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GIOVANNI HIPPOLITI (*)
FARE SELVICOLTURA OGGI: I PROBLEMI
In Italia dalla metà del secolo scorso il prezzo del legname, in moneta corrente, è aumentato di ca. 12 volte, quello della legna da ardere di 25 volte, quello dei
segati di 35 volte; mentre il costo della manodopera è aumentato di 160 volte: 13
volte di più del prezzo del legname, 6 volte di più di quello della legna. Grazie
all’impiego di macchine e al miglioramento della viabilità, la produttività dell’uomo nelle utilizzazioni è aumentata, ma soltanto di 3-4, forse 5 volte. Di conseguenza i macchiatici si sono ridotti e in molte fustaie di conifere, sopratutto in quelle di
origine artificiale e in tagli a carattere colturale, sono negativi.
Mancando lo stimolo economico c’è il rischio che la selvicoltura – la coltivazione attiva del bosco – venga trascurata. La cessazione di questa attività può comportare l’involuzione, il deperimento dei soprassuoli, in particolare dei vecchi rimboschimenti e di quelli molto antropizzati?
I selvicultori, in particolare quelli che operano concretamente in bosco, sono
invitati a esprimersi a proposito di questi rischi ed a indicare i provvedimenti che
ritengono opportuni per evitarli.
La selvicoltura concreta consiste un poco nel piantare, molto nel
tagliare con criterio. In funzione delle caratteristiche del bosco, ma
anche di ciò che interessa l’uomo: legna, legname, protezione del
suolo, dell’ambiente, paesaggio, ecc. Attualmente tutte queste utilità
sono ritenute importanti, in passato – oltre 50 anni fa – la produzione
di legno, per combustibili e costruzioni, aveva particolare rilevanza
(con cosa si cucina? come si fanno i tetti?). La produzione di legna e
legname finanziava la selvicoltura, per questo motivo era ed è ancora
importante anche ai fini delle altre funzioni del bosco, che vanno a
beneficio di tutta la comunità ma che non remunerano direttamente il
proprietario del bosco sul quale grava l’onere della selvicoltura concreta, del lavoro in bosco. Da tutti, ormai da tempo, è riconosciuta la
multifunzionalità del bosco e la necessità di gestirlo tenendo presente
(*) DISTAF - Università di Firenze.
ANNALI A.I.S.F., Vol. LV, 2006: 49-75
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questo obiettivo, ma l’onere della sua coltivazione, della selvicoltura,
secondo l’opinione comune deve essere a carico del legname utilizzato, salvo casi eccezionali. Così come era in passato, quando lo scopo
principale, anche se non esclusivo, della selvicoltura era quello direttamente economico, della produzione di legno, che permetteva macchiatici considerevoli. Questi, oggi, nel nostro Paese, non ci sono più.
Da dopo la guerra – 60 anni fa – il prezzo del legname è diminuito in termini reali, e dalla fine degli anni ’80 anche in moneta corrente, mentre il costo della manodopera è continuamente aumentato. Di
conseguenza i macchiatici si sono gradualmente ma drasticamente
ridotti. Attualmente i tagli intercalari nelle conifere sono spesso negativi e anche i tagli di maturità in queste fustaie raramente danno macchiatici apprezzabili. Non soltanto nelle proprietà private ma anche in
molti boschi pubblici le utilizzazioni – la selvicoltura concreta – stanno cessando. Con la sorprendente eccezione dei cedui con la loro
legna da ardere.
Oltre a non praticare più la selvicoltura in bosco, se ne parla
anche sempre meno. Si dibatte di biodiversità, ambiente, ecologia,
clima, paesaggio, ma non del trattamento più confacente per i soprassuoli, così come sono in realtà, e sopratutto di come realizzarlo, tecnicamente ed economicamente. Scopo di questo scritto è di stimolare i
forestali, ed in particolare i selvicultori, soprattutto quelli che operano
concretamente in bosco:
– a esprimere la loro opinione circa le possibili – auspicate o temute –
evoluzioni dei boschi in assenza di selvicoltura attiva;
– a indicare quali boschi in caso di abbandono sono a rischio di involuzione o degrado, e che interventi ritengono necessari per evitarlo;
– a individuare modalità e forme di gestione dei lavori che permettano di assicurare concretamente nel tempo, con continuità, l’esecuzione di questi interventi, ossia la selvicoltura.
1. LE CAUSE: PREZZI E COSTI, DAL 1950 AL 2004
Prezzi del legname, tondame da sega di abete (rosso in prevalenza) allestito all’imposto su strada camionabile.
Per questi ho attinto:
– dal 1950 al 1966 ai prezzi (orientativi) riportati dalla rivista Monti e
Boschi per la provincia di Trento. Dal 1967 la rivista non li pubblica più.
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– dal 1967 al 1990 agli esiti delle aste della F.D. provinciale di S. Martino di Castrozza (TN), facendo la media (semplice) fra i prezzi di
aggiudicazione dei lotti venduti nell’anno. Nel 1990 disgraziatamente la Provincia di TN acquista una segheria a Caoria e le vendite del tondame cessano1.
– dal 1994 al 2004 ai prezzi medi riportati nelle relazioni annuali del
Progetto Legno della CCIAA di Trento.
Da notare che le caratteristiche dimensionali dei toppi da sega si
sono modificate nel tempo: fino alla fine degli anni ’80 il diametro a
metà dei toppi di 4 m, ovviamente scortecciati, era «da cm 18 in avanti»; successivamente è aumentato a «da cm 22 compreso in avanti» e
attualmente è «da 25 cm compresi», almeno nell’ambito delle
F.D.Provinciali. E il tondame non viene più scortecciato in bosco, sul
letto di caduta (Fig. 1).
Fino al 1972 l’aumento del prezzo del tondame è lento e graduale, poi la svalutazione accellera e i prezzi si impennano. Con una sosta
Prezzo del tondame da sega in Trentino
(abete rosso in prevalenza, allestito all'imposto)
200000
C
Prezzo (lire/m3)
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A
150000
B
C
100000
B
50000
0
1945
A
1955
1965
1975
1985
1995
2005
A - da Monti & Boschi, prezzi medi in Trentino
B - aggiudicazione di aste nella F.D. di San Martino di Castrozza (TN)
C - da Progetto Legno, aggiudicazione di aste, prezzi medi in Trentino
Figura 1
1
Devo questi dati alla cortesia di Paolo Kovatsch, amministratore delle F.D.Provinciali
del Trentino, all’efficienza del personale degli Uffici Amministrazione di Cavalese e di Primiero, e alla capacità e diligenza di Ester Sanviti: ringrazio tutti.
