Prodotti biologici e mercato alimentare

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Prodotti biologici e mercato alimentare
“Il Sistema agro-alimentare nazionale alla vigilia del Terzo millennio”
Convegno della Società Italiana di Economia Agro-Alimentare – Ancona: 1-2 luglio 1999
Prodotti biologici e mercato alimentare
Raffaele Zanoli1
1
Introduzione
Il settore dei prodotti biologici o – più correttamente – “da agricoltura biologica”, pur
rappresentando ancora una nicchia molto esigua del mercato alimentare in termini
quantitativi, è tuttavia divenuto un campo d’indagine sempre più importante negli ultimi
anni, sia per gli elevati tassi di crescita registrati sia per l’interesse sempre maggiore
dimostrato da policy-makers e consumatori verso metodi di produzione a minor impatto
ambientale.
Purtroppo, la quantità e la qualità delle informazioni disponibili sul mercato dei prodotti
biologici e molto esiguo. Non esiste infatti una seria rilevazione del settore in nessun
Paese Europeo e la maggior parte dei dati di mercato sono frutto di stime, non sempre
attendibili. La situazione, del resto, non è diversa negli USA (Thompson, 1998), dove
come in Europa si riscontra una crescita rapida del settore ma quote di mercato ancora
molto basse. La maggior parte delle informazioni sull’offerta si basa sui dati degli
organismi di controllo dei vari Paesi (che tuttavia generalmente non raccolgono
informazioni sulla struttura e sui volumi economici delle produzioni) mentre le
conoscenze relative alla domanda si basano solitamente su ricerche di mercato, non
sempre
condotte
secondo
criteri
statisticamente
rigorosi
e
spesso
su
campioni
geograficamente limitati di consumatori.
Nel presente lavoro si presentano alcune delle informazioni più recenti sul settore dei
prodotti alimentari biologici, nel tentativo di inquadrare quello che, da nicchia salutistica e
alternativa, si sta rapidamente trasformando in uno dei segmenti più dinamici del settore
food.
1
Professore associato, Facoltà di Agraria, Università di Ancona.
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2
L’offerta
2.1
La situazione in Europa
Il settore agro-biologico nell’Unione Europea è cresciuto molto rapidamente negli ultimi
anni.
Se nel 1985 si stimavano non più di 6.300 aziende che praticavano l’agricoltura
biologica su poco più di 100.000 ha (pari a mano dello 0,1% della SAU totale), nel 1998
le aziende sono quasi 120.000 per una SAU biologica di quasi 3 milioni di ettari
(Lampkin, 1999).
La maggiore crescita si è avuta nei primi anni ’90, dopo l’approvazione del Reg. CEE
2092/91 relativo al metodo di produzione biologico e, in particolare, del Reg. CEE
2078/92 contenente le misure agro-ambientali della PAC; dal 1993 ad oggi le aziende
interessate e gli ettari coltivati con il metodo biologico si sono più che quadruplicati
(Figura 1).
Tuttavia, tale incremento nasconde notevoli differenze tra i vari Paesi e anche all’interno
di questi. L’Italia è al primo posto, seguita da Germania e Austria, in termini di valori
assoluti della SAU biologica; ma a fine 1997 in Austria l’incidenza della SAU biologica
sul totale è di oltre il 10%, mentre in Italia e in Germania si hanno valori, rispettivamente,
del 4,1% del 2,2% (Foster e Lampkin, 1999a e b). In altri Paesi, come Belgio,
Lussemburgo, Gran Bretagna, Grecia e Portogallo si hanno valori assai più bassi (sotto lo
0,5%), ma anche in Francia e in Spagna non si hanno valori molto più elevati. Oltre che in
Austria e in Italia, l’incidenza maggiore dell’agricoltura biologica si ha in Finlandia (4,8%
della SAU), in Svezia (3,7%) e, fuori dall’Unione Europea, in Svizzera (6,7%) (Figura 2).
All’interno dei singoli Paesi, poi, alcune regioni sono più interessate dal fenomeno; in
Austria circa il 50% delle aziende e della superficie è localizzata nelle regioni occidentali
(Tirolo, Stiria e Saliburghese), con un incidenza che raggiunge circa il 30% della SAU
totale; l’Italia insulare pesa più o meno allo stesso modo sul totale dell’agricoltura
biologica nazionale, con un incidenza pari a quella registrata per l’Austria nel suo
complesso (v. infra).
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2.2
La situazione italiana
Nel 1993 la maggior parte delle aziende biologiche è localizzata al Centro-Nord (62,1%);
nel Sud sono localizzate appena il 13% delle aziende, mentre le aziende agro-biologiche
insulari rappresentavano circa un quarto del totale. Diversa è la distribuzione della SAU
biologica e in conversione nelle quattro aree: al Centro e nelle Isole le aziende sono di
dimensioni relativamente maggiori, mentre al Nord e al Sud la dimensione media
aziendale, in termini di SAU biologica e in conversione, è, rispettivamente, di 14 e 13
ettari (Zanoli, 1998).
