Un`idea del Surrealismo
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Un`idea del Surrealismo
Paolo Zoboli Un’idea del Surrealismo* L’existence est ailleurs. BRETON 1. Breve cronaca del Surrealismo Tracciamo innanzitutto alcune linee essenzialissime di cronaca del Surrealismo1. All’indomani della Prima guerra mondiale, un giovane poco più che ventenne di nome André Breton conosce a Parigi altri giovani più o meno coetanei e anch’essi disgustati dall’orrore e dall’assurdità del conflitto – Philippe Soupault e Louis Aragon, ai quali si unisce presto Paul Éluard –, con i quali dà vita nel 1919 alla rivista «Littérature» («Letteratura»). Sono gli anni dell’incontro con il movimento più eversivo e negatore che si ricordi: Dada, nato in Svizzera nel 1916, all’inizio del 1920 giunge nella capitale francese con il suo fondatore, il rumeno Tristan Tzara2. Ma, dopo i primi mesi di collaborazione, Breton e Tzara giungono alla rottura: «DADÀ NON SIGNIFICA NULLA», aveva proclamato questo, in tutte maiuscole, nel manifesto dadà 1918; «Ora si sa che la poesia deve portare da qualche parte», ribatte quello, già nel giugno del 1920, in uno scritto sui Canti di Maldoror del misterioso Lautréamont, che resterà sempre il suo principale punto di riferimento3. Meno di due anni più tardi la rottura è consumata: e, dopo un periodo di gestazione di altri due anni, il movimento di Breton nasce ufficialmente con il Manifesto del Surrealismo, pubblicato nell’ottobre del 1924, pochi mesi dopo la chiusura di «Littérature»4. Il Surrealismo si propone una rivoluzione totale, una rifondazione ab imis dell’uomo basata sulla liberazione dell’inconscio, che non può riduttivamente * Queste pagine sono state scritte per un breve intervento sul Surrealismo letterario nell’ambito della conferenza di presentazione L’esperienza surrealista nelle avanguardie di primo Novecento, tenuta presso l’ISIS «Dalla Chiesa» di Sesto Calende (VA), il 12 aprile 2014, in occasione della Esposizione di stampe surrealiste organizzata, in collaborazione con l’ISIS «Keynes» di Gazzada-Schianno (VA), dalla prof.ssa Anna Gamardella e dal prof. Mauro Squarzanti, che hanno invece parlato del Surrealismo pittorico. Tale intervento, circoscritto nel breve giro di mezz’ora e destinato a ragazzi delle classi quinte di entrambi gli Istituti, ha cercato per questo di fornire non più che una sintetica ‘idea’ del Surrealismo; ma, del movimento di Breton, si è sforzato anche di proporre un’‘idea’ ben determinata, tralasciandone i tormentati rapporti con la politica e inserendolo, piuttosto, nella grande vicenda della poesia moderna dal Romanticismo tedesco al Simbolismo francese e oltre, all’insegna di quella vertiginosa ricerca «au fond de l’Inconnu» che Baudelaire invoca alla fine delle Fleurs du mal. 1 Alle voci della Bibliografia conclusiva si rinvia, in forma compendiosa, per mezzo delle abbreviazioni adottate nella stessa. Sulla storia del Surrealismo è fondamentale – ma naturalmente ‘di parte’ – la testimonianza dello stesso fondatore: André BRETON, Entretiens radiophoniques (1913-1952) [Conversazioni radiofoniche (19131952), 1952], trascritti in BRETON 1973, pp. [13]-222 (d’ora in poi: Entretiens); si veda poi NADEAU (con un’ampia antologia di Documenti surrealisti [1924-1939], pp. [179]-423); e il profilo di Breton offerto da BINNI. 2 Su Dada si veda TZARA e in particolare l’Introduzione al volume di Giampiero Posani, ibi, pp. [VII]-XXXIX. 3 manifesto dadà 1918, in TZARA, pp. [5]-14 (a p. 6); «Les Chants de Maldoror» par le comte de Lautréamont, in BRETON 2004, pp. 64-[68] (a p. 65): si veda in proposito LAUTRÉAMONT. 4 Manifesto del Surrealismo (1924), in BRETON 2003, pp. [9]-49 (d’ora in poi: Manifesto). 