C`è un`anima pasoliniana in Altri Libertini

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C`è un`anima pasoliniana in Altri Libertini
L’anima pasoliniana di Altri libertini.
di Beatrice Barachetti
Non molto si è indagato sul filo più o meno diretto che collega l’opera prima di Pier
Vittorio Tondelli, Altri libertini, al romanzo d’esordio di Pier Paolo Pasolini, Ragazzi di vita,
che, ironia della sorte, sembrano dialogare sin nel titolo. Tra i maestri dichiarati di Tondelli
Pasolini non figura, ma, in una riflessione sulla propria formazione culturale, Tondelli pare
adombrare il ruolo non secondario che lo scrittore di Bologna avrebbe rivestito per lui:
Se devo parlare dei miei anni formativi, da un lato metto tutta la letteratura americana del
Novecento, da Fitzgerald al Kerouac più introverso, per la facilità, l’immediatezza dello
stile. Dall’altro, tra gli italiani, sono stati importanti quegli autori che maggiormente hanno
lavorato sulla lingua o che hanno cercato poi di dare uno spaccato generazionale o sociale
del loro tempo e dei loro anni. Per cui ho scelto la linea che va da Gadda, che trovo ancora
difficilissimo da leggere, ad Arbasino, includendo il primo Testori o quello di In Exitu.1
L’ipotesi che ispira questo studio è la possibilità di rintracciare un’anima pasoliniana in
Altri libertini, sia in termini di sensibilità, sia in termini di strategie espressive. Non si vuole
indugiare sulle incommensurabili differenze tra uno scrittore ideologicamente ben orientato,
benché in maniera contraddittoria, e uno che sembra invece erede della fine delle grandi
contrapposizioni politiche. Si tenta piuttosto di esaminare quali aspetti narrativi, linguistici e
stilistici diano ragione di un comune approccio alla scrittura.
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P.V. TONDELLI, Il mestiere di scrittore, in Opere. Cronache, saggi, conversazioni, Bompiani, Milano 2005, p.
1010.
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Seminario Tondelli, Undicesima edizione, Correggio, Palazzo dei Principi, 17 dicembre 2011.
Intervento di Beatrice Barachetti : C’é un anima pasoliniana in Altri Libertini?
Sin nell’impianto strutturale Altri libertini e Ragazzi di vita presentano una certa
frantumazione narrativa, dovuta in un caso alla natura della raccolta di racconti, nell’altro a
una successione degli eventi più per accumulo che per svolgimento logico. In entrambi i casi i
personaggi che si susseguono sembrano molte volte potersi sostituire gli uni agli altri, essendo
accomunati da un medesimo retroterra culturale e umano.
L’antropologia dei ‘libertini’ tondelliani, in particolare, sembra proprio figlia delle
previsioni del Pasolini corsaro, quello della denuncia della modernità come tempo
dell’oscuramento delle differenze culturali e linguistiche, ma conserva comunque una forma
di resistenza all’uniformazione che ricorda quella dei ‘ragazzi di vita’. I personaggi
pasoliniani sono animati, in particolare, da un’autenticità di natura, intrinseca, che rischia
costantemente di essere corrotta in primis dal mondo adulto, autore di un peccato colpevole
perché consapevole, e in secundis da trasformazioni sociali di portata epocale riconducibili
alla diffusione di modelli culturali e linguistici del ceto medio, che tendono a fagocitare le
differenze. Le vite di questi giovani sembrano così minacciate dalla seduzione
dell’immaginario consumistico, che propone beni e mode come subdoli strumenti di ascesa
sociale. Si ricordino in proposito i «calzoni a tubbo», le «magliette gajarde», le «scarpette a
punta bianche e nere» e gli «occhiali da sole»2, da cui sono attratti il Riccetto o il Caciotta.
Nel personaggio principale, che si fa sempre più incantare dal fascino dello stile di vita
borghese e dai suoi status symbol, è delineata la parabola di corruzione e omologazione
vissuta dal sottoproletariato romano. In questo scenario quello che più ci interessa
dell’operazione pasoliniana è il tentativo di dare voce alla lotta che, in maniera insconscia, i
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P.P. PASOLINI, Ragazzi di vita, Garzanti, Milano 2009, p. 74.
