spazi confinati - Scuola di Formazione Ipsoa

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spazi confinati - Scuola di Formazione Ipsoa
TEORIA E PRATICA DEL LAVORO IN
AMBIENTI CONFINATI
ING. ROBERTO NICOLUCCI
I TERMINI SPAZIO, AMBIENTE, LUOGO, VANO SONO
SINONIMI.
I TERMINI CONFINATO E RISTRETTO SONO SINONIMI.
UN AMBIENTE CONFINATO NON E’ NECESSARIAMENTE
CHIUSO E NON NECESSARIAMENTE DI DIMENSIONI RIDOTTE.
VI – IV MILLENNIO a.C.
2500 a.C.
I° SEC. d.C.
1556
1831
1850-1900
1906
1910
1925
1922
NFPA 306
1956
DPR 164 (art. 15)
DPR 303 (art. 25)
DPR 320
DPR 321
1959
DPR 128/59
1970-1990
2008
2011
ANSI - OSHA - NIOSH - API - NFPA - AWS
D.Lgs. 81 (art. 66, 121)
DPR 177
I PROGRAMMI DI RICERCA 1970 - 1990
1979
1982
1982
1983
1985
1990
NIOSH
NIOSH
OSHA
OSHA
OSHA
NIOSH
276
83
50
105
122
585
193 (234)
83
78
126
173
670
GLI INCIDENTI ALL’INTERNO DEGLI AMBIENTI CONFINATI SI
CARATTERIZZANO PER ALCUNE PECULIARITA’
1. La medesima operazione che provoca una o più vittime è
stata molte volte eseguita precedentemente alle medesime
(apparenti) condizioni;
2. L’incidenza del numero di vittime rispetto alle ore lavorate
è estremamente più elevata che in qualsiasi altro ambiente
di lavoro;
3. Parecchi studi svolti in differenti settori operativi (industria,
oil&gas e shipping, agricoltura, ecc.) rilevano un rapporto
tra infortuni mortali e non mortali prossimo a 1 (non trova
quindi applicazione la teoria di H.W.Heinrich [300:29:1] o di
F. Bird [600:30:10:1]);
4.
5.
Secondo diverse fonti, oltre il 50% delle vittime è
rappresentato da soccorritori;
Con stupefacente frequenza, soprattutto in particolari settori
produttivi a conduzione familiare (trasporto, agricoltura, ecc.)
le vittime sono congiunti (catena della solidarietà).
Una caratteristica tipica degli incidenti all’interno di spazi
confinati è che, più che in altri ambienti di lavoro, si
tratta di infortuni multipli.
Il più grave infortunio mortale multiplo (non minerario)
avvenuto in Italia è accaduto proprio in un ambiente
confinato (13 vittime).
Il fatto che si registrino vittime non soltanto tra i lavoratori, ma
molto spesso anche tra i soccorritori, dipende da:
• mancata conoscenza delle problematiche specifiche relative
agli spazi confinati;
• difficoltosa riconoscibilità dei fattori di rischio;
• inadeguatezza dell’addestramento e della dotazione di
presidi di soccorso.
LA DEFINIZIONE DI SPAZIO CONFINATO HA
SUBITO UNA EVOLUZIONE NEL TEMPO
SEGUENDO DUE DIFFERENTI FILOSOFIE:
•
SCUOLA AMERICANA
•
SCUOLA EUROPEA
IN GENERALE LE DEFINIZIONI CORRENTI
PRENDONO IN CONSIDERAZIONE:
• CARATTERISTICHE “MORFOLOGICHE”
• CARATTERISTICHE “ATMOSFERICHE”
• CARATTERISTICHE “MISTE”
• ESCLUSIONI APPLICATIVE
Prendendo spunto dalla prima definizione proposta dall’OSHA,
oggi numerose norme di legge e standard in vigore in diversi Paesi
riportano una definizione di spazio confinato che lo connota come
segue:
•
•
•
•
non sia stato progettato per svolgervi un’attività lavorativa ordinaria, ma tuttavia
sia sufficientemente grande per consentire ad almeno una persona di entrarvi
completamente e svolgervi una qualche attività;
sia caratterizzato da limitate aperture di accesso e/o da una ventilazione naturale
sfavorevole;
possa verificarsi al suo interno un evento accidentale importante, che possa
portare ad un infortunio grave o mortale a causa della sua configurazione e/o
della presenza di agenti chimici, fisici e biologici pericolosi caratteristici
dell’ambiente stesso e/o correlati all’attività che vi si va a svolgere;
in particolare, che l’atmosfera possa presentare pericoli legati a una sotto o sovra
ossigenazione o alla presenza di gas o vapori tossici o infiammabili.
In nessuna norma (legge, regolamento,
standard) oggi in vigore vi sono riferimenti
relativi alle dimensioni dell’ambiente.
In generale, appare oggi universalmente
condiviso che la principale clausola di non
applicabilità delle norme relative agli spazi
confinati risieda nel fatto che si tratti di
ambiente progettato e realizzato per un’attività
continuativa.
Molto spesso le uniche limitazioni operative che
vengono riportate sono relative a:
– tenore di ossigeno nell’atmosfera, generalmente, a
seconda dello standard, indicato tra il 18,5% ed il
25%;
– tossicità dell’atmosfera, quasi universalmente
indicata dal TLV-TWA o da un equivalente indice, a
seconda del Paese di applicazione;
– esplosività dell’atmosfera, generalmente indicata in
un valore massimo variabile tra il 5 ed il 25% del LEL
a seconda dei casi.
Un aspetto da non sottovalutare nell’identificazione di un
ambiente confinato, è la frequente dinamicità delle
caratteristiche che lo connotano. Un ambiente confinato
non è necessariamente tale durante tutto l’arco della sua
“vita”. Infatti le condizioni e i rischi per gli operatori
possono facilmente variare a seconda delle condizioni al
contorno, delle condizioni interne o delle attività che al
suo interno vengono eseguite.
SPAZI CONFINATI
• 150 DIFFERENTI TIPOLOGIE (J. Rekus)
• 36 FATTORI DI RISCHIO (N. Mc Manus)
NON E’ POSSIBILE STILARE UNA LISTA
ESAUSTIVA DI TIPOLOGIE DI LUOGHI
CONFINATI.
VEDIAMO ALCUNI ESEMPI.
CISTERNE E SERBATOI DI STOCCAGGIO
FUORI TERRA E INTERRATE
SILOS PER CEREALI
IMPIANTI CHIMICI E PETROLCHIMICI
SERBATOI PER GAS LIQUEFATTI E COMPRESSI
FERROCISTERNE E AUTOCISTERNE
CONDOTTE, CAMERETTE E POZZETTI FOGNARI
CUNICOLI DI SOTTOSERVIZI URBANI ED INDUSTRIALI
(RETE IDRICA, TELEFONICA, ELETTRICA, VENTILAZIONE,
ARIA COMPRESSA, TELERISCALDAMENTO, VAPORE, ECC.)
POZZI IDRICI
CIMINIERE E CAMINI CIVILI E INDUSTRIALI
FOSSE BIOLOGICHE
STIVE DI CARICO E CISTERNE DI NAVI
CANTIERISTICA NAVALE DI COSTRUZIONE,
RIPARAZIONE E TRASFORMAZIONE
VASCHE DI DECANTAZIONE
IMPIANTI DI TRATTAMENTO FANGHI FISSI E MOBILI
GENERATORI EOLICI
STRUTTURE E IMPIANTI OFFSHORE
DELL’INDUSTRIA DELL’OIL&GAS (UPSTREAM)
SILOS PER INERTI O CEMENTO
CAMERE DI COMBUSTIONE DI FORNACI, ACCIAIERIE,
GENERATORI DI VAPORE
ATTIVITA’ DI CARPENTERIA MECCANICA E CALDARERIA
PIPELINES
SCAVI E TRINCEE DI FONDAZIONE
TRAMOGGE
AEROMOBILI
CELLE FRIGORIFERE
SOTTOTETTI ED INTERCAPEDINI DI EDIFICI
SCANTINATI
VANI ASCENSORE
CONDOTTE DI VENTILAZIONE
FOSSE DI MANUTENZIONE DEGLI AUTOVEICOLI
GRANDI MOTORI MARINI
CONTAINER
TORRI PIEZOMETRICHE
SCAVI ARCHEOLOGICI
IMPIANTI IDROELETTRICI
DIGESTORI ANAEROBICI
GASOMETRI
IMPIANTI TRATTAMENTO ACQUE
ATTIVITA’ FUNERARIE
AUTOBETONIERE (IMPIANTO DI BETONAGGIO)
CABINATI CON IMPIANTI DI ESTINZIONE A GAS INERTI
PISCINE (VUOTE)
IMPIANTI DI VINIFICAZIONE
PARCHI MINERARI
TUNNEL STRADALI, FERROVIARI E DI LINEE
METROPOLITANE
GALLERIE MINERARIE
TRINCEE DI VARO
ALCUNI AMBIENTI CONFINATI NON SONO COSI’ OVVI E
RICONOSCIBILI: AD ESEMPIO PISCINE, GRANDI SCAVI A CIELO
APERTO O AMBIENTI CHIUSI ORDINARI “SEMPLICEMENTE”
CARATTERIZZATI DA SCARSA VENTILAZIONE VENGONO SPESSO
CLASSIFICATI COME SPAZI CONFINATI DA UNA VASTISSIMA
LETTERATURA INTERNAZIONALE SALVO RICLASSIFICARLI COME
AMBIENTI ORDINARI DOPO ADEGUATA
BONIFICA/VENTILAZIONE.
Anche molti manufatti industriali, per le loro dimensioni e
caratteristiche, potrebbero non apparire classificabili come
ambienti confinati, ma nessuna norma internazionale usualmente
deroga sulla loro classificazione se non (ma non sempre)
limitatamente alle fasi della loro costruzione.
SPAZIO ADIACENTE (ADJACENT SPACE)
Il concetto di “spazio adiacente”, direttamente correlato a quello
di spazio confinato, è stato per la prima volta introdotto dallo
standard NFPA 306 Control of Gas Hazards Aboard Vessels.
L’importanza di questo concetto, rielaborato nel tempo, non è
secondaria a quella stessa di spazio confinato.
DEFINIZIONE
SI DEFINISCE “SPAZIO ADIACENTE” UN QUALSIASI
AMBIENTE CHE, RISPETTO ALLO SPAZIO CONFINATO
SUL QUALE SI DEVE INTERVENIRE, SIA CONFINANTE
VERTICALMENTE, ORIZZONTALMENTE O
DIAGONALMENTE.
La zona di contatto può essere costituita dal fondo, dal
soffitto, da una o più pareti laterali o anche da un solo
spigolo.
2 CASI DI STUDIO
- le TANK FARM
- le TANK SHIP
PERCHE’ SI ENTRA IN UNO SPAZIO CONFINATO
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
asportazione di liquidi, fanghi o altri prodotti non drenabili;
pulizia generale del vano;
ispezione visiva dell’integrità del vano e/o degli impianti in esso contenuti;
controlli non distruttivi e misurazioni;
sabbiature, pitturazioni, coibentazioni, trattamenti termici, saldatura, taglio alla
fiamma, disinfestazioni della struttura del vano o di tubazioni in esso presenti;
regolazione, riparazione o sostituzione di apparecchiature meccaniche ed
elettrostrumentali;
lettura di strumenti non remotati;
manutenzione, riparazione, installazione, rimozione di apparecchiature (pompe,
motori, apparecchiature di controllo e misura, valvole, tubazioni, cablaggi, ecc.);
costruzione, modifica o smantellamento del vano medesimo;
salvataggio e recupero di lavoratori infortunati.
COSA SI INTENDE PER INGRESSO IN UN AMBIENTE
CONFINATO?
1
2
3
4
NTER OF GRAVITY
n of the
fixed as
body
ange
s shape
changes,
of the
Fig 14.3
USUALI VARCHI DI ACCESSO
Non esistono norme di legge o standard tecnici che fissino limiti di ingresso correlati alle
dimensioni del varco.
Nel tempo gli standard di riferimento per passi d’uomo e aperture di altro tipo sono, in
alcuni casi, variati sensibilmente.
Gli standard a parità di “epoca” non sono peraltro omogenei passando da un settore ad
un altro.
Generalmente le dimensioni più ridotte si trovano nei mezzi di trasporto e negli
apparecchi in pressione.
Ad esempio le BS per il settore civile raccomandano varchi minimi di 900 x 600 mm e 600
x 600 mm.
Molto diffusi sono però ancora i passi d’uomo realizzati prima dell’inizio degli anni 90 di
dimensioni 18 " x 16 " (458 x 407 mm) rettangolari o ovali o circolari Ø 18 “ (458 mm),
mentre sui mezzi di trasporto sono diffusi i 16“x 14 “ (407 x 356 mm) o circolari da 16 “
(407 mm).
Numerosi studi hanno dimostrato che il passaggio minimo necessario per consentire ad
un operatore di entrare con SCBA già indossato è di 575 mm.
In caso di presenza di scale alla marinara la distanza tra gradini e parete opposta deve
essere come minimo 900 mm.
UNA ECCEZIONE AD UNA REGOLA COMUNE.