2 PAOLO ZOBOLI identificarsi con un semplice movimento artistico: per Breton l’arte è un mezzo, non un fine. E subito il nuovo movimento si dota di un suo organo, la rivista dal titolo emblematico «La Révolution surrealiste» («La rivoluzione surrealista»). Per qualche tempo Antonin Artaud, unitosi al gruppo, tenta di portare alle logiche conseguenze le premesse del Manifesto, ma Breton, dopo un periodo di relativa assenza, riprende in mano il movimento, del quale diventa una sorta di dittatore che giunge a espellere compagni di strada vecchi (perfino Soupault) e nuovi (lo stesso Artaud). Da lui propiziata, la svolta inattesa verso la politica avviene nell’estate del 1925, con un avvicinamento non privo di equivoci e di contrasti ai redattori della rivista «Clarté», vicini a Trockij e critici verso il Partito Comunista Francese (PCF), al quale peraltro Breton, Éluard e Aragon qualche tempo dopo si iscrivono. L’intento è quello di unire rivoluzione spirituale surrealista e rivoluzione materiale marxista: ma già allora un marxista ex surrealista come Pierre Naville afferma che esse sono inconciliabili5. Per Breton, comunque, quello dei comunisti è solo un «programma minimo» e sia lui che gli altri che si sono iscritti al Partito rifiutano l’impegno diretto, restando sempre ai margini dell’attività rivoluzionaria6. Intanto, come ricorderà Breton nel 1952, quegli stessi anni (1926-1929) vedono «una fioritura di opere surrealiste che è spesso considerata come la più splendida»: e cita, fra gli altri, i suoi Nadja e Le Surréalisme et la Peinture (Il Surrealismo e la pittura), di Aragon Le Paysan de Paris (Il paesano di Parigi) e Traité du style (Trattato dello stile), di Éluard Capitale de la douleur (Capitale del dolore) e L’Amour la Poésie (L’amore la poesia)7. Nel dicembre del 1929 l’ultimo numero della «Révolution surréaliste» accoglie il Second Manifeste du Surréalisme, edito in volume l’anno dopo;8 e, annunciata al termine del Manifesto, nel luglio del 1930 esce la rivista «Le Surréalisme au service de la Révolution» («Il Surrealismo al servizio della rivoluzione»). Quell’anno si aggiungono alle file del Surrealismo Salvator Dalì e René Char, che sono a fianco di Breton quando, fra il 1931 e il 1932, si consuma lo scontro con Aragon, che abbandona il Surrealismo per spostarsi completamente sulle posizioni del PCF, dal quale invece, nel luglio del 1933, Breton ed Éluard vengono espulsi. Con questi anni la parabola del Surrealismo, che non è riuscito a conciliare le due rivoluzioni, quella spirituale e quella materiale, sembra chiusa: da un punto di vista prevalentemente politico scrive Lanfranco Binni nel 1971 quando afferma che ormai il Surrealismo è una «setta di artisti», una «chiesuola poetica guidata da Breton, incarnazione in terra del surrealismo»; dal punto di vista opposto, già nel 1935 Carlo Bo, che proprio in quegli anni sta elaborando la concezione teorica dell’Ermetismo, registra con delusione la svolta verso il materialismo storico (il dichiarato «primato della materia sul pensiero») del 5 La crisi Naville, in NADEAU, pp. [85]-89. BINNI, pp. 107-110. 7 Entretiens, p. 138: per Nadja e Il Surrealismo e la pittura si vedano rispettivamente BRETON 1977 e BRETON 2010. 8 Secondo Manifesto del Surrealismo (1930), in BRETON 2003, pp. [57]-120 (d’ora in poi: Secondo Manifesto). 