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“La chiesa non può né deve rimanere ai margini della lotta per la
giustizia”
(E.G. 183)
La gioia del Vangelo nella condivisione povera
Vicenza 25 ottobre 2014
LETTURA: DROGATI D’AMORE (di M. Marcolini)
Anche questa mattina ho assunto la mia dose d’amore. È un
energetico, stimolante, antidepressivo, ansiolitico ed eccitante: la
cocaina dei poveri.
Lo diceva anche quell’ebreo là, come si chiama..., quello col nome
che finisce per x, con quella sua battuta famosa sull’oppio dei
popoli (solo che faceva confusione: sbagliava droga e soggetto...).
Se fai uso d’amore anche tu, stai all’occhio, amico, perché al
parlamento ancora discutono se si tratti di droga leggera o pesante,
e puoi rischiare grosso. Nel dubbio, intanto, fanne consumo
moderato, tienine in casa piccole dosi e solo per uso personale.
Ti voglio mettere all’erta perché:
1. Se ti fai dosi massicce d’amore prima o poi qualcosa ti capita, gli
effetti si sentono; potresti:
a. accusare un danno neurologico, per es.: perdere la capacità di
mentire o il dono dell’indifferenza;
b. avere frequenti spasmi dei muscoli buccali;
c. subire una modificazione dell’iride, che assumerebbe un
insolito candore.
Insomma: ti si potrebbe stampare in faccia un sorriso ebete da
innamorato, tutto luce e trasparenza. Se ti succede, stai attento,
perché diventi riconoscibile ed è allora che ti fregano.
2. Se cominci a spacciarlo, se fai sniffare l’amore alla gente,
diventi una minaccia all’ordine costituito, l’ordine del mercato.
Perché l’amore è come la sabbia: s’infiltra negli ingranaggi bene
oliati del sistema e li inceppa. Lo diceva già quell’altro ebreo, come
si chiama..., quello col nome che finisce per ù, con quella sua
battuta celebre: che non puoi servire l’amore e il denaro, o ti
attacchi a una calamita o ti attacchi all’altra.
Insomma, se ti ciucci troppo amore e lo fai circolare, diventi un
destabilizzatore, un pericolo a piede libero.
Te lo spiego con tre esempi:
a. come puoi far credere a uno ‘fatto’ d’amore che ha bisogno di
comprarsi un nuovo cellulare per essere felice? Ti riderà in
faccia! Il drogato d’amore ha percezioni distorte della realtà,
crede che l’amore basti.
b. come puoi costringerlo a chiudersi in un centro commerciale la
domenica, in fila tra tanti altri ubbidienti soldatini, lontano da
tutto quello che c’è fuori, l’azzurro con i voli degli uccelli, una
casa con l’abbraccio di una donna, un prato con le risa di un
bambino? Ti scapperà via, perché l’amore è maestro in
evasioni.
c. come puoi fargli capire che se tanti vivono in baracche, hanno
fame e non sanno leggere due righe, mentre lui ha una bella
casa, due auto e i figli a scuola ben vestiti, deve essere
contento perché il mondo va bene così? Ti griderà in faccia: il
drogato d’amore, si sa, sragiona.
Io vi ho avvertiti, amici. Ora sapete che grane vi state cercando,
sapete che andate incontro all’imprevisto: l’amore è sovversivo.
Ma se non ce la fate a disintossicarvi, se una via d’uscita proprio
non la trovate, venite: cospireremo insieme.
(M. Marcolini)
INTRODUZIONE 1 ERMES
Caritas est passio (Origene) la carità è passione, nella sua
ambivalenza irriducibile di innamoramento e di patimento. Sarebbe,
è vitale che quelli della caritas, noi con questo nome bellissimo,
siano custodi e nutrici di questo carisma della passione: essere
innamorati e patire l’uomo. È la forza che ci fa partire ancora.
Albert Camus, nel suo libro La morte felice parla di
un’impressione provata a Praga visitando una chiesa barocca.
Scrive: «Il Dio che lì si adorava era quello che si teme e si onora,
non quello che ride con l’uomo davanti ai caldi giochi del mare e del
sole. Da quel Dio l’uomo si allontana».
Il dramma della nostra fede oggi è che il Dio delle chiese e quello
dei caldi giochi si sono separati; il Dio della religione e il Dio della
vita. il Dio che si invoca e si celebra nelle chiese e il Dio amante
della vita, per cui l’uomo è la carne di Cristo, la gente è il corpo di
Dio, hanno divorziato.
Il tema proposto per il nostro incontro (lotta per la giustizia e gioia di
vangelo) va nella direzione opposta e traccia un cammino che
immagina di ricomporre questa frattura – che è mortale - tra
religione e vita.
Frattura che non esiste nei salmi:
amore e verità si incontreranno,
giustizia e pace si abbracceranno;
verità salirà dalla terra,
giustizia si affaccerà dal cielo (salmo 85,11-12).
I salmi invitano ad amare con la stessa intensità il cielo e la terra, a
essere innamorati dei giorni e amici dell’eterno.
La lotta per la giustizia sale dalla terra, la gioia del vangelo si
affaccia dal cielo: dono cui risponde l’impegno.
Non puoi cantare il gregoriano in chiesa e fuori disinteressarti delle
macerie e delle bellezze del mondo. Non puoi darti pensiero solo
delle anime degli uomini e non delle topaie in cui sono condannati a
vivere, dei veleni che respirano, delle condizioni economiche e
sociali che li strangolano, una religione così è sterile come la
polvere (M L King).
“Se stai pregando e un povero ha bisogno di te, vai da lui. Il Dio che
trovi è più sicuro del Dio che lasci” (S. Vincenzo de Paoli).
Legame, imprescindibile, tra carità, legalità e giustizia; tenere
insieme i piccoli gesti quotidiani di carità e la visione sociale,
rispondere all’emergenza, e lottare contro le cause antiche e
strutturali della povertà, dell’oppressione, della guerra.
Helder Camara si lamentava di una reazione che lo sconcertava:
quando io faccio l’elemosina a un povero o lo accolgo alla mia
tavola, dicono che sono un buon cristiano; quando mi interrogo
sulle cause che hanno ridotto quell’uomo alla povertà dicono che
sono un comunista.
Marina e io non siamo qui per offrire un’ulteriore analisi della realtà
italiana, né ipotesi di soluzione; la nostra pretesa è semplicemente
condividere una passione, raccontare cose che muovono e
riscaldano l’agire secondo il vangelo.
Aiutati in questo dalla Evangelii Gaudium, uno scritto profetico, da
tenere sul comodino e da leggere, da degustare un capitoletto al
giorno.
È un testo rivoluzionario, un cambio di paradigma continuo. Che
apre respiri. Qui non ne possiamo parlare a lungo, ma lo citeremo
spesso, semplice e illuminante, fresco e sorprendente. È come la
primavera portata nella chiesa da Papa Francesco.
2 INTRODUZIONE MARINA
Cosa si intende con lotta per la giustizia?
Non è un’espressione che a prima vista uno riconosca come
religiosa; suona piuttosto come laica, come un’espressione attinta
al vocabolario della politica.
Lotta non è una parola estranea al linguaggio della fede ma è stata
usata molto di più per intendere la lotta interiore, un combattimento
da ingaggiare individualmente dentro di sé contro le tendenze
negative dell’io. E così avviene anche per ‘giustizia’: se andiamo a
cercarla su un dizionario, troviamo due significati diversi di questa
parola, tenuti separati: nel senso laico, ‘giustizia’ è intesa come
«l’esigenza ideale e il programma politico di abolire la miseria, la
disuguaglianza sociale, lo sfruttamento e l’oppressione dei poveri o
dei lavoratori»; nel senso religioso, invece, la giustizia è definita
come «piena conformità delle azioni e del volere dell’uomo alla
volontà di Dio [ed è una delle quattro virtù cardinali]».
In questa disposizione schematica del vocabolario il secondo
significato appare una specializzazione della parola, che ha valore
solo per chi si riconosce cristiano, e non c’è nessun ponte che lo
colleghi al primo significato, come due binari, che vanno ognuno
per la propria strada e non si incontrano mai.
Le definizioni delle parole rispecchiano la storia della cultura, e
questa separazione tra ambito umano e religioso della giustizia, tra
reale e spirituale, rispecchia la storia della Chiesa, il suo pensiero, il
suo agire, che per lungo tempo hanno isolato il rapporto del
credente con Dio da quello con l’uomo, indicando la via della
salvezza soprattutto nell’ascesi accompagnata da gesti di carità,
ma senza un anelito e un impegno a cambiare concretamente il
mondo.
