, a causa di questa guerra, dichiara di
essere «pieno di rabbia. Noi non siamo fanatici religiosi. Anzi, siamo un branco di atei. Ma
non fatevi ingannare. Oggi ogni arabo, ogni musulmano ha dentro di sé un pezzetto di Bin
Laden».
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Israele. 14 agosto. La maggioranza degli israeliani, secondo un sondaggio, pensa che il
conflitto in Libano non abbia raggiunto i suoi obiettivi e che il comportamento delle forze
armate sia stato deludente. Lo riferisce l’edizione on-line del quotidiano Yedioth Ahronoth:
Il 58% degli israeliani pensa che Israele non sia riuscito a realizzare i suoi obiettivi o che li
abbia conseguiti solo in piccola parte. Il sondaggio indica inoltre un forte crollo nella
popolarità del premier Ehud Olmert e del ministro della difesa Amir Peretz e dei loro partiti,
Kadima e partito laburista, oltre che del capo di stato maggiore Dan Halutz. Il 62% ha dato
un voto negativo a Olmert, il 65% a Peretz e il 44% al generale Halutz. È la più bassa
percentuale di consensi per un capo di stato maggiore in carica.
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Libano. 15 agosto. Hezbollah celebra la «grande vittoria strategica e storica» su Israele
distribuendo volantini tra la popolazione libanese e le centinaia di auto dirette a sud, lungo la
strada che collega le città di Nabatiyeh, Tiro e Sidone, che ringrazia per la pazienza
dimostrata in 33 giorni di guerra. Hezbollah ha conseguito «una vittoria strategica e storica
per la Resistenza, per il Libano, per tutta la nazione araba», ha affermato dagli schermi
della tv Al-Manar Nasrallah, il leader di Hezbollah, che ha quindi reso omaggio a «tutti i
martiri» –guerriglieri Hezbollah, soldati dell’esercito libanese, personale della protezione
civile e popolazione civile– uccisi durante i 34 giorni di guerra. «La loro tenacia, il loro
amore e la loro fedeltà, che li hanno fatti rimanere al nostro fianco, è la prova di questa
vittoria. La mole delle perdite inflitte agli israeliani e le vittorie riportate dalla resistenza
non hanno precedenti nella storia del Libano». Il leader Hezbollah ha anche voluto rendere
omaggio «alla grande saggezza, garanzia della nazione» del presidente del parlamento ed
esponente sciita Nabih Berri.
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Libano. 15 agosto. Disarmo di Hezbollah? No, fino a quando Israele costituirà una
minaccia per il Libano. Lo ha affermato sheikh Hassan Nasrallah nel discorso pronunciato
stasera dagli schermi di Al-Manar, la Tv di Hezbollah. Secondo il leader del movimento
sciita libanese «a prescindere dal valore dell’idea in sé, parlare in questo momento del
disarmo» di Hezbollah «è immorale». «Il momento è sbagliato (…) nel suo attuale stato,
l’esercito libanese non è in grado di difendere se stesso né il Libano in caso di ripresa della
guerra (…) Il nemico ha capito che la guerra in Libano non è uno scherzo ed è molto
costosa, e sta studiando la lezione (…)». Un eventuale disarmo della milizia sciita va inoltre
«legata al futuro del paese e deve essere discussa senza fretta (…) attraverso il dialogo tra i
libanesi», ha continuato Nasrallah, ricordando che le armi di Hezbollah «sono la base per
uno Stato libanese forte (…) Il problema è che dobbiamo costruire prima un paese forte,
che riesca a difenderci. Solo in questo modo non avremo più bisogno della resistenza. La
resistenza è un fattore essenziale per la costruzione del paese e in questo momento le uniche
forze del Libano sono la resistenza e l’unità nazionale». A chi parla di disarmo, conclude
Nasrallah, risponda «con le fattorie di Shebaa (occupate da Israele, ndr), il ritorno dei
prigionieri (migliaia detenuti da Israele, tra cui centinaia di donne e adolescenti, ndr) e
garanzie autentiche per la stabilità del Libano».
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Libano. 15 agosto. Gli aiuti occidentali tardano? I convogli incontrano difficoltà? Alla
popolazione libanese colpita dal «volume senza precedenti dei bombardamenti israeliani,
che per la prima volta delle aggressioni al Libano hanno preso di mira anche le abitazioni
oltre che le infrastrutture, distruggendo 15mila case», penserà Hezbollah. I suoi militanti
daranno a ogni famiglia rimasta senza casa il denaro sufficiente per affittare un
appartamento per un anno. Sempre dagli schermi di Al-Manar, la tv dei miliziani sciiti, lo
sceicco ha assicurato che i militanti del movimento sciita aiuteranno anche a riparare le
abitazioni rimaste solo danneggiate nei bombardamenti israeliani. Hezbollah assisterà anche
gli sfollati a ritornare nel sud del Libano da cui erano stati costretti a fuggire a causa della
guerra, ha promesso Nasrallah.
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Israele. 15 agosto. Più che i katiuscia, a preoccupare le forze armate israeliane sono i razzi
anticarro usati dai guerriglieri di Hezbollah che hanno distrutto numerosi tank e uccisi molti
soldati. Olmert, scrive il quotidiano Yediot Aharonot, ha spedito a Mosca una delegazione
per chiedere come hanno fatto i modernissimi razzi di fabbricazione russa a finire
nell'arsenale della Resistenza sciita libanese.
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Israele. 15 agosto. Il primo ministro israeliano, Ehud Olmert, è comparso in Parlamento per
spiegare il punto di vista del suo governo dopo il cessate-il-fuoco entrato in vigore ieri.
Durante il suo intervento vari deputati sono stati espulsi per aver interrotto, contestandolo, il
primo ministro. Olmert ha parlato di «vittoria», ma le sue parole lasciavano trasparire
l’amarezza di un primo ministro che non crede a quello che dice. Olmert ha assicurato che è
stato eliminato lo «Stato nello Stato» che Hezbollah «aveva installato» in Libano. La
guerriglia, ha detto, è praticamente distrutta e la sua fiducia è minata.
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Libano. 15 agosto. Hezbollah ricorda ai libanesi il pericolo delle bombe a frammentazione,
proibite dalle convenzioni internazionali, e di cui ha fatto ampio uso Israele. Rifornimenti di
questo tipo di armi erano giunti a Tel Aviv, nelle ultime settimane, dagli Stati Uniti.
Hezbollah ha accusato Israele di aver disseminato esplosivi per continuare a causare danni ai
civili. Nella dichiarazione diffusa dall’emittente Al Manar si mette in guardia soprattutto da
giocattoli contenenti esplosivi che le truppe israeliane hanno sparso sul territorio. Già una
bambina è morta a Habbouche, 15 km dal confine, per uno di questi giocattoli di morte.
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Libano. 15 agosto. L’aggressione israeliana è costata la vita di almeno 1.200 libanesi. La
maggioranza dei caduti sono civili: 1.084, oltre a 40 militari. Hezbollah riconosce di aver
avuto 61 caduti, mentre Israele ribatte di aver ucciso 530 miliziani, oltre a 7 militanti di
Amal ed un palestinese del Fronte di Liberazione Popolare (FPLP-CG). Israele afferma di
aver perso 119 soldati e 41 civili.
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Libano. 15 agosto. Lahoud parla di fallimento israeliano. Il presidente del Libano, Emile
Lahoud, ha dichiarato ieri che Israele ha fallito nel suo obiettivo di provocare una guerra
civile libanese con i suoi bombardamenti contro il paese. Secondo Lahud, Israele non ha
ottenuto nessuno degli obiettivi che aveva previsto, tra i quali quello di «provocare una
guerra settaria tra libanesi».
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Libano. 16 agosto. «Non abbiamo un programma sciita o di parte. Siamo sunniti perché
sosteniamo i palestinesi. E siamo cristiani perché ci ispiriamo a Chavez, che ci è più vicino
dei leader arabi». Sono alcune delle dichiarazioni raccolte dal giornale indiano Asian Age
nel quartiere generale Hezbollah, ed attribuibili direttamente a Nasrallah e ai suoi più vicini
collaboratori, che hanno chiesto l’anonimato per non finire nella lista dei “bersagli”
25
israeliani. «Non siamo contro Israele perché è uno Stato ebraico, ma perché è uno Stato
sionista (…) Storicamente, non ci sono problemi tra ebrei e musulmani». Il giornale
sottolinea come la leadership di Hezbollah stia bene attenta a non farsi considerare dalla
popolazione libanese come una organizzazione sciita. Nessuna proclamata intenzione di
imporre la Sharia in Libano. Hezbollah sottolinea che ha combattuto per «l’unità del
Libano», richiedendo la collaborazione degli altri partiti libanesi: dai cristiani fino ai
comunisti. «Ci sono molti che cercheranno adesso di rompere l’unità, e questo non deve
essere permesso», ha detto Nasrallah nel suo primo discorso dopo il cessate-il-fuoco. I
militanti che hanno combattuto, oggi vengono impegnati nella ricostruzione; li si vede
accanto ai soccorritori civili fra le macerie, e non si fanno distinzioni, nei soccorsi, tra sciiti,
sunniti e cristiani.
