spazi confinati - Scuola di Formazione Ipsoa
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TEORIA E PRATICA DEL LAVORO IN AMBIENTI CONFINATI ING. ROBERTO NICOLUCCI I TERMINI SPAZIO, AMBIENTE, LUOGO, VANO SONO SINONIMI. I TERMINI CONFINATO E RISTRETTO SONO SINONIMI. UN AMBIENTE CONFINATO NON E’ NECESSARIAMENTE CHIUSO E NON NECESSARIAMENTE DI DIMENSIONI RIDOTTE. VI – IV MILLENNIO a.C. 2500 a.C. I° SEC. d.C. 1556 1831 1850-1900 1906 1910 1925 1922 NFPA 306 1956 DPR 164 (art. 15) DPR 303 (art. 25) DPR 320 DPR 321 1959 DPR 128/59 1970-1990 2008 2011 ANSI - OSHA - NIOSH - API - NFPA - AWS D.Lgs. 81 (art. 66, 121) DPR 177 I PROGRAMMI DI RICERCA 1970 - 1990 1979 1982 1982 1983 1985 1990 NIOSH NIOSH OSHA OSHA OSHA NIOSH 276 83 50 105 122 585 193 (234) 83 78 126 173 670 GLI INCIDENTI ALL’INTERNO DEGLI AMBIENTI CONFINATI SI CARATTERIZZANO PER ALCUNE PECULIARITA’ 1. La medesima operazione che provoca una o più vittime è stata molte volte eseguita precedentemente alle medesime (apparenti) condizioni; 2. L’incidenza del numero di vittime rispetto alle ore lavorate è estremamente più elevata che in qualsiasi altro ambiente di lavoro; 3. Parecchi studi svolti in differenti settori operativi (industria, oil&gas e shipping, agricoltura, ecc.) rilevano un rapporto tra infortuni mortali e non mortali prossimo a 1 (non trova quindi applicazione la teoria di H.W.Heinrich [300:29:1] o di F. Bird [600:30:10:1]); 4. 5. Secondo diverse fonti, oltre il 50% delle vittime è rappresentato da soccorritori; Con stupefacente frequenza, soprattutto in particolari settori produttivi a conduzione familiare (trasporto, agricoltura, ecc.) le vittime sono congiunti (catena della solidarietà). Una caratteristica tipica degli incidenti all’interno di spazi confinati è che, più che in altri ambienti di lavoro, si tratta di infortuni multipli. Il più grave infortunio mortale multiplo (non minerario) avvenuto in Italia è accaduto proprio in un ambiente confinato (13 vittime). Il fatto che si registrino vittime non soltanto tra i lavoratori, ma molto spesso anche tra i soccorritori, dipende da: • mancata conoscenza delle problematiche specifiche relative agli spazi confinati; • difficoltosa riconoscibilità dei fattori di rischio; • inadeguatezza dell’addestramento e della dotazione di presidi di soccorso. LA DEFINIZIONE DI SPAZIO CONFINATO HA SUBITO UNA EVOLUZIONE NEL TEMPO SEGUENDO DUE DIFFERENTI FILOSOFIE: • SCUOLA AMERICANA • SCUOLA EUROPEA IN GENERALE LE DEFINIZIONI CORRENTI PRENDONO IN CONSIDERAZIONE: • CARATTERISTICHE “MORFOLOGICHE” • CARATTERISTICHE “ATMOSFERICHE” • CARATTERISTICHE “MISTE” • ESCLUSIONI APPLICATIVE Prendendo spunto dalla prima definizione proposta dall’OSHA, oggi numerose norme di legge e standard in vigore in diversi Paesi riportano una definizione di spazio confinato che lo connota come segue: • • • • non sia stato progettato per svolgervi un’attività lavorativa ordinaria, ma tuttavia sia sufficientemente grande per consentire ad almeno una persona di entrarvi completamente e svolgervi una qualche attività; sia caratterizzato da limitate aperture di accesso e/o da una ventilazione naturale sfavorevole; possa verificarsi al suo interno un evento accidentale importante, che possa portare ad un infortunio grave o mortale a causa della sua configurazione e/o della presenza di agenti chimici, fisici e biologici pericolosi caratteristici dell’ambiente stesso e/o correlati all’attività che vi si va a svolgere; in particolare, che l’atmosfera possa presentare pericoli legati a una sotto o sovra ossigenazione o alla presenza di gas o vapori tossici o infiammabili. In nessuna norma (legge, regolamento, standard) oggi in vigore vi sono riferimenti relativi alle dimensioni dell’ambiente. In generale, appare oggi universalmente condiviso che la principale clausola di non applicabilità delle norme relative agli spazi confinati risieda nel fatto che si tratti di ambiente progettato e realizzato per un’attività continuativa. Molto spesso le uniche limitazioni operative che vengono riportate sono relative a: – tenore di ossigeno nell’atmosfera, generalmente, a seconda dello standard, indicato tra il 18,5% ed il 25%; – tossicità dell’atmosfera, quasi universalmente indicata dal TLV-TWA o da un equivalente indice, a seconda del Paese di applicazione; – esplosività dell’atmosfera, generalmente indicata in un valore massimo variabile tra il 5 ed il 25% del LEL a seconda dei casi. Un aspetto da non sottovalutare nell’identificazione di un ambiente confinato, è la frequente dinamicità delle caratteristiche che lo connotano. Un ambiente confinato non è necessariamente tale durante tutto l’arco della sua “vita”. Infatti le condizioni e i rischi per gli operatori possono facilmente variare a seconda delle condizioni al contorno, delle condizioni interne o delle attività che al suo interno vengono eseguite. SPAZI CONFINATI • 150 DIFFERENTI TIPOLOGIE (J. Rekus) • 36 FATTORI DI RISCHIO (N. Mc Manus) NON E’ POSSIBILE STILARE UNA LISTA ESAUSTIVA DI TIPOLOGIE DI LUOGHI CONFINATI. VEDIAMO ALCUNI ESEMPI. CISTERNE E SERBATOI DI STOCCAGGIO FUORI TERRA E INTERRATE SILOS PER CEREALI IMPIANTI CHIMICI E PETROLCHIMICI SERBATOI PER GAS LIQUEFATTI E COMPRESSI FERROCISTERNE E AUTOCISTERNE CONDOTTE, CAMERETTE E POZZETTI FOGNARI CUNICOLI DI SOTTOSERVIZI URBANI ED INDUSTRIALI (RETE IDRICA, TELEFONICA, ELETTRICA, VENTILAZIONE, ARIA COMPRESSA, TELERISCALDAMENTO, VAPORE, ECC.) POZZI IDRICI CIMINIERE E CAMINI CIVILI E INDUSTRIALI FOSSE BIOLOGICHE STIVE DI CARICO E CISTERNE DI NAVI CANTIERISTICA NAVALE DI COSTRUZIONE, RIPARAZIONE E TRASFORMAZIONE VASCHE DI DECANTAZIONE IMPIANTI DI TRATTAMENTO FANGHI FISSI E MOBILI GENERATORI EOLICI STRUTTURE E IMPIANTI OFFSHORE DELL’INDUSTRIA DELL’OIL&GAS (UPSTREAM) SILOS PER INERTI O CEMENTO CAMERE DI COMBUSTIONE DI FORNACI, ACCIAIERIE, GENERATORI DI VAPORE ATTIVITA’ DI CARPENTERIA MECCANICA E CALDARERIA PIPELINES SCAVI E TRINCEE DI FONDAZIONE TRAMOGGE AEROMOBILI CELLE FRIGORIFERE SOTTOTETTI ED INTERCAPEDINI DI EDIFICI SCANTINATI VANI ASCENSORE CONDOTTE DI VENTILAZIONE FOSSE DI MANUTENZIONE DEGLI AUTOVEICOLI GRANDI MOTORI MARINI CONTAINER TORRI PIEZOMETRICHE SCAVI ARCHEOLOGICI IMPIANTI IDROELETTRICI DIGESTORI ANAEROBICI GASOMETRI IMPIANTI TRATTAMENTO ACQUE ATTIVITA’ FUNERARIE AUTOBETONIERE (IMPIANTO DI BETONAGGIO) CABINATI CON IMPIANTI DI ESTINZIONE A GAS INERTI PISCINE (VUOTE) IMPIANTI DI VINIFICAZIONE PARCHI MINERARI TUNNEL STRADALI, FERROVIARI E DI LINEE METROPOLITANE GALLERIE MINERARIE TRINCEE DI VARO ALCUNI AMBIENTI CONFINATI NON SONO COSI’ OVVI E RICONOSCIBILI: AD ESEMPIO PISCINE, GRANDI SCAVI A CIELO APERTO O AMBIENTI CHIUSI ORDINARI “SEMPLICEMENTE” CARATTERIZZATI DA SCARSA VENTILAZIONE VENGONO SPESSO CLASSIFICATI COME SPAZI CONFINATI DA UNA VASTISSIMA LETTERATURA INTERNAZIONALE SALVO RICLASSIFICARLI COME AMBIENTI ORDINARI DOPO ADEGUATA BONIFICA/VENTILAZIONE. Anche molti manufatti industriali, per le loro dimensioni e caratteristiche, potrebbero non apparire classificabili come ambienti confinati, ma nessuna norma internazionale usualmente deroga sulla loro classificazione se non (ma non sempre) limitatamente alle fasi della loro costruzione. SPAZIO ADIACENTE (ADJACENT SPACE) Il concetto di “spazio adiacente”, direttamente correlato a quello di spazio confinato, è stato per la prima volta introdotto dallo standard NFPA 306 Control of Gas Hazards Aboard Vessels. L’importanza di questo concetto, rielaborato nel tempo, non è secondaria a quella stessa di spazio confinato. DEFINIZIONE SI DEFINISCE “SPAZIO ADIACENTE” UN QUALSIASI AMBIENTE CHE, RISPETTO ALLO SPAZIO CONFINATO SUL QUALE SI DEVE INTERVENIRE, SIA CONFINANTE VERTICALMENTE, ORIZZONTALMENTE O DIAGONALMENTE. La zona di contatto può essere costituita dal fondo, dal soffitto, da una o più pareti laterali o anche da un solo spigolo. 2 CASI DI STUDIO - le TANK FARM - le TANK SHIP PERCHE’ SI ENTRA IN UNO SPAZIO CONFINATO • • • • • • • • • • asportazione di liquidi, fanghi o altri prodotti non drenabili; pulizia generale del vano; ispezione visiva dell’integrità del vano e/o degli impianti in esso contenuti; controlli non distruttivi e misurazioni; sabbiature, pitturazioni, coibentazioni, trattamenti termici, saldatura, taglio alla fiamma, disinfestazioni della struttura del vano o di tubazioni in esso presenti; regolazione, riparazione o sostituzione di apparecchiature meccaniche ed elettrostrumentali; lettura di strumenti non remotati; manutenzione, riparazione, installazione, rimozione di apparecchiature (pompe, motori, apparecchiature di controllo e misura, valvole, tubazioni, cablaggi, ecc.); costruzione, modifica o smantellamento del vano medesimo; salvataggio e recupero di lavoratori infortunati. COSA SI INTENDE PER INGRESSO IN UN AMBIENTE CONFINATO? 1 2 3 4 NTER OF GRAVITY n of the fixed as body ange s shape changes, of the Fig 14.3 USUALI VARCHI DI ACCESSO Non esistono norme di legge o standard tecnici che fissino limiti di ingresso correlati alle dimensioni del varco. Nel tempo gli standard di riferimento per passi d’uomo e aperture di altro tipo sono, in alcuni casi, variati sensibilmente. Gli standard a parità di “epoca” non sono peraltro omogenei passando da un settore ad un altro. Generalmente le dimensioni più ridotte si trovano nei mezzi di trasporto e negli apparecchi in pressione. Ad esempio le BS per il settore civile raccomandano varchi minimi di 900 x 600 mm e 600 x 600 mm. Molto diffusi sono però ancora i passi d’uomo realizzati prima dell’inizio degli anni 90 di dimensioni 18 " x 16 " (458 x 407 mm) rettangolari o ovali o circolari Ø 18 “ (458 mm), mentre sui mezzi di trasporto sono diffusi i 16“x 14 “ (407 x 356 mm) o circolari da 16 “ (407 mm). Numerosi studi hanno dimostrato che il passaggio minimo necessario per consentire ad un operatore di entrare con SCBA già indossato è di 575 mm. In caso di presenza di scale alla marinara la distanza tra gradini e parete opposta deve essere come minimo 900 mm. UNA ECCEZIONE AD UNA REGOLA COMUNE. L’ambiente confinato è uno dei pochi ambienti di lavoro nei quali è statisticamente più sicuro operare da soli piuttosto che in presenza di un compagno di lavoro. Se il compagno di lavoro resta all’esterno in posizione “protetta” anziché entrare si raggiunge un livello di sicurezza maggiore per l’operatore. In generale: meno persone entrano e meglio è. QUALI SONO I PRINCIPALI RISCHI PER I LAVORATORI CHE OPERANO IN UNO SPAZIO CONFINATO? A seconda del settore produttivo di applicazione, della norma o delle specifiche esigenze, si è di volta in volta ritenuto più opportuno classificare i pericoli in maniera differente, spesso: • • in relazione alla loro origine rispetto all’ambiente confinato (endogena o esogena); in relazione alla loro natura (chimica, fisica, biologica). In alcuni casi, a livello normativo, si è preferito porre l’accento sui pericoli presenti nell’ambiente o comunque in qualche modo correlabili ad esso, mentre in altri casi si è preferito focalizzare l’attenzione sui rischi per gli operatori. MACRO CLASSIFICAZIONE DEI RISCHI • rischio di asfissia: causato da carenza di ossigeno dovuta ad ossidazioni, fermentazioni, inertizzazioni; • rischio di natura chimica: causato da presenza di sostanze nocive per l’uomo; • rischio di natura biologica: causato da presenza di agenti patogeni di varia natura; • rischio di natura fisica/meccanica: – rischio elettrico: causato da utilizzo di attrezzature ad alimentazione elettrica o difetti di isolamento degli impianti; – rischio di incendio/esplosione: causato da presenza di atmosfere esplosive o sovra ossigenazione; – rischio rumore: causato da utilizzo di attrezzature di lavoro; • rischio caduta: causato da inciampo, scivolamento, utilizzo di scale e ponteggi, ecc.; • rischio annegamento: causato da presenza di