Edipo e Storia - Formazione in Psicologia

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Edipo e Storia - Formazione in Psicologia
Edipo e Storia - Scuola Romana di Psicologia Clinica - Imago
di Rossella Salvatori
Giovedì 18 Febbraio 2010 12:50 - Ultimo aggiornamento Mercoledì 24 Febbraio 2010 11:52
Freud ritrovò nel mito di Edipo la tragedia di ogni essere umano la cui primaria scelta oggettuale
è sempre incestuosa, ove gli impulsi libidici di amore e di aggressività si sviluppano all’interno di
un conflitto sessualmente specificato che, per sua natura, richiede i divieti più severi per
evitarne l’attuazione. La mitologia costituisce la migliore testimonianza dei costumi dei tempi
primitivi, dall’analisi dei miti si apprende come i desideri incestuosi rappresentano un’eredità
umana primitiva, e quindi un’aspirazione incestuosa nell’infanzia di un singolo individuo si
accorda perfettamente con gli insegnamenti della storia e della mitologia.
In una certa fase dell’esistenza ogni bambino è un piccolo Edipo che si trova ad affrontare le
vicende di quel re immortalato da Sofocle, i cui due delitti fondamentali, l’incesto e il parricidio,
corrispondono ai due desideri primordiali del bambino, la cui insufficiente rimozione o il cui
ridestarsi formano il nucleo di tutte le psiconevrosi: “come Edipo, viviamo inconsapevoli dei
desideri, offensivi per la morale, che ci sono stati imposti dalla natura e dopo la loro rivelazione
noi tutti vorremmo distogliere lo sguardo dalle scene della nostra infanzia” (Freud, 1940-1950,
244-245).
L’Edipo, definito da Freud come complesso nucleare delle nevrosi, assume le vesti di un
fondamentale paradigma di valore antropologico universale, quale punto di arrivo di uno
sviluppo anteriore frammentario che trova qui un momento di strutturazione, dove viene definita
l’identità del soggetto con l’articolazione del desiderio umano su oggetti totali.
Quindi, in questa processualità osserviamo come l’Edipo occupi una posizione strategica
strutturale tra una fase preedipica antecedente, in cui si snoda il complesso intreccio delle
vicissitudini libidiche ed aggressive, ed una fase più propriamente legata alla valutazione del
destino ulteriore di questo conflitto sessualmente specificato il cui superamento richiede il
necessario svincolo dell’amore dalla figura parentale di sesso opposto e l’identificazione con la
figura dello stesso sesso.
Ogni percezione entra immediatamente in connessioni emotive, ogni esperienza partecipa nel
determinare la forma speciale del Complesso di Edipo, apice della sessualità infantile, ove
singole esperienze traumatiche possono conferire un tono pregenitale mediante le fissazioni, e
implicare pertanto nell’individuo successive regressioni a stati antecedenti di organizzazione
dell’esperienza psichica.
Il Complesso di Edipo esprime una problematica relazionale fondamentale della dimensione
sociale, conflittuale e strutturante, storica, in quanto sopraggiunge in un periodo precoce dello
sviluppo, specificando l’evoluzione affettivo-sessuale all’interno di una struttura triangolare tra il
bambino, il suo oggetto naturale e il portatore della legge.
In qualità di nodo originario di tutte le relazioni umane, il Complesso edipico ha un ruolo
fondante nella strutturazione della personalità, in quanto roccia basilare della realtà e della
verità delle differenze, e nell’orientamento del desiderio umano, in quanto assolve a specifiche
funzioni, vale a dire la scelta dell’oggetto d’amore definitivo, l’accesso alla genitalità, la
costituzione del Super-Io e dell’Ideale dell’Io. Superare le tendenze edipiche rappresenta una
condizione preliminare per l’accesso alla sessualità adulta normale, mentre l’aggrapparvisi
inconsciamente pone la pietra angolare della nevrosi.
Il Complesso edipico si è rivelato sempre più distintamente come il nucleo centrale della
nevrosi. Esso rappresenta l’apice della vita sessuale infantile e al tempo stesso il punto di
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snodo da cui si dipartono tutti i successivi sviluppi (Freud, 1924, 123).
