Presentazione - Triangolo Scaleno Teatro

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Presentazione - Triangolo Scaleno Teatro
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triangolo scaleno teatro
Via dei latini, 4
00185 Roma
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Segnalato nel Bando per progetti scenici di giovani artisti Teatro Libero di Palermo sul tema “L’essere e le differenze”
ODISSEA.09
ULISSE E POLIFEMO
Da un’idea di Enea Tomei
Drammaturgia e regia Roberta Nicolai
1. U L I SSE E L ’ UOMO OCCIDENTALE
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Un naufrago. Onde altissime lo spingono, quasi lo sbattono contro gli scogli. Per un istante riesce ad aggrapparsi allo
spuntone di una roccia, ma subito n’è strappato dalla furia del mare. Nuota sotto costa fino a quando non si trova di
fronte ad un’insenatura piana, alla foce di un fiume. Prega la divinità di permettergli di toccare terra, salvarsi dalla
tempesta.
Spossato, approda finalmente. È l’uomo più solo della terra, senza un compagno, senza vestiti, l’uomo più spoglio e
debole.
Ulisse ha toccato il punto più basso della vulnerabilità umana. Come una bestia nuda e martoriata, trova riparo in una
tana, si nasconde sotto le foglie secche per passare la notte.
Al mattino è svegliato da voci di fanciulle. Esce dal riparo e si presenta a loro.
Così entra a Scherìa dalle fertili zolle, terra dei Feaci, nel regno di Alcinoo, il regno dell’utopia: un’alta civiltà protetta da
un paese remoto e incontaminato. Qui a Scherìa tutto è opposto al desolato, periglioso, infecondo mare. Regno fastoso
e accogliente che esercita ragione, canto e poesia.
Entra in questo regno Ulisse e siede accanto al re.
E racconta.
Rivela il nome, la stirpe, la patria.
Narra la sua odissea come avesse varcato una soglia magica. E diventa Ulisse, l’aedo e il poema, il cantore e il canto, il
narrante e il narrato. Diventa l’inventore di ogni menzogna, l’espositore impudico di ogni suo terrore, delitto, rimorso.
Rimorso. Per aver provocato la distruzione di Troia e tante morti e tante sofferenze.
Racconta il suo lasciare Troia e tentare nuove imprese.
Poi il mare lo inghiotte.
Realtà e finzione cominciano a mescolarsi. Si muove il navigante tra maghe, giganti, mostri, smarrimenti, inganni, oblii,
malìe, perdite fino a quella vera solitudine, alla nudità assoluta, al rischio estremo per la vita e la ragione.
Allucinatorio è il suo racconto, l’Odissea d’espiazione, di catarsi, nata dall’orrore della guerra, dal senso di colpa per i
morti, per le distruzioni narrate nell’Iliade.
Non poteva che compierlo lui questo viaggio, lui, Ulisse, il più umano degli eroi greci, colui che aveva inventato il mostro
tecnologico, il cavallo di legno, arma estrema, sleale che aveva segnato la sconfitta di Troia e l’inizio di una nuova
epoca.
È lui il più carico di rimorsi, per essere sopravvissuto a tanti compagni, eroi più grandi e valorosi di lui, ma certamente
più incoscienti.
I rimorsi lo spingono a varcare la soglia dell’umano, a spingersi, vivo nel regno dei morti. Superate tutte le prove,
sopportate tutte le perdite, potrà tornare in patria, a Itaca e qui affrontare nemici reali, ricolmare la lunga assenza,
sanare lo squarcio della sua vita.
Ma sa, perché Tiresia glielo ha predetto, che ci sono strappi che non possono essere ricuciti, ci sono comportamenti che
conducono l’umanità a nuovi comportamenti, ci sono uomini che diventano mito.
Dovrà ripartire da Itaca, finirà in mare, errante, colmo di un desiderio che l’umanità non riuscirà più a colmare, artefice e
vittima del suo destino.
L’uomo occidentale ha fatto il suo ingresso nella storia. (Il viaggio di Odisseo).
2. N A SCITA DI U N P ROGETTO
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Il progetto nasce dall’esigenza di ragionamento su alcuni temi e su alcune domande.
Le radici del nostro essere occidentali, il rapporto con l’altro, con colui che non appartiene alla nostra cultura e che per
questo spesso assume forma misteriosa e deforme, mutazione di mostro nel corpo o nell’animo, di maga, ciclope,
sirena.
L’approdo all’Odissea o la partenza dall’Odissea è naturale. Ulisse è modello, è forma multiforme di vita umana piena di
potenzialità; è icona dell’esperienza, della scienza, della sapienza; Alcinoo ne loda la mente egregia, non tessitrice di
“storie false che uno non riesce a vedere” ma “capace di dar forma ai racconti”. Ulisse, il narrato e il narrante, finisce per
identificarsi con chi legge, ascolta, vede. Nessun mito genera in chi lo riceve tanto desiderio di identificazione.
