09-2009 Kenya

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09-2009 Kenya
Nr.2- Settembre 2009
Newsletter di aggiornamento sui progetti
di Amici dei Bambini in Kenya
“Karibuni” è una parola della lingua ufficiale del Kenia, il kiswahili, che significa “benvenuti” e
che viene ripetuta all’infinito ai turisti e agli stranieri che arrivano nel Paese. La Newsletter è stata
pensata per tenere aggiornati tutti i sostenitori dei progetti di Amici dei Bambini in Kenia. Si tratta di un
nuovo servizio che abbiamo denominato SOL (Sostegno On Line). L’idea è quella di trasmettere via e-mail
le notizie relative all’andamento del progetto “Occhi di Speranza” e non solo: cercheremo di fornire ai
nostri lettori informazioni sulla cultura e le tradizioni di questo paese africano.
Se l’idea vi interessa basta che comunichiate il vostro e-mail all’indirizzo di posta elettronica del nostro
ufficio di Mezzano: [email protected] affinché possiate ricevere direttamente i prossimi numeri del notiziario.
La newsletter è comunque disponibile anche sul sito Internet di Amici dei Bambini, all’indirizzo
www.aibi.it nelle pagine dedicate ai nostri progetti in Kenia.
La Tribu’ Masai
I Masai o Masaai sono un popolo originario delle terre del Nilo che vive sugli altipiani intorno
al confine tra Kenya e Tanzania. Un tempo quelle terre appartenevano ai celebri pastori della
savana: nel corso del XIX secolo i guerrieri Masai avevano conquistato i migliori pascoli della
regione sottomettendo le altre tribù. Il declino della loro egemonia cominciò nel 1890, con la
diffusione della peste bovina e di una terribile epidemia di vaiolo che uccise migliaia di persone.
Negli stessi anni, una serie di siccità portò alla morte di gran parte del bestiame e forse di un
terzo della popolazione. A tutto questo si aggiunse la fame di terre dei coloni inglesi: le zone
più fertili abitate dai Masai furono dichiarate "terre senza proprietario" e sequestrate. Con gli
anni la maggior parte dei territori tribali sono stati gradualmente trasformati in aziende agricole
e allevamenti di bestiame, in aree gestite dal governo e in parchi naturali come il Masai Mara e
il Serengeti. Nonostante la loro libertà di movimento si sia drasticamente ridotta,i Masai non
hanno mai abbandonato lo stile di vita semi-nomade e l’allevamento come principale fonte di
sostentamento. Per i Masai la terra è sacra al punto che non può essere profanata per coltivare
o per scavare pozzi. E neppure per seppellire i defunti: i pastori preferiscono abbandonare i
corpi dei morti in pasto agli animali della savana. La terra appartiene esclusivamente al dio
Enkai. Per esigenze pratiche può essere divisa, ma nessun individuo può diventarne
padrone. Nonostante la crescente occidentalizzazione delle società sia del Kenya che della
Tanzania, i Masai sono riusciti a mantenersi relativamente al di fuori di queste trasformazioni e
conservare gran parte delle loro abitudini tradizionali,anche se sono stati progressivamente
costretti a praticare anche l’agricoltura o a cercare lavoro nelle città.
Il cammino della vita dei Masai è legato alla generazione a cui si appartiene, che ha delle regole
proprie di comportamenti ed usi molto complesse. Verso i 14 anni di età, i maschi diventano
degli el-moran (guerrieri) e, dopo la cerimonia di circoncisione, costruiscono un piccolo
accampamento per sé e il bestiame (manyatta), dove vivono da soli per un periodo che può
arrivare fino a otto anni; dopo di che ritornano al villaggio per prendere moglie. I moran sono
soliti tingersi i capelli con una mistura di ocra e grasso. Le donne hanno un loro rito di
passaggio, la mutilazione genitale. La maggioranza dei clan prevede l’esportazione del clitoride
(clitoridectomia), altri richiedono anche l’escissione delle grandi labbra della vagina. Queste
pratiche sono sotto accusa. Vietate dalla legge, sono rifiutate da molte ragazze che desiderano
invece un tipo incruento di iniziazione. In molte zone, le donne obbligano le figlie alla
circoncisione poiché sarebbe impensabile sposare una figlia ad un “buon partito” senza questa
cerimonia. In ogni caso, anche i giovani Masai stanno cambiando le loro aspettative e spesso
sono loro a spingere per un cambiamento di questo rituale.