E’ importante precisare la natura sessuale del conflitto nevrotico, ossia la nevrosi si colloca a
livello di una problematica sessuale relativa ai mutamenti dell’evoluzione libidica di fronte alla
triangolazione edipica, per cui l’elemento fondamentale della sessualità nevrotica è il suo
carattere genitale, relativo ad una posizione relazionale nel conflitto edipico. Il conflitto sessuale
della nevrosi si colloca dunque a livello genitale dell’Edipo anche se le tendenze difensive
portano a prendere vie di regressioni pregenitali. In qualità di conflitto sessualmente specificato,
la costellazione edipica annuncia il primato della zona genitale, il superamento
dell’autoerotismo primitivo, l’orientamento verso oggetti esterni ma, poiché l’uomo è frutto della
sua stessa storia, è la “quantità” dei conflitti risolti e non durante l’infanzia il peso che deciderà
sulla modalità di conquista della genitalità. Sebbene il nevrotico organizzi la propria nevrosi
intorno alle componenti falliche del suo sviluppo, al Complesso edipico e alla paura di
castrazione, il materiale con cui ci confrontiamo in analisi non riguarda solo la genitalità. Proprio
dietro il linguaggio edipico si riscontrano le tematiche che evidenziano sovrapposizione e non
discriminazione di zone erogene, di oggetti, spesso con quei connotati di atemporalità e
aspazialità caratteristici del processo primario. Come conclusione della sessualità infantile, si
raggiunge la concentrazione genitale di ogni istinto sessuale, in base a spostamenti delle
cariche psichiche che aumentano l’erogeneità genitale, ma lo sviluppo di determinate situazioni
può dar luogo a forze contrarie allo spostamento della libido, cosicché le fissazioni pregenitali
nei nevrotici ostacolano la progressiva concentrazione dell’eccitamento sul genitale. Nello
sviluppo psicosessuale, la fase fallica implica l’esistenza di una relativa unificazione delle
pulsioni parziali sotto il primato della genitalità, seppur ancora non si realizza una
genitalizzazione della libido.
Nelle fasi più antiche le pulsioni parziali perseguono il piacere una indipendentemente dall’altra,
nella fase fallica appaiono invece i primi indizi di un’organizzazione che subordina le altre
tendenze al primato dei genitali e che ha il significato di un primo coordinamento della tendenza
generale al piacere nella funzione sessuale (Freud, 1938, 582).
Il bambino in questa fase non acquista ancora coscienza di una piena differenziazione
sessuale, ma è solo la realtà anatomica dell’organo maschile che consente di effettuare una
supposta distinzione, in base al concetto di assenza-presenza nel maschio e nella femmina del
pene, percepito non come organo genitale bensì come mezzo di potenza e completezza. Il
pene viene investito narcisisticamente dal bambino, in qualità di simbolo di valorizzazione e
potenza, con tendenze esibizionistiche per l’eccessivo superinvestimento, al punto che “il
bambino si è identificato con il suo pene” (Bergeret, 1972, 24). Nel periodo fallico i fattori
narcisistici hanno un peso maggiore di quelli sessuali, cosicché il possesso del pene diventa
l’obiettivo più importante da perseguire nell’ottica del bambino, obiettivo che condenserà
molteplici angosce e conflitti nella vita psichica del fanciullo stesso. Un ruolo importante
rivestono nello scatenare stati di angoscia di castrazione nel bambino i fantasmi incestuosi che
accompagnano la masturbazione infantile, in quanto attivano paure di ritorsione e punizione da
parte del padre. La fase fallica instaura un primato del fallo, non un primato genitale, ed il
conflitto che scaturisce deriva esattamente dallo sviluppo di una angoscia di castrazione con
relative ferite di ordine narcisistico. Si tratta di una reazione affettiva che segue la constatazione
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dell’assenza del pene nella bambina, e ciò comporta nel bambino il timore di perderlo, nella
bambina il desiderio di acquisirlo. Tale angoscia origina da una falsa rappresentazione della
realtà, con fantasmi di mutilazione del pene, a cui nessun bambino può sottrarsi perché
maturante, e di fronte alla quale egli deve imparare a difendersi, e non a capitolare. Dinanzi
questa intensa crisi densa di angoscia, che genera reazioni di rifiuto nel bambino, le reazioni di
lotta e gli atteggiamenti saranno diversi nel maschio e nella femmina, e comunque