L’ambiente confinato è uno dei pochi ambienti di
lavoro nei quali è statisticamente più sicuro operare da
soli piuttosto che in presenza di un compagno di
lavoro. Se il compagno di lavoro resta all’esterno in
posizione “protetta” anziché entrare si raggiunge un
livello di sicurezza maggiore per l’operatore.
In generale: meno persone entrano e meglio è.
QUALI SONO I PRINCIPALI RISCHI PER I LAVORATORI CHE
OPERANO IN UNO SPAZIO CONFINATO?
A seconda del settore produttivo di applicazione, della norma o delle
specifiche esigenze, si è di volta in volta ritenuto più opportuno
classificare i pericoli in maniera differente, spesso:
•
•
in relazione alla loro origine rispetto all’ambiente confinato
(endogena o esogena);
in relazione alla loro natura (chimica, fisica, biologica).
In alcuni casi, a livello normativo, si è preferito porre l’accento sui
pericoli presenti nell’ambiente o comunque in qualche modo correlabili
ad esso, mentre in altri casi si è preferito focalizzare l’attenzione sui
rischi per gli operatori.
MACRO CLASSIFICAZIONE DEI RISCHI
• rischio di asfissia: causato da carenza di ossigeno dovuta ad
ossidazioni, fermentazioni, inertizzazioni;
• rischio di natura chimica: causato da presenza di sostanze
nocive per l’uomo;
• rischio di natura biologica: causato da presenza di agenti
patogeni di varia natura;
• rischio di natura fisica/meccanica:
– rischio elettrico: causato da utilizzo di attrezzature ad alimentazione
elettrica o difetti di isolamento degli impianti;
– rischio di incendio/esplosione: causato da presenza di atmosfere
esplosive o sovra ossigenazione;
– rischio rumore: causato da utilizzo di attrezzature di lavoro;
• rischio caduta: causato da inciampo, scivolamento, utilizzo di
scale e ponteggi, ecc.;
• rischio annegamento: causato da presenza di liquidi;
• rischio schiacciamento: causato da caduta di carichi,
franamento di materiali incoerenti, utilizzo di utensili, ecc.;
• rischio ergonomico: causato da posture scorrette;
• rischio ustioni: causato da utilizzo di apparecchi di saldatura,
ossitaglio o genericamente da radiazioni termiche.
Una diffusa classificazione prevede una semplice
distinzione tra pericoli atmosferici e non atmosferici.
Tra le cause atmosferiche si ricomprendono tipicamente
le atmosfere sottossigenate, sovraossigenate, tossiche
ed esplosive.
L’aria che respiriamo.
COMPOSIZIONE DELL'ARIA SECCA
Nome
Form
ula
Proporzione o frazione molecolare[ppm]
Azoto
N2
78,08 %
Ossigeno
O2
20,95 %
Argon
Ar
0,934 %
Diossido di carbonio
CO2
388 ppm (agosto 2010)
Neon
Ne
18,18 ppm
Elio
He
5,24 ppm
Monossido di azoto
NO
5 ppm
Kripton
Kr
1,14 ppm
Metano
CH4
1 / 2 ppm
Idrogeno
H2
0,5 ppm
Ossido di diazoto
N2O
0,5 ppm
Xeno
Xe
0,087 ppm
Diossido di azoto
NO2
0,02 ppm
Ozono
O3
da 0 a 0,01 ppm
Un’atmosfera di lavoro “ideale”, ovvero perfettamente sicura, è
caratterizzata dalle seguenti condizioni:
• tenore di ossigeno prossimo a quello presente normalmente nell’aria (20,9% in
volume);
• assenza di agenti chimici tossici;
• assenza di gas e vapori infiammabili o esplosivi;
• assenza di polveri combustibili capaci di disperdersi in aria nel campo di esplosività;
• assenza di agenti patogeni, allergeni, ecc.;
• assenza di polveri, nebbie, fumi, vapori che impediscano la visibilità;
• temperatura ambiente compresa tra i 16°C ed i 24°C e assenza di radiazioni
termiche;
• umidità nell’ambiente compresa tra il 50 ed il 70%;
• assenza di correnti d’aria fastidiose (< 0,3 m/sec);
• assenza di odori sgradevoli.
• assenza di radiazioni ionizzanti, radioattività e NIR (EMF, laser, ottiche, ecc.).
Per quanto riguarda l’ambiente “microclimatico” di lavoro, sebbene
non strettamente correlati all’atmosfera è possibile aggiungere
anche i seguenti requisiti:
• illuminazione commisurata all’attività da svolgersi (30 ÷ 300
lux) ed assenza di abbagliamenti;
• assenza di rumorosità (< 80 dB (A)) e vibrazioni;
• possibilità di assumere una posizione ergonomicamente
corretta.
Caratteristiche fondamentali da indagare relativamente al
potenziale di pericolosità presente in ambiente confinato.
A.
B.
C.
D.
E.
F.
G.
H.
I.
J.
Stato fisico delle sostanze presenti (sez. 9 MSDS).
Percentuale di ossigeno in atmosfera.
Limite di esposizione ad una sostanza tossica (o asfissiante) (sez. 8 MSDS).
Campo di infiammabilità/esplosività (sez. 9 MSDS).
Punto di infiammabilità (sez. 9 MSDS).
Temperatura di autoaccensione (sez. 9 MSDS).
Densità dei vapori e dei gas rispetto all’aria (sez. 9 MSDS).
Odore naturale o odorizzazione artificiale rilevabile (sez. 9 MSDS).
Solubilità in acqua o in altri solventi (sez. 9 MSDS).
Incompatibilità chimiche (sez. 10 MSDS).
RISCHIO ASFISSIA (IPOSSIA)
Quali sono gli effetti fisiologici sull’uomo derivanti da una
concentrazione di ossigeno modificata rispetto al valore standard?
O2 (%vol)
22.5
21
19.5
Effetti e sintomi
Nessuno (massima concentrazione di sicurezza)
Nessuno (concentrazione media nell’aria)
Nessuno (minima concentrazione di sicurezza)
15 - 19
Primi segnali di ipossia. Riduzione della capacità di lavoro. Può
provocare scompensi a soggetti con problemi coronarici,
polmonari o circolari.
12 - 14
La frequenza respiratoria aumenta, le pulsazioni aumentano,
indebolimento della capacità muscolare, della percezione e di
giudizio.
10 - 12
Ulteriore aumento della frequenza e intensità respiratoria,
labbra leggermente blu.
8 - 10
Problemi mentali, svenimento, incoscienza, faccia cinerea,
labbra blu, nausea, vomito, difficoltà di movimenti.
6-8
6 minuti – 50% probabilità di morte
8 minuti – 100% probabilità di morte
4-6
Coma in 40 secondi, convulsioni, blocco respirazione, morte.
L’effetto sul nostro organismo generato dalla carenza di ossigeno in
atmosfera è esattamente identico a quello che viene provocato da
un aumento di quota (ipobarismo). Aumentando l’altitudine la % di
O2 nell’aria resta invariata (così come, in generale, la sua
composizione), ma diminuisce la sua pressione parziale
esattamente come se vi fosse una calo della % in volume.
Altezza
m s.l.m.
Pressione
mmHg
Temperatura
°C
Altezza
m s.l.m.
Pressione
mmHg
Temperatura
°C
0
760
+15
11000
189,51
-56,5
1000
669,85
+8,5
12000
167,03
-56,5
2000
590,40
+2,0
13000
147,22
-56,5
3000
520,37
-4,5
14000
129,75
-56,5
4000
458,64
-11,0
15000
114,36
-56,5
5000
404,24
-17,5
16000
100,80
-56,5
6000
356,30
-24,0
17000
88,84
-56,5
7000
314,03
-30,5
18000
78,30
-56,5
8000
276,78
-37,0
19000
69,02
-56,5
9000
243,95
-43,5
20000
60,83
-56,5
10000
215,01
-50,0
LA PRESSIONE PARZIALE DELL’ARIA SUBISCE DELLE
VARIAZIONI ANCHE PER FATTORI ESTRANEI ALLA
QUOTA:
• VARIAZIONE REGOLARE COSIDDETTA DIURNA;
• VARIAZIONE IRREGOLARE CONSEGUENTE ALLE
VARIAZIONI METEO;
• VARIAZIONE IRREGOLARE DOVUTE ALL’UMIDITA’ E ALLA
TEMPERATURA;
DI CONSEGUENZA ANCHE LA PpO2 NE RISENTE.
In fisica e in chimica, la legge delle pressioni parziali di Dalton è la legge che afferma
che:
La pressione totale esercitata da una miscela ideale di gas ideali è uguale alla somma
delle pressioni parziali che sarebbero esercitate dai gas se fossero presenti da soli in un
eguale volume.
La diminuzione della pressione barometrica e della PpO2 alle diverse altitudini s.l.m.
può essere così schematizzata:
QUOTA (m)
PB (mmHg)
PpO2 (mmHg)
0
760
159
1000
674
141
2000
596
124
3000
526
100
4000
462
96
5000
405
84
Di fatto quindi, l’effetto sull’organismo umano provocato da una
diminuzione della PpO2 derivante da una diminuzione della
pressione barometrica dell’aria è del tutto simile all’effetto
provocato da una diminuzione della % di O2 riferita ad una
miscela a 760 mmHg di pressione.
La similitudine tra gli effetti di una diminuzione della pressione
barometrica e gli effetti di una sottossigenazione è
rappresentata dalla seguente tabella.
Bassa
quota
Media
quota
Alta
quota
Altissima
quota
Altitudine (m)
0 ÷ 1800
1800 ÷ 3000
3000 ÷ 5500
5500 ÷ 9000
Pressione atmosferica
(mmHg)
760 ÷ 611
611 ÷ 525
525 ÷ 379
379 ÷ 231
% O2 equivalente a 0 m slm
20,9 ÷ 16,9
16,9 ÷ 14,5
14,5 ÷ 10,5
10,5 ÷ 6,3
L’equivalenza tra la PpO2 di un’atmosfera con 20,9% di
ossigeno ad una data quota e il tenore di ossigeno
“equivalente” in una atmosfera standard (0 m slm) si
ricava dalla semplice equazione:
% O2 in aria = PB/760 x 20,9
LA RESPIRAZIONE ESTERNA E CELLULARE
C6H12O6 + 6O2 → 6CO2 + 6H2O + energia metabolica (molecole di ATP)
Una volta che l’ossigeno si è legato all’emoglobina si
ha la formazione di ossiemoglobina (Hb-O2); essa si
trasforma in deossiemoglobina una volta che questa
rilascia ai tessuti l’ossigeno e in carbodiossiemoglobina
(Hb-CO2) una volta che la molecola ha captato
l’anidride carbonica prodotta dai processi di
metabolismo ossidativo cellulare.
Questa molecola, infine, rilascia l’anidride carbonica
all’interno dei polmoni, consentendone l’espulsione
dal corpo umano, chiudendo così il ciclo del trasporto.
Tra le principali cause che possono portare ad una
SOTTOSSIGENAZIONE all’interno di un ambiente confinato vi
sono:
A. le reazioni di ossidazione:
2Fe + 3O2 (da umidità atmosferica) → 2Fe2O3
ad es. durante la tipica reazione di arrugginimento del ferro all’aria nella quale il ferro
si combina con l’ossigeno; in caso di ambiente confinato, caratterizzato da scarsa o
assente ventilazione, l’ossigeno viene così sottratto all’atmosfera interna;
B. le reazioni di fermentazione:
Sostanze Organiche + O2 + microrganismi-enzimi → CO2
durante i processi di fermentazione i microrganismi digeriscono la sostanza organica (ad
es. grano, altri cereali, ecc.) consumando ossigeno e producendo anidride carbonica;
C. il consumo di ossigeno contenuto nell’aria attraverso processi che
comportano l’utilizzo di fiamme libere (saldatura, taglio, preriscaldo, ecc.)
nei quali l’ossigeno presente in ambiente costituisce il comburente
primario (nel caso ad esempio del GPL) o secondario (quando il
comburente primario è contenuto in bombole come ad es. nel caso della
fiamma ossiacetilenica);
2C2H2 + 5O2 = 4CO2 + 2H2O (combustione ossiacetilenica)
Una reazione analoga avviene in tutte le cosiddette combustioni ossigas.
Un brevissimo approfondimento merita, in termini di potenziale modificazione
dell’atmosfera interna ad un ambiente confinato, l’attività di saldatura e taglio
mediante impianto ossiacetilenico; in particolare la fiamma ossiacetilenica presenta i
seguenti aspetti e caratteristiche: essa è costituita da una parte più interna (detta
dardo) a diretto contatto con l’ugello di erogazione dei gas (la cui temperatura può
superare anche i 2500 °C) ed una parte più esterna, più grande e più fredda
(nell’ordine dei 1000°C) detta pennacchio; in quest’ultima zona può essere presente a
seconda dei casi un eccesso di ossigeno oppure un eccesso di gas combustibile oltre a
prodotti di combustione (CO2, vapore acqueo, ecc.).
La fiamma ossiacetilenica è classificata normalmente in tre differenti tipi.