I Masai hanno una struttura patriarcale, e gli anziani hanno potere decisivo quasi assoluto per
quanto riguarda gli affari comunitari.
I Masai sono monoteisti e credono in Enkai, Dio che si rivela con colori diversi a seconda
dell’umore. Dio è nero (narok) quando bonario, rosso (nanyokie) quando irritato. La vera natura
di Dio è difficile da capire, ma si sa che Dio è soprattutto parnumin, il Dio di tanti colori, e cioè
una realtà complessa. Dio ama gli esseri umani e li aiuta in caso di bisogno. In questo, Dio è
aiutato da una serie di esseri spirituali, alcuni dei quali sono da lui mandati a seguire le vicende
umane. La persona incaricata dal sacro è l’Oloibon. Questi conosce i rituali ed è in grado di
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funzionare da medium verso Dio, ma anche di portare il messaggio di Dio alla gente. Spesso
anche le donne hanno un ruolo sacrale.
Kwetu si prepara ad accogliere i polli!
Le attività per il pollaio di Kwetu Home of Peace continuano attivamente. In questi giorni Suor
Angela e il suo staff stanno sistemando, pulendo e disinfettando il pollaio che sarà così pronto
per accogliere le galline, che dovrebbero arrivare entro venerdì 4 settembre. In questi giorni si
sta acquistando anche tutto l’equipaggiamento necessario, compresi i farmaci veterinari. Una
volta arrivati, i polli verranno tenuti due settimane in uno spazio fornito di luce e calore
adeguato per far ambientare gli animali e permettergli di raccogliere le energie necessarie per
poi spostarsi nello spazio più grande a loro dedicato. Successivamente, saranno nutriti per sei
mesi con uno specifico mangime chiamato “The Growers Feed”, che gli permetterà di crescere
sani prima che inizino a fare le uova.
Vi ricordiamo che la realizzazione del pollaio è resa possibile grazie al vostro sostegno a
distanza e che l’obiettivo del progetto è quello di dare ad ogni bambino la possibilità di
prendersi cura di un animale affidando loro piccole responsabilità all’interno del pollaio come
dare da mangiare alle galline, raccogliere le uova, etc.
Giornata dello sport di Kwetu: Giochiamo insieme alla Costruzione della Pace e
della Riconciliazione!
Venerdì 7 Agosto 2009 Kwetu Home of
Peace ha ospitato otto istituti per la
giornata dello sport dedicata alla
Costruzione della Pace e della
Riconciliazione, rilevante soprattutto
dopo i disordini delle elezioni generali
di Dicembre 2007. L’evento ha visto la
partecipazione di piu’ di 300 bambini,
ed e’ stato il momento in cui giovani e
adulti hanno preso parte insieme ad
intrattenimenti e alle diverse attivita’
sportive svoltesi nel corso della
giornata. Dal “Calcio Pazzo”, in cui le
squadre di insegnanti e di bambini si sono affrontate, a corse ad ostacoli, partite di calcio tra
ragazze e ragazzi, fino allo spettacolo teatrale sviluppato sul tema principale dell’evento:la
Costruzione della Pace e della Riconciliazione. Tutti i partecipanti si sono divertiti molto, e
ciascuno ha ricevuto un premio alla fine. Tutti i bambini di Kwetu hanno partecipato alla
giornata, c’e’ stato chi ha preso parte ai giochi veri e propri, chi era incaricato di mantenere la
sicurezza, chi faceva il tifo. I ragazzi di Kwetu sono anche arrivati secondi nel calcio e hanno
ricevuto il trofeo e il certificato dell’evento!
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Due voci dal Kenya: Renata e Simona e la loro esperienza con i piccoli ospiti di
Kwetu, Upendo e Brydges Centre!
