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“La chiesa non può né deve rimanere ai margini della lotta per la giustizia” (E.G. 183) La gioia del Vangelo nella condivisione povera Vicenza 25 ottobre 2014 LETTURA: DROGATI D’AMORE (di M. Marcolini) Anche questa mattina ho assunto la mia dose d’amore. È un energetico, stimolante, antidepressivo, ansiolitico ed eccitante: la cocaina dei poveri. Lo diceva anche quell’ebreo là, come si chiama..., quello col nome che finisce per x, con quella sua battuta famosa sull’oppio dei popoli (solo che faceva confusione: sbagliava droga e soggetto...). Se fai uso d’amore anche tu, stai all’occhio, amico, perché al parlamento ancora discutono se si tratti di droga leggera o pesante, e puoi rischiare grosso. Nel dubbio, intanto, fanne consumo moderato, tienine in casa piccole dosi e solo per uso personale. Ti voglio mettere all’erta perché: 1. Se ti fai dosi massicce d’amore prima o poi qualcosa ti capita, gli effetti si sentono; potresti: a. accusare un danno neurologico, per es.: perdere la capacità di mentire o il dono dell’indifferenza; b. avere frequenti spasmi dei muscoli buccali; c. subire una modificazione dell’iride, che assumerebbe un insolito candore. Insomma: ti si potrebbe stampare in faccia un sorriso ebete da innamorato, tutto luce e trasparenza. Se ti succede, stai attento, perché diventi riconoscibile ed è allora che ti fregano. 2. Se cominci a spacciarlo, se fai sniffare l’amore alla gente, diventi una minaccia all’ordine costituito, l’ordine del mercato. Perché l’amore è come la sabbia: s’infiltra negli ingranaggi bene oliati del sistema e li inceppa. Lo diceva già quell’altro ebreo, come si chiama..., quello col nome che finisce per ù, con quella sua battuta celebre: che non puoi servire l’amore e il denaro, o ti attacchi a una calamita o ti attacchi all’altra. Insomma, se ti ciucci troppo amore e lo fai circolare, diventi un destabilizzatore, un pericolo a piede libero. Te lo spiego con tre esempi: a. come puoi far credere a uno ‘fatto’ d’amore che ha bisogno di comprarsi un nuovo cellulare per essere felice? Ti riderà in faccia! Il drogato d’amore ha percezioni distorte della realtà, crede che l’amore basti. b. come puoi costringerlo a chiudersi in un centro commerciale la domenica, in fila tra tanti altri ubbidienti soldatini, lontano da tutto quello che c’è fuori, l’azzurro con i voli degli uccelli, una casa con l’abbraccio di una donna, un prato con le risa di un bambino? Ti scapperà via, perché l’amore è maestro in evasioni. c. come puoi fargli capire che se tanti vivono in baracche, hanno fame e non sanno leggere due righe, mentre lui ha una bella casa, due auto e i figli a scuola ben vestiti, deve essere contento perché il mondo va bene così? Ti griderà in faccia: il drogato d’amore, si sa, sragiona. Io vi ho avvertiti, amici. Ora sapete che grane vi state cercando, sapete che andate incontro all’imprevisto: l’amore è sovversivo. Ma se non ce la fate a disintossicarvi, se una via d’uscita proprio non la trovate, venite: cospireremo insieme. (M. Marcolini) INTRODUZIONE 1 ERMES Caritas est passio (Origene) la carità è passione, nella sua ambivalenza irriducibile di innamoramento e di patimento. Sarebbe, è vitale che quelli della caritas, noi con questo nome bellissimo, siano custodi e nutrici di questo carisma della passione: essere innamorati e patire l’uomo. È la forza che ci fa partire ancora. Albert Camus, nel suo libro La morte felice parla di un’impressione provata a Praga visitando una chiesa barocca. Scrive: «Il Dio che lì si adorava era quello che si teme e si onora, non quello che ride con l’uomo davanti ai caldi giochi del mare e del sole. Da quel Dio l’uomo si allontana». Il dramma della nostra fede oggi è che il Dio delle chiese e quello dei caldi giochi si sono separati; il Dio della religione e il Dio della vita. il Dio che si invoca e si celebra nelle chiese e il Dio amante della vita, per cui l’uomo è la carne di Cristo, la gente è il corpo di Dio, hanno divorziato. Il tema proposto per il nostro incontro (lotta per la giustizia e gioia di vangelo) va nella direzione opposta e traccia un cammino che immagina di ricomporre questa frattura – che è mortale - tra religione e vita. Frattura che non esiste nei salmi: amore e verità si incontreranno, giustizia e pace si abbracceranno; verità salirà dalla terra, giustizia si affaccerà dal cielo (salmo 85,11-12). I salmi invitano ad amare con la stessa intensità il cielo e la terra, a essere innamorati dei giorni e amici dell’eterno. La lotta per la giustizia sale dalla terra, la gioia del vangelo si affaccia dal cielo: dono cui risponde l’impegno. Non puoi cantare il gregoriano in chiesa e fuori disinteressarti delle macerie e delle bellezze del mondo. Non puoi darti pensiero solo delle anime degli uomini e non delle topaie in cui sono condannati a vivere, dei veleni che respirano, delle condizioni economiche e sociali che li strangolano, una religione così è sterile come la polvere (M L King). “Se stai pregando e un povero ha bisogno di te, vai da lui. Il Dio che trovi è più sicuro del Dio che lasci” (S. Vincenzo de Paoli). Legame, imprescindibile, tra carità, legalità e giustizia; tenere insieme i piccoli gesti quotidiani di carità e la visione sociale, rispondere all’emergenza, e lottare contro le cause antiche e strutturali della povertà, dell’oppressione, della guerra. Helder Camara si lamentava di una reazione che lo sconcertava: quando io faccio l’elemosina a un povero o lo accolgo alla mia tavola, dicono che sono un buon cristiano; quando mi interrogo sulle cause che hanno ridotto quell’uomo alla povertà dicono che sono un comunista. Marina e io non siamo qui per offrire un’ulteriore analisi della realtà italiana, né ipotesi di soluzione; la nostra pretesa è semplicemente condividere una passione, raccontare cose che muovono e riscaldano l’agire secondo il vangelo. Aiutati in questo dalla Evangelii Gaudium, uno scritto profetico, da tenere sul comodino e da leggere, da degustare un capitoletto al giorno. È un testo rivoluzionario, un cambio di paradigma continuo. Che apre respiri. Qui non ne possiamo parlare a lungo, ma lo citeremo spesso, semplice e illuminante, fresco e sorprendente. È come la primavera portata nella chiesa da Papa Francesco. 2 INTRODUZIONE MARINA Cosa si intende con lotta per la giustizia? Non è un’espressione che a prima vista uno riconosca come religiosa; suona piuttosto come laica, come un’espressione attinta al vocabolario della politica. Lotta non è una parola estranea al linguaggio della fede ma è stata usata molto di più per intendere la lotta interiore, un combattimento da ingaggiare individualmente dentro di sé contro le tendenze negative dell’io. E così avviene anche per ‘giustizia’: se andiamo a cercarla su un dizionario, troviamo due significati diversi di questa parola, tenuti separati: nel senso laico, ‘giustizia’ è intesa come «l’esigenza ideale e il programma politico di abolire la miseria, la disuguaglianza sociale, lo sfruttamento e l’oppressione dei poveri o dei lavoratori»; nel senso religioso, invece, la giustizia è definita come «piena conformità delle azioni e del volere dell’uomo alla volontà di Dio [ed è una delle quattro virtù cardinali]». In questa disposizione schematica del vocabolario il secondo significato appare una specializzazione della parola, che ha valore solo per chi si riconosce cristiano, e non c’è nessun ponte che lo colleghi al primo significato, come due binari, che vanno ognuno per la propria strada e non si incontrano mai. Le definizioni delle parole rispecchiano la storia della cultura, e questa separazione tra ambito umano e religioso della giustizia, tra reale e spirituale, rispecchia la storia della Chiesa, il suo pensiero, il suo agire, che per lungo tempo hanno isolato il rapporto del credente con Dio da quello con l’uomo, indicando la via della salvezza soprattutto nell’ascesi