Neutra (ottenibile con un regolazione al 50/50 del rapporto tra gas combustibile e
comburente)
Riducente (caratterizzata da un eccesso di gas combustibile)
Ossidante (caratterizzata da un eccesso di gas comburente)
Fiamma neutra
Fiamma riducente (eccesso di acetilene)
Fiamma ossidante (eccesso di ossigeno)
Non necessariamente si tratta nel secondo e nel terzo caso di difetti di combustione
indesiderati; a volte, a seconda delle necessità operative, può essere l’operatore a
modificare il bilanciamento tra i due gas.
ATTENZIONE!! In caso di fiamma riducente può avvenire una combustione dell’acetilene
in eccesso nella zona esterna al dardo (ovvero all’interno del pennacchio) che grazie alla
alta temperatura brucia utilizzando l’ossigeno atmosferico e quindi sottraendo ossigeno
all’ambiente.
D. i processi che portano alla SOSTITUZIONE dell’ossigeno con gas non tossici
ma ASFISSIANTI: ad esempio i processi di inertizzazione, ovvero la
sostituzione dell’aria ricca di gas infiammabili all’interno di cisterne o
serbatoi (contenenti liquidi infiammabili) con gas nobili (ad es. Ar) o, in
generale, inerti (ad es. CO2, N2); i processi di saldatura sotto protezione di
gas inerte, attivo o inattivo (MIG, MAG, TIG); la realizzazione di montaggi
meccanici per interferenza; il dry ice blasting.
E. le reazioni cellulari:
C6H12O6 + 6O2 → 6CO2 + 6H2O + energia metabolica (molecole di ATP)
La respirazione cellulare è il meccanismo attraverso il quale la cellula in
presenza di ossigeno è in grado di ricavare energia per i processi vitali
(metabolismo basale) e lavorativi.
La respirazione cellulare è suddivisibile in parecchi passaggi in cui i prodotti
di una reazione di ossidazione vengono poi utilizzati come base per una
reazione successiva.
Una delle più importanti reazioni metaboliche è rappresentata dalla
trasformazione del glucosio.
Durante il processo di respirazione esterna si
immette aria contenente il 21% di O2 (in
condizioni standard) e si ri-emette in ambiente
aria contenente il 16% di O2 .
F.
Adsorbimento/absorbimento
In taluni casi di ingresso in ambienti confinati caratterizzati da presenza di
terreno contaminato con idrocarburi o con altre sostanze organiche, sono
stati segnalati casi di asfissia causati da forte adsorbimento e/o
absorbimento.
Anche una atmosfera arricchita di ossigeno
(SOVRAOSSIGENAZIONE) può comportare gravi rischi
per gli operatori, infatti:
• aumentando il livello di ossigeno in atmosfera, aumentano il campo di
infiammabilità e la velocità di propagazione della fiamma di un materiale
combustibile;
• aumentando il livello di ossigeno in atmosfera, l’energia minima di
innesco diminuisce drasticamente così come la temperatura di
autoaccensione;
• con il 24 % di O2 in aria, materiali quali tessuti per vestiario possono
addirittura subire una combustione spontanea; i grassi vegetali e gli
idrocarburi, se investiti da ossigeno nascente (cioè non legato in una
molecola e quindi altamente reattivo) possono auto infiammarsi
facilmente.
La NFPA classifica come ambienti sovraossigenati quelli in cui l’ossigeno
supera la soglia del 23,5% in volume.
Nel settore industriale, l’ossigeno puro è utilizzato in più processi, quali
ad esempio:
• nel settore chimico e petrolchimico, è utilizzato per ossidare parzialmente
diversi composti organici, idrocarburi liquidi, gassosi e carbone, per ottenere
intermedi destinati alla chimica fine;
• nel settore siderurgico è utilizzato nella produzione dell’acciaio, come ad
esempio nel processo al convertitore Linz-Donawitz;
• nel settore minerario è impiegato per la raffinazione del rame, del’oro e di
altri metalli;
• negli impianti di trattamento e potabilizzazione dell’acqua per produrre
l’ozono o per effettuare direttamente pre-trattamenti;
• nell’industria dei semiconduttori per produrre microchips;
• nell’industria cartaria per la sfibratura e sbiancatura della polpa di legno;
• nella carpenteria meccanica viene utilizzato, come già visto, nei processi di
ossitaglio.
Un elevato rischio per la presenza di atmosfere
sovraossigenate si ha anche negli impianti di
produzione dell’ossigeno (generalmente ottenuto per
distillazione dell’aria), a bordo dei mezzi di trasporto o
nei siti di stoccaggio dell’ossigeno liquefatto o
compresso.
L’ossigeno può infatti essere trasportato e stoccato sia
in forma gassosa che sotto forma di liquido criogenico.
Si osservi che l’evaporazione di un litro di ossigeno allo
stato liquido porta alla formazione di circa 820 litri di
ossigeno gassoso alla temperatura di 20°C.
In un vano di 10 m3 la dispersione di un litro di
ossigeno liquido comporterebbe un incremento del
gas fino al 29% in volume.
Tra le principali cause che possono portare ad un aumento della
percentuale di O2 in un ambiente confinato vi sono:
• Fuoriuscita di ossigeno da manichette, rubinetterie e in
generale apparecchiature difettose degli impianti ossigas;
• Processi ossigas effettuati con fiamma OSSIDANTE.
• Fuoriuscita di ossigeno dagli impianti di produzione
(distillazione dell’aria) e stoccaggio (in pressione o criogenico)
o da impianti di processo in cui è impiegato come ossidante.
Per evitare sovraossigenazioni accidentali occorre adottare alcuni
importanti accorgimenti.
• Proteggere meccanicamente manichette e rubinetterie al fine di scongiurare
danni;
• Ispezionare frequentemente le attrezzature di lavoro alla ricerca di eventuali
perdite o danneggiamenti;
• Chiudere sempre i rubinetti delle bombole dei gas quando l’impianto non
viene utilizzato (anche per pause di pochi minuti);
• Non rimuovere la polvere con ossigeno in pressione, ma solo con aria
compressa;
• All’accensione degli impianti ossigas aprire prima il rubinetto del
combustibile e solo successivamente quello dell’ossigeno.
Un ambiente di lavoro particolare: LA CAMERA IPERBARICA.
Le camere iperbariche così come le sale operatorie o i cassoni ad aria
compressa sono però generalmente normate da standard specifici e quindi
formalmente non devono essere annoverate (dal mero punto di vista del
rispetto dei requisiti legali), tra gli “spazi confinati”. Da un punto di vista pratico
sono ovviamente ambienti confinati a tutti gli effetti.
Nessun incidente verificatosi nella storia, avvenuto in camera iperbarica in cui
era presente una atmosfera con un tenore di ossigeno superiore al 28% ha
registrato superstiti.
RISCHIO CHIMICO
Le sostanze tossiche per l’uomo sono migliaia.
Per la valutazione delle condizioni di sicurezza dei lavoratori, in
tossicologia ci si riferisce molto spesso ai valori limite di soglia
TLV-TWA della ACGIH® .
Altri indici più o meno frequentemente ricorrenti in letteratura
sono IDHL, PEL, MAK, VLE, ecc..
Per praticità, molto spesso, in letteratura tecnica si considerano
tossiche anche le sostanze semplicemente asfissianti sebbene da
un punto di vista prettamente tossico-cinetico i gas asfissianti non
producano alcuna azione diretta sull’organismo.
In via semplificativa, si possono inoltre ricomprendere nella
categoria anche le sostanze cancerogene che a rigore, per
numerosi motivi, dovrebbero essere considerate separatamente.
In relazione a quest’ultima categoria di sostanze si ricorda che la
International Agency for Research on Cancer (IARC) ha analizzato
un migliaio di sostanze classificandole in base ai risultati ottenuti
da studi epidemiologici e ricerche su animali cavia.
Da un punto di vista statistico, il numero maggiore di
vittime dovute alla presenza di sostanze chimiche nocive
è probabilmente da imputare ad H2S e CO.
Tra le principali cause che portano ad intossicazione in un ambiente confinato
possono essere identificate almeno le seguenti:
• impropria bonifica da vapori, gas e polveri presenti all’interno dell’ambiente;
• impropria bonifica da residui di sostanze liquide e solide presenti all’interno
dell’ambiente, caratterizzate da emissione di vapori tossici al contatto con l’aria o con
vapore acqueo (ad esempio zolfo e fosforo emettono fosfina a contatto con acidi ed
acqua o vapore) oppure a seguito di riscaldamento (vaporizzazione o sublimazione);
• rilascio di sostanze tossiche presenti come componenti di rivestimenti protettivi a
seguito di azioni di pulizia chimica o meccanica;
• reazioni chimiche di decomposizione o fermentazione delle sostanze presenti al
contatto con l’aria;
• rilasci accidentali di gas, vapori o liquidi (per guasti o manovre errate) attraverso linee
o apparecchiature collegate all’ambiente;
• migrazione dall’esterno verso l’interno dell’ambiente di vapori o gas attraverso
fessurazioni, varchi di accesso o il terreno circostante;
• attività lavorative svolte all’interno dell’ambiente con sviluppo di fumi, vapori, gas,
polveri, aerosol.
RISCHIO BIOLOGICO
I microrganismi proliferano ovunque,
indipendentemente dall’area geografica e dalla
temperatura ambientale; molti di essi fanno
parte della normale flora cutanea e intestinale di
tutti gli esseri viventi e appartengono alla specie
mesofila che vive tra i 20 e i 40 °C; quelli che
vivono a temperature più alte sono detti
termofili, quelli che vivono a temperature più
basse sono detti psicrofili.
L’infezione prende corso quando i microrganismi divengono attivi e si moltiplicano
all’interno dell’organismo umano; gli agenti biologici vengono anche classificati in
base alla loro pericolosità nei confronti dell’uomo correlabile, nel complesso, alle
seguenti caratteristiche:
• infettività;
• patogenicità;
• trasmissibilità;
• neutralizzabilità.
L’insieme delle caratteristiche di infettività e patogenicità viene anche detto
“virulenza”.
Le principali famiglie di agenti biologici che possono interessare chi
opera in ambiente confinato sono le seguenti:
•
•
•
•
•
•
Allergeni
Batteri
Funghi
Parassita
Prion
Virus
Le principali cause di contaminazione per i lavoratori sono costituite da liquami,
acqua contaminata, escrementi e in generale materiale organico di origine
animale; per quanto riguarda gli ambienti confinati, tipici sono i casi dei
collettori fognari, degli impianti di depurazione, degli impianti di trattamento
dei rifiuti solidi urbani; anche condotte di sottoservizi, pozzi, gallerie e scavi
possono essere facilmente contaminate a causa della presenza di animali
(roditori, felini, volatili, ecc.) portatori di agenti patogeni; anche in numerose
industrie del settore agroalimentare (allevamenti, ecc.) è possibile che avvenga
il contatto con agenti patogeni.
La legionella potrebbe essere contratta, ad esempio, operando
all’interno di condotte di ventilazione di impianti HVAC.
L’ingresso all’interno di condotte di ventilazione può costituire un rischio per i lavoratori a
causa della potenziale presenza di numerosi agenti patogeni.
Casi di infezione da agenti patogeni sono però state
rilevate anche in molti altri settori, dall’agricoltura
all’archeologia, dalle attività funerarie alla cantieristica,
dallo shipping alla meccanica fino, ovviamente, al
settore sanitario.
Molti agenti patogeni possono essere contratti
indifferentemente per contatto cutaneo, ingestione e
inalazione; alcuni batteri o virus quali antrace,
tubercolosi, tetano, scarlattina, tifo, colera o l’oramai
debellato vaiolo, possono trasmettersi anche dopo
periodi di inattività molto lunghi; le spore del tetano, ad
esempio, possono rimanere attive anche per periodi di
40 anni e oltre.
Solamente a titolo di esempio si consideri che
nell’ambito di un impianto di depurazione il bioaerosol
può formarsi in una moltitudine di fasi del processo tra
le quali: movimentazione meccanica dei reflui tramite
pompaggio, insufflazione d’aria nei reflui, apertura di
portelli di ispezione, vortici, immissione e salti per
gravità dei reflui, pressatura dei fanghi, fuoriuscite
accidentali, ecc.
L’infezione originata da agenti patogeni in questo
particolare settore lavorativo è talmente tipica da
essere stata battezzata in modo specifico Sewage
Worker’s Syndrome.
Per quanto riguarda la bonifica dell’ambiente di lavoro si
può procedere a seconda della necessità effettuando
una o più delle seguenti azioni:
•
•
•
•
Derattizzazione
Disinfestazione
Disinfezione
Sterilizzazione
In molti casi non è però possibile effettuare nessuna di queste
procedure e l’ingresso in ambiente contaminato dovrà essere
effettuato solamente sotto stretta sorveglianza adottando tute o
mute integrali e DPI stagni, sottoponendosi poi, al termine
dell’attività lavorativa, alle opportune procedure di
decontaminazione.
RISCHIO INCENDIO ED ESPLOSIONE
Combustioni ed esplosioni all’interno di spazi confinati possono generarsi a
causa della presenza di:
• gas che miscelati con l’aria possono formare atmosfere esplosive.