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negli anni 1980-82 a causa degli schianti dell’uragano Vivian (100
milioni di m3 nel febbraio del 1980 in Europa centrale) e conseguente
abbondanza di legname a basso prezzo sul mercato. E un continuo e
marcato cedimento dopo il 1990 per effetto dell’apertura dei mercati
dell’est, incrementato da Lothar (200 milioni di m3 schiantati nel
dicembre del 1999, sempre in Europa centrale).
Dal 1951 al ’69 – in 20 anni – i prezzi del tondame da sega sono
aumentati del 50%, da 12.000 a 18.000 lire/m3; dal 1970 al 1989 – in
altri 20 anni – sono aumentati di 11 volte, da 20.000 a quasi 220.000
lire/m3. Poi l’afflusso del legname dai Paesi dell’Europa orientale e
dalla Russia ha ridotto il prezzo, dal 1990 al 2004, del 25%, da
200.000 a meno di 150.000 lire/m3 (76 €/m3). (Al 2005 sono ca. 80 €
in media, attualmente – 2006 – stanno ulteriormente aumentando.
Speriamo duri!).
Complessivamente dai primi anni ’50 al 2004, in poco più di 50
anni, il prezzo del tondame da sega di abete rosso è aumentato di ca.
12 volte, in moneta corrente (quasi 13 volte al 2005).
Prezzo dei segati di abete rosso della Magnifica Comunità di
Fiemme (TN), franco segheria2 (Fig. 2).
Riporto i prezzi di vendita al consumo praticati per i principali
assortimenti di tavolame di abete in alcuni anni caratteristici. Dopo il
1985, essendo cambiate per motivi commerciali le denominazioni
degli assortimenti, ho paragonato la scelta «Fiemme FALEGNAMERIA» al «2° assortimento andante» e la scelta «Fiemme» al 3° assortimento (Tab. 1).
Normalmente nella segheria della MCF i segati normali («tavole»
da 4 m) vengono da sempre suddivisi in 5 (e anche 6) classi di qualità.
Il 3° assortimento è quello quantitativamente più rilevante della produzione (ma va tenuto presente che il tondame scadente – dal quale si
ricava in prevalenza imballaggio (ossia 5° assortimento) – non viene
lavorato in questa segheria) ed è idoneo, per la massima parte, per
falegnameria. Il 2° assortimento vale dal 50 a oltre il 100% più del 3°,
ed è cresciuto più di questo nei 50 anni considerati.
Il prezzo dei segati si impenna dopo il 1972 a causa della svaluta-
2
Devo questi dati alla cortesia ed efficienza del sig. Giorgi, già impiegato della segheria
di Ziano della M.C.F.
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Prezzo di vendita dei segati di abete (rosso)
della Magnifica Comunità Generale di Fiemme (TN)
(spessori vari, lunghezza 4m, franco segheria)
800000
600000
Prezzo (lire/m3)
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400000
200000
0
1945
1955
1965
1975
1985
1995
dal 1953 i prezzi comprendono l'IGE (assolta una tantum, DM 30/12/52)
dal 1960 i prezzi sono al netto dell'IGE (DM 14/12/1959) di £1536 a m3
dal 1973 i prezzi sono al netto dell'IVA 12%
nel 1973 ci sono stati 7 aumenti di prezzo da gennaio a settembre
nel 1976 ci sono stati 7 aumenti di prezzo, da gennaio a ottobre
dal 1987, con l'apertura della nuova segheria di Ziano cambiano anche gli assortimenti.
2005
2° andante
3° scelta
4° scelta
Figura 2
Tabella 1
M.C.F. Prezzi dei segati per la vendita, in lire x 1000 a m3
Anno
1°
2°
2° andante
assortimento
3°
4°
1950
1972
1995
2002
33
78
1.600
1.600
(825 €)
23
65
1.100
1.104
(570 €)
19
58
610
660
(341 €)
15
44
440
441
(228 €)
11
36
300
331
(171 €)
zione (come quello del tondame), non manifesta cedimenti; si arresta
dopo il 1995 quando gli effetti dell’apertura dei Paesi dell’est si fanno
sentire in pieno, ma senza arretrare. Dai primi anni ’50 al 2002 il prezzo dei segati è aumentato per il 1° e 2° assortimento di 38-48 volte;
per il 2° andante (e tombante) di 25-35 volte; per il 3° e 4° assortimento di 22-30 volte, secondo che si prenda in riferimento il prezzo
del 1951 o del 1950: dal settembre del 1950 al settembre 1951 i prezzi
sono stati aumentati, dalla magnifica C.G.F., in 7 riprese (in pratica
ogni mese), dal 27% per il 1° assortimento al 54% per il 4°.
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Prezzo della legna da ardere
Dal 1950 al 1966 la rivista Monti a Boschi riporta i prezzi orientativi anche per la legna; ma dal 1967 ne cessa la pubblicazione.
In Toscana, all’imposto su strada camionabile, la legna di quercie
spuntava:
– negli anni 1950-55: dalle 550 alle 700 lire/quintale;
– negli anni 1956-60: dalle 650 alle 750 lire;
– negli anni 1961-66: dalle 700 alle 850 lire;
Non ho preso in considerazione i dati dell’Annuario di statistica
forestale dell’ISTAT, avendo constatato che riporta anche improbabili
«prezzi di legna da ardere di conifere» per la Toscana e per l’Umbria.
Ho rinunciato a cercare questi prezzi dal 1967 al ’96. Sherwood riporta prezzi orientativi della legna da ardere (querce) dal 1997 al 2004,
gradualmente crescenti da 5,3 €/q (pari a 10.260 lire) a quasi 7,3 €/q
(pari a ca. 14.120 lire) (nel 2006 si parla anche di 10 €/q!!!)
Dai primi anni ’50 al 2004 il prezzo della legna da ardere è
aumentato di ca. 25 volte in moneta corrente, il doppio del tondame da sega.