•
Libano. 16 agosto. Hezbollah auspica una resistenza inter-nazionale globale contro
l’imperialismo. «Consideriamo la resistenza ad Israele come l’inizio di una riscossa, e
chiediamo a tutti i movimenti di resistenza di unire le nostre forze per portare la lotta
all’imperialismo ad un nuovo livello». Un importante riferimento per Hezbollah è il
presidente venezuelano Chavez: «Aspiriamo a un progetto di cooperazione tra i movimenti
di resistenza del mondo, e in questo Chavez ci è più vicino dei leader arabi».
•
Libano. 16 agosto. Hezbollah un partito collocabile “a sinistra”? La leadership del
movimento, intervistata da Asian Age, è stata categorica nell’affermare che il programma
sociale di Hezbollah «è vicino a quello dei partiti di sinistra» ed ha espresso l’auspicio che
le forze di resistenza agli USA in tutto il mondo cercheranno di elaborare una «piattaforma
comune».
•
Libano. 16 agosto. I comunisti libanesi al fianco di Hezbollah. Khaleed Haddade, segretario
generale del partito comunista libanese, rivendica che il partito, così come nel 1982, ha
combattuto, con i suoi uomini e le sue milizie, accanto ad Hezbollah ed Amal in difesa del
paese. «Noi consideriamo la politica sionista come un’appendice dell’imperialismo
statunitense nel Medio Oriente. La nostra analisi politica è stata ulteriormente confermata
da questa ennesima aggressione: dietro a Israele c’è la mano degli USA, la politica
americana egemonica e prevaricante gli interessi dei popoli. Dietro Israele c’è la
diplomazia statunitense che ha dichiarato apertamente quali fossero i suoi obiettivi per la
creazione di quello che loro, a Washington, chiamano “Grande Medio Oriente” o “Nuovo
Medio Oriente”». Quella del Libano è dunque «un’aggressione imperialista che mira a
destabilizzare il Medio Oriente più di quanto non lo sia già stato dopo l’occupazione
statunitense dell’Iraq. I comunisti di tutto il mondo dovrebbero opporsi a questi progetti
imperialistici americani e sostenere le resistenze dei popoli oppressi in Libano come in Iraq
e Palestina».
•
Libano. 16 agosto. Il rapporto tra Hezbollah e partito comunista libanese? «Decisamente
buono. Siamo solidali con la Resistenza Islamica perché difende il nostro paese e si oppone
alle strategie USA e sioniste nella regione». Nonostante Hezbollah sia un partito sciita, e
non possiamo certo adottare la loro ideologia fondata sulla valorizzazione della propria
identità religiosa, i comunisti libanesi sono stati, «fin dagli accordi di Taif del 1990, uno dei
principali interlocutori del partito di Seyeed Hassan e abbiamo avuto buone relazioni in
parlamento quando ancora Hezbollah era una forza d’opposizione (…) Vorrei ricordare
come pochi giorni or sono il partito di Seyyed Hassan abbia ufficialmente riconosciuto il
nostro sforzo, anche militare, con un comunicato diffuso da al Manar nel quale Hezbollah
ringraziava pubblicamente il partito comunista libanese per essersi schierato con i suoi
uomini armi in pugno contro il nemico sionista e commemorava i nostri caduti».
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Israele. 17 agosto. Israele nella guerra infinita di Washington: ne parla l’analista politico
Michel Warschawski, uno dei maggiori esponenti della sinistra radicale israeliana,
intervistato da il Manifesto. Sulle cause dell’aggressione al Libano, Warschawski non ha
dubbi: «Non si può comprendere questa guerra d’aggressione contro il Libano, né
l’accanimento contro i palestinesi, in particolare a Gaza, fuori dal contesto della guerra
permanente e preventiva intentata dai neoconservatori di Washington a livello mondiale e
fatta propria da Tel Aviv. L’obiettivo è quello di imporre l’egemonia nordamericana nella
regione a scapito di regimi come Siria e Iran e organizzazioni politiche di massa come
Hamas e Hezbollah, identificate come terroristiche. Ma questa guerra è stata anche un
laboratorio, in termini di strategia, tattica, e sperimentazioni di armi che Israele ha ricevuto
in questi anni da Washington: anche armi sconosciute».
•
Israele. 17 agosto. In tale contesto, Michel Warschawski parla di un Israele sprofondato nel
fanatismo in seguito all’11 settembre. «Da anni è in corso in Israele una massiccia
campagna per convincere la società che la pace è un’illusione e che occorre tornare al
cosiddetto spirito del ’48. Una vera controriforma su tutti i piani (culturale, ideologica,
giuridica e istituzionale), che, dopo l’11 settembre, ha incontrato e inglobato la teoria dello
scontro di civiltà e la retorica della guerra al terrorismo. Alle ragioni geostrategiche di
controllo del territorio e di annessione continua dell’intera Palestina storica, si è aggiunto
un altro elemento: a partire dell’11 settembre, anche la stragrande maggioranza della
sinistra moderata, quello che per voi è il centrosinistra, pensa che ci sia una civiltà
minacciata dai barbari e che occorra difendersi. Si crede l’avamposto della civilizzazione
nel cuore del mondo arabo, l’ultimo baluardo in seno alla barbarie: questo è il discorso che
è passato».
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Israele. 17 agosto. In questo scenario ideologico, «i palestinesi, da nemici che erano, si
sono trasformati in minaccia. E una minaccia non è più identificabile in un contenzioso
concreto e in un nemico concreto, incombe e basta e ci si deve difendere. “Israele è una
villa nel cuore della giungla”, ha detto qualche anno fa Ehud Barak. Si può mai intrattenere
rapporti con la giungla? Questo discorso domina e guida la politica israeliana e la gran
parte dell’opinione pubblica». Un fanatismo che l’israeliano Warschawski non riscontra in
campo avverso: «Ascolto con molta attenzione Nasrallah e, come altri commentatori in
Israele, constato che i suoi discorsi sono pacati e di grande responsabilità: tutto il contrario
dell’Occidente che si pretende baluardo di civiltà e che invece trasuda retorica
fondamentalista. Sembra di assistere a un capovolgimento di valori: il campo laico che si
abbandona al fanatismo, e quello religioso che, anche se parte da una diversa concezione,
fa di tutto per non pronunciare discorsi confessionali». E conclude: «La politica di guerra
dei dirigenti israeliani porta alla catastrofe, e chiude le porte alla possibilità di una
coesistenza nazionale con i palestinesi. Ci fanno odiare dagli arabi perché, pur vivendo in
una regione araba, Israele rigetta il mondo arabo. Bisogna essere pazzi per credere che
possiamo imporre la nostra esistenza in questa regione e contro il mondo arabo».
•
Libano. 17 agosto. Il ministro degli Esteri francese Philippe Douste-Blazy, cioè il capo
della diplomazia del Paese che dovrebbe guidare la forza dei 15mila caschi blu, ha ieri detto
a Beirut che: «La Francia è pronta a partecipare al rafforzamento dell’Unifil, ma prima
l’esercito libanese deve essere dispiegato nel Sud del Libano». Douste-Blazy si aspetta che
sia l’esercito libanese a disarmare le milizie Hezbollah, come ha confermato un suo
assistente al Financial Times: «La risoluzione deve essere applicata appieno. La zona di
interposizione deve essere resa libera da armi». Il che però contrasta con quello che il
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governo libanese pensa della stessa risoluzione: «L’esercito non verrà inviato nel Sud per
disarmare Hezbollah» ha detto infatti il ministro della Difesa di Beirut Elias Murr.
•
Libano. 17 agosto. Ad aiutare gli sfollati che vogliono tornare ai propri villaggi per
ricostruire le proprie case e le proprie vite sono già scesi nelle strade gli uomini di
Hezbollah. Al volante di bulldozer stanno spianando strade che erano interrotte dalla
distruzione della guerra. Stanno anche bussando di porta in porta per offrire aiuto,
promettendo 10mila dollari a chi è rimasto senza casa, per comprare cibo, pagare affitto e
nuova mobilia.
•
Libano. 17 agosto. Nei soli primi due giorni dopo il cessate il fuoco, esperti del Mine
Action Service delle Nazioni Unite hanno individuato ben 10 località, nella zona di
Nabatiyeh, Tibnin e Beit Yahoun, dove sono state usate da Israele bombe a grappolo nei
suoi attacchi aerei nel sud del Libano. Sono state rinvenute centinaia di bombe inesplose,
alcune anche nelle adiacenze di un ospedale. L’organizzazione per i diritti umani Human
Rights Watch, che ha visitato i luoghi, ha affermato in un comunicato del 17 agosto che fino
al quel momento erano almeno 16 le persone uccise o rimaste ferite dagli ordigni dispersi e
rimasti inesplosi durante gli attacchi, e che era presumibile che i 10 siti trovati fossero
soltanto la punta dell’iceberg del problema.