Da Ulisse sono nati infiniti Ulisse e infinite odissee, ed una, la nostra, la stiamo narrando e vivendo proprio oggi. Ulisse
continua a viaggiare nel tempo in molte reincarnazioni. Ulisse è Nessuno, e quindi in qualche modo è tutti; il suo
racconto è il racconto di Nessuno, perché parla sempre dietro nuove maschere.
Ulisse è l’uomo della tecnica.
La tecnologia ha un automatismo di riproduzione, di velocissimo e inarrestabile sviluppo che l’uomo non riesce più a
controllare: è lei che controlla e determina. Siamo approdati alla soglia ultima dell’ambiguità della scienza che può
salvare e distruggere, salvarci e distruggerci. La tecnologia ha rivoluzionato il mondo, ci ha liberati dalla fatica e
dall’isolamento, dalle malattie. Ma quella stessa tecnologia ha creato mostri, ha avvelenato il mondo. L’elettronica ci ha
fatto varcare le colonne d’Ercole, ha contratto lo spazio e il tempo, ha reso possibile il processo di globalizzazione; ma ci
ha anche staccati dalla realtà e dalla conoscenza, ci ha risospinti nella caverna platonica, ci lascia naufragare nel mare
delle contraddizioni più allarmanti e devastanti.
Il mondo così com’è, è assurdo.
La tecnica, nella sua essenza, è qualcosa che l’uomo di per sé non è in grado di dominare. Non a caso la techne
necessaria ad Ulisse per progettare il cavallo di Troia, è qualcosa che viene dal di fuori del sapere umano, è un
suggerimento di Atena.
Ulisse usa questa tecnica, provoca la fine di Troia e si smarrisce in mare. Ribadisce subito, come una nuova
sottoscrizione a adempiere ad un compito, un ruolo, l’uso dell’astuzia al posto del valore, nel primo episodio che
racconta diffusamente: l’incontro con il Ciclope. Il cavallo di legno e il palo appuntito con cui acceca Polifemo,
appartengono alla stessa famiglia di idee. E di nuovo, sempre più colpevole, si smarrisce in mare.
Sta ancora errando. Il suo errare è il nostro errare.
3. I L V I A G G IO DI UL I SSE E L A SI CIL I A
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Nel suo viaggio di ritorno (nostos), Ulisse tocca terre e isole che gli studiosi hanno cercato sulle cartine, studiato e
variamente collocato nel Mediterraneo ed oltre. Non è nostro compito stabilire quali di queste tappe corrispondono
realmente a luoghi geografici, quali no.
Tuttavia una terra rimane tappa fissa all’interno delle più svariate interpretazioni e studi, una terra eccentrica ed estrema
attorno alla quale Ulisse viaggia, approda, rimane travolto dai flutti, passa e ripassa: la Sicilia.
Nessun greco si sarebbe diretto intenzionalmente verso la Sicilia, trattenuto dal timore della pirateria tirrenica e dalla
ferocia dei barbaroi che l’abitavano. La Sicilia doveva essere considerata terra inospitale e pericolosa da raggiungere,
una terra di confine, di frontiera, il limite del mondo civile. Per molto tempo nessun greco aveva osato spingersi con le
navi su quell’isola, rinunciando ad ogni forma di contatto. Dieci generazioni dopo la vicenda di Troia, come Ulisse,
l’ateniese Teocle fu spinto in Sicilia dai venti e ne costatò “la pochezza degli abitanti e la straordinaria qualità della terra”
denunciando la falsità di quanto si andava favoleggiando sull’isola dandone una visione diversa, proprio allo scopo di
incoraggiare la colonizzazione. Nell’immaginario greco si diffonde l’immagine di un luogo eccezionalmente fertile. Al suo
ritorno non sarebbe comunque riuscito a convincere gli Ateniesi e saranno i Calcidesi a fondare Nasso e i Dori a fondare
Megara.
La colonizzazione greca farà da modello a molte colonizzazioni successive, visione che poggia sulla “superiorità” greca
e sull’”incivilimento” e “promozione culturale” delle popolazioni indigene. Una visione idilliaca epurata dalla violenza
dell’aggressione. Una visione che non considera la mescolanza delle culture, ma mantiene uno stato di subalternità
costante delle popolazioni indigene.
Ed è in Sicilia che quasi tutti gli studiosi collocano l’incontro con il primo dei “mostri”: Polifemo.