• liquidi infiammabili (idrocarburi, solventi organici, esteri, chetoni, alcoli,
ecc.).
Tutti i liquidi sono in equilibrio con i propri vapori che si sviluppano, in misura
differente a seconda delle condizioni di pressione e temperatura, sulla
superficie di separazione tra pelo libero del liquido e mezzo aeriforme che lo
sovrasta.
Nei liquidi infiammabili la combustione avviene quando, in corrispondenza di
tale superficie, i vapori dei liquidi, miscelandosi con l’ossigeno dell’aria, in
concentrazioni comprese nel campo dell’infiammabilità, sono opportunamente
innescati.
• polveri aerodisperse ad alta concentrazione (vegetali, minerali, metalliche,
sintetiche, ecc.).
La pericolosità delle polveri è associata alla possibilità di formazione di nubi che, in
presenza di una sorgente di accensione, possano esplodere. Gli strati, i depositi e gli
accumuli di polvere devono essere considerati come possibili sorgenti di nubi,
sollevate da turbolenze di aria.
Esistono polveri combustibili di vario genere, alimentari (farine, zuccheri, foraggi),
chimiche (plastiche, detergenti, resine, prodotti farmaceutici), metallurgiche
(alluminio, magnesio), forestali (paglia, polvere del legno), ecc.
• eccesso di O2 o di ossidanti in genere (Cloro, Nitrati) possono causare violente
reazioni anche di materiali normalmente caratterizzati da basso potere
combustibile, ad esempio: l’O2 nascente può provocare reazioni rapidissime se
viene a contatto con sostanze grasse o oleose mentre il Nitrato di Ammonio può
reagire violentemente con paglia e trucioli di legno, in percentuali del 24 % di
ossigeno in aria i capi di abbigliamento possono essere soggetti a combustione
spontanea;
• fermentazione o decomposizione di sostanze organiche con autoriscaldamento
fino al raggiungimento della temperatura di autoaccensione.
Valore limite di esplosività (LEL – UEL)
I limiti di esplosività di un gas o dei vapori di un liquido (o di un solido) sono i
limiti che definiscono l’intervallo di concentrazione entro il quale, se la miscela
aria-vapore o gas infiammabile viene opportunamente innescata, si verifica
l’accensione della miscela.
Il limite di esplosività viene considerato in un range che va da un minimo ad un
massimo di percentuale di combustibile in aria, Lower Explosive Limit (LEL) e
Upper Explosive Limit (UEL), anche noti come LFL e UFL.
I dati in letteratura si riferiscono normalmente ad una ARIA STANDARD (21%
di Ossigeno).
Più l’energia di ignizione (accensione) è bassa e più è alto
il pericolo di esplosione/incendio.
La percentuale di ossigeno in aria influenza sia l’energia che la temperatura minima di
autoaccensione; infatti, osservando la tabella che segue, si può notare come in una
atmosfera composta da aria (21 % circa di O2), siano richieste una temperatura ed una
energia di ignizione minime più elevate rispetto ad una atmosfera di ossigeno puro.
Minima temperatura di ignizione (MIT)
Combustibile
Minima energia di ignizione
(MIE)
Aria
Ossigeno
Aria
Ossigeno
°C
°C
(mJ)
(mJ)
Acetilene
305
296
0,017
0,0002
Acetone
465
-
1,15
0,00024
Butano
288
278
0,25
0,009
Ciclopropano
500
454
0,18
0,001
Esano
225
218
0,288
0,006
Idrogeno
520
400
0,017
0,0012
Benzina
440
316
-
-
Kerosene
227
216
-
-
Ottano
220
208
-
-
Alcool propilico
440
328
-
-
LE PRINCIPALI SORGENTI DI INNESCO IN UNO
SPAZIO CONFINATO
Una classificazione diffusa in Europa è quella proposta dalla norma EN 1127-1 che
le suddivide in 12 categorie principali; di seguito vengono riportate indicando
anche alcune delle cause che le originano:
• superfici calde (forni, apparecchiature e condotte contenenti
fluidi surriscaldati, camini e collettori di gas di scarico,
essiccatori, scambiatori, superfici di attrito, cuscinetti volventi,
ecc.);
• fiamme libere e gas caldi (saldatura, taglio alla fiamma,
preriscaldo, incollaggio, ecc.);
• scintille di origine meccanica (urti, abrasioni, attriti tra parti in
traslazione o rotazione reciproca, ecc.);
• apparati elettrici (manovre di apertura di contatti, connessioni
allentate, archi elettrici di saldatura, ecc.);
• correnti vaganti e correnti indotte contro la corrosione catodica
(correnti di ritorno di saldatura, cortocircuiti, dispersioni verso
terra, scariche induttive, ecc.);
• elettricità statica (movimento di fluidi in condotta, movimento
di materiali granulari, strisciamento di superfici, vento, contatto
tra materiali conduttori ed isolanti, ecc.);
• fulminazione atmosferica (scariche cerauniche dirette, scintille
generate da scarica, sovratensioni accidentali, ecc.);
• onde elettromagnetiche [a loro volta suddivise a seconda della
lunghezza d’onda] (telefoni cellulari, radio, apparecchiature
elettroniche, laser, ecc.);
• radiazioni ionizzanti (macchine radiogene, isotopi radioattivi);
• ultrasuoni (trasduttori, ecc.);
• compressioni adiabatiche e onde d’urto (manovre su dispositivi
di intercettazione/regolazione gas, espansione gas, ecc.);
• reazioni chimiche esotermiche (decomposizioni, ossidazioni
violente, sostanze piroforiche, polimerizzazioni, reazioni alla
termite, ecc.).
È importante fare attenzione alla temperatura di ignizione della sostanza contenuta
all’interno del luogo confinato nel quale ci si accinge ad entrare. Una semplice
lampadina da 100 watt, a seconda di come viene orientata, può avere diverse
temperature superficiali ed in certi casi la temperatura superficiale risulta essere
maggiore della temperatura minima di ignizione di alcune comuni sostanze
infiammabili.
Caratteristiche di alcune sostanze infiammabili comunemente presenti
nell’industria.
In questa tabella sono riportate la temperatura di infiammabilità e di
autoaccensione di alcune sostanze, nonché il campo di infiammabilità ed il peso
specifico dei vapori rispetto all’aria.
ESPLOSIONE DI POLVERI
Le miscele polvere-aria possiedono molte similitudini di comportamento con
quelle gas-aria, ma differiscono da queste ultime per due motivi sostanziali:
• le polveri non sono molecole, ma particelle più o meno fini di un dato materiale;
• sono soggette alla forza di gravità e quindi più o meno velocemente alla
sedimentazione.
L’accensione in aria standard delle polveri richiede energie di ignizione che
generalmente sono tra le 20 e le 50 volte più elevate di quanto richiesto per
l’accensione di gas e vapori corrispondenti a valori compresi tra 10 e 40 mJ
contro valori compresi tra 0,2 e 10 mJ.
In relazione alla modalità di dispersione in ambiente se
le polveri possiedono caratteristiche combustibili
possono, a seconda dei casi, originarsi differenti
situazioni di pericolo:
• un incendio covante (smoldering), cioè una lenta combustione
per ossidazione o per decomposizione della polvere;
• un incendio diffuso qualora l’incendio covante si sviluppi in
ambiente;
• una esplosione a causa della formazione di una nube avente
caratteristiche ideali;
• una o più esplosioni secondarie (o deflagrazioni) anche a
distanze elevate rispetto alla zone in cui è avvenuta l’esplosione
primaria.
Alcuni studi condotti negli USA, affermano che in una
nube di polvere, la cui concentrazione uniformemente
diffusa sia pari a 0,020 oz/ft3, equivalenti a 20 g/m3, la
visibilità risulta ridotta a meno di un metro.
Empiricamente questo si traduce nell’impossibilità di
distinguere alla distanza di un metro una lampadina a
incandescenza da 100 W accesa o di vedere la propria
mano estendendo un braccio. Questo, per quanto
empirico e apparentemente fantasioso, può essere
considerato un limite di sicurezza sufficientemente
rappresentativo della proprietà di esplodibilità di una
polvere.
La maggior parte delle polveri è caratterizzata da una
temperatura di autoaccensione (Minimum Ignition
Temperature o MIT) compresa tra i 300 ed i 600 °C; per
le rinfuse di origine vegetale le temperature minime di
accensione (MIT) variano, secondo diversi studi, da un
minimo di 350 °C per lo zucchero a 480 °C per il grano.
Sotto il profilo della pericolosità intrinseca in termini di
esplosività, le miscele polvere-aria possono essere classificate
utilizzando parametri di riferimento che ne rappresentano la
criticità. Tra i più diffusi vi è la “velocità di incremento della
pressione” che consente di classificare le polveri attraverso classi
di pericolosità (St) in relazione al valore assunto dal fattore KSt
definito dalla seguente relazione di Bartnecht sovente usata per
il dimensionamento degli sfoghi di sovrapressione (venting):
KSt = (dP/dt)max V1/3
KSt = Parametro espresso in bar x m x sec-1;
(dP/dt)max = incremento massimo del valore di picco della
pressione (bar/sec);
V = volume totale (m3).
Caratteristica
Kst (bar m/s)
Classe di pericolosità
0
St 0
Polveri praticamente non suscettibili di esplosione.
< 200
St 1
Polveri che danno luogo ad esplosioni non violente.
200÷300
St 2
Polveri che danno luogo ad esplosioni violente.
> 300
St 3
Polveri che danno luogo ad esplosioni molto violente.
ALTRI RISCHI DI NATURA FISICA POTENZIALMENTE PRESENTI IN
UNO SPAZIO CONFINATO:
•
•
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•
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•
•
•
•
•
RUMORE
SCIVOLAMENTO, INCIAMPO, CADUTA
ANNEGAMENTO, SOFFOCAMENTO
SCHIACCIAMENTO
IRRAGGIAMENTO
USTIONI
RISCHIO MECCANICO
RISCHIO ERGONOMICO
STRESS TERMICO
RISCHIO ELETTRICO
PREPARARSI AD OPERARE ALL’INTERNO DI UN
AMBIENTE CONFINATO
Prima di accedere ad un AMBIENTE CONFINATO è necessario effettuare una valutazione
approfondita dei rischi ai quali saranno esposti tutti i lavoratori in relazione alla loro
salute e sicurezza.
Ciò significa individuare i pericoli presenti, valutare i rischi e determinare quali misure
preventive e protettive collettive ed individuali adottare.
I principali aspetti da prendere in considerazione e analizzare sono i seguenti:
•
•
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•
•
•
•
•
Caratteristiche dell’ambiente di lavoro e contesto lavorativo
Attività da svolgere all’interno dello spazio confinato
Presenza di sostanze e atmosfere pericolose
Materiali e attrezzature di lavoro
Effettiva disponibilità di DPI ed equipaggiamenti di sicurezza
Idoneità e livello di addestramento del personale
Attribuzione di compiti e responsabilità nell’ambito della squadra di lavoro
Definizione delle procedure di emergenza
Nell’eseguire una corretta analisi e valutazione preliminare dei rischi risulta di
fondamentale importanza reperire ogni tipologia di informazione sull’ambiente nel quale
ci si appresta ad operare.
L’IMPORTANZA DELL’”ANAMNESI” DI UN
LUOGO CONFINATO
Questo significa considerare non solo lo stato attuale dello spazio confinato nel quale ci si
appresta ad operare, ma anche la sua “storia pregressa”.
In particolare occorre indagare le lavorazioni che in passato sono state effettuate, le
sostanze utilizzate, trasportate, stoccate o processate all’interno dello spazio confinato
preso in esame e se queste sono compatibili, ad esempio dal punto di vista chimico e
fisico, con le lavorazioni che dovranno essere svolte.
Significa quindi reperire disegni e/o rilievi che mostrino la configurazione dell’ambiente,
tenendo presente che nel tempo potrebbero essere state apportate rilevanti modifiche
alle parti interne, tenendo anche conto che queste modifiche potrebbero (con elevata
probabilità) non essere mai state riportate su alcun disegno o documento di cui si viene
in possesso.
A questo scopo e allo scopo di venire a conoscenza dei prodotti introdotti, stoccati e
processati nel passato, è indispensabile interrogare il maggior numero possibile di
persone che nel tempo hanno operato a diretto contatto con il manufatto o che ne hanno
seguito in qualche modo la “storia”.
Qualsiasi informazione o documento che si riesca a reperire può
risultare di fondamentale importanza. Ad esempio:
Disegni e relazioni tecniche di progetto bi-tridimensionali…
Disegni di costruzione…
Diagrammi di carico o di ballastaggio….
Immagini riportate su cataloghi o anche materiale divulgativo e pubblicitario.
Disegni allegati ai permessi di costruzione originali…
P & I, schemi unifilari, schemi di marcia, ecc….
E inoltre:
Report di lavoro, permessi di lavoro, verbali di riunione, report di NDT,
relazioni tecniche, ecc…
Queste informazioni, tra l’altro, risultano di fondamentale importanza per
identificare i possibili stati di accumulo di energia all’interno dello spazio
confinato.