Renata: Da tempo avevo il desiderio di tornare in Africa per fare un'esperienza di
volontariato. Sette anni fa avevo vissuto il Kenya facendo un safari con l'amica di sempre, una
vacanza premio per inaugurare la nostra vita lavorativa, così quando Simona mi ha proposto di
tornare proprio in Kenya per stare negli istituti con i bambini non ho esitato, sicura che avrei
vissuto la realtà più vera e genuina di questo paese. Così il 3 agosto siamo partite alla volta di
Nairobi, destinate da principio a due istituti diversi, per poi trascorrere insieme l'ultima parte
della nostra vita africana.
Il primo istituto dove vado è Kwetu. Elena, la nostra ancora di salvezza in Nairobi, ci mostra
la strada il primo giorno, per lasciarci poi indipendenti il giorno successivo. I matatu saranno i
nostri mezzi di trasporto per tutta la durata del viaggio... I matatu! È stato emozionante salirci
per la prima volta: piccoli pulmini 14 posti che dominano il traffico di Nairobi. Il tutto è
organizzato come un servizio pubblico, che di fatto non è. Gli autisti urlano in continuazione le
direzioni e quasi ti obbligano a salire se percepiscono un attimo di indecisione! Si deve fare
molta attenzione o si rischia di prendere quello sbagliato!!
Il caos di Nairobi ci fa presto immergere nel cuore pulsante dell'Africa: la gente cammina
confusamente e occupa ogni centimetro di marciapiede, io cerco di fare lo stesso, ma mi
sembra di essere in un videogioco! Ogni passo rischio di scontrarmi con qualcuno e necessito
della massima concentrazione per riuscire a schivare le persone! Non so come fanno a
camminare così in fretta senza scontrarsi! Sul ciglio della strada la gente e sulle carreggiate
centinaia di veicoli con un perenne traffico intasato! È normale vedere la polizia che regola il
traffico con manganello e mitra.
Ma il Kenya non è solo questo. Un occhio sensibile può vedere anche i ciechi chiedere
l'elemosina ai semafori, con il loro barattolo di monete, che agitano a ritmo di musica, per
essere ascoltati dal traffico cittadino. Poi ci sono i venditori di banane, di mango, di anacardi,
che pazientemente aspettano che qualcuno compri e, nell'attesa, camminano lungo la strada.
Kwetu, il mio primo istituto, ospita i bambini di strada. La struttura ospita circa 60 bambini ed
è coordinata da 2 suore di una congregazione keniota. I bambini vengono tolti dalla strada ed i
primi 6 mesi vivono in un piccolo dormitorio con un educatore, che fa imparare loro le regole
del centro. Allo scadere dei sei mesi, i bambini sono spostati nel "grande dormitorio" in cui
restano per un anno e mezzo. Il nobile obiettivo che porta avanti questo istituto è di reintegrare
i bambini in famiglia, cercando di capire da principio cosa ha portato il bambino a finire per
strada (miseria, violenza in famiglia, carenza alimentare), dialogare con la famiglia e mantenere
un contatto dopo che il bambino lascia l'istituto. Resto colpita dalla buona educazione di questi
bambini, ogni mattina mi accolgono con una stretta di mano, un sorriso ed una tazza di
porridge, la loro colazione a base di avena e acqua. Mi risulta davvero difficile pensare che
abbiano davvero vissuto l'esperienza della strada.
Alcune mattine li aiuto a pulire il cortile,altre li accompagno al fiume a lavare i vestiti,
lasciando per il pomeriggio le attività ludiche. I bambini amano molto disegnare, per cui basta
un pò di carta e qualche pastello a cera per tenere 30 bambini concentrati per più di due ore.
Un pomeriggio ho disegnato almeno 30 palloni da calcio. Mi ha fatto riflettere vedere come il
loro forte desiderio di un gioco, fosse felicemente sostituito da un semplice disegno!! Palloni da
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calcio accuratamente colorati con i colori del Kenya e fieramente appesi alle pareti della loro
scuola, che è anche il refettorio.
Otto giorni trascorrono davvero in fretta e, quando inizio a conoscere nomi e caratteri di
questi bimbi, è già il momento di cambiare istituto.
Con Simona ci spostiamo a Muranga, circa 100 chilometri fuori da Nairobi, ad Upendo, un
istituto immerso nella savana africana. L'istituto e la natura intorno a noi. Qui ci aspettano 42
bambine, orfane di genitori sieropositivi.