La centralità, dell’incontro con il Ciclope è evidente per la sua qualità di episodio cerniera dell’intera vicenda. L’Odissea,
per molti artisti posteriori diventa simbolicamente rappresentata dall’episodio di Polifemo e di Scilla (due episodi
siciliani!)
Mi affascina la lettura dell’Odissea come un viaggio d’esplorazione, un giornale di viaggio. Una sorta di manuale del
perfetto navigatore, esploratore, colonizzatore. È Ulisse che scopre le vie che l’imperialismo e la colonizzazione
seguiranno di lì a poco tempo: le vie fortunate d’Occidente.
La cultura greca definiva tutti i popoli del Mediterraneo barbaroi; era un epiteto degradante, qualunque sia la radice
etimologica che si vuole privilegiare, per tutte le genti non greche d’Europa. Tra questi barbaroi, i Ciclopi. Sono mostri
anarcoidi senza assemblea e senza leggi, un’altra razza. Il colonialismo fonda sempre il suo diritto su questioni di razza
e i Ciclopi sono giganti, non esseri umani. E dal momento che la colonizzazione è voluta dagli dei e affermata dagli eroi,
poteva e doveva realizzarsi col disprezzo, con la forza e con l’inganno.
La radice della parola Ciclope (chion=vino, klopè=inganno) lo descrive come colui che si fa ingannare dal vino o come
colui che ha l’occhio rotondo (klykos opos) o anche come abitante di Scicli (supponendo che il suono c inesistente in
greco si sia addolcito in sc e in seguito la s sia caduta).
Polifemo è un abile parlatore (poly femì) o anche che conosce bene le lingue straniere, un poliglotta. È un eretico, rifiuta
la divinità di Zeus ed è il dio stesso ad annientarlo attraverso Ulisse.
Tuttavia la terra di Polifemo non è selvaggia, tutt’altro, è una terra felice e ricchissima di agricoltura spontanea. E
Polifemo è un uomo civile, parla di politica e il suo popolo vive in una sorta di democrazia spontanea. È un artigiano, un
fabbro (non dimentichiamo che Plutone, che usa l’Etna come fornace, è anche il dio della ricchezza). È un architetto,
infatti costruisce recinti e sa catapultare massi sulle navi di Ulisse. Insomma Polifemo è un indoeuropeo costruttore,
pastore, agricoltore, artigiano, politico. Non è un greco, è l’Altro.
Ulisse costruisce la sua grandezza attraverso l’annientamento dell’Altro.
4. PO L IFEMO, L ’A LTRO, I L DI VE RSO
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L’Occidente è collerico e avventuroso, sperimentale.
Lo scontro di civiltà raccontato dal primo uomo occidentale è drammaticamente speculare a ciò che viviamo
quotidianamente; e non solo sull’ampio raggio delle guerre di civiltà, ma anche sul medio e piccolo raggio della vita
individuale e collettiva. L’Altro, il diverso ci appare in ogni forma; ogni discussione, ogni questione sembra viaggiare
costantemente su questa duplicità: l’essere e l’altro, contrapposizione senza la quale l’Occidente sembra non poter
neanche aprire un ragionamento. In tale contrapposizione e nella percezione dell’Altro come l’ostacolo al
raggiungimento della totalità, si annida il germe del suo annientamento.
Dagli Assiro-babilonesi, passando per i Maya e gli Atzechi, gli Etruschi, gli Indiani d’America fino alle guerre di pulizia
etnica e il grande scontro con la civiltà Islamica è tutto un susseguirsi di annientamenti, motivati da ragioni economiche,
politiche, razziali.
Ulisse il greco, navigatore, colonizzatore, democratico, aedo e Polifemo l’indoeuropeo, pastore, agricoltore, anarchico,
aprono la contrapposizione a ragionamenti universali.
Cosa racconta il loro scontro a noi oggi?
Quali suggestioni, quali spunti di riflessione, quali tracce della nostra storia futura possiamo leggere attraverso la
rappresentazione di questo incontro?
Il teatro è il nostro errare attraverso questo mondo e dare al teatro il compito di attraversare la contrapposizione di cui
abbiamo parlato, significa sfrondarla di tutti gli inganni che si annidano nei ragionamenti, darne “visione”, farne un’azione
e riproporla agli occhi di tutti perché sia patrimonio comune.
Ci sono altri elementi. Dal suo inganno ai danni del Ciclope, Ulisse trarrà la libertà per sé e per alcuni dei compagni,
piangendone altri, ma sarà condannato a vagare messo a dura prova da un mare infuriato, a non ritrovare mai più la
strada di casa, a dover ripartire una volta tornato…. Lo scontro di civiltà indebolisce anche il distruttore, anzi determina
l’inizio di una peregrinazione senza fine.