Prima dell’accesso ad un AMBIENTE CONFINATO è infatti fondamentale verificare che
l’ambiente risulti totalmente ISOLATO E DISENERGIZZATO sia dal punto di vista della
normale alimentazione energetica sia dal punto di vista dell’energia potenzialmente
accumulatasi al suo interno:
DEFINIZIONE
Si intendono per impianti/macchine/apparati e di conseguenza per AMBIENTI
ENERGIZZATI quelli in cui sono presenti una o più delle seguenti forme di energia:
•
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•
•
•
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•
energia elettrica
energia elettrostatica
energia magnetica
energia termica (fluidi o superfici calde o fredde)
energia pneumatica/idraulica (gas o liquidi compresi)
energia gravitazionale
energia elastica
energia cinetica
energia chimica
energia nucleare
Tali fonti di energia devono essere riconosciute, analizzate,
eliminate o isolate prima che il personale operativo acceda allo
spazio confinato e inizi a svolgere la propria attività.
In alcuni casi per compiere questa operazione è possibile che sia
necessario entrare; in questo caso può essere impiegato soltanto
personale altamente specializzato ed addestrato allo scopo.
Tutte queste forme di ENERGIA devono essere ELIMINATE mediante
opportune operazioni di SEGREGAZIONE, SEZIONAMENTO,
DRENAGGIO, BLOCCAGGIO, SMONTAGGIO, ecc. e contestuale
applicazione della procedura di Lockout/Tagout.
ALCUNI ESEMPI DI ISOLAMENTO ENERGETICO
L’ISOLAMENTO di una linea contenente un qualsiasi fluido può essere effettuato
chiudendo le apposite VALVOLE DI INTERCETTAZIONE, SCARICANDO IL FLUIDO
PRESENTE A VALLE DELLE VALVOLE E RIMUOVENDO UN TRATTO DI LINEA O
APPONENDO SU QUESTA UNA FLANGIA CIECA.
Un’alternativa (che garantisce una sicurezza equivalente) alla
applicazione di flange cieche o alla rimozione di un tratto di linea è dato
dal cosiddetto ‘double-block and bleed’.
L’ISOLAMENTO di una linea elettrica può essere effettuato APRENDO un
INTERRUTTORE/SEZIONATORE (su tutte le fasi), DISCONNETTENDO I CAVI A
VALLE DEL SEZIONATORE O RIMUOVENDO EVENTUALI FUSIBILI.
Una volta effettuato il sezionamento di una linea, la garanzia della
permanenza nel tempo di tale condizione di sicurezza diviene di
fondamentale importanza.
Allo scopo deve venire applicata una procedura standardizzata di bloccaggio
del punto (o dei punti) di sezionamento (LOCKOUT) e di apposizione di
segnaletica monitoria (TAGOUT).
1) BLOCCAGGIO (LOCKOUT).
Con l’azione di isolamento si vuole impedire in modo assoluto che una
macchina o un impianto possano entrare in funzione o in essi sia presente una
qualsivoglia forma di energia.
L’ isolamento può avvenire con diverse modalità, tutte volte ad eliminare un
flusso o un potenziale di energia che interessa lo spazio confinato; questa
azione deve essere immediatamente seguita dalla messa in posizione di un
meccanismo che fisicamente impedisca la rienergizzazione dei dispositivi di
sezionamento (BLOCCAGGIO).
L’azione di BLOCCAGGIO deve essere PREFERIBILMENTE effettuata
esclusivamente dal personale che materialmente accederà all’interno dello
spazio confinato utilizzando dispositivi di blocco idonei allo scopo.
I dispositivi meccanici a garanzia dell’isolamento devono:
• essere dotati di un efficace sistema che impedisca la manovra del componente
bloccato (ovvero il suo riarmo, apertura, caduta, ecc.) e quindi prevenire
l’energizzazione accidentale di macchine o impianti;
• essere resistenti, ma facilmente rimovibili;
• poter essere contrassegnati con il nominativo del lavoratore o dei lavoratori che li
ha/hanno applicati;
• consentire la rimozione degli stessi solo da parte di chi fisicamente li ha
posizionati.
2) SEGNALAZIONE (TAGOUT).
Significa rendere chiaramente visibile, con contrassegni particolari, lo stato di
BLOCCO dei dispositivi di ISOLAMENTO di macchine o impianti. Su di essi devono
essere riportati:
• il nome ed eventualmente la firma e/o la foto del/i lavoratore/i
autorizzato/i
• l’azienda di appartenenza
• la data/orario di inizio lavori.
Tali contrassegni avvertono il personale operativo dello stato dell’impianto e devono
essere posizionati in corrispondenza del dispositivo di bloccaggio.
In presenza di tali contrassegni, apparecchiature ed impianti non possono essere
messe in funzione per nessun motivo se non dal preposto o collegialmente dal/i
lavoratore/i che ha/hanno sezionato l’impianto.
È importante sottolineare che, a garanzia della massima sicurezza, la segnalazione
costituisce un corollario al bloccaggio fisico del dispositivo di sezionamento e non
dovrebbe costituire una alternativa a questo.
Alcuni standard internazionali ammettono deroghe sotto particolari condizioni.
In taluni casi è possibile che il sezionamento debba
essere fisicamente eseguito da personale specializzato
e/o appositamente addestrato e autorizzato (impianto
ad alta tensione, ecc.). In questi casi i lavoratori (o il
preposto) destinati ad effettuare o sovraintendere agli
interventi post-disenergizzazione si limiteranno ad
apporre il bloccaggio in corrispondenza dei varchi di
accesso ai dispositivi di intercettazione (cancelli, porte
di cabine e sale comando, sportelli dei quadri, ecc.).
3) RIPRISTINO.
Una volta terminata l’attività all’interno dello spazio confinato, il personale
autorizzato (lo stesso che fisicamente ha effettuato il blocco (LOCK) e la
segnalazione (TAG) può, rimettere in funzione macchine e impianti
disenergizzati.
Il ripristino delle condizioni di operatività dovrà avvenire completando la
seguente sequenza di azioni:
• informare tutti gli addetti che le macchine o gli impianti stanno per essere
rienergizzati;
• accertarsi che le protezioni di sicurezza, eventualmente rimosse, siano state
ripristinate;
• ripristinare la segnaletica di sicurezza prevista;
• verificare tutti i collegamenti elettrostrumentali e che la strumentazione di bordo
funzioni correttamente;
• togliere i dispositivi di segnalazione e bloccaggio;
• riavviare macchine/impianti e/o ripristinare il flusso di gas, vapori, liquidi, ecc.
all’interno delle tubazioni sezionate.
IL DECALOGO PER IL CORRETTO ISOLAMENTO OVVERO I
PASSI FONDAMENTALI DELLA PROCEDURA DI
LOCKOUT/TAGOUT.
1. Identificare le tipologie di energia e tutti i dispositivi di comando,
controllo e sezionamento presenti
2. Informare tutti gli operatori potenzialmente coinvolti
3. Mettere in OFF tutti i dispositivi di controllo
4. Identificare tutti i punti con potenziale presenza di energia
5. Isolare tutte le fonti di energia e/o gli accumuli di energia potenziale
6. Bloccare in posizione di sicurezza tutti i dispositivi di isolamento
dell’energia
7. Rimettere in ON tutti i dispositivi di comando e controllo al fine di
verificare la reale disenergizzazione
8. Rimettere in OFF tutti i dispositivi di comando e controllo
9. Effettuare l’intervento
10. Rimuovere i sistemi di bloccaggio e rienergizzare l’ambiente di lavoro
ISOLAMENTO IN ASSENZA DI DISPOSITIVI DI
INTERCETTAZIONE
ALCUNE DEFINIZIONI:
INERTIZZAZIONE
Per inertizzazione si intende la sostituzione di una atmosfera ricca
di gas o vapori esplosivi con una atmosfera di gas inattivo priva di
comburente (secondo le norme NFPA il valore minimo tra il 5% di
Ossigeno e il 50% di Ossigeno riferito al LEL).
VENTILAZIONE
Per ventilazione si intende il lavaggio volumetrico di un ambiente
confinato con ARIA fino al ripristino del tenore di ossigeno a valori
di sicurezza.
BONIFICA
Con questo termine deve a rigore essere indicato esclusivamente
un “processo che, nel suo complesso, consenta la completa
eliminazione di qualsiasi sostanza genericamente pericolosa
presente nell’ambiente, utilizzando procedure che portino a
un’atmosfera sicura, respirabile e stabile nel tempo”.
Bonifica (o ventilazione) con aria
La bonifica con aria avviene attraverso sistemi meccanici che
utilizzano ventilatori/aspiratori per effettuare il “lavaggio” dello
spazio confinato.
Questo metodo, oltre che per la bonifica, può essere utilizzato anche
per la semplice ventilazione.
La bonifica per ventilazione meccanica possiede un alto grado di
efficacia a patto che le apparecchiature utilizzate vengano
posizionate correttamente.
Bonifica con acqua
Questo metodo di bonifica può essere utilizzato, ad esempio, per
la rimozione di gas inerti presenti all’interno di uno spazio
confinato e consiste sostanzialmente nel riempire completamente
l’ambiente da bonificare con acqua e nell’immettere
successivamente aria dopo aver fatto defluire l’acqua.
Può essere utilizzato anche per tutti i gas e vapori che abbiano
una buona miscibilità e non reattività con l’acqua (cloro,
ammoniaca, ecc.); assolutamente inaffidabile nel caso di altri
prodotti non miscibili in acqua e/o con una alta penetrazione nella
microporosità superficiale delle pareti dello spazio confinato (GPL,
acetilene, ecc.).
Bonifica con vapore
Il vapore può essere utilizzato per bonificare spazi confinati inquinati da
sostanze che contengono idrocarburi con un basso punto di infiammabilità
(bassobollenti) purchè la loro T. di autoaccensione sia almeno pari al 120%
della T. del vapore.
L’utilizzo del vapore presenta, rispetto ad altri sistemi, il vantaggio di essere in
grado di sciogliere incrostazioni, catrame e materiali viscosi dalle pareti
dell’ambiente confinato.
Affinché il vapore possa essere utilizzato per bonificare l’ambiente, deve
essere introdotto all’interno dello spazio confinato in una quantità tale che
consenta di far aumentare la temperatura interna di almeno 80°C. In caso
contrario il vapore condenserebbe e i contaminanti non potrebbero essere
disciolti e portati all’esterno dello spazio confinato.
Durante le operazioni di bonifica tramite immissione di vapore le aperture
superiori dell’ambiente confinato devono essere lasciate aperte (per evitare
sovrapressioni e depressioni) e il vapore deve essere introdotto a partire dal
fondo.
Il vapore presenta però la pericolosa caratteristica di generare facilmente
cariche elettrostatiche.
Bonifica con gas inerte
Il rischio incendio dovuto a gas e vapori infiammabili può essere minimizzato attraverso
una bonifica iniziale effettuata con un gas inattivo quale ad esempio l’anidride carbonica o
l’azoto.
I gas inerti possono infatti essere utilizzati per abbassare il livello di ossigeno ad un punto
tale da scongiurare l’accensione (in genere, tranne poche eccezioni, al di sotto del 5% in
volume).
Trattandosi di gas non tossici per l’uomo, ma comunque asfissianti, una volta terminato il
degasaggio i gas inerti dovranno essere rimossi effettuando un adeguato lavaggio
dell’ambiente con acqua/aria o aria.
Miscela comburente aria-N2
Combustibile
MOC
% di O2 massima
raccomandata
Miscela comburente aria-CO2
MOC
% di O2 massima
raccomandata
Acetone
13,5
11
15,5
12,5
Benzene
11
9
14
11
Butano
12
9,5
14,5
10,5
Disolfuro di carbonio
5
4
8
6,5
Ciclopropano
11,5
9
14
11
Alcool etilico
10,5
8,5
13
10,5
Benzina (73-100 ott.)
12
9,5
15
12
Benzina (100-130 ott.)
12
9,5
15
12
Benzina (115-145 ott.)
12
9,5
14,5
11,5
Esano
12
9,5
14,5
11,5
Idrogeno
5
4
6
5
Carburante JP-1
10,5
8,5
14
11
Carburante JP-3
12
9,5
14
11
Carburante JP-4
11,5
9
14
11
Kerosene
11
9
14
11
Metano
12
9,5
14,5
11,5
Alcool metilico
10
8
13,5
11
Propano
11,5
9
14
11
Sebbene gas e vapori nocivi si diffondano all’interno di tutto lo spazio
confinato, questi hanno comunque la tendenza a stratificare in base alla
loro densità.
Quelli più leggeri dell’aria (< 0,8) tendono a salire verso l’alto e a stratificare
quindi nella parte più alta.
Quelli più pesanti dell’aria (> 1,2) tendono invece a depositarsi sul fondo.
Naturalmente nella disposizione delle vie di sfogo dell’aria e delle prese per
l’immissione si deve tenere conto di questo aspetto.
Se il gas da eliminare (ad esempio dopo una inertizzazione) presenta una
densità molto diversa da quella dell’aria, come ad esempio nel caso di elio,
argon o anidride carbonica, ecc., l’aria di ventilazione potrebbe non
miscelarsi in modo efficace e l’intervento potrebbe risultare inadeguato.