Costo del lavoro
Per gli anni remoti mi è stato impossibile individuare con precisione e certezza il costo della manodopera forestale. Gli annuari dell’ISTAT riportano costi della manodopera nell’edilizia e nell’industria,
non per l’agricoltura né per il settore forestale. In quest’ultimo ricordo che negli anni ’60 e ’70 venivano applicati sia contratti salariali dell’agricoltura, in particolare per gli addetti ai rimboschimenti, che contratti industriali, per addetti alle utilizzazioni. I primi comportavano
paghe orarie diverse secondo che i lavori avvenivano sotto o sopra i
1000 m s.l.m., erano esenti o pagavano contributi e assicurazioni
ridotte sopra i 600 m s.l.m. I secondi comportavano pressochè lo stesso salario, ma migliori provvidenza (per malattia, infortuni, pensione)
e di conseguenza maggiori costi. E ci sono differenze fra le diverse
categorie, qualifiche o livelli di operai (da 3 a 5, secondo i periodi ed i
contratti). Infine ci sono differenze fra operai fissi, assunti a tempo
indeterminato, e stagionali, a tempo determinato, fra il pubblico ed il
privato, fra Regioni diverse, ecc.
Perciò per ricostruire approssimativamente ma attendibilmente il
costo della manodopera mi sono basato:
– per gli anni 1950-1962 in parte su dati (listini paga) reperiti nell’ar-
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chivio della F.D. di Vallombrosa, in parte su ricordi di persone che
stimo e ritengo pienamente attendibili3;
– per gli anni 1975-1993 sulle «Tabelle salariali» impiegate nella F.D.
di Vallombrosa per il calcolo delle paghe dei dipendenti4;
– per gli anni 1995-2005 sulle tabelle della Magnifica Comunità di
Fiemme5 che riportano sia le retribuzioni lorde che il costo orario
della manodopera agricola e forestale (Fig. 3).
Tenendo anche conto (approssimativamente) di oneri assicurativi
e previdenziali a carico del datore di lavoro, pari al 20% della paga
lorda (attualmente sotto ai 600 m di quota sembra ammontino a oltre
Costo della manodopera forestale
(operaio qualificato a tempo determinato)
25000
20000
Costo (£/h)
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15000
10000
5000
0
1945
1955
1965
1975
1985
1995
2005
F.D. Vallombrosa (FI)
Magnifica Comunità di Fiemme (TN)
Figura 3
3
Raffaele Rosini, dipendente delle F.D. Casentinesi dal 1946; Giancarlo Gabbrielli,
dipendente della F.D. di Vallombrosa fino al 2000.
4
Il sig. Giancarlo Gabbrielli è riuscito a rintracciare negli archivi della F.D. di Vallombrosa le «tabelle salariali» manoscritte che impiegava per calcolare le paghe degli operai, dal
1975 al 1993. Le tabelle salariali riportano la paga oraria lorda. Per il calcolo del costo della
manodopera ho assunto quello di operai qualificati – specializzati, a tempo determinato (comprende anche quota parte della tredicesima e della liquidazione), operanti oltre i 1000 m s.l.m.,
a metà anno e lo ho aumentato del 20% per tener conto di contributi e assicurazioni varie a
carico del datore di lavoro.
5
Ringrazio Giorgio Behmann e gli impiegati della M.C.F. per avermele messe a disposizione.
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il 40%), risultano i seguenti costi orari per operai qualificati – specializzati, assunti a tempo determinato:
– anni 1950-51:
150 – 155 lire;
– anno 1958:
180 – 205 lire;
– anno 1961:
215 – 240 lire;
– anno 1962:
250 – 300 lire.
Non ho trovato dati attendibili dal 1962 al 1974. Successivamente, dalle tabelle salariali di Vallombrosa per operai qualificati - specializzati a tempo determinato, operanti sopra a 1000 m s.l.m., le paghe
orarie lorde aumentate del 20% (per contributi e assicurazioni) danno
i seguenti costi:
– al 1975: 1810 – 2080 lire;
– al 1980: 4880 – 5180 lire;
– al 1985: 10740 – 11160 lire;
– al 1990: 13742 – 14470 lire;
– al 1993: 16019 – 16960 lire.
Dal 1995 al 2005 dalle tabelle della M.C.F. risultano i seguenti
costi, sempre per operai qualificati – specializzati a tempo determinato:
– al 1995: € 7,60 – 7,95 pari a lire 14.715 – 15.395
– al 2000: € 10,24 – 11,45 pari a lire 19.825 – 22.170
– al 2005: € 12,34 – 13,76 pari a lire 23.900 – 26.645
Complessivamente, dal 1950 al 2005, il costo della manodopera è
aumentato di circa 160 volte, in moneta corrente (Fig. 4).
In sintesi, negli ultimi 55 anni:
– il costo della manodopera è aumentato di 160 volte;
– il prezzo del tondame da sega di conifere (abete rosso) allestito
all’imposto è aumentato di ca. 12 volte;
– il prezzo al consumo dei segati di abete (rosso) della Magnifica
Comunità di Fiemme è aumentato mediamente di 35 volte;
– il prezzo della legna da ardere (querce) allestita all’imposto in Toscana è aumentato di 25 volte, più del doppio del tondame da sega.
L’incremento del costo della manodopera è stato di ca. 13 volte
superiore a quello del prezzo del legname, e di 6 volte superiore a
quello della legna da ardere. Nello stesso periodo la produttività dell’uomo nelle utilizzazioni è aumentata di 3 ~ 4 volte nel nostro
Paese, grazie soprattutto alla meccanizzazione. Che però a sua volta
comporta altri e nuovi, spesso imprevisti, problemi ed oneri. E che
ha potuto contenere soltanto parzialmente la crescita del costo delle
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Numeri indice
180
numero indice (1950=1)
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140
120
100
80
60
40
20
0
1945
-20
1955
1965
1975
1985
1995
2005
operaio qualificato
tondo sega abete
segati 2° andante
Figura 4
utilizzazioni – della selvicoltura concreta – e la contrazione dei macchiatici.
Con l’eccezione delle utilizzazioni dei cedui. Ma in questo caso
la più elevata crescita della produttività è dovuta in larga misura
alla maggiore età dei soprassuoli in taglio – al solito 25 – 35 anni
contro i 14 – 18 degli anni ’50 e ’60 – e alle conseguenti maggiori
provvigioni e diametri dei polloni e della legna. E l’incremento più
consistente del suo prezzo permette, per il momento, previsioni più
ottimistiche per quanto riguarda l’attenzione alla selvicoltura delle
latifoglie (Tab. 2).
Tabella 2
Cedui di cerro in utilizzazione
Periodo
Località
Età, anni
Diametro a 1,3, cm
Provv. m3/ha
A
1950 - 55
Cecina - Camaldoli
13 - 15
3,8 - 5,4
39 - 59
B
2003 - 04
Massa Marittima
34
7,6 - 11,7
113 - 240
A) da G. Giordano, Il legno dalla foresta ai vari impieghi, Hoepli, 1956, pag. 214 e seguenti.