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Seminario Tondelli, Undicesima edizione, Correggio, Palazzo dei Principi, 17 dicembre 2011.
Intervento di Beatrice Barachetti : C’é un anima pasoliniana in Altri Libertini?
personaggi mettono in atto per resistere all’uniformazione. Ragazzi di vita ci mostra così una
ribellione epico-picaresca vissuta nel segno della spontaneità e della semplicità dei sentimenti,
dove l’osceno, cioè l’irreligiosità dell’individuo alienato, è scandalo solo per i benpensanti3.
Curiosa è la consonanza di comportamento dei giovani di Altri libertini, che scatenano le
proprie energie creative per contrastare l’ordine degli adulti (e forse anche per ostracizzare il
proprio ingresso in quell’ordine), così autoreferenziale e convenzionale. Non diversamente
dai ‘ragazzi di vita’, la loro protesta è rivolta anche alla società nel suo complesso, nella quale
non si riconoscono e che propina loro una strategia di identificazione generazionale basata
sulle apparenze e, ancora una volta, sui consumi. L’euforia dell’unione corale, ottenuta per
mezzo della preferenza per certi gusti musicali, certe letture e certe mode, funziona fino a
quando i ‘libertini’ non si rendono conto che questi fattori esterni non colmano il loro vuoto
interiore. Di qui l’inquietudine e la ricerca. Mentre i ‘ragazzi di vita’ lottano per conservare la
propria natura, i ‘libertini’ lottano per trovarla, mettendo in campo però, similmente ai loro
predecessori, una disperata vitalità che si copre di scandalo solo per chi, mediocre e
benpensante, non vuole capire.
Con questo non si vuole certo dimenticare che il tempo intercorso tra la stesura delle due
opere ha permesso che intanto la società cambiasse e che le vite dei giovani degli anni
Settanta, quali sono i ragazzi di Tondelli, si profilino sociologicamente molto diverse da
quelle pasoliniane. La cultura del moderno, che il romanziere bolognese paventava, è
diventata ormai pervasiva, si è imposta nell’immaginario collettivo e ha investito anche i
3
M. PRAMPOLINI, Lingua volgare e volgarità della lingua secondo Pier Paolo Pasolini, nel volume miscellaneo
Lezioni su Pasolini, a cura di T. De Mauro e F. Ferri, Sestante, Ripatransone 1997, pp. 187-202, alle pp. 188189.
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giovani. I ‘libertini’ sono ormai immersi nei suoi modelli, che vanno dal cinema alla
televisione, alla musica rock. Quindi, mentre la lotta dei ‘ragazzi di vita’ si configurava come
uno scontro tra due alterità irriducibili, cultura sottoproletaria e cultura capitalistica, quella di
Altri libertini è una battaglia per la personalizzazione di standard culturali con cui i
protagonisti ormai convivono.
Notevole è che in entrambe le opere le forme di opposizione costruite dai protagonisti
siano imperniate sui mezzi più semplici, ma insieme più rivoluzionari, di cui l’uomo dispone:
il corpo, unitamente alla capacità di relazionarsi con lo spazio circostante, e la lingua. Nel
mettere in gioco se stessi con la propria fisicità e con la propria sensualità, c’è qualcosa di
archetipico e di profondamente elementare, che risponde alla logica di un tentativo di
spendere la propria vita in maniera autentica e intensa, a dispetto delle costruzioni sociali che
le convenzioni impongono. Si tratta, insomma, di un restare arcaici, per i ‘ragazzi di vita’, e di
un diventare genuini, per i ‘libertini’.
La soddisfazione immediata dei bisogni del corpo si coniuga con lo sfogo degli istinti, che
possono essere densi di sensibilità, come il salvataggio della rondine da parte del Riccetto o i
disperati abbracci di certi amanti libertini, ma anche spregiudicati e autodistruttivi, come
l’attività di ‘marchettari’ di Alduccio e di Begalone o l’abuso di droghe dei personaggi
tondelliani. Il leitmotiv di ogni situazione sembra comunque essere un’estrema disponibilità
all’esperienza, ora per scopi utilitaristici, ora per incoscienza, che si eleva a disperato
sacrificio di sé e a dono che chiede come compenso solo pienezza interiore e sicurezza nei
rapporti sociali.