•
USA. 17 agosto. Come nelle guerre del passato, gli Stati Uniti hanno aiutato Israele, e la
strategia di Tsahal sul campo di battaglia, non priva di contraddizioni, è stata quantomeno
influenzata dai suggerimenti e dai desideri del potente alleato d’Oltreatlantico. Ora che,
comunque si giudichi il risultato dello scontro, il mito dell’invincibilità di Israele si è
seriamente incrinato, il conflitto fra “falchi” e “colombe” sulla politica mediorientale degli
USA è destinato a riaccendersi. La destra estrema dei “neoconservatori”, puntando proprio
sull’indebolimento di Israele e sulla crescente pericolosità dell’alleanza tra Iran e Siria,
ripropone il tema della “guerra preventiva” contro i due “Stati canaglia”. Ma all’interno del
Partito repubblicano l’ala moderata continua a favorire la riapertura di un dialogo, se non
con l’Iran, con la Siria di Bashar Al Assad. A loro dire, l’alleanza tra Teheran e Damasco
non è così granitica come i “neoconservatori” vogliono fare apparire, data la diversità di
filosofia politica e religiosa esistente tra i due Paesi, l’uno a maggioranza sciita e l’altro
sunnita, l’uno fortemente religioso l’altro laicizzato. Non va dimenticato che all’epoca della
guerra del Golfo il presidente Bush I accolse la Siria nella coalizione anti-Saddam e durante
i due mandati del presidente Clinton i rapporti fra USA e Siria non erano stati
particolarmente conflittuali. È dopo l’11 settembre che la Siria è entrata a far parte degli
“Stati canaglia”. Ma la politica che mirasse a recuperare la Siria, da cui per ovvie ragioni
geografiche dipende più direttamente che da Teheran la situazione libanese e quindi il
sostegno agli Hezbollah, avrebbe un prezzo per Israele, poiché non potrebbe non riaprire la
questione delle alture del Golan occupate da Israele dopo la guerra del 1967 e il cui ritorno
alla Siria è uno dei punti del programma dell’attuale gruppo dirigente di Damasco.
•
Israele / Costarica. 17 agosto. Gerusalemme perde ambasciate e Tel Aviv si infuria. Israele
ha criticato ieri la decisione del Costarica di trasferire l’ambasciata da Gerusalemme a Tel
Aviv, sostenendo che questa scelta «potrebbe essere interpretata come una resa di fronte al
terrorismo». Ieri il presidente costaricano Oscar Arias ha deciso il trasferimento
dell’ambasciata da Gerusalemme, dove si trovava dal 1982, a Tel Aviv «fino a quando si
arrivi ad una decisione definitiva sullo status che avrà la città di Gerusalemme». Il governo
salvadoregno, che ha una sua legazione a Gerusalemme, ha annunciato oggi che studierà una
misura analoga.
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Libano. 17 agosto. In tutti i manuali di Stato Maggiore, nei capitoli dedicati alla
pianificazione di un’operazione, si sottolinea con grande enfasi l’importanza che la missione
assegnata ed il compito da svolgere siano chiari e privi di ambiguità. Non è questo il caso
della missione Unifil per il Libano in via di formazione. Il punto cardine di tutta la questione
riguarda le milizie di Hezbollah, che ben sapendo di non avere possibilità di successo, data
la sproporzione di mezzi, in un’ipotesi di confronto convenzionale contro Israele, hanno
spinto la lotta verso un confronto di tipo asimmetrico molto simile a quello in Iraq tra USA e
resistenza. Sul piano militare la Resistenza libanese ha già dichiarato che non intende
smobilitare; l’esercito libanese, che non lo ha fatto finora, non lo farà certamente adesso.
Come comportarsi allora? Si sottolinea anche come all’Iran sia di aiuto il sostegno di
Hezbollah in caso di confronto con i sionisti.
•
Israele. 18 agosto. Ministro israeliano accusa ora l’esercito. Il ministro della difesa, Amir
Peretz, assicura che gli alti comandi dell’esercito non lo avevano informato dell’enormità
della minaccia che rappresentava Hezbollah. Quando prese possesso della carica quattro
mesi fa, assicura l’ex capo sindacalista, la guerriglia libanese era l’ultima delle sue priorità.
Intanto l’ex capo di Stato Maggiore israeliano, Dan Halutz, è coinvolto in un’altra polemica
dopo che si è venuto a sapere che, ad alcune ore dalla cattura in Libano di due soldati
israeliani il 12 luglio, aveva venduto le azioni di cui era in possesso, poco prima che
avvenisse il crollo in Borsa.
•
Libano. 18 agosto. «Il Libano non ha solo sconfitto Israele, ha anche sconfitto i piani per
una divisione dello Stato libanese». È quanto ha dichiarato il presidente del Paese dei Cedri,
Emile Lahoud. Lahoud si è rivolto alla nazione con un discorso trasmesso dalle tv nazionali.
•
Gran Bretagna / Libano. 18 agosto. Nasrallah ha vinto la guerra. Un uomo con un grande
poster raffigurante Hassan Nasrallah e sullo sfondo una densa nube di fumo: questa è la foto
di copertina del settimanale inglese The Economist accompagnata dal titolo: “Nasrallah ha
vinto la guerra”. «Nasrallah e Ehud Olmert sostengono entrambi di aver vinto. Ma in un
conflitto asimmetrico, il test della vittoria non può che essere asimmetrico», si legge
nell’editoriale dell’Economist. «Ehud Olmert si era posto un obiettivo assurdo, la completa
demolizione del potere di Hezbollah in Libano, e ha perso», afferma l’Economist.
•
Libano. 19 agosto. Raid di una unità speciale israeliana vicino a Baalbek, la prima
operazione di questo tipo dall’inizio della tregua. Due elicotteri hanno scaricato in una
radura due Humvee pieni di uomini delle teste di cuoio israeliane. L’operazione di
commando è stata preceduta nelle ore precedenti da intensi sorvoli e raid simulati dei caccia
con la Stella di David sulla valle della Bekaa, il che ha rappresentato –nel silenzio della
cosiddetta “comunità internazionale”– ulteriori violazioni della tregua e dello spazio
nazionale libanese. Purtuttavia non ha colto impreparato il dispositivo difensivo di
Hezbollah: è stato ucciso un ufficiale israeliano, altri due sono stati feriti, uno dei quali
gravemente. Tel Aviv ha poi parlato di tre miliziani di Hezbollah uccisi ed, inizialmente,
anche di alcuni prigionieri. La Resistenza libanese ha però smentito l’uccisione o la cattura
di suoi uomini. L’operazione ha suscitato reazioni politiche in Israele. Il capo del partito
della sinistra “Meretz” Yossi Beilin ha chiesto al ministro della difesa Amir Peretz di
spiegarsi sulla «opportunità dell’operazione condotta in Libano» e di «chiarire se è
obiettivo di Israele rompere il cessate il fuoco». In cinque giorni, la cessazione delle ostilità
era già stata infranta con l’uccisione di alcuni presunti militanti Hezbollah.
•
Libano. 19 agosto. «Se un atto simile lo avesse perpetrato il Libano, non si sarebbe forse
riunito il Consiglio di Sicurezza per imporre a suo carico pesanti sanzioni?», ha
29
polemizzato Nabih Berri, presidente del Parlamento, che ha incontrato i due inviati ONU
giunti stamani a Beirut, Vijai Nambiar e Terje Roed-Larsen, con i quali ha protestato
formalmente per la violazione israeliana della tregua (entrata in vigore sei giorni fa) con
l’operazione di commando di oggi nella valle della Bekaa. Altrettanto ha fatto con gli
emissari di Annan il primo ministro libanese Fuad Siniora, riferisce la tv libanese Lbc. I due
inviati speciali di Kofi Annan esporranno la vicenda al segretario generale dell’ONU.
•
Libano. 19 agosto. Deputato Hezbollah accusa Israele di aver rotto la tregua in vigore da
lunedì e minaccia possibili risposte. «L’operazione è stata forse compiuta per coprire i
fallimenti del nemico ed è un segno delle sue difficoltà», ha dichiarato il deputato Hezbollah
Muhammad Hiader, citato sul sito israeliano Ynet news. «Hezbollah non rimarrà
necessariamente impegnato al cessate il fuoco, perché questa è una violazione della
risoluzione ONU 1701. Hezbollah si riserva il diritto di rispondere», ha aggiunto. La
violazione israeliana della tregua denunciata da Beirut allontana ancor più il confronto
interno sul ventilato disarmo del movimento sciita.
•
Israele / Libano. 19 agosto. L’obiettivo dell'incursione israeliana rimane ancora incerto.
Israele rilancia l’accusa di violazione della tregua ai miliziani sciiti, con il pretesto del
passaggio di armi dalla Siria al Libano. Poi, se si guarda il sito israeliano vicino al Mossad,
Debka, si scopre un altro movente dell’incursione: il tentativo di liquidazione del leader di
Hezbollah nella Bekaa, Mohamed Yazbeq, tentativo respinto dai suoi uomini come già era
avvenuto il 2 agosto quando, sempre nei dintorni di Baalbek. «La località di Bodai», si
legge, «è anche la base del dirigente Hezbollah sceicco Mohammed Yazbeq e gli incursori
speravano di trovare informazioni sui due soldati israeliani rapiti, Ehud Goldwasser e
Eldad Regev».