C’è un’espressione illuminante nell’Evangelii gaudium, che tengo
come riferimento per iniziare questa mia riflessione; scrive papa
Francesco che “una fede autentica implica sempre un profondo
desiderio di cambiare il mondo” (EV 183). La lotta per la giustizia
nasce da questo desiderio, fa tutt’uno con esso. Il cristiano allora è
uno che, per quanto nero possa essere il momento storico in cui si
trova a vivere, per quanti segnali negativi la realtà gli mostri, non si
rassegna mai alle cose come stanno, ma continua tenacemente a
credere che un altro mondo è possibile, a costo di essere preso per
un folle sognatore. Spero allora che tra qualche tempo la primavera
dello Spirito che sta vivendo oggi la Chiesa arrivi a cambiare la
semantica delle parole. Questo avverrà quando la giustizia in senso
religioso non sarà più comunemente intesa come qualcosa a parte,
di specializzato, che espelle il significato di giustizia sociale come
un corpo estraneo, ma sarà intesa in un senso più ampio, nel senso
più vastamente umano possibile, un senso veramente religioso, che
ingloba l’altro e lo trascende. Voglio sperare che tra un po’ di anni
aprendo un vocabolario, troveremo una definizione di giustizia più o
meno così: “piena conformazione delle azioni e del cuore dell’uomo
alla volontà di Dio, che si esprime, in ambito sociale, in azioni per
abolire la miseria, la disuguaglianza, lo sfruttamento, la
discriminazione, l’oppressione dei poveri e dei lavoratori”.
Giustizia è una parola che ha un forte radicamento biblico e perciò
in bocca a un cristiano si deve arricchire di senso, non impoverire. Il
linguaggio veramente religioso non è un linguaggio specializzato,
scollato dalla vita, una lingua amputata, ma una lingua pienamente
umana che ha sempre un’eccedenza di significato, parole in cui
risuona un sovrappiù. Un linguaggio che assume tutto l’umano e lo
innesta nel divino.
3. ERMES
PERCHÉ LA CHIESA NON PUÒ NÉ DEVE RESTARE AI MARGINI
DELLA LOTTA PER LA GIUSTIZIA? Perché ne va della sua
identità. Qui si decide se è secondo il mondo o secondo Dio.
Dove sei? Dov’è tuo fratello? Su queste due domande ruota l’intera
bibbia e tutta la storia dell’uomo. Del singolo e della comunità
umana.
Guai a chi costruisce la sua casa senza giustizia
e i suoi piani superiori senza equità,
fa lavorare il prossimo per niente,
senza dargli il salario giusto,
e dice: Mi costruirò una casa grande
con vasti saloni ai piani alti’
e vi apre finestre
e la riveste di tavolati di cedro
e la dipinge di rosso.
Pensi di essere un re
Perché ostenti passione per il lusso?
Forse che tuo padre non mangiava e beveva?
Ma egli praticava il diritto e la giustizia
E tutto andava bene.
Tutelava la causa del povero e del misero
E tutto andava bene.
Non è forse questo che significa conoscere me, il Signore?
Geremia 22, 13 ss:
Possiamo applicare questa profezia alla società. Non è un progetto
secondo Dio quello in cui, mentre si impennano i grafici dello
sviluppo, crescono le sacche di povertà e di esclusione, che
l’economia contabilizza senza scomporsi, come si fa con gli scarti di
un ciclo di produzione.
Lampeggiante è l’ultima frase: non è forse questo che significa
conoscere me? Vera teologia, vera conoscenza di Dio, sapere
qualcosa di Dio è praticare giustizia e diritto. Teologia è una
scienza pratica, come si diceva nel medioevo. Tutelare la causa del
povero e del misero è fare teologia, fare catechismo, imparare Dio
più che dai libri. Con l’evidenza incisiva di Geremia: non è forse
praticare giustizia e tutelare il povero conoscere me? Oracolo del
Signore. Dio è qui nelle lacrime, nella fame, nel dolore dell'uomo, il
cielo di Dio è la terra, suo tabernacolo i piccoli. Scrive Turoldo: “Dio
naviga in questo fiume di lacrime”.
Carità e giustizia sono indivisibili. Però io mi auguro che ci sia
sempre meno carità e sempre più giustizia e diritti. Perché vorrebbe
dire che sono diminuiti i bisogni e le ferite da tamponare. E che si è
trasformato in diritto ciò che era elargito per buona volontà da
alcuni.
La diminuzione della solidarietà, nel senso di elemosina,
dell’intervento immediato, significherebbe che sono state
disinnescate le cause che producono povertà.
Lottare per la giustizia significa lottare per la dignità e la libertà, per
i diritti di tutte le persone; e non dobbiamo continuare a stare nella
trappola del fare i delegati, quelli delegati ad aiutare gli ultimi, al
pronto intervento. Perché non ci dicano: siete bravi, come no, siete i
migliori, ma in fondo non serve a niente, perché le cose non
cambiano e l’assedio dei poveri non fa che crescere.
La misericordia vera chiede giustizia, chiede che il povero trovi la
strada per non essere più tale. Ciò non toglie che dobbiamo
comunque continuare ad accompagnare chi ha bisogno, tutelarlo, e
a inventarci di tutto per farlo. La carità non è sufficiente, ma rimane
necessaria.
Sottolineo le motivazioni della scelta del non restare ai margini.
Senza motivazioni profonde le istituzioni in breve diventano fredde
e insensibili. Se cambiano le strutture, ma non la mentalità, presto o
tardi le stesse strutture diventano corrotte, pesanti, inefficaci. 189
Motivazione profetica:
-perché costruire una casa senza giustizia vuol dire costruire la
propria distruzione;
-perché Dio non rimanga il grande sconosciuto, direbbe Geremia.
Conoscere Dio, verbo biblico che indica fare esperienza diretta,
pelle contro pelle, toccare ed essere toccati, intimità.
Dio non è uno sconosciuto, è il Totalmente Altro che entra nella
storia affinché la storia diventi totalmente altra da quello che è
(Rahner il più grande teologo del ‘900).
È ciò che vediamo accadere all’inizio dell’attività pubblica di Gesù,
nella sinagoga di Nazaret (Luca 4) quando sviluppa il suo
programma, in 5 capitoli:
sono venuto a portare la libertà ai prigionieri, la vista ai ciechi, una
bella notizia ai poveri, la liberazione agli oppressi.
Povero cieco prigioniero oppresso: Adamo è diventato così, per
questo Dio diventa Adamo. E il 5 motivo: ad annunciare un anno di
grazia del Signore. Un evento, un anno, mille anni di un Dio che fa
grazia. Il volto nuovo di Dio.
Gesù annuncia un Dio che non pone se stesso come scopo della
storia, ma l’uomo guarito. Un Dio il cui obiettivo non è essere
adorato, ubbidito, glorificato, riprendere il controllo su di una
umanità riottosa. No, il suo obiettivo è che la storia non generi più
poveri, ciechi, prigionieri, oppressi; il suo sogno è un uomo libero,
veggente, colmato, su cui egli emette una sentenza, non di
condanna ma di grazia.
È qualcosa che mi fa innamorare: Dio dimentica se stesso, si ritira
dietro, e pone l’uomo al centro della scena, sotto i riflettori.
Gloria di Dio non sono riti, incensi, preghiere e ubbidienza.
Gloria di Dio è l’uomo finalmente promosso a uomo,
Dio e l’uomo non hanno obiettivi divergenti, ma lo stesso scopo, lo
stesso progetto che è la vita in pienezza.
Gesù non ridà la vista ai ciechi o l’udito ai sordi o la parola ai muti
perché diventino suoi seguaci o dei buoni praticanti. Lo fa perché
diventino persone libere, promosse, piene, perché ritornino ad
essere uomini.
Più sono persone più sono immagine di Dio.
La parola generatrice, la parola chiave dell’annuncio di Gesù è
Regno di Dio cercate prima di tutto il regno di Dio e la sua giustizia.
La definizione più bella l’ho trovata in p. Vannucci: Il Regno verrà
con il fiorire della vita in tutte le sue forme! (Giovanni Vannucci).
Fioritura dell’essere, incremento d’umano, accrescimento di vita,
per ogni uomo e per tutto l’uomo. Entrare in questo programma è la
fede.
4. MARINA Magnificat 1
Ecco allora perché la chiesa deve impegnarsi nella lotta per la
giustizia: non solo per motivi etici: c’è in gioco qualcosa di molto più
grande: per partecipare al progetto di Dio per il mondo, per essere
veri operai del Regno, per fare la sua volontà. Ogni volta che
preghiamo “sia fatta la tua volontà” è questo a cui chiediamo di
aderire attivamente. Non significa un atteggiamento passivo,
accettare con rassegnazione tutto ciò che ci accade, ma all’opposto
chiedere di prendere parte all’azione divina trasformatrice del
mondo. Chiedere di essere assunti al cantiere per la costruzione
del regno. Allora, quando compio un gesto di giustizia, quando mi
oppongo all’ingiustizia, devo essere consapevole che sto facendo
qualcosa in sintonia con il significato profondo dell’esistenza, con il
suo mistero, con le ragioni della creazione, con il respiro della vita
dell’universo. Anch’io metto il mio piccolo, ma fondamentale
mattone.