Negli anni successivi, il peso del Mezzogiorno e delle Isole aumenta, fino a raggiungere
quasi il 73% nel 1997, con più del 48% della superficie biologica concentrata nell’Italia
insulare (Figure 3, 4 e 5). Nel 1997 la Sardegna sorpassa la Sicilia, in quanto il governo
regionale sardo ammette la ‘conversione’ dei prati-pascoli all’agricoltura biologica.2
Le ragioni di questa crescita ineguale non sono, tuttavia, tutte da ricercarsi nell’intervento
pubblico. Se, da un lato, è certo che le misure agro-ambientali (e, in particolare, la misura
A2 del Reg. CEE 2078/92 relativa agli aiuti per ettaro alle aziende agricole biologiche e in
conversione) hanno avuto un ruolo predominante nello sviluppo dell’agricoltura biologica
in Italia, d’altro canto, è pure vero che lo sviluppo in alcune zone del Mezzogiorno (Sicilia
e, più recentemente, Puglia) è legata anche a ragioni più legate al mercato. Si tratta di
regioni con produzioni tipicamente mediterranee, dove l’aumento dell’offerta di prodotti
biologici (in particolare agrumi, olio e orticole) può essere in buona parte ricondotta
all’espansione della domanda di prodotti biologici nei Paesi del Nord Europa. L’export di
prodotti biologici (come nel caso del settore agrumicolo in Sicilia e, più recentemente, di
quello olivicolo in Puglia) ha rappresentato l’unica via di uscita per molte imprese
costrette dalla concorrenza internazionale (in particolare da quella spagnola) a un ruolo di
marginalità.
Per quello che riguarda le superfici investite dalle singole colture e gli orientamenti
produttivi, i datio esistenti sono lungi dall’essere soddisfacenti. Le informazioni che
2
La maggior parte dei programmi agro-ambientali regionali non prevede infatti la
possibilità dei parti-pascoli estensivi di beneficiare degli aiuti di cui al Reg. CEE 2078/92
in quanto, ai sensi dell’interpretazione della Commissione Europea, questi possono essere
concessi solo qualora si abbiano effetti sull’ambiente “misurabili e soggetti a verifiche
effettive”.
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seguono si basano su stime effettuate, nel 1998 e nel 1999, sui dati forniti dagli organismi
di controllo dell’agricoltura biologica, in mancanza di dati ufficiali sul settore (Zanoli,
1998; Nomisma, 1999).
Le foraggiere rappresentano quasi metà della SAU biologica in Italia (46,9% nel 1997); di
queste, 126.681 ettari su un totale di 223.976 ettari si concentrano in Sardegna, per le
ragioni già esposte (Nomisma, 1999). Questa, che può sembrare un’anomalia, è la norma
in quasi tutta l’Unione Europea, dove le colture foraggiere sono la coltura biologica più
ricorrente;3 ciò dipende sia da ragioni tecniche, relative alla rotazione colturale praticata in
agricoltura biologica a fini di mantenimento della naturale fertilità del terreno, sia dal fatto
che le foraggiere rappresentano gran parte della SAU delle aziende zootecniche estensive,
per le quali la conversione all’agricoltura biologica in molti Paesi rappresenta l’unica
possibilità di sopravvivenza.
I cereali rappresentano il 22,9% della SAU biologica nazionale; anche qui, circa metà
della superficie si concentra in Puglia e Sicilia, anche se altre regioni (come le Marche),
hanno una forte tradizione cerealicola.
L’olivicoltura biologica è la terza coltura per importanza, con il 9,4% della SAU biologica
italiana; anche qui, prevalgono le regioni meridionali e le Isole. In Puglia l’olivo
rappresenta circa il 30% della SAU biologica.
Le colture ortofrutticole rappresentano il 7,7% della SAU biologica; tra queste, il peso
maggiore spetta alle frutticole (6,8%) mentre le orticole rappresentano soltanto lo 0,9%
(Nomisma, 1999). Tra le frutticole, svettano gli agrumi con circa il 2,4% della SAU
(Zanoli, 1998).
Le altre colture hanno un peso relativamente minore; una certa importanza riveste la
viticoltura (2,7% SAU biologica), altra coltura prevalentemente mediterranea, e le
proteaginose,
che
hanno
un’incidenza
relativamente
maggiore
che
nell’agricoltura
convenzionale a causa degli schemi di rotazione adottati dagli agricoltori biologici.
Complessivamente, lo sviluppo dell’agricoltura biologica ha interessato in prevalenza
regioni ad agricoltura marginale, ma non solo queste; Complessivamente, lo sviluppo
dell’agricoltura biologica ha interessato in prevalenza regioni ad agricoltura marginale, ma
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non solo queste; in Sicilia, la quota di superficie biologica sulla SAU raggiunge
percentuali molto elevate sia nel Messinese – provincia montuosa in cui prevale
l’olivicoltura e la frutticoltura minore4 – che nel Ragusano – provincia caratterizzata da
ordinamenti estensivi quali la cerealicoltura e la foraggicoltura, ma in cui si concentra
l’80% delle colture in serra, in prevalenza orticole (Crescimanno et al., 1998). Tuttavia, le
aziende biologiche risultano concentrate maggiormente nelle province di Messina, Catania
e Siracusa, dove l’export di prodotti ortofrutticoli ha storicamente rappresentato un fattore
trainante per lo sviluppo del settore, anche prima dell’applicazione del Reg. CEE 2078/92.
Tra i problemi dell’offerta, va rilevato il fatto che non tutta la produzione dell’agricoltura
biologica italiana riesce ad essere valorizzata sul mercato come tale; per alcuni prodotti
dal 20 al 30% della produzione viene venduta in canali convenzionali, ma è molto
probabile che questi valori siano sottostimati, a seguito della forte crescita di aziende e
superficie biologica negli ultimi due anni. I settori dove maggiori sono le difficoltà alla
commercializzazione sono quello dei cereali (per concorrenza delle importazioni estere e
per insufficiente organizzazione della filiera) e quello delle carni (per assenza di una
regolamentazione nazionale). Questo problema esiste in tutti Paesi Europei, anche se con
diversa intensità (Michelsen et al., 1999) (Tabella 1).