liquidi; • rischio schiacciamento: causato da caduta di carichi, franamento di materiali incoerenti, utilizzo di utensili, ecc.; • rischio ergonomico: causato da posture scorrette; • rischio ustioni: causato da utilizzo di apparecchi di saldatura, ossitaglio o genericamente da radiazioni termiche. Una diffusa classificazione prevede una semplice distinzione tra pericoli atmosferici e non atmosferici. Tra le cause atmosferiche si ricomprendono tipicamente le atmosfere sottossigenate, sovraossigenate, tossiche ed esplosive. L’aria che respiriamo. COMPOSIZIONE DELL'ARIA SECCA Nome Form ula Proporzione o frazione molecolare[ppm] Azoto N2 78,08 % Ossigeno O2 20,95 % Argon Ar 0,934 % Diossido di carbonio CO2 388 ppm (agosto 2010) Neon Ne 18,18 ppm Elio He 5,24 ppm Monossido di azoto NO 5 ppm Kripton Kr 1,14 ppm Metano CH4 1 / 2 ppm Idrogeno H2 0,5 ppm Ossido di diazoto N2O 0,5 ppm Xeno Xe 0,087 ppm Diossido di azoto NO2 0,02 ppm Ozono O3 da 0 a 0,01 ppm Un’atmosfera di lavoro “ideale”, ovvero perfettamente sicura, è caratterizzata dalle seguenti condizioni: • tenore di ossigeno prossimo a quello presente normalmente nell’aria (20,9% in volume); • assenza di agenti chimici tossici; • assenza di gas e vapori infiammabili o esplosivi; • assenza di polveri combustibili capaci di disperdersi in aria nel campo di esplosività; • assenza di agenti patogeni, allergeni, ecc.; • assenza di polveri, nebbie, fumi, vapori che impediscano la visibilità; • temperatura ambiente compresa tra i 16°C ed i 24°C e assenza di radiazioni termiche; • umidità nell’ambiente compresa tra il 50 ed il 70%; • assenza di correnti d’aria fastidiose (< 0,3 m/sec); • assenza di odori sgradevoli. • assenza di radiazioni ionizzanti, radioattività e NIR (EMF, laser, ottiche, ecc.). Per quanto riguarda l’ambiente “microclimatico” di lavoro, sebbene non strettamente correlati all’atmosfera è possibile aggiungere anche i seguenti requisiti: • illuminazione commisurata all’attività da svolgersi (30 ÷ 300 lux) ed assenza di abbagliamenti; • assenza di rumorosità (< 80 dB (A)) e vibrazioni; • possibilità di assumere una posizione ergonomicamente corretta. Caratteristiche fondamentali da indagare relativamente al potenziale di pericolosità presente in ambiente confinato. A. B. C. D. E. F. G. H. I. J. Stato fisico delle sostanze presenti (sez. 9 MSDS). Percentuale di ossigeno in atmosfera. Limite di esposizione ad una sostanza tossica (o asfissiante) (sez. 8 MSDS). Campo di infiammabilità/esplosività (sez. 9 MSDS). Punto di infiammabilità (sez. 9 MSDS). Temperatura di autoaccensione (sez. 9 MSDS). Densità dei vapori e dei gas rispetto all’aria (sez. 9 MSDS). Odore naturale o odorizzazione artificiale rilevabile (sez. 9 MSDS). Solubilità in acqua o in altri solventi (sez. 9 MSDS). Incompatibilità chimiche (sez. 10 MSDS). RISCHIO ASFISSIA (IPOSSIA) Quali sono gli effetti fisiologici sull’uomo derivanti da una concentrazione di ossigeno modificata rispetto al valore standard? O2 (%vol) 22.5 21 19.5 Effetti e sintomi Nessuno (massima concentrazione di sicurezza) Nessuno (concentrazione media nell’aria) Nessuno (minima concentrazione di sicurezza) 15 - 19 Primi segnali di ipossia. Riduzione della capacità di lavoro. Può provocare scompensi a soggetti con problemi coronarici, polmonari o circolari. 12 - 14 La frequenza respiratoria aumenta, le pulsazioni aumentano, indebolimento della capacità muscolare, della percezione e di giudizio. 10 - 12 Ulteriore aumento della frequenza e intensità respiratoria, labbra leggermente blu. 8 - 10 Problemi mentali, svenimento, incoscienza, faccia cinerea, labbra blu, nausea, vomito, difficoltà di movimenti. 6-8 6 minuti – 50% probabilità di morte 8 minuti – 100% probabilità di morte 4-6 Coma in 40 secondi, convulsioni, blocco respirazione, morte. L’effetto sul nostro organismo generato dalla carenza di ossigeno in atmosfera è esattamente identico a quello che viene provocato da un aumento di quota (ipobarismo). Aumentando l’altitudine la % di O2 nell’aria resta invariata (così come, in generale, la sua composizione), ma diminuisce la sua pressione parziale esattamente come se vi fosse una calo della % in volume. Altezza m s.l.m. Pressione mmHg Temperatura °C Altezza m s.l.m. Pressione mmHg Temperatura °C 0 760 +15 11000 189,51 -56,5 1000 669,85 +8,5 12000 167,03 -56,5 2000 590,40 +2,0 13000 147,22 -56,5 3000 520,37 -4,5 14000 129,75 -56,5 4000 458,64 -11,0 15000 114,36 -56,5 5000 404,24 -17,5 16000 100,80 -56,5 6000 356,30 -24,0 17000 88,84 -56,5 7000 314,03 -30,5 18000 78,30 -56,5 8000 276,78 -37,0 19000 69,02 -56,5 9000 243,95 -43,5 20000 60,83 -56,5 10000 215,01 -50,0 LA PRESSIONE PARZIALE DELL’ARIA SUBISCE DELLE VARIAZIONI ANCHE PER FATTORI ESTRANEI ALLA QUOTA: • VARIAZIONE REGOLARE COSIDDETTA DIURNA; • VARIAZIONE IRREGOLARE CONSEGUENTE ALLE VARIAZIONI METEO; • VARIAZIONE IRREGOLARE DOVUTE ALL’UMIDITA’ E ALLA TEMPERATURA; DI CONSEGUENZA ANCHE LA PpO2 NE RISENTE. In fisica e in chimica, la legge delle pressioni parziali di Dalton è la legge che afferma che: La pressione totale esercitata da una miscela ideale di gas ideali è uguale alla somma delle pressioni parziali che sarebbero esercitate dai gas se fossero presenti da soli in un eguale volume. La diminuzione della pressione barometrica e della PpO2 alle diverse altitudini s.l.m. può essere così schematizzata: QUOTA (m) PB (mmHg) PpO2 (mmHg) 0 760 159 1000 674 141 2000 596 124 3000 526 100 4000 462 96 5000 405 84 Di fatto quindi, l’effetto sull’organismo umano provocato da una diminuzione della PpO2 derivante da una diminuzione della pressione barometrica dell’aria è del tutto simile all’effetto provocato da una diminuzione della % di O2 riferita ad una miscela a 760 mmHg di pressione. La similitudine tra gli effetti di una diminuzione della pressione barometrica e gli effetti di una sottossigenazione è rappresentata dalla seguente tabella. Bassa quota Media quota Alta quota Altissima quota Altitudine (m) 0 ÷ 1800 1800 ÷ 3000 3000 ÷ 5500 5500 ÷ 9000 Pressione atmosferica (mmHg) 760 ÷ 611 611 ÷ 525 525 ÷ 379 379 ÷ 231 % O2 equivalente a 0 m slm 20,9 ÷ 16,9 16,9 ÷ 14,5 14,5 ÷ 10,5 10,5 ÷ 6,3 L’equivalenza tra la PpO2 di un’atmosfera con 20,9% di ossigeno ad una data quota e il tenore di ossigeno “equivalente” in una atmosfera standard (0 m slm) si ricava dalla semplice equazione: % O2 in aria = PB/760 x 20,9 LA RESPIRAZIONE ESTERNA E CELLULARE C6H12O6 + 6O2 → 6CO2 + 6H2O + energia metabolica (molecole di ATP) Una volta che l’ossigeno si è legato all’emoglobina si ha la formazione di ossiemoglobina (Hb-O2); essa si trasforma in deossiemoglobina una volta che questa rilascia ai tessuti l’ossigeno e in carbodiossiemoglobina (Hb-CO2) una volta che la molecola ha captato l’anidride carbonica prodotta dai processi di metabolismo ossidativo cellulare. Questa molecola, infine, rilascia l’anidride carbonica all’interno dei polmoni, consentendone l’espulsione dal corpo umano, chiudendo così il ciclo del trasporto. Tra le principali cause che possono portare ad una SOTTOSSIGENAZIONE all’interno di un ambiente confinato vi sono: A. le reazioni di ossidazione: 2Fe + 3O2 (da umidità atmosferica) → 2Fe2O3 ad es. durante la tipica reazione di arrugginimento del ferro all’aria nella quale il ferro si combina con l’ossigeno; in caso di ambiente confinato, caratterizzato da scarsa o assente ventilazione, l’ossigeno viene così sottratto all’atmosfera interna; B. le reazioni di fermentazione: Sostanze Organiche + O2 + microrganismi-enzimi → CO2 durante i processi di fermentazione i microrganismi digeriscono la sostanza organica (ad es. grano, altri cereali, ecc.) consumando ossigeno e producendo anidride carbonica; C. il consumo di ossigeno contenuto nell’aria attraverso processi che comportano l’utilizzo di fiamme libere (saldatura, taglio, preriscaldo, ecc.) nei quali l’ossigeno presente in ambiente costituisce il comburente primario (nel caso ad esempio del GPL) o secondario (quando il comburente primario è contenuto in bombole come ad es. nel caso della fiamma ossiacetilenica); 2C2H2 + 5O2 = 4CO2 + 2H2O (combustione ossiacetilenica) Una reazione analoga avviene in tutte le cosiddette combustioni ossigas. Un brevissimo approfondimento merita, in termini di potenziale modificazione dell’atmosfera interna ad un ambiente confinato, l’attività di saldatura e taglio mediante impianto ossiacetilenico; in particolare la fiamma ossiacetilenica presenta i seguenti aspetti e caratteristiche: essa è costituita da una parte più interna (detta dardo) a diretto contatto con l’ugello di erogazione dei gas (la cui temperatura può superare anche i 2500 °C) ed una parte più esterna, più grande e più fredda (nell’ordine dei 1000°C) detta pennacchio; in quest’ultima zona può essere presente a seconda dei casi un eccesso di ossigeno oppure un eccesso di gas combustibile oltre a prodotti di combustione (CO2, vapore acqueo, ecc.). La fiamma ossiacetilenica è classificata normalmente in tre differenti tipi. Neutra (ottenibile con un regolazione al 50/50 del rapporto tra gas combustibile e comburente) Riducente (caratterizzata da un eccesso di gas combustibile) Ossidante (caratterizzata da un eccesso di gas comburente) Fiamma neutra Fiamma riducente (eccesso di acetilene) Fiamma ossidante (eccesso di ossigeno) Non necessariamente si tratta nel secondo e nel terzo caso di difetti di combustione indesiderati; a volte, a seconda delle necessità operative, può essere l’operatore a modificare il bilanciamento tra i due gas. ATTENZIONE!! In caso di fiamma riducente può avvenire una combustione dell’acetilene in eccesso nella zona esterna al dardo (ovvero all’interno del pennacchio) che grazie alla alta temperatura brucia utilizzando l’ossigeno atmosferico e quindi sottraendo ossigeno all’ambiente. D. i processi che portano alla SOSTITUZIONE dell’ossigeno con gas non tossici ma ASFISSIANTI: ad esempio i processi di inertizzazione, ovvero la sostituzione dell’aria ricca di gas infiammabili all’interno di cisterne o serbatoi (contenenti liquidi infiammabili) con gas nobili (ad es. Ar) o, in generale, inerti (ad es. CO2, N2); i processi di saldatura sotto protezione di gas inerte, attivo o inattivo (MIG, MAG, TIG); la realizzazione di montaggi meccanici per interferenza; il dry ice blasting. E. le reazioni cellulari: C6H12O6 + 6O2 → 6CO2 + 6H2O + energia metabolica (molecole di ATP) La respirazione cellulare è il meccanismo attraverso il quale la cellula in presenza di ossigeno è in grado di ricavare energia per i processi vitali (metabolismo basale) e lavorativi. La respirazione cellulare è suddivisibile in parecchi passaggi in cui i prodotti di una reazione di ossidazione vengono poi utilizzati come base per una reazione successiva. Una delle più importanti reazioni metaboliche è rappresentata dalla trasformazione del glucosio. Durante il processo di respirazione esterna si immette aria contenente il 21% di O2 (in condizioni standard) e si ri-emette in ambiente aria contenente il 16% di O2 . F. Adsorbimento/absorbimento In taluni casi di ingresso in ambienti confinati caratterizzati da presenza di terreno contaminato con idrocarburi o con altre sostanze organiche, sono stati segnalati casi di asfissia causati da forte adsorbimento e/o absorbimento. Anche una atmosfera arricchita di ossigeno (SOVRAOSSIGENAZIONE) può comportare gravi rischi per gli operatori, infatti: • aumentando il livello di ossigeno in atmosfera, aumentano il campo di infiammabilità e la velocità di propagazione della fiamma di un materiale combustibile; • aumentando il livello di ossigeno in atmosfera, l’energia minima di innesco diminuisce drasticamente così come la temperatura di autoaccensione; • con il 24 % di O2 in aria, materiali quali tessuti per vestiario possono addirittura subire una combustione