accompagnata da gesti di carità, ma senza un anelito e un impegno a cambiare concretamente il mondo. C’è un’espressione illuminante nell’Evangelii gaudium, che tengo come riferimento per iniziare questa mia riflessione; scrive papa Francesco che “una fede autentica implica sempre un profondo desiderio di cambiare il mondo” (EV 183). La lotta per la giustizia nasce da questo desiderio, fa tutt’uno con esso. Il cristiano allora è uno che, per quanto nero possa essere il momento storico in cui si trova a vivere, per quanti segnali negativi la realtà gli mostri, non si rassegna mai alle cose come stanno, ma continua tenacemente a credere che un altro mondo è possibile, a costo di essere preso per un folle sognatore. Spero allora che tra qualche tempo la primavera dello Spirito che sta vivendo oggi la Chiesa arrivi a cambiare la semantica delle parole. Questo avverrà quando la giustizia in senso religioso non sarà più comunemente intesa come qualcosa a parte, di specializzato, che espelle il significato di giustizia sociale come un corpo estraneo, ma sarà intesa in un senso più ampio, nel senso più vastamente umano possibile, un senso veramente religioso, che ingloba l’altro e lo trascende. Voglio sperare che tra un po’ di anni aprendo un vocabolario, troveremo una definizione di giustizia più o meno così: “piena conformazione delle azioni e del cuore dell’uomo alla volontà di Dio, che si esprime, in ambito sociale, in azioni per abolire la miseria, la disuguaglianza, lo sfruttamento, la discriminazione, l’oppressione dei poveri e dei lavoratori”. Giustizia è una parola che ha un forte radicamento biblico e perciò in bocca a un cristiano si deve arricchire di senso, non impoverire. Il linguaggio veramente religioso non è un linguaggio specializzato, scollato dalla vita, una lingua amputata, ma una lingua pienamente umana che ha sempre un’eccedenza di significato, parole in cui risuona un sovrappiù. Un linguaggio che assume tutto l’umano e lo innesta nel divino. 3. ERMES PERCHÉ LA CHIESA NON PUÒ NÉ DEVE RESTARE AI MARGINI DELLA LOTTA PER LA GIUSTIZIA? Perché ne va della sua identità. Qui si decide se è secondo il mondo o secondo Dio. Dove sei? Dov’è tuo fratello? Su queste due domande ruota l’intera bibbia e tutta la storia dell’uomo. Del singolo e della comunità umana. Guai a chi costruisce la sua casa senza giustizia e i suoi piani superiori senza equità, fa lavorare il prossimo per niente, senza dargli il salario giusto, e dice: Mi costruirò una casa grande con vasti saloni ai piani alti’ e vi apre finestre e la riveste di tavolati di cedro e la dipinge di rosso. Pensi di essere un re Perché ostenti passione per il lusso? Forse che tuo padre non mangiava e beveva? Ma egli praticava il diritto e la giustizia E tutto andava bene. Tutelava la causa del povero e del misero E tutto andava bene. Non è forse questo che significa conoscere me, il Signore? Geremia 22, 13 ss: Possiamo applicare questa profezia alla società. Non è un progetto secondo Dio quello in cui, mentre si impennano i grafici dello sviluppo, crescono le sacche di povertà e di esclusione, che l’economia contabilizza senza scomporsi, come si fa con gli scarti di un ciclo di produzione. Lampeggiante è l’ultima frase: non è forse questo che significa conoscere me? Vera teologia, vera conoscenza di Dio, sapere qualcosa di Dio è praticare giustizia e diritto. Teologia è una scienza pratica, come si diceva nel medioevo. Tutelare la causa del povero e del misero è fare teologia, fare catechismo, imparare Dio più che dai libri. Con l’evidenza incisiva di Geremia: non è forse praticare giustizia e tutelare il povero conoscere me? Oracolo del Signore. Dio è qui nelle lacrime, nella fame, nel dolore dell'uomo, il cielo di Dio è la terra, suo tabernacolo i piccoli. Scrive Turoldo: “Dio naviga in questo fiume di lacrime”. Carità e giustizia sono indivisibili. Però io mi auguro che ci sia sempre meno carità e sempre più giustizia e diritti. Perché vorrebbe dire che sono diminuiti i bisogni e le ferite da tamponare. E che si è trasformato in diritto ciò che era elargito per buona volontà da alcuni. La diminuzione della solidarietà, nel senso di elemosina, dell’intervento immediato, significherebbe che sono state disinnescate le cause che producono povertà. Lottare per la giustizia significa lottare per la dignità e la libertà, per i diritti di tutte le persone; e non dobbiamo continuare a stare nella trappola del fare i delegati, quelli delegati ad aiutare gli ultimi, al pronto intervento. Perché non ci dicano: siete bravi, come no, siete i migliori, ma in fondo non serve a niente, perché le cose non cambiano e l’assedio dei poveri non fa che crescere. La misericordia vera chiede giustizia, chiede che il povero trovi la strada per non essere più tale. Ciò non toglie che dobbiamo comunque continuare ad accompagnare chi ha bisogno, tutelarlo, e a inventarci di tutto per farlo. La carità non è sufficiente, ma rimane necessaria. Sottolineo le motivazioni della scelta del non restare ai margini. Senza motivazioni profonde le istituzioni in breve diventano fredde e insensibili. Se cambiano le strutture, ma non la mentalità, presto o tardi le stesse strutture diventano corrotte, pesanti, inefficaci. 189 Motivazione profetica: -perché costruire una casa senza giustizia vuol dire costruire la propria distruzione; -perché Dio non rimanga il grande sconosciuto, direbbe Geremia. Conoscere Dio, verbo biblico che indica fare esperienza diretta, pelle contro pelle, toccare ed essere toccati, intimità. Dio non è uno sconosciuto, è il Totalmente Altro che entra nella storia affinché la storia diventi totalmente altra da quello che è (Rahner il più grande teologo del ‘900). È ciò che vediamo accadere all’inizio dell’attività pubblica di Gesù, nella sinagoga di Nazaret (Luca 4) quando sviluppa il suo programma, in 5 capitoli: sono venuto a portare la libertà ai prigionieri, la vista ai ciechi, una bella notizia ai poveri, la liberazione agli oppressi. Povero cieco prigioniero oppresso: Adamo è diventato così, per questo Dio diventa Adamo. E il 5 motivo: ad annunciare un anno di grazia del Signore. Un evento, un anno, mille anni di un Dio che fa grazia. Il volto nuovo di Dio. Gesù annuncia un Dio che non pone se stesso come scopo della storia, ma l’uomo guarito. Un Dio il cui obiettivo non è essere adorato, ubbidito, glorificato, riprendere il controllo su di una umanità riottosa. No, il suo obiettivo è che la storia non generi più poveri, ciechi, prigionieri, oppressi; il suo sogno è un uomo libero, veggente, colmato, su cui egli emette una sentenza, non di condanna ma di grazia. È qualcosa che mi fa innamorare: Dio dimentica se stesso, si ritira dietro, e pone l’uomo al centro della scena, sotto i riflettori. Gloria di Dio non sono riti, incensi, preghiere e ubbidienza. Gloria di Dio è l’uomo finalmente promosso a uomo, Dio e l’uomo non hanno obiettivi divergenti, ma lo stesso scopo, lo stesso progetto che è la vita in pienezza. Gesù non ridà la vista ai ciechi o l’udito ai sordi o la parola ai muti perché diventino suoi seguaci o dei buoni praticanti. Lo fa perché diventino persone libere, promosse, piene, perché ritornino ad essere uomini. Più sono persone più sono immagine di Dio. La parola generatrice, la parola chiave dell’annuncio di Gesù è Regno di Dio cercate prima di tutto il regno di Dio e la sua giustizia. La definizione più bella l’ho trovata in p. Vannucci: Il Regno verrà con il fiorire della vita in tutte le sue forme! (Giovanni Vannucci). Fioritura dell’essere, incremento d’umano, accrescimento di vita, per ogni uomo e per tutto l’uomo. Entrare in questo programma è la fede. 4. MARINA Magnificat 1 Ecco allora perché la chiesa deve impegnarsi nella lotta per la giustizia: non solo per motivi etici: c’è in gioco qualcosa di molto più grande: per partecipare al progetto di Dio per il mondo, per essere veri operai del Regno, per fare la