Le principali motivazioni a cui può essere ricondotto questo fatto sono le seguenti (Zanoli,
1999):
1. quanto più ampia è l’offerta di prodotti biologici, quanto più ampia è la probabilità che
parte dell’output non riesca ad essere venduto come biologico;
2.
maggiore è l’eccedenza della quantità offerta su quella domandata, maggiore è la
probabilità che una parte dei prodotti biologici venga venduta come convenzioanle,
specialmente nei Paesi che non hanno canali di esportazione particolarmente
sviluppati;
3. la crescita dell’offerta indotta dal sostegno di cui al Reg. 2078/92 è spesso
controbilanciata, quindi, da maggiori difficoltà nel valorizzare i prodotti ottenuti dalle
aziende agricole biologiche.
3
Con la differenza che, nelle regioni semi-aride come la Sardegna, i pascoli sono quasi
tutti estensivi e non ordinariamente fertilizzati prima delle conversione; diversa è la
situazione nel Nord-Europa.
4
In particolare è presente il noccioleto su più del 20% della SAU (Chiricosta e Saija,
1996).
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L’Italia, che ha sperimentato una delle crescite più sostenute del settore biologico in
Europa, è tra i Paesi con la quota maggiore di prodotti biologici venduti sul mercato
convenzionale, anche se l’elevata propensione all’esportazione (e le difficoltà generali del
settore agricolo convenzionale) ha in parte smorzato gli effetti di cui sopra.
2.3
La commercializzazione
Parallelamente alla crescita dell’offerta di prodotti primari, anche il mercato dei prodotti
biologici è cresciuto. Purtroppo, se le statistiche relative al numero di aziende e alla
superficie interessata dall’agricoltura biologica sono scarse, i dati sul mercato sono
praticamente inesistenti e basati su stime molto poco affidabili.
Le stime più recenti parlano di un volume di vendite al dettaglio di prodotti biologici nella
UE pari a circa 5-7 miliardi di Euro nel 1998 (Datamonitor, 1999). In generale, le stime
indicano una quota di mercato dei prodotti biologici pari a circa il 2% in Europa, con
punte del 4-5% nei paesi del Nord-Europa e livelli minimi (0,1-1%) nel Sud.
Per l’Italia si stima5 che il fatturato al dettaglio dell’agro-alimentare biologica sia intorno
ai 1.800 miliardi di lire, poco più del 1% della produzione totale. Le stime 1997 parlano di
1.500 miliardi di lire, con un incremento annuo del 20%. Di questa produzione, circa il
40% è esportato (700 miliardi di lire). A fronte di ciò, le importazioni sono stimabili in
circa 600 miliardi di lire. Si esportano prevalentemente prodotti a basso grado di
trasformazione (cereali, farine e paste alimentari; olio di oliva; vino; prodotti ortofrutticoli
freschi) e prevalentemente unbranded o con private label estere; i Paesi destinatari sono
quelli del Nord Europa (Germania in particolare con una quota di circa il 50% delle
esportazioni biologiche), ma anche USA e Giappone.
Si importano, invece, legumi (prevalentemente dal Centro America) prodotti lattierocaseari (latte e yogurt), coloniali (the, caffè, cacao, frutta secca ed esotica) e prodotti
trasformati (snack e merendine, bevande analcoliche e succhi, prodotti per l’infanzia,
dolcificanti, integratori alimentari e condimenti) spesso di marca. Ma si riscontrano anche
5
La maggior parte delle informazioni contenute nel presente paragrafo sono stime
dell’Autore basate su interviste dirette a grossisti e operatori commerciali del settore
biologico. Una parte di queste informazioni sono state reperite nell’ambito del progetto di
ricerca FAIR3-CT96-1794 “Organic farming & the CAP”; è doveroso pertanto
riconoscere il sostegno finanziario della Commissione delle Comunità Europee.
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volumi d’importazione di cereali e ortofrutta provenienti da Paesi con vantaggi competivi
in termini di costi (Australia, Sudafrica e Argentina).
Tra i canali distributivi, il dettaglio specializzato rappresenta ancora la quota prevalente
(45%), mentre la grande distribuzione organizzata (GDO) ha fatto notevoli progressi
(40%; +15% rispetto al 1997). Si riduce invece ulteriormente il peso del canale diretto
(20%) (Figura 6). Il maggior interesse della grande distribuzione va messo in relazione ai
cambiamenti intervenuti dal lato dell’offerta, che hanno reso meno discontinua e aleatoria
la fornitura di prodotti, soprattutto quelli freschi (ortaggi, frutta e latticini); va inoltre
rilevato il processo di concentrazione delle imprese “storiche” della distribuzione
all’ingrosso dei prodotti biologici (Brio, GEA, La Farnia e altre minori che hanno dato
vita al Consorzio ECOR) e l’ingresso di nuovi operatori provenienti dall’agro-alimentare
tradizionale
(BioItalia,
che
raggruppa
numerose
aziende
di
trasformazione
prevalentemente fornitrici di Coop Italia).