Le bambine sono amorevoli e presto si affezionano a noi. La casetta di legno, nostra dimora per
una settimana, è di fronte al loro istituto, per cui siamo sempre sotto osservazione! È
divertente essere controllate con curiosità da dozzine di occhietti che ci chiamano per giocare.
Le bambine adorano cantare, per cui insegniamo loro delle canzoni italiane che presto
imparano a memoria. La sera, mentre io e Simona ceniamo, le sentiamo cantare all'unisono:
canzoni italiane e keniote che si alternano con naturalezza.
Scopriamo con stupore che le bambine amano passeggiare, per cui la mattina le portiamo
volentieri a perlustrare la zona. La nostra curiosità è quasi uguale alla loro. Purtroppo infatti le
bambine vivono e vanno a scuola nell'istituto e non escono mai dal cancello, nemmeno per una
passeggiata. Intorno a loro sono solo prati e qualche casa di contadini. Questo ci lascia un pò
amareggiate, perché questo istituto sembra vivere in una sorta di isolamento in cui le bambine
non hanno possibilità di relazionarsi con la vita quotidiana, che potrebbe essere ad esempio
frequentare bambini diversi dalle loro compagne o uscire a volte per conoscere la realtà intorno
a loro, che non ci sembra cosi pericolosa. In strada le auto non passano perché la sabbia è
troppo friabile e il servizio taxi è sostituito dal servizio motocicletta! Ma in strada si vedono
solo carretti con buoi o biciclette, le moto sono davvero rare.
Io e Simona viviamo volentieri questa settimana, ma non possiamo negare che questo istituto ha
delle difficoltà evidenti: non c'è acqua corrente ed elettricità e i livelli di igiene sono appena
sufficienti. Le bambine sono spesso sporche e la sabbia rossa che c'è in questa zona, non aiuta di
certo. Mangiano ogni cosa che trovano in terra, le caramelle che offriamo loro vengono
mangiate con la carta ed i palloncini, invece che gonfiati, sono usati come chewing gum!
All'inizio siamo perplesse, ma poi ci rendiamo conto che non possiamo cambiare le loro
abitudini in pochi giorni. La nuova assistente sociale ci dice che da un mese ha introdotto la
nuova regola di lavarsi i piedi nella carriola prima di entrare in casa, ci auguriamo un piccolo
passo verso il miglioramento. Nessuna bambina ha le scarpe e spesso quando camminiamo con
loro, dobbiamo stare attente a percorrere solo determinati sentieri, solcati dai loro piedini.
Anche all'interno dell'istituto ci sono zone off-limits! Noi abbiamo le scarpe e camminiamo
ovunque, ma le bambine ci richiamano all'ordine "No Renata, non lì, ci sono le spine!". Spesso
quando camminiamo ci fermano perché si devono togliere le spine dalla pianta del piede, poi la
passeggiata prosegue tra canti e chiacchiere.
L'ultimo giorno a Muranga passa in una sorta di piattezza: le bambine sono tristi e mai mi sarei
aspettata un saluto cosi spento. L'unica cosa che riescono a dirci è "per favore tornate" e
sappiamo che lo sperano davvero. Nessuna di loro alza la mano per un cenno di saluto e alcune
non si fanno nemmeno vedere mentre partiamo.
Lascio Muranga e lascio anche il Kenya, il giorno dopo sono già in Italia.
Lascio Muranga con la speranza di poter contribuire al miglioramento del centro, magari
trovando 40 paia di scarpe per le bambine o sperando che qualche altro volontario vada a
colorare le loro giornate.
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Simona: Un regalo che mi sono
fatta per il mio compleanno, sì
perché già a Dicembre sapevo
che da quest’esperienza avrei più
ricevuto che donato…
Come tanti fanno, avevo bisogno
di staccare la spina dalla mia vita
ma allo stesso tempo volevo
sentirmi utile per qualcuno..
Quest’anno tutto sembrava
incastrarsi alla perfezione e
quindi ho pensato che il destino
mi appoggiasse in questa
scelta….il destino già…perché
non molte persone l’hanno fatto in pratica..