convergeranno in un diniego della differenziazione che per il bambino consisterà nella
negazione del sesso femminile per la negazione della castrazione, per la bambina sempre nella
negazione della castrazione con la rivendicazione del fallo attraverso la rivendicazione della
crescita della clitoride. Inizialmente il bambino attuerà una negazione della differenza,
dopodiché seguiranno vissuti di rassicurazione attraverso un desiderio di rimedio magico, ossia
che il pene crescerà anche alle bambine. L’angoscia però non verrà meno in quanto la carenza
femminile la attribuisce ad una mutilazione subita come sanzione immaginaria, inflitta dai
genitori per punire desideri e piaceri proibiti. L’intensità dell’angoscia di castrazione corrisponde
alla intensa valutazione del fallo, ed è tale valutazione che farà decidere il bambino di rinunciare
ai suoi investimenti oggettuali edipici al fine di salvaguardare l’integrità genitale, in quanto la
paura narcisistica per il pene supera il desiderio di relazione con l’oggetto. La figura materna,
tuttavia, sembra non essere stata caduta sotto i colpi della castrazione e conserva per molto
tempo il primato di una madre con il pene, onnipotente, frutto di una idealizzazione. Per la
bambina il percorso è diverso, e dopo la constatazione della propria mancanza reale del pene,
vivrà una vera e profonda ferita narcisistica, una intensa delusione con un sentimento di
inferiorità, ma proprio tale reazione le consentirà di entrare nell’Edipo, per cui si tratta di vissuti
di origine maturante. La bambina all’inizio sviluppa un desiderio di rivendicazione fallica,
pensando che un tempo ella l’aveva il pene e poi lo ha perduto, e ciò alimenta l’idea di
riconquistarlo. Presto si vede obbligata ad accettare questa assenza, e la ferita narcisistica la
spingerà ad attribuire tale mancanza alla madre, la quale verrà svalorizzata, affetta dalla stessa
assenza del pene. Origina così un cambiamento di interesse che sarà rivolto al proprio padre,
ed è in particolare questo cambiamento d’oggetto che si qualifica come di importanza capitale
nella evoluzione psicosessuale della donna, dal momento che le consentirà di entrare
nell’Edipo. Quindi l’angoscia di castrazione si insedia nel destino biologico della differenza dei
sessi, e la paura che riguarda l’integrità corporea dell’apparato genitale esiste anche nella
donna ed è decuplicata nei confronti della prole. Una differenza di azione nei tempi storici
emerge dalla forza motrice dell’angoscia di evirazione che, mentre nei maschi è responsabile
dell’abbandono dei desideri edipici, nella femmina stimola l’entrata nella triangolazione edipica
con il padre assunto in qualità d’oggetto d’amore per il superamento del dispiacere della
mancanza del pene. L’antitesi fra i sessi, nel momento in cui lo sviluppo sessuale infantile
raggiunge il suo apice, non è data dal contrasto maschile femminile, bensì da quello tra il
possedere un pene e l’essere evirati, e difatti il complesso di evirazione ha un ruolo determinate
per la formazione del carattere e della nevrosi. Il Complesso edipico si caratterizza come
fenomeno centrale del periodo sessuale della piccola infanzia, e sono le delusioni amorose che
implicano la rimozione dei desideri edipici, o meglio “il complesso edipico crollerebbe dunque
per effetto del suo insuccesso, in quanto intrinsecamente impossibile” (Freud, 1924a, 28).
Inoltre, benché il Complesso edipico sia vissuto individualmente, esso è un fenomeno
predisposto dalla ereditarietà, e in base ad un programma preordinato deve scomparire in
quanto subentra la fase successiva dello sviluppo. L’incredulità del bambino è costretta a
capitolare dinanzi l’osservazione del genitale femminile, ed è allora che egli può rappresentare
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anche per se stesso la perdita del pene, e la minaccia di castrazione ottiene l’effetto voluto.
L’accettazione della possibilità dell’evirazione, la persuasione che la donna sia evirata, posero
poi termine a entrambe le possibilità di soddisfacimento del complesso edipico...Se il
soddisfacimento dell’amore sul terreno del complesso edipico deve costare la perdita del pene,
inevitabile è il conflitto tra l’interesse narcisistico per questa parte del corpo e l’investimento
libidico degli oggetti parentali. In questo conflitto la vittoria arride normalmente alla prima delle
due forze, e l’Io del bambino si distoglie dal complesso edipico” (Ibidem, 30).