In Italia sono stati censiti circa 820 negozi specializzati, concentrati quasi esclusivamente
nel Centro-Nord (Tabella 2). Questa distribuzione rispecchia ovviamente quella dei
consumi, di cui si parlerà più oltre, anche se va detto che molti di questi negozi sono di
piccolissime dimensioni (spesso intorno ai 30-50 mq, i più grossi arrivano a 100 mq con
punte massime di 400 mq.), gestiti part-time da associazioni o cooperative di consumo,
con orari di apertura variabili e con volume d’affari annuo spesso non superiore ai 100
milioni.
Purtroppo non si hanno informazioni sulla distribuzione geografica del volume d’affari,
anche se è probabile che non sia molto diversa da quella dei negozi; tuttavia, al Sud – a
differenza che al Nord, soprattutto nel Nord-Est – i negozi sono concentrati nei centri
maggiori ed è probabile che abbiano fatturati medi leggermente più elevati.
Ancora pochi sono i supermercati e gli ipermercati che distribuiscono prodotti biologici in
Italia, nonostante la situazione si sia evoluta molto negli ultimi anni. La Tabella 3 riporta,
ad esempio, i punti vendita della GDO che espongono orto-frutta biologica sui loro
scaffali. I prodotti “secchi” sono più diffusi, spesso relegati nei corner. In genere, infatti,
la grande distribuzione prevede un merchandising in corner dedicati agli health foods, che
comprendono, oltre ai prodotti biologici, anche alcune categorie di prodotti dietetici per
adulti (dolcificanti, integratori alimentari, sostitutivi del pasto, prodotti integrali). Alcuni
tipi merceologici vengono, invece, “banalizzati”: è il caso degli yogurt e latti biologici,
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collocati
(necessariamente
trattandosi
di
prodotti
freschi)
insieme
ai
prodotti
convenzionali merceologicamente affini (in questo caso il banco refrigerato dei latticini).
Billa, a differenza delle altre catene, ha invece preferito la banalizzazione come approccio
prevalente: il marchio “Sì, Naturalmente!” serve a individuare i prodotti biologici sullo
scaffale.
Comunque, le difficoltà maggiori di penetrazione si hanno per i prodotti per i quali
l’offerta è molto polverizzata e le esigenze di gamma sono abbastanza elevate: è il caso
dei prodotti ortofrutticoli freschi, della pasta e dei prodotti dolciari. Per tali prodotti le
esigenze di elevati investimenti in comunicazione, la sostanziale (e strutturale) mancanza
di un’offerta che garantisca adeguata diffusione territoriale e continuità nel tempo,
rendono ancora cauto l’approccio della GDO al biologico; tuttavia, come si è visto, si sta
verificando un aumento consistente della quota commercializzata con questo canale.
Secondo gli operatori del settore, inoltre, l’outlet preferito nella GDO è l’ipermercato, a
cui si rivolgono consumatori più giovani e più attenti alle problematiche salutistiche
rispetto agli utenti del supermercato.
Il canale diretto come si è detto, riveste oggi un’importanza assai ridotta rispetto al
passato. Tuttavia, hanno ancora una certa importanza – soprattutto per una certa tipologia
di consumatori – i mercatini e le fiere biologiche che si tengono periodicamente (in
prevalenza una volta all’anno). Santucci (1998) ha censito nel 1998 95 biomercatini6 che
si svolgono in Italia: anche qui, la maggior parte delle manifestazioni ha luogo al Nord
(69%: in particolare Lombardia e Veneto) e al Centro (28%, di cui il 75% in Toscana).
Queste fiere o piccoli mercati sono organizzati direttamente da enti locali (Comuni o
Comunità Montane), oppure da associazioni culturali, di produttori e consumatori. Tra le
associazioni “storiche” va ricordata La Fierucola: dal 1985 organizza un mercatino – oggi
a carattere internazionale - l’ultima domenica di agosto a Firenze, oltre ad altri eventi a
carattere locale in tutta la Toscana. Tutte queste iniziative si configurano come happening,
come luogo di incontro tra città e campagna, e in genere vi vengono ammessi solo piccoli
agricoltori e artigiani trasformatori. Oltre ai prodotti biologici, vi sono generalmente
sezioni
dedicate
all’artigianato
artistico,
al
commercio
equo
e
solidale
e
all’associazionismo. In molti casi si accompagnano a conferenze, dimostrazioni, spettacoli
6
Una precedente indagine di Zamboni (1993) ne censiva 42 nel 1992.
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musicali, giochi per adulti e bambini, ecc. a metà tra la festa e “sagra” paesana e l’incontro
“militante”.
Diversa connotazione hanno le manifestazioni fieristiche vere e proprie di cui il SANA di
Bologna (che da due anni ha aperto una “succursale” anche a Napoli) rappresenta la più
rilevante a livello nazionale ed internazionale (manifestazioni di importanza analoga in
Europa sono il Biofach di Francoforte e Marjolaine a Parigi, anche se ogni Paese ha ormai
un appuntamento nazionale). Sono mostre-mercato organizzate professionalmente da enti
fieristici, in cui partecipano soprattutto i grossisti, le ditte di import-export, le associazioni
e gli organismi di controllo del settore biologico e i grossi produttori; nutrita è
generalmente la partecipazione degli Assessorati regionali all’agricoltura, che mettono a
disposizione i propri stands ai produttori delle rispettive regioni. Fino a qualche anno fa
tali fiere erano il luogo privilegiato per la conclusione di contratti, oggi sono
prevalentemente manifestazioni promozionali in cui si scambiano informazioni e si
prendono i primi contatti, per concludere poi i contratti di fornitura successivamente.