sua volontà. Ogni volta che preghiamo “sia fatta la tua volontà” è questo a cui chiediamo di aderire attivamente. Non significa un atteggiamento passivo, accettare con rassegnazione tutto ciò che ci accade, ma all’opposto chiedere di prendere parte all’azione divina trasformatrice del mondo. Chiedere di essere assunti al cantiere per la costruzione del regno. Allora, quando compio un gesto di giustizia, quando mi oppongo all’ingiustizia, devo essere consapevole che sto facendo qualcosa in sintonia con il significato profondo dell’esistenza, con il suo mistero, con le ragioni della creazione, con il respiro della vita dell’universo. Anch’io metto il mio piccolo, ma fondamentale mattone. Se “una fede autentica implica sempre un profondo desiderio di cambiare il mondo” (EV 183), stare dalla parte dei poveri non è più un’opzione, ma la scelta decisiva che mi qualifica come cristiano. Essere cristiani non può essere neutrale: significa schierarsi dalla parte di chi soffre ingiustizia. Al cuore del Vangelo c’è un progetto divino di liberazione dell’uomo da tutti i gioghi che lo opprimono. Ogni oppressione è una forma di schiavitù, che impedisce la fioritura in pienezza dell’uomo, cioè la maturazione dei semi divini seminati in lui. Dio viene a immettere nella storia il lievito che la trasformerà. È talmente stretto il legame tra vangelo e lotta per la giustizia, che nel racconto di Luca questo tema compare ancora prima che Gesù inizi la sua vita pubblica, prima ancora che Gesù sia adulto, anzi: prima ancora che abbia voce per parlare. Il Dio-bambino vive ancora nel silenzio del grembo di sua madre, è invisibile e minuscolo come una perla, quando Maria intona il Magnificat. Dentro il cuore di lei c’è uno scampanare a festa, un danzare di gioia pasquale. Il cuore di Maria pulsa nella “gioia della rivoluzione di Dio” (Jürgen Moltmann). Il Magnificat è lo splendido manifesto del programma di Gesù, anticipato da sua madre. È proprio perché Maria è pienamente conformata alla volontà di Dio che canta un canto rivoluzionario. Il Dio che Maria loda, rovescia i superbi dai troni e innalza gli umili, manda i ricchi a mani vuote e sazia gli affamati. E’ un Dio coinvolto nella lotta per la giustizia e vincitore. Un Dio schierato. Maria riconosce in questo venire di Dio nella casa di una come lei povera e in più donna, una tra i tanti emarginati della terra -, riconosce la firma del Dio-liberatore che sta dalla parte dei piccoli, il Dio degli esodi. Maria ricapitola nel suo canto i gesti di liberazione che Dio ha compiuto per il suo popolo e nello stesso tempo profetizza il nuovo. Il Magnificat è un canto di lotta: Maria si fa voce dell’umanità schiacciata e perciò è di perenne attualità. 5. LETTURA MAGNIFICAT MAGNIFICAT (traduzione di E. Ronchi) Cerco nel cuore le più belle parole per il mio Dio, lʼanima canta per il mio Amato. Perché ha fatto della mia vita un luogo di prodigi, ha fatto dei miei giorni un tempo di stupore. Ha guardato me, ha guardato me, che non sono niente. Sperate con me, siate felici con me, tutti. Cose più grandi di me mi stanno succedendo, è lui che può tutto. È lui solo. Il santo! Santo e misericordioso, santo e dolce, Con cuore di madre verso tutti, verso ciascuno, santo e misericordioso, santo e dolce. Ha liberato la sua forza, ha imprigionato i progetti dei forti. Coloro che si fidavano della forza sono senza troni. Coloro che non contavano nulla hanno il nido nella sua mano. Ha saziato la fame degli affamati di vita, ha lasciato a se stessi i ricchi: le loro mani sono vuote, i loro tesori sono aria. Ricordati, Signore, che il tuo amore è grande. Non dimenticarti di essere misericordioso, come hai promesso, come prometti ad Abramo e ad ogni figlio di Abramo, per sempre. 6. MARINA Magnificat 2 Il Magnificat è il più grande canto rivoluzionario dell’Avvento, ha scritto Dietrich Bonhoeffer (il grande teologo ucciso dai nazisti), ed è cantato da una donna, che ha Dio che le cresce sotto il cuore. Ogni cristiano quindi non può che essere un rivoluzionario. Uno che porta la novità di un modo diverso di stare al mondo. L’incontro tra Maria ed Elisabetta è una splendida metafora: entrambe le donne, la giovane e la matura, hanno un sogno che urge, un mondo nuovo che lievita in loro e le rende incinte di futuro. Elisabetta è ripiena di Spirito santo, Maria piena di grazia: sono in rapporto intimo con Dio. E perciò si scoprono e si riconoscono tra loro profetesse. Per questo Maria può intonare questo canto gioioso e severo ad un tempo, “forte, inesorabile, sui troni che crollano e i signori umiliati di questo mondo, sulla potenza di Dio e l’impotenza dell’umanità. Sono gli accenti delle profetesse dell’Antico Testamento che ora prendono vita sulle labbra di Maria» (D. Bonhoeffer). Maria anticipa le parole che Gesù userà, quelle che sono la sua carta d’identità (Luca): venuto per liberare i prigionieri, salvare gli oppressi: un mandato per un radicale cambiamento. Quando il bambino in lei è ancora poco più che un seme, Maria si fa già portavoce della giustizia redentrice di Dio. Le sue sono parole di una portata straordinaria, di una forza liberante senza eguali: Il messaggio del Magnificat è così sovversivo, che il governo del Guatemala negli anni ’80 ha vietato di recitarlo in pubblico. E’ sovversivo non solo politicamente, ma perché sovverte tutte le nostre idee pessimiste, la paura, la mancanza di speranza nel futuro, che in questo nostro angolo di mondo privilegiato sono tanto diffuse. Ci dice che tutto sarà bene, che la storia non finirà con la vittoria dei prepotenti, degli arroganti, degli ingiusti, dei violenti, ma che il piano di Dio è certo, è già al presente: Dio si è impegnato e quando Dio si impegna non si tira indietro. Il Cantico di Maria è «il grande cantico di liberazione personale e sociale, morale ed economico delle Scritture, un documento rivoluzionario in favore di tutte le persone emarginate e sfruttate» (J. Schaberg), che subiscono violenze, che non hanno voce, proprio a partire dalle donne. Il Magnificat unisce la dimensione mistica della fede e quella politica, amore di Dio e amore del prossimo, spiritualità e giustizia sociale, contemplazione e azione; in poche parole: collega ciò che sei a ciò che fai. Maria ci crede fino in fondo. Non ha risorse più grandi delle nostre per farlo, anzi. Ha solo un’enorme fiducia in Dio e un germe di futuro nel ventre. Il mondo si regge su un sistema malvagio di oppressione e ingiustizia ma in questa situazione fa irruzione Dio, sceglie una creatura di bassa condizione - una donna, e una donna povera, appartenente a un popolo oppresso da un potere straniero - e con questo promette e già comincia ad attuare il rovesciamento delle cose. 7. ERMES - TENEREZZA COMBATTIVA Gesù, vedendo le folle ne sentì compassione (Mt 9,36): termine di una carica infinita, di una intensità emozionante. Tutto prende avvio da una passione di compassione che è Dio stesso e che si traduce in missione, invio, ministero. Gesù chiama i dodici e affida loro per prima cosa questo suo sentimento, dovranno preservarlo, custodirlo, salvarlo. Se salvi questo sentimento salvi il cuore. Se guarisci il cuore guarisci la vita. Forse ci saremmo aspettati un’altra risposta al dolore, un soccorso più immediato, più efficiente, più divino, qualche miracolo: ‘Perché il Signore non ci soccorre con la sua onnipotenza? Perché soccorre la fragilità dell’uomo attraverso la fragilità e l’impotenza di altri uomini?’ Ed è lo stile di Dio che tante volte nella storia grande e piccola abbiamo accusato di omissione di soccorso. Dio interviene per i suoi figli ma lo fa attraverso i suoi figli. Crea la pace non con grappoli di miracoli, non con sfoggio di onnipotenza, ma attraverso i suoi amici pacificati che diventano pacificatori. I suoi amici che diventano giusti, e saziano di giustizia la fame di tutti. Una bellissima espressione della E. G. descrive lo stile cristiano: la “tenerezza combattiva”(85). Il cristiano si oppone, lotta contro tutto ciò che fa male ai figli di Dio, ma opera con lo stile della tenerezza, della delicatezza inerme e indomita, mai arresa. Tenerezza è il motore invisibile, implica mettere al centro non un sistema di verità, ma andare a guardare le lacrime, il volto, la carne con il suo dolore e con la sua gioia contagiosa. I cristiani sono quelli che credono all’amore (1 Gv 4,16) non ad altre cose, non a una serie di verità, di dottrine, di teologie, o nozioni di catechismo. Quando Gesù dà il comandamento che riassume tutto, il grande lo chiama, ama Dio e ama il prossimo, mostra in che cosa crede, Gesù crede nell’amore, come la forza determinante, la più creativa, la più potente. Ci invita alla ‘rivoluzione della tenerezza’ (EG 88). La tenerezza ha le sue sorelle: misericordia, delicatezza, compassione, dolcezza; come in Gesù. Dalle sue mani fioriscono i gesti della tenerezza, quando le posa sui malati, quando tocca mani labbra occhi orecchi, quando stende un petalo di fango sugli occhi del cieco, saliva e polvere mescolati come una carezza di luce, come una piccola creazione che ricomincia, fango e intimità. Quando, a sua volta, Gesù si lascia toccare da bambini e donne e stranieri. Toccare segna la fine della paura e della distanza. La prossimità. L’amico, o chi ti ama, ti tocca, disarmato e disarmante, con lui puoi essere te stesso, lasciar cadere ogni maschera. Solo chi ti tocca, nel profondo nell’intimo, è in grado di cambiarti la vita. “Quando fai l’elemosina non lasciar cadere la moneta dall’alto, come per paura di contagio, ma toccala quella mano tesa verso di te”. Il primo sguardo di Gesù non si posa mai sul peccato di una persona , ma sempre sulla sua fragilità, sul suo bisogno (J. B. Metz). Chissà se il poeta Ezra Pound aveva in mente proprio Gesù quando scriveva: “accetterò la tua verità purché si sposi con la tenerezza”. La tua verità o la tua moneta. Questo è il sogno di Dio: che nessun cristiano sia senza capacità di dare e ricevere tenerezza, di toccare e lasciarsi toccare nel cuore; che nessuno sia solo, senza festa del cuore. E tutti sempre più simili a Lui, il ‘Molto-tenero’. 8 MARINA COME SI REALIZZA IL SOGNO DI DIO. Come si realizza il sogno di Dio? Come può guarire il mondo? A partire dal cuore dell’uomo. Ingiustizia è la cristallizzazione degli egoismi individuali in strutture che opprimono l’uomo. Voglio citare una luminosa pagina di padre Giovanni Vannucci, servo di Maria, mistico, cercatore in dialogo con tutte le religioni, sono parole di sorprendente attualità per questo momento storico, che è un momento di crisi e come tutte le crisi contiene straordinarie potenzialità di futuro, grandi promesse e aperture verso il nuovo, portato dallo Spirito: «La necessità dell’attuale momento lega intimamente la vita umana all’egoismo: “Nessuno fa nulla per nulla” è lo slogan imperante. La massima parte degli uomini, se fosse priva della molla dell’egoismo, non avrebbe più né l’impulso ad agire, né ragione di operare nella vita. Ma verrà un momento in cui non troveremo più, nella concezione egoistica della vita, la soluzione dei problemi dell’esistenza. Ed allora troveremo una realtà comunitaria, dal piccolo gruppo familiare fino al più vasto organismo sociale. Fintanto ché l’uomo porrà se stesso come scopo della sua vita, non si potranno risolvere i problemi della vita sociale, né di quella individuale». queste parole sono state scritte nel 1972. Credo che questo momento, annunciato da padre Vannucci 40 anni fa, sia arrivato. Ci sono oggi tanti segnali del crollo di un modello di vita. Siamo dentro una profonda crisi, che non è solo economica ma anche culturale e del mondo naturale. Un periodo di rottura. Sentiamo che siamo arrivati a uno spartiacque. La crisi economica mondiale ha fatto cadere il mito della crescita illimitata, il modello consumistico non ha aumentato la felicità come prometteva, ma ha prodotto in ampie zone del mondo maggiore povertà e nei paesi più ricchi tristezza e angoscia del futuro; l’individualismo non ha accresciuto la libertà ma la solitudine, e generato malattia; la crisi gravissima del mondo naturale ci ha messi di fronte al serio rischio dell’autodistruzione... Senza risveglio non si può sognare, ha detto Benigni. Ora siamo nel momento di un brusco risveglio. Abbiamo viaggiato finora dentro il Titanic dello sviluppo economico, luminoso e splendente, credendolo inaffondabile. Ma con tutti i suoi negozi di lusso, i suoi caffè scintillanti, manca di scialuppe di salvataggio per tutti. Siamo davanti alla necessità di un cambiamento radicale: è l’intero sistema capitalistico a dover essere sostituito, poiché i danni arrecati al pianeta e alle popolazioni più deboli non possono essere modificati dall’attuale sistema economico e sociale. Papa Francesco lo dice così: «Così come il comandamento ‘non uccidere’ pone un limite chiaro per assicurare il valore della vita umana, oggi dobbiamo dire ‘no a un’economia dell’esclusione e della inequità’. Questa economia uccide. [...] In questo contesto, alcuni ancora difendono le teorie della ‘ricaduta favorevole’, che presuppongono che ogni crescita economica, favorita dal libero mercato, riesce a produrre di per sé maggiore equità e inclusione sociale nel mondo. Questa opinione, che non è mai stata confermata dai fatti, esprime una fiducia grossolana e ingenua nella bontà di coloro che detengono il potere economico e nei meccanismi sacralizzati del sistema economico imperante» (EV 53-54). 9. ERMES CAMBIO DI CULTURA La misericordia vera chiede un cambio di cultura. Si tratta di una battaglia culturale. Duecento anni fa gli economisti scelsero per le “merci” la parola beni, prendendola in prestito dall’etica, dalla filosofia morale. Beni, cose buone perché aumentavano il bene personale e il bene comune. Oggi quel significato morale è andato totalmente perso. Chiamiamo ancora bene il pane, ma anche il gioco d’azzardo e la pornografia e le mine antiuomo e i gratta e vinci, purché passino per il mercato. Tutto PIL, tutta crescita, dicono in molti. Tanta solitudine e tristezza e disumanesimo, dicono altri, ma ancora siamo in troppo pochi. Oggi che Fondo Monetario Internazionale è un nome nuovo di Dio, che l’evidenza per tutti è questa: più denaro è bene, meno denaro è male, la nostra battaglia culturale è sostituire alla globalizzazione del commercio e della finanza, una globalizzazione invece dell’inchino e della cura dovuta ad ogni uomo, perché questo è il solo modo per creare una storia che umanizza, che libera, che pianta oasi di verde nel nostro deserto, che semina giustizia nelle nostre società. “Richiede di creare una nuova mentalità che pensi in termini di comunione, di priorità della vita di tutti rispetto all’appropriazione dei beni da parte di alcuni. Se lavori per questo tu aggredisci le cause strutturali e fondanti della povertà” (E. G 188) In questa battaglia per la qualità della vita, di tutti, battaglia che non è solo caritativa, è culturale, perciò di lunga durata, siamo come Davide contro Golia. Ma abbiamo cinque ciottoli di fiume da porre nella fionda. E il primo consiste nelle motivazioni del nostro impegno. E il secondo nello stile d’azione. 