Se “una fede autentica implica sempre un profondo desiderio di
cambiare il mondo” (EV 183), stare dalla parte dei poveri non è più
un’opzione, ma la scelta decisiva che mi qualifica come cristiano.
Essere cristiani non può essere neutrale: significa schierarsi dalla
parte di chi soffre ingiustizia.
Al cuore del Vangelo c’è un progetto divino di liberazione dell’uomo
da tutti i gioghi che lo opprimono. Ogni oppressione è una forma di
schiavitù, che impedisce la fioritura in pienezza dell’uomo, cioè la
maturazione dei semi divini seminati in lui. Dio viene a immettere
nella storia il lievito che la trasformerà.
È talmente stretto il legame tra vangelo e lotta per la giustizia, che
nel racconto di Luca questo tema compare ancora prima che Gesù
inizi la sua vita pubblica, prima ancora che Gesù sia adulto, anzi:
prima ancora che abbia voce per parlare. Il Dio-bambino vive
ancora nel silenzio del grembo di sua madre, è invisibile e
minuscolo come una perla, quando Maria intona il Magnificat.
Dentro il cuore di lei c’è uno scampanare a festa, un danzare di
gioia pasquale. Il cuore di Maria pulsa nella “gioia della rivoluzione
di Dio” (Jürgen Moltmann).
Il Magnificat è lo splendido manifesto del programma di Gesù,
anticipato da sua madre. È proprio perché Maria è pienamente
conformata alla volontà di Dio che canta un canto rivoluzionario. Il
Dio che Maria loda, rovescia i superbi dai troni e innalza gli umili,
manda i ricchi a mani vuote e sazia gli affamati. E’ un Dio coinvolto
nella lotta per la giustizia e vincitore. Un Dio schierato. Maria
riconosce in questo venire di Dio nella casa di una come lei povera e in più donna, una tra i tanti emarginati della terra -,
riconosce la firma del Dio-liberatore che sta dalla parte dei piccoli, il
Dio degli esodi. Maria ricapitola nel suo canto i gesti di liberazione
che Dio ha compiuto per il suo popolo e nello stesso tempo
profetizza il nuovo.
Il Magnificat è un canto di lotta: Maria si fa voce dell’umanità
schiacciata e perciò è di perenne attualità.
5. LETTURA MAGNIFICAT
MAGNIFICAT (traduzione di E. Ronchi)
Cerco nel cuore le più belle parole
per il mio Dio,
lʼanima canta per il mio Amato.
Perché ha fatto della mia vita un luogo di prodigi,
ha fatto dei miei giorni un tempo di stupore.
Ha guardato me, ha guardato me,
che non sono niente.
Sperate con me, siate felici con me, tutti.
Cose più grandi di me mi stanno succedendo,
è lui che può tutto.
È lui solo. Il santo!
Santo e misericordioso, santo e dolce,
Con cuore di madre verso tutti, verso ciascuno,
santo e misericordioso, santo e dolce.
Ha liberato la sua forza,
ha imprigionato i progetti dei forti.
Coloro che si fidavano della forza
sono senza troni.
Coloro che non contavano nulla
hanno il nido nella sua mano.
Ha saziato la fame degli affamati di vita,
ha lasciato a se stessi i ricchi:
le loro mani sono vuote,
i loro tesori sono aria.
Ricordati, Signore, che il tuo amore è grande.
Non dimenticarti di essere misericordioso,
come hai promesso, come prometti
ad Abramo e ad ogni figlio di Abramo,
per sempre.
6. MARINA
Magnificat 2
Il Magnificat è il più grande canto rivoluzionario dell’Avvento, ha
scritto Dietrich Bonhoeffer (il grande teologo ucciso dai nazisti), ed
è cantato da una donna, che ha Dio che le cresce sotto il cuore.
Ogni cristiano quindi non può che essere un rivoluzionario. Uno che
porta la novità di un modo diverso di stare al mondo. L’incontro tra
Maria ed Elisabetta è una splendida metafora: entrambe le donne,
la giovane e la matura, hanno un sogno che urge, un mondo nuovo
che lievita in loro e le rende incinte di futuro. Elisabetta è ripiena di
Spirito santo, Maria piena di grazia: sono in rapporto intimo con Dio.
E perciò si scoprono e si riconoscono tra loro profetesse. Per
questo Maria può intonare questo canto gioioso e severo ad un
tempo, “forte, inesorabile, sui troni che crollano e i signori umiliati di
questo mondo, sulla potenza di Dio e l’impotenza dell’umanità.
Sono gli accenti delle profetesse dell’Antico Testamento che ora
prendono vita sulle labbra di Maria» (D. Bonhoeffer).
Maria anticipa le parole che Gesù userà, quelle che sono la sua
carta d’identità (Luca): venuto per liberare i prigionieri, salvare gli
oppressi: un mandato per un radicale cambiamento. Quando il
bambino in lei è ancora poco più che un seme, Maria si fa già
portavoce della giustizia redentrice di Dio. Le sue sono parole di
una portata straordinaria, di una forza liberante senza eguali:
Il messaggio del Magnificat è così sovversivo, che il governo del
Guatemala negli anni ’80 ha vietato di recitarlo in pubblico. E’
sovversivo non solo politicamente, ma perché sovverte tutte le
nostre idee pessimiste, la paura, la mancanza di speranza nel
futuro, che in questo nostro angolo di mondo privilegiato sono tanto
diffuse. Ci dice che tutto sarà bene, che la storia non finirà con la
vittoria dei prepotenti, degli arroganti, degli ingiusti, dei violenti, ma
che il piano di Dio è certo, è già al presente: Dio si è impegnato e
quando Dio si impegna non si tira indietro. Il Cantico di Maria è «il
grande cantico di liberazione personale e sociale, morale ed
economico delle Scritture, un documento rivoluzionario in favore di
tutte le persone emarginate e sfruttate» (J. Schaberg), che
subiscono violenze, che non hanno voce, proprio a partire dalle
donne.
Il Magnificat unisce la dimensione mistica della fede e quella
politica, amore di Dio e amore del prossimo, spiritualità e giustizia
sociale, contemplazione e azione; in poche parole: collega ciò che
sei a ciò che fai.
Maria ci crede fino in fondo.
Non ha risorse più grandi delle nostre per farlo, anzi. Ha solo
un’enorme fiducia in Dio e un germe di futuro nel ventre. Il mondo si
regge su un sistema malvagio di oppressione e ingiustizia ma in
questa situazione fa irruzione Dio, sceglie una creatura di bassa
condizione - una donna, e una donna povera, appartenente a un
popolo oppresso da un potere straniero - e con questo promette e
già comincia ad attuare il rovesciamento delle cose.
7. ERMES - TENEREZZA COMBATTIVA
Gesù, vedendo le folle ne sentì compassione (Mt 9,36): termine di
una carica infinita, di una intensità emozionante.
Tutto prende avvio da una passione di compassione che è Dio
stesso e che si traduce in missione, invio, ministero. Gesù chiama i
dodici e affida loro per prima cosa questo suo sentimento, dovranno
preservarlo, custodirlo, salvarlo. Se salvi questo sentimento salvi il
cuore. Se guarisci il cuore guarisci la vita.
Forse ci saremmo aspettati un’altra risposta al dolore, un
soccorso più immediato, più efficiente, più divino, qualche miracolo:
‘Perché il Signore non ci soccorre con la sua onnipotenza? Perché
soccorre la fragilità dell’uomo attraverso la fragilità e l’impotenza di
altri uomini?’
Ed è lo stile di Dio che tante volte nella storia grande e piccola
abbiamo accusato di omissione di soccorso.
Dio interviene per i suoi figli ma lo fa attraverso i suoi figli.
Crea la pace non con grappoli di miracoli, non con sfoggio di
onnipotenza, ma attraverso i suoi amici pacificati che diventano
pacificatori. I suoi amici che diventano giusti, e saziano di giustizia
la fame di tutti.
Una bellissima espressione della E. G. descrive lo stile cristiano: la
“tenerezza combattiva”(85). Il cristiano si oppone, lotta contro tutto
ciò che fa male ai figli di Dio, ma opera con lo stile della tenerezza,
della delicatezza inerme e indomita, mai arresa.