•
Francia / Libano / Israele. 19 agosto. Il fronte libanese non è facile da gestire per Parigi,
anche perché tra non molto ci saranno le presidenziali e non si vuole scontentare né
l’elettorato ebreo, né quello musulmano. «Questa volta è in causa l’immagine della Francia,
la sua capacità di svolgere un ruolo diplomatico in Medio Oriente», analizza Dominique
Moisi. Vice presidente dell’Ifri, l’Istituto francese per le relazioni internazionali, e docente
di geopolitica all’Institut d’Etudes Politiques di Parigi, Moisi è un attento osservatore del
Medio Oriente e un analista delle relazioni franco-USA. Moisi giudica così le attuali
“titubanze” di Parigi sulla missione in Libano: «Ci sono due interpretazioni, e una non
esclude l’altra. Innanzitutto la Francia si rende conto delle difficoltà oggettive della
missione in Libano. C’è il rischio –non improbabile– che si ritrovi prigioniera di un
conflitto che potrebbe ricominciare presto. I libanesi si aspettano che la Francia li protegga
da Israele, Israele che li protegga da Hezbollah. La situazione è complicata e può
trasformarsi in una trappola. D’altra parte non è escluso che le reticenze della Francia
siano un modo per negoziare sia alle Nazioni Unite sia con gli altri Stati che dovranno
partecipare alla missione. La Francia sta ponendo le sue condizioni».
•
Israele. 20 agosto. Il ministero degli Esteri israeliano ha pubblicato nel suo sito Internet una
pagina di “frequently asked questions” sul conflitto in Libano in cui affronta anche la
questione di un uso di armi proibite dalle convenzioni internazionali. «Riguardo a asserzioni
che sia stato fatto un uso illegale di bombe a grappolo e armi al fosforo, dovrebbe essere
noto che né l’uno né l’altro di questi tipi di armi è proibito dall’Accordo sulle armi
convenzionali, di cui Israele è parte».
•
USA / Libano. 20 agosto. I diplomatici USA stanno esercitando pressioni sui colleghi russi
e cinesi, che sono i principali fornitori sia della Siria che dell’Iran, Paesi che a loro volta
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sono sospettati di trasferire missili e razzi ad Hezbollah in Libano. Lo scrive il Los Angeles
Times nell’edizione di ieri. Pressioni sono esercitate anche sulla Turchia, perché impedisca
che il suo territorio venga utilizzato per il trasporto di armi. La Turchia è stata molto attiva
in questo senso, ma non è chiaro quanto la Cina possa essere disposta a ridurre i suoi scambi
commerciali con l’Iran: «È improbabile» sentenzia David Schenker, ex consulente del
Pentagono. La Cina dopotutto dipende largamente dal petrolio iraniano per la sua economia
•
Israele. 20 agosto. Prepararsi fin d’ora al “secondo round” della guerra contro Hezbollah,
che potrebbe intervenire nel giro di alcuni mesi. Dichiarazioni del ministro dei Trasporti
israeliano Benyamin Ben Eliezer riferite dall'edizione elettronica Ynet del quotidiano Yediot
Ahronot.
•
Israele / Libano. 21 agosto. Trovato «un alto grado di materiali radioattivi» nel cratere
provocato da una bomba israeliana a Khiam (sudest del Libano). Lo ha dichiarato un
componente del Consiglio Nazionale per la Ricerca Scientifica, Mohamed Ali Qobeissi,
secondo quanto riporta oggi il quotidiano libanese The Daily Star. Qobeissi, insieme con
Ibrahim Rashidi, della facoltà di scienze dell’Università Libanese, ha ispezionato il cratere
(profondo 3 metri, largo 10) nel quartiere Jlahiyyeh, di Khiam, con un contatore di
radioattività Geiger-Muller. Il ricercatore ha aggiunto che gli ordigni israeliani lanciati su
Khiam e sulle aree circostanti del sud del Libano «probabilmente contenevano un alto
livello di uranio». Il gruppo scientifico paventa a medio termine una crescita esponenziale
dei tumori, come verificatosi ad esempio dopo i bombardamenti USA in Iraq e Kosovo.
•
Israele. 22 agosto. Israele sfoga le sue frustrazioni contro i palestinesi. L’organizzazione
per i diritti umani israeliana Btselem denuncia che la violenza e le umiliazioni nei confronti
dei palestinesi sono aumentati in particolare durante la guerra in Libano.
•
Libano. 22 agosto. Tra le 15.000 e le 30.000 le bombe inesplose nel sud del Libano.
L’ONU calcola che Israele, durante i 33 giorni di conflitto, abbia lanciato 157.000 “bombe a
grappolo” e di altro tipo, per il 10-20% inesplosa.
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Israele / Gran Bretagna. 22 agosto. Sofisticati sistemi per visione notturna a lunga
distanza, ritrovati dagli israeliani in un bunker di Hezbollah con la chiara dicitura made in
Britain, potrebbero incrinare le relazioni tra Israele e la Gran Bretagna. A Londra, scrive il
quotidiano britannico Times, è stata aperta un’inchiesta per far luce sulle denunce di Tel
Aviv ed accertare se il materiale sia stato effettivamente prodotto nel Regno Unito. Dati gli
“stretti legami” tra Hezbollah e l’Iran, una delle ipotesi che si era fatta strada era quella
secondo cui i sistemi sono stati prodotti in Gran Bretagna e fanno parte della partita venduta
nel 2003 a Teheran per combattere contro il traffico di droga proveniente dall’Afghanistan.
A smentire questa ipotesi sono stati però alcuni funzionari del Foreign Office. Si mira ora ad
accertare se qualche azienda del Regno Unito abbia violato le regole per l’esportazione del
materiale militare, che richiede specifiche licenze.
•
Italia / Israele. 23 agosto. Da Camp Darby a Tel Aviv: il presidente della regione Toscana,
Claudio Martini, chiede chiarezza. Martini ha chiesto al presidente del consiglio Romano
Prodi di rassicurare le istituzioni e le opinioni pubbliche sul fatto che la base toscana USA di
Camp Darby non sia stata utilizzata per l’invio di armi speciali in Israele in occasione del
conflitto con il Libano. Per avere un’idea del ruolo di questa cittadella militare, basti
pensare che dalla base USA vicino Pisa provenivano quasi tutte le munizioni usate durante
l’aggressione in Iraq nel 1991 e il 60% delle bombe scagliate sulla Serbia nel 1999. Grazie
al canale navigabile che arriva all’interno della base –la struttura toscana è l'unica al mondo
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che dispone di un simile collegamento– carichi giganteschi di armi vanno e vengono senza
che nessuno possa spiarli. La questione rappresenta, per il presidente della regione Toscana,
anche l’occasione per rivedere il regime delle basi nel quadro della profonda modificazione
delle funzioni NATO: «Non si tratta di aprire conflitti, ma di avviare, in modo sereno, una
rinegoziazione della presenza di tutte le basi USA in Italia. Credo che le regioni, per il peso
che hanno assunto, debbano essere incluse tra i responsabili della rinegoziazione».
•
Germania / Israele. 23 agosto. Berlino vende due sottomarini nucleari a Tel Aviv. Lo
scrive oggi il Jerusalem Post. I due sottomarini della classe Dolphin saranno forniti in base
a un contratto firmato il mese scorso e daranno a Israele «superiori capacità» d’attacco
nucleare. Essi si aggiungono ai tre già forniti dalla Germania negli anni ’90. Il Jerusalem
Post conferma che i due nuovi sottomarini, come i tre precedenti, saranno costruiti secondo
«specifiche israeliane». Oltre ai sei tubi di lancio da 533mm, adatti ai missili da crociera a
corto raggio, ne vengono aggiunti in ogni sottomarino quattro da 650 mm, da cui possono
essere lanciati missili da crociera a lungo raggio a testata nucleare, tipo il Popeye Turbo
(testato nel maggio 2000 nell’Oceano Indiano) che può colpire un obiettivo a 1.500 km.
Questi sottomarini hanno inoltre una maggiore velocità (20 nodi) e un maggiore raggio
d’azione (4.500 km) e sono più silenziosi in modo da potersi avvicinare agli obiettivi senza
essere individuati. La decisione tedesca è frutto anche della pressione di Washington. C’è da
chiedersi come possano la Germania e gli altri due «negoziatori» europei (Gran Bretagna e
Francia) apparire credibili nel chiedere all’Iran, firmatario del Trattato di non-proliferazione
nucleare (TNP), di non costruire armi nucleari (che peraltro Teheran afferma di non voler
fare) mentre Israele, unica potenza nucleare in Medio Oriente, non ha mai firmato il TNP e
continua indisturbato a potenziare le sue forze nucleari. Anche grazie agli U-212 forniti
dalla Germania.
•
Germania / Israele. 23 agosto. Secondo esperti militari, dei tre Dolphin forniti dalla
Germania, uno viene tenuto costantemente in navigazione nel Mar Rosso e Golfo Persico,
l’altro nel Mediterraneo, mentre il terzo rimane di riserva. Con l’aggiunta di altri due, il
numero di quelli in navigazione, pronti all’attacco nucleare, potrà essere raddoppiato. E
questa è solo una parte delle forze nucleari israeliane, il cui potenziale viene stimato in 200400 testate nucleari, con una potenza equivalente a quasi 4mila bombe di Hiroshima, e i cui
vettori comprendono oltre 300 caccia statunitensi F-16 e F-15 armati anche di missili
israelo-statunitensi Popeye a testata nucleare, e circa 50 missili balistici Jericho II su rampe
di lancio mobili. Questi e altri vettori nucleari, puntati sull’Iran e altri paesi, sono pronti al
lancio ventiquattr’ore su ventiquattro.