10 . LETTERA DI PAOLO AI CRISTIANI OMOLOGATI E CONFORMISTI (adattamento di E. Ronchi) Fratelli, vi siete lasciata togliere la libertà e rimettere in schiavitù. Non conformatevi al modo di pensare del mondo, ma trasformatevi nel cuore. Il nostro Dio è diverso, il nostro mondo è diverso. Dio ha scelto i poveri e li ha fatti principi del suo regno, mentre voi avete scelto per la vostra fede debole la potenza del mondo. Cantavamo insieme lʼinno: Anche se parlassi la lingua di tutte le tribù viventi E persino dei popoli scomparsi dalla terra e dalla memoria Se non ho lʼamore sono un trombone di gelida latta Un computer a cento lingue. Anche se distribuissi tutte le mie scarpe e i viveri Per soccorrere il popolo scalzo e denutrito Se non ho lʼamore Sono una delle tante cavie rivoluzionarie Un cacciatore di farfalle o un poeta sognatore. Voi, senza accorgervi, avete sostituito alla parola amore, la parola denaro. Cantavamo: se anche parlo con gli angeli, ma non ho amore, sono un suono nel vento. Voi dite: anche se parlo tutte le lingue, ma non ho denaro, sono un bronzo che risuona. Il nostro inno diceva: se non ho lʼamore, sono nulla. Voi dite: se non ho denaro, non sono nessuno. Cantavamo: lʼamore tutto crede, tutto spera, tutto sopporta. E voi dite: il denaro tutto permette, tutto ottiene, tutto rende sopportabile. Lʼamore tutto copre. È il denaro che copre tutto. Queste le tre cose che rimangono: la fede, la speranza e lʼamore Ma di tutte più grande è lʼamore. Ma voi dite: di tutte le cose la più seria è il denaro. Fratelli vi siete lasciati rimettere in schiavitù. A cosa è servita la croce di Cristo? Cristo venuto come se non fosse venuto. Lui che diceva: beati i poveri, i miti, i tessitori di pace. E voi invece pensate: beati i ricchi, quelli che sanno imporsi, quelli che hanno successo. Beati i puri di cuore di cuore, diceva, vedranno Dio. E voi: beati quelli che hanno molti piaceri, loro sì hanno la vita in pienezza. Ecco lʼevidenza per tutti: più denaro è bene, meno denaro è male! Per voi il denaro è il criterio che giudica ogni cosa e non è giudicato da nessuno. Dove tutti dicono: è la legge dellʼeconomia, io devo gridare: violenza, oppressione! Quando tutti pensano: così va il mondo, io devo gridare: ingiustizia! Fratelli, cristiani invisibili, mimetizzati fra tutti, indistinguibili dagli altri, ricordate: è vero che nel mondo comandano i più forti, ma io so che il filo rosso della storia è saldo nelle mani di Dio. È vero che il denaro detta legge, ma io so che non è il denaro la verità delle cose, è solo nel dare e nel ricevere amore che si pesa la beatitudine della vita. 11. MARINA LA PAROLA SOLIDARIETA’ Papa Francesco ha parole di grande coraggio nell’EV, che non possono lasciare nessuno indifferente. Non bastano dei cerotti per tamponare le falle del sistema, bisogna rilanciare il sogno, dice Francesco, farlo volare più in alto. Sono in molti ora a capire la necessità di sottrarsi alla tirannia del mercato e alla spirale distruttiva dell’attuale sistema economico. Nel mondo è nata una capacità nuova di immaginare il futuro, sognando in grande. Si tratta di passare dall’homo oeconomicus all’homo humanus, un formidabile salto storico dalla visione bellicosa del mondo, incentrata sulla pretesa di espandersi oltre misura, alla tensione verso un’economia morale, fondata sulla conservazione e cura della vita, liberata dallo sfruttamento. È un sogno trasversale: coinvolge la chiesa, il mondo laico, molti paesi e culture diverse. Un sogno di liberazione dalla religione del PIL e dalla «riduzione dell’uomo a uno solo dei suoi bisogni: il consumo» (EV 55); una via che implica l’affermazione di valori negati dall’economia di mercato: la cooperazione, il rispetto di tutti i viventi, la creatività, la gioia del lavoro, l’estensione dei beni comuni. Il sogno della società futura prende vari nomi: decrescita felice nel mondo occidentale, swadeshi= semplicità volontaria in india (Gandhi); bien vivir (comunità andine); ubuntu in Sudafrica (richiama la comunità, il riconoscimento delle relazioni reciproche che legano ogni persona a tutte le altre, e la compassione e la lealtà verso la comunità in generale). Sono categorie culturali diverse ma orientate tutte verso la ricerca di una vita vissuta in pienezza e bellezza, che antepongono al successo e arricchimento individuale il benessere comunitario. Sono come anticorpi di un sistema immunitario, che si difende dalla malattia, e anche se ci sono tanti fattori di difesa del vecchio edificio, poteri fortissimi e micidiali, in questo edificio si sono aperte crepe notevoli che lasciano intravedere un paesaggio nuovo. Stiamo decostruendo un pensiero e provando a immaginarne altri (Paolo Cacciari) Questo avviene anche nella teologia ed è importante, perché è sull’immagine di Dio che abbiamo nel cuore che costruiamo le nostre idee sul mondo e le relazioni tra gli uomini. All’alba della modernità Francesco Bacone affermava che compito dell’uomo è imitare il più possibile l’onnipotenza di Dio tramite la scienza e la tecnica. Noi siamo il prolungamento, forse la fase finale di un progetto di dominio iniziato secoli fa a danno dei più deboli e della natura. Ma oggi è al Dio che si spoglia della sua onnipotenza per incarnarsi che guardiamo, il Dio che si ritira, che lava i piedi ai suoi amici, si fa pane per loro e per loro muore. È questo il paradigma su cui possiamo costruire il mondo nuovo ed è un paradigma materno: «il dono, la cura, l’accoglienza dell’altro come singolarità irripetibile, nella convinzione che non esiste alcuna ricchezza al di fuori della vita stessa. Lavorare al più grande dei compiti: fare persone, e farle bene, come fanno le madri» (Bruna Bianchi). Dalla mancanza di valori materni, di cura, scaturiscono guerra e violenza, un mondo fondato sull’avidità, la competizione e l’aggressività e sul sacrificio delle vite anziché sulla loro custodia. Sono gli uomini che hanno fatto questa storia, e per troppo tempo essere uomini ha significato dissociarsi dal femminile e da tutto ciò che rappresenta: debolezza, cura, inclusione, relazione, tutti valori che vediamo espressi al massimo in Gesù, che, come recita un bellissimo verso della poetessa Alda Merini, «era donna nel cuore». 12. ERMES LE LEVATRICI D’EGITTO Credo che per chi desidera tornare a sentire il grido dei poveri, a prendere coscienza dei faraoni che ci opprimono e a sentire desiderio di libertà, la meditazione sul libro dell’Esodo sia un bellissimo esercizio spirituale. Vedendo la crescita demografica del popolo degli ebrei, il faraone tenta la soluzione più drastica. E questa violenza assoluta apre una delle pagine più belle della bibbia: il re d’Egitto disse alle levatrici degli Ebrei, delle quali una si chiamava Sifra e l’altra Pua: quando assistete le donne ebree durante il parto, osservate bene se è un maschio fatelo morire, se è una femmina potrà vivere (1,15-16). Le levatrici sono sempre a lottare dalla parte della vita, gestiscono quel momento sacro in cui le donne ci generano e rigenerano il mondo. Amate da tutta la comunità che riceve i suoi figli dalle loro mani esperte e buone. All’inizio della grande storia di liberazione il popolo degli ebrei ha voluto mettere due levatrici Sifra (la bella) Pua (splendore, luce). Che sono le prime obiettrici di coscienza della storia: “le levatrici temettero Dio, non fecero come aveva loro detto il faraone e fecero vivere i bambini” (1,17). La prima arte della terra è quella delle levatrici: lasciar vivere i bambini. I bambini nostri e quelli degli altri, di tutti... quando questa prima arte decade, la vita perde il primo posto e le civiltà si ammalano, i faraoni vincono. In questo no al Faraone e in questo sì alla vita è custodita una grande parola: la legge più profonda e vera di ogni professione o mestiere non è quella emanata dai tanti faraoni, ispirati dalle leggi del potere e dell’economia, le loro leggi vanno rispettate solo se e solo quando servono la legge della vita. Quando dimentichiamo che la legge dei faraoni, (mercato, finanza, economia, inquinamento) è sempre la legge seconda, e mai la prima, ci trasformiamo in sudditi, e non inizia nessuna liberazione. Sifra e Pua , due donne, due lavoratrici, ci dicono che può invece iniziare un processo di liberazione quando nel nostro lavoro, nella professione di ogni giorno, nelle attività del quotidiano, ci comportiamo seguendo la legge della vita, scegliendo sempre l’umano contro il disumano (David Maria Turoldo). Qualunque cosa facciate, la sarta piuttosto che l’idraulico il politico o il professore, fatelo sentendo tutta la responsabilità e tutta l’importanza