I commenti generali erano: ”Perché andare fin là, c’è bisogno anche qui, anche la tua famiglia
ha bisogno di te, perché non regalare a qualche associazione il prezzo del biglietto aereo…per
loro sarebbe una grossa donazione…”… ma dato che la mia testa è dura io sono partita
comunque…e ho fatto in modo di racimolare qualche soldo da poter donare..
Per me era una partita importante, mi mettevo in gioco completamente, dato che era la prima
esperienza diretta con dei bambini, alla fine sì, era il rapporto con loro che più mi preoccupava,
non tanto le condizioni igieniche o l’idea di restare sola a lungo in un istituto…ero pronta a
faccende di qualsiasi tipo, il lavoro fisico non mi ha mai spaventato, la solitudine nemmeno,
dato che da anni pratico meditazione…ma come rapportarmi con i bimbi?come impegnare la
loro giornata?si divertiranno con me?questi erano i mie pensieri.
Le settimane prima della partenza sono state molto dure per me, la vita mi ha messo alla prova,
ma sentivo dentro che questo viaggio lo dovevo fare…e non mi sono persa d’animo.
All’arrivo a Nairobi ho ritrovato Elena, una delle persone che più stimo, e che per la seconda
volta mi ha offerto ospitalità in giro per il mondo.
Il primo giorno in città è stato molto caotico e mi sembrava di esser tornata adolescente,
completamente allo sbaraglio ma senza paura di affrontare quest’avventura…su e giù dai
Matatu con la musica a manetta, con gli occhi spalancati, un po’ per non perdere nulla di
quello che il paesaggio cittadino, e non solo, offriva, e un po’ per prestare attenzione al
percorso che l’indomani avrei compiuto da sola.
Quindi la sera prepariamo la cartina e poi Nanna, la notte ero un po’ agitata, il giorno dopo il
primo contatto con i Bambini!
Eccoci al primo istituto, il Brydges Centre. Dopo aver conosciuto la manager e i suoi
collaboratori, che mi hanno accompagnato tra i vari stabili dell’istituto, ecco ero li avanti a una
quindicina di ragazzini…tra i 3 e i 12 anni,sia maschi che femmine (anche se all’inizio per me
era un po’ difficile distinguerli, tutti con i capelli cortissimi, un bellissimo sorriso e gli occhi
lucidissimi) e il mio pensiero è stato:”ora che faccio?”
Pian piano i bambini si presentano, sorridono, cantano e il mio panico se ne va…quindi
iniziamo a disegnare colorare, e non potendo sfruttare le mie pratiche fisiche di yoga….le
metto a frutto mentalmente, facendo usare loro la fantasia ad occhi chiusi..
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Pian piano prendo fiducia e loro si divertono, si appassionano ai miei giochi (rispolverati da
un’infanzia passata in colonia…evviva la colonia!!!!con tanti giochi di gruppo!) e io mi rilasso e
riesco a giocare e divertirmi con loro…
I primi giorni volano e poco a poco i bambini che all’inizio sembravano tutti timidissimi
lasciano trasparire la loro natura e i loro bisogni di attenzione, di primeggiare, ecc..
Con dispiacere è giunto il momento di salutarli per trasferirci all’altro centro Upendo,
proprio ora che avevo imparato tutti i nomi!!!
Ad Upendo il centro è solo per ragazze, e la mia avventura la condivido con Renata.
L’impatto è stato forte quest’istituto è completamente isolato, niente corrente elettrica, niente
acqua, se non quella recuperata da un uomo che tutto il giorno lavora al pozzo.
Le bambine sono bellissime, e molto vispe…ma anche qui cavoli si assomigliano tutte!!!!
E invece no pian piano si notano le differenze nelle espressioni del viso, negli occhi –nello
sguardo, nel carattere.
Le bambine sono dolcissime e ancora più bisognose di contatto umano, di affetto, di quanto
avevo riscontrato nell’istituto precedente, forse perché qui i volontari sono molto meno…il
precedente risaliva se non ricordo male all’agosto dell’anno prima.
Queste bimbe non hanno contatti con l’esterno se non la domenica per la messa, quindi questo
momento è atteso con tanta ansia (e il mio pensiero…che faranno una volta fuori dall’istituto
raggiunta la maggiore età?riusciranno a cavarsela?)