•
Libano / Siria. 23 agosto. «Attenzione, si rischia un’altra guerra». In un’intervista a il
Manifesto, il ministro dell’informazione siriano Mohsen Bilal auspica una conferenza
internazionale «basata sul principio di uno scambio pace contro territori» che porti al ritiro
israeliano sui confini del 1967 (liberando Gaza e Cisgiordania, le fattorie di Sheba, le alture
del Golan), la nascita di uno Stato palestinese con capitale Gerusalemme est, il
riconoscimento del diritto al ritorno dei profughi. Altrimenti «le probabilità di un secondo
round del conflitto in Libano e di una nuova guerra con Israele sono assai maggiori di
quanto si pensi». Così Bilal: «noi siamo pronti a riprendere le trattative al punto al quale
erano giunte ai tempi di Yitzhak Rabin (…) Israele pensa che il tempo sia dalla sua parte
ma la guerra in Libano ha dimostrato il contrario. Il suo rifiuto a trattare, le violazioni dei
diritti umani e della legalità internazionale, i veri e propri crimini di guerra commessi in
Palestina e in Libano, hanno creato un tale odio nei suoi confronti da mettere in crisi
qualsiasi discorso negoziale. In questo modo Israele sta condannando i suoi figli ad un
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futuro di odio e di guerra permanente. Occorre cambiare strada, altrimenti la nostra
generazione sarà l’ultima ad accettare l’idea che è possibile una trattativa con Israele».
•
Libano / Siria. 23 agosto. Bilal teme che un’eventuale ripresa del conflitto in Libano possa
allargarsi pure alla Siria. Tel Aviv continua impunemente nel blocco aereo e navale del
Libano, nell’occupazione di alcuni territori e nel compiere raid, in violazione della tregua,
anche vicino ai confini siriani –«con la scusa di bloccare presunti rifornimenti di armi alla
resistenza»– e allo stesso tempo pretende il disarmo di Hezbollah. Da qui una forte critica
alla risoluzione 1701: «se tiene conto degli interessi di una sola parte e non coinvolge tutti i
paesi della regione, è in realtà destinato al fallimento. Una consapevolezza, questa, che
sembra aver consigliato alla Fancia una certa cautela nel decidere la sua partecipazione
alla nuova forza dell’Unifil in Libano». Per Balil spetta inoltre solamente ai libanesi
decidere della difesa del paese e del disarmo di Hezbollah, non certo all’ONU. Una cosa è
comunque sicura: «la guerra in Libano ha reso evidente a tutti noi che la macchina da
guerra israeliana può essere fermata e che quell’esercito, considerato invincibile, è stato
bloccato da alcune migliaia di giovani combattenti della resistenza libanese. E grazie a
questa consapevolezza il Medio Oriente di questa fine di agosto è totalmente diverso da
quello di prima del conflitto. La pace e la guerra non sono mai state così vicine. Noi siamo
ormai pronti per entrambe».
•
Libano. 23 agosto. «Oggi, nel nome della larga volontà di tutta la popolazione, venite
preparati per essere schierati sul suolo del martoriato Sud, fianco a fianco con le forze
della vostra resistenza e della vostra gente, che hanno stupito il mondo con la loro fermezza
e che ha fatto a pezzi la reputazione di un esercito che si credeva fosse invincibile». È
questo il discorso pronunciato qualche giorno fa da un ufficiale dell’esercito libanese alle
truppe pronte per essere schierate al confine col sud. Intendendo per resistenza gli
Hezbollah, per gente gli sciiti e per esercito che si reputava invincibile quello israeliano. Il
pacifista e giornalista israeliano Uri Avnery così commenta questo discorso trasmesso in
televisione e anche sui canali israeliani: «Così ha parlato un comandante dell’esercito
libanese, il cui dispiegamento al confine la coppia Olmert-Peretz va celebrando come una
immensa vittoria, perché secondo loro l’esercito libanese sarebbe pronto ad affrontare
Hezbollah e disarmarlo. I commentatori israeliani ci hanno illusi che tale esercito sarà a
disposizione degli amici di Israele e Stati Uniti a Beirut –ovvero Fuad Siniora, Saad Hariri
e Walid Jumblatt». Avnery non nutre fiducia nemmeno sul dispiegamento della forza
multinazionale ONU in funzione anti-Hezbollah. «Man mano che i giorni passano è sempre
più evidente che questa forza sarà, al massimo, un raffazzonato insieme di poche unità
nazionali, prive di un chiaro mandato o di “robuste” capacità. Il blitz militare portato
avanti dal nostro esercito giorni fa, lampante violazione del cessate-il-fuoco, non servirà di
certo ad attrarre ulteriori adesioni per un simile compito. Allora che è rimasto dei nostri
successi militari?».
•
Libano. 23 agosto. Il testo della risoluzione 1701 si presta a qualche riflessione. La prima
frase che colpisce è quella in cui si afferma che non dovranno esservi armi senza il consenso
del governo libanese e nessuna autorità che non sia quella del governo libanese. Pertanto,
qualora elementi di Hezbollah dovessero essere trovati nel sud del Libano armati, si presume
il consenso del governo libanese, posto che Hezbollah fa parte del governo? Si metterebbero
in caso le altre fazioni di governo contro un movimento che ormai tutta la popolazione
libanese acclama per aver sconfitto l’esercito israeliano invasore? La risoluzione prevede il
disarmo di tutte le fazioni armate presenti nel territorio libanese: ma chi è preposto a
svolgere tale incarico? L’esercito libanese? Se così fosse, le forze ONU sarebbero dei
semplici spettatori. Ma se invece il compito del disarmo spettasse ad esse, occorrerebbe una
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presenza capillare sul territorio e la necessità di regole di ingaggio “robuste” per legittimare
l’uso della forza. Ma allora non sarebbe un’operazione di “mantenimento della pace” bensì
di cosiddetta peace enforcing, e l’uso della forza sarebbe consentito non più unicamente per
la difesa di installazioni, persone e beni dell’ONU, ma costituirebbe la modalità con cui i
militari della forza multinazionale svolgereranno il mandato dell’ONU. Per questo, in
ambito militare si chiedono chiarezza e “regole d’ingaggio” adeguate alla missione. Se la
missione è disarmare Hezbollah, dicono, si deve autorizzare l’uso della forza ed esplicitare
ai cittadini e soprattutto ai militari che cosa stanno andando a fare.
•
Libano. 23 agosto. Passo dopo passo, dagli anni in cui Israele ha abbandonato la fascia di
confine Libanese dal 2000 a oggi, la milizia di Hezbollah ha costruito un dispositivo militare
e formato delle unità di combattimento bene addestrate e armate, come lo potrebbe essere
una forza armata di uno Stato regolare. Tuttora Israele si chiede come Hezbollah sia riuscita
ad equipaggiarsi con un arsenale di missili anche a lungo raggio tipo Zelzal. L’arsenale
sovietico, comprensivo di moderni lanciarazzi anticarro, missili teleguidati a lungo raggio
d’azione e alta velocità come il Melis ed il Kornet, potenti esplosivi tradizionali come il
Semtex ed ultimissime tecniche chimico-industriali, è tutto a disposizione della milizia
sciita. Hezbollah si è dotata di sistemi missilistici anti-carro in grado di penetrare le più
pesanti protezioni corazzate. Israele ha dovuto constatare che i suoi Merkava 4, da 65
tonnellate, presentano diversi punti deboli, ben conosciuti dai tiratori di Hezbollah, che nelle
scorse settimane sono riusciti a danneggiarne o metterne fuori uso almeno il 20% di quelli
impiegati sul fronte. I combattenti di Hezbollah uniscono tecniche di movimento e di
sfruttamento del terreno in superficie e sotterraneo che rende difficile alle unità israeliane il
loro avvistamento e quindi il loro contrasto. Sembra che i guerriglieri abbiano impiegato le
stesse tattiche che i ceceni avevano usato nelle battaglie di Grozny: uscire improvvisamente
dalle cavità sotterranee per attaccare i carri e quindi scomparire nei sotterranei dopo la
rapida apparizione in superficie.
•
Libano. 23 agosto. La milizia di Hezbollah si è avvantaggiata di una estesa rete di tunnel
sotterranei, armerie e depositi, predisposti nel tempo e disseminati lungo i fianchi delle
colline che fronteggiano, a pochi chilometri di distanza, il confine israeliano. Si stima che i
gruppi di combattimento di Hezbollah assommino a circa 4-5.000 unità. Questi combattenti
però non sono in servizio 24 ore su 24, ma sono confusi e mescolati tra la popolazione civile
da cui si distaccano per i tempi necessari all’azione di combattimento, per poi rivestire i
panni del contadino o del pastore ad azione ultimata. Così, dopo quasi un quarto di secolo, i
guerriglieri di Hezbollah, che già avevano dimostrato la loro inventiva tattica nel distruggere
con attacchi suicidi l’ambasciata USA e il quartier generale delle truppe USA a Beirut e
colpire nello stesso modo anche il comando francese, si ripresentano ora con rinnovata
capacità e potenzialità di combattimento per fronteggiare le aggressioni di Israele.