B) da F. Piegai et alii, Tagli di avviamento ed utilizzazioni di cedui, Italia Forestale e Montana, n.6/2004,
pag. 483 e seguenti.
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2. PERCHÉ PREZZI E COSTI SI SONO SVILUPPATI IN MODO DIVERSO
Il nostro Paese importa il 90% del legno che consuma o lavora,
di conseguenza il suo prezzo è determinato dal mercato mondiale: è la
globalizzazione.
In Europa centrale e in Scandinavia molti boschi crescono in pianura: la conseguente più agevole accessibilità e percorribilità e le maggiori dimensioni delle proprietà forestali facilitano il ricorso a sistemi di
lavoro altamente meccanizzati, che consentono produttività doppie e
triple rispetto alle nostre. Nei Paesi dell’Europa orientale costi della
manodopera modesti – da 1/10 a 1/2 dei nostri (per il momento) – permettono, anche con produttività non rilevanti, costi di utlizzazione
contenuti. Alla fine degli anni ’80, la «cortina di ferro» si è dapprima
allentata e poi definitivamente rotta e dai Paesi dell’Europa orientale il
flusso di legname a relativamente basso prezzo si è incrementato. In
più, negli ultimi decenni, si sono aggiunti ripetuti fortunali e uragani in
Europa centrale, e recentemente anche in Scandinavia, che hanno
schiantato grandi quantità di legname, in prevalenza conifere (i principali: Vivian, febbraio 1980, in F, CH, DE, ca. 100 milioni di m3; Lothar,
dicembre 1999, in F, CH, DE, A, ca. 200 milioni di m3; Gudrun, gennaio 2005, in Svezia e dintorni, ca. 100 milioni di m3). Questa abbondanza di legname sul mercato europeo ha tenuti bassi i prezzi in Italia,
in particolare del legname di conifere, che negli ultimi 16 anni si sono
addirittura ridotti, di ca. il 25% in moneta corrente, di forse il doppio
in termini reali, al netto della svalutazione. Per questi motivi il prezzo
del legname non ha seguito l’andamento del costo del lavoro e della
vita, nel nostro Paese. In concreto i prezzi attuali del tondame da sega
di abete (rosso in prevalenza) si sono ridotti a ca. 1/3 – 1/4 di quelli di 50
anni fa. Fare selvicoltura disponendo di così ridotti mezzi finanziari è
difficile, anzi, insostenibile. E all’estero non stanno meglio: i prezzi del
tondame sono ancora più bassi (Tab. 3).
3. PROBLEMI E RISCHI
In carenza di stimoli economici, con conseguente rischio di
abbandono della selvicoltura, cosa succederà ai nostri boschi?
Quelli di latifoglie, in particolare i cedui, sembra avranno meno
problemi: la domanda di legna da ardere continua ad essere sorpren-
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Tabella 3
Prezzo (approssimato) del tondame da sega di abete (rosso), anno 2004
(elaborato da Forstzeitung, 2005 n.6, pag.21 e 23, e Progetto legno TN, relaz. 2004)
in Italia (Trentino)
in Austria
in Germania e Finlandia meridionali
in Svezia meridionale e Polonia
nella Russia europea
Euro/m3 76
69
60
53
43
pari a 100%
90%
80%
70%
57%
Nota: subito dopo Gudrun, schianti del gennaio 2005 in Svezia meridionale, le industrie di
segagione svedesi hanno fulmineamente ridotto il prezzo che sono disposte a pagare per il tondame da sega a 35, poi addirittura a 25 €/m3; per cartiera e legno da cellulosa a 15 €, franco
imposto. (Forstzeitung n.11/05 AiW pag. 16).
dentemente vivace e in 50 anni il suo prezzo è aumentato il doppio di
quello del legname di conifere, anche perché dall’estero ce ne arriva
relativamente poca, almeno per il momento. Di conseguenza le utilizzazioni dei cedui, purchè i soprassuoli siano accessibili ai trattori,
spuntano macchiatici apprezzabili. In fustaie di latifoglie anche interventi a più specifico carattere colturale, dai quali si ricava almeno
legna da ardere, riescono ad essere positivi, a condizione che l’esbosco
non sia troppo oneroso. Perciò la selvicoltura dei soprassuoli di latifoglie non dovrebbe rischiare di essere trascurata in futuro.
Nelle conifere i tagli intercalari comportano normalmente il macchiatico negativo, soltanto le utilizzazioni di maturità sono positive, di
poco e non sempre: dipende dalla specie, dalla qualità del legno e
dalle difficoltà dell’esbosco. In questa categoria rientra la massima
parte dei rimboschimenti, alcune centinaia di migliaia di ettari di
soprassuoli coetanei e normalmente monospecifici – soprattutto pinete – impiantati fra l’inizio del secolo scorso e gli anni ’70, che attualmente hanno da 30 a 100 anni, prevalentemente finalizzati alla difesa
del suolo e situati per lo più su terreni poco fertili e ripidi. Queste
fustaie artificiali possono essere abbandonate senza rischi di involuzione e degrado? Se la risposta è negativa, quali interventi sono necessari? Come si possono realizzare concretamente, tenendo conto, oltre
che dei problemi tecnici (e di quelli burocratici) dei problemi economici e sociali?
Il problema è particolarmente importante per boschi con funzione di protezione specifica, nei quali l’abbandono della selvicoltura
rischia di portare all’invecchiamento e conseguente deperimento dei
soprassuoli, con riduzione della loro efficacia protettiva.
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L’abbandono della selvicoltura comporta anche la scomparsa di
chi la sa praticare concretamente, degli uomini esperti del bosco e
della montagna. Attualmente sono molti gli stranieri – Marocchini
Albanesi Bosniaci Rumeni Polacchi ecc. – che lavorano nei nostri
boschi, spesso con buona volontà, non sempre con perizia, raramente
equipaggiati e diretti bene. Gran parte provvisoriamente, in attesa di
un lavoro meno faticoso, meglio remunerato e più continuo e regolare. Ed i loro figli difficilmente lo faranno. Anche gli Svizzeri per gli
esboschi nelle Alpi si affidavano ai Bergamaschi. Una volta, adesso
non li trovano più.
Il problema – sul quale qui intendo richiamare l’attenzione – non
è quale selvicoltura sia corretto o opportuno perseguire, naturalistica
o sistemica, o il modulo colturale o il trattamento più appropriato. Il
problema è come realizzarla concretamente, con continuità, tenendo
conto delle caratteristiche dei boschi, delle proprietà e delle disponibilità economiche, nonché delle necessità di chi in bosco ci opera e ci
deve campare, del boscaiolo, senza il quale il termine selvicoltura resta
un concetto astratto.