6 UN’IDEA DEL SURREALISMO 3 movimento sulla scia del quale l’Ermetismo, erede anch’esso della grande avventura simbolista, per molti aspetti sta crescendo9. Non sarà inutile ricordare come nel 1944 lo stesso Bo, proprio intorno al termine della parabola vitale del movimento di cui è stato il teorico, ci consegni un’importante Bilancio e un’importante Antologia del surrealismo10. Insomma, se la rivoluzione surrealista non poteva identificarsi con quella marxista – economica, politica, sociale – perché si presentava come una rivoluzione essenzialmente spirituale, per lo stesso motivo, nelle intenzioni del suo fondatore, il Surrealismo non poteva essere considerato semplicemente un movimento artistico: e questo naturalmente, già nel 1935, non poteva sfuggire a Bo, di lì a poco autore del ‘manifesto’ dell’Ermetismo dal titolo emblematico Letteratura come vita (1938). Peraltro nel 1957 un critico sodale come Maurice Nadeau scriveva: «In attesa di un supplemento di istruttoria, bisogna rassegnarsi a considerare il surrealismo una scuola letteraria, molto diversa da tutte quelle che l’hanno preceduto e la più prestigiosa di quelle formatesi dopo il romanticismo»11. 2. Il Surrealismo nella storia della poesia moderna Inseriamo dunque il Surrealismo nella grande vicenda della poesia moderna; e facciamolo a partire da due opere fondamentali di due grandi studiosi svizzeri, entrambi appartenenti alla cosiddetta ‘scuola di Ginevra’: L’anima romantica e il sogno. Saggio sul romanticismo tedesco e la poesia francese (19371, 19392) di Albert Béguin e Da Baudelaire al surrealismo (19331, 19402) di Marcel Raymond12. Il quadro che i due studiosi tracciano è unitario: dal Romanticismo tedesco di fine Settecento fino appunto al Surrealismo. Aggiungiamo, a ideale prosecuzione, un altro studio ormai classico: La struttura della lirica moderna. Dalla metà del XIX alla metà del XX secolo del tedesco Hugo Friedrich (19561, 19662)13. Dal Romanticismo tedesco, e in particolare dalle riflessioni teoriche di Novalis, nasce una nuova concezione della poesia che, attraverso una figura chiave come Gérard de Nerval, giunge a Charles Baudelaire, vero punto di snodo, con la sua opera poetica e la sua opera teorica, della poesia moderna. Dalla straordinaria ricchezza della sua eredità si dipartono secondo Raymond, all’insegna della medesima ricerca dell’Ignoto che costituisce il cuore di questa poesia («al fondo dell’Ignoto per trovare del nuovo!», aveva invocato Baudelaire al culmine dei Fiori del male), due linee diverse ma complementari: quella ‘cerebrale’ degli ‘artisti’, che trova il suo massimo rappresentante in Stéphane Mallarmé, e quella ‘viscerale’ dei ‘veggenti’, che trova il suo massimo rappresentante in Arthur Rimbaud. Mallarmé e Rimbaud saranno, con Baudelaire, i ma9 BINNI, p. 117; BO 1935, p. 280. BO 1944a e BO 1944b. 11 NADEAU, p. 177 (Molto tempo dopo..., con data in calce «Novembre 1957»). 12 BÉGUIN e RAYMOND. 13 FRIEDRICH. 10 4 PAOLO ZOBOLI estri del Simbolismo francese di fine secolo e poi di tanta parte della poesia moderna. La prima ‘linea’ – quella di una poesia astratta e ‘smaterializzata’ – troverà il suo massimo esponente appunto nel grande allievo di Mallarmé, Paul Valéry; la seconda – quella di una poesia visionaria – nutrirà, con l’importante presenza di Lautréamont e dei suoi Canti di Maldoror (1869), appunto l’esperienza surrealista14. A questo proposito risulta assolutamente emblematico lo scontro del 1929 tra Valéry, che dichiara che la poesia deve essere una «festa dell’intelletto», e Breton, che ribatte che la poesia deve essere un «crollo dell’intelletto»15. Ma partiamo dalla famosa definizione del Manifesto del 1924: SURREALISMO, n. m. Automatismo psichico puro col quale ci si propone di esprimere, sia verbalmente, sia per iscritto, sia in qualsiasi altro modo, il funzionamento reale del pensiero. Dettato del pensiero, in assenza di qualsiasi controllo esercitato dalla ragione, al di fuori di ogni preoccupazione estetica o morale. ENCICL. Filos. Il surrealismo si fonda sull’idea di un grado di realtà superiore connesso a certe forme d’associazione finora trascurate, sull’onnipotenza del