•
Israele / Libano. 23 agosto. Un rapporto di Amnesty International presenta le prove
della deliberata distruzione di infrastrutture civili, comprendente anche crimini di guerra.
L’organizzazione per i diritti umani denuncia come la distruzione di migliaia di abitazioni e
il bombardamento di numerosi ponti, strade, cisterne, impianti idrici ed elettrici e depositi di
carburante, così come quella di infrastrutture vitali per la fornitura di cibo, siano stati parte
integrante della strategia militare israeliana in Libano, piuttosto che “danni collaterali”
derivanti da attacchi contro obiettivi militari. Il governo israeliano ha sostenuto di aver preso
di mira postazioni di Hezbollah e sue strutture di appoggio e che il danneggiamento delle
infrastrutture civili è stato il risultato della strategia di Hezbollah di usare la popolazione
civile come “scudo umano”. «Il modello ricorrente, l’estensione e la scala degli attacchi
rende il riferimento ai ‘danni collaterali’ semplicemente non credibile», ha replicato Kate
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Gilmore, vicesegretaria generale di Amnesty International. Il modello ricorrente di attacchi
indiscriminati e sproporzionati, che ha causato lo sfollamento del 25% della popolazione
civile libanese, sommato alle dichiarazioni ufficiali, smentiscono le affermazioni sioniste.
Amnesty International chiede perciò l’istituzione, da parte delle Nazioni Unite, di
un’inchiesta esaustiva, indipendente e imparziale sulle violazioni del diritto umanitario.
•
Libano. 24 agosto. Trenta i siti dichiarati contaminati, si teme per i fondali marini. Ieri il
gruppo di esperti della task force ambientale italiana presenti in Libano ha effettuato il
primo sopralluogo tecnico presso la centrale termoelettrica di Jiyyeh bombardata dagli
israeliani durante il conflitto e dalla quale si è avuto lo sversamento in mare del materiale
inquinante che ha successivamente formato la marea nera. Dal sopralluogo di ieri si è
scoperto che a contaminare le coste e il mare è la grande quantità di olio sversata. Il
bombardamento ha distrutto prima un serbatoio da 10.000 tonnellate determinandone lo
sversamento e, successivamente, un altro attacco missilistico ha colpito un secondo
serbatoio innescando un incendio devastante che ha distrutto tutti gli altri serbatoi
sventrandoli dalla parte del mare e quindi causando la perdita direttamente nelle acque
marine libanesi. Dalle ultime ricognizioni, risultano 30 siti, tra spiagge e baie dichiarate
contaminate, mentre si fa strada l’ipotesi che grandi quantità di prodotto inquinante sia finito
sott’acqua.
•
USA / Libano. 25 agosto. Hollywood contro Hezbollah ed Hamas. 84 personaggi di spicco
del mondo del cinema USA hanno pubblicato a pagamento un manifesto sul Los Angeles
Times ispirato e sollecitato dal console israeliano a Los Angeles, Ehud Danoch. Tra attori,
produttori, registi ed editori troviamo Nicole Kidman, Michael Douglas, Sharon Stone,
Dennis Hopper, Sylvester Stallone, Bruce Willis, Danny DeVito, Don Johnson, James
Woods, William Hurt, Ridley Scott, Tony Scott, Sam Raimi e Rupert Murdoch. «Siamo
addolorati e devastati dalla perdite di vite umane in Israele e in Libano provocate dagli
Hezbollah e da Hamas», si legge nel manifesto. Ehud Danoch ha pure fatto marketing per
Israele come località per le riprese cinematografiche, deplorando gli incentivi che gli Stati
arabi, Marocco in testa, offrono agli studios di Hollywood. «Non c’è nulla che possa far
cambiare idea all’opinione pubblica più della presa di posizione di un divo del cinema», ha
poi affermato Danoch.
•
Libano / Siria. 25 agosto. In 2-3 mesi si vedrà se è pace o guerra. Lo ha dichiarato in
un’intervista alla televisione al Arabiya il presidente siriano Bashar al Assad. Le
affermazioni di Assad sono una risposta all’arroganza di Israele, che all’inviato dell’ONU
Larsen ha chiesto l’invio di truppe internazionali sul confine siro-libanese e all’aeroporto di
Beirut per porre fine al blocco aero-navale del Libano. Damasco considera un
dispiegamento di forze militari straniere alla frontiera tra il suo paese e il Libano un «atto
ostile», che potrebbe spingere Damasco a chiudere del tutto le sue frontiere con il Libano.
Hezbollah concorda con Damasco: tale richiesta equivarrebbe a «porre il Libano sotto
mandato internazionale», ha detto il deputato Hezbollah, Hassan Fadlallah.
•
Libano / Siria. 25 agosto. «Quel che stiamo vedendo in questi giorni sta a dimostrare che,
dopo essere stati sconfitti sul campo, americani e israeliani cercano ora, sfruttando le
ambiguità della risoluzione 1701, di strumentalizzare l’arrivo delle forze multinazionali per
strappare alla resistenza quella vittoria che è sfuggita loro sul campo». È il pensiero di
Issam el Zaim, ex ministro della pianificazione e direttore dell’influente centro studi Arab
Center for Strategic studies di Damasco. Zaim critica la risoluzione 1701, di parte ed
ingiusta, ed il fatto che non vengano mai applicate le risoluzioni ONU per il ritiro israeliano
dai territori occupati di Palestina, Libano e Siria, e paventa che le nuove truppe Unifil si
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riveleranno uno strumento per «contenere, colpire e disarmare» gli Hezbollah a spregio
della sovranità del Libano. «Cosa dovrebbero fare gli Hezbollah, posare le armi senza che
si sia risolto nessun problema alla radice del conflitto? Mentre gli israeliani già parlano di
“secondo round”? O per favorire una normalizzazione del confine senza che Israele abbia
lasciato la West Bank, le fattorie di Sheba o il Golan?», si domanda retoricamente Zaim.
•
Libano / Siria. 25 agosto. Per Zaim l’aggressione israeliana in Libano segna una svolta in
Medioriente. La debacle dei servizi segreti e dell’esercito israeliano, la stupefacente
resistenza di Hezbollah, il crescente disprezzo nei confronti dei regimi arabi filo-USA di
Arabia Saudita, Egitto e Giordania ed il solco sempre più incolmabile, «dopo 33 giorni di
massacri ingiustificati», tra masse ed intellettuali arabi ed Israele sono fattori che peseranno
nell’area. Zaim sottolinea pure la «sconfitta della tesi israeliana e americana –ma anche del
campo libanese filo-USA (Hariri e Jumblatt)– secondo la quale i massicci bombardamenti
avrebbero spinto i libanesi a rivoltarsi contro gli Hezbollah. È avvenuto esattamente
l’opposto». L’analista mediorientale prevede pure un cambio di governo a Beirut: «il fronte
contrario ad un disarmo imposto al Partito di Dio e ad un nuovo mandato coloniale USA
sul Libano –i due partiti sciiti Hezbollah e Amal, i settori cristiani vicini all’ex generale
Michel Aoun, il Partito comunista, i laici di Selim el Hoss, i movimenti di Franjieh e
Karame, i sunniti progressisti di Sidone, i drusi di Arslan– è già maggioranza nel paese e lo
sarà presto in parlamento».
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Libano / Siria. 25 agosto. Concludendo la sua intervista a il Manifesto, Zaim ammonisce
Israele dal voler attaccare la Siria: «sia il governo ma soprattutto il popolo hanno dato tutto
il loro sostegno ai profughi e alla resistenza libanese e abbiamo assistito ad una
mobilitazione della società civile senza precedenti. Una lezione di quanto sarebbe
importante, proprio per battere i tentativi USA di destabilizzazione, approfondire e
allargare il processo di democratizzazione senza timidezze (…) Penso che la lezione
impartita loro in Libano da Hezbollah dovrebbe consigliare una certa prudenza. Pensate
solo al crollo del mito del carro armato Merkava. Se ci colpiscono risponderemo subito e
Israele potrebbe avere altre spiacevoli sorprese».
•
Israele / USA. 26 agosto. «Israele e Stati Uniti cercano una vittoria politica dopo la
sconfitta militare e per questo compiono attacchi giornalieri e pressano l’ONU affinché
dispieghi i suoi soldati alla frontiera con la Siria». Lo ha affermato il membro del Consiglio
Politico di Hezbollah, Ghaleb Abu Zainab. Dopo aver ieri assicurato che da parte libanese
non ci sarà «alcun pericolo» per i soldati della forza multinazionale che si dispiegheranno
nel Sud del paese e ribadito che «il principale pericolo sono gli israeliani, che non
rispettano la risoluzione (…) e che con i suoi attacchi e la permanenza nel paese pressa
Hezbollah affinché rompa il cessate-il-fuoco», Zainab si sofferma sugli intenti di Tel Aviv.