Quindi gli investimenti oggettuali vengono abbandonati in virtù della identificazione, e la
formazione del Super-Io, attraverso l’introiezione dei divieti parentali, perpetuerà il divieto
dell’incesto garantendo così l’Io contro il ritorno di investimenti oggettuali libidici. Il Super-Io
rappresenta l’erede del Complesso edipico, l’erede di questo legame emotivo così importante
per l’infanzia, esso svolge funzioni centrate intorno ad esigenze morali, svolge funzioni critiche,
opera una censura in gran parte inconscia generando sentimenti di colpa, e, in quanto erede
dei genitori, è fonte anche di amore e protezione. Il rapporto dell’Io con il Super-Io ricalca quello
del bambino con i propri genitori, per cui la stima di sè non dipende più dall’approvazione degli
oggetti esterni, ma dal sentimento interiore relativo all’accordo tra l’istanza egoica e
superegoica. Dal momento in cui si attenua progressivamente la fede nell’onnipotenza
parentale, il Super-Io ne prende il posto in quanto sistema autonomo e base della coscienza
morale, la formazione superegoica “segna l’incontro al di là del padre con la Legge” (Green,
1973, 141). Con il venir meno del Complesso edipico, il bambino ha dovuto rinunciare agli
investimenti oggettuali intensi che aveva concentrato sui genitori, e come risarcimento di questa
perdita vengono rafforzate le identificazioni con i genitori, già presenti da molto tempo nel suo
Io. Il processo psichico della identificazione rappresenta la prima espressione, la forma più
originaria di un legame emotivo con l’oggetto, e svolge una sua funzione nella preistoria del
Complesso edipico. Il bambino nelle prime fasi di vita presenta due legami psicologicamente
diversi, assume il padre come modello e tende a identificarsi con lui, e al contempo manifesta
un investimento oggettuale nettamente sessuale verso la madre. Due legami che convivono
senza generare conflitti nel bambino, fin quando, in virtù di una progressiva e incessante
unificazione della vita psichica, essi “finiscono per incontrarsi e da tale loro confluire scaturisce
il normale complesso edipico” (Freud, 1921, 293). Il padre, vissuto ora come rivale, rappresenta
un ostacolo da eliminare, per cui l’identificazione del bambino con esso assume toni di ostilità e
finisce con il coincidere con “il desiderio di sostituirsi al padre anche presso la madre” (Ibid.,
293). Il processo dell’identificazione, quindi, si connota di una certa ambivalenza, perché può
tendere all’espressione della tenerezza quanto al desiderio di allontanamento, e ciò riflette una
modalità più arcaica relativa alla fase orale, dove l’oggetto amato e desiderato viene incorporato
con il cibo, e perciò distrutto in quanto tale. E’ quindi con il rafforzamento dei desideri sessuali
riferiti alla madre e per la constatazione che il padre costituisce un impedimento alla loro
realizzazione, che si genera il Complesso edipico. Il Complesso edipico tramonta in forza della
minaccia di castrazione, che tuttavia per la bambina assume diverse connotazioni, in quanto
essa accetta l’evirazione come fatto compiuto, diversamente dal bambino che la teme come
una possibilità futura. La bambina rinuncia all’idea di possedere un pene non senza un
atteggiamento di rivalsa, scivolando lungo le “tracce di un’equazione simbolica dal pene al
bambino: il Complesso edipico culmina nel desiderio, coltivato da tempo, di ricevere dal padre
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un bambino in regalo, di generargli un figlio” (1924a, 32-33). Ne “Alcune conseguenze psichiche
della differenza anatomica tra i sessi” (1925), Freud fa derivare la diversità dello sviluppo
psicosessuale nell’uomo e nella donna dalla considerazione della differente costituzione
anatomica dei sessi. Il conflitto sessualmente specificato nella triangolazione edipica mette in
luce come il bambino rivolga i suoi desideri sessuali al medesimo oggetto d’amore che già
precedentemente aveva investito con la sua libido non ancora genitale, desideri che ora però
vedono ostacolato il loro soddisfacimento dalla minaccia di evirazione da parte del padre, che il
bambino vive come punizione a causa delle sue stesse fantasie incestuose. Quando il bambino
scopre per la prima volta la regione genitale della bambina non esperisce immediatamente
l’angoscia di castrazione, ma solo più tardi, quando tale minaccia incomberà con tutto il suo
peso, si svilupperà una tempesta affettiva, e così “egli è indotto a credere nella verità di quella
minaccia finora derisa” (Freud, 1925, 211). La scoperta della possibilità di evirazione,
dimostrata dalla vista dei genitali femminili, impone la destrutturazione del Complesso edipico,
comporta la formazione del Super-Io, e di tutti i processi che mirano all’inserimento
dell’individuo nella comunità civile. Quindi “proprio l’interesse narcisistico per i genitali l’interesse per la conservazione del pene - si volge a limitare la sessualità infantile” (Freud,
1931, 67). Il complesso di evirazione sorge nel bambino dopo che egli ha appreso che
il membro da lui tanto stimato non necessariamente accompagna ogni corpo. Rammenta allora
le minacce che si è attirato occupandosi del proprio membro, incomincia a prestarvi fede, e da
quel momento cade sotto l’influsso dell’angoscia di evirazione, che diviene la più potente molla
del suo successivo sviluppo” (Freud, 1932, 231).