Tenerezza è il motore invisibile, implica mettere al centro non un
sistema di verità, ma andare a guardare le lacrime, il volto, la carne
con il suo dolore e con la sua gioia contagiosa.
I cristiani sono quelli che credono all’amore (1 Gv 4,16) non ad altre
cose, non a una serie di verità, di dottrine, di teologie, o nozioni di
catechismo. Quando Gesù dà il comandamento che riassume tutto,
il grande lo chiama, ama Dio e ama il prossimo, mostra in che cosa
crede, Gesù crede nell’amore, come la forza determinante, la più
creativa, la più potente.
Ci invita alla ‘rivoluzione della tenerezza’ (EG 88). La tenerezza ha
le sue sorelle: misericordia, delicatezza, compassione, dolcezza;
come in Gesù. Dalle sue mani fioriscono i gesti della tenerezza,
quando le posa sui malati, quando tocca mani labbra occhi orecchi,
quando stende un petalo di fango sugli occhi del cieco, saliva e
polvere mescolati come una carezza di luce, come una piccola
creazione che ricomincia, fango e intimità.
Quando, a sua volta, Gesù si lascia toccare da bambini e donne e
stranieri. Toccare segna la fine della paura e della distanza. La
prossimità. L’amico, o chi ti ama, ti tocca, disarmato e disarmante,
con lui puoi essere te stesso, lasciar cadere ogni maschera.
Solo chi ti tocca, nel profondo nell’intimo, è in grado di cambiarti la
vita. “Quando fai l’elemosina non lasciar cadere la moneta dall’alto,
come per paura di contagio, ma toccala quella mano tesa verso di
te”.
Il primo sguardo di Gesù non si posa mai sul peccato di una
persona , ma sempre sulla sua fragilità, sul suo bisogno (J. B.
Metz).
Chissà se il poeta Ezra Pound aveva in mente proprio Gesù
quando scriveva: “accetterò la tua verità purché si sposi con la
tenerezza”. La tua verità o la tua moneta.
Questo è il sogno di Dio: che nessun cristiano sia senza
capacità di dare e ricevere tenerezza, di toccare e lasciarsi toccare
nel cuore; che nessuno sia solo, senza festa del cuore. E tutti
sempre più simili a Lui, il ‘Molto-tenero’.
8 MARINA
COME SI REALIZZA IL SOGNO DI DIO.
Come si realizza il sogno di Dio? Come può guarire il mondo? A
partire dal cuore dell’uomo.
Ingiustizia è la cristallizzazione degli egoismi individuali in strutture
che opprimono l’uomo.
Voglio citare una luminosa pagina di padre Giovanni Vannucci,
servo di Maria, mistico, cercatore in dialogo con tutte le religioni,
sono parole di sorprendente attualità per questo momento storico,
che è un momento di crisi e come tutte le crisi contiene
straordinarie potenzialità di futuro, grandi promesse e aperture
verso il nuovo, portato dallo Spirito:
«La necessità dell’attuale momento lega intimamente la vita umana
all’egoismo: “Nessuno fa nulla per nulla” è lo slogan imperante. La
massima parte degli uomini, se fosse priva della molla dell’egoismo,
non avrebbe più né l’impulso ad agire, né ragione di operare nella
vita. Ma verrà un momento in cui non troveremo più, nella
concezione egoistica della vita, la soluzione dei problemi
dell’esistenza. Ed allora troveremo una realtà comunitaria, dal
piccolo gruppo familiare fino al più vasto organismo sociale.
Fintanto ché l’uomo porrà se stesso come scopo della sua vita, non
si potranno risolvere i problemi della vita sociale, né di quella
individuale». queste parole sono state scritte nel 1972.
Credo che questo momento, annunciato da padre Vannucci 40 anni
fa, sia arrivato. Ci sono oggi tanti segnali del crollo di un modello di
vita. Siamo dentro una profonda crisi, che non è solo economica
ma anche culturale e del mondo naturale. Un periodo di rottura.
Sentiamo che siamo arrivati a uno spartiacque. La crisi economica
mondiale ha fatto cadere il mito della crescita illimitata, il modello
consumistico non ha aumentato la felicità come prometteva, ma ha
prodotto in ampie zone del mondo maggiore povertà e nei paesi più
ricchi tristezza e angoscia del futuro; l’individualismo non ha
accresciuto la libertà ma la solitudine, e generato malattia; la crisi
gravissima del mondo naturale ci ha messi di fronte al serio rischio
dell’autodistruzione...
Senza risveglio non si può sognare, ha detto Benigni. Ora siamo
nel momento di un brusco risveglio. Abbiamo viaggiato finora
dentro il Titanic dello sviluppo economico, luminoso e splendente,
credendolo inaffondabile. Ma con tutti i suoi negozi di lusso, i suoi
caffè scintillanti, manca di scialuppe di salvataggio per tutti. Siamo
davanti alla necessità di un cambiamento radicale: è l’intero
sistema capitalistico a dover essere sostituito, poiché i danni
arrecati al pianeta e alle popolazioni più deboli non possono essere
modificati dall’attuale sistema economico e sociale.
Papa Francesco lo dice così:
«Così come il comandamento ‘non uccidere’ pone un limite chiaro
per assicurare il valore della vita umana, oggi dobbiamo dire ‘no a
un’economia dell’esclusione e della inequità’. Questa economia
uccide. [...] In questo contesto, alcuni ancora difendono le teorie
della ‘ricaduta favorevole’, che presuppongono che ogni crescita
economica, favorita dal libero mercato, riesce a produrre di per sé
maggiore equità e inclusione sociale nel mondo. Questa opinione,
che non è mai stata confermata dai fatti, esprime una fiducia
grossolana e ingenua nella bontà di coloro che detengono il potere
economico e nei meccanismi sacralizzati del sistema economico
imperante» (EV 53-54).
9. ERMES
CAMBIO DI CULTURA
La misericordia vera chiede un cambio di cultura. Si tratta di una
battaglia culturale. Duecento anni fa gli economisti scelsero per le
“merci” la parola beni, prendendola in prestito dall’etica, dalla
filosofia morale. Beni, cose buone perché aumentavano il bene
personale e il bene comune. Oggi quel significato morale è andato
totalmente perso. Chiamiamo ancora bene il pane, ma anche il
gioco d’azzardo e la pornografia e le mine antiuomo e i gratta e
vinci, purché passino per il mercato.
Tutto PIL, tutta crescita, dicono in molti.
Tanta solitudine e tristezza e disumanesimo, dicono altri, ma
ancora siamo in troppo pochi.
Oggi che Fondo Monetario Internazionale è un nome nuovo di Dio,
che l’evidenza per tutti è questa: più denaro è bene, meno denaro è
male, la nostra battaglia culturale è sostituire alla globalizzazione
del commercio e della finanza, una globalizzazione invece
dell’inchino e della cura dovuta ad ogni uomo, perché questo è il
solo modo per creare una storia che umanizza, che libera, che
pianta oasi di verde nel nostro deserto, che semina giustizia nelle
nostre società.
“Richiede di creare una nuova mentalità che pensi in termini di
comunione, di priorità della vita di tutti rispetto all’appropriazione dei
beni da parte di alcuni. Se lavori per questo tu aggredisci le cause
strutturali e fondanti della povertà” (E. G 188)
In questa battaglia per la qualità della vita, di tutti, battaglia che non
è solo caritativa, è culturale, perciò di lunga durata, siamo come
Davide contro Golia. Ma abbiamo cinque ciottoli di fiume da porre
nella fionda.
E il primo consiste nelle motivazioni del nostro impegno.
E il secondo nello stile d’azione.
10 . LETTERA DI PAOLO AI CRISTIANI OMOLOGATI E
CONFORMISTI (adattamento di E. Ronchi)
Fratelli, vi siete lasciata togliere la libertà e rimettere in schiavitù.
Non conformatevi al modo di pensare del mondo,
ma trasformatevi nel cuore.
Il nostro Dio è diverso, il nostro mondo è diverso.
Dio ha scelto i poveri e li ha fatti principi del suo regno,
mentre voi avete scelto per la vostra fede debole la potenza del
mondo.
Cantavamo insieme lʼinno:
Anche se parlassi la lingua di tutte le tribù viventi
E persino dei popoli scomparsi dalla terra e dalla memoria
Se non ho lʼamore sono un trombone di gelida latta
Un computer a cento lingue.
Anche se distribuissi tutte le mie scarpe e i viveri
Per soccorrere il popolo scalzo e denutrito
Se non ho lʼamore
Sono una delle tante cavie rivoluzionarie
Un cacciatore di farfalle o un poeta sognatore.
Voi, senza accorgervi, avete sostituito alla parola amore, la parola
denaro.
Cantavamo: se anche parlo con gli angeli, ma non ho amore, sono
un suono nel vento.