Hezbollah, spiega, rifiuta la presenza di truppe militari internazionali alla frontiera con la
Siria e nei porti ed aereoporti libanesi, che ancora soffrono delle conseguenze dell’embargo
marittimo e aereo israeliano. «L’embargo e il dispiegamento alla frontiera è un vantaggio
per loro per poter proseguire gli attacchi», afferma Zainab, ricordando che Israele ha
attaccato l’ONU nella recente guerra ammazzando 4 osservatori internazionali. Sul disarmo
di Hezbollah, Abu Zainab è perentorio: «non è contemplato (nella risoluzione 1701, ndr)».
•
Israele. 26 agosto. «Israele sta perdendo la terza guerra mondiale». È il titolo, sul
quotidiano israeliano Haaretz, di un articolo di Bradley Burston. «Una guerra simile a
questa –scrive Burston– non si è mai prodotta prima. È per questo che stiamo perdendo.
Non sappiamo come condurla. Almeno, non ancora. Fin dall’inizio, il mondo seguiva da
vicino questa guerra, e per una buona ragione. È la futura grande battaglia della terza
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guerra mondiale. E così come in Iraq, la guerra non sta andando bene per l’Occidente. Ci
sono paralleli, certo, con la seconda guerra mondiale (al di là delle caricature sui giornali
e al di là di quanti odiano universalmente Israele): il primo riflesso è quello di chiamare
nazisti gli ebrei», ha scritto Burston.
•
USA. 26 agosto. Neoconservatori contro Bush. Mentre l’amministrazione USA plaude
all’invio in Libano di una forza multinazionale di 6.900 uomini e concordano con il
segretario generale dell’ONU Kofi Annan su un’alternanza di comando tra Francia e Italia,
alcuni “neoconservatori” del partito repubblicano, fra cui Richard Perle e Danielle Pletka,
attaccano duramente la Casa Bianca. In un articolo apparso ieri sul Wall Street Journal, si
evidenzia soprattutto che gli Hezbollah non sono stati disarmati, né lo saranno con la forza,
come ha chiarito ieri il segretario dell’ONU Kofi Annan.
•
USA / Israele. 26 agosto. Cluster bomb. Inchiesta USA sulle bombe a grappolo:
Washington le fornisce a Tel Aviv con il vincolo di usarle solo contro «eserciti regolari».
Invece hanno colpito i civili. Ora, dopo i rapporti-denuncia di ONU e ONG, il Dipartimento
USA si vede costretto a dare il via ad un valzer dell’ipocrisia e quindi indaga per verificare
se Israele, durante la sua campagna in Libano, ha fatto un uso troppo ampio delle cluster
bomb da loro fornite. Le cluster bomb sono quelle che quando esplodono a terra «liberano»
dal loro interno centinaia di bombette che si dipartono in tutte le direzioni finché non
esplodono a loro volta. Molti dei mille e più libanesi che durante la rappresaglia israeliana
hanno perso la vita sono morti grazie alle cluster bomb e gli oltre 4mila rimasti feriti sono in
gran parte civili. L’accordo fra Stati Uniti e Israele in merito alle cluster bomb risale agli
anni Settanta, quando queste munizioni micidiali furono create per ammazzare i vietcong (e
chiunque altro) nascosti nella vegetazione vietnamita, e immediatamente fornite anche agli
israeliani.
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Germania. 26 agosto. Il governo tedesco CDU-SPD invierà 1200 soldati in Libano, mentre
la Marina militare tedesca pattuglierà la costa libanese con fregate e motovedette. Per
bloccare il rifornimento di armi per gli Hezbollah saranno usati a scopi di ricognizione
anche i Tornado della Luftwaffe. Lo ha reso noto il settimanale tedesco Der Spiegel.
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Turchia / Libano. 26 agosto. Il presidente turco Ahmet Necdet Sezer si è detto contrario
all’invio di truppe nel Sud del Libano. «Mandare dei soldati non è cosa che ci riguarda.
Sono contrario ad una tale decisione. Non siamo nella posizione di risolvere i problemi di
sicurezza degli altri paesi», ha detto Sezer, ponendosi quindi in rotta di collisione con il
premier Recep Tayyip Erdogan, che sta invece valutando la possibilità di inviare militari.
Secondo il capo di Stato, l’invio di truppe in Libano è reso proibitivo dal fatto che l’esercito
turco è già molto impegnato al confine con l’Iraq nella repressione della guerriglia curda del
PKK.
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USA / Israele /Libano. 27 agosto. Israele non era pronta per l’aggressione in Libano
scatenata sotto pressione USA. Lo ha ha dichiarato al quotidiano libanese Al-Anar il vicecomandante del movimento sciita, Naim Kassem. Kassem, chiarendo che la milizia è venuta
a sapere solo due giorni dopo l’inizio della guerra dell’esistenza di un piano di attacco
israeliano, sostenuto dagli Stati Uniti e previsto invece per settembre-ottobre, ha affermato:
«Israele non era pronto, infatti voleva preparasi per un altro mese o due, ma le pressioni
americane da una parte e il desiderio di ottenere il successo dall’altro sono stati i fattori
che hanno determinato la loro fretta».
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Libano. 27 agosto. Hezbollah avverte: la resistenza non è finita. «Le ragioni per terminare
la resistenza ancora non ci sono» ha dichiarato Naim Kassem. «Quando ci metteremo
d’accordo su un piano di difesa per fronteggiare l’aggressività di Israele, definendo il ruolo
della resistenza, dell’esercito e del popolo libanese, allora si vedrà quali saranno le regole
e i ruoli», ha aggiunto.
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Libano. 27 agosto. Il presidente libanese Émile Lahoud puntualizza le «molte riserve»
libanesi sul contenuto della risoluzione 1701. Tra le più importanti vi sarebbe il fatto che la
risoluzione attribuisca ad Hezbollah la responsabilità di aver causato la guerra, mentre i
massacri di civili compiuti in varie zone del Libano passano del tutto inosservati. Il
presidente libanese ha poi aggiunto che avrebbe intenzione di chiedere a Israele i danni e gli
interessi per le distruzioni delle infrastrutture e le uccisioni di civili. Lahoud ha anche
ricordato la continua violazione della risoluzione 1701 da parte di Israele, che persiste nel
mantenere il blocco navale e aereo sul Libano, ignorando i moniti della comunità
internazionale.
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Libano / Siria. 27 agosto. Ancora riserve da Damasco sulla missione Unifil. L’esponente
del partito Baath siriano Judah Attiyya ribadisce a il Manifesto le perplessità siriane sulla
risoluzione 1701 ritenuta filo USA e filo israeliana. «Il vero problema è Israele, che ha
sempre colpito le postazioni Unifil e sta dando il meglio di sé per minare il cessate il fuoco.
Cosa faranno le forze Unifil in caso di provocazioni o attacchi israeliani? Cercheranno di
fermarli o di bloccare la risposta degli Hezbollah? È sempre stato Israele a invadere il
Libano e ad occuparlo, non certo il contrario. Quindi la domanda è se Israele e gli Stati
uniti siano o meno disposti ad accettare una sconfitta come quella che hanno subito in
Libano e a incamminarsi verso una pace giusta, o se mirano invece ad un possibile secondo
round, magari con la Siria».
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Libano / Siria. 27 agosto. La risoluzione 1701 è giudicata parziale ed ingiusta
dall’esponente del Baath. Parziale, «perché non affronta nessuno dei problemi di fondo
all’origine del conflitto (l’occupazione israeliana delle fattorie di Sheba libanesi, della West
Bank e del Golan e lo scambio di prigionieri)». Ingiusta, «perché ha tenuto conto solamente
degli interessi di una delle due parti, Israele, ed è molto ambigua sul cessate il fuoco, sul
ritiro israeliano dai territori libanesi occupati, sulla fine del blocco aereo e navale. Israele,
sostenuta dalla richiesta USA di una nuova risoluzione, continua nei suoi attacchi, parla di
un nuovo round della guerra, chiede di inviare l’Unifil all’aeroporto di Beirut e lungo il
confine con la Siria. Si tratta di richieste che possono far precipitare la situazione». Il
disarmo degli Hezbollah «non è né giusto né realistico».
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Libano / Siria. 27 agosto. Tutto ciò, prosegue Judah Attiyya, spiegherebbe «i timori della
Francia, legati proprio all’incertezza derivante dalle prossime mosse israeliane e
americane, sulle quali i paesi che invieranno le truppe, nonostante le loro migliori
intenzioni, non sembra abbiano alcuna influenza». Se dovesse arrivare una nuova
risoluzione ONU o se quella attuale venisse applicata secondo i desiderata USA o israeliani
contro Hezbollah, «tutto ciò sarà molto pericoloso perché questi rappresentano una volontà
e una resistenza nazionale contro le politiche di Israele e Stati Uniti» ed il loro progetto di
ridisegno del Medioriente. «Chiediamo di risolvere il problema alla radice con una pace
giusta nella regione che veda il rispetto di tutte le risoluzioni ONU sul conflitto araboisraeliano e il ritiro di Israele sulle frontiere del 1967. Noi siamo pronti a riprendere i
negoziati con Israele sulla base del principio “ritiro completo per una pace completa”. Se
l’ultima guerra in Libano ha smentito che, come si diceva una volta, “non si può fare la
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guerra senza l’Egitto”, dall’altra ha confermato che “non si può fare la pace senza la
Palestina e senza la Siria”».