Per il bambino la madre è stato il suo primo oggetto d’amore, e lo rimane anche quando le
tendenze amorose del bambino si rafforzano e si approfondisce la sua conoscenza della
relazione tra padre e madre, ove la figura paterna assume le vesti del rivale. Invece lo sviluppo
della sessualità femminile è reso più complesso in quanto “alla fine dello sviluppo l’uomo-padre
deve essere divenuto per la femmina il nuovo oggetto d’amore, vale a dire che alla
trasformazione della bimba deve corrispondere un mutamento nel sesso dell’oggetto” (Freud,
1931, 66). La minaccia di evirazione nella bambina presenta dinamiche diverse, in quanto ella
riconosce come un fatto la propria evirazione e con ciò la superiorità del maschio, ma oppone
resistenza a questa realtà sgradita rivolgendo la sua libido al padre. Quindi nella donna il
Complesso edipico è il risultato finale di una più lunga evoluzione, “in effetti il contenuto
principale che porta alla femminilità è modellato dal trapasso dei legami affettivi dall’oggetto
materno a quello paterno (Ibid., 68). In tale passaggio è importante la delusione che la bimba
rivolge con rabbia la propria madre, ossia il principale motivo per il distacco consiste nel
“rimprovero che essa non ha dotato la bambina di un vero genitale, vale a dire l’ha fatta nascere
donna (Ibid. 71). Quindi nella situazione edipica il padre diventa per la bambina l’oggetto
amoroso, e a partire dall’oggetto paterno si snoderà la via verso la scelta oggettuale definitiva.
Per la bambina la situazione edipica si caratterizza per la necessità di effettuare un passaggio
in più, e proprio dalla constatazione dell’assenza del pene si originano conseguenze psichiche
le cui radici affondano nell’invidia del pene e nella relativa ferita narcisistica. Dall’osservazione
della differenza anatomica con l’altro sesso, per la bambina il suo giudizio e la sua decisione
sono istantanei: “essa l’ha visto, sa di non averlo, e vuole averlo” (Freud, 1925, 211). Proprio in
virtù di tale scoperta dell’insufficienza dei propri genitali, la bambina considera responsabile
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della mancanza del pene la propria madre che non le ha fornito il necessario equipaggiamento,
ed è allora che la libido scivola lungo l’equazione simbolica pene=bambino, per cui ella rinuncia
al desiderio di avere un pene per mettere al suo posto il desiderio di un bambino assumendo il
padre come oggetto amoroso. La rinuncia al pene non viene sopportata senza un
atteggiamento di rivalsa, per cui il Complesso edipico culmina nel desiderio di ricevere dal
padre un bambino in regalo. Una volta compiuto l’attaccamento al padre, la bambina entra nella
situazione del Complesso edipico, l’amore per il padre si combina a gelosia, all’odio, alla rivalità
e al senso di colpa verso la madre, ed in questo passaggio è proprio la disillusione per la
mancanza del pene, di cui la madre è resa responsabile, che forma il motivo principale per
l’investimento libidico verso la figura paterna. Il movimento libidico è diretto verso il padre con
atteggiamenti di seduzione, e al contempo la bambina vive un odio geloso intriso di senso di
colpa verso la madre. Quindi
nella bambina l’attaccamento alla madre preedipica dovrà compiere il cambiamento di oggetto,
cioè non soltanto l’elezione del padre al rango di oggetto edipico, m anche il rovesciamento nel
suo contrario dell’oggetto dell’attaccamento preedipico in oggetto rivale edipico (Green, 1990,
120).
Persistono allora tracce dell’attaccamento preedipico alla madre in modo più intenso e
complesso rispetto al bambino, e ciò concorre a specificare la maggiore ambivalenza delle
donne verso le proprie madri. In questa dinamica psichica maturante, è di notevole importanza
l’azione del processo psichico della identificazione al fine di fronteggiare la perdita del primario
oggetto d’amore sostituendolo dal di dentro: “l’identificazione con la madre può ora rimpiazzare
l’attaccamento alla madre” (Freud, 1938, 620). Quindi la bambina, forte anche delle precedenti
identificazioni preedipiche, si pone al posto della madre con il desiderio di sostituirsi a lei presso
il padre, e ciò implica l’acquisizione di atteggiamenti e inclinazioni psicologiche fondamentali per
la formazione della identità femminile. La triangolazione, pertanto, per la femmina si presenta
con una maggiore complessità, e il punto cardine ed significativo è quello per cui mentre il
Complesso edipico del bambino crolla a causa del complesso di evirazione, il Complesso
edipico della bambina è reso possibile e introdotto dal complesso di evirazione.
Nella bambina il complesso edipico è una formazione secondaria: gli effetti del complesso di
evirazione lo precedono e lo preparano (Freud, 1925, 215).
Anche il complesso di evirazione nella bambina è messo in moto dalla vista dell’altro genitale,
ella nota subito la differenza, si sente quindi danneggiata, aspira ad averlo e cade quindi in
balia dell’invidia del pene, che lascerà tracce incancellabili nel suo sviluppo e nella formazione
del suo carattere.