Non sono in grado di offrire soluzioni sicure e garantite a questo
problema; mi limito a richiamare l’attenzione su alcuni fatti, su quanto
è accaduto all’estero.
4. CONSEGUENZE
All’estero, come vanno le cose? In Europa centrale e settentrionale il prezzo del legname è inferiore, il costo della manodopera è
superiore al nostro e il problema del contenimento dell’onere delle
utilizzazioni – ossia del costo della selvicoltura – lo hanno affrontato
agendo su tre fattori: meccanizzazione, viabilità, formazione.
1) Meccanizzazione
A metà del secolo scorso la tecnologia delle utilizzazioni in Svizzera, Austria, Germania e Scandinavia era analoga alla nostra: accetta
e segone e traino animale, più risine, avvallamenti e teleferiche Valtellina sulle Alpi e fluitazione in Finlandia. All’inizio degli anni ’50 sono
apparse nei loro boschi le prime motoseghe, i primi trattori e le prime
gru a cavo. Poi, dagli anni ’60, all’estero si sono rapidamente diffusi
trattori specializzati per gli esboschi, scortecciatrici e, dagli anni ’80,
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processori, cippatrici e harvester, sempre più efficienti e produttivi (e
costosi). Questa meccanizzazione spinta ha permesso forti incrementi
di produttività, in particolare nei diradamenti, ed ha contenuto l’aumento del costo delle utilizzazioni, ossia della selvicoltura. Ma ha
anche comportato cambiamenti nelle forme di gestione dei lavori e di
conseguenza problemi.
Nelle proprietà piccole i lavori in passato venivano eseguiti direttamente dai proprietari, prevalentemente agricoltori. I cui figli si sono
inurbati, hanno cambiato mestiere, coltivano la campagna a tempo
perso se va bene, il bosco per niente. Le grandi proprietà avevano i
loro operai, dipendenti a tempo pieno o parziale, ma praticamente
fissi («Stammarbeiter»), retribuiti a cottimo o a giornata secondo le
caratteristiche dell’opera. Con questi uomini venivano svolti tutti i
lavori, sia di utilizzazione che di coltivazione e di manutenzione, per
quanto il proprietario riteneva doveroso o conveniente, anche soltanto
a lunga scadenza. Ciò entro le possibilità economiche dell’azienda;
che a partire dagli anni ’60 sono state gradualmente superate dai costi
di questa manodopera tradizionale, cresciuti più in fretta di quanto si
ricava dalla vendita del legname. Le macchine hanno sostituito il lavoro manuale ed hanno fatto scomparire questo personale. Con lui, con
i «Stammarbeiter», è scomparsa parte della pratica selvicolturale,
quella più raffinata: cauta, continua, capillare - forse non indispensabile, comunque non sostenibile economicamente; rimane una selvicoltura esteticamente e intellettualmente meno attraente, ma concreta e
compatibile con la dura realtà economica e tecnica, e – sembra –
anche tollerata dalla natura.
La meccanizzazione consente produttività elevate ma comporta
necessariamente investimenti rilevanti, dell’ordine del milione di Euro
per impresa, il cui ammortamento è impossibile nella massima parte
delle singole, anche grandi proprietà forestali. Perciò è gestita da
imprese di lavoro altamente specializzate che operano per conto dei
proprietari dei boschi (la vendita del legno in piedi era poco praticata
a nord delle Alpi, ma da alcuni anni si sta diffondendo in Germania,
soprattutto nelle più piccole proprietà private). Ovviamente queste
imprese eseguono soltanto lavori adatti alle loro attrezzature e a condizioni a loro convenienti. Lavori per i quali le macchine non sono
idonee, per caratteristiche del terreno o del soprassuolo, o la cui entità
non giustifica lo spostamento delle attrezzature e l’impianto del cantiere, non interessano e vengono tralasciati, anche se utili per il bosco.
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È da ricordare che gli appalti, i cottimi di lavorazione, si prestano
per definizione per lavori semplici e «misurabili», di quantità, come i
tagli a raso, non per lavori difficili e/o non agevolmente e incontrovertibilmente misurabili, o nei quali prevale l’esigenza della qualità dell’esecuzione e questa non è facilmente e immediatamente rilevabile. Cottimi, e ancor più le vendite dei tagli in piedi, vanno bene per lo sfruttamento del bosco, non per la sua coltivazione. E infatti in Austria e
Germania in boschi non utilizzabili con harvester i diradamenti vengono al solito omessi. E lo lamentano. Anche all’estero difficoltà economiche portano a trascurare la selvicoltura e a limitare le utilizzazioni a carattere colturale, prive di un utile immediato (o macchiatico
positivo), alle situazioni più semplici.
2) Viabilità
In Europa centrale i proprietari dei boschi sono abituati a provvedervi direttamente, poiché in passato gestivano tutti i lavori in
bosco. In Italia, prevalendo il sistema delle vendite dei tagli in piedi, il
proprietario del bosco, sia pubblico che privato, raramente cura queste infrastrutture: i problemi poi sono di chi gestisce i lavori, dell’acquirente del taglio o del cottimista. Il risultato è che la densità di strade camionabili nei boschi in Germania, Austria e Svizzera è mediamente di 40 – 50 m/ha (escludendo i boschi fuori gestione), mentre in
Italia è dell’ordine di 10 – 20 m/ha, con rare eccezioni: in Trentino è
di circa 30 m/ha, ma comprendendo anche le strade trattorabili. Nella
ex FD di Vallombrosa è di 37 m/ha.
Nel nostro Paese particolarmente carente è la viabilità secondaria, di piste di esbosco: mentre delle strade si sente la necessità da
almeno due secoli, le piste per trattori risultano necessarie soltanto da
30-40 anni, da quando si ha iniziato a impiegare trattori negli esboschi. Le autorità forestali hanno a lungo osteggiato queste infrastrutture – non avendo personalmente esperienza del lavoro in bosco – ma,
almeno in Toscana, da alcuni anni la normativa forestale regionale
prevede le «piste temporanee di esbosco» e ne regolamenta la realizzazione e l’uso in modo abbastanza appropriato.
3) Formazione e aggiornamento tecnico
In Europa centrale e settentrionale la formazione del personale
forestale, sia esecutivo che direttivo, è sempre stata molto accurata.