sogno, sul gioco disinteressato del pensiero. Tende a liquidare definitivamente tutti gli altri meccanismi psichici e a sostituirsi ad essi nella risoluzione dei principali problemi della vita16. Si tratta, insomma, di lasciar parlare l’inconscio, attraverso una espressione verbale non controllata dalla ragione (la «scrittura automatica», come Breton dirà nel 1952: ma nel Manifesto si parla propriamente di «scrittura meccanica»17) e attraverso il racconto dei sogni. Si pensa immediatamente a Freud: ma nel Manifesto, in realtà, Freud ha un ruolo tutto sommato modesto. Si deve alle alle sue scoperte, scrive Breton, «se di recente è stata riportata alla luce una parte del mondo intellettuale, a mio parere di gran lunga la più importante, di cui si ostentava di non tenere più conto»; e «molto opportunamente Freud ha concentrato la propria critica sul sogno»18. Quando poi ritorna ai primi esperimenti di scrittura automatica condotti nel 1919 e pubblicati in Les Champs magnétiques (I campi magnetici, 1921, a quattro mani con Soupault), Breton scrive: Permeato di Freud com’ero a quell’epoca, e familiarizzato con i suoi metodi d’indagine che avevo avuto occasione di praticare un poco su certi malati durante la guerra, decisi di ottenere da me quello che si cerca di ottenere da loro, cioè un monologo proferito il più rapidamente possibile, sul quale lo spirito critico del soggetto non eserciti alcun giudizio, che non venga quindi intralciato da alcuna reticenza, e che sia quanto più esattamente è possibile pensiero parlato19. 14 La fortuna di Lautréamont inizia proprio con i surrealisti; ma scrive FRIEDRICH, p. 6: «Lautréamont [...] esercita oggi [1956] una qualche influenza, ma altro non è che una variante peggiorata di Rimbaud (che egli non conosceva, come Rimbaud non conosceva lui)». 15 FRIEDRICH, p. 150. 16 Manifesto, p. 30. 17 Entretiens, p. 62; Manifesto, p. 41. 18 Manifesto, p. 17. 19 Manifesto, pp. 27-28; singolare la sovrapposizione con una famosa formulazione teorica di Tzara: «IL PENSIERO SI FORMA IN BOCCA» (dadà. manifesto sull’amore debole e l’amore amaro [1920], IV, in TZARA, pp. [23]-33: a p. 25). Per I campi magnetici si veda BRETON - SOUPAULT. UN’IDEA DEL SURREALISMO 5 Freud ha richiamato l’attenzione sull’inconscio, si è concentrato sul sogno e ha fornito il metodo delle ‘libere associazioni’: di Freud non c’è altro. Il ‘razionalista’ Freud aveva teorizzato di un inconscio individuale sede delle pulsioni (per lo più di natura sessuale) rimosse e per questo responsabili dei sintomi nevrotici: la psicoanalisi mirava a risalire dai sintomi superficali al rimosso e a guarire così la nevrosi. Altrimenti sembra esprimersi Brenton nel Manifesto: Se le profondità del nostro spirito celano strane forze capaci di dare incremento a quelle di superficie, o di lottare vittoriosamente contro di esse, abbiamo tutto l’interesse a captarle, a captarle per cominciare, per poi sottometterle, se sarà il caso, al controllo della nostra ragione20. Ma a questo punto facciamo un passo indietro, agli anni di preparazione del Surrealismo (1918-1924): i documenti di quel periodo, gli scritti critici di Breton (letterarî, artistici, polemici), sono consegnati alla raccolta Les Pas perdus (I passi perduti), pubblicata proprio alla vigilia del Manifesto, nella primavera del 192421. Fra essi si trova il resoconto della visita di Breton a Freud del 1921: resoconto brevissimo e, come riconoscerà poi lo stesso Breton, «spregiativo»22. Ma, soprattutto, fra essi si trova lo scritto Entrée des médiums (Entrata dei medium), che – comparso su «Littérature» del dicembre 1922, poco dopo la rottura con Dada – costituisce la prima formulazione del Surrealismo (e sarà infatti richiamato nel Manifesto di