spontanea; i grassi vegetali e gli idrocarburi, se investiti da ossigeno nascente (cioè non legato in una molecola e quindi altamente reattivo) possono auto infiammarsi facilmente. La NFPA classifica come ambienti sovraossigenati quelli in cui l’ossigeno supera la soglia del 23,5% in volume. Nel settore industriale, l’ossigeno puro è utilizzato in più processi, quali ad esempio: • nel settore chimico e petrolchimico, è utilizzato per ossidare parzialmente diversi composti organici, idrocarburi liquidi, gassosi e carbone, per ottenere intermedi destinati alla chimica fine; • nel settore siderurgico è utilizzato nella produzione dell’acciaio, come ad esempio nel processo al convertitore Linz-Donawitz; • nel settore minerario è impiegato per la raffinazione del rame, del’oro e di altri metalli; • negli impianti di trattamento e potabilizzazione dell’acqua per produrre l’ozono o per effettuare direttamente pre-trattamenti; • nell’industria dei semiconduttori per produrre microchips; • nell’industria cartaria per la sfibratura e sbiancatura della polpa di legno; • nella carpenteria meccanica viene utilizzato, come già visto, nei processi di ossitaglio. Un elevato rischio per la presenza di atmosfere sovraossigenate si ha anche negli impianti di produzione dell’ossigeno (generalmente ottenuto per distillazione dell’aria), a bordo dei mezzi di trasporto o nei siti di stoccaggio dell’ossigeno liquefatto o compresso. L’ossigeno può infatti essere trasportato e stoccato sia in forma gassosa che sotto forma di liquido criogenico. Si osservi che l’evaporazione di un litro di ossigeno allo stato liquido porta alla formazione di circa 820 litri di ossigeno gassoso alla temperatura di 20°C. In un vano di 10 m3 la dispersione di un litro di ossigeno liquido comporterebbe un incremento del gas fino al 29% in volume. Tra le principali cause che possono portare ad un aumento della percentuale di O2 in un ambiente confinato vi sono: • Fuoriuscita di ossigeno da manichette, rubinetterie e in generale apparecchiature difettose degli impianti ossigas; • Processi ossigas effettuati con fiamma OSSIDANTE. • Fuoriuscita di ossigeno dagli impianti di produzione (distillazione dell’aria) e stoccaggio (in pressione o criogenico) o da impianti di processo in cui è impiegato come ossidante. Per evitare sovraossigenazioni accidentali occorre adottare alcuni importanti accorgimenti. • Proteggere meccanicamente manichette e rubinetterie al fine di scongiurare danni; • Ispezionare frequentemente le attrezzature di lavoro alla ricerca di eventuali perdite o danneggiamenti; • Chiudere sempre i rubinetti delle bombole dei gas quando l’impianto non viene utilizzato (anche per pause di pochi minuti); • Non rimuovere la polvere con ossigeno in pressione, ma solo con aria compressa; • All’accensione degli impianti ossigas aprire prima il rubinetto del combustibile e solo successivamente quello dell’ossigeno. Un ambiente di lavoro particolare: LA CAMERA IPERBARICA. Le camere iperbariche così come le sale operatorie o i cassoni ad aria compressa sono però generalmente normate da standard specifici e quindi formalmente non devono essere annoverate (dal mero punto di vista del rispetto dei requisiti legali), tra gli “spazi confinati”. Da un punto di vista pratico sono ovviamente ambienti confinati a tutti gli effetti. Nessun incidente verificatosi nella storia, avvenuto in camera iperbarica in cui era presente una atmosfera con un tenore di ossigeno superiore al 28% ha registrato superstiti. RISCHIO CHIMICO Le sostanze tossiche per l’uomo sono migliaia. Per la valutazione delle condizioni di sicurezza dei lavoratori, in tossicologia ci si riferisce molto spesso ai valori limite di soglia TLV-TWA della ACGIH® . Altri indici più o meno frequentemente ricorrenti in letteratura sono IDHL, PEL, MAK, VLE, ecc.. Per praticità, molto spesso, in letteratura tecnica si considerano tossiche anche le sostanze semplicemente asfissianti sebbene da un punto di vista prettamente tossico-cinetico i gas asfissianti non producano alcuna azione diretta sull’organismo. In via semplificativa, si possono inoltre ricomprendere nella categoria anche le sostanze cancerogene che a rigore, per numerosi motivi, dovrebbero essere considerate separatamente. In relazione a quest’ultima categoria di sostanze si ricorda che la International Agency for Research on Cancer (IARC) ha analizzato un migliaio di sostanze classificandole in base ai risultati ottenuti da studi epidemiologici e ricerche su animali cavia. Da un punto di vista statistico, il numero maggiore di vittime dovute alla presenza di sostanze chimiche nocive è probabilmente da imputare ad H2S e CO. Tra le principali cause che portano ad intossicazione in un ambiente confinato possono essere identificate almeno le seguenti: • impropria bonifica da vapori, gas e polveri presenti all’interno dell’ambiente; • impropria bonifica da residui di sostanze liquide e solide presenti all’interno dell’ambiente, caratterizzate da emissione di vapori tossici al contatto con l’aria o con vapore acqueo (ad esempio zolfo e fosforo emettono fosfina a contatto con acidi ed acqua o vapore) oppure a seguito di riscaldamento (vaporizzazione o sublimazione); • rilascio di sostanze tossiche presenti come componenti di rivestimenti protettivi a seguito di azioni di pulizia chimica o meccanica; • reazioni chimiche di decomposizione o fermentazione delle sostanze presenti al contatto con l’aria; • rilasci accidentali di gas, vapori o liquidi (per guasti o manovre errate) attraverso linee o apparecchiature collegate all’ambiente; • migrazione dall’esterno verso l’interno dell’ambiente di vapori o gas attraverso fessurazioni, varchi di accesso o il terreno circostante; • attività lavorative svolte all’interno dell’ambiente con sviluppo di fumi, vapori, gas, polveri, aerosol. RISCHIO BIOLOGICO I microrganismi proliferano ovunque, indipendentemente dall’area geografica e dalla temperatura ambientale; molti di essi fanno parte della normale flora cutanea e intestinale di tutti gli esseri viventi e appartengono alla specie mesofila che vive tra i 20 e i 40 °C; quelli che vivono a temperature più alte sono detti termofili, quelli che vivono a temperature più basse sono detti psicrofili. L’infezione prende corso quando i microrganismi divengono attivi e si moltiplicano all’interno dell’organismo umano; gli agenti biologici vengono anche classificati in base alla loro pericolosità nei confronti dell’uomo correlabile, nel complesso, alle seguenti caratteristiche: • infettività; • patogenicità; • trasmissibilità; • neutralizzabilità. L’insieme delle caratteristiche di infettività e patogenicità viene anche detto “virulenza”. Le principali famiglie di agenti biologici che possono interessare chi opera in ambiente confinato sono le seguenti: • • • • • • Allergeni Batteri Funghi Parassita Prion Virus Le principali cause di contaminazione per i lavoratori sono costituite da liquami, acqua contaminata, escrementi e in generale materiale organico di origine animale; per quanto riguarda gli ambienti confinati, tipici sono i casi dei collettori fognari, degli impianti di depurazione, degli impianti di trattamento dei rifiuti solidi urbani; anche condotte di sottoservizi, pozzi, gallerie e scavi possono essere facilmente contaminate a causa della presenza di animali (roditori, felini, volatili, ecc.) portatori di agenti patogeni; anche in numerose industrie del settore agroalimentare (allevamenti, ecc.) è possibile che avvenga il contatto con agenti patogeni. La legionella potrebbe essere contratta, ad esempio, operando all’interno di condotte di ventilazione di impianti HVAC. L’ingresso all’interno di condotte di ventilazione può costituire un rischio per i lavoratori a causa della potenziale presenza di numerosi agenti patogeni. Casi di infezione da agenti patogeni sono però state rilevate anche in molti altri settori, dall’agricoltura all’archeologia, dalle attività funerarie alla cantieristica, dallo shipping alla meccanica fino, ovviamente, al settore sanitario. Molti agenti patogeni possono essere contratti indifferentemente per contatto cutaneo, ingestione e inalazione; alcuni batteri o virus quali antrace, tubercolosi, tetano, scarlattina, tifo, colera o l’oramai debellato vaiolo, possono trasmettersi anche dopo periodi di inattività molto lunghi; le spore del tetano, ad esempio, possono rimanere attive anche per periodi di 40 anni e oltre. Solamente a titolo di esempio si consideri che nell’ambito di un impianto di depurazione il bioaerosol può formarsi in una moltitudine di fasi del processo tra le quali: movimentazione meccanica dei reflui tramite pompaggio, insufflazione d’aria nei reflui, apertura di portelli di ispezione, vortici, immissione e salti per gravità dei reflui, pressatura dei fanghi, fuoriuscite accidentali, ecc. L’infezione originata da agenti patogeni in questo particolare settore lavorativo è talmente tipica da essere stata battezzata in modo specifico Sewage Worker’s Syndrome. Per quanto riguarda la bonifica dell’ambiente di lavoro si può procedere a seconda della necessità effettuando una o più delle seguenti azioni: • • • • Derattizzazione Disinfestazione Disinfezione Sterilizzazione In molti casi non è però possibile effettuare nessuna di queste procedure e l’ingresso in ambiente contaminato dovrà essere effettuato solamente sotto stretta sorveglianza adottando tute o mute integrali e DPI stagni, sottoponendosi poi, al termine dell’attività lavorativa, alle opportune procedure di decontaminazione. RISCHIO INCENDIO ED ESPLOSIONE Combustioni ed esplosioni all’interno di spazi confinati possono generarsi a causa della presenza di: • gas che miscelati con l’aria possono formare atmosfere esplosive. • liquidi infiammabili (idrocarburi, solventi organici, esteri, chetoni, alcoli, ecc.). Tutti i liquidi sono in equilibrio con i propri vapori che si sviluppano, in misura differente a seconda delle condizioni di pressione e temperatura, sulla superficie di separazione tra pelo libero del liquido e mezzo aeriforme che lo sovrasta. Nei liquidi infiammabili la combustione avviene quando, in corrispondenza di tale superficie, i vapori dei liquidi, miscelandosi con l’ossigeno dell’aria, in concentrazioni comprese nel campo dell’infiammabilità, sono opportunamente innescati. • polveri aerodisperse ad alta concentrazione (vegetali, minerali, metalliche, sintetiche, ecc.). La pericolosità delle polveri è associata alla possibilità di formazione di nubi che, in presenza di una sorgente di accensione, possano esplodere. Gli strati, i depositi e gli accumuli di polvere devono essere considerati come possibili sorgenti di nubi, sollevate da turbolenze di aria. Esistono polveri combustibili di vario genere, alimentari (farine, zuccheri, foraggi), chimiche (plastiche, detergenti, resine, prodotti farmaceutici), metallurgiche (alluminio, magnesio), forestali (paglia, polvere del legno), ecc. • eccesso di O2 o di ossidanti in genere (Cloro, Nitrati) possono causare violente reazioni anche di materiali normalmente caratterizzati da basso potere combustibile, ad esempio: l’O2 nascente può provocare reazioni rapidissime se viene a contatto con sostanze grasse o oleose mentre il Nitrato di Ammonio può reagire violentemente con paglia e trucioli di legno, in percentuali del 24 % di ossigeno in aria i capi di abbigliamento possono essere soggetti a combustione spontanea; • fermentazione o decomposizione di sostanze organiche con autoriscaldamento fino al raggiungimento della temperatura di autoaccensione. Valore limite di esplosività (LEL – UEL) I limiti di esplosività di un gas o dei vapori di un liquido (o di un solido) sono i limiti che definiscono l’intervallo di concentrazione entro il quale, se la miscela aria-vapore