Negli ultimi 50 anni è stata ulteriormente potenziata e questo ha con-
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sentito lo sviluppo e la diffusione di provvedimenti di razionalizzazione, sia per quanto riguarda l’aspetto tecnico ed economico che quello
ergonomico dei lavori. Da noi formazione e aggiornamento tecnico
sono stati presi in considerazione soltanto in poche Regioni e da pochi
anni, soprattutto sotto la minaccia della 626 e norme affini, e sono
rivolti esclusivamente al personale esecutivo, agli operai. Questo è un
errore: il ricorso a sistemi di lavoro ed a attrezzature innovative dipende anche dalla disponibilità di operatori per le macchine, ma sopratutto dalle conoscenze, capacità e fantasia (e impegno) di chi può
prendere l’iniziativa e decidere come operare, dei dirigenti. È soprattutto a questi che si deve rivolgere l’attività di aggiornamento tecnico.
5. SUGGERIMENTI
Tenendo conto di quello che è successo all’estero, di come si
sono sviluppate la meccanizzazione, le tecniche e le modalità di
gestione dei lavori in bosco, e delle conseguenze, sia positive che
negative, di questi sviluppi, mi permetto di formulare le seguenti considerazioni e di avanzare alcuni suggerimenti.
a) La meccanizzazione è un provvedimento indispensabile sia per
contenere i costi della selvicoltura che per motivi ergonomici, ma
non è l’unico e preso da solo è inefficace e pericoloso. Va scelto il
tipo di meccanizzazione adatto alle caratteristiche dei boschi, delle
proprietà, della selvicoltura che si intende praticare e dei vincoli
economici che sono oggettivamente imposti. Nel nostro Paese le
caratteristiche di molti boschi, sia del terreno che del soprassuolo,
e di gran parte delle proprietà, sono poco favorevoli alle macchine,
soprattutto a quelle che in Europa centrale e in Scandinavia, in
soprassuoli coetanei di picea e di pino silvestre, danno risultati
apprezzabili, sia tecnicamente che economicamente. È necessario
introdurre sistemi di lavoro ed attrezzature idonee ai nostri boschi
e alla selvicoltura che vi intendiamo praticare. Questi sono noti agli
specialisti, ma sono poco conosciuti a chi gestisce effettivamente i
boschi, in particolare quelli pubblici, ed è oppresso da problemi
amministrativi e burocratici che non gli lasciano tempo per la selvicoltura e ancor meno per la tecnica, e sono pressochè sconosciuti a
chi decide la politica forestale e il bosco lo conosce soltanto astrat-
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tamente, in teoria. Perciò la cosa più importante e preliminare è
l’informazione e l’aggiornamento del personale tecnico forestale, in
particolare di quello con mansioni progettuali e direttive, per quanto riguarda i sistemi di lavoro e le tecniche di impiego delle relative
attrezzature e macchine, nonchè per gli aspetti selvicolturali, tecnici ed economici che le condizionano. Prima che alle macchine si
deve provvedere agli uomini, per questi ci vuole molto più tempo e
più impegno.
b)Per quanto riguarda la viabilità, poichè la selvicoltura concreta consiste nel lavoro in bosco, è ovvio che è necessario poter accedere al
posto di lavoro con uomini e mezzi con il minimo dispendio di
tempo e di energie, e potervi operare produttivamente contenendo
i rischi di incidenti e di danni. Questo è lo scopo principale sia delle
strade che – soprattutto nel caso di diradamenti e del trattamento a
scelta – delle piste, indispensabili per l’impiego di macchine che
operano muovendosi sul terreno del bosco. Anche 50 anni fa, quando si esboscava con animali a soma o a strascico, questi percorrevano stradelli e viottoli idonei per il loro transito. Non se ne sentiva la
mancanza perché c’erano, esistevano da secoli. Ma i vecchi stradelli
e viottoli per animali per la massima parte non sono idonei per trattori, né come tracciato, né come pendenze e ancor meno come larghezza.
La viabilità, sia principale che secondaria, è premessa indispensabile per la pratica della selvicoltura. Lo hanno affermato selvicultori
come Pavari, Leibundgut, Mayer. È necessaria comunque, sia che i
lavori di utilizzazione vengano gestiti dall’acquirente del taglio in
piedi, sia che vengano appaltati o vengano eseguiti direttamente in
economia dal proprietario. Ma soltanto quest’ultimo può provvedere razionalmente, con una visione a lunga scadenza, alla scelta del
tipo di viabilità e dei tracciati di strade e piste più opportuni, svincolato dalle immediate necessità della singola utilizzazione.
Quando il terreno diventa troppo ripido (orientativamente oltre il
50% di pendenza) o instabile ed è necessario ridurre al minimo l’apertura di strade e piste, perché rischiose per la stabilità del versante e comunque costose da realizzare e mantenere, si è costretti a
ricorrere alle gru a cavo. (In passato su queste pendenze si avvallava su lunghe distanze, in risine o più spesso in impluvi o semplicemente e perniciosamente attraverso il bosco, con conseguenti dete-
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rioramento del legname utilizzato, danni al soprassuolo – soprattutto nel caso di vendite in piedi – e rischi di erosione.) Ma per
impiegare queste teleferiche ci vuole personale che le sappia usare,
sia a livello esecutivo ma ancora prima per la scelta dei tracciati,
l’organizzazione e la direzione dei lavori. E si deve adeguare la
martellata ed entro certi limiti anche la selvicoltura alle possibilità
delle macchine.
Il potenziamento della viabilità, sia principale che secondaria, costituisce un miglioramento fondiario: è un investimento che facilita il
lavoro in futuro, indefinitamente, se i tracciati sono stati scelti
razionalmente, aperti e costruiti a regola d’arte e vengono mantenuti correttamente. I finanziamenti pubblici devono essere destinati
prioritariamente a questo scopo, oltre che alla formazione e soprattutto all’aggiornamento tecnico del personale forestale, perché la
costruzione (dove necessario) di nuove strade e piste ha un effetto
permanente, e la loro realizzazione è facilmente controllabile. Contributi per diradamenti, un tanto all’ettaro, e per l’acquisto di macchine, nella migliore delle ipotesi esauriscono il loro effetto in una
decina d’anni.
c) Per quanto riguarda le modalità o forme di gestione dei lavori è da
tener presente che le vendite del legname in piedi, con la gestione
delle utilizzazioni da parte degli acquirenti (tanto gradite alle pubbliche amministrazioni per motivi burocratici) si prestano per lo
sfruttamento del bosco, non per la selvicoltura. Possono essere
accettabili per tagli a raso, in particolare in piantagioni, non per
tagli intercalari a carattere colturale, perché chi gestisce e paga il
lavoro cura e fa curare il legno che viene utilizzato e che ha pagato,
non il bosco che non lo interessa.