2.4
I prezzi al produttore e all’ingrosso
L’esistenza di premium prices, ovvero di prezzi più elevati dei prodotti biologici rispetto a
quelli convenzionali, è uno degli elementi che caratterizza il
mercato biologico, sia dal
lato della domanda che dal lato dell’offerta. Per quanto riguarda quest’ultima, l’effettiva
consistenza e l’importanza di tali prezzi più elevati varia da Paese a Paese e da prodotto e
prodotto. Nella Tabella 4 sono riportati – in percentuale – i margini di sovrapprezzo dei
prodotti biologici.
I prezzi al produttore sono, in larga misura, correlati al livello dei costi unitari di
produzione, anche se la struttura dei prezzi dipende anche da altri fattori, tra cui la
domanda (da parte degli intermediari e dell’industria di trasformazione, che però è una
domanda derivata da quella dei consumatori finali) nonché l’incidenza degli aiuti per
ettaro agli agricoltori biologici sul costo finale di produzione.
I cambiamenti intervenuti nella struttura organizzativa del mercato e la maggiore
concorrenza hanno prodotto, di recente, una sostanziale riduzione dei prezzi al produttore
nel nostro Paese. Questa tendenza si è accentuata soprattutto verso la fine del 1997; non
tutta la riduzione dei prezzi al produttore si è trasferita al consumatore e la forbice tra
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prezzi al produttore e prezzi al consumo è ancora assai consistente, anche nella grande
distribuzione (v. infra).
In ogni caso, i diversi margini riportati in tabella nei vari Paesi dipendono sia da quanto
detto sopra, sia dalla presenza di diversi livelli di sostegno degli agricoltori e trasformatori
biologici nei vari Paesi. I prezzi al produttore poi, almeno in linea teorica, sono correlati
alla dinamica della domanda e dell’offerta, anche se non vi sono indicazioni che i
premium prices siano inferiori nei Paesi in cui la quota di prodotto biologico venduto sul
mercato
convenzionale
è
più
elevata.
Questo
aspetto
necessita
di
ulteriori
approfondimenti: tuttavia, le informazioni attualmente disponibili a livello europeo e
italiano non permettono di trarre ulteriori conclusioni (Michelsen et al., 1999).
3
La domanda
3.1
I consumi
I consumi di prodotti biologici in Europa rappresentano circa il 2% del totale; in Italia, ci
si assesta, da diversi anni, intorno all’1%, con consumi stimati per il 1998 intorno ai 1,700
miliardi di lire.
Nei Paesi del Nord-Europa, i consumi sono più elevati, almeno in percentuale: ad
esempio, in Danimarca i consumi nel 1998 erano stimati a 900 miliardi di lire pari al 3,5%
dei consumi alimentari; in Germania la quota di mercato è intorno al 2%; in Austria alcune
esperti stimano una quota di mercato del
2%, mentre altri arrivano addirittura al 4%
(Wendt et al., 1999).
Sempre in Danimarca, il latte biologico rappresenta il 20% di tutto il latte venduto, le
carote bio il 12%, le uova il 13%. Le quote di mercato si abbassano per la carne bovina
(2%), suina (0,9%) e avicola (<1%) – data la forte resistenza al biologico degli allevatori
di carne – e, in generale, per i prodotti trasformati (burro 2,5%; formaggio 2%) ad
eccezione della farina di frumento (11%; tale quota si raddoppia per la farina integrale)
(Økologisk Landscenter, 1999; Michelsen et al., 1999). Inoltre, l’80% dei consumatori ha
comprato prodotti biologici nel 1998 e per più del 10% i prodotti biologici hanno
rappresentato più del 10% della spesa complessiva per consumi (Økologisk Landscenter,
1999).
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In Italia, le numerose ricerche di mercato svolte in varie aree geografiche (per una
rassegna si veda Santucci et al., 1996) permettono di stimare la quota di consumatori
occasionali e potenziali di alimenti biologici intorno al 10-15%. I consumatori abituali
sono, invece, molto meno e non raggiungono l’1% del totale. Un sondaggio condotto
alcuni anni fa tra i soci COOP (Didero, 1994), ha rilevato frequenze dell’acquisto assai
diversificate: ogni settimana il 36% dei rispondenti, una o due volte al mese il 26%, meno
di una volta al mese il 18%, il 20% mai. Analoghi risultati anche per Bagnara (1994), il
quale ha individuato un gruppo di clienti costanti in quei consumatori che si riforniscono
nei negozi biologici specializzati, seguiti da coloro che cercano il prodotto biologico nel
mercato rionale, oppure nel supermercato o nel dettaglio tradizionale. Sempre Bagnara
individua in circa il 3% dei consumatori la fascia disponibile a pagare un 30% in più ed
oltre per l’acquisto di prodotti biologici.
Il consumo di alimenti biologici si presenta comunque relativamente più diffuso tra le
persone con redditi medio-alti e nei comuni urbani.