o gas infiammabile viene opportunamente innescata, si verifica l’accensione della miscela. Il limite di esplosività viene considerato in un range che va da un minimo ad un massimo di percentuale di combustibile in aria, Lower Explosive Limit (LEL) e Upper Explosive Limit (UEL), anche noti come LFL e UFL. I dati in letteratura si riferiscono normalmente ad una ARIA STANDARD (21% di Ossigeno). Più l’energia di ignizione (accensione) è bassa e più è alto il pericolo di esplosione/incendio. La percentuale di ossigeno in aria influenza sia l’energia che la temperatura minima di autoaccensione; infatti, osservando la tabella che segue, si può notare come in una atmosfera composta da aria (21 % circa di O2), siano richieste una temperatura ed una energia di ignizione minime più elevate rispetto ad una atmosfera di ossigeno puro. Minima temperatura di ignizione (MIT) Combustibile Minima energia di ignizione (MIE) Aria Ossigeno Aria Ossigeno °C °C (mJ) (mJ) Acetilene 305 296 0,017 0,0002 Acetone 465 - 1,15 0,00024 Butano 288 278 0,25 0,009 Ciclopropano 500 454 0,18 0,001 Esano 225 218 0,288 0,006 Idrogeno 520 400 0,017 0,0012 Benzina 440 316 - - Kerosene 227 216 - - Ottano 220 208 - - Alcool propilico 440 328 - - LE PRINCIPALI SORGENTI DI INNESCO IN UNO SPAZIO CONFINATO Una classificazione diffusa in Europa è quella proposta dalla norma EN 1127-1 che le suddivide in 12 categorie principali; di seguito vengono riportate indicando anche alcune delle cause che le originano: • superfici calde (forni, apparecchiature e condotte contenenti fluidi surriscaldati, camini e collettori di gas di scarico, essiccatori, scambiatori, superfici di attrito, cuscinetti volventi, ecc.); • fiamme libere e gas caldi (saldatura, taglio alla fiamma, preriscaldo, incollaggio, ecc.); • scintille di origine meccanica (urti, abrasioni, attriti tra parti in traslazione o rotazione reciproca, ecc.); • apparati elettrici (manovre di apertura di contatti, connessioni allentate, archi elettrici di saldatura, ecc.); • correnti vaganti e correnti indotte contro la corrosione catodica (correnti di ritorno di saldatura, cortocircuiti, dispersioni verso terra, scariche induttive, ecc.); • elettricità statica (movimento di fluidi in condotta, movimento di materiali granulari, strisciamento di superfici, vento, contatto tra materiali conduttori ed isolanti, ecc.); • fulminazione atmosferica (scariche cerauniche dirette, scintille generate da scarica, sovratensioni accidentali, ecc.); • onde elettromagnetiche [a loro volta suddivise a seconda della lunghezza d’onda] (telefoni cellulari, radio, apparecchiature elettroniche, laser, ecc.); • radiazioni ionizzanti (macchine radiogene, isotopi radioattivi); • ultrasuoni (trasduttori, ecc.); • compressioni adiabatiche e onde d’urto (manovre su dispositivi di intercettazione/regolazione gas, espansione gas, ecc.); • reazioni chimiche esotermiche (decomposizioni, ossidazioni violente, sostanze piroforiche, polimerizzazioni, reazioni alla termite, ecc.). È importante fare attenzione alla temperatura di ignizione della sostanza contenuta all’interno del luogo confinato nel quale ci si accinge ad entrare. Una semplice lampadina da 100 watt, a seconda di come viene orientata, può avere diverse temperature superficiali ed in certi casi la temperatura superficiale risulta essere maggiore della temperatura minima di ignizione di alcune comuni sostanze infiammabili. Caratteristiche di alcune sostanze infiammabili comunemente presenti nell’industria. In questa tabella sono riportate la temperatura di infiammabilità e di autoaccensione di alcune sostanze, nonché il campo di infiammabilità ed il peso specifico dei vapori rispetto all’aria. ESPLOSIONE DI POLVERI Le miscele polvere-aria possiedono molte similitudini di comportamento con quelle gas-aria, ma differiscono da queste ultime per due motivi sostanziali: • le polveri non sono molecole, ma particelle più o meno fini di un dato materiale; • sono soggette alla forza di gravità e quindi più o meno velocemente alla sedimentazione. L’accensione in aria standard delle polveri richiede energie di ignizione che generalmente sono tra le 20 e le 50 volte più elevate di quanto richiesto per l’accensione di gas e vapori corrispondenti a valori compresi tra 10 e 40 mJ contro valori compresi tra 0,2 e 10 mJ. In relazione alla modalità di dispersione in ambiente se le polveri possiedono caratteristiche combustibili possono, a seconda dei casi, originarsi differenti situazioni di pericolo: • un incendio covante (smoldering), cioè una lenta combustione per ossidazione o per decomposizione della polvere; • un incendio diffuso qualora l’incendio covante si sviluppi in ambiente; • una esplosione a causa della formazione di una nube avente caratteristiche ideali; • una o più esplosioni secondarie (o deflagrazioni) anche a distanze elevate rispetto alla zone in cui è avvenuta l’esplosione primaria. Alcuni studi condotti negli USA, affermano che in una nube di polvere, la cui concentrazione uniformemente diffusa sia pari a 0,020 oz/ft3, equivalenti a 20 g/m3, la visibilità risulta ridotta a meno di un metro. Empiricamente questo si traduce nell’impossibilità di distinguere alla distanza di un metro una lampadina a incandescenza da 100 W accesa o di vedere la propria mano estendendo un braccio. Questo, per quanto empirico e apparentemente fantasioso, può essere considerato un limite di sicurezza sufficientemente rappresentativo della proprietà di esplodibilità di una polvere. La maggior parte delle polveri è caratterizzata da una temperatura di autoaccensione (Minimum Ignition Temperature o MIT) compresa tra i 300 ed i 600 °C; per le rinfuse di origine vegetale le temperature minime di accensione (MIT) variano, secondo diversi studi, da un minimo di 350 °C per lo zucchero a 480 °C per il grano. Sotto il profilo della pericolosità intrinseca in termini di esplosività, le miscele polvere-aria possono essere classificate utilizzando parametri di riferimento che ne rappresentano la criticità. Tra i più diffusi vi è la “velocità di incremento della pressione” che consente di classificare le polveri attraverso classi di pericolosità (St) in relazione al valore assunto dal fattore KSt definito dalla seguente relazione di Bartnecht sovente usata per il dimensionamento degli sfoghi di sovrapressione (venting): KSt = (dP/dt)max V1/3 KSt = Parametro espresso in bar x m x sec-1; (dP/dt)max = incremento massimo del valore di picco della pressione (bar/sec); V = volume totale (m3). Caratteristica Kst (bar m/s) Classe di pericolosità 0 St 0 Polveri praticamente non suscettibili di esplosione. < 200 St 1 Polveri che danno luogo ad esplosioni non violente. 200÷300 St 2 Polveri che danno luogo ad esplosioni violente. > 300 St 3 Polveri che danno luogo ad esplosioni molto violente. ALTRI RISCHI DI NATURA FISICA POTENZIALMENTE PRESENTI IN UNO SPAZIO CONFINATO: • • • • • • • • • • RUMORE SCIVOLAMENTO, INCIAMPO, CADUTA ANNEGAMENTO, SOFFOCAMENTO SCHIACCIAMENTO IRRAGGIAMENTO USTIONI RISCHIO MECCANICO RISCHIO ERGONOMICO STRESS TERMICO RISCHIO ELETTRICO PREPARARSI AD OPERARE ALL’INTERNO DI UN AMBIENTE CONFINATO Prima di accedere ad un AMBIENTE CONFINATO è necessario effettuare una valutazione approfondita dei rischi ai quali saranno esposti tutti i lavoratori in relazione alla loro salute e sicurezza. Ciò significa individuare i pericoli presenti, valutare i rischi e determinare quali misure preventive e protettive collettive ed individuali adottare. I principali aspetti da prendere in considerazione e analizzare sono i seguenti: • • • • • • • • Caratteristiche dell’ambiente di lavoro e contesto lavorativo Attività da svolgere all’interno dello spazio confinato Presenza di sostanze e atmosfere pericolose Materiali e attrezzature di lavoro Effettiva disponibilità di DPI ed equipaggiamenti di sicurezza Idoneità e livello di addestramento del personale Attribuzione di compiti e responsabilità nell’ambito della squadra di lavoro Definizione delle procedure di emergenza Nell’eseguire una corretta analisi e valutazione preliminare dei rischi risulta di fondamentale importanza reperire ogni tipologia di informazione sull’ambiente nel quale ci si appresta ad operare. L’IMPORTANZA DELL’”ANAMNESI” DI UN LUOGO CONFINATO Questo significa considerare non solo lo stato attuale dello spazio confinato nel quale ci si appresta ad operare, ma anche la sua “storia pregressa”. In particolare occorre indagare le lavorazioni che in passato sono state effettuate, le sostanze utilizzate, trasportate, stoccate o processate all’interno dello spazio confinato preso in esame e se queste sono compatibili, ad esempio dal punto di vista chimico e fisico, con le lavorazioni che dovranno essere svolte. Significa quindi reperire disegni e/o rilievi che mostrino la configurazione dell’ambiente, tenendo presente che nel tempo potrebbero essere state apportate rilevanti modifiche alle parti interne, tenendo anche conto che queste modifiche potrebbero (con elevata probabilità) non essere mai state riportate su alcun disegno o documento di cui si viene in possesso. A questo scopo e allo scopo di venire a conoscenza dei prodotti introdotti, stoccati e processati nel passato, è indispensabile interrogare il maggior numero possibile di persone che nel tempo hanno operato a diretto contatto con il manufatto o che ne hanno seguito in qualche modo la “storia”. Qualsiasi informazione o documento che si riesca a reperire può risultare di fondamentale importanza. Ad esempio: Disegni e relazioni tecniche di progetto bi-tridimensionali… Disegni di costruzione… Diagrammi di carico o di ballastaggio…. Immagini riportate su cataloghi o anche materiale divulgativo e pubblicitario. Disegni allegati ai permessi di costruzione originali… P & I, schemi unifilari, schemi di marcia, ecc…. E inoltre: Report di lavoro, permessi di lavoro, verbali di riunione, report di NDT, relazioni tecniche, ecc… Queste informazioni, tra l’altro, risultano di fondamentale importanza per identificare i possibili stati di accumulo di energia all’interno dello spazio confinato. Prima dell’accesso ad un AMBIENTE CONFINATO è infatti fondamentale verificare che l’ambiente risulti totalmente ISOLATO E DISENERGIZZATO sia dal punto di vista della normale alimentazione energetica sia dal punto di vista dell’energia potenzialmente accumulatasi al suo interno: DEFINIZIONE Si intendono per impianti/macchine/apparati e di conseguenza per AMBIENTI ENERGIZZATI quelli in cui sono presenti una o più delle seguenti forme di energia: • • • • • • • • • • energia elettrica energia elettrostatica energia magnetica energia termica (fluidi o superfici calde o fredde) energia pneumatica/idraulica (gas o liquidi compresi) energia gravitazionale energia elastica energia cinetica energia chimica energia nucleare Tali fonti di energia devono essere riconosciute, analizzate, eliminate o isolate prima che il personale operativo acceda allo spazio confinato e inizi a svolgere la propria attività. In alcuni casi per compiere questa operazione è possibile che sia necessario entrare; in questo caso può essere impiegato soltanto personale altamente specializzato ed addestrato allo scopo. Tutte queste forme di ENERGIA devono essere ELIMINATE mediante opportune operazioni di SEGREGAZIONE, SEZIONAMENTO, DRENAGGIO, BLOCCAGGIO, SMONTAGGIO, ecc. e contestuale applicazione della procedura di Lockout/Tagout. ALCUNI ESEMPI DI ISOLAMENTO ENERGETICO L’ISOLAMENTO di una linea contenente un qualsiasi fluido può essere effettuato chiudendo le apposite VALVOLE DI INTERCETTAZIONE, SCARICANDO IL FLUIDO PRESENTE A VALLE DELLE VALVOLE E RIMUOVENDO UN TRATTO DI LINEA O APPONENDO SU QUESTA UNA FLANGIA CIECA. Un’alternativa (che garantisce una sicurezza equivalente) alla applicazione di flange cieche o alla rimozione di un tratto di linea è dato dal cosiddetto ‘double-block and bleed’. L’ISOLAMENTO di una linea elettrica può essere effettuato APRENDO un INTERRUTTORE/SEZIONATORE (su tutte le fasi), DISCONNETTENDO I CAVI A VALLE DEL SEZIONATORE O RIMUOVENDO EVENTUALI FUSIBILI. Una volta effettuato il sezionamento di una linea, la garanzia della permanenza nel tempo di tale condizione di sicurezza diviene di fondamentale importanza. Allo scopo deve venire applicata una procedura standardizzata di bloccaggio del punto (o dei punti) di sezionamento (LOCKOUT) e di apposizione di segnaletica monitoria (TAGOUT). 