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Libano. 27 agosto. Sondaggio a Beirut. Hezbollah ha vinto la guerra. Lo dicono sciiti,
sunniti e cristiani. Il 72% dei libanesi ritiene che Hezbollah sia uscito «vittorioso» e il 77.3%
pensa che dovrebbe appoggiare l’esercito governativo in caso di «future aggressioni
israeliane». La schiacciante maggioranza degli intervistati (84.6%) ritiene che la guerra sia
stata il «risultato di un precedente piano» d’Israele mentre il 64.9% dice che l’Unifil non
saprà «sventare qualsiasi futura aggressione israeliana». La conseguenza è che il 74.5% dei
libanesi non ritiene «possibile» la pace con Israele.
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Turchia. 28 agosto. Il governo turco si è pronunciato a favore dell’invio di truppe per la
missione Unifil.
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Libano. 29 agosto. Fosforo bianco contro civili a Baalbek. Lo ha affermato il dottor
Hussein Mahmoud El Chel, dell’ospedale privato Dar El Amal a Baalbek, la capitale
amministrativa del nord della Valle di Bekaa e bastione di Hezbollah, situato a soli 15
chilometri dalla frontiera con la Siria. «I cadaveri erano irriconoscibili, ma ci siamo subito
accorti che era stato utilizzato qualche tipo di arma chimica», ha affermato Chel, che
durante tutto il conflitto si è spostato da città a città per curare centinaia di feriti. I cadaveri
non presentavano alcuna ferita esterna, erano totalmente contratti e la pelle di un colore che
mostrava tutte le caratteristiche di un attacco con questo tipo di sostanza. Il fosforo bianco è
un’arma particolarmente infame, che brucia la pelle in maniera profonda, dolorosa e
deturpante. È un’arma terribile perché può causare bruciature fino all’osso. Questa sostanza
incandescente, quando colpisce il corpo umano, non può essere toccata né spenta: può essere
solo tagliata via insieme alla pelle. Non lascia scampo e provoca una morte più che
dolorosa.
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Italia / Libano. 29 agosto. Quasi 3.000 italiani sono già in navigazione su cinque navi verso
il Libano. Il ministro Parisi ha comunicato le cifre dell’impegno italiano: «Saranno 2.496 i
militari impegnati in questa prima fase. Circa mille sono quelli destinati all’impiego a terra,
gli altri sono sulle 5 navi coinvolte nell’operazione». Da fine settembre-ottobre aumenterà
l’impiego sul terreno: i militari impegnati saranno 2.680, di cui 2.450 a terra e solo 200 a
bordo del supporto navale. Sui costi, il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Enrico
Letta ha dichiarato: «La cifra complessiva stanziata dal governo è di 220 milioni di euro
fino alla fine dell’anno: 186 per il contingente militare, 30 milioni per la cooperazione allo
sviluppo e il resto per i finanziamenti relativi a spese minori». Il ministro Parisi ha aggiunto
che, per conoscere il costo della missione per tutto il 2007, «bisognerà sostanzialmente
moltiplicare per tre il costo di questi 4 mesi, quindi meno di 600 milioni e questo è il rilievo
complessivo, al lordo dei rimborsi dell’ONU».
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Libano. 30 agosto. Il governo libanese non si dimetterà o non avrà rimpasti finché il
governo godrà della fiducia del Parlamento. Così il primo ministro Siniora risponde a
Hezbollah che, insieme alla Corrente Patriottica Libera del cristiano Aoun avevano richiesto
un cambio subito dopo la cessazione delle ostilità, il 14 agosto. Entrambe le formazioni
accusano Beirut di inefficienza nella politica e nelle operazioni di soccorso post-belliche.
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Libano. 30 agosto. 60 milioni di lire libanesi (circa 34mila euro) per ogni abitazione
distrutta e una cifra in proporzione per quelle danneggiate. Questa la somma annunciata dal
governo libanese. Lo fa per non essere da meno di Hezbollah, che a poche ore dalla
cessazione delle ostilità aveva iniziato a distribuire soldi e ad impegnare i suoi militanti nella
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ricostruzione e nell’assistenza alla popolazione colpita. Lo fa anche per far fronte alle
critiche sorte in seno al governo e soprattutto tra la popolazione sia per l’atteggiamento
avuto durante l’aggressione israeliana, sia per i ritardi nella ricostruzione. Il governo ha
detto di augurarsi di poter ospitare quanto prima i proprietari delle case distrutte fuori Beirut
in prefabbricati che spera di avere da Turchia, Egitto, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e
altri paesi donatori. Circa 130 mila case sono state distrutte o danneggiate nella guerra tra
Israele e Hezbollah.
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Libano / Francia. 30 agosto. La Forza provvisoria delle Nazioni Unite in Libano (Unifil) a
settembre conterà dai 4.000 ai 5.000 Caschi Blu e invierà «il numero che serve» nel Libano
meridionale. Lo ha affermato il capo delle operazioni di mantenimento della pace dell’ONU,
Jean-Marie Guehenno. «Il 1 settembre le prime truppe italiane cominceranno a dispiegarsi,
fatto che vuol dire che ci dobbiamo attendere, in un mese, un livello dai 4.000 ai 5.000
soldati, ossia un raddoppiamento della Forza», ha spiegato Guehenn in un’intervista
pubblicata dal quotidiano francese Le Monde. «Invieremo il numero che serve. Se saranno
15.000 uomini, noi li dispiegheremo. Se ci renderemo conto che ne occorrono di più, ne
chiederemo di più (…) Calibreremo in funzione della situazione sul posto», ha aggiunto.
All’interno della forza, «ci saranno dei paesi musulmani importanti, per mostrare che si
tratta di una forza che rappresenta il mondo intero», ha sottolineato Guehenno, precisando
che «il Libano ha mostrato il suo interesse alla presenza di paesi come l’Indonesia e la
Malesia».
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Libano / Francia. 30 agosto. Sul disarmo di Hezbollah, il responsabile dell’ONU ha
risposto che si tratta di un «processo politico» per il quale l’Unifil «non ha alcun mandato»
e che è «di competenza del governo libanese». «Noi siamo stati molto chiari su questo
punto. Il disarmo non si effettua necessariamente con la forza. E l’Unifil non ha questo
mandato», ha concluso. Jean-Marie Guehenno ha assicurato che l’Unifil «non si lascerà
arruolare» né da Hezbollah né dall’esercito israeliano.
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Libano. 29 agosto. Il ministro dell’energia e dell’acqua, Mohamad Fneich, membro di
Hezbollah, ha ribadito che i due soldati israeliani catturati in territorio libanese saranno
liberati solo dopo uno scambio di prigionieri. Fneich ha aggiunto che «non è possibile una
liberazione incondizionata» come chiedono Israele e l’ONU.
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Libano. 30 agosto. Centinaia di bombe a frammentazione. Più che in Afghanistan ed Iraq.
L’ONU ha comunicato ieri che la quantità di “bombe a frammentazione” sganciate da
Israele nel sud del Libano può essere maggiore di quelle avutesi in Afghanistan nel 2001 ed
Iraq nel 2003. Al momento sono stati identificati e registrati 359 siti in Libano con presenza
di bombe a frammentazione, che suppongono un grave pericolo per la popolazione civile,
specialmente per i bambini. Secondo l’ultimo rapporto ONU, sono già decine tra morti e
feriti i libanesi colpiti da mine, munizioni o bombe a frammentazione lanciate da Israele.
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Libano. 30 agosto. L’ONU denuncia: Israele «immorale». Jan Egeland, responsabile ONU
per le emergenze e sottosegretario generale per gli affari umanitari, ha espresso «grande
costernazione» al sapere che il 90% delle “bombe a grappolo” localizzate sono state lanciate
nelle ultime 72 ore di attacco. È «immorale», ha continuato Egeland, che ciò sia accaduto
quando «sapevamo che sarebbe arrivata la risoluzione dell’ONU (…) È offensivo che vi
siano centomila bombe nei posti frequentati da bambini, donne, contadini e commercianti».
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Libano. 30 agosto. Fischi assordanti a Beirut contro Kofi Annan. Le sue guardie del corpo
lo portano via in tutta fretta. È iniziata così la missione diplomatica di Annan in Medio
Oriente.
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Libano. 31 agosto. Per il ministro libanese della Difesa, Elias Murr, a muovere Israele non
è tanto la paura che gli Hezbollah possano riarmarsi: «Questo nemico ha molti interessi.
Uno di questi è penalizzare il Libano perché lo considera un importante concorrente
economico nel Medioriente». Il primo ministro Fouad Siniora dichiara intanto che il suo
paese sarà l’ultimo a firmare la pace con Israele.
“Indipendenza”, agosto 2006
Fonte:
http://www.rivistaindipendenza.org/Notizie_agenda/Hezbollah,%20la%20Resistenza%20come%20
dono.htm
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