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La libertà d’azione dei personaggi sia di Ragazzi di vita che di Altri libertini è anche libertà
di movimento, declinato ora in una Roma tentacolare, ora lungo un’euforica Via Emilia. Alla
sua origine si situa la speranza del superamento del disagio, che viene però frustrata da
immancabili delusioni, che dinamizzano il moto dei protagonisti nei binomi di guadagnoperdita in Ragazzi di vita4 e di fuga-ritorno in Altri libertini. Con il loro vagare picaresco,
‘ragazzi di vita’ e ‘libertini’ esprimono il bisogno di vivere lo spazio con la propria autenticità
e quindi di caricarlo del proprio vissuto irriverente, allo scopo di porre fine ad un’esistenza
liminare, di cui il resto della società non vuole accorgersi. Come i luoghi della Roma ufficiale,
dal Parco di Villa Borghese al Tempio di Vesta, vengono ora ludicamente, ora disperatamente
rivisitati dai comportamenti illeciti dei ‘ragazzi di vita’, così l’efficiente e ordinata Emilia
Romagna viene attraversata euforicamente dai libertini tondelliani. Contemporaneamente a
questa anti-normalizzazione della spazialità, che ambisce ad una trasposizione esterna di un
malessere interiore, ‘ragazzi di vita’ e ‘libertini’ esprimono un tentativo di appropriazione
anche, o forse soprattutto, di luoghi marginali, che possono essere le perifierie degradate e
pericolose di Roma o i ritrovi della controcultura giovanile della provincia anni Settanta. In
entrambi i casi sembra lecito ravvisare l’aspirazione di tutti questi personaggi outsider, ad una
sorta di onnicomprensività dello spazio per esorcizzare la propria esclusione sociale. Di
Tondelli, in particolare, Giulio Iacoli sostiene: «la piccola città, i luoghi della provincia
vengono vissuti ironicamente o tragicamente, contraltari agli stati d’animo dei personaggi:
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F. MUZZIOLI, Come leggere “Ragazzi di vita” di Pier Paolo Pasolini, Mursia, Milano 1989, p. 33.
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viverli significativamente, sentirli propri può far accedere a una coscienza della propria natura
di insiders»5.
Nonostante nel periodo della stesura di Ragazzi di vita Pasolini si avvicini al Marxismo
mediato da Gramsci, egli in realtà forgia una società giovanile che non ha nessuna coscienza
ideologica e che si trova persa di fronte al mondo. Questa stessa mancanza di orientamenti
non è estranea neanche ai ‘libertini’, la cui coscienza apartitica sembra figlia di una perdita di
fiducia nelle appartenenze politiche. Non è un caso, dunque, che, a fronte di questo
smarrimento collettivo, emarginati romani ed emiliani si mettano alla ricerca di un significato
nella realtà mediante un confuso quanto irrequieto vagare, fatto di una pluralità di esperienze
e di spazi impregnati della propria condizione esistenziale.
Personaggi pasoliniani e tondelliani non sprigionano però la propria diversità solo
attraverso i propri comportamenti, ma anche attraverso lo scarto della propria lingua. Mi
riferisco naturalmente all’uso del dialetto tinteggiato di elementi gergali e volgari nei dialoghi
pasoliniani e all’uso di una sorta di slang giovanile messo in bocca sia ai personaggi che ai
narratori, onniscienti o interni, di Altri libertini. Si tratta in tutte e due le opere di una forma di
affermazione della propria diversità e di una resistenza all’omologazione e a una lingua
avvertita come impersonale.
L’italiano burocratico e unilinguista sembra valere tanto in Pasolini, quanto in Tondelli,
come emblema di una conquista sociale sconosciuta a ‘ragazzi di vita’ e ai ‘libertini’ e di
un’umanità paga di se stessa, autoreferenziale e prevalentemente abitata dagli adulti. Si veda
5
G. IACOLI, Atlante delle derive. Geografie di un’Emilia postmoderna: Gianni Celati e Pier Vittorio Tondelli,
Diabasis, Reggio Emilia 2002, p. 103.