Il calcolo del numero minimo di ricambi d’aria può essere effettuato
mediante formule (ASHRAE) o per via grafica seguendo le indicazioni
suggerite da standard e linee guida.
Il metodo consigliato per la bonifica di gas “pesanti” (come ad
esempio l’argon o il vapore di azoto freddo) consiste nell’aspirare il gas
dalla zona bassa dell’area interessata.
Quando i contaminanti, invece, sono più “leggeri” dell’aria devono essere
prelevati dalla parte superiore dell’ambiente confinato e le prese per
l’immissione dell’aria devono essere collocate nella parte inferiore.
In molti casi è maggiore il volume delle tubazioni di adduzione
(spazi adiacenti) che di quello dell’ambiente confinato vero e
proprio.
QUALSIASI BONIFICA DEVE TERMINARE
CON UNA VENTILAZIONE
Ventilazione
La ventilazione è il processo attraverso il quale viene fatta confluire
continuamente aria fresca e pulita all’interno dello spazio confinato. Viene in
genere adottata una volta terminate le operazioni di bonifica al fine di
stabilizzare il microclima.
La ventilazione generale di un ambiente confinato ha lo scopo di diluire la
concentrazione dei contaminanti presenti all’interno dell’ambiente di lavoro a
valori non superiori a quelli accettabili per la salute e la sicurezza dei
lavoratori.
Questo processo consente di ottenere:
• la stabilizzazione del corretto quantitativo di ossigeno nell’aria;
• la diluzione di contaminati dovuti a particolari lavorazioni effettuate all’interno dello
spazio confinato quali ad esempio saldatura, sabbiatura e ossitaglio, ma non la loro
rimozione diretta.
Può inoltre essere utilizzata per eliminare odori sgradevoli all’interno dello
spazio confinato, che possono originare fastidi per gli operatori nonché per
regolare la temperatura d’ambiente.
Il processo di ventilazione consente di ottenere:
• la diluizione dei contaminanti residui presenti all’interno il cui sviluppo
abbia origine per desorbimento, per fermentazione, per ossidazione,
ecc.;
• la diluizione dei contaminanti che accidentalmente penetrino, per
migrazione, nell’ambiente confinato provenendo dall’esterno;
• la diluizione dell’anidride carbonica prodotta dalla respirazione del
personale presente all’interno dell’ambiente;
• la diluzione dei contaminanti dovuti a particolari lavorazioni effettuate
all’interno dell’ambiente confinato quali, ad esempio, saldatura,
ossitaglio, pulizia con solventi, levigatura, ecc. (ma non la loro
rimozione alla fonte);
• la stabilizzazione del corretto tenore di ossigeno nell’aria;
• il mantenimento di un buon confort microclimatico per gli operatori.
La ventilazione può essere di due tipi:
• naturale
• forzata (generale o localizzata)
Ventilazione naturale di diluizione
La ventilazione naturale di diluizione è il processo tramite il quale si introduce,
dall’esterno, aria pulita in modo che questa si misceli con l’atmosfera interna allo
spazio confinato, diluendo eventuali contaminanti e ripristinando la giusta
percentuale d’ossigeno e allo stesso tempo mantenendo il valore degli inquinanti
al di sotto dei TLV raccomandati.
Nella ventilazione naturale il movimento dell’aria avviene spontaneamente,
senza alcun ausilio meccanico, grazie alla differenza di pressione e/o temperatura
che si instaura tra interno ed esterno.
Risulta però completamente inefficace per la rimozione di alte concentrazioni di
contaminanti tossici, quali ad esempio i fumi derivanti da processi di saldatura,
ossitaglio e di particelle pesanti dovute ad esempio a processi di sabbiatura.
I principali vantaggi che questo metodo offre sono:
•
•
•
•
non introduce pericoli in quanto non ci sono organi in movimento;
è economico perché non richiede costi per l’acquisto o la manutenzione;
non presenta sorgenti di accensione;
non ci sono parti elettriche o meccaniche che si possano deteriorare o
rompere.
I principali svantaggi sono:
• non fornisce una ventilazione localizzata;
• non può essere facilmente adattata per compensare mutate condizioni
atmosferiche all’interno dello spazio confinato;
• il numero di ricambi orari non può essere determinato a priori, ma è
semplicemente possibile controllare lo stato del contaminante mediante
monitoraggio strumentale.
Ventilazione forzata di diluizione
In questo caso la circolazione dell’aria è indotta da uno o più ventilatori con
modalità IN ASPIRAZIONE o IN IMMISSIONE.
La ventilazione forzata è detta combinata quando si utilizzano
contemporaneamente ventilatori aspiranti e ventilatori prementi.
In caso di ventilazione aspirante, l’ambiente da ventilare viene a trovarsi in
leggera depressione rispetto all’ambiente circostante.
In caso di ventilazione in immissione l’ambiente da ventilare viene a trovarsi in
leggera sovrapressione rispetto all’ambiente circostante.
Questo diverso assetto di pressione interna può essere sfruttato per ottenere
benefici di varia natura.
Ventilazione forzata localizzata (aspirazione)
La ventilazione localizzata viene utilizzata per rimuovere i contaminanti nel punto
in cui essi vengono generati, con lo scopo di impedirne la diffusione in tutto
l’ambiente.
L’aspirazione localizzata va preferita a quella generale quando il contaminante è
altamente pericoloso, ma perché sia praticabile occorre che il contaminante sia
generato in una zona circoscritta.
I sistemi di aspirazione localizzata ben si adattano ad essere utilizzati nei processi
di saldatura e ossitaglio, ma possono essere utilizzati per rimuovere vapori
generati anche da altre attività quali ad esempio applicazioni localizzate di
solventi, applicazione di vernici o in NDT effettuati con “liquidi penetranti”.
Generalmente i sistemi di aspirazione localizzata vengono adottati in
combinazione con sistemi di diluizione d’ambiente.
Principali tipologie di ventilatore.
Le attrezzature utilizzate per la ventilazione forzata disponibili in
commercio sono sostanzialmente suddivisibili in due categorie:
• Estrattori Venturi
• Ventilatori meccanici
Estrattori Venturi.
Con questo sistema dell’aria compressa o del vapore vengono immessi
all’interno dell’eiettore (che viene in genere imbullonato ad una apertura
praticata nella parete dello spazio confinato) attraverso un connettore laterale
che conduce ad un ugello.
Per effetto Venturi si crea una depressione tale da aspirare l’aria inquinata
presente all’interno dell’ambiente confinato accelerandola attraverso una
strozzatura. L’aria aspirata e miscelata con l’aria o il vapore immesso, verrà poi
scaricata all’esterno dello spazio confinato attraverso un diffusore conico.
L’estrattore deve essere equipotenzializzato alla struttura dello spazio confinato
se metallica.
Altri sistemi basati sull’effetto Venturi sono quelli in cui l’aspiratore è mosso dal
vento.
Ventilatori meccanici.
I ventilatori possono essere suddivisi in due classi:
 A flusso assiale, in cui il flusso dell’aria è parallelo all’asse di rotazione della girante. Si
suddividono in:
• Ventilatori a girante elicoidale
• Ventilatori assiali intubati
• Ventilatori assiali intubati con girante a palette
 A flusso radiale (o centrifugo), in cui il flusso dell’aria è perpendicolare
all’angolo di rotazione della girante.
Ventilatori assiali a girante elicoidale
Sono ventilatori a bassa efficienza e l’utilizzo deve essere limitato per
applicazioni a bassa pressione. L’organo rotante è generalmente
formato da due o più lame; questi ventilatori non sono adatti ad
essere collegati ad un sistema di condutture.
Ventilatori assiali intubati
Forniscono prestazioni migliori rispetto ai ventilatori assiali normali
perché più efficienti e in grado di operare a pressioni maggiori. Le
pale dei ventilatori assiali intubati sono montate all’interno di un
tubo di acciaio, a stretto contatto, in modo da minimizzare lo spazio
tra la girante e l’involucro.
Ventilatori assiali a palette
Nella forma è simile al ventilatore assiale a tubo, ma è dotato di una serie di
palette nella parte superiore e inferiore delle pale della girante anche di
deflettori all’interno del tubo. Palette e deflettori hanno il medesimo scopo di
raddrizzare il flusso circolare dell’aria dovuto alle pale rotanti migliorandone le
caratteristiche di pressione e di efficienza.
Ventilatori a flusso radiale
È formato da un rotore alettato montato su di un albero che a sua volta ruota
all’interno di un contenitore cilindrico.
Il flusso dell’aria è in questo caso perpendicolare a quello dell’asse della girante.
Alcuni suggerimenti relativi agli schemi di ventilazione
meccanica di diluizione.
In abbinamento ad una aspirazione localizzata
IMMISSIONE
ESTRAZIONE
Il monitoraggio dell’atmosfera.
1700
1800
circa 1815
1850-1930
1925
1927
1935
1969
1986
I rilevatori elettronici per gas infiammabili e/o tossici possono
essere classificati in sette diverse tipologie a seconda del
sensore che adottano:
•
•
•
•
•
Sensori catalitici
Sensori a conducibilità termica – (catarometri)
Rivelatori all’infrarosso (IR)
Rivelatori a semiconduttore
Rivelatori a fotoionizzazione (Photo Ionization Detectors –
PID)
• Rivelatori a ionizzazione di fiamma (Flame Ionization
Detectors – FID)
• Sensori elettrochimici
Sono disponibili strumenti con memoria interna grazie alla quale è possibile
registrare i dati e successivamente scaricarli su PC.
La manutenzione dello strumento deve obbligatoriamente essere effettuata
dalla ditta fornitrice e secondo quanto prescritto dalla ditta costruttrice.
QUANDO EFFETTUARE IL MONITORAGGIO?
NFPA 326
• antecedentemente al primo ingresso (anche se effettuato ai soli fini di
un’ispezione visiva o per effettuare una disenergizzazione) e all’atto di ogni
ingresso successivo ad eventuali pause lavorative;
• antecedentemente all’inizio di qualsiasi tipo di attività operativa all’interno
dell’ambiente confinato;
• prima e durante qualsiasi operazione con utilizzo di fiamme libere (saldatura,
taglio, riscaldamento, ecc.);
• frequentemente durante la permanenza all’interno dell’ambiente;
• successivamente a qualsiasi attività di pulizia o rimozione di sostanze
presenti all’interno dell’ambiente in modo da verificare l’efficacia delle azioni
eseguite;
• a seguito dell’inizio di qualsiasi tipo di attività svolta all’interno dell’ambiente
che possa potenzialmente essere responsabile di una variazione dei
parametri atmosferici.
Occorre, per quanto possibile, evitare di entrare nello spazio
confinato.
DOVE EFFETTUARE IL MONITORAGGIO?
• in corrispondenza di tutte le compartimentazioni verticali e
orizzontali dell’ambiente;
• all’interno delle intercapedini, in caso di doppie pareti o
isolamenti;
• in corrispondenza di tutte le zone di sigillatura;
• all’interno di eventuali sentine o doppi fondi;
• in prossimità di tutte le zone in cui sono presenti tubazioni
di adduzione o scarico di liquidi, gas, vapori;
• in corrispondenza di tutte le aperture verso altri ambienti
siano essi passi d’uomo, drenaggi, sfoghi d’aria, ecc..
Uno strumento fondamentale: il PERMESSO DI LAVORO
L’autorizzazione al lavoro (o permesso di lavoro – work permit in lingua inglese) è
uno strumento volto ad assicurare che tutti gli elementi del sistema sicurezza
siano stati messi in atto prima che ai lavoratori venga permesso di operare in un
dato contesto ritenuto a maggior rischio per la salute e la sicurezza.
Nessuna norma di legge straniera o standard tecnico internazionale
(indipendentemente dal settore di applicabilità) riguardante le attività entro
spazi confinati con presenza di pericoli caratteristici, ammette l’accesso a questo
particolare luogo di lavoro senza il preventivo rilascio di un permesso di lavoro.
Le informazioni essenziali che devono essere riportate su un PERMESSO DI
LAVORO sono i seguenti:
• il luogo (area, impianto, apparecchiatura, ecc.) ove deve essere effettuato
l’intervento;
• la natura del lavoro (a caldo o a freddo e relative eventuali limitazioni);
• lo scopo del lavoro;
• il nominativo di chi autorizza il lavoro (con eventuali limiti di responsabilità), il
nominativo della persona che ha la responsabilità della messa in atto delle misure
preventive di sicurezza (ad esempio, drenaggio, flussaggio, degasaggio, inertizzazione,
isolamento delle linee, controllo dell’atmosfera, piano di emergenza, ecc), il
nominativo degli operatori autorizzati ad entrare, il nominativo dell’operatore in
stand-by;
• l’identificazione delle parti interessate all’attività (committente, general contractor,
appaltatore, ecc.);
• la descrizione delle condizioni di lavoro e dei pericoli accertati o potenziali (presenza
di gas infiammabili, polveri combustibili, intrappolamento, sottossigenazione, alta
temperatura, ecc.);
• le misure di protezione adottate e i dispositivi individuali di protezione da
prevedere a carico dell’esecutore, incluse le prescrizioni sui sistemi di
comunicazione;
• le attrezzature di lavoro messe a disposizione dal committente o da
prevedere;
• la segnaletica di sicurezza prevista/da prevedere;
• i servizi che sono stati isolati (energia, acqua, aria compressa, vapore, fluido
di processo, ecc.);
• le procedure di emergenza (richiesta di soccorso/soccorso esterno);
• l’addestramento richiesto al personale operativo ed eventuali istruzioni in
relazione al permesso;
• i parametri atmosferici rilevati inclusi eventuali residui inquinanti;
• le prescrizioni relative al monitoraggio atmosferico successivo all’inizio
lavori e alla verifica delle varie misure di sicurezza di tipo preventivo e
protettivo predisposte/richieste;
• data e ora di inizio/fine validità del permesso.