La scoperta della propria evirazione è un punto di svolta nello sviluppo della bambina. Da essa
si dipartono tre indirizzi evolutivi: uno porta alla inibizione sessuale o alla nevrosi; il secondo a
un cambiamento del carattere nel senso di un complesso di mascolinità; l’ultimo infine alla
femminilità normale (Freud, 1932, 232).
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Se difatti la piccola donna persevera nel desiderio di diventare un maschio, potrà sviluppare
una omosessualità manifesta in quanto, identificandosi con la figura paterna, sceglierà gli stessi
oggetti d’amore amati dal padre, oppure sceglierà professioni tipicamente maschili, o non
perdonerà mai la madre di averla generata con quella mancanza. Il complesso di castrazione
può essere considerato parte del Complesso edipico, ovvero la specificità della castrazione è
chiaramente legata alla fase fallica e collegata direttamente alla sorte del pene, come la
specificità dell’Edipo è legata alla triangolazione che fa subire alla sessualità infantile una
mutazione in cui questa conserva i suoi attributi precedenti, ma rimodellati per la
differenziazione delle immagini genitoriali. Tali legami di specificità vanno considerati
attentamente, e come ricorda Freud “il significato del complesso di evirazione può essere
valutato correttamente soltanto se si tien conto anche del fatto che esso si costituisce nella fase
del primato fallico” (Freud, 1923, 566). Infatti gli effetti della percezione dell’assenza del pene
nella bambina non danno luogo ad alcuna inquietudine e non provocano alcuna reazione degna
di nota prima che sopravvenga la fase fallica. La percezione da sola non può essere
responsabile del complesso di evirazione, ma deve unirsi con la rappresentazione dell’assenza
del pene come segno di una castrazione compiuta dal padre. Con l’esperienza del reale che
conferma il fantasma si è di fronte a un evento che unisce la percezione e l’affetto,
diversamente senza il fantasma della castrazione la percezione degli organi genitali femminili
non confermerebbe altro che una differenza di conformazione. La lunga dipendenza del piccolo
essere umano dall’uomo favorisce in modo inevitabile l’attaccamento del bambino ai suoi
oggetti primari, attaccamento necessariamente sessualizzato fin dal primo fiorire della
sessualità infantile, e proprio al momento del Complesso edipico la minaccia di castrazione
diventa effettiva psichicamente sanzionando i fantasmi incestuosi e parricidi, inibendo ogni
tentativo di trasgressione e spingendo alla rimozione e poi alla rinuncia alla realizzazione dei
desideri edipici. Quindi, il superamento del Complesso edipico porta
alla rinuncia del desiderio incestuoso e parricida, all’identificazione con il rivale dello stesso
sesso e in fin dei conti all’accettazione di differire le soddisfazioni cercate all’età adulta dopo
acconsentimento alle esigenze del Super-Io e spostamento su oggetti sostitutivi, il cui carattere
sostitutivo sfugge alla coscienza per il fatto della rimozione (Green, 1990, 29).
Anche il declino del Complesso edipico evidenzia la specificità maschile e femminile: il bambino
sotto la minaccia dell’angoscia di castrazione rinuncia ai desideri sessuali verso la madre e ai
desideri ostili verso il padre, mentre nella bambina la rinuncia è più graduale e proviene dalla
“paura di perdere l’amore e per la disillusione, la vergogna ed anche la paura di una lesione
fisica” (Fenichel, 1945, 126). Risulta di cruciale importanza che il bambino provi l’assicurazione
della inutilità dei suoi sforzi in quanto ciò gli consentirà di superare l’angoscia di castrazione, determinante nell’abbandono dell’oggetto incestuoso - e di rinunciare al tentativo di seduzione
erotica della madre e alla competizione con il padre. Poi gli permetterà di rivolgere la libido
verso ulteriori oggetti sostituivi di conquista, considerando che la risoluzione del Complesso
edipico si accompagna ad una liberazione di energia libidica che sarà generalmente investita
nell’acquisizione di un assetto intellettuale, e resterà pronta per essere più tardi reinvestita su
nuovi oggetti. E’ altresì importante che il bambino abbandoni ogni atteggiamento tenero di
seduzione nei riguardi della figura paterna, altrimenti non si tratterà un processo strutturante e
maturante - insito nella forma negativa degli investimenti edipici - bensì di una fissazione che
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contribuirà ad atteggiamenti omosessuali passivi inconsci, indice di una mancata risoluzione del
Complesso edipico. Con il tramonto del Complesso edipico la mascolinità e la femminilità nei
rispettivi sessi dovrebbe essere favorita, seppur, come Freud rammenta, ad una analisi più
approfondita si scopre “un Complesso edipico “più completo”, il quale è di natura duplice,
positiva e negativa, e ciò per effetto della bisessualità originaria del bambino” (Freud, 1922,
495). Quindi, accanto a sentimenti di ostilità e rivalità, il bambino sviluppa verso il padre anche