del vostro agire secondo giustizia e la prima legge della vita. I bambini non si uccidono, né quelli degli ebrei né quelli degli egiziani. Non si uccidono né in Egitto né in alcun altro luogo. Ieri oggi sempre. Se vogliamo restare umani. La prima causa di morte tra gli immigrati è l’annegamento. I bambini non si lasciano annegare. Noi uccidiamo anche stando alla finestra. Tutto l’inizio della liberazione dall’Egitto si svolge sotto il segno delle donne che salvano la vita: -la madre di Mosè, che nasconde il figlio, poi lo mette in una cesta di papiro, -la figlia del faraone che trova il cesto, vede che era un bambino degli ebrei e ne ha compassione. -la sorella di Mosè che accompagna con il suo sguardo d’amore innocente lo scorrere del cesto sull’acqua. L’inizio dell’esodo ci mostra una meravigliosa alleanza tra donne, cooperanti per la vita, oltre le gerarchie sociali, oltre i mariti e i padri oppressori e oppressi. Alleanze incrociate per salvare la vita, la prima legge della terra. il primo di tutti i comandamenti, quello che apre la sezione della legge recita così: io ti ho posto davanti la vita e la morte, la benedizione e la maledizione. Scegli. Ma scegli la vita, perché viva tu e la tua discendenza (Deut 30,19). Un ordine o meglio ancora una supplica accorata di Dio a ognuno di noi: ti prego, scegli la vita. Tutte le altre leggi discendono da questa, ne sono una esplicitazione, una traduzione parziale di questa intuizione totale. Possiamo seguire questa legge, con gesti semplici, nella condivisione povera di ciò che ciascuno ha e sa fare. “Dio fece sì che alle levatrici tutto andasse bene, perché avevano temuto Dio, ed Egli diede loro una numerosa famiglia” (1,20-21). È la numerosa famiglia delle persone amanti e custodi della vita, dei piccoli del mondo. Siamo anche noi, vogliamo essere anche noi della numerosa famiglia delle levatrici d’Egitto, custodi della vita. Qualsiasi sia il nostro lavoro. Noi dobbiamo fare società con Dio, società per azioni. Lui è il socio di maggioranza. E se noi soci di minoranza facciamo la nostra piccola parte, lui farà la sua, che è immensa. 13. LETTERA DI PAOLO A COLORO CHE SI SENTONO FRAGILI E A COLORO CHE AMANO IL POTERE (adattamento di E. Ronchi) …Tutti mi hanno abbandonato… Solo e sempre più debole: una pietruzza solamente, non più macina da mulino. Mi sento come una clessidra che si svuota della sua sabbia, Eppure sono lieto, lo ripeto, sono lieto, perché so che allʼimprovviso, una mano mi capovolgerà. e più io sono vuoto, più cʼè spazio per Lui. Mi vanto della mia debolezza. Davanti a Dio non cʼè nulla di meglio che essere nulla, come lʼaria davanti al sole. Pura trasparenza. Beata debolezza, perché quando sono debole, è allora che sono forte. Di una forza che non è mia, di una forza che mi attraversa. È il contatto amoroso con quella vita senza la quale non sarei venuto al mondo. Con quella forza che mi ha afferrato e mi ha legato, e non mi ha più lasciato. Benedico la debolezza, Dio ha scelto ciò che nel mondo è debole per confondere i forti; ha scelto ciò che nel mondo è stolto per confondere i sapienti. Ha scelto i piccoli e i poveri perché irradino la sua presenza. Che lʼannunciatore diventi infinitamente piccolo, solo così lʼannuncio sarà infinitamente grande. Beati voi, deboli. Cristo da ricco che era si è fatto povero per arricchire noi Con la sua povertà Non con la sua ricchezza, bensì con la sua povertà. Ricchi siamo di povertà. Non dei miracoli, ma della povertà di Cristo, non della sapienza, ma della croce di Cristo, non della eternità, ma dellʼumanità di Gesù. Beati voi, deboli! Quando siete deboli è allora che siete forti forti dello stupore con cui Dio torna a stupirvi forti della seduzione con cui torna a sedurvi. Del perdono con cui torna a perdonarvi Della passione di Dio per lʼuomo, per ciascuno. Beata debolezza! Fratelli, è appoggiando una debolezza allʼaltra che noi sosteniamo il mondo. Beati voi, che vi sentite fragili, è solo in questa storia di pietre scartate che appare la forza della croce. Tutti voi avete un tesoro in vasi di creta, tutti siete una luce racchiusa dentro un guscio di argilla. Guarda al tesoro, non guardare allʼargilla! Il Signore Gesù mai si è scagliato contro la nostra fragilità Ma contro lʼipocrisia dei pii e dei potenti. Per la fragilità lʼuomo cerca aiuto, cerca legami. Io sono così fragile da pensare sempre allʼamore. La fragilità non crede nella forza Sa che si tratta solo di una maschera per nascondere la paura, la fragilità ha una visione, quella di un mondo che non si divida più in vincitori e vinti, dove il vincitore è il più forte e il più violento, ma di un mondo dove il vincitore è chi da e riceve amore. È bellissimo lʼamore e solo la fragilità lo coglie. E Dio dice: Prima che tu mi conoscessi io ti ho conosciuto, prima che tu iniziassi qualunque cosa io sono il tuo inizio, prima di ogni tua scelta tu sei la mia scelta, io ho scelto te. Prima che tu fossi, io sono con te, per te, in te. Nulla mai ti separerà dal mio amore. Nulla. Mai. 14. ERMES GRATUITÀ, APPARENTE INUTILITÀ, BELLEZZA. Madre Teresa di Calcutta ripeteva alle sue donne, miracolo vivente di coraggio e fede: nel nostro servizio non contano i risultati, ma quanto amore metti in ciò che fai. E’ il servizio che è vero, non i suoi risultati; “i morenti che abbiamo raccolto per le vie di Calcutta non si salveranno, ma nessuno deve morire senza essere stato amato”. Il prendersi cura, con limpido amore ‘inutile’: vangelo. Il valore di un gesto non dipende dal peso dei risultati. Don Tonino Bello: cerchiamo non i segni del potere, ma il potere dei segni! La nostra esistenza non è raccogliere, ma seminare; non è arrivare ma partire. Partire ad ogni alba, seminare ad ogni stagione. Guardiamo alla parabola del seminatore, quasi una logica dello spreco. La sorpresa della parabola sta in quel gesto largo che si direbbe poco oculato, di uno che getta il seme senza curarsi di dove finisca, tra rovi e spine su sassi o sull’asfalto, cedendo si direbbe alla logica dello spreco. Se c’è da gettare un seme sembra dire, segui la logica dello spreco. L’uomo ragiona per equivalenza, tot investimenti cui corrispondono tot risultati, equilibrio tra dare e avere. Dio ragiona per eccedenza. E per gratuità. Sorprendente se la confrontiamo con la nostra logica di avveduti calcolatori. Noi guardiamo i risultati immediati, e se non ci sono chiudiamo. Concludiamo che sono parole sprecate, fiato sprecato, energie buttate al vento. E che dunque la larghezza è ingenuità, somma ingenuità, è perdere tempo, occorre selezionare il pubblico. Non fa così il seminatore. Né chi accarezza il morente, né chi segue un portatore di handicap che non guarirà mai. Il bene non va perduto, mai! BELLEZZA. Mons Bregantini, scrive nel suo libro: le parole e la bellezza per battere la mafia. “Arrivi in certi paesi della Calabria e della Sicilia e la prima cosa che noti è un disordine edilizio, una sporcizia per le strade, una trascuratezza delle spiagge, in contrasto tra la bellezza della natura, del cielo, dei segni antichi dell’arte, e l’incapacità degli uomini di preservare la bellezza dei luoghi. E ti accorgi che i paesi più brutti, più sciatti, più disordinati sono quelli dove più forte è il potere della mafia. Come se la bruttezza rivelasse tragicamente quel desiderio di violazione che c’è nel cuore del mafioso. La trascuratezza diffusa diventa, dice il vescovo, il primo punto su cui far leva per opporsi alla violenza. Anche Peppino Impastato... Il primo impegno: fare la guerra al brutto. Farla al degrado, allo spappolamento dell’armonia sociale, al disordine diffuso, e poi alla illegalità contrabbandata per astuzia, allo spaccio, alla volgarità nel tratto e nella parola. Non solo dispiacersi per il brutto, ma lottare. La guerra al brutto e alla insensibilità è un fatto etico, non semplicemente estetico, è un fatto politico e civile. La mancanza di gusto non è