I RESPIRATORI FILTRANTI
I “respiratori filtranti” - anche detti “a filtro” - possono essere
utilizzati nel caso di presenza di atmosfera contaminata purché vi
sia una sufficiente concentrazione di ossigeno; in base al principio
di funzionamento, possono essere classificati in tre grandi
famiglie:
• non assistiti: l’aria viene forzata a passare attraverso il filtro dal
solo atto inspiratorio;
• a ventilazione assistita: l’aria viene fatta passare attraverso il
filtro mediante un elettroventilatore e poi convogliata
all’interno del facciale;
• a ventilazione forzata: l’aria viene filtrata e convogliata tramite
un elettroventilatore all’interno della maschera a cappuccio
(non stagna) indossata dall’operatore (questo sistema è
totalmente inefficace ad elettroventilatore spento).
Facciali filtranti (EN 149)
Filtri (per maschere) EN 143
Efficienza filtrante minima
FFP1
P1
78%
FFP”
P2
92%
FFP3
P3
98%
Colore filtro
Tipo secondo
la classifica UNI
Sostanze dalle quali protegge
Marrone
A
Gas e vapori organici con punto di ebollizione
superiore a 65°C
Marrone
AX
Gas e vapori organici con punto di ebollizione
inferiore a 65°C
Grigio
B
Gas e vapori inorganici (salvo CO)
Giallo
E
Anidride solforosa, gas e vapori acidi
Verde
K
Ammoniaca e suoi derivati
Blu
NO
Vapori e fumi tossici
Rosso
HG
Vapori di mercurio
Violetto
SX
Composti specifici (a richiesta)
Bianco
P
Polveri, fumi e nebbie
Nero
CO
Monossido di carbonio (CO)
I RESPIRATORI ISOLANTI
I respiratori isolanti possono essere di due
tipologie principali:
• Autonomi (SCBA)
• Non autonomi (Airline)
RESPIRATORI AUTONOMI (SCBA)
Gli SCBA possono essere a circuito aperto oppure a circuito chiuso: nei primi le
bombole contengono aria (ad alta pressione, da 200 a 300 bar, che viene poi
scaricata direttamente all’esterno passando dal facciale nell’atmosfera
attraverso una valvola di espirazione), nei secondi invece le bombole sono
caricate con ossigeno puro (l’aria espirata non viene dispersa nell’ambiente, ma
viene rigenerata all’interno dell’apparecchio consentendo una maggiore
autonomia rispetto ai dispositivi a circuito aperto) ed evitando così eventuali
pericolosi fenomeni di sovraossigenazione dell’ambiente.
Respiratori non autonomi.
Nei respiratori non autonomi l’aria respirabile viene
prelevata da una zona non inquinata esterna all’ambiente
confinato e convogliata alla maschera facciale attraverso
apposite manichette.
La scelta della protezione con respiratori isolanti si rivela,
oltre che nei casi di sottossigenazione, l’unica strada
percorribile nel caso della presenza di alcuni particolari
inquinanti non altrimenti filtrabili, tra i quali si citano
l’anidride carbonica, l’argon, il biossido di azoto, l’elio, il
fluoro, la fosfina, gli isocianati, il monossido di carbonio
e l’ossido di azoto.
Esistono, pur in assenza di particolari problematiche di
inquinamento, alcune situazioni nelle quali l’adozione prioritaria
dei sistemi di ventilazione d’ambiente e soprattutto di captazione
localizzata rispetto all’adozione di DPI, per quanto teoricamente
applicabile, non è però perseguibile per motivi operativi: per
intendersi, con taluni procedimenti di saldatura ed in particolari
situazioni operative l’aspirazione localizzata, per quanto efficace in
termini di protezione dell’operatore, porterebbe ad una
inaccettabile (da un punto di vista tecnologico) dissipazione dei gas
protettivi; è questa una delle situazioni tipiche in cui la adozione di
un sistema di protezione personale di tipo isolante trova una
ottimale applicazione.
Sistema di respirazione isolante ad aria compressa di
tipo integrato con maschera di saldatura.
Maschera con mantella stagna integrata.
Sistema ventilato in sovrapressione
rispetto all’ambiente.
Si noti che argon ed elio, sovente utilizzati come gas di
protezione nei processi di saldatura, non possono essere
filtrati da nessun dispositivo a cartuccia (peraltro non
sono gas tossici, ma potrebbero solo creare un
impoverimento dell’ossigeno in aria); neanche l’ozono
può essere filtrato da filtri a cartuccia, ma,
fortunatamente, tende a ritrasformarsi in ossigeno a
contatto con superfici solide (spesso ma non sempre già
attraversando la parte frontale dell’involucro della
cartuccia).
E’ importante NON utilizzare dispositivi solo filtranti nel caso di presenza di
inquinanti che posseggono scarse proprietà di avvertimento, sconosciuti, o in
caso di incertezza delle concentrazioni; analogamente non devono essere
impiegati in presenza di sostanze che possano generare calore in caso di reazione
chimica.
In generale e negli AMBIENTI CONFINATI a maggior ragione
rispetto ad altri ambienti occorre interrompere
immediatamente l’attività in corso ogni qualvolta la respirazione
appaia difficoltosa, la resistenza alla respirazione appaia
aumentata, si avverta un senso di nausea o di vertigini, si
percepisca un sapore metallico in bocca o qualsiasi altro segno
di irritazione.
Si tenga presente - all’atto della scelta dei possibili sistemi
protettivi delle vie respiratorie - che l’utilizzo dei DPI filtranti o
isolanti deve comunque essere limitato ai casi strettamente
indispensabili in ragione - nonostante l’elevata efficienza
garantita dai più moderni dispositivi presenti sul mercato dell’accresciuto affaticamento a carico del sistema
cardiovascolare e respiratorio dell’operatore che il loro uso
comporta.
IL RISCHIO DERIVANTE DALLE RINFUSE SOLIDE
GRANULARI
CARATTERISTICHE SALIENTI DELLE RINFUSE SOLIDE
(BULK)
In sintesi le caratteristiche dei materiali granulari potrebbero essere
ricondotte alle seguenti proprietà:
• sono soggetti a mescolamento non omogeneo (segregazione);
• non sono soggetti a moti turbolenti;
• non è possibile ricompattare un insieme di granuli e deformarlo senza che si
disgreghi;
• possiedono caratteristiche anisotrope e di non omogeneità;
• sono soggetti a franamenti e a formazione di valanghe;
• variano la loro fluidità a seconda della velocità di movimento delle
particelle;
• non possiedono una forma propria, ma tuttavia acquisiscono solo in parte la
forma del contenitore in cui vengono immessi;
• esercitano una pressione sulle pareti del contenitore differente da quella
(lineare) caratteristica dei liquidi.
Tra le rinfuse che più frequentemente vengono lavorate,
stoccate e trasportate in ambienti confinati si possono
elencare le seguenti:
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
cereali e altri prodotti vegetali (grano, mais, riso, caffè, cacao, ecc.);
prodotti alimentari raffinati (farina, semola, zucchero, amido, ecc.);
materiali plastici (in pellets e granulari);
materiali metallici ferrosi e non ferrosi (da miniera, semilavorati o riciclati);
prodotti farmaceutici (principi attivi, eccipienti, ecc.);
prodotti chimici industriali (intermedi e finali);
minerali (carbone, bauxite, zolfo, ecc.);
materiali vetrosi (in pellets);
inerti (sabbia, ghiaia, ecc.);
cemento;
derivati e scarti del legno (in pellets e granulari);
fertilizzanti;
biomasse.
In alcuni casi si ricomprendono tra le rinfuse anche le terre di scavo.
TIPICI DIFETTI DI FLUSSO
- ARCHING
- RAT-HOLING
- BRIDGING
- HUNG-UPS
- DEAD POCKETS
a)
b)
c)
d)
e)
f)
a) flusso regolare; b) arching; c) funnelling; d) hang-ups; e) dead pockets;
f) rat-holing o piping
La fluidità o scorrevolezza (flowability in inglese) delle rinfuse,
ovvero la capacità di scorrere sotto l’effetto di una forza
esterna, dipende complessivamente da numerosi fattori
caratteristici della sostanza o esterni; tra i principali si possono
annoverare i seguenti:
•
•
•
•
•
•
•
•
distribuzione delle dimensioni delle singole particelle;
forma delle singole particelle;
rugosità superficiale delle particelle;
composizione chimica della sostanza;
igroscopicità;
pressione;
temperatura;
tempo di stoccaggio.
PRINCIPALI INDICATORI DI SCORREVOLEZZA
- ANGOLO DI DECLIVIO
NATURALE
- ANGOLO DI SCIVOLAMENTO
- ANGOLO DI PRECIPITAZIONE
- INDICE DI COMPATTABILITA’
- INDICE DI CARR
- RAPPORTO DI HAUSNER
- IGROSCOPICITA’
- ECC.
SISTEMI E APPARECCHIATURE DI COMUNICAZIONE CON
L’ESTERNO E ALLARME.
Qualunque sia il sistema che si intende adottare, esso dovrebbe
consentire la comunicazione nelle seguenti modalità:
• ordinaria tra i singoli lavoratori presenti all’interno;
• ordinaria tra un singolo lavoratore ed il personale di assistenza che si
trova all’esterno;
• di emergenza dall’interno verso l’esterno e viceversa.
• sistemi wireless: utilizzano onde radio, permettendo libertà di movimento e
comunicazioni tra un numero indefinito di persone; sono però soggetti a
intermittenza nelle comunicazioni a causa di interferenze elettriche e dead
spots;
• sistemi hardline: caratterizzati da comunicazioni più chiare, senza pericolo di
intermittenza se le linee sono ben schermate, e maggior sicurezza dal punti di
vista elettrico; la libertà di movimento è tuttavia limitata all’estensione del cavo;
• communication rope: sistema di comunicazione (limitato però a poche persone)
basato su una corda che può essere utilizzata anche come life-line e/o “filo di
Arianna” dai lavoratori e dai componenti della squadra di soccorso in caso di
scarsa visibilità.
Altrettanto importante è disporre di un codice di segnali manuali prestabilito e noto a
tutti gli operatori (simile a quello utilizzato per le movimentazioni dei carichi o dai
sommozzatori).
Altri metodi di comunicazione sono costituiti da un codice prestabilito di segnali
luminosi
o anche dal cosiddetto TAPPING CODE (segnali al tatto).
SENSORI DI MOVIMENTO PER LAVORI IN SOLITARIO.
Nel caso di lavorazioni in spazi confinati svolte da un singolo lavoratore, qualora non
sia possibile utilizzare un sistema che garantisca una comunicazione vocale continua e
sicura, il lavoratore dovrà essere munito di un’apposita apparecchiatura con sensore di
movimento ed allarme per consentire al personale posto all’esterno di rilevare
eventuali situazioni d’emergenza.
ALLESTIMENTO DEL CANTIERE:
SCELTA E CORRETTO POSIZIONAMENTO DELLE ATTREZZATURE DI
LAVORO, DEI PRESIDI DI EMERGENZA E DEI DPI.
• Apertura di tutte le necessarie vie di accesso e fuga;
• Posizionamento dei sistemi di accesso provvisionali;
• Posizionamento impianto di illuminazione ordinario e di emergenza;
• Posizionamento impianto di ventilazione d’ambiente e di aspirazione
localizzata;
• Posizionamento sistema di comunicazione e allarme;
• Posizionamento mezzi estinguenti;
• Protezione materiali infiammabili non rimovibili con coperte ignifughe;
• Posizionamento e fissaggio di cavi, manichette e altre attrezzature di lavoro
fuori dalle vie di passaggio;
• Rivelatori di fumo
• Fissaggio manichette
• Avvolgitori manichette e cavi
• Protezione spigoli e superfici taglienti
• Strisce adesive antiscivolo
• Segnalazione di tutti i pericoli interni (aperture nel piano di lavoro, parti
sporgenti, gradini, ecc.) con bande fotoluminescenti;
• Segnalazione dei percorsi d’esodo e dei presidi di emergenza interni con
segnaletica fotoluminescente.