Voi dite: anche se parlo tutte le lingue, ma non ho denaro, sono un
bronzo che risuona.
Il nostro inno diceva: se non ho lʼamore, sono nulla.
Voi dite: se non ho denaro, non sono nessuno.
Cantavamo: lʼamore tutto crede, tutto spera, tutto sopporta.
E voi dite: il denaro tutto permette, tutto ottiene, tutto rende
sopportabile.
Lʼamore tutto copre.
È il denaro che copre tutto.
Queste le tre cose che rimangono: la fede, la speranza e lʼamore
Ma di tutte più grande è lʼamore.
Ma voi dite: di tutte le cose la più seria è il denaro.
Fratelli vi siete lasciati rimettere in schiavitù.
A cosa è servita la croce di Cristo?
Cristo venuto come se non fosse venuto.
Lui che diceva: beati i poveri, i miti, i tessitori di pace.
E voi invece pensate: beati i ricchi, quelli che sanno imporsi, quelli
che hanno successo.
Beati i puri di cuore di cuore, diceva, vedranno Dio.
E voi: beati quelli che hanno molti piaceri, loro sì hanno la vita in
pienezza.
Ecco lʼevidenza per tutti: più denaro è bene, meno denaro è male!
Per voi il denaro è il criterio che giudica ogni cosa e non è giudicato
da nessuno.
Dove tutti dicono: è la legge dellʼeconomia,
io devo gridare: violenza, oppressione!
Quando tutti pensano: così va il mondo,
io devo gridare: ingiustizia!
Fratelli, cristiani invisibili, mimetizzati fra tutti,
indistinguibili dagli altri, ricordate:
è vero che nel mondo comandano i più forti,
ma io so che il filo rosso della storia è saldo nelle mani di Dio.
È vero che il denaro detta legge,
ma io so che non è il denaro la verità delle cose,
è solo nel dare e nel ricevere amore che si pesa la beatitudine della
vita.
11. MARINA
LA PAROLA SOLIDARIETA’
Papa Francesco ha parole di grande coraggio nell’EV, che non
possono lasciare nessuno indifferente. Non bastano dei cerotti per
tamponare le falle del sistema, bisogna rilanciare il sogno, dice
Francesco, farlo volare più in alto.
Sono in molti ora a capire la necessità di sottrarsi alla tirannia del
mercato e alla spirale distruttiva dell’attuale sistema economico. Nel
mondo è nata una capacità nuova di immaginare il futuro,
sognando in grande. Si tratta di passare dall’homo oeconomicus
all’homo humanus, un formidabile salto storico dalla visione
bellicosa del mondo, incentrata sulla pretesa di espandersi oltre
misura, alla tensione verso un’economia morale, fondata sulla
conservazione e cura della vita, liberata dallo sfruttamento. È un
sogno trasversale: coinvolge la chiesa, il mondo laico, molti paesi e
culture diverse. Un sogno di liberazione dalla religione del PIL e
dalla «riduzione dell’uomo a uno solo dei suoi bisogni: il consumo»
(EV 55); una via che implica l’affermazione di valori negati
dall’economia di mercato: la cooperazione, il rispetto di tutti i viventi,
la creatività, la gioia del lavoro, l’estensione dei beni comuni.
Il sogno della società futura prende vari nomi: decrescita felice nel
mondo occidentale, swadeshi= semplicità volontaria in india
(Gandhi); bien vivir (comunità andine); ubuntu in Sudafrica
(richiama la comunità, il riconoscimento delle relazioni reciproche
che legano ogni persona a tutte le altre, e la compassione e la
lealtà verso la comunità in generale). Sono categorie culturali
diverse ma orientate tutte verso la ricerca di una vita vissuta in
pienezza e bellezza, che antepongono al successo e arricchimento
individuale il benessere comunitario.
Sono come anticorpi di un sistema immunitario, che si difende dalla
malattia, e anche se ci sono tanti fattori di difesa del vecchio
edificio, poteri fortissimi e micidiali, in questo edificio si sono aperte
crepe notevoli che lasciano intravedere un paesaggio nuovo.
Stiamo decostruendo un pensiero e provando a immaginarne altri
(Paolo Cacciari)
Questo avviene anche nella teologia ed è importante, perché è
sull’immagine di Dio che abbiamo nel cuore che costruiamo le
nostre idee sul mondo e le relazioni tra gli uomini. All’alba della
modernità Francesco Bacone affermava che compito dell’uomo è
imitare il più possibile l’onnipotenza di Dio tramite la scienza e la
tecnica. Noi siamo il prolungamento, forse la fase finale di un
progetto di dominio iniziato secoli fa a danno dei più deboli e della
natura. Ma oggi è al Dio che si spoglia della sua onnipotenza per
incarnarsi che guardiamo, il Dio che si ritira, che lava i piedi ai suoi
amici, si fa pane per loro e per loro muore. È questo il paradigma su
cui possiamo costruire il mondo nuovo ed è un paradigma materno:
«il dono, la cura, l’accoglienza dell’altro come singolarità irripetibile,
nella convinzione che non esiste alcuna ricchezza al di fuori della
vita stessa. Lavorare al più grande dei compiti: fare persone, e farle
bene, come fanno le madri» (Bruna Bianchi). Dalla mancanza di
valori materni, di cura, scaturiscono guerra e violenza, un mondo
fondato sull’avidità, la competizione e l’aggressività e sul sacrificio
delle vite anziché sulla loro custodia. Sono gli uomini che hanno
fatto questa storia, e per troppo tempo essere uomini ha significato
dissociarsi dal femminile e da tutto ciò che rappresenta: debolezza,
cura, inclusione, relazione, tutti valori che vediamo espressi al
massimo in Gesù, che, come recita un bellissimo verso della
poetessa Alda Merini, «era donna nel cuore».
12. ERMES
LE LEVATRICI D’EGITTO
Credo che per chi desidera tornare a sentire il grido dei poveri, a
prendere coscienza dei faraoni che ci opprimono e a sentire
desiderio di libertà, la meditazione sul libro dell’Esodo sia un
bellissimo esercizio spirituale.
Vedendo la crescita demografica del popolo degli ebrei, il faraone
tenta la soluzione più drastica. E questa violenza assoluta apre una
delle pagine più belle della bibbia: il re d’Egitto disse alle levatrici
degli Ebrei, delle quali una si chiamava Sifra e l’altra Pua: quando
assistete le donne ebree durante il parto, osservate bene se è un
maschio fatelo morire, se è una femmina potrà vivere (1,15-16).
Le levatrici sono sempre a lottare dalla parte della vita, gestiscono
quel momento sacro in cui le donne ci generano e rigenerano il
mondo. Amate da tutta la comunità che riceve i suoi figli dalle loro
mani esperte e buone.
All’inizio della grande storia di liberazione il popolo degli ebrei ha
voluto mettere due levatrici Sifra (la bella) Pua (splendore, luce).
Che sono le prime obiettrici di coscienza della storia: “le levatrici
temettero Dio, non fecero come aveva loro detto il faraone e fecero
vivere i bambini” (1,17).
La prima arte della terra è quella delle levatrici: lasciar vivere i
bambini. I bambini nostri e quelli degli altri, di tutti... quando questa
prima arte decade, la vita perde il primo posto e le civiltà si
ammalano, i faraoni vincono.
In questo no al Faraone e in questo sì alla vita è custodita una
grande parola: la legge più profonda e vera di ogni professione o
mestiere non è quella emanata dai tanti faraoni, ispirati dalle leggi
del potere e dell’economia, le loro leggi vanno rispettate solo se e
solo quando servono la legge della vita.
Quando dimentichiamo che la legge dei faraoni, (mercato, finanza,
economia, inquinamento) è sempre la legge seconda, e mai la
prima, ci trasformiamo in sudditi, e non inizia nessuna liberazione.
Sifra e Pua , due donne, due lavoratrici, ci dicono che può invece
iniziare un processo di liberazione quando nel nostro lavoro, nella
professione di ogni giorno, nelle attività del quotidiano, ci
comportiamo seguendo la legge della vita, scegliendo sempre
l’umano contro il disumano (David Maria Turoldo). Qualunque cosa
facciate, la sarta piuttosto che l’idraulico il politico o il professore,
fatelo sentendo tutta la responsabilità e tutta l’importanza del vostro
agire secondo giustizia e la prima legge della vita.
I bambini non si uccidono, né quelli degli ebrei né quelli degli
egiziani. Non si uccidono né in Egitto né in alcun altro luogo. Ieri
oggi sempre.
Se vogliamo restare umani. La prima causa di morte tra gli
immigrati è l’annegamento. I bambini non si lasciano annegare. Noi
uccidiamo anche stando alla finestra.