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in proposito il potere totemico della lingua della proprietaria del bordello in cui si imbattono
Alduccio e Begalone:
«Questi cretini», fece la signora, che ogni tanto parlava in italiano, perché, siccome era
possidente, si considerava al rango delle persone elevate. «Che, volevate fà marchetta senza
caccià na lira? Robba da matti!»
«A signò», fece conciliante Begalone, «se semo sbajati.»
«sbajati un c…» fece lei, che quando la toccavano nei suoi interessi, parlava alla
trasteverina proprio, con tutto ch’era di Frosinone.6
Così, vite ‘resistenziali’ non possono che servirsi di strumenti espressivi, che, in quanto
elitari e fruibili solo dal ristretto gruppo sociale da cui sono conosciuti, assurgono al ruolo di
difesa socio-linguistica degli emarginati7. Questo linguaggio della differenza, se da un lato si
configura come mimetico (gli stessi Pasolini e Tondelli ammettono di aver fatto proprio molto
materiale linguistico trovato nel pulsare delle strade o dei mezzi pubblici), dall’altro è
anch’esso travestito del vissuto personale dei protagonisti, fino a diventare oggetto di vere e
proprie manipolazioni da parte dei personaggi e dei narratori di Altri libertini. In questo caso
la pervasività del carico esistenziale dei ‘libertini’ si abbina al gusto postmoderno della
rivisitazione linguistica: di qui la risemantizzazione, oltre che di elementi culturali high brow
e low brow, anche delle geografie familiari, ad accentuare ulteriormente l’opera di
personalizzazione dello spazio (come Reggio Emilia, ribattezzata «Rèz»8 dalle Splash, o il
fiume Po: «flumen Po tutto luccicante nella notte che sembra la stagnola di un presepio»9). In
Pasolini i casi di appropriazione linguistica degli elementi del paesaggio o della cultura
6
PASOLINI, Ragazzi di vita, p. 218.
G.C. FERRETTI, La contrastata rivolta di Pasolini, in Letteratura e ideologia. Bassani Cassola Pasolini, Editori
Riuniti, Roma 1964, pp. 163-356, a p. 226.
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TONDELLI, Altri libertini, p. 25.
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Ibi, p. 135.
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capitalistica sono ancora rari (si vedano ad esempio il nome della fabbrica Ferro Beton
trasformato in «Ferrobedò»10, o in Una vita violenta del ping pong che diventa «pinge
ponge»11) e non sembrano ancora indicativi di una cosciente operazione di dissacrazione.
Tuttavia, si comincia a registrare in Ragazzi di vita e poi in Una vita violenta, un insieme di
riferimenti ai beni di consumo della civiltà industriale, che vengono talvolta citati col
rispettivo brand, inserendosi in un codice comunicativo in grado di evocare un immaginario
di progresso e benessere: «Così si mise a aspirare beatamente quei due centimetri di
nazionale»12, «Alfa»13, «una fila di vespe, lambrette, motom, guzzetti, gilera e santi
benedetti»14, «conchiglia della Shell che brillava grande come la luna»15, «La Permolio
sfarfallava ancora la sua fiamma»16. Questo richiamo, che si fa quantitativamente più
massiccio in Altri libertini (si vedano le varie marche come «Cimurri»17, «Akai 110»18,
«Fini»19), a testimonianza di un clima culturale e massmediatico mutato, interviene a
descrivere una società capitalistica dominata dal consumismo e poi dal brand, una società,
cioè, che, come si è detto, si pone quale alternativa conflittuale rispetto ai ‘ragazzi di vita’ e
quale habitat impersonale per i ‘libertini’, i quali hanno solo la libertà di investirlo della
propria umanità.
10
PASOLINI, Ragazzi di vita, p. 15.
PASOLINI, Una vita violenta, p. 209.
12
PASOLINI, Ragazzi di vita, p. 71.
13
Ibi, p. 82.
14
PASOLINI, Una vita violenta, p. 76.
15
PASOLINI, Una vita violenta, p. 64.