Informazioni più dettagliate sui consumi dei prodotti biologici nel nostro Paese, purtroppo,
non vi sono. Tuttavia, le informazioni raccolte dopo lo “scandalo diossina”, indicano un
incremento del 40% nei consumi biologici, con punte particolarmente elevate per latticini
e uova. Il mercato della carne biologica in Italia è ancora praticamente inesistente, a causa
della mancanza di una normativa specifica e di altre motivi strutturali;7 l’ottimo riscontro
ottenuto dal recente lancio delle macellerie associate alla catena di franchising
specializzato nei prodotti biologici NaturaSì, tuttavia, sembra indicare che esiste una
discreta domanda potenziale 8 . Il problema rimane quello dell’organizzazione dell’offerta.
7
Tra cui: la prevalenza di una filosofia vegetariana tra i consumatori “pionieri” e negli
stessi operatori dei negozi specializzati; le maggiori difficoltà organizzative della
trasformazione e condizionamento delle carni fresche; l’esistenza di una vasta rete di
piccole macellerie con cui il consumatore ritiene di avere, a torto o ragione, un rapporto
fiduciario che lo garantisca in relazione all’origine e alla qualità delle carni.
8
Risultati diversi sono stati ottenuti invece dalla catena di supermercati regionali Tigre
nelle Marche, dove l’esperienza di vendita di carni bovine biologiche fresche è stata
interrotta dopo alcuni mesi per insufficiente tasso di rotazione delle scorte, con alte
percentuali d’invenduto. La causa principale del fallimento di questo esperimento è
tuttavia da ricercarsi nelle modalità operative con cui è stata attuata (insufficiente
attenzione al layout e alla promozione sul punto di vendita, banalizzazione delle referenze)
e al differenziale di prezzo assai elevato rispetto alle carni convenzionali, soprattutto per
una catena con una mission orientata ai convenience goods.
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3.2
I prezzi al consumo
I prezzi al consumo non sono necessariamente correlati ai prezzi pagati ai produttori.
Questo in quanto il prezzo della materia prima incide solo in parte sul prezzo finale pagato
dal consumatore.
Sebbene la presenza di costi per unità di prodotto più elevati a livello di produzione sia la
ragione utilizzata più di frequente per spiegare l’esistenza dei premium prices al consumo,
in realtà nella determinazione del prezzo finale entrano in gioco almeno altri due fattori
(Zanoli, 1997):
•
a livello della trasformazione e della distribuzione, il mancato estrinsecarsi delle
economie di scala e di superficie dovuto alla esiguità dei volumi trattati (che tra l’altro
aumentano il rischio d’invenduto), a metodi di trasformazione artigianali (che in alcuni
casi conferiscono al prodotto una qualità superiore), a inefficienze dal lato dei
trasporti;
•
a livello di mercato, la presenza di un mercato di “nicchia”, con ampi margini di
speculazione, dove prevalgono gli operatori specializzati che generalmente operano in
regime di monopolio o oligopolio locale, con consumatori disposti in parte a subire
prezzi più elevati, con conseguenti possibilità per il trade di ottenere margini elevati.
In generale, quindi, i prezzi al consumatore saranno più bassi minore è il grado di
trasformazione che il prodotto ha subito e, a parità di altre condizioni, maggiore è il grado
d’integrazione del settore biologico all’interno della distribuzione alimentare tradizionale.
Tuttavia, non sempre la grande distribuzione garantisce prezzi più bassi, specie se il
mercato biologico è molto piccolo.
La Tabella 5 mostra il livello dei margini percentuali di sovrapprezzo dei prodotti
biologici in Europa. Come si può vedere, le variazioni sono ampie per la maggior parte dei
prodotti, anche se in genere i sovrapprezzi sono più elevati per frutta e ortaggi. I margini
dei prodotti ortofrutticoli sono in genere più elevati anche nel convenzionale – a causa
della loro deperibilità; tuttavia, dato la minor rotazione dei prodotti biologici, il rischio di
invenduto è maggiore.
Inoltre, i sovrapprezzi sono maggiori nei Paesi in cui la quota di mercato dei prodotti
biologici è inferiore (Italia e Spagna, anche se questo appare meno vero in Portogallo e
Grecia, dove tuttavia si hanno in realtà poche e lacunose informazioni).
In generale, pertanto, è possibile ipotizzare che un aumento dei volumi consumati e
commercializzati
comporti
una
riduzione
dei
prezzi
sostanzialmente sui premium prices pagati ai produttori.
12
al
consumo
senza
incidere
“Il Sistema agro-alimentare nazionale alla vigilia del Terzo millennio”
Convegno della Società Italiana di Economia Agro-Alimentare – Ancona: 1-2 luglio 1999
4
Considerazioni conclusive
Il mercato dei prodotti biologici si trova oggi a una svolta. La maggior parte dei più
importanti operatori commerciali del settore agro-alimentare, non solo in Italia, si
pongono oggi il problema del biologico (Sylvander, 1998).
Il settore in Italia sta attraverso un periodo di forti trasformazioni, con l’offerta di prodotti
primari sempre in aumento e l’ingresso di alcuni grossi operatori del condizionamento e
della trasformazione (CONERPO, APOFRUIT, OROGEL, HEINZ, DEL MONTE, ecc.)
che certamente muterà la struttura competitiva del segmento, con probabili ripercussioni
sulla distribuzione e sulla domanda finale di prodotti biologici.
Del resto, il problema della sicurezza degli alimenti, della rintracciabilità e della
certificazione sta diventando un tema fondamentale per tutto il settore agro-alimentare,
anche a seguito dell’impatto sull’opinione pubblica di vicende quali quelle della cosiddetta
“Mucca Pazza” o del “Pollo alla diossina”.