un fatto estetico, è un fatto morale. Il brutto è l’oggettivazione di un animo avido e meschino. Di una sensibilità senza slancio. Il brutto nasce da élites ignoranti o malvagie. Virtù sociale è la cultura della bellezza, prenderci cura della bellezza della città, a partire dalle piccole cose, dalle cartacce a terra, dallo sporco, opporci alla trascuratezza, aver cura delle cose. Armonia sociale Noi costruiamo le città, poi sono le città che costruiscono noi. Il morso del più. Un augurio che voglio lasciare a ciascuno: poter sentire prepotente dentro di noi “il morso del più”. Non dobbiamo mai sentirci arrivati, mai sazi. Nella carità e nella giustizia non esiste la parola “basta”. Sentire “il morso del più”, espressione cara a don Ciotti, che ti chiama a non accontentarti, a non sederti, a osare un altro incontro, un'altra strada, un’altra risposta. Papa Francesco lo propone con altri termini: Dobbiamo rilanciare il sogno più in alto. 15. MARINA GIOIA DI SOGNARE Papa Francesco scrive che nel Vangelo il messaggio che Dio sta dalla parte dei poveri, e che quindi lo stesso deve fare la Chiesa, è talmente chiaro e semplice che non può essere oscurato. Lo ha fatto nel passato perché attenta a conservare la dottrina più che di uscire a trasformare il mondo secondo il sogno di Dio. Verrà un tempo in cui guarderemo a quest’epoca come adesso guardiamo all’epoca dei gladiatori, quando nei giochi nell’arena degli uomini erano dati in pasto a belve, oppure all’epoca dei genocidi in Sudamerica: perché la nostra è un’epoca di barbarie e di indifferenza dove fa più notizie un punto del PIL che 100 migranti che muoiono nel nostro mare. Ma da questa indifferenza possiamo e dobbiamo uscire. Gesù con la sua vita viene a narrarci il desiderio di Dio e a risvegliare lo stesso desiderio che dorme dentro ognuno di noi. Il fascino del Vangelo, che attrae e seduce ancora, irresistibilmente, dopo tanto fluire di secoli, è sempre questo: dà volto al nostro desiderio più profondo, al sogno che teniamo nel cuore. Un lago di luce ci abita. Siamo abituati a pensare al nostro profondo come a un luogo fangoso, una palude con sabbie mobili pericolose, il contenitore di traumi, ferite, paure, e desideri inconfessabili. Ma c’è un profondo più profondo di questo. Paludi e selve oscure non sono il luogo autentico dell’uomo. Alla sua radice c’è dell’altro. Quando si trivella un terreno in profondità, si trovano falde di acqua limpida. Le donne e gli uomini del Vangelo, che hanno potuto incontrare, ascoltare, toccare Gesù, hanno fatto la scoperta di un Dio vicinissimo, intimo. Tanto vicino da passare da fuori a dentro: un Dio-pane da mangiare, che entra nella persona e si trasforma nelle cellule del suo corpo, raggiunge tutte le sue fibre. Un Dio-Spirito che penetra e infiamma, fa ardere il cuore, accende energia e intelligenza. Anche oggi chi incontra Gesù scopre di fare gli stessi sogni di Dio, incontra la luce che lo abita. Luce che si irradia dal cuore verso il mondo in uno spettro dai molti colori: color d’amore, di pace, di giustizia, di libertà. Le beatitudini (Mt 5,1-12; Lc 6,20-23) cantano il sogno dell’umanità nuova, un popolo di giusti, gioiosi, miti, creativi e coraggiosi pacificatori del mondo. Gesù appare nei Vangeli come il più grande sognatore della storia, saldo nella sua rocciosa fiducia che l’esito sarà positivo. Come scrive il poeta Manuel Scorza Torres in due versi di grande forza e suggestione: «So che ci aspettano carnivore tenebre / ma so anche che nulla potranno contro l’amore». Un sognatore straordinario che sa accendere anche negli altri,sogni divini, sa contagiarli di luce. Noi ci siamo rotolati nel sogno, ne abbiamo addosso l’odore: pochi o tanti che siamo, ne profumiamo l’aria. 16. LETTURA: BASTA CHE UN UOMO SOGNI (di Manuel Scorza Torres) Solleva il mio cuore dalla polvere, restituisci la faccia allʼesiliato, abbatti il muro che ci separa dalla gioia. So che ci aspettano carnivore tenebre, ma so anche che nulla potranno contro lʼamore. ....nulla potranno contro lʼamore: la notte passerà. Possono sputare le acque, possono fucilare i passeri, possono bruciare i versi, possono distruggere il canto e gettarlo in un pantano, possono metterci dinanzi ai fucili, ma questa notte passerà. Un giorno saremo liberi! La terra sarà libera! I poeti non canteranno nellʼesilio, e non ci sarà paura, né fantocci malvagi, né penombra. Basta che un Uomo sogni, perché unʼintera razza puzzi di farfalle! Basta che solo uno sussurri dʼaver visto lʼarcobaleno di notte perché perfino il fango abbia gli occhi rilucenti! TEMPO PER LA CONDIVISIONE, DOMANDE, INTERVENTI DI ASSEMBLEA INTERVENTI CONCLUSIVI ERMES Qohelet 11,1: manda il tuo pane sopra i volti delle acque, perché in molti giorni lo ritroverai. Qohelet, il sapiente disincantato, lancia questa provocazione contro la nostra logica: Getta il tuo pane sulle acque. Senza neanche sapere a chi andrà, offri il tuo bene al mondo, i tuoi talenti alla corrente. Qualunque pane tu possa donare, lascialo sopra i volti delle acque, alla loro distribuzione, che non fa differenze e fa tutti uguali. Questo è il mio pane, disse del suo corpo anche Gesù, quella sera in cui stava per affidarsi alla corrente del mondo e della storia, alle acque instabili del cuore dei discepoli. Ciascuno può accogliere l’invito del Qohelet: manda il tuo pane sopra i volti delle acque. Perché? La sua risposta è: perché in molti dei giorni lo ritroverai. Quel tuo dono ti verrà restituito molte volte, in un sovrappiù, in un centuplo di giorni. Qui è annunciata la misteriosa, immensa economia del dono, che spariglia ogni bilancio. Manda il tuo pane, partecipa al gesto che apre il pugno chiuso per offrire. Imita la mossa del germoglio che si schiude, del seme che si spacca, della nuvola che sparge il suo contenuto. Date e vi sarà dato e riceverete una misura scossa pigiata traboccante... Questo ci conforta, perché mostra che il giudizio ultimo sulle persone non sarà di tipo moralistico: sei stato buono, obbediente alle regole, devoto... Sarà invece secondo un’etica della fecondità: hai dato molto alla vita, hai dato poco alla vita. Hai dato pane alla vita, non hai dato niente alle acque dei giorni. L’ultimo gesto non è dare pane a chi ha fame, ma diventare pane, non andarcene senza essere diventati pezzo di pane buono per qualcuno. In quella scena potente, drammatica, che chiamiamo il giudizio finale, che dice cioè la verità ultima sull’uomo. Ciò che resta della vita quando non resta più niente è l’amore. quello che avete fatto a uno dei miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me! Ciò che è straordinario è che Gesù stabilisce un legame così stretto tra sé e gli uomini da arrivare fino a identificarsi con loro. L’avete fatto a me. Il povero è come Dio! Corpo di Dio, carne di Dio sono i piccoli. Gesù sta pronunciando una grandiosa dichiarazione d’amore per l’uomo: io vi amo così tanto, che se siete malati è la mia carne che soffre, se avete fame sono io che ne patisco i morsi, e se vi danno aiuto sento io tutte le mie fibre gioire e rivivere. Straordinaria dichiarazione, da ricordare sempre. E allora capisco anche questo: che il cristianesimo non si riduce a fare il bene, non occorreva Gesù per questo, bastava un cuore buono, e tanti uomini ce l’hanno. La fede deve restare scandalosa, custodire un lievito di follia: il povero come Dio! Il povero davanti al quale ti togli i calzari, come Mosè davanti al roveto ardente: togliti i sandali perché questa terra è santa. Appartiene a un Dio innamorato che ripete davanti a ogni uomo il canto esultante di Adamo davanti a Eva, e dice a me a ciascuno: “Veramente tu sei carne della mia carne, respiro del mio respiro, corpo del mio corpo”. Guardi il povero e ti senti naufragare: ti obbliga a confrontarti con le cose estreme e con il cielo. C'è una cattedra dei poveri, e se li ascolto mi dicono che l'alternativa decisiva non è fra avere o essere, fra