Tutto l’inizio della liberazione dall’Egitto si svolge sotto il segno
delle donne che salvano la vita:
-la madre di Mosè, che nasconde il figlio, poi lo mette in una cesta
di papiro,
-la figlia del faraone che trova il cesto, vede che era un bambino
degli ebrei e ne ha compassione.
-la sorella di Mosè che accompagna con il suo sguardo d’amore
innocente lo scorrere del cesto sull’acqua.
L’inizio dell’esodo ci mostra una meravigliosa alleanza tra donne,
cooperanti per la vita, oltre le gerarchie sociali, oltre i mariti e i padri
oppressori e oppressi. Alleanze incrociate per salvare la vita, la
prima legge della terra. il primo di tutti i comandamenti, quello che
apre la sezione della legge recita così: io ti ho posto davanti la vita
e la morte, la benedizione e la maledizione. Scegli. Ma scegli la
vita, perché viva tu e la tua discendenza (Deut 30,19). Un ordine o
meglio ancora una supplica accorata di Dio a ognuno di noi: ti
prego, scegli la vita. Tutte le altre leggi discendono da questa, ne
sono una esplicitazione, una traduzione parziale di questa
intuizione totale.
Possiamo seguire questa legge, con gesti semplici, nella
condivisione povera di ciò che ciascuno ha e sa fare.
“Dio fece sì che alle levatrici tutto andasse bene, perché avevano
temuto Dio, ed Egli diede loro una numerosa famiglia” (1,20-21). È
la numerosa famiglia delle persone amanti e custodi della vita, dei
piccoli del mondo. Siamo anche noi, vogliamo essere anche noi
della numerosa famiglia delle levatrici d’Egitto, custodi della vita.
Qualsiasi sia il nostro lavoro.
Noi dobbiamo fare società con Dio, società per azioni. Lui è il socio
di maggioranza. E se noi soci di minoranza facciamo la nostra
piccola parte, lui farà la sua, che è immensa.
13. LETTERA DI PAOLO A COLORO CHE SI SENTONO
FRAGILI E A COLORO CHE AMANO IL POTERE (adattamento
di E. Ronchi)
…Tutti mi hanno abbandonato…
Solo e sempre più debole: una pietruzza solamente,
non più macina da mulino.
Mi sento come una clessidra che si svuota della sua sabbia,
Eppure sono lieto, lo ripeto, sono lieto,
perché so che allʼimprovviso, una mano mi capovolgerà.
e più io sono vuoto, più cʼè spazio per Lui.
Mi vanto della mia debolezza.
Davanti a Dio non cʼè nulla di meglio che essere nulla,
come lʼaria davanti al sole. Pura trasparenza.
Beata debolezza, perché quando sono debole,
è allora che sono forte.
Di una forza che non è mia, di una forza che mi attraversa.
È il contatto amoroso con quella vita senza la quale non sarei
venuto al mondo.
Con quella forza che mi ha afferrato e mi ha legato,
e non mi ha più lasciato.
Benedico la debolezza, Dio ha scelto ciò che nel mondo è debole
per confondere i forti;
ha scelto ciò che nel mondo è stolto per confondere i sapienti.
Ha scelto i piccoli e i poveri perché irradino la sua presenza.
Che lʼannunciatore diventi infinitamente piccolo,
solo così lʼannuncio sarà infinitamente grande.
Beati voi, deboli.
Cristo da ricco che era si è fatto povero per arricchire noi
Con la sua povertà
Non con la sua ricchezza, bensì con la sua povertà.
Ricchi siamo di povertà.
Non dei miracoli, ma della povertà di Cristo,
non della sapienza, ma della croce di Cristo,
non della eternità, ma dellʼumanità di Gesù.
Beati voi, deboli!
Quando siete deboli è allora che siete forti
forti dello stupore con cui Dio torna a stupirvi
forti della seduzione con cui torna a sedurvi.
Del perdono con cui torna a perdonarvi
Della passione di Dio per lʼuomo, per ciascuno.
Beata debolezza!
Fratelli, è appoggiando una debolezza allʼaltra che noi sosteniamo il
mondo.
Beati voi, che vi sentite fragili,
è solo in questa storia di pietre scartate che appare la forza della
croce.
Tutti voi avete un tesoro in vasi di creta,
tutti siete una luce racchiusa dentro un guscio di argilla.
Guarda al tesoro, non guardare allʼargilla!
Il Signore Gesù mai si è scagliato contro la nostra fragilità
Ma contro lʼipocrisia dei pii e dei potenti.
Per la fragilità lʼuomo cerca aiuto, cerca legami.
Io sono così fragile da pensare sempre allʼamore.
La fragilità non crede nella forza
Sa che si tratta solo di una maschera per nascondere la paura,
la fragilità ha una visione,
quella di un mondo che non si divida più in vincitori e vinti,
dove il vincitore è il più forte e il più violento,
ma di un mondo dove il vincitore è chi da e riceve amore.
È bellissimo lʼamore e solo la fragilità lo coglie.
E Dio dice:
Prima che tu mi conoscessi io ti ho conosciuto,
prima che tu iniziassi qualunque cosa io sono il tuo inizio,
prima di ogni tua scelta tu sei la mia scelta, io ho scelto te.
Prima che tu fossi, io sono con te, per te, in te.
Nulla mai ti separerà dal mio amore. Nulla. Mai.
14. ERMES
GRATUITÀ, APPARENTE INUTILITÀ, BELLEZZA.
Madre Teresa di Calcutta ripeteva alle sue donne, miracolo vivente
di coraggio e fede: nel nostro servizio non contano i risultati, ma
quanto amore metti in ciò che fai. E’ il servizio che è vero, non i suoi
risultati; “i morenti che abbiamo raccolto per le vie di Calcutta non si
salveranno, ma nessuno deve morire senza essere stato amato”. Il
prendersi cura, con limpido amore ‘inutile’: vangelo.
Il valore di un gesto non dipende dal peso dei risultati. Don Tonino
Bello: cerchiamo non i segni del potere, ma il potere dei segni!
La nostra esistenza non è raccogliere, ma seminare; non è arrivare
ma partire. Partire ad ogni alba, seminare ad ogni stagione.
Guardiamo alla parabola del seminatore, quasi una logica dello
spreco. La sorpresa della parabola sta in quel gesto largo che si
direbbe poco oculato, di uno che getta il seme senza curarsi di
dove finisca, tra rovi e spine su sassi o sull’asfalto, cedendo si
direbbe alla logica dello spreco.
Se c’è da gettare un seme sembra dire, segui la logica dello spreco.
L’uomo ragiona per equivalenza, tot investimenti cui corrispondono
tot risultati, equilibrio tra dare e avere. Dio ragiona per eccedenza.
E per gratuità.
Sorprendente se la confrontiamo con la nostra logica di avveduti
calcolatori. Noi guardiamo i risultati immediati, e se non ci sono
chiudiamo. Concludiamo che sono parole sprecate, fiato sprecato,
energie buttate al vento. E che dunque la larghezza è ingenuità,
somma ingenuità, è perdere tempo, occorre selezionare il pubblico.
Non fa così il seminatore. Né chi accarezza il morente, né chi
segue un portatore di handicap che non guarirà mai. Il bene non va
perduto, mai!
BELLEZZA. Mons Bregantini, scrive nel suo libro: le parole e la
bellezza per battere la mafia. “Arrivi in certi paesi della Calabria e
della Sicilia e la prima cosa che noti è un disordine edilizio, una
sporcizia per le strade, una trascuratezza delle spiagge, in
contrasto tra la bellezza della natura, del cielo, dei segni antichi
dell’arte, e l’incapacità degli uomini di preservare la bellezza dei
luoghi.
E ti accorgi che i paesi più brutti, più sciatti, più disordinati sono
quelli dove più forte è il potere della mafia.
Come se la bruttezza rivelasse tragicamente quel desiderio di
violazione che c’è nel cuore del mafioso.
La trascuratezza diffusa diventa, dice il vescovo, il primo punto su
cui far leva per opporsi alla violenza. Anche Peppino Impastato...
Il primo impegno: fare la guerra al brutto. Farla al degrado, allo
spappolamento dell’armonia sociale, al disordine diffuso, e poi alla
illegalità contrabbandata per astuzia, allo spaccio, alla volgarità nel
tratto e nella parola. Non solo dispiacersi per il brutto, ma lottare.
La guerra al brutto e alla insensibilità è un fatto etico, non
semplicemente estetico, è un fatto politico e civile.
La mancanza di gusto non è un fatto estetico, è un fatto morale.
Il brutto è l’oggettivazione di un animo avido e meschino. Di una
sensibilità senza slancio. Il brutto nasce da élites ignoranti o
malvagie.