due anni dopo): Si sa, fino a un certo punto, che cosa i miei amici ed io intendiamo per surrealismo. Questa parola, che non è di nostra invenzione e che avremmo benissimo potuto abbandonare al vocabolario critico più vago, è da noi usata in un significato preciso. Per mezzo di essa abbiamo convenuto di designare un certo automatismo psichico che corrisponde abbastanza bene allo stato di sogno, stato che è oggi assai difficile da delimitare23. Ecco allora che Breton ci parla, come farà poi nel Manifesto, dell’esperienza di scrittura automatica dei Campi magnetici, alla quale si riferisce come all’ascolto e alla registrazione della «voce [...] della nostra incoscienza», di un «murmure che basta a se stesso». E aggiunge: Mai più in seguito, dove lo [il «murmure»] facemmo sgorgare con la preoccupazione di captarlo per degli scopi precisi, ci portò assai lontano. E tuttavia era stato tale che non aspetto ancora rivelazioni se non da esso. Non ho mai smesso di essere convinto che nulla di ciò che si dice o si fa vale al di fuori dell’obbedienza a questo dettato magico. C’è là il segreto dell’attrazione irresistibile che esercitano certi esseri il cui solo interesse è d’essersi fatti un giorno l’eco di ciò che si è tentati di prendere per la coscienza universa- 20 Manifesto, p. 17. BRETON 2004. 22 Entretiens, p. 82; Interview du professeur Freud [Intervista del professor Freud, 1922], in BRETON 2004, pp. 94[95]. 23 Entrée des médiums [Entrata dei medium], in BRETON 2004, pp. 116-[124] (alle pp. 117-118: le due citazioni seguenti a p. 118). 21 6 PAOLO ZOBOLI le, o, se si preferisce, di aver raccolto, senza a rigore penetrarne il senso, alcune parole che cadevano dalla «bocca d’ombra»24. Il limite della scrittura automatica, rileva Breton nel 1922, è «l’incursione [...] di elementi coscienti» e il prevalere di una «volontà umana, letteraria, ben determinata». Una seconda soluzione è data allora dai racconti onirici («récits de rêves»): ma purtroppo anch’essi hanno il loro punto debole nella necessità di affidarsi alla inaffidabile memoria. Infine, la terza soluzione: lo spiritismo da poco introdotto nel gruppo da René Crevel. E qui Breton è chiarissimo: «Per quanto mi riguarda, mi rifiuto formalmente di ammettere che esista una qualsiasi comunicazione fra vivi e morti». Piuttosto, le sedute spiritiche servono a favorire autoipnosi in Crevel e Robert Desnos, che parlano in stato di trance; ma la chiusa ha un sapore irrimediabilmente ironico: «Éluard, Morise ed io, a dispetto di tutta la nostra buona volontà, non ci siamo addormentati». Nel testo Freud non è neppure nominato; ma, soprattutto, ben altra realtà rispetto a quella teorizzata dal padre della psicoanalisi presenta l’inconscio di Breton: «voce», «murmure che basta a se stesso», «dettato magico», forse «eco» della «coscienza universale». Non ci addentriamo nella definizione di questa «coscienza universale», che forse risente della filosofia di Bergson ma certo ha anche un sapore parapsicologico o addirittura occultistico: non si tratta certo, comunque, dell’inconscio individuale teorizzato da Freud, bensì di una vera e propria via di accesso a una realtà altra, a «un grado di realtà superiore», appunto a una sur-realtà25. È vero che nelle conversazioni radiofoniche del 1952 Breton attribuirà lo «spregiativo» resoconto della sua visita al medico viennese a «un deplorevole sacrificio allo spirito dada»; ma, una o due pagine dopo, a proposito del viaggio tentato con la scrittura automatica e con il sonno ipnotico emblematicamente scrive, riferendosi a ben altri modelli: Via mistica senza dubbio, e della quale sarà vano, fino a nuovo ordine, voler parlare in termini di ragione. Si tratta della ripresa sistematica di una ricerca [quête] che il XIX secolo ha fatto passare al di là di tutte le altre preoccupazioni dette poetiche a partire da Novalis e da Hölderlin per la Germania, da Blake e da Coleridge per l’Inghilterra, da Nerval e da Baudelaire per la Francia, e che doveva assumere un carattere davvero sommatorio forse con Mallarmé, a colpo sicuro con Lautréamont e Rimbaud26. Questi poeti, aggiunge poi, hanno avuto «l’ambizione – si è detto dopo di loro prometeica – [...] di forzare le porte del mistero e di avanzare in terra ignota a dispetto di tutte le proibizioni». Rimbaud più di ogni altro: «un mistico allo stato selvaggio», lo aveva definito non casualmente Paul Claudel nella sua 24 Entrée des médiums, pp. 118-119; le citazioni seguenti, ibi, pp. 119, 121 e [124]. BINNI, p. 74, riconduce tale concezione ai ‘metapsicologi’ di fine Ottocento (Myers, Flournoy, Richet, effettivamente ricordati da Breton nel passo degli Entretiens, p. 82, qui di séguito citato a proposito di Freud): «La concezione metapsicologica tende ad affermare il primato del subconscio sulla coscienza, facendone un tentacolo di una realtà spiritualista trascendentale contrapposta alla realtà materiale, come in Myers, oppure un tentacolo di una realtà sotterranea, immanente alla realtà materiale, in una sorta di panteismo ugualmente spiritualista». 26 Entretiens, p. 84 (anche la citazione successiva); la citazione precedente, ibi, 82. 25 UN’IDEA DEL SURREALISMO 7 prefazione all’edizione delle opere del 1912. E non casualmente, recensendo sulla «Nouvelle Revue Française» del 1° maggio 1924 proprio Les Pas perdus, Marcel Arland definisce lo stesso Breton «un mistico senza oggetto» e «un profeta senza fede». Ma che cos’è la mistica? È l’esperienza interiore – testimoniata nelle diverse civiltà e nelle diverse religioni – per mezzo della quale si attinge la realtà misteriosa e radicalmente altra del divino (nelle diverse religioni variamente inteso) in modo immediato, oltre le forme consuete della conoscenza razionale27. Già Novalis aveva scritto nei suoi Frammenti: Il senso per la poesia ha molto in comune con il senso per il misticismo. È il senso per ciò che è peculiare, personale, ignoto, misterioso, per ciò che è da rivelare [...]. Rappresenta l’irrappresentabile. Vede l’invisibile, percepisce l’impercepibile28. Ma è soprattutto a Rimbaud che qui appunto occorre rifarsi, e in particolare alla lettera a Paul Demeny del 15 maggio 1871 (la cosiddetta Lettera del veggente): Il romanticismo non è mai stato giudicato bene. Chi avrebbe potuto giudicarlo? I critici!! I romantici, che mostrano così bene come la canzone sia così di rado l’opera, cioè il pensiero cantato e capito da colui che canta? Perché Io è un altro. Se l’ottone si risveglia tromba, non è affatto colpa sua. Questo mi appare evidente: io assisto allo schiudersi del mio pensiero: lo guardo, lo ascolto: lancio un colpo d’archetto: la sinfonia si muove nel profondo, oppure arriva d’un balzo sulla scena. [...] Il primo studio dell’uomo che vuole essere poeta è la conoscenza di se stesso, intera: egli cerca la sua anima, la scruta, la mette alla prova, la impara. Dal momento in cui la sa, deve coltivarla [...]. Dico che bisogna essere veggente, farsi veggente. Il Poeta si fa veggente mediante un lungo, immenso e ragionato sregolamento di tutti i sensi. Tutte le forme d’amore, di sofferenza, di follia; egli cerca se stesso, esaurisce in sé tutti i veleni, per conservarne solo le quintessenze. Ineffabile tortura in cui egli ha bisogno di tutta la fede, di tutta la forza sovrumana, in cui egli diventa fra tutti il grande malato, il grande criminale, il grande maledetto, – e il supremo sapiente! – Poiché egli arriva all’ignoto! Avendo coltivato la sua anima, già ricca, più