Questi eventi – accompagnati ai tradizionali problemi sanitari degli allevamenti di massa
(salmonellosi, peste suina, ecc.) – hanno convinto la Commissione Europea a varare in una
sola notte il Regolamento sul metodo biologico nelle produzioni animali (che si attendeva
dal 1991 e che da più di tre anni era sostanzialmente pronto) nonché a varare delle norme
di adeguamento generale degli allevamenti a criteri ispirati alla salvaguardia del benessere
animale.9
A livello politico-legislativo, comunque, la recente conferenza sull’agricoltura biologica
tenutasi a Baden/Vienna lo scorso maggio e organizzata congiuntamente dal Governo
Austriaco e dalla Commissione Europea, ha sancito definitivamente che “l’agricoltura
biologica in generale fornisce benefici ambientali significativi (…) e comprovati da un
numero crescente di studi scientifici”; inoltre, che, data gli squilibri tra domanda e offerta
di prodotti biologici in molti Paesi dell’Unione, è necessario “un sostegno finanziario per
aumentare l’informazione e la consapevolezza del consumatore relativamente alla natura e
ai benefici degli alimenti biologici”.
Nei prossimi mesi e anni assisteremo quindi, senza dubbio, a nuovi sviluppi nel mercato
dei prodotti alimentari biologici, con ripercussioni anche a livello internazionale,
9
Anche se con tempi molto lunghi che mostrano come si sia trattato di interventi di
maquillage politico-legislativo poco credibili.
13
“Il Sistema agro-alimentare nazionale alla vigilia del Terzo millennio”
Convegno della Società Italiana di Economia Agro-Alimentare – Ancona: 1-2 luglio 1999
soprattutto a livello di GATT-WTO. Rimane infatti ancora estremamente aperta la
questione della “equivalenza” di norme e standard di produzione biologica adottati da
Paesi Terzi, affrontata in maniera non risolutiva dal Reg. CEE 2092/91 e dalle successive
modificazioni e integrazioni.
In ogni caso, il settore agro-alimentare italiano si trova sicuramente in posizione
avvantaggiata rispetto ad altri Paesi per le condizioni geo-climatiche e per la diffusione di
una tradizione artigiana di qualità nel settore delle trasformazioni alimentari. Saprà
raccogliere la sfida del cambiamento?
5
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Convegno della Società Italiana di Economia Agro-Alimentare – Ancona: 1-2 luglio 1999
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15
“Il Sistema agro-alimentare nazionale alla vigilia del Terzo millennio”
Convegno della Società Italiana di Economia Agro-Alimentare – Ancona: 1-2 luglio 1999
Figura 1: SAU biologica e in conversione in Europa (000 ha)
3.00
2.50
2.00
1.50
1.00
0.50
0.00
85
86
87
88
89
90
91
92
93
94
95
96
97
98
stime
Lussemburgo
Belgio
Grecia
Olanda
Portogallo
Irlanda
Danimarca
Finlandia
Gran Bretagna
Francia
Svezia
Spagna
Austria
Germania
Italia
Fonte: Lampkin (1999)
Figura 2: Quota della SAU biologica sul totale (1993-98)
10,0%
9,0%
8,0%
7,0%
1993
1998
6,0%
5,0%
4,0%
3,0%
2,0%
1,0%
0,0%
AT
SE
FI
IT
DK
DE
UK
NO
16
ES
NL
FR
IE
PT
LU
BE
GR
EU
“Il Sistema agro-alimentare nazionale alla vigilia del Terzo millennio”
Convegno della Società Italiana di Economia Agro-Alimentare – Ancona: 1-2 luglio 1999
Figura 3: Ripartizione regionale delle aziende biologiche in Italia (1997)
Nord
17%
Centro
45%
14%
Sud
Isole
24%
Figura 4: Ripartizione regionale della SAU biologica in Italia (1997)
14%
Nord
13%
Centro
48%
Sud
c
Isole
25%
17
“Il Sistema agro-alimentare nazionale alla vigilia del Terzo millennio”
Convegno della Società Italiana di Economia Agro-Alimentare – Ancona: 1-2 luglio 1999
Figura 5: Aziende e SAU biologica (quota 1997)
18
“Il Sistema agro-alimentare nazionale alla vigilia del Terzo millennio”
Convegno della Società Italiana di Economia Agro-Alimentare – Ancona: 1-2 luglio 1999
Figura 6: Quote di mercato per canale di commercializzazione (1996-1998)
1998
20%
35%
45%
Diretta (produttore)
Negozi specializzati
Grande distribuzione
1996
10%
55%
35%
Fonte: MarkUp, 1997 e stime dell’Autore.
19
“Il Sistema agro-alimentare nazionale alla vigilia del Terzo millennio”
Convegno della Società Italiana di Economia Agro-Alimentare – Ancona: 1-2 luglio 1999
Tabella 1: Quota di prodotto biologico venduto come tale (1997)
Ortaggi
Cereali
Latte e
derivati
Uova
Carne
bovina
Frutta
AT
nd
90-98
30-40
100
10
100
BE
100
90
75
100
60
100
DE
90
85
50
95
65
90
DK
95
100
80
90
75
95
ES
90
100
100
100
80
90
FI
98
60
60
nd
nd
60
FR2
nd
nd
nd
nd
nd
nd
GB
100
nd
95
nd
80
100
GR
90
80
nd
nd
nd
80
IE
100
nd
nd
nd
nd
nd
IT
70
80
70
100
90
70
LU
100
90
15
100
80
100
NL
100
100
100
100
100
100
PT
100
10
nd
nd
nd
100
SE
95
95
85
99
95
100
CH3
95-100
100
Fonte: Michelsen et al. (1999)
41
95
60
100
2
il 95% di tutti i prodotti è venduto sul mercato del biologico.