Virtù sociale è la cultura della bellezza, prenderci cura della
bellezza della città, a partire dalle piccole cose, dalle cartacce a
terra, dallo sporco, opporci alla trascuratezza, aver cura delle cose.
Armonia sociale
Noi costruiamo le città, poi sono le città che costruiscono noi.
Il morso del più.
Un augurio che voglio lasciare a ciascuno: poter sentire prepotente
dentro di noi “il morso del più”. Non dobbiamo mai sentirci arrivati,
mai sazi. Nella carità e nella giustizia non esiste la parola “basta”.
Sentire “il morso del più”, espressione cara a don Ciotti, che ti
chiama a non accontentarti, a non sederti, a osare un altro incontro,
un'altra strada, un’altra risposta.
Papa Francesco lo propone con altri termini: Dobbiamo rilanciare il
sogno più in alto.
15. MARINA
GIOIA DI SOGNARE
Papa Francesco scrive che nel Vangelo il messaggio che Dio sta
dalla parte dei poveri, e che quindi lo stesso deve fare la Chiesa, è
talmente chiaro e semplice che non può essere oscurato. Lo ha
fatto nel passato perché attenta a conservare la dottrina più che di
uscire a trasformare il mondo secondo il sogno di Dio.
Verrà un tempo in cui guarderemo a quest’epoca come adesso
guardiamo all’epoca dei gladiatori, quando nei giochi nell’arena
degli uomini erano dati in pasto a belve, oppure all’epoca dei
genocidi in Sudamerica: perché la nostra è un’epoca di barbarie e
di indifferenza dove fa più notizie un punto del PIL che 100 migranti
che muoiono nel nostro mare. Ma da questa indifferenza possiamo
e dobbiamo uscire.
Gesù con la sua vita viene a narrarci il desiderio di Dio e a
risvegliare lo stesso desiderio che dorme dentro ognuno di noi.
Il fascino del Vangelo, che attrae e seduce ancora, irresistibilmente,
dopo tanto fluire di secoli, è sempre questo: dà volto al nostro
desiderio più profondo, al sogno che teniamo nel cuore.
Un lago di luce ci abita. Siamo abituati a pensare al nostro
profondo come a un luogo fangoso, una palude con sabbie mobili
pericolose, il contenitore di traumi, ferite, paure, e desideri
inconfessabili. Ma c’è un profondo più profondo di questo. Paludi e
selve oscure non sono il luogo autentico dell’uomo. Alla sua radice
c’è dell’altro. Quando si trivella un terreno in profondità, si trovano
falde di acqua limpida.
Le donne e gli uomini del Vangelo, che hanno potuto incontrare,
ascoltare, toccare Gesù, hanno fatto la scoperta di un Dio
vicinissimo, intimo. Tanto vicino da passare da fuori a dentro: un
Dio-pane da mangiare, che entra nella persona e si trasforma nelle
cellule del suo corpo, raggiunge tutte le sue fibre. Un Dio-Spirito
che penetra e infiamma, fa ardere il cuore, accende energia e
intelligenza.
Anche oggi chi incontra Gesù scopre di fare gli stessi sogni di Dio,
incontra la luce che lo abita. Luce che si irradia dal cuore verso il
mondo in uno spettro dai molti colori: color d’amore, di pace, di
giustizia, di libertà. Le beatitudini (Mt 5,1-12; Lc 6,20-23) cantano il
sogno dell’umanità nuova, un popolo di giusti, gioiosi, miti, creativi e
coraggiosi pacificatori del mondo.
Gesù appare nei Vangeli come il più grande sognatore della storia,
saldo nella sua rocciosa fiducia che l’esito sarà positivo. Come
scrive il poeta Manuel Scorza Torres in due versi di grande forza e
suggestione: «So che ci aspettano carnivore tenebre / ma so anche
che nulla potranno contro l’amore». Un sognatore straordinario che
sa accendere anche negli altri,sogni divini, sa contagiarli di luce.
Noi ci siamo rotolati nel sogno, ne abbiamo addosso l’odore: pochi
o tanti che siamo, ne profumiamo l’aria.
16. LETTURA: BASTA CHE UN UOMO SOGNI (di Manuel Scorza
Torres)
Solleva il mio cuore dalla polvere,
restituisci la faccia allʼesiliato,
abbatti il muro che ci separa dalla gioia.
So che ci aspettano carnivore tenebre,
ma so anche che nulla potranno contro lʼamore.
....nulla potranno contro lʼamore:
la notte passerà.
Possono sputare le acque,
possono fucilare i passeri,
possono bruciare i versi,
possono distruggere il canto e gettarlo in un pantano,
possono metterci dinanzi ai fucili,
ma questa notte passerà.
Un giorno saremo liberi!
La terra sarà libera!
I poeti non canteranno nellʼesilio,
e non ci sarà paura, né fantocci malvagi, né penombra.
Basta che un Uomo sogni,
perché unʼintera razza puzzi di farfalle!
Basta che solo uno sussurri dʼaver visto lʼarcobaleno di notte
perché perfino il fango abbia gli occhi rilucenti!
TEMPO PER LA CONDIVISIONE, DOMANDE, INTERVENTI DI
ASSEMBLEA
INTERVENTI CONCLUSIVI
ERMES
Qohelet 11,1: manda il tuo pane sopra i volti delle acque,
perché in molti giorni lo ritroverai.
Qohelet, il sapiente disincantato, lancia questa provocazione contro
la nostra logica: Getta il tuo pane sulle acque. Senza neanche
sapere a chi andrà, offri il tuo bene al mondo, i tuoi talenti alla
corrente. Qualunque pane tu possa donare, lascialo sopra i volti
delle acque, alla loro distribuzione, che non fa differenze e fa tutti
uguali.
Questo è il mio pane, disse del suo corpo anche Gesù, quella sera
in cui stava per affidarsi alla corrente del mondo e della storia, alle
acque instabili del cuore dei discepoli.
Ciascuno può accogliere l’invito del Qohelet: manda il tuo pane
sopra i volti delle acque. Perché? La sua risposta è: perché in molti
dei giorni lo ritroverai. Quel tuo dono ti verrà restituito molte volte, in
un sovrappiù, in un centuplo di giorni. Qui è annunciata la
misteriosa, immensa economia del dono, che spariglia ogni
bilancio.
Manda il tuo pane, partecipa al gesto che apre il pugno chiuso per
offrire. Imita la mossa del germoglio che si schiude, del seme che si
spacca, della nuvola che sparge il suo contenuto. Date e vi sarà
dato e riceverete una misura scossa pigiata traboccante... Questo
ci conforta, perché mostra che il giudizio ultimo sulle persone non
sarà di tipo moralistico: sei stato buono, obbediente alle regole,
devoto... Sarà invece secondo un’etica della fecondità: hai dato
molto alla vita, hai dato poco alla vita. Hai dato pane alla vita, non
hai dato niente alle acque dei giorni.
L’ultimo gesto non è dare pane a chi ha fame, ma diventare pane,
non andarcene senza essere diventati pezzo di pane buono per
qualcuno.
In quella scena potente, drammatica, che chiamiamo il giudizio
finale, che dice cioè la verità ultima sull’uomo. Ciò che resta della
vita quando non resta più niente è l’amore.
quello che avete fatto a uno dei miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a
me!
Ciò che è straordinario è che Gesù stabilisce un legame così stretto
tra sé e gli uomini da arrivare fino a identificarsi con loro. L’avete
fatto a me. Il povero è come Dio! Corpo di Dio, carne di Dio sono i
piccoli.
Gesù sta pronunciando una grandiosa dichiarazione d’amore per
l’uomo: io vi amo così tanto, che se siete malati è la mia carne che
soffre, se avete fame sono io che ne patisco i morsi, e se vi danno
aiuto sento io tutte le mie fibre gioire e rivivere. Straordinaria
dichiarazione, da ricordare sempre.
E allora capisco anche questo: che il cristianesimo non si
riduce a fare il bene, non occorreva Gesù per questo, bastava un
cuore buono, e tanti uomini ce l’hanno.
La fede deve restare scandalosa, custodire un lievito di follia: il
povero come Dio! Il povero davanti al quale ti togli i calzari, come
Mosè davanti al roveto ardente: togliti i sandali perché questa terra
è santa.
Appartiene a un Dio innamorato che ripete davanti a ogni uomo il
canto esultante di Adamo davanti a Eva, e dice a me a ciascuno:
“Veramente tu sei carne della mia carne, respiro del mio respiro,
corpo del mio corpo”.
Guardi il povero e ti senti naufragare: ti obbliga a confrontarti con le
cose estreme e con il cielo.