di chiunque altro! Egli arriva all’ignoto, e anche se, sgomento, finisse col perdere la comprensione delle sue visioni, le ha viste! Crepi pure nel suo balzo attraverso le cose inaudite e innominabili: verranno altri orribili lavoratori; essi cominceranno dagli orizzonti dove l’altro si è accasciato! [...] Intanto chiediamo ai poeti del nuovo, – idee e forme. [...] I secondi romantici sono molto veggenti: Th. Gautier, Leconte de Lisle, Th. de Banville. Ma poiché indagare l’invisibile e ascoltare l’inaudito è una cosa diversa dal riprendere lo spirito delle cose morte, Baudelaire è il primo veggente, re dei poeti, un vero Dio. È però vissuto in un ambiente troppo “artista”; e la forma in lui tanto vantata è meschina: le invenzioni di ignoto reclamano forme nuove. [...] – Ecco. Così io lavoro a rendermi veggente. –29 27 Si veda in proposito la monumentale antologia a cura di Elémire Zolla, I mistici, e in particolare l’ampia Introduzione dello stesso Zolla, pp. [5]-87. 28 Frammenti e studi 1799-1800, n. 671, in NOVALIS, II, p. 773. 29 RIMBAUD, pp. 135, 137, 143 e 145. 8 PAOLO ZOBOLI Nel «mistico allo stato selvaggio» di Charleville si trovano già i principali nodi teorici del Surrealismo: la percezione di una realtà altra che parla nell’Io («Io è un altro»), la ricerca dell’Ignoto e la necessità di «forme nuove» per esprimere le «invenzioni di ignoto». Il poeta, scrive Hugo Friedrich, può così tentare «la cieca fuga verso la profondità prepersonale come pure verso la vuota trascendenza», l’Inconnu (l’Ignoto) già posto alla conclusione dei Fiori del male di Baudelaire, un concetto semplicemente negativo, privo di ogni ogni contenuto che non sia la radicale alterità rispetto a ciò che l’uomo esperisce nella realtà30. Questa sostanza del Surrealismo è ben chiara ai seguaci di Breton. Ad esempio, in un documento del gruppo surrealista risalente al 1925 – al breve periodo dominato da Artaud e anteriore alla svolta politica dell’estate di quell’anno – Raymond Queneau scrive: La realtà immediata della rivoluzione surrealista non è tanto un cambiamento totale dell’ordine fisico e apparente delle cose quanto la creazione di un movimento degli spiriti. L’idea di una rivoluzione surrealista qualunque mira alla sostanza profonda e alla sfera del pensiero... Mira a creare prima di tutto un misticismo di tipo nuovo....31 Nel 1930 il Secondo manifesto del Surrealismo segna però la fine della «Révolution surréaliste» e della fase più vitale del movimento. Con l’eccezione di Lautréamont, nel suo furore distruttivo Breton sconfessa tutti i suoi ‘padri spirituali’, perfino Rimbaud: Tengo a precisare che, secondo me, bisogna diffidare del culto degli uomini, per quanto grandi possano apparire. A parte uno solo: Lautréamont, non ne vedo alcuno che non abbia lasciato qualche traccia equivoca sul suo cammino. Inutile discutere ancora su Rimbaud: Rimbaud si è ingannato, Rimbaud ha voluto ingannarci. È colpevole davanti a noi di aver permesso, di non aver reso completamente impossibili certe interpretazioni disonoranti del suo pensiero, tipo quella di Claudel, ovvero quella del «mistico allo stato selvaggio»32. Ma, certo, le definizioni del Surrealismo che precedono e seguono il passo citato hanno, ancora una volta, un sapore fondamentalmente ‘mistico’: Tutto porta a credere che esista un punto dello spirito da cui la vita e la morte, il reale e l’immaginario, il passato e il futuro, il comunicabile e l’incomunicabile, l’alto e il basso cessano di esser percepiti come contraddittorii. Ora, sarebbe vano cercare, alla base dell’attività surrealista, altro movente che non sia la speranza di determinare questo punto. […] L’idea di surrealismo tende semplicemente al recupero totale della nostra forza psichica con un mezzo che non è altro se non la discesa vertiginosa in noi stessi, l’illuminazione sistematica dei luoghi nascosti e l’oscuramento progressivo degli altri luoghi, la deambulazione perpetua in piena zona interdetta. 