3
Quando il dato è 100%, significa che il 5% viene venduto sul mercato convenzionale nelle annate
con rese elevate.I produttori di latti associati a stalle sociali spesso vendono il loro prodotto come
convenzionale.
nd = nessun dato disponibile.
20
“Il Sistema agro-alimentare nazionale alla vigilia del Terzo millennio”
Convegno della Società Italiana di Economia Agro-Alimentare – Ancona: 1-2 luglio 1999
Tabella 2: Negozi specializzati in prodotti biologici (1998)
Regione
Negozi
n.
%
115
13,9
Valle d’Aosta
4
0,5
Liguria
20
2,4
Lombardia
140
16,9
Trentino-Alto Adige
41
4,9
Veneto
106
12,8
Friuli-Venezia Giulia
32
3,9
Emilia-Romagna
88
10,6
Toscana
72
8,7
Marche
36
4,3
Umbria
14
1,7
Lazio
79
9,5
Abruzzo
3
0,4
Molise
1
0,1
Campania
15
1,8
Puglia
21
2,5
Basilicata
2
0,2
Calabria
7
0,8
Sicilia
25
3,0
Sardegna
7
0,8
Nord
546
65,9
Centro
201
24,3
Sud
49
5,9
Isole
32
3,9
Italia
Fonte: Biobank
828
100,0
Piemonte
21
“Il Sistema agro-alimentare nazionale alla vigilia del Terzo millennio”
Convegno della Società Italiana di Economia Agro-Alimentare – Ancona: 1-2 luglio 1999
Tabella 3: Super- e iper-mercati che distribuiscono orto-frutta biologica in Italia (1998)
Regione
Punti vendita
n.
Piemonte
12
Valle d’Aosta
0
Liguria
0
Lombardia
94
Trentino-Alto Adige
1
Veneto
63
Friuli-Venezia Giulia
1
Emilia-Romagna
125
Toscana
37
Marche
15
Umbria
1
Lazio
1
Abruzzo
6
Molise
0
Campania
0
Puglia
1
Basilicata
0
Calabria
0
Sicilia
0
Sardegna
0
Nord
296
Centro
54
Sud
7
Isole
0
Italia
Fonte: BioBank
357
22
“Il Sistema agro-alimentare nazionale alla vigilia del Terzo millennio”
Convegno della Società Italiana di Economia Agro-Alimentare – Ancona: 1-2 luglio 1999
Tabella 4: Prezzi al produttore biologico (margine % sul convenzionale: 1997-98)
Ortaggi
Cereali
Latte e
derivati
Uova
Carne
bovina
Frutta
AT
nd
100
20-30
30
20-25
nd
BE
35
65
20
75
35
nd
DE1
50
100
15
40
20
50
DK
25-50
60-70
20-25
10-95
10-30
>100
ES
0-30
0-50
10-30
10-30
nd
15-30
FI
50
50
10
100
40
300
FR
nd
60-100
20-30
nd
nd
nd
GB
20-100
nd
40
nd
40
5-40
GR
30-50
10-20
nd
nd
nd
20-50
IE2
25
nd
nd
nd
20
nd
IT
15-20
25-30
15
20-100
nd
15-20
LU
60
100
10
50
40
60
NL
nd
100
10
nd
nd
nd
PT
10-100
nd
nd
nd
nd
10-100
SE
0-30
50-100
15-20
70-200
5-25
40
10-12
50
20
40-45
CH
30-70
40
Fonte: Michelsen et al. (1999)
1
Per la carne bovina le variazioni sono dell’ordine del 10-50%
2
Tranne quando altrimenti specificato, i sovrapprezzi al produttore sono dell’ordine del 23-26%
nd = nessun dato disponibile
23
“Il Sistema agro-alimentare nazionale alla vigilia del Terzo millennio”
Convegno della Società Italiana di Economia Agro-Alimentare – Ancona: 1-2 luglio 1999
Tabella 5: Prezzi al consumatore biologico (margine % sul convenzionale: 1997-98)
Ortaggi
Cereali
Latte e
derivati
Uova
Carne
bovina
Frutta
AT
nd
20-30
25-30
25-30
25-30
nd
BE
40
50
30
70
35
50
DE
20-100
20-150
25-80
30
30-50
20-150
DK
20-50
0-20
20-30
7-50
20-50
50-100
ES
50-200
15-75
15-75
15-100
nd
50-200
FI
94
64
31
nd
33
nd
FR
nd
nd
20-150
nd
30
nd
GB
30-100
nd
20
nd
20-50
nd
GR
50-100
30-50
nd
nd
nd
25-50
IE1
nd
nd
nd
nd
nd
nd
IT
50-220
125-175
20-50
50-200
20-50
50-100
LU
60
100
10
50
40
60
NL
20-50
37
38
43
nd
26
PT
25-200
nd
nd
nd
nd
5
SE
30-100
10-100
15-20
25-115
20
100
10
50
20
50-60
CH
40-80
40-50
Fonte: Michelsen et al. (1999)
1
I consumatori irlandesi dichiarano di essere disposti a pagare un sovrapprezzo del 20-30%.
nd = nessun dato disponibile
24