C'è una cattedra dei poveri, e se li ascolto mi dicono che
l'alternativa decisiva non è fra avere o essere, fra vincere o perdere
ma fra il sentirsi abbandonati, gettati via, scarto, consegnati solo
alla propria debolezza, oppure sapersi accolti, ospitati, vestiti,
affidati alle cure di un altro.
Scegliamo l’accoglienza per non tradire la legge della vita, per
non sciupare le nostre esistenze in esercizi di superficie, per essere
seriamente cristiani, perché, come scrive Rosario Livatino il giudice
ragazzino, ucciso dalla mafia perché operava per la giustizia: non
basta essere credenti, dobbiamo essere credibili.
MARINA CONCLUSIONI
Un altro mondo è possibile: è bello questo slogan, potrebbe essere
il sottotitolo del Vangelo! Un mondo diverso da quello dominato
dalla legge del mercato, dove gli esseri umani sono immolati al dio
denaro. L’utopia è quel luogo seminato da Dio nel grembo della
storia con la tattica del pizzico di lievito, che lentamente cresce,
tenacemente cresce, nonostante tutto cresce.
Possiamo allora fare attenzione a tutti i progetti nuovi che
sbocciano qua e là, aprire le porte, guardare con più interesse a ciò
che succede fuori dalla chiesa, informarsi, conoscere. Perché è
molto quello che è nato fuori dalle nostre porte negli ultimi anni. E’
nata soprattutto consapevolezza, sono nate utopie, (l’utopia non va
mai disprezzata perché è il motore del cambiamento sociale!), sono
nate “buone pratiche”. Consapevolezza dell’interconnessione dei
problemi, perché è la vita a essere fatta così. Tutti i viventi sono
legati reciprocamente tra loro. Se voglio occuparmi del prossimo
non posso disinteressarmi dell’ambiente, sono questioni legate
strettamente. Ogni albero tagliato in Amazzonia, ogni metro
quadrato cementificato nella nostra provincia sono vita che muore,
e presto questa morte ricadrà con effetti negativi sugli uomini, sotto
forma di inquinamento, squilibri climatici, dissesti idrogeologici che
portano sofferenze e mietono tantissime vite umane.
Sono nate tante “buone pratiche”, che toccano le scelte individuali.
Si tratta di scelte di condivisione, di sobrietà, di vita in comune ma
anche di consapevolezza nelle cose di tutti i giorni: per es. scegliere
di acquistare da un gruppo di acquisto solidale, un GAS, anziché al
supermercato, significa rifiutarsi di dare i nostri soldi alle
multinazionali che sfruttano il lavoro minorile in paesi poveri e
distruggono le economie locali, e favorire invece i produttori del sud
del mondo o magari un piccolo produttore della nostra zona,
aiutando piccole economie a sopravvivere e a preservare il nostro
territorio, salvando terreno agricolo dalla cementificazione. Ogni
nostro gesto, anche il più piccolo, ha tante ricadute.
Sono cose piccole come granelli di senape ma alla portata di tutti.
Ho letto su un blog: «noi con i gas e altre stupidaggini cambieremo
il mondo, e se non riusciremo a cambiarlo, almeno avremo
cambiato noi stessi».
Siamo nel mondo della rete, dell’interconnessione, della
complessità. Non possiamo più permetterci di pensare a
compartimenti stagni. Dobbiamo essere in tutti i sensi una Chiesa in
uscita. Uscire per imparare dagli altri e fare squadra con tutti gli
uomini e le donne di buona volontà che lavorano al sogno del
cambiamento e al bene comune. Abbiamo l’enorme fortuna di
esserci lasciati alle spalle l’epoca delle ideologie che creavano
barricate, possiamo prenderci ora il lusso di lottare insieme con
tutti. Anche la Chiesa non è più irrigidita nel dogmatismo, tesa a
difendere se stessa, una chiesa giudicante e sempre sospettosa
verso gli altri, quelli che non sono i “nostri”. Ci fa bene uscire e
andare a sentire cosa pensano di noi gli altri, non essere sempre
noi a giudicare loro; solo nello specchio dell’altro mi posso
riconoscere, capire i miei errori e cercare di migliorarmi. Cosa
pensano di noi? Che siamo quelli che mantengono lo status quo e
però mettono cerotti alle ferite del mondo: delle crocerossine. Cosa
possiamo fare perché tanti cambino l’opinione sui cattolici? Perché
ci vedano come quelli che vivono assillati dal “morso del più”, dal
pungolo di lasciare il mondo migliore di come lo hanno trovato, di
trasformarlo nel regno dell’amore? Dobbiamo sperare, lottare,
pensare, progettare, studiare, faticare insieme con tutti gli uomini e
donne che hanno lo stesso obiettivo, senza chiedere tessere e
patenti di buona condotta a nessuno. Ancora adesso certi cristiani
hanno un fiuto per cercare negli altri solo quello che non va, il
negativo, il marcio. Fanno come le mosche: vanno in cerca di tutto
quello che puzza. Ma la mosca non è certo l’animale più nobile a
cui vogliamo assomigliare. Preferisco assomigliare alla farfalla che
cerca tutto quello che profuma, e spostandosi di fiore in fiore
feconda ciò che tocca. Vedere negli altri il bene che portano,
metterlo insieme al mio, per fecondarci reciprocamente. Chiunque
lotta per la vita contro una cultura di morte, è con noi nella grande
battaglia per un mondo nuovo.
«Questa non più l’epoca del dogmatismo, che ha condotto Pietro ad
andare dove non voleva, ma dello Spirito che soffia e fa nuove tutte
le cose» (G. Vannucci)
Nel Vangelo, insiste papa Francesco, il messaggio che Dio sta dalla
parte dei poveri è talmente chiaro e semplice che non può essere
oscurato, come invece la Chiesa ha fatto nel passato e alcuni
continuano a fare ancora oggi, perché attenti a conservare la
dottrina più che a ‘uscire’ per trasformare il mondo.
LETTURA CONCLUSIVA
Insegnaci a pregare (di M.Marcolini)
«Uno dei suoi discepoli gli disse: Signore, insegnaci a pregare.
Ed egli disse loro: Quando pregate, dite: Padre, sia santificato il tuo
nome, venga il tuo regno; dacci ogni giorno il nostro pane
quotidiano, e perdona a noi i nostri peccati, anche noi infatti
perdoniamo a ogni nostro debitore, e non abbandonarci alla
tentazione» (Lc, 11,1-13).
Quando pregate dimenticate il singolare, perché Dio non lo
conosce. Sta fuori della sua grammatica. Dio è trinitario, un
movimento plurale dʼamore.
Anche se pregate da soli, sentitevi in accordo con tutti gli
uomini della terra, con quelli che chiamano Dio con un altro nome e
con quelli che non sanno o non vogliono pregare.
Sentitevi in musicale armonia anche con le creature che non
possono pregare, con lʼalbero e con lʼerba, con i pesci e con gli
uccelli, con la nuvola e la stella, per i quali voi sarete bocca e
canale della grazia.
Suonate il vostro strumento come parte di unʼintera, grandiosa
sinfonia. Sentite il creato intero che prega attraverso voi, che canta
al Padre il suo desiderio di vita, di bene, di pane, di fioritura. Perché
tutti desiderano queste stesse cose e se lo capite non riuscirete più
a dare dello straniero a nessuno.
E la prima cosa da chiedere è questa: Signore, tu che sei
amore, faʼ che lʼamore sia amato, che sia santificato da tutti nel
mondo.
E la seconda è questa: noi sappiamo che un altro mondo è
possibile, un mondo dove lʼamore regni e non il denaro o il potere e
allora faʼ, Signore, che questo tuo mondo si realizzi.
E unʼaltra cosa da chiedere è questa, ma viene solo per terza,
perché senza le prime due non ci basta: dacci il cibo che ci serve,
solo quello che ci serve, per tutti. Perché se uno si sfama e uno
muore, allora il mondo di Dio non può venire.
E la quarta cosa è questa: libera il nostro futuro dal passato, le
colpe nostre e di chi ci ha fatto male, rendici leggeri, dacci agili piedi
di cerva. Toglici dalle spalle la zavorra che non serve, il passato
rivangato, le ferite che teniamo aperte. Perché noi conosciamo la
potenza del perdono e perciò anche noi lo doniamo a noi stessi e ai
nostri fratelli, per tornare freschi di mente e di cuore, costruttori di
pace e di futuro.
E lʼultima cosa è questa: se ci vedi camminare dentro la paura, la
sfiducia, la tristezza, che ti oscurano come la nebbia oscura il sole,
o se ci senti attratti verso ciò che ci fa male, Padre, dacci la tua
mano e accompagnaci fuori. Sarà come decollare e bucare le
nuvole e tornare nellʼazzurro e nella luce.