16
Ibi, p. 66.
17
Ibi, p. 26.
18
PASOLINI, Ragazzi di vita, p. 43.
19
Ibi, p. 46.
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Mentre in Ragazzi di vita le strategie espressive si distinguono tra dialogato e diegesi, in
Altri libertini narratori e personaggi parlano la stessa lingua, cosa che sembra soddisfare la
nuova condizione di un autore che si ritrova ad avere pressoché la stessa età dei propri
personaggi e che vive una condizione esistenziale ad essi non estranea. Tuttavia, nonostante
questo tipo di vicinanza oggettiva che contraddistingue Tondelli, entrambi gli autori
esplicitano
nelle
proprie
scelte
linguistiche
il
dramma
dell’inappartenenza,
cioè
dell’irriducibilità di sé alla materia trattata. Pasolini, infatti, consapevole della propria irrisolta
identità borghese, ancorché insieme marxista, ama i propri ‘ragazzi di vita’ ma sa di rimanere
a loro sempre estraneo. Tondelli, dal canto suo, se non è socialmente e culturalmente diverso
rispetto ai propri giovani, ha una tale consapevolezza della specificità del vissuto individuale
da non ammettere identificazioni totali di sé con esperienze corali.
Pasolini e Tondelli colmano la distanza più o meno marcata dai propri personaggi
mediante una lingua che tenta di adeguarsi a loro: «Perché questa selezione linguistica
mimetizzante?», chiede Pasolini a proposito del dialetto romanesco impiegato nei dialoghi:
«Per poter dare, come scrive Contini, “un’imperterrita dichiarazione d’amore”»20. Mi sembra
proprio questo il nocciolo della scrittura, oltre che di Pasolini, anche di Tondelli: una tensione
continua a rappresentare qualcosa a cui non si appartiene, ma che si ama infinitamente e di cui
si vogliono denunciare i drammi.
Nello scrittore di Bologna la ricerca di adesione alla propria materia si manifesta nelle parti
narrative in maniera diversa rispetto alle parti dialogate: in esse emerge infatti un Italiano
parlato denso di espressioni sintattiche oralizzanti e di elementi fonomorfologici e lessicali
20
P.P. PASOLINI, Il metodo di lavoro, nel suo Ragazzi di vita, Einaudi, Torino 1972, pp. 251-257, a p. 253.
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romaneschi o gergali, che richiamano il dialetto malavitoso usato dai personaggi stessi.
Tuttavia la figura dell’intellettuale non si confonde con i borgatari, ma mantiene un ruolo
ordinatore, visibile soprattutto nelle didascalie di tono medio, o addirittura ricercato, che
introducono o commentano i dialoghi dialettali e le situazioni volgari, generando effetti di
dissonanza:
Mentre il Riccetto pagava, il napoletano compì coscienziosamente alcune operazioni
complicate: sternutò, si soffiò il naso tra le dita, pisciò, poi se ne andarono insieme sotto la
pensilina a aspettare il tram che doveva riportare dentro Roma il napoletano. «In do abbiti?»
chiese il Riccetto aspettando. Il napoletano allora sfoderò un sorriso arguto e diabolico, ma
tacque. […] «Tu sei n’amico», cominciò con solennità.21
Elementi del lessico aulico e del lessico volgare si trovano nella stessa frase in modo tale
da spiccare, da risaltare gli uni rispetto agli altri. Il dettaglio divergente risulta così
sapientemente collocato, creando contrasti riconoscibili e isolabili, in cui è rintracciabile la
mano di un autore colto, ancora portato a separare cultura alta e bassa. In Altri libertini
analoghe operazioni di isolamento ora del bercio, ora del colto, si trovano sostituite da una
mescolanza indifferenziata, il cui impiego però, rintracciabile parimenti nel dialogato e nella
diegesi, genera, sì, effetti diversi ripetto a Ragazzi di vita, ma assolve comunque, tra le altre
cose, allo stesso desiderio da parte dell’autore di aderire all’esistenza dei propri personaggi e
di sentirne, prima ancora che di rappresentarne, inquietudini e aspirazioni.