1) BLOCCAGGIO (LOCKOUT). Con l’azione di isolamento si vuole impedire in modo assoluto che una macchina o un impianto possano entrare in funzione o in essi sia presente una qualsivoglia forma di energia. L’ isolamento può avvenire con diverse modalità, tutte volte ad eliminare un flusso o un potenziale di energia che interessa lo spazio confinato; questa azione deve essere immediatamente seguita dalla messa in posizione di un meccanismo che fisicamente impedisca la rienergizzazione dei dispositivi di sezionamento (BLOCCAGGIO). L’azione di BLOCCAGGIO deve essere PREFERIBILMENTE effettuata esclusivamente dal personale che materialmente accederà all’interno dello spazio confinato utilizzando dispositivi di blocco idonei allo scopo. I dispositivi meccanici a garanzia dell’isolamento devono: • essere dotati di un efficace sistema che impedisca la manovra del componente bloccato (ovvero il suo riarmo, apertura, caduta, ecc.) e quindi prevenire l’energizzazione accidentale di macchine o impianti; • essere resistenti, ma facilmente rimovibili; • poter essere contrassegnati con il nominativo del lavoratore o dei lavoratori che li ha/hanno applicati; • consentire la rimozione degli stessi solo da parte di chi fisicamente li ha posizionati. 2) SEGNALAZIONE (TAGOUT). Significa rendere chiaramente visibile, con contrassegni particolari, lo stato di BLOCCO dei dispositivi di ISOLAMENTO di macchine o impianti. Su di essi devono essere riportati: • il nome ed eventualmente la firma e/o la foto del/i lavoratore/i autorizzato/i • l’azienda di appartenenza • la data/orario di inizio lavori. Tali contrassegni avvertono il personale operativo dello stato dell’impianto e devono essere posizionati in corrispondenza del dispositivo di bloccaggio. In presenza di tali contrassegni, apparecchiature ed impianti non possono essere messe in funzione per nessun motivo se non dal preposto o collegialmente dal/i lavoratore/i che ha/hanno sezionato l’impianto. È importante sottolineare che, a garanzia della massima sicurezza, la segnalazione costituisce un corollario al bloccaggio fisico del dispositivo di sezionamento e non dovrebbe costituire una alternativa a questo. Alcuni standard internazionali ammettono deroghe sotto particolari condizioni. In taluni casi è possibile che il sezionamento debba essere fisicamente eseguito da personale specializzato e/o appositamente addestrato e autorizzato (impianto ad alta tensione, ecc.). In questi casi i lavoratori (o il preposto) destinati ad effettuare o sovraintendere agli interventi post-disenergizzazione si limiteranno ad apporre il bloccaggio in corrispondenza dei varchi di accesso ai dispositivi di intercettazione (cancelli, porte di cabine e sale comando, sportelli dei quadri, ecc.). 3) RIPRISTINO. Una volta terminata l’attività all’interno dello spazio confinato, il personale autorizzato (lo stesso che fisicamente ha effettuato il blocco (LOCK) e la segnalazione (TAG) può, rimettere in funzione macchine e impianti disenergizzati. Il ripristino delle condizioni di operatività dovrà avvenire completando la seguente sequenza di azioni: • informare tutti gli addetti che le macchine o gli impianti stanno per essere rienergizzati; • accertarsi che le protezioni di sicurezza, eventualmente rimosse, siano state ripristinate; • ripristinare la segnaletica di sicurezza prevista; • verificare tutti i collegamenti elettrostrumentali e che la strumentazione di bordo funzioni correttamente; • togliere i dispositivi di segnalazione e bloccaggio; • riavviare macchine/impianti e/o ripristinare il flusso di gas, vapori, liquidi, ecc. all’interno delle tubazioni sezionate. IL DECALOGO PER IL CORRETTO ISOLAMENTO OVVERO I PASSI FONDAMENTALI DELLA PROCEDURA DI LOCKOUT/TAGOUT. 1. Identificare le tipologie di energia e tutti i dispositivi di comando, controllo e sezionamento presenti 2. Informare tutti gli operatori potenzialmente coinvolti 3. Mettere in OFF tutti i dispositivi di controllo 4. Identificare tutti i punti con potenziale presenza di energia 5. Isolare tutte le fonti di energia e/o gli accumuli di energia potenziale 6. Bloccare in posizione di sicurezza tutti i dispositivi di isolamento dell’energia 7. Rimettere in ON tutti i dispositivi di comando e controllo al fine di verificare la reale disenergizzazione 8. Rimettere in OFF tutti i dispositivi di comando e controllo 9. Effettuare l’intervento 10. Rimuovere i sistemi di bloccaggio e rienergizzare l’ambiente di lavoro ISOLAMENTO IN ASSENZA DI DISPOSITIVI DI INTERCETTAZIONE ALCUNE DEFINIZIONI: INERTIZZAZIONE Per inertizzazione si intende la sostituzione di una atmosfera ricca di gas o vapori esplosivi con una atmosfera di gas inattivo priva di comburente (secondo le norme NFPA il valore minimo tra il 5% di Ossigeno e il 50% di Ossigeno riferito al LEL). VENTILAZIONE Per ventilazione si intende il lavaggio volumetrico di un ambiente confinato con ARIA fino al ripristino del tenore di ossigeno a valori di sicurezza. BONIFICA Con questo termine deve a rigore essere indicato esclusivamente un “processo che, nel suo complesso, consenta la completa eliminazione di qualsiasi sostanza genericamente pericolosa presente nell’ambiente, utilizzando procedure che portino a un’atmosfera sicura, respirabile e stabile nel tempo”. Bonifica (o ventilazione) con aria La bonifica con aria avviene attraverso sistemi meccanici che utilizzano ventilatori/aspiratori per effettuare il “lavaggio” dello spazio confinato. Questo metodo, oltre che per la bonifica, può essere utilizzato anche per la semplice ventilazione. La bonifica per ventilazione meccanica possiede un alto grado di efficacia a patto che le apparecchiature utilizzate vengano posizionate correttamente. Bonifica con acqua Questo metodo di bonifica può essere utilizzato, ad esempio, per la rimozione di gas inerti presenti all’interno di uno spazio confinato e consiste sostanzialmente nel riempire completamente l’ambiente da bonificare con acqua e nell’immettere successivamente aria dopo aver fatto defluire l’acqua. Può essere utilizzato anche per tutti i gas e vapori che abbiano una buona miscibilità e non reattività con l’acqua (cloro, ammoniaca, ecc.); assolutamente inaffidabile nel caso di altri prodotti non miscibili in acqua e/o con una alta penetrazione nella microporosità superficiale delle pareti dello spazio confinato (GPL, acetilene, ecc.). Bonifica con vapore Il vapore può essere utilizzato per bonificare spazi confinati inquinati da sostanze che contengono idrocarburi con un basso punto di infiammabilità (bassobollenti) purchè la loro T. di autoaccensione sia almeno pari al 120% della T. del vapore. L’utilizzo del vapore presenta, rispetto ad altri sistemi, il vantaggio di essere in grado di sciogliere incrostazioni, catrame e materiali viscosi dalle pareti dell’ambiente confinato. Affinché il vapore possa essere utilizzato per bonificare l’ambiente, deve essere introdotto all’interno dello spazio confinato in una quantità tale che consenta di far aumentare la temperatura interna di almeno 80°C. In caso contrario il vapore condenserebbe e i contaminanti non potrebbero essere disciolti e portati all’esterno dello spazio confinato. Durante le operazioni di bonifica tramite immissione di vapore le aperture superiori dell’ambiente confinato devono essere lasciate aperte (per evitare sovrapressioni e depressioni) e il vapore deve essere introdotto a partire dal fondo. Il vapore presenta però la pericolosa caratteristica di generare facilmente cariche elettrostatiche. Bonifica con gas inerte Il rischio incendio dovuto a gas e vapori infiammabili può essere minimizzato attraverso una bonifica iniziale effettuata con un gas inattivo quale ad esempio l’anidride carbonica o l’azoto. I gas inerti possono infatti essere utilizzati per abbassare il livello di ossigeno ad un punto tale da scongiurare l’accensione (in genere, tranne poche eccezioni, al di sotto del 5% in volume). Trattandosi di gas non tossici per l’uomo, ma comunque asfissianti, una volta terminato il degasaggio i gas inerti dovranno essere rimossi effettuando un adeguato lavaggio dell’ambiente con acqua/aria o aria. Miscela comburente aria-N2 Combustibile MOC % di O2 massima raccomandata Miscela comburente aria-CO2 MOC % di O2 massima raccomandata Acetone 13,5 11 15,5 12,5 Benzene 11 9 14 11 Butano 12 9,5 14,5 10,5 Disolfuro di carbonio 5 4 8 6,5 Ciclopropano 11,5 9 14 11 Alcool etilico 10,5 8,5 13 10,5 Benzina (73-100 ott.) 12 9,5 15 12 Benzina (100-130 ott.) 12 9,5 15 12 Benzina (115-145 ott.) 12 9,5 14,5 11,5 Esano 12 9,5 14,5 11,5 Idrogeno 5 4 6 5 Carburante JP-1 10,5 8,5 14 11 Carburante JP-3 12 9,5 14 11 Carburante JP-4 11,5 9 14 11 Kerosene 11 9 14 11 Metano 12 9,5 14,5 11,5 Alcool metilico 10 8 13,5 11 Propano 11,5 9 14 11 Sebbene gas e vapori nocivi si diffondano all’interno di tutto lo spazio confinato, questi hanno comunque la tendenza a stratificare in base alla loro densità. Quelli più leggeri dell’aria (< 0,8) tendono a salire verso l’alto e a stratificare quindi nella parte più alta. Quelli più pesanti dell’aria (> 1,2) tendono invece a depositarsi sul fondo. Naturalmente nella disposizione delle vie di sfogo dell’aria e delle prese per l’immissione si deve tenere conto di questo aspetto. Se il gas da eliminare (ad esempio dopo una inertizzazione) presenta una densità molto diversa da quella dell’aria, come ad esempio nel caso di elio, argon o anidride carbonica, ecc., l’aria di ventilazione potrebbe non miscelarsi in modo efficace e l’intervento potrebbe risultare inadeguato. Il calcolo del numero minimo di ricambi d’aria può essere effettuato mediante formule (ASHRAE) o per via grafica seguendo le indicazioni suggerite da standard e linee guida. Il metodo consigliato per la bonifica di gas “pesanti” (come ad esempio l’argon o il vapore di azoto freddo) consiste nell’aspirare il gas dalla zona bassa dell’area interessata. Quando i contaminanti, invece, sono più “leggeri” dell’aria devono essere prelevati dalla parte superiore dell’ambiente confinato e le prese per l’immissione dell’aria devono essere collocate nella parte inferiore. In molti casi è maggiore il volume delle tubazioni di adduzione (spazi adiacenti) che di quello dell’ambiente confinato vero e proprio. QUALSIASI BONIFICA DEVE TERMINARE CON UNA VENTILAZIONE Ventilazione La ventilazione è il processo attraverso il quale viene fatta confluire continuamente aria fresca e pulita all’interno dello spazio confinato. Viene in genere adottata una volta terminate le operazioni di bonifica al fine di stabilizzare il microclima. La ventilazione generale di un ambiente confinato ha lo scopo di diluire la concentrazione dei contaminanti presenti all’interno dell’ambiente di lavoro a valori non superiori a quelli accettabili per la salute e la sicurezza dei lavoratori. Questo processo consente di ottenere: • la stabilizzazione del corretto quantitativo di ossigeno nell’aria; • la diluzione di contaminati dovuti a particolari lavorazioni effettuate all’interno dello spazio confinato quali ad esempio saldatura, sabbiatura e ossitaglio, ma non la loro rimozione diretta. Può inoltre essere utilizzata per eliminare odori