vincere o perdere ma fra il sentirsi abbandonati, gettati via, scarto, consegnati solo alla propria debolezza, oppure sapersi accolti, ospitati, vestiti, affidati alle cure di un altro. Scegliamo l’accoglienza per non tradire la legge della vita, per non sciupare le nostre esistenze in esercizi di superficie, per essere seriamente cristiani, perché, come scrive Rosario Livatino il giudice ragazzino, ucciso dalla mafia perché operava per la giustizia: non basta essere credenti, dobbiamo essere credibili. MARINA CONCLUSIONI Un altro mondo è possibile: è bello questo slogan, potrebbe essere il sottotitolo del Vangelo! Un mondo diverso da quello dominato dalla legge del mercato, dove gli esseri umani sono immolati al dio denaro. L’utopia è quel luogo seminato da Dio nel grembo della storia con la tattica del pizzico di lievito, che lentamente cresce, tenacemente cresce, nonostante tutto cresce. Possiamo allora fare attenzione a tutti i progetti nuovi che sbocciano qua e là, aprire le porte, guardare con più interesse a ciò che succede fuori dalla chiesa, informarsi, conoscere. Perché è molto quello che è nato fuori dalle nostre porte negli ultimi anni. E’ nata soprattutto consapevolezza, sono nate utopie, (l’utopia non va mai disprezzata perché è il motore del cambiamento sociale!), sono nate “buone pratiche”. Consapevolezza dell’interconnessione dei problemi, perché è la vita a essere fatta così. Tutti i viventi sono legati reciprocamente tra loro. Se voglio occuparmi del prossimo non posso disinteressarmi dell’ambiente, sono questioni legate strettamente. Ogni albero tagliato in Amazzonia, ogni metro quadrato cementificato nella nostra provincia sono vita che muore, e presto questa morte ricadrà con effetti negativi sugli uomini, sotto forma di inquinamento, squilibri climatici, dissesti idrogeologici che portano sofferenze e mietono tantissime vite umane. Sono nate tante “buone pratiche”, che toccano le scelte individuali. Si tratta di scelte di condivisione, di sobrietà, di vita in comune ma anche di consapevolezza nelle cose di tutti i giorni: per es. scegliere di acquistare da un gruppo di acquisto solidale, un GAS, anziché al supermercato, significa rifiutarsi di dare i nostri soldi alle multinazionali che sfruttano il lavoro minorile in paesi poveri e distruggono le economie locali, e favorire invece i produttori del sud del mondo o magari un piccolo produttore della nostra zona, aiutando piccole economie a sopravvivere e a preservare il nostro territorio, salvando terreno agricolo dalla cementificazione. Ogni nostro gesto, anche il più piccolo, ha tante ricadute. Sono cose piccole come granelli di senape ma alla portata di tutti. Ho letto su un blog: «noi con i gas e altre stupidaggini cambieremo il mondo, e se non riusciremo a cambiarlo, almeno avremo cambiato noi stessi». Siamo nel mondo della rete, dell’interconnessione, della complessità. Non possiamo più permetterci di pensare a compartimenti stagni. Dobbiamo essere in tutti i sensi una Chiesa in uscita. Uscire per imparare dagli altri e fare squadra con tutti gli uomini e le donne di buona volontà che lavorano al sogno del cambiamento e al bene comune. Abbiamo l’enorme fortuna di esserci lasciati alle spalle l’epoca delle ideologie che creavano barricate, possiamo prenderci ora il lusso di lottare insieme con tutti. Anche la Chiesa non è più irrigidita nel dogmatismo, tesa a difendere se stessa, una chiesa giudicante e sempre sospettosa verso gli altri, quelli che non sono i “nostri”. Ci fa bene uscire e andare a sentire cosa pensano di noi gli altri, non essere sempre noi a giudicare loro; solo nello specchio dell’altro mi posso riconoscere, capire i miei errori e cercare di migliorarmi. Cosa pensano di noi? Che siamo quelli che mantengono lo status quo e però mettono cerotti alle ferite del mondo: delle crocerossine. Cosa possiamo fare perché tanti cambino l’opinione sui cattolici? Perché ci vedano come quelli che vivono assillati dal “morso del più”, dal pungolo di lasciare il mondo migliore di come lo hanno trovato, di trasformarlo nel regno dell’amore? Dobbiamo sperare, lottare, pensare, progettare, studiare, faticare insieme con tutti gli uomini e donne che hanno lo stesso obiettivo, senza chiedere tessere e patenti di buona condotta a nessuno. Ancora adesso certi cristiani hanno un fiuto per cercare negli altri solo quello che non va, il negativo, il marcio. Fanno come le mosche: vanno in cerca di tutto quello che puzza. Ma la mosca non è certo l’animale più nobile a cui vogliamo assomigliare. Preferisco assomigliare alla farfalla che cerca tutto quello che profuma, e spostandosi di fiore in fiore feconda ciò che tocca. Vedere negli altri il bene che portano, metterlo insieme al mio, per fecondarci reciprocamente. Chiunque lotta per la vita contro una cultura di morte, è con noi nella grande battaglia per un mondo nuovo. «Questa non più l’epoca del dogmatismo, che ha condotto Pietro ad andare dove non voleva, ma dello Spirito che soffia e fa nuove tutte le cose» (G. Vannucci) Nel Vangelo, insiste papa Francesco, il messaggio che Dio sta dalla parte dei poveri è talmente chiaro e semplice che non può essere oscurato, come invece la Chiesa ha fatto nel passato e alcuni continuano a fare ancora oggi, perché attenti a conservare la dottrina più che a ‘uscire’ per trasformare il mondo. LETTURA CONCLUSIVA Insegnaci a pregare (di M.Marcolini) «Uno dei suoi discepoli gli disse: Signore, insegnaci a pregare. Ed egli disse loro: Quando pregate, dite: Padre, sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno; dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano, e perdona a noi i nostri peccati, anche noi infatti perdoniamo a ogni nostro debitore, e non abbandonarci alla tentazione» (Lc, 11,1-13). Quando pregate dimenticate il singolare, perché Dio non lo conosce. Sta fuori della sua grammatica. Dio è trinitario, un movimento plurale dʼamore. Anche se pregate da soli, sentitevi in accordo con tutti gli uomini della terra, con quelli che chiamano Dio con un altro nome e con quelli che non sanno o non vogliono pregare. Sentitevi in musicale armonia anche con le creature che non possono pregare, con lʼalbero e con lʼerba, con i pesci e con gli uccelli, con la nuvola e la stella, per i quali voi sarete bocca e canale della grazia. Suonate il vostro strumento come parte di unʼintera, grandiosa sinfonia. Sentite il creato intero che prega attraverso voi, che canta al Padre il suo desiderio di vita, di bene, di pane, di fioritura. Perché tutti desiderano queste stesse cose e se lo capite non riuscirete più a dare dello straniero a nessuno. E la prima cosa da chiedere è questa: Signore, tu che sei amore, faʼ che lʼamore sia amato, che sia santificato da tutti nel mondo. E la seconda è questa: noi sappiamo che un altro mondo è possibile, un mondo dove lʼamore regni e non il denaro o il potere e allora faʼ, Signore, che questo tuo mondo si realizzi. E unʼaltra cosa da chiedere è questa, ma viene solo per terza, perché senza le prime due non ci basta: dacci il cibo che ci serve, solo quello che ci serve, per tutti. Perché se uno si sfama e uno muore, allora il mondo di Dio non può venire. E la quarta cosa è questa: libera il nostro futuro dal passato, le colpe nostre e di chi ci ha fatto male, rendici leggeri, dacci agili piedi di cerva. Toglici dalle spalle la zavorra che non serve, il passato rivangato, le ferite che teniamo aperte. Perché noi conosciamo la potenza del perdono e perciò anche noi lo doniamo a noi stessi e ai nostri fratelli, per tornare freschi di mente e di cuore, costruttori di pace e di futuro. E lʼultima cosa è questa: se ci vedi camminare dentro la paura, la sfiducia, la tristezza, che ti oscurano come la nebbia oscura il sole, o se ci senti attratti verso ciò che ci fa male, Padre, dacci la tua mano e accompagnaci fuori. Sarà come decollare e bucare le nuvole e tornare nellʼazzurro e nella luce.