• Posizionamento segnaletica (interna ed esterna);
• Segregazione e segnalazione delle zone di ingresso/uscita;
• Posizionamento dei presidi di soccorso esterni ed interni (treppiede di
recupero, kit di primo soccorso sanitario, estintori, SCBA, aria medica,
barelle flessibili, esplosivimetri portatili, ecc.);
I CANTIERI STRADALI
I lavori in ambiente confinato svolti nell’ambito dei cantieri stradali sono
caratterizzati da un rischio aggiuntivo per gli operatori: quello direttamente
derivante dal traffico veicolare (ovvero che un veicolo colpisca
accidentalmente un operatore) e, indirettamente, dalla possibilità che
oggetti proiettati dai veicoli, lanciati da chi è a bordo o da chi transita a piedi
in prossimità del cantiere (pietre, ghiaia, bottiglie, lattine, pezzi di asfalto,
mozziconi di sigarette, ecc.) possano colpire gli operatori o costituire una
fonte di innesco per una atmosfera esplosiva.
Al fine di limitare questi rischi le aree di accesso agli ambienti confinati nei
cantieri stradali devono essere segnalati con le modalità previste dal Codice
della Strada e protetti adeguatamente (eventualmente anche con guard-rail
provvisionali).
Attrezzature NON ammesse all’interno:
Attrezzature ammesse all’interno:
Quando possibile occorre prevedere un doppio comando di sezionamento
(sezionatore elettrico, valvola di intercettazione) uno all’interno a portata di mano
dell’operatore e uno all’esterno a portata di mano dell’operatore in stand-by; nel caso
non sia possibile prevedere un doppio sezionamento occorre posizionarlo
ESCLUSIVAMENTE ALL’ESTERNO.
RISCHIO ELETTRICO
Da un punto di vista elettrico si definisce “luogo conduttore ristretto” un ambiente
delimitato da superfici metalliche - o in qualche modo conduttrici - caratterizzato da
dimensioni tali da limitare il movimento dell’operatore e da provocare un probabile
contatto con estese parti del corpo (diverse dalle mani e dai piedi) arrecando
all’operatore danni potenzialmente più gravi in ragione del fatto che il passaggio della
corrente attraverso il corpo presenterebbe un fattore di percorso maggiormente critico.
Un ambiente confinato è con elevatissima probabilità un luogo
conduttore ristretto, ovvero un ambiente in cui più parti del
corpo possano venire a contatto contemporaneamente con
masse conduttrici.
Gli apparecchi elettrici trasportabili utilizzati nei luoghi conduttori
ristretti devono essere alimentati a bassissima tensione di
sicurezza (SELV), oppure devono essere protetti per separazione
elettrica.
La bassissima tensione di sicurezza (SELV).
Un circuito è a bassissima tensione di sicurezza (SELV) quando ha i seguenti requisiti:
• ha una tensione non superiore a 50 V in alternata;
• è alimentato da un trasformatore di sicurezza (230/48 V) o altra sorgente di
sicurezza equivalente, ad esempio una batteria di accumulatori;
• non ha alcun punto collegato a terra;
• è separato dagli altri circuiti da un isolamento doppio o rinforzato, o da uno
schermo collegato a terra.
Nel caso specifico delle saldatrici, la tensione massima ammissibile a vuoto sul secondario,
secondo la norma CEI 26-13, non deve superare i 113V di picco in continua e i 68V di
picco (48V in valore efficace) in alternata.
Gli equipaggiamenti idonei ad operare in luoghi a maggior rischio elettrico sono
contrassegnati da un simbolo costituito dalla lettera S racchiusa in un quadrato.
La separazione elettrica.
La separazione elettrica consiste nel mantenere separato il circuito da qualsiasi
altro circuito e da terra.
La separazione dalla rete di alimentazione deve avvenire tramite un
trasformatore.
In alternativa, si può alimentare il circuito separato mediante un piccolo gruppo
elettrogeno, con il sistema elettrico isolato da terra.
Nei luoghi conduttori ristretti è richiesto un trasformatore d’isolamento
conforme alla norma CEI 96-15, che ha tra gli avvolgimenti un isolamento
doppio e rinforzato, oppure uno schermo metallico collegato a terra. Si evita così
che un guasto d’isolamento tra gli avvolgimenti possa compromettere la
separazione del circuito secondario.
Inoltre, il trasformatore di isolamento o il gruppo elettrogeno, può alimentare
un solo apparecchio utilizzatore.
• trasformatore
d’isolamento, ad esempio,
230/230 V;
• trasformatore di sicurezza,
ad esempio 230/24 V o
230/48 V;
• possono essere utilizzati
utensili portatili alimentati
da una sorgente autonoma,
ad esempio una batteria di
accumulatori.
Per le lampade portatili è ammessa unicamente una tensione di alimentazione di
sicurezza (preferibilmente a non più di 25 V) in modo da garantire una sufficiente
protezione anche nei confronti dei contatti bipolari che dovessero verificarsi a seguito
della rottura della lampada.
Le lampade portatili possono
essere alimentate con:
• trasformatore di sicurezza (ad
es. 230 / 24 V)
• sorgente autonoma, ad
esempio una batteria di
accumulatori
Nei luoghi conduttori ristretti:
• ogni apparecchio deve essere alimentato da un proprio
trasformatore di isolamento;
• non è ammesso che un trasformatore di isolamento alimenti due
apparecchi a meno che il trasformatore di isolamento abbia due
avvolgimenti secondari separati.
Nelle attività da svolgersi all’interno di uno spazio conduttore ristretto occorre adottare
alcune altre precauzioni operative:
• nelle immediate vicinanze deve sempre essere presente una persona in grado di
fornire aiuto in caso di emergenza;
• devono essere previsti dei dispositivi, facilmente accessibili, per scollegare
rapidamente le attrezzature dal circuito di alimentazione:
• eventuali comandi remoti delle apparecchiature devono essere alimentati SELV.
Sia il trasformatore d’isolamento, sia il trasformatore di sicurezza devono essere
tenuti all’esterno del luogo conduttore ristretto, a causa del pericolo rappresentato
dal primario alimentato direttamente dalla rete.
Pedane isolanti.
Supporti isolanti per pinze e torce di
saldatura.
Connettori isolanti su tutte le
utenze elettriche di qualsiasi
voltaggio.
Guanti e calzature dielettriche.
Nella saldatura su grandi masse metalliche (carpenterie, mezzi navali, impianti industriali,
ecc.) occorre prestare la massima attenzione anche al corretto posizionamento dei
collegamenti ai conduttori di terra
PIANI E PROCEDURE DI EMERGENZA.
La predisposizione di un PIANO DI RECUPERO E SALVATAGGIO e di SPECIFICHE procedure
per le situazioni di emergenza risulta necessario nel caso di lavorazioni svolte in spazi
confinati in quanto la natura circoscritta degli ambienti, la scarsità di spazio per muoversi
e la scarsa disponibilità di aria (limitata dal volume dell’ambiente o dall’autonomia delle
riserve di aria/ossigeno degli autorespiratori) rendono le attività di salvataggio più
difficoltose ed incerte rispetto a ciò che avviene in altri ambiti.
La struttura del piano e delle procedure dovrà
descrivere fedelmente la conformazione
dell’ambiente di lavoro e le tipologie di lavorazioni
che verranno svolte, e in base a questi parametri
andrà anche formata la squadra di emergenza.
Il piano di emergenza dovrà prendere in
considerazione anche eventuali lavorazioni (e più in
generale qualsiasi situazione) che possano creare
pericolo o possano influenzare le operazioni di
salvataggio.
Nel caso di più imprese presenti contemporaneamente, andrà
redatto un unico piano di emergenza che andrà periodicamente
aggiornato in base all’avanzamento dei lavori ed alle mutate
condizioni interne ed esterne.
Il piano di emergenza deve contenere, almeno:
• caratteristiche del luogo di lavoro;
• lavorazioni da svolgere;
• nominativi dei responsabili e dei componenti della squadra
di emergenza (compresa gerarchia),
• incarichi specifici e procedure di emergenza per attività ed
aree di lavoro;
• procedure da seguire da parte dei responsabili dell’impresa e
dei lavoratori (comprese le indicazioni per la chiamata dei
soccorsi esterni);
• modalità di informazione e formazione ed addestramento
del personale sul piano stesso;
• periodicità delle esercitazioni di emergenza.
LA SQUADRA DI SOCCORSO E SALVATAGGIO.
La composizione e l’addestramento di una squadra di emergenza devono essere valutati
in base alle caratteristiche dell’ambiente, al numero di lavoratori presenti all’interno ed
alle lavorazioni che vengono svolte e ai rischi specifici ad esse legati.
Potrebbe rivelarsi necessario avere una squadra di emergenza sempre presente in loco
piuttosto che affidarsi solamente ai soccorsi esterni, soprattutto nel caso in cui vi sia un
elevata probabilità che si possa sviluppare un’atmosfera pericolosa che necessiti di un
intervento molto rapido.
Nel caso in cui si opti per una squadra di soccorso interna e quindi continuativamente
presente sul luogo di lavoro, i componenti di tale squadra dovranno essere
necessariamente formati ed addestrati (oltre che sui contenuti del piano e delle
procedure di emergenza) almeno riguardo a:
• analisi e riconoscimento dei pericoli;
• tecniche e metodi di comunicazione;
• procedure per l’autosalvamento;
• uso dei DPI specifici (autorespiratori…);
• tecniche di primo soccorso e rianimazione;
• modalità di intervento che possono variare in considerazione dei possibili
scenari di emergenza che si posso verificare all’interno dello spazio
confinato.
Nel caso non si ritenga necessario disporre di una squadra di emergenza sempre
presente sul posto è necessario informare i servizi di soccorso esterni deputati alle
emergenze riguardo alle lavorazioni che si svolgeranno, fornendo loro il piano e le
relative procedure di emergenza e, se richiesto, organizzare sopralluoghi per la
valutazione delle condizioni di ambiente e lavorazioni.
IDONEITA’ SPECIFICA ALLA MANSIONE DEI LAVORATORI ADDETTI
ALL’INGRESSO IN AMBIENTE CONFINATO
Il personale che deve essere impiegato per operare all’interno di AMBIENTI CONFINATI
deve soddisfare i seguenti requisiti:
• possegga una elevata esperienza relativamente all’attività operativa che deve
svolgere;
• abbia ricevuto un addestramento specifico per il particolare ambiente di lavoro;
• abbia ottenuto una specifica idoneità sanitaria da parte del medico competente
(negatività a patologie che spaziano dalle allergie, alle cardiopatie, dalla ipertensione
alla claustrofobia).
Preposti e supervisori devono essere persone con adeguate conoscenze tecniche ed
esperienza relativamente alle problematiche caratteristiche degli ambienti confinati e
dello specifico ambiente di lavoro ed attività da svolgersi all’interno.
Nessuna norma internazionale ammette che all’interno di ambienti
confinati acceda personale non addestrato
In nessuna legge o regolamento internazionale sono
posti vincoli relativi all’idoneità specifica alla mansione.
Una legge guida britannica raccomanda che, alle
attività da svolgersi all’interno di ambienti confinati,
vengano destinati lavoratori in buone condizioni fisiche
generali, non affetti da claustrofobia o soggetti ad
attacchi di panico, stati d’ansia o altre fobie o patologie
assimilabili.
IDONEITA’ FISICA ALLA MANSIONE
Si consiglia inoltre che tutti i lavoratori abbiano compiuto i
18 anni di età e che, preferibilmente, non abbiano
oltrepassato i 50. Oltre questa età potrebbe infatti
divenire eccessivamente gravoso l’utilizzo di sistemi
respiratori di qualsiasi genere per tempi prolungati ma,
nel caso in cui il lavoratore abbia oltrepassato i 50 anni di
età, si raccomanda di sottoporlo ad un controllo sanitario
con cadenza annuale.
Il lavoratore non deve essere (o essere stato) affetto dalle seguenti
patologie:
• perdita di coscienza (sincope);
• problemi cardiaci di qualsiasi natura;
• ipertensione;
• asma, bronchite o altre patologie respiratorie;
• ipoacusia;
• sindrome di Ménière o altre patologie che provochino vertigini o
perdita di equilibrio;
• mal di schiena o altre patologie dorso lombari o alle articolazioni che
possano limitare i movimenti;
• malattie croniche della pelle;
• difetti importanti alla vista;
• allergopatie;
• percezione olfattiva ridotta o assente.
A questa lista va poi aggiunta la negatività ai test ad alcool e
stupefacenti.
REGOLA N. 1 PER OPERARE IN SICUREZZA
ALL’INTERNO DI UNO SPAZIO CONFINATO:
NON ENTRARCI
Poiché la prima REGOLA della sicurezza sul lavoro è quella di ELIMINARE - ogni
qualvolta sia possibile - un pericolo ed il conseguente rischio per l’operatore,
ne consegue che il luogo confinato più sicuro è quello nel quale è possibile
operare dall’ESTERNO ovvero senza entrarvi.
LAVORI IN SPAZI CONFINATI CONDOTTI DA POSIZIONE REMOTA
• ROV (Remotely Operated Underwater Vehicles) a rigore, denominati UUV
(Unmanned Underwater Veichles);
• UGV (Unmanned Ground Vehicles) anche detti “crawler”;
• UAV (Unmanned Aerial Vehicles): anche detti “droni”.
CIRCA 1955 ROV
CIRCA 1950 UGV
CIRCA 1969 UAV