sgradevoli all’interno dello spazio confinato, che possono originare fastidi per gli operatori nonché per regolare la temperatura d’ambiente. Il processo di ventilazione consente di ottenere: • la diluizione dei contaminanti residui presenti all’interno il cui sviluppo abbia origine per desorbimento, per fermentazione, per ossidazione, ecc.; • la diluizione dei contaminanti che accidentalmente penetrino, per migrazione, nell’ambiente confinato provenendo dall’esterno; • la diluizione dell’anidride carbonica prodotta dalla respirazione del personale presente all’interno dell’ambiente; • la diluzione dei contaminanti dovuti a particolari lavorazioni effettuate all’interno dell’ambiente confinato quali, ad esempio, saldatura, ossitaglio, pulizia con solventi, levigatura, ecc. (ma non la loro rimozione alla fonte); • la stabilizzazione del corretto tenore di ossigeno nell’aria; • il mantenimento di un buon confort microclimatico per gli operatori. La ventilazione può essere di due tipi: • naturale • forzata (generale o localizzata) Ventilazione naturale di diluizione La ventilazione naturale di diluizione è il processo tramite il quale si introduce, dall’esterno, aria pulita in modo che questa si misceli con l’atmosfera interna allo spazio confinato, diluendo eventuali contaminanti e ripristinando la giusta percentuale d’ossigeno e allo stesso tempo mantenendo il valore degli inquinanti al di sotto dei TLV raccomandati. Nella ventilazione naturale il movimento dell’aria avviene spontaneamente, senza alcun ausilio meccanico, grazie alla differenza di pressione e/o temperatura che si instaura tra interno ed esterno. Risulta però completamente inefficace per la rimozione di alte concentrazioni di contaminanti tossici, quali ad esempio i fumi derivanti da processi di saldatura, ossitaglio e di particelle pesanti dovute ad esempio a processi di sabbiatura. I principali vantaggi che questo metodo offre sono: • • • • non introduce pericoli in quanto non ci sono organi in movimento; è economico perché non richiede costi per l’acquisto o la manutenzione; non presenta sorgenti di accensione; non ci sono parti elettriche o meccaniche che si possano deteriorare o rompere. I principali svantaggi sono: • non fornisce una ventilazione localizzata; • non può essere facilmente adattata per compensare mutate condizioni atmosferiche all’interno dello spazio confinato; • il numero di ricambi orari non può essere determinato a priori, ma è semplicemente possibile controllare lo stato del contaminante mediante monitoraggio strumentale. Ventilazione forzata di diluizione In questo caso la circolazione dell’aria è indotta da uno o più ventilatori con modalità IN ASPIRAZIONE o IN IMMISSIONE. La ventilazione forzata è detta combinata quando si utilizzano contemporaneamente ventilatori aspiranti e ventilatori prementi. In caso di ventilazione aspirante, l’ambiente da ventilare viene a trovarsi in leggera depressione rispetto all’ambiente circostante. In caso di ventilazione in immissione l’ambiente da ventilare viene a trovarsi in leggera sovrapressione rispetto all’ambiente circostante. Questo diverso assetto di pressione interna può essere sfruttato per ottenere benefici di varia natura. Ventilazione forzata localizzata (aspirazione) La ventilazione localizzata viene utilizzata per rimuovere i contaminanti nel punto in cui essi vengono generati, con lo scopo di impedirne la diffusione in tutto l’ambiente. L’aspirazione localizzata va preferita a quella generale quando il contaminante è altamente pericoloso, ma perché sia praticabile occorre che il contaminante sia generato in una zona circoscritta. I sistemi di aspirazione localizzata ben si adattano ad essere utilizzati nei processi di saldatura e ossitaglio, ma possono essere utilizzati per rimuovere vapori generati anche da altre attività quali ad esempio applicazioni localizzate di solventi, applicazione di vernici o in NDT effettuati con “liquidi penetranti”. Generalmente i sistemi di aspirazione localizzata vengono adottati in combinazione con sistemi di diluizione d’ambiente. Principali tipologie di ventilatore. Le attrezzature utilizzate per la ventilazione forzata disponibili in commercio sono sostanzialmente suddivisibili in due categorie: • Estrattori Venturi • Ventilatori meccanici Estrattori Venturi. Con questo sistema dell’aria compressa o del vapore vengono immessi all’interno dell’eiettore (che viene in genere imbullonato ad una apertura praticata nella parete dello spazio confinato) attraverso un connettore laterale che conduce ad un ugello. Per effetto Venturi si crea una depressione tale da aspirare l’aria inquinata presente all’interno dell’ambiente confinato accelerandola attraverso una strozzatura. L’aria aspirata e miscelata con l’aria o il vapore immesso, verrà poi scaricata all’esterno dello spazio confinato attraverso un diffusore conico. L’estrattore deve essere equipotenzializzato alla struttura dello spazio confinato se metallica. Altri sistemi basati sull’effetto Venturi sono quelli in cui l’aspiratore è mosso dal vento. Ventilatori meccanici. I ventilatori possono essere suddivisi in due classi: A flusso assiale, in cui il flusso dell’aria è parallelo all’asse di rotazione della girante. Si suddividono in: • Ventilatori a girante elicoidale • Ventilatori assiali intubati • Ventilatori assiali intubati con girante a palette A flusso radiale (o centrifugo), in cui il flusso dell’aria è perpendicolare all’angolo di rotazione della girante. Ventilatori assiali a girante elicoidale Sono ventilatori a bassa efficienza e l’utilizzo deve essere limitato per applicazioni a bassa pressione. L’organo rotante è generalmente formato da due o più lame; questi ventilatori non sono adatti ad essere collegati ad un sistema di condutture. Ventilatori assiali intubati Forniscono prestazioni migliori rispetto ai ventilatori assiali normali perché più efficienti e in grado di operare a pressioni maggiori. Le pale dei ventilatori assiali intubati sono montate all’interno di un tubo di acciaio, a stretto contatto, in modo da minimizzare lo spazio tra la girante e l’involucro. Ventilatori assiali a palette Nella forma è simile al ventilatore assiale a tubo, ma è dotato di una serie di palette nella parte superiore e inferiore delle pale della girante anche di deflettori all’interno del tubo. Palette e deflettori hanno il medesimo scopo di raddrizzare il flusso circolare dell’aria dovuto alle pale rotanti migliorandone le caratteristiche di pressione e di efficienza. Ventilatori a flusso radiale È formato da un rotore alettato montato su di un albero che a sua volta ruota all’interno di un contenitore cilindrico. Il flusso dell’aria è in questo caso perpendicolare a quello dell’asse della girante. Alcuni suggerimenti relativi agli schemi di ventilazione meccanica di diluizione. In abbinamento ad una aspirazione localizzata IMMISSIONE ESTRAZIONE Il monitoraggio dell’atmosfera. 1700 1800 circa 1815 1850-1930 1925 1927 1935 1969 1986 I rilevatori elettronici per gas infiammabili e/o tossici possono essere classificati in sette diverse tipologie a seconda del sensore che adottano: • • • • • Sensori catalitici Sensori a conducibilità termica – (catarometri) Rivelatori all’infrarosso (IR) Rivelatori a semiconduttore Rivelatori a fotoionizzazione (Photo Ionization Detectors – PID) • Rivelatori a ionizzazione di fiamma (Flame Ionization Detectors – FID) • Sensori elettrochimici Sono disponibili strumenti con memoria interna grazie alla quale è possibile registrare i dati e successivamente scaricarli su PC. La manutenzione dello strumento deve obbligatoriamente essere effettuata dalla ditta fornitrice e secondo quanto prescritto dalla ditta costruttrice. QUANDO EFFETTUARE IL MONITORAGGIO? NFPA 326 • antecedentemente al primo ingresso (anche se effettuato ai soli fini di un’ispezione visiva o per effettuare una disenergizzazione) e all’atto di ogni ingresso successivo ad eventuali pause lavorative; • antecedentemente all’inizio di qualsiasi tipo di attività operativa all’interno dell’ambiente confinato; • prima e durante qualsiasi operazione con utilizzo di fiamme libere (saldatura, taglio, riscaldamento, ecc.); • frequentemente durante la permanenza all’interno dell’ambiente; • successivamente a qualsiasi attività di pulizia o rimozione di sostanze presenti all’interno dell’ambiente in modo da verificare l’efficacia delle azioni eseguite; • a seguito dell’inizio di qualsiasi tipo di attività svolta all’interno dell’ambiente che possa potenzialmente essere responsabile di una variazione dei parametri atmosferici. Occorre, per quanto possibile, evitare di entrare nello spazio confinato. DOVE EFFETTUARE IL MONITORAGGIO? • in corrispondenza di tutte le compartimentazioni verticali e orizzontali dell’ambiente; • all’interno delle intercapedini, in caso di doppie pareti o isolamenti; • in corrispondenza di tutte le zone di sigillatura; • all’interno di eventuali sentine o doppi fondi; • in prossimità di tutte le zone in cui sono presenti tubazioni di adduzione o scarico di liquidi, gas, vapori; • in corrispondenza di tutte le aperture verso altri ambienti siano essi passi d’uomo, drenaggi, sfoghi d’aria, ecc.. Uno strumento fondamentale: il PERMESSO DI LAVORO L’autorizzazione al lavoro (o permesso di lavoro – work permit in lingua inglese) è uno strumento volto ad assicurare che tutti gli elementi del sistema sicurezza siano stati messi in atto prima che ai lavoratori venga permesso di operare in un dato contesto ritenuto a maggior rischio per la salute e la sicurezza. Nessuna norma di legge straniera o standard tecnico internazionale (indipendentemente dal settore di applicabilità) riguardante le attività entro spazi confinati con presenza di pericoli caratteristici, ammette l’accesso a questo particolare luogo di lavoro senza il preventivo rilascio di un permesso di lavoro. Le informazioni essenziali che devono essere riportate su un PERMESSO DI LAVORO sono i seguenti: • il luogo (area, impianto, apparecchiatura, ecc.) ove deve essere effettuato l’intervento; • la natura del lavoro (a caldo o a freddo e relative eventuali limitazioni); • lo scopo del lavoro; • il nominativo di chi autorizza il lavoro (con eventuali limiti di responsabilità), il nominativo della persona che ha la responsabilità della messa in atto delle misure preventive di sicurezza (ad esempio, drenaggio, flussaggio, degasaggio, inertizzazione, isolamento delle linee, controllo dell’atmosfera, piano di emergenza, ecc), il nominativo degli operatori autorizzati ad entrare, il nominativo dell’operatore in stand-by; • l’identificazione delle parti interessate all’attività (committente, general contractor, appaltatore, ecc.); • la descrizione delle condizioni di lavoro e dei pericoli accertati o potenziali (presenza di gas infiammabili, polveri combustibili, intrappolamento, sottossigenazione, alta temperatura, ecc.); • le misure di protezione adottate e i dispositivi individuali di protezione da prevedere a carico dell’esecutore, incluse le prescrizioni sui sistemi di comunicazione; • le attrezzature di lavoro messe a disposizione dal committente o da prevedere; • la segnaletica di sicurezza prevista/da prevedere; • i servizi che sono stati isolati (energia, acqua, aria compressa, vapore, fluido di processo, ecc.); • le procedure di emergenza (richiesta di soccorso/soccorso esterno); • l’addestramento richiesto al personale operativo ed eventuali istruzioni in relazione al permesso; • i parametri atmosferici rilevati inclusi eventuali residui inquinanti; • le prescrizioni relative al monitoraggio atmosferico successivo all’inizio lavori e alla verifica delle varie misure di sicurezza di tipo preventivo e protettivo predisposte/richieste; • data e ora di inizio/fine validità