30 FRIEDRICH, p. 64. NADEAU, p. 200. 32 Secondo Manifesto, p. 67: le due citazioni seguenti, pp. [64] e 75. 31 UN’IDEA DEL SURREALISMO 9 I poeti da Novalis fino appunto a Rimbaud, dirà Breton vent’anni dopo, hanno cercato di «forzare le porte del mistero e di avanzare in terra ignota a dispetto di tutte le proibizioni»33. Il ripudio di Rimbaud, del resto, è naturalmente pretestuoso e occasionale (la polemica contro l’interpretazione cristiana di Claudel), così come fondamentalmente pretestuoso e occasionale ci sembra l’avvicinamento al marxismo da parte di Breton, che pure ancora nel giugno del 1935 chiuderà il suo Discorso al Congresso degli scrittori con le parole famose: «Trasformare il mondo», ha detto Marx, «cambiare la vita», ha detto Rimbaud: per noi, queste due parole d’ordine fanno tutt’uno34. Nel 1963 uno studioso della mistica di ogni tempo come Elémire Zolla porrà esplicitamente e in termini assai diversi il rapporto tra misticismo e marxismo: Per i marxisti il misticismo è o anarchica incapacità di incanalare la rivolta nell’unico solco che la storia offre, pertanto collaborazione di contraggenio con la scocietà da modificare, oppure semplice appendice di un’istituzione ecclesiastica; essi danno definizioni false ma mirano giusto, poiché il mistico potrebbe essere tollerato soltanto nel Regno della Libertà, dove anzi sarebbe l’abitante naturale, laddove chiaramente riesce fastidioso nel tempo dell’edificazione della libertà mediante esasperazione della servitù35. Il mistico sarebbe dunque, sostiene Zolla, «l’abitante naturale» del marxiano «Regno della Libertà»; e, quasi ad apertura del primo Manifesto, Breton aveva infatti scritto, tuttavia riferendosi ancora una volta a una libertà di ordine spirituale: «La sola parola libertà è tutto ciò che ancora mi esalta»; e poi: «[La libertà] risponde senza dubbio alla mia sola aspirazione legittima; tra le tante disgrazie di cui siamo eredi, bisogna riconoscere che ci è lasciata la massima libertà dello spirito»36. «La vera vita è assente», aveva scritto Rimbaud in Una stagione all’inferno: «L’esistenza è altrove», gli fa eco Breton con le ultime parole del Manifesto del 192437. Sesto Calende, 12 aprile 2014 33 Ma l’originale francese ha «tous les interdits» e presenta dunque anche una significativa coincidenza lessicale con la «zone interdite» del 1930. 34 Discorso al Congresso degli scrittori, in BRETON 2003, pp. [165]-172 (a p. 172): per la seconda citazione, cfr. RIMBAUD, p. 349: «Ha forse dei segreti per cambiare la vita?»; per quanto invece riguarda la prima, ricorda RAYMOND, pp. [277]-278, che si tratta della «celebre frase delle Glosse a Feuerbach, in cui Marx afferma che è ora di trasformare un mondo che da troppo tempo e vanamente abbiamo tentato di spiegare». 35 I mistici, p. 8. 36 Manifesto, p. 12. 37 RIMBAUD, p. 347: «La vraie vie est absente»; Manifesto, p. 49: «L’existence est ailleurs». 10 PAOLO ZOBOLI BIBLIOGRAFIA BÉGUIN = Albert BÉGUIN, L’anima romantica e il sogno. Saggio sul romanticismo tedesco e la poesia francese, Il Saggiatore, Milano 2003 (La cultura, 571) [edd. originali: 19371, 19392]. BINNI = Lanfranco BINNI, André Breton, La Nuova Italia, Firenze 1974 [19711] (Il castoro, 53). BO 1935 = Carlo BO, Nota sul Surrealismo, «Circoli», V, 2, aprile 1935, pp. 217-223; ora in Circoli (1931-1939), antologia a cura e con introduzione di Mario Boselli e Giovanni Sechi, Di Stefano, Genova 1962, pp. 276-284, da cui si cita. 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