una impostazione di femminea tenerezza. La prima fioritura della vita sessuale infantile è
destinata a estinguersi perché i desideri che essa alimenta sono incompatibili sia con la realtà
sia con l’inadeguato stadio di sviluppo che il bambino ha raggiunto. Dalla perdita dell’amore dei
genitori e dallo scacco subìto risulta per il bambino un’offesa permanente del sentimento di sè,
nella forma di una ferita narcisistica che contribuisce allo sviluppo del sentimento d’inferiorità,
così comune tra i nevrotici. Le delusioni a cui il bambino va progressivamente incontro altro non
dimostrano che l’infedeltà dell’amata o dell’amato. I nevrotici nella traslazione tendono a rivivere
e rivisitare questi antichi dolorosi stati affettivi, in preda al tentativo inconscio di ottenere oggi
quel soddisfacimento che un tempo è stato negato dalle figure significative della propria
infanzia. L’antico desiderio si rianima nel transfert, indotto nel quadro di analisi in cui la
piccolezza e l’impotenza infantile, insieme alla inaccessibilità dell’oggetto desiderato, l’analista,
vengono ripetute, in un “eterno ritorno dell’identico” (Civita, 2003, 63), ed è “l’amore di transfert
a mostrare in maniera più diretta le strutture edipiche rimosse o sepolte” (Person, Hagelin,
Fonagy, 1993, 128). Alla base opera il meccanismo difensivo inconscio della coazione a
ripetere, che, per il suo carattere autolesivo e per la sua indipendenza dal principio del piacere,
costringe l’individuo a ripetere, anziché ricordare, antichi schemi di relazione, antichi dolori e
perdite. Come ricorda Freud “si tratta naturalmente dell’attività di pulsioni che dovrebbero
condurre al soddisfacimento; eppure l’esperienza che anche in passato hanno procurato solo
dispiacere anziché soddisfacimento non è servita a nulla” (Freud, 1920, 207). Per dirla con le
parole di McDougall (1982), ogni individuo è coinvolto in un dramma di vita che si dispiega, la
cui trama si rivela misteriosamente ripetitiva di una sceneggiatura scritta nei primi anni di vita, e
quindi ogni teatro segreto del Sé è impegnato a recitare ripetutamente ruoli del passato con
l’impiego di tecniche messe a punto durante l’infanzia, e riproducendo le medesime tragedie e
commedie. Soluzioni infantili dimenticate, un tempo costruite per far fronte ai conflitti, si
traducono nel presente teatro dell’individuo con la formazioni di sintomi, di scenari psichici che
prendono tutti origine dal bisogno del nostro Io infantile di proteggersi dalla sofferenza psichica.
Le pulsioni sessuali, in virtù di ragioni legate alla civiltà, sono sottoposte al meccanismo della
rimozione con intensità massima, e per forza contraria è proprio nel loro caso che spesso la
rimozione fallisce nei suoi propositi: evidente allora che i sintomi nevrotici rappresentano il
soddisfacimento sostitutivo della sessualità rimossa.
Tutte le esperienze del primo periodo infantile sono di grande importanza per l’individuo, e,
unitamente alla costituzione sessuale che egli ha ereditato, instaurano le disposizioni per lo
sviluppo successivo del carattere e della malattia (Freud, 1925a, 227).
Le pulsioni sessuali presentano un percorso evolutivo complesso, e solo al termine di esso si
instaura il primato dei genitali. Durante il cammino la libido può fissarsi in alcune organizzazioni
pregenitali, e alle quali fa ritorno in virtù del processo di regressione, per cui le fissazioni infantili
della libido si rivelano determinanti per la futura scelta circa la forma morbosa. Quindi le nevrosi
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di Rossella Salvatori
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possono definirsi come inibizioni evolutive della libido, e sono i rapporti quantitativi a decidere
se l’esito del conflitto sarà l’inibizione nevrotica funzionale. Pertanto lo scenario fantasmatico
edipico rappresenta un terreno fertile ove antiche angosce, minacce di annientamento, paure
arcaiche, possono riemergere con tutta la loro forza e trovare fondamento in questo spazio a tre
dimensioni della vita psichica, ove dominano l’angoscia dell’esclusione dalla coppia, la minaccia
di evirazione, il senso di colpa, in un momento maturativo preciso in cui il messaggio della
differenza dei sessi e delle generazioni, organizzate dai fantasmi originari, determina la
compiutezza dell’individuo. Un messaggio che pone il bambino di fronte la realtà che la madre
ha una vagina che il pene del bambino non sarebbe in grado di colmare, e che il padre
possiede delle prerogative che nel bambino sono assenti, per cui la roccia della realtà non
riguarda solo la differenziazione sessuale, ma anche quella generazionale. Come afferma
Chasseguet-Smirgel:
Se la vista degli organi sessuali femminili è così “traumatizzante” è perché essa mette il piccolo
maschio a confronto con la sua insufficienza, perché essa lo obbliga a riconoscere il suo scacco
edipico (Chasseguet-Smirgel, 1975, 5).