L’annientamento dell’Altro non può che coincidere drammaticamente con il proprio. Ulisse e Polifemo finiscono di
rappresentare una duplicità, sono l’immagine allo specchio l’uno dell’altro, sono l’Occidente e il suo se stesso antico
ormai dimenticato.
L’Altro è apparente, strumentale e riveste in ogni istante maschere diverse.
L’Ulisse che siamo è naufrago e Nessuno; ma è pur sempre qualcuno e un solo uomo immortale è tutti gli uomini
…ma dov’è quell’uomo
che nei giorni e notti dell’esilio
errava per il mondo come un cane
e diceva che Nessuno era il suo nome?
Borges, L’altro, lo stesso – (Odissea, libro XXIII)
L’Essere si sdoppia, si annienta. L’Ulisse contemporaneo non riesce a riconoscersi neanche in se stesso. L’Ulisse che
erra come un cane e il re di Itaca riconciliato sono due persone distinte nello spazio, nel tempo, nel nome. Il vuoto che le
separa è immenso. Da una parte la terra d’origine, l’appartenenza, la proprietà, gli averi, lo status che ogni uomo è
quando è profondamente radicato nella sua cultura, la sua matrice greca; dall’altra l’esilio, la nudità, la perdita di affetti e
averi, il viaggio. Mondi inconciliabili che strappano l’identità e la distruggono aprendo una parabola di ipotetiche, che
distrugge i nessi razionali e conduce il racconto all’infinito.
Ulisse e il suo enigma in cui gli aggressori sono le vittime, i legatori vengono legati, gli astuti vengono ingannati e la vita
conduce inesorabilmente alla morte.
Ogni volo ormai è un “folle volo”.
Non c’è più nave e mare da rappresentare se non quelli dell’anima che naviga in se stessa; non c’è più Mediterraneo se
non il circolo vizioso come proiezione della nostra stessa mente.
“Tale la nostra effettiva condizione. Essa ci rende incapaci sia di conoscere con piena certezza come di ignorare in maniera
assoluta. Noi voghiamo in un vasto mare, sospinti da un estremo all’altro, sempre incerti e fluttuanti. Ogni termine al quale pensiamo
di ormeggiarci e di fissarci vacilla e ci lascia; e, se lo seguiamo, ci sottrae, scorre via e fugge in un’eterna fuga. Nulla si ferma per
noi. È questo lo stato che ci è naturale e che, tuttavia, è più contrario alle nostre inclinazioni. Noi bruciamo dal desiderio di trovare un
assetto stabile e un’ultima base sicura per edificarci una torre che s’innalzi all’infinito; ma ogni nostro fondamento scricchiola, e la
terra si apre sino agli abissi.”
Pascal, Pensieri
5. NOTE DI REG IA
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Un impianto scenico essenziale: una rete da pesca che diventa vela, caverna, universo e due sedie sovradimensionate
su cui si collocano, piccoli e impotenti, due uomini e due mondi.
Scelta di fondo suggerire temi di riflessione senza argomentare, delegando alla scena, alla relazione tra i ruoli e alla
musica il compito di far viaggiare lo spettatore attraverso domande, paure e fragilità del nostro vivere.
In principio Ulisse e Polifemo si ritrovano nello stesso spazio e naturale emerge la necessità che Ulisse ha di
raccontarsi, di cercare l’altro, di avere uno spettatore alla sua urgenza di narrare la sua storia e la Storia. Polifemo è
straniero per lui, non parla la sua lingua e l’approccio è ostacolato, complesso e al tempo stesso attento e delicato:
Ulisse ha bisogno dell’Altro.
L’inizio della comunicazione determina la chiarezza dei ruoli: se io sono Ulisse, tu sei Polifemo. Il velo di calma e di
ipocrisia che aveva guidato le mosse di Ulisse svela la sua brutalità contro chi accetta e subisce di essere l’Altro, il
mostro, il Ciclope.
Cadono o ricadono nell’Odissea, nella Storia. E La Storia si svolge come previsto, senza cambiamenti e senza sorprese.
La solitudine avvolge l’ultima domanda di Ulisse e la lancia nel vuoto della nostra identità, sempre cercata e
continuamente persa.
6. SCHEDA DEL LO SPETTACOLO
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Personaggi e interpreti
Ulisse
Enea Tomei
Polifemo
Michele Baronio
Costumi
Andrea Grassi
Scenotecnica Sergio Bartolini
Assistente alla regia Fiora Blasi
Organizzazione e Ufficio stampa Tamara Bartolini e Elisa Vago
Drammaturgia e regia Roberta Nicolai
Collaboratori : Luigi Acunzo, Marzia Ercolani. Simona Lobefaro.
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