Questi accorgimenti linguistici generano una consustanzialità di emozioni tra personaggi,
autori, e anche lettori. È interessante in proposito il commento di Francesco Muzzioli al
21
PASOLINI, Ragazzi di vita, p. 46.
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linguaggio pasoliniano, che pare non aver trovato grandissimo seguito nella critica, ma che
sembra invece ben dipingere l’essenza di un modo di scrivere non estraneo neanche a
Tondelli, a cui, più che il bozzetto sociologico e politico, interessa l’approfondimento
esistenziale ed emozionale attraverso il linguaggio: «Turpiloquio e squisitezze liriche
ricoprono […] la stessa funzione; una funzione emotiva, di sorpresa, di chok, di suggestione»,
dove «gli elementi di “deviazione dalla norma” collegano la vibrazione passionale dell’autore
con la vibrazione del lettore, stabilendo quindi un rapporto di co-movimento»22. Questa
intuizione sembra darci la misura di un Pasolini non solo combattivo sul fronte socio-politico,
ma anche impegnato in una riflessione più squisitamente letteraria e stilistica, che sembra il
punto di maggior contatto con Tondelli. In entrambi gli scrittori, infatti, frasi accomunate
dall’eterogeneità del lessico, talvolta manipolato, e dall’andamento sintattico veloce,
oralizzante e sospinto dalla musicalità, sorprendono e disegnano un movimento della scrittura
dove autore e lettore insieme rincorrono le emozioni di personaggi immediatamente presenti e
vivi.
Sotto il profilo retorico è soprattutto il discorso indiretto libero a garantire l’automatico
risalto dei protagonisti e quindi un’adesione esistenziale alle loro vite. Con questo
procedimento il filtro dell’auctoritas del narratore sembra dissolversi nella presa diretta della
rappresentazione, accentuata ancor più da un sistema di metafore e similitudini che, sia in
Pasolini sia in Tondelli, usano come tertium comparationis l’immaginario dei rispettivi
personaggi. Non importa che il bacino cui attingere sia in Pasolini prevalentemente legato alla
cultura popolare (si registrano, in particolare, figure retoriche del campo semantico della vita
22
MUZZIOLI, Come leggere “Ragazzi di vita”, p. 52.
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Seminario Tondelli, Undicesima edizione, Correggio, Palazzo dei Principi, 17 dicembre 2011.
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domestica, degli animali, della morte e della malattia), mentre in Tondelli sia legato tanto alla
cultura alta che a quella di consumo (si vedano i rimandi, oltre che alla sfera triviale e
sessuale, presenti anche in Pasolini, anche alla cultura musicale e cinematografica: «il
Gaucho, piccante alla follia come un bacio di Cary Grant»23; «pare di stare a Broadway o nel
Sunset Boulevard»24): quello che più ci interessa è che in entrambi i casi questa rete di
richiami enfatizzi la natura ‘esclusiva’ del codice comunicativo dei protagonisti, che impatta
con il lettore, scuotendolo, e che si fa veicolare da una mediazione autoriale distinguibile solo
in controluce.
Questa analisi non vuole certo concludere che Pier Paolo Pasolini possa essere stato fonte
in senso storicista di Pier Vittorio Tondelli. Le riflessioni addotte non vanno infatti a sostegno
di questa ipotesi, che, per quanto affascinante, necessita di un’indagine testuale ben più
puntuale. Il focus di questo studio è piuttosto precisare la natura dell’ispirazione tondelliana,
cui lo scrittore, come visto, accenna esplicitamente. Un’ispirazione, dunque, che si nutre di un
sentire discorde da Pasolini per un’evidente lontananza contestuale, ideologica e
generazionale, ma comune per la stessa predilezione per la società marginale; un’ispirazione
dominata dall’urgenza di vite smarrite e insidiate, che cercano se stesse in comportamenti e
uso della lingua di tipo resistenziale; un’ispirazione, infine, che propone il medesimo rapporto
di amore ed estraneità degli autori ai propri personaggi, fluttuando tra adesione mimetica al
loro linguaggio e principio di autorialità.
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TONDELLI, Altri libertini, p. 41.
Ibi, p. 49.
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