del permesso. I RESPIRATORI FILTRANTI I “respiratori filtranti” - anche detti “a filtro” - possono essere utilizzati nel caso di presenza di atmosfera contaminata purché vi sia una sufficiente concentrazione di ossigeno; in base al principio di funzionamento, possono essere classificati in tre grandi famiglie: • non assistiti: l’aria viene forzata a passare attraverso il filtro dal solo atto inspiratorio; • a ventilazione assistita: l’aria viene fatta passare attraverso il filtro mediante un elettroventilatore e poi convogliata all’interno del facciale; • a ventilazione forzata: l’aria viene filtrata e convogliata tramite un elettroventilatore all’interno della maschera a cappuccio (non stagna) indossata dall’operatore (questo sistema è totalmente inefficace ad elettroventilatore spento). Facciali filtranti (EN 149) Filtri (per maschere) EN 143 Efficienza filtrante minima FFP1 P1 78% FFP” P2 92% FFP3 P3 98% Colore filtro Tipo secondo la classifica UNI Sostanze dalle quali protegge Marrone A Gas e vapori organici con punto di ebollizione superiore a 65°C Marrone AX Gas e vapori organici con punto di ebollizione inferiore a 65°C Grigio B Gas e vapori inorganici (salvo CO) Giallo E Anidride solforosa, gas e vapori acidi Verde K Ammoniaca e suoi derivati Blu NO Vapori e fumi tossici Rosso HG Vapori di mercurio Violetto SX Composti specifici (a richiesta) Bianco P Polveri, fumi e nebbie Nero CO Monossido di carbonio (CO) I RESPIRATORI ISOLANTI I respiratori isolanti possono essere di due tipologie principali: • Autonomi (SCBA) • Non autonomi (Airline) RESPIRATORI AUTONOMI (SCBA) Gli SCBA possono essere a circuito aperto oppure a circuito chiuso: nei primi le bombole contengono aria (ad alta pressione, da 200 a 300 bar, che viene poi scaricata direttamente all’esterno passando dal facciale nell’atmosfera attraverso una valvola di espirazione), nei secondi invece le bombole sono caricate con ossigeno puro (l’aria espirata non viene dispersa nell’ambiente, ma viene rigenerata all’interno dell’apparecchio consentendo una maggiore autonomia rispetto ai dispositivi a circuito aperto) ed evitando così eventuali pericolosi fenomeni di sovraossigenazione dell’ambiente. Respiratori non autonomi. Nei respiratori non autonomi l’aria respirabile viene prelevata da una zona non inquinata esterna all’ambiente confinato e convogliata alla maschera facciale attraverso apposite manichette. La scelta della protezione con respiratori isolanti si rivela, oltre che nei casi di sottossigenazione, l’unica strada percorribile nel caso della presenza di alcuni particolari inquinanti non altrimenti filtrabili, tra i quali si citano l’anidride carbonica, l’argon, il biossido di azoto, l’elio, il fluoro, la fosfina, gli isocianati, il monossido di carbonio e l’ossido di azoto. Esistono, pur in assenza di particolari problematiche di inquinamento, alcune situazioni nelle quali l’adozione prioritaria dei sistemi di ventilazione d’ambiente e soprattutto di captazione localizzata rispetto all’adozione di DPI, per quanto teoricamente applicabile, non è però perseguibile per motivi operativi: per intendersi, con taluni procedimenti di saldatura ed in particolari situazioni operative l’aspirazione localizzata, per quanto efficace in termini di protezione dell’operatore, porterebbe ad una inaccettabile (da un punto di vista tecnologico) dissipazione dei gas protettivi; è questa una delle situazioni tipiche in cui la adozione di un sistema di protezione personale di tipo isolante trova una ottimale applicazione. Sistema di respirazione isolante ad aria compressa di tipo integrato con maschera di saldatura. Maschera con mantella stagna integrata. Sistema ventilato in sovrapressione rispetto all’ambiente. Si noti che argon ed elio, sovente utilizzati come gas di protezione nei processi di saldatura, non possono essere filtrati da nessun dispositivo a cartuccia (peraltro non sono gas tossici, ma potrebbero solo creare un impoverimento dell’ossigeno in aria); neanche l’ozono può essere filtrato da filtri a cartuccia, ma, fortunatamente, tende a ritrasformarsi in ossigeno a contatto con superfici solide (spesso ma non sempre già attraversando la parte frontale dell’involucro della cartuccia). E’ importante NON utilizzare dispositivi solo filtranti nel caso di presenza di inquinanti che posseggono scarse proprietà di avvertimento, sconosciuti, o in caso di incertezza delle concentrazioni; analogamente non devono essere impiegati in presenza di sostanze che possano generare calore in caso di reazione chimica. In generale e negli AMBIENTI CONFINATI a maggior ragione rispetto ad altri ambienti occorre interrompere immediatamente l’attività in corso ogni qualvolta la respirazione appaia difficoltosa, la resistenza alla respirazione appaia aumentata, si avverta un senso di nausea o di vertigini, si percepisca un sapore metallico in bocca o qualsiasi altro segno di irritazione. Si tenga presente - all’atto della scelta dei possibili sistemi protettivi delle vie respiratorie - che l’utilizzo dei DPI filtranti o isolanti deve comunque essere limitato ai casi strettamente indispensabili in ragione - nonostante l’elevata efficienza garantita dai più moderni dispositivi presenti sul mercato dell’accresciuto affaticamento a carico del sistema cardiovascolare e respiratorio dell’operatore che il loro uso comporta. IL RISCHIO DERIVANTE DALLE RINFUSE SOLIDE GRANULARI CARATTERISTICHE SALIENTI DELLE RINFUSE SOLIDE (BULK) In sintesi le caratteristiche dei materiali granulari potrebbero essere ricondotte alle seguenti proprietà: • sono soggetti a mescolamento non omogeneo (segregazione); • non sono soggetti a moti turbolenti; • non è possibile ricompattare un insieme di granuli e deformarlo senza che si disgreghi; • possiedono caratteristiche anisotrope e di non omogeneità; • sono soggetti a franamenti e a formazione di valanghe; • variano la loro fluidità a seconda della velocità di movimento delle particelle; • non possiedono una forma propria, ma tuttavia acquisiscono solo in parte la forma del contenitore in cui vengono immessi; • esercitano una pressione sulle pareti del contenitore differente da quella (lineare) caratteristica dei liquidi. Tra le rinfuse che più frequentemente vengono lavorate, stoccate e trasportate in ambienti confinati si possono elencare le seguenti: • • • • • • • • • • • • • cereali e altri prodotti vegetali (grano, mais, riso, caffè, cacao, ecc.); prodotti alimentari raffinati (farina, semola, zucchero, amido, ecc.); materiali plastici (in pellets e granulari); materiali metallici ferrosi e non ferrosi (da miniera, semilavorati o riciclati); prodotti farmaceutici (principi attivi, eccipienti, ecc.); prodotti chimici industriali (intermedi e finali); minerali (carbone, bauxite, zolfo, ecc.); materiali vetrosi (in pellets); inerti (sabbia, ghiaia, ecc.); cemento; derivati e scarti del legno (in pellets e granulari); fertilizzanti; biomasse. In alcuni casi si ricomprendono tra le rinfuse anche le terre di scavo. TIPICI DIFETTI DI FLUSSO - ARCHING - RAT-HOLING - BRIDGING - HUNG-UPS - DEAD POCKETS a) b) c) d) e) f) a) flusso regolare; b) arching; c) funnelling; d) hang-ups; e) dead pockets; f) rat-holing o piping La fluidità o scorrevolezza (flowability in inglese) delle rinfuse, ovvero la capacità di scorrere sotto l’effetto di una forza esterna, dipende complessivamente da numerosi fattori caratteristici della sostanza o esterni; tra i principali si possono annoverare i seguenti: • • • • • • • • distribuzione delle dimensioni delle singole particelle; forma delle singole particelle; rugosità superficiale delle particelle; composizione chimica della sostanza; igroscopicità; pressione; temperatura; tempo di stoccaggio. PRINCIPALI INDICATORI DI SCORREVOLEZZA - ANGOLO DI DECLIVIO NATURALE - ANGOLO DI SCIVOLAMENTO - ANGOLO DI PRECIPITAZIONE - INDICE DI COMPATTABILITA’ - INDICE DI CARR - RAPPORTO DI HAUSNER - IGROSCOPICITA’ - ECC. SISTEMI E APPARECCHIATURE DI COMUNICAZIONE CON L’ESTERNO E ALLARME. Qualunque sia il sistema che si intende adottare, esso dovrebbe consentire la comunicazione nelle seguenti modalità: • ordinaria tra i singoli lavoratori presenti all’interno; • ordinaria tra un singolo lavoratore ed il personale di assistenza che si trova all’esterno; • di emergenza dall’interno verso l’esterno e viceversa. • sistemi wireless: utilizzano onde radio, permettendo libertà di movimento e comunicazioni tra un numero indefinito di persone; sono però soggetti a intermittenza nelle comunicazioni a causa di interferenze elettriche e dead spots; • sistemi hardline: caratterizzati da comunicazioni più chiare, senza pericolo di intermittenza se le linee sono ben schermate, e maggior sicurezza dal punti di vista elettrico; la libertà di movimento è tuttavia limitata all’estensione del cavo; • communication rope: sistema di comunicazione (limitato però a poche persone) basato su una corda che può essere utilizzata anche come life-line e/o “filo di Arianna” dai lavoratori e dai componenti della squadra di soccorso in caso di scarsa visibilità. Altrettanto importante è disporre di un codice di segnali manuali prestabilito e noto a tutti gli operatori (simile a quello utilizzato per le movimentazioni dei carichi o dai sommozzatori). Altri metodi di comunicazione sono costituiti da un codice prestabilito di segnali luminosi o anche dal cosiddetto TAPPING CODE (segnali al tatto). SENSORI DI MOVIMENTO PER LAVORI IN SOLITARIO. Nel caso di lavorazioni in spazi confinati svolte da un singolo lavoratore, qualora non sia possibile utilizzare un sistema che garantisca una comunicazione vocale continua e sicura, il lavoratore dovrà essere munito di un’apposita apparecchiatura con sensore di movimento ed allarme per consentire al personale posto all’esterno di rilevare eventuali situazioni d’emergenza. ALLESTIMENTO DEL CANTIERE: SCELTA E CORRETTO POSIZIONAMENTO DELLE ATTREZZATURE DI LAVORO, DEI PRESIDI DI EMERGENZA E DEI DPI. • Apertura di tutte le necessarie vie di accesso e fuga; • Posizionamento dei sistemi di accesso provvisionali; • Posizionamento impianto di illuminazione ordinario e di emergenza; • Posizionamento impianto di ventilazione d’ambiente e di aspirazione localizzata; • Posizionamento sistema di comunicazione e allarme; • Posizionamento mezzi estinguenti; • Protezione materiali infiammabili non rimovibili con coperte ignifughe; • Posizionamento e fissaggio di cavi, manichette e altre attrezzature di lavoro fuori dalle vie di passaggio; • Rivelatori di fumo • Fissaggio manichette • Avvolgitori manichette e cavi • Protezione spigoli e superfici taglienti • Strisce adesive antiscivolo • Segnalazione di tutti i pericoli interni (aperture nel piano di lavoro, parti sporgenti, gradini, ecc.) con bande fotoluminescenti; • Segnalazione dei percorsi d’esodo e dei presidi di emergenza interni con segnaletica fotoluminescente. • Posizionamento segnaletica (interna ed esterna); • Segregazione e segnalazione delle zone di ingresso/uscita; • Posizionamento dei presidi di soccorso esterni ed interni (treppiede di recupero, kit di primo soccorso sanitario, estintori, SCBA, aria medica, barelle flessibili, esplosivimetri portatili, ecc.); I CANTIERI STRADALI I lavori in ambiente confinato svolti nell’ambito dei cantieri stradali sono caratterizzati da un rischio aggiuntivo per gli operatori: quello direttamente derivante dal traffico veicolare (ovvero che un veicolo colpisca accidentalmente un operatore) e, indirettamente, dalla possibilità che oggetti proiettati dai veicoli, lanciati da chi è a bordo o da chi transita a piedi in prossimità del cantiere (pietre, ghiaia, bottiglie, lattine, pezzi di asfalto, mozziconi di sigarette, ecc.) possano colpire gli operatori o costituire una fonte di innesco per una atmosfera