I cottimi di lavorazione, per conto del proprietario del bosco, si
prestano per definizione per lavori facilmente misurabili, non per
lavori con esigenze di qualità, che può essere valutata soggettivamente, ma non misurata oggettivamente. Il fatto è che questo sistema di gestione dei lavori si presta per l’impiego di macchine, come
dimostrato da quanto succede all’estero. Accordi pluriennali lo facilitano e possono migliorare l’impegno (morale) dei cottimisti a
curare la qualità delle esecuzioni. Questi accordi permettono alle
imprese di lavoro di programmare i loro impegni e gli investimenti
in attrezzature specializzate. Comunque l’appalto resta poco adatto
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per lavori di manutenzione, difficili da preventivare a priori e da
misurare a posteriori, e per lavori urgenti: la disponibilità di imprese di lavoro difficilmente può essere immediata.
La gestione diretta dei lavori in bosco può permettere la migliore
qualità delle esecuzioni, compatibilmente con la competenza di chi
dirige ed opera, ma, al solito, non la massima economia (diretta,
immediata). Questa dipende anche dall’impegno di chi lavora, ma
sopratutto dall’efficienza delle attrezzature, normalmente più
modeste e meno specifiche di quelle di imprese specializzate, e
della organizzazione, spesso più pronta e reattiva in quest’ultime.
Purtroppo la gestione diretta, con personale dipendente a tempo
pieno, è economicamente possibile soltanto in grandi proprietà, che
permettono la sua occupazione continua. In queste potrebbe essere
opportuno appaltare a cottimo a imprese specializzate i lavori
«misurabili» e con meno esigenze di qualità, e provvedere in economia, con proprio personale e attrezzature, alle manutenzioni, ai
lavori più urgenti, a quelli più difficili o delicati.
6. CONCLUDENDO
Il quadro economico nel quale è costretto chi gestisce i boschi è
cambiato rispetto a 50 anni fà.
Quanto si ricava dalla vendita del legname utilizzato in molti casi
non è sufficiente per coprire i costi della selvicoltura. Ciò può indurre
o addirittura costringere a sospendere la sua pratica. L’omissione degli
interventi colturali può comportare rischi per l’evoluzione (o addirittura per la sopravvivenza) dei soprassuoli? In particolare di quelli di
origine artificiale, dei vecchi rimboschimenti?
Se questo timore è fondato, cosa è necessario per evitare il rischio
di degrado? Quali provvedimenti di razionalizzazione è opportuno
adottare per assicurare con continuità, anche in futuro, l’effettuazione
dei lavori selvicolturali più importanti? Come è possibile adottarli
concretamente, effettivamente?
Quali sono le forme di gestione dei lavori in bosco più opportune, più «sostenibili» da tutti i punti di vista e per tutti?
Invito in particolare chi ha esperienza diretta e concreta di
gestione dei boschi e del lavoro in bosco a esprimersi in proposito.
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SUMMARY
Silviculture today: the problems
Since the ’50s, market price of timber assortments has been increasing in
Italy. In the last fifty years, prices of round timber, firewood and lumber
increased about 12, 25 and 35 times, respectively. In the same period lumberjack
costs increased about 160 times (13 times more than round timber and 6 time
more than firewood), while the workers’ efficiency increased only 3-4 times,
thanks to machinery improvement and forest road network expansion.
Therefore, stumpage values were reduced and in many conifer stands, mainly
when thinning artificial ones where stumpage values were negative. When the
economical advantage fails, there is a very high risk that silviculture activities are
dismissed.
May silviculture cessation cause forest involution and decline, mainly in old
stand afforestation or anthropogenic forests?
The Author asks forest technicians to express ideas and suggest actions to
reduce this risk.
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Appendice
Prezzo del tondame da sega di abete (rosso in prevalenza) in Trentino all’imposto su strada
camionabile, in lire / m3
Media dei prezzi (orientativi)
riportati dalla rivista “Monti e
Boschi” nei numeri dellía nnata
anno
1950
51
52
53
54
55
56
57
58
59
1960
61
62
63
64
65
1966
Lire/m3
8.600
11.400
15.350
14.900
15.250
18.100
20.000
20.800
20.400
17.900
16.700
17.800
19.000
19.000
19.000
19.000
Media dei prezzi di
aggiudicazione
dei lotti di tronchi da sega
nella F.D.Provinciale di S.
Martino di Castrozza
anno
Lire/m3
1966
17.780
67
15.512
68
69
17.847
1970
28.322
71
26.923
72
26.527
73
48.710
74
45.940
75
45.422
76
74.405
77
82.727
78
89.298
79
131.198
1980
121.612
81
123.888
82
123.443
83
138.633
84
145.809
85
147.443
86
141.150
87
140.329
88
154.529
89
219.132
1990
199.201
Prezzi medi di aggiudicazione conseguiti nelle aste
del “Progetto legno” trentino
per i lotti di tronchi da sega
anno
1994
95
96
97
98
99
2000
2001
02
03
04
2005
Lire/m3
207.238
198.344
184.066
178.187
169.566
177.838
169.593
€/m3
pari a lire/m3
82,60
159.936
84,34
163.266
81,20
157.225
75,95
147.060
79,86
154.640
Note:
1. Dopo il 1966 su “Monti a Boschi” non vengono più riportati prezzi del legname.
2. Dopo il 1990 dalla F.D.P. di S.Martino di Castrozza il tondame da sega non viene più venduto ma viene lavorato nella segheria di Caoria.
3. Nel 2006 i prezzi del tondame da sega tendono ad aumentare.
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Prezzo della legna da ardere di quercia, ammetrata all’imposto, in Toscana, in lire/quintale.