Alla base della sessualità infantile ci sono le fantasie primarie, un patrimonio filogenetico di
fantasmi inconsci, su cui si muovono soggetto, desiderio e oggetto, e che costituiscono una
congiunzione tra il reale e il simbolico del corpo, tra l’atto selvaggio del coito e l’esistenza di una
triade madre-bambino-padre, tra il sintomo e la fantasia . L’osservazione del coito dei genitori è
descritta da Freud come scena primaria, per cui la scena del rapporto sessuale, osservata o
supposta in base a taluni indizi, viene elaborata fantasticamente dal bambino e intesa come un
atto di violenza del padre in un rapporto sado-masochista, e ciò provoca un eccitamento
sessuale nel bambino stesso e fornisce al contempo un supporto all’angoscia di evirazione.
Che il rapporto sessuale degli adulti appaia inquietante ai bambini che lo notano e desti in loro
angoscia è, vorrei dire, un fatto di esperienza quotidiana...Si tratta di un eccitamento sessuale,
che essi non dominano con la comprensione, anche perché va incontro a un rifiuto dal
momento che vi sono coinvolti i genitori, e perciò si tramuta in angoscia (Freud, 1899a, 533).
Si tratta di un’esperienza traumatica e penosa per il bambino, e le formazioni fantastiche sono
intese proprio a falsare il quadro dell’attività sessuale infantile, ovvero a colmare “le lacune della
verità individuale con la verità preistorica” (Freud, 1915-1917, 526); saranno allora circostanze
esterne e fattori individuali a determinare di che cosa il bambino si renda veramente conto, cosa
suppone e come assimila nella precedente esperienza psichica quanto ha visto e supposto.
Evidente che il punto nodale è quello di valutare quanto le angosce vissute possono essere poi
elaborate dal sistema psichico e consentire lo sviluppo di una sessualità non nevrotica
nell’individuo, oppure alimentare fratture nella conquista della maturità sessuale fertilizzando e
riattivando conflitti antecedenti. Nella lettera del 6 dicembre 1896 indirizzata a Fliess, Freud
afferma che la psiche si organizza con un processo di stratificazione, per cui il materiale
psichico già esistente viene sottoposto ad un procedimento di riordinamento in base alle nuove
esperienze, in una specie di trascrizione, per cui il tessuto di un discorso la cui trama racconta il
Complesso edipico e l’angoscia di castrazione, apparirà lavorato con fili che disegnano vissuti
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di mancanza molto arcaici e percepiti come mutilanti. Qualora diverse truppe fossero rimaste a
presidiare terreni evolutivi preedipici, in virtù di antichi nuclei conflittuali che richiedono per loro
stessa natura un oneroso investimento libidico per evitare la de-rimozione, allora le cruciali
dinamiche edipiche, ove la verità dei limiti delle differenze coincide con la realtà, possono
generare uno stato quantitativamente così intenso di angoscia da valicare le normali funzioni di
controllo dell’Io, e da generare pertanto un movimento regressivo a stadi antecedenti.
Quando sopravviene un trauma, o il conflitto assume una forma troppo acuta, la regressione
forza la libido a ritornare a fissazioni precedenti per trovare delle soddisfazioni sostitutive a
quelle vietate dal conflitto (Green, 1990, 26).
Dire che la nevrosi si colloca a livello di una problematica sessuale non è quindi relativo ad un
aneddoto della sessualità infantile, ma ai mutamenti dell’evoluzione libidica di fronte alla
triangolazione edipica. L’elemento fondamentale della sessualità nevrotica è il suo carattere
genitale, cioè relativo ad una posizione relazionale nel conflitto edipico, ed il conflitto tra il
Super-Io e le pulsioni sessuali non è che la trama più evidente su cui si costruisce la nevrosi; la
rimozione, che ne è la prima conseguenza, spesso superata dagli avvenimenti, lascia il posto al
sintomo che rappresenta una formazione di compromesso tra la pulsione e la difesa. Queste
costruzioni-sintomi sono l’unico riflesso visibile degli scenari fondamentali che compongono il
repertorio del teatro psichico di ognuno, e malgrado la sofferenza cui danno origine, sono molto
investite e lottano sempre per la loro conservazione contro ogni tentativo di disvelamento.
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