esplosiva. Al fine di limitare questi rischi le aree di accesso agli ambienti confinati nei cantieri stradali devono essere segnalati con le modalità previste dal Codice della Strada e protetti adeguatamente (eventualmente anche con guard-rail provvisionali). Attrezzature NON ammesse all’interno: Attrezzature ammesse all’interno: Quando possibile occorre prevedere un doppio comando di sezionamento (sezionatore elettrico, valvola di intercettazione) uno all’interno a portata di mano dell’operatore e uno all’esterno a portata di mano dell’operatore in stand-by; nel caso non sia possibile prevedere un doppio sezionamento occorre posizionarlo ESCLUSIVAMENTE ALL’ESTERNO. RISCHIO ELETTRICO Da un punto di vista elettrico si definisce “luogo conduttore ristretto” un ambiente delimitato da superfici metalliche - o in qualche modo conduttrici - caratterizzato da dimensioni tali da limitare il movimento dell’operatore e da provocare un probabile contatto con estese parti del corpo (diverse dalle mani e dai piedi) arrecando all’operatore danni potenzialmente più gravi in ragione del fatto che il passaggio della corrente attraverso il corpo presenterebbe un fattore di percorso maggiormente critico. Un ambiente confinato è con elevatissima probabilità un luogo conduttore ristretto, ovvero un ambiente in cui più parti del corpo possano venire a contatto contemporaneamente con masse conduttrici. Gli apparecchi elettrici trasportabili utilizzati nei luoghi conduttori ristretti devono essere alimentati a bassissima tensione di sicurezza (SELV), oppure devono essere protetti per separazione elettrica. La bassissima tensione di sicurezza (SELV). Un circuito è a bassissima tensione di sicurezza (SELV) quando ha i seguenti requisiti: • ha una tensione non superiore a 50 V in alternata; • è alimentato da un trasformatore di sicurezza (230/48 V) o altra sorgente di sicurezza equivalente, ad esempio una batteria di accumulatori; • non ha alcun punto collegato a terra; • è separato dagli altri circuiti da un isolamento doppio o rinforzato, o da uno schermo collegato a terra. Nel caso specifico delle saldatrici, la tensione massima ammissibile a vuoto sul secondario, secondo la norma CEI 26-13, non deve superare i 113V di picco in continua e i 68V di picco (48V in valore efficace) in alternata. Gli equipaggiamenti idonei ad operare in luoghi a maggior rischio elettrico sono contrassegnati da un simbolo costituito dalla lettera S racchiusa in un quadrato. La separazione elettrica. La separazione elettrica consiste nel mantenere separato il circuito da qualsiasi altro circuito e da terra. La separazione dalla rete di alimentazione deve avvenire tramite un trasformatore. In alternativa, si può alimentare il circuito separato mediante un piccolo gruppo elettrogeno, con il sistema elettrico isolato da terra. Nei luoghi conduttori ristretti è richiesto un trasformatore d’isolamento conforme alla norma CEI 96-15, che ha tra gli avvolgimenti un isolamento doppio e rinforzato, oppure uno schermo metallico collegato a terra. Si evita così che un guasto d’isolamento tra gli avvolgimenti possa compromettere la separazione del circuito secondario. Inoltre, il trasformatore di isolamento o il gruppo elettrogeno, può alimentare un solo apparecchio utilizzatore. • trasformatore d’isolamento, ad esempio, 230/230 V; • trasformatore di sicurezza, ad esempio 230/24 V o 230/48 V; • possono essere utilizzati utensili portatili alimentati da una sorgente autonoma, ad esempio una batteria di accumulatori. Per le lampade portatili è ammessa unicamente una tensione di alimentazione di sicurezza (preferibilmente a non più di 25 V) in modo da garantire una sufficiente protezione anche nei confronti dei contatti bipolari che dovessero verificarsi a seguito della rottura della lampada. Le lampade portatili possono essere alimentate con: • trasformatore di sicurezza (ad es. 230 / 24 V) • sorgente autonoma, ad esempio una batteria di accumulatori Nei luoghi conduttori ristretti: • ogni apparecchio deve essere alimentato da un proprio trasformatore di isolamento; • non è ammesso che un trasformatore di isolamento alimenti due apparecchi a meno che il trasformatore di isolamento abbia due avvolgimenti secondari separati. Nelle attività da svolgersi all’interno di uno spazio conduttore ristretto occorre adottare alcune altre precauzioni operative: • nelle immediate vicinanze deve sempre essere presente una persona in grado di fornire aiuto in caso di emergenza; • devono essere previsti dei dispositivi, facilmente accessibili, per scollegare rapidamente le attrezzature dal circuito di alimentazione: • eventuali comandi remoti delle apparecchiature devono essere alimentati SELV. Sia il trasformatore d’isolamento, sia il trasformatore di sicurezza devono essere tenuti all’esterno del luogo conduttore ristretto, a causa del pericolo rappresentato dal primario alimentato direttamente dalla rete. Pedane isolanti. Supporti isolanti per pinze e torce di saldatura. Connettori isolanti su tutte le utenze elettriche di qualsiasi voltaggio. Guanti e calzature dielettriche. Nella saldatura su grandi masse metalliche (carpenterie, mezzi navali, impianti industriali, ecc.) occorre prestare la massima attenzione anche al corretto posizionamento dei collegamenti ai conduttori di terra PIANI E PROCEDURE DI EMERGENZA. La predisposizione di un PIANO DI RECUPERO E SALVATAGGIO e di SPECIFICHE procedure per le situazioni di emergenza risulta necessario nel caso di lavorazioni svolte in spazi confinati in quanto la natura circoscritta degli ambienti, la scarsità di spazio per muoversi e la scarsa disponibilità di aria (limitata dal volume dell’ambiente o dall’autonomia delle riserve di aria/ossigeno degli autorespiratori) rendono le attività di salvataggio più difficoltose ed incerte rispetto a ciò che avviene in altri ambiti. La struttura del piano e delle procedure dovrà descrivere fedelmente la conformazione dell’ambiente di lavoro e le tipologie di lavorazioni che verranno svolte, e in base a questi parametri andrà anche formata la squadra di emergenza. Il piano di emergenza dovrà prendere in considerazione anche eventuali lavorazioni (e più in generale qualsiasi situazione) che possano creare pericolo o possano influenzare le operazioni di salvataggio. Nel caso di più imprese presenti contemporaneamente, andrà redatto un unico piano di emergenza che andrà periodicamente aggiornato in base all’avanzamento dei lavori ed alle mutate condizioni interne ed esterne. Il piano di emergenza deve contenere, almeno: • caratteristiche del luogo di lavoro; • lavorazioni da svolgere; • nominativi dei responsabili e dei componenti della squadra di emergenza (compresa gerarchia), • incarichi specifici e procedure di emergenza per attività ed aree di lavoro; • procedure da seguire da parte dei responsabili dell’impresa e dei lavoratori (comprese le indicazioni per la chiamata dei soccorsi esterni); • modalità di informazione e formazione ed addestramento del personale sul piano stesso; • periodicità delle esercitazioni di emergenza. LA SQUADRA DI SOCCORSO E SALVATAGGIO. La composizione e l’addestramento di una squadra di emergenza devono essere valutati in base alle caratteristiche dell’ambiente, al numero di lavoratori presenti all’interno ed alle lavorazioni che vengono svolte e ai rischi specifici ad esse legati. Potrebbe rivelarsi necessario avere una squadra di emergenza sempre presente in loco piuttosto che affidarsi solamente ai soccorsi esterni, soprattutto nel caso in cui vi sia un elevata probabilità che si possa sviluppare un’atmosfera pericolosa che necessiti di un intervento molto rapido. Nel caso in cui si opti per una squadra di soccorso interna e quindi continuativamente presente sul luogo di lavoro, i componenti di tale squadra dovranno essere necessariamente formati ed addestrati (oltre che sui contenuti del piano e delle procedure di emergenza) almeno riguardo a: • analisi e riconoscimento dei pericoli; • tecniche e metodi di comunicazione; • procedure per l’autosalvamento; • uso dei DPI specifici (autorespiratori…); • tecniche di primo soccorso e rianimazione; • modalità di intervento che possono variare in considerazione dei possibili scenari di emergenza che si posso verificare all’interno dello spazio confinato. Nel caso non si ritenga necessario disporre di una squadra di emergenza sempre presente sul posto è necessario informare i servizi di soccorso esterni deputati alle emergenze riguardo alle lavorazioni che si svolgeranno, fornendo loro il piano e le relative procedure di emergenza e, se richiesto, organizzare sopralluoghi per la valutazione delle condizioni di ambiente e lavorazioni. IDONEITA’ SPECIFICA ALLA MANSIONE DEI LAVORATORI ADDETTI ALL’INGRESSO IN AMBIENTE CONFINATO Il personale che deve essere impiegato per operare all’interno di AMBIENTI CONFINATI deve soddisfare i seguenti requisiti: • possegga una elevata esperienza relativamente all’attività operativa che deve svolgere; • abbia ricevuto un addestramento specifico per il particolare ambiente di lavoro; • abbia ottenuto una specifica idoneità sanitaria da parte del medico competente (negatività a patologie che spaziano dalle allergie, alle cardiopatie, dalla ipertensione alla claustrofobia). Preposti e supervisori devono essere persone con adeguate conoscenze tecniche ed esperienza relativamente alle problematiche caratteristiche degli ambienti confinati e dello specifico ambiente di lavoro ed attività da svolgersi all’interno. Nessuna norma internazionale ammette che all’interno di ambienti confinati acceda personale non addestrato In nessuna legge o regolamento internazionale sono posti vincoli relativi all’idoneità specifica alla mansione. Una legge guida britannica raccomanda che, alle attività da svolgersi all’interno di ambienti confinati, vengano destinati lavoratori in buone condizioni fisiche generali, non affetti da claustrofobia o soggetti ad attacchi di panico, stati d’ansia o altre fobie o patologie assimilabili. IDONEITA’ FISICA ALLA MANSIONE Si consiglia inoltre che tutti i lavoratori abbiano compiuto i 18 anni di età e che, preferibilmente, non abbiano oltrepassato i 50. Oltre questa età potrebbe infatti divenire eccessivamente gravoso l’utilizzo di sistemi respiratori di qualsiasi genere per tempi prolungati ma, nel caso in cui il lavoratore abbia oltrepassato i 50 anni di età, si raccomanda di sottoporlo ad un controllo sanitario con cadenza annuale. Il lavoratore non deve essere (o essere stato) affetto dalle seguenti patologie: • perdita di coscienza (sincope); • problemi cardiaci di qualsiasi natura; • ipertensione; • asma, bronchite o altre patologie respiratorie; • ipoacusia; • sindrome di Ménière o altre patologie che provochino vertigini o perdita di equilibrio; • mal di schiena o altre patologie dorso lombari o alle articolazioni che possano limitare i movimenti; • malattie croniche della pelle; • difetti importanti alla vista; • allergopatie; • percezione olfattiva ridotta o assente. A questa lista va poi aggiunta la negatività ai test ad alcool e stupefacenti. REGOLA N. 1 PER OPERARE IN SICUREZZA ALL’INTERNO DI UNO SPAZIO CONFINATO: NON ENTRARCI Poiché la prima REGOLA della sicurezza sul lavoro è quella di ELIMINARE - ogni qualvolta sia possibile - un pericolo ed il conseguente rischio per l’operatore, ne consegue che il luogo confinato più sicuro è quello nel quale è possibile operare dall’ESTERNO ovvero senza entrarvi. LAVORI IN SPAZI CONFINATI CONDOTTI DA POSIZIONE REMOTA • ROV (Remotely Operated Underwater Vehicles) a rigore, denominati UUV (Unmanned Underwater Veichles); • UGV (Unmanned Ground Vehicles) anche detti “crawler”; • UAV (Unmanned Aerial Vehicles): anche detti “droni”. CIRCA 1955 ROV CIRCA 1950 UGV CIRCA 1969 UAV