Media dei prezzi (orientativi) pubblicati dalla Prezzi riportati da Sherwood, gennaio 2005,
rivista “Monti e Boschi” nei numeri dell’annata Tecniko e Pratiko n° 8
anno
Lire/q
anno
€/q
pari a lire/q
1950
522
1997
5,30
10.262
51
566
98
5,55
10.746
52
700
99
5,58
10.804
53
690
2000
5,62
10.882
54
600
01
5,83
11.288
55
640
02
6,41
12.411
56
695
03
7,29
14.115
57
735
2004
6,95
13.457
58
643
59
682
1960
730
61
734
62
685
63
764
64
725
65
850
1966
850
7
9
10
11
1
2
3
5
9
7
8
9
11
4
5
10
12
4
5
9
4
1
4
9
12
4
9
3
10
2
7
1950
1962
1961
1960
1956
1957
1958
1959
1955
1953
1954
22,5
23
23,5
24
25,5
28,5
29,5
30
32
34
35
37
38
38,2
42
42
43
44
45
46
46
47
47
47
47
43
43,5
46
46,5
47
47
2°
0,200
0,210
18,5
19
19
19,5
21
24,5
25,5
26
24
29,1
28,6
30
31,5
31,5
33,8
34
34,5
38
38,5
40
40
41
41
41
41
38
38
40
41
42
42
14
14,5
15
15,5
16,5
19
20
21
18
24,8
24,5
25,5
25,2
24,5
25,8
26
27
30
33
33
33
33
33
32
32
29,4
30
31,5
32,5
32,7
33
3°
0,130
0,130
11
11
11
11
11,5
13
13,5
14
17
20
19,5
21
21
20
21
21
22
24
24
26,5
26,5
27,5
27
25
23,5
22
23
24,6
27
27,5
27,5
4°
0,095
0,095
35
35
35
36
39
44
45
45
45
46
46
48
48
49
52
52
52
55
56
57
57
58
58
58
58
54
54
57,5
58
59
59
1°
0,340
27
27
27
28
30,5
31
32
32
34
37
37
39
39
40
43
43
44
46
47
47
47
48
48
48
48
44,5
44,5
47,5
48
49
49
2°
0,250
18,8
19
19
19,5
22
26
27
27
29
30
30
31
31,5
31
34
34
35
38
38,5
40
40
41
41
41
41
38
38
40
41
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42
14,5
14,5
14,5
15,5
16,5
19
20
20
24
24,25
24,25
25
25
24
24,5
24,5
26
28
30
31
31
31
31
30
30
27,5
27,5
28,5
29
29,5
29,5
3°
0,120
24
21
21
21,5
22,5
23
23
4°
0,070
-
21
21
21
21,5
23
26
27
27
29
32
32
32
33
34
34
34
36
38
40
40
40
44
45
45
45
42
42
44,5
45,5
47
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Prezzo di vendita al consumo dei segati della Magnifica Comunità di Fiemme, franco segheria, in lire/m3 x 000 come deliberato dalla Giunta amministrativa della MCF
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Negli anni 1986-87 viene modificata l’assortimentazione del tavolame, per quanto riguarda la denominazione delle categorie di qualità; non mi è chiaro se
cambiano anche i criteri di assortimentazione.
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Il costo della manodopera
1950-51: Secondo alcuni listini paga rinvenuti nell’archivio dell’Uff.
Amm.F.D. di Vallombrosa la paga oraria netta dell’operaio forestale qualificato ammontava a 130 lire.
Secondo il sig. Raffaele Rosini (F.D.Badia Prataglia) ammontava a
ca. 125 lire.
1958:
Alcuni listini paga di Vallombrosa riportano paghe orarie nette di
150 – 180 lire, secondo la qualifica.
1960:
Secondo Raffaele Rosini la paga oraria netta dell’operaio specializzato ammontava a 250 lire.
1961:
Mi ricordo che in primavera nella F.D. di Follonica la paga oraria
dell’operaio qualificato era di 187 lire; in autunno a Centa (TN)
operai dipendenti dal Servizio Foreste provinciale venivano retribuiti, all’ora, con 200 lire il qualificato, con 250 lire lo specializzato.
Da una tabella rinvenuta nell’archivio dell’Uff.Amm. F.D. di Vallombrosa, datata 1956, risultano «Contributi a carico dell’Amministrazione, da
200,65 a 247,80 lire al giorno» secondo la qualifica dell’operaio, più «contributi a carico del dipendente, da 51,85 a 64,05 lire al giorno». Questi importi
corrispondono al 20~22 % di una paga giornaliera netta di 1200-1400 lire,
pari a 150 – 175 lire all’ora.
Anche secondo Raffaele Rosini negli anni ’50 e ’60, per calcolare il costo
della manodopera, la paga andava aumentata del 20%.
Aumentando del 20% le paghe orarie nette di 125-150-80-200-250 lire
degli anni 1950-60, si ottengono costi orari lordi di circa 150-180 -216-240300 lire.
Non ho reperito dati attendibili per il periodo 1962 – 74.
Per il periodo 1975-1993 il sig. Giancarlo Gabbrielli ha rintracciato le
«Tabelle salariali» manoscritte che impiegava per il calcolo delle retribuzioni
degli operai nella F.D. di Vallombrosa. Nella seguente tabella sono riportate le
paghe orarie lorde dei lavoratori forestali assunti a tempo determinato (comprensivi di quota parte di 13a, ferie, liquidazione), operanti a oltre 1000 m
s.l.m., rilevate a metà anno, in lire, trascritte dalle suddette Tabelle salariali.
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Operaio specializzato
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2737
3095
3609
4318
5185
6258
7296
8012
9300
9696
9761
10340
11517
12059
12245
14133
Operaio qualificato
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2486
2844
3358
4067
4934
5997
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7678
8875
9264
9297
9820
10919
11452
11639
13349
Operaio comune
1295
2244
2603
3116
3826
4692
5746
6751
7343
8452
8831
8830
9283
10295
10817
11006
12383
Per calcolare il costo orario ho aumentato la paga lorda del 20% per tener
conto, approssimativamente, degli oneri a carico del datore di lavoro (assicurazioni, contributi, ecc.).
Dal 1994 i dati sono stati informatizzati, e con la rottamazione dei computer
sono andati persi.
Nella seguente tabella è riportato il costo orario a inizio anno degli operai
forestali assunti a tempo determinato dalla Magnifica Comunità di Fiemme, in
Euro. Detto costo è pari alla retribuzione oraria lorda aumentata di un importo variabile fra il 15 ed il 19,3%, secondo i periodi (anni) e le qualifiche.
anno
1995
96
97
98
99
2000
01
02
03
04
2005
Op. specializzato
7,94
9,36
10,29
10,61
10,91
11,43
11,79
12,10
12,49
13,36
13,76
Op. qualificato super
7,75
9,00
9,75
10,01
10,29
10,91
11,27
11,58
11,95
12,79
13,18
Op. qualificato
7,60
8,62
9,29
9,48
9,75
10,22
10,55
10,83
11,19
12,00
12,34
Op. comune
6,35
7,27
7,84
7,83
8,07
8,45
8,73
8,99
9,27
10,58
10,90