Anche qui facciamo dei giochi in classe con fogli e colori…anche se il secondo giorno metà
delle bimbe i pastelli a cera li aveva spalmati sui denti e non sul foglio (troppo bello …sorrisi
color verde smeraldo o arancio acceso!!!una delle immagini che penso non scorderò mai!),
alternati a canzoncine e giochi all’aperto…finché non scopriamo che la voglia mia e di Renata
di passeggiare li attorno, di curiosare tra le capanne sparse qui e là è anche un loro
desiderio…e quindi ok la passeggiata quotidiana è d’obbligo!Naturalmente con un occhio di
riguardo alla bimbe che passeggiando sempre a piedi nudi qualche volta incontrano ostacoli che
noi non percepiamo.
Le cose che non scorderò di Upendo penso saranno queste…
I materassi stesi all’aperto la mattina (il 90% delle bimbe fa pipì a letto)
Le cene a lume di candela e sempre a base di fagioli
Le bimbe che pregano/cantano la sera, prima di andare a dormire
La stellata spettacolare della prima notte
La terra rossa….che avevi sempre ovunque, mani, piedi, viso, capelli, occhi…nulla era
risparmiato.
Le bambine sempre più dolci e affezionate a noi ogni giorno che passava.
Purtroppo anche qui è giunto poi il momento del saluto finale…e il mio cuore si è strizzato a
dovere e le lacrime magistralmente trattenute (dato che il giorno prima mi ero fatta
promettere da Jane di non piangere alla mia partenza ma di farmi un bel sorriso…io non
potevo che seguire i miei consigli)
Le bambine erano veramente tristi, non riuscivano a dir altro che “per favore tornate”….il
momento forse più duro di tutta la mia esperienza.
Io non abituata a tanto amore, tanto affetto, tanto bisogno di una promessa di ritorno, ….
Il viaggio verso Nairobi è stato duro per fortuna tutto questo l’ho condiviso con una compagna
di viaggio.
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E quindi il ritorno al Brydges…stranissimo rivedere i miei primi bambini, rivedere dei
maschietti, e soprattutto capire con piacere che ricordavano il mio nome, i miei giochi e che
avevano ancora tanta voglia di condividere il loro tempo con me.
Questi ultimi giorni sono stati un po’più semplici dal punto di vista organizzativo, ormai ero
più fiduciosa delle mie possibilità, del mio essere bambina in mezzo a loro, della loro fiducia
nei mie confronti.
Qui il momento del saluto vero e proprio è stato ancora più duro. Tutti i bimbi erano lì per
me, forse obbligati a festeggiare un momento che loro non vedevano come una festa…la mia
partenza, i regali che mi hanno consegnato…tutti prodotti fatti da loro…i loro abbracci e i
loro sguardi pieni d’amore… E mio malgrado sono dovuta scappare via, sentivo pian piano di
non riuscire a trattenere le mie lacrime.
Del Brydges ricorderò con piacere:
I bimbi che mi hanno fatto tornare bambina, con la voglia di giocare…e di vincere, la voglia di
disegnare e colorare (anche se sono completamente negata), di cantare…insomma di fare tutto
ciò che ti passa per la testa senza aver timore del giudizio della gente …
la stanza dove loro coloravano, mangiavano studiavano…insomma dove tutto facevano…
e la strada di campagna fatta tutti i giorni con i matatu…
Ringrazio Elena e Aibi, che mi ha permesso di godere di questo auto regalo.
Sono tornata in Italia molto più ricca e forte di quando sono partita, e felice di essermi messa in
gioco…e di aver vinto a modo mio questa partita.
Nasce il primo gruppo di care-leavers in Kenya
Il giorno 25 luglio e’ nato il primo gruppo informale di care-leavers in Kenya. Il gruppo ha
preso forma dalla volontà di una ventina di giovani kenioti che hanno passato la loro infanzia o
parte di essa in istituto e che si erano gia’ ritrovati in giugno per affrontare insieme le proprie
dolorose esperienze e unirsi in un nuovo sguardo al futuro.
I ragazzi non si vogliono fermare, vogliono continuare a sognare. Anzi alcuni di loro, iniziano a
sognare proprio grazie a questo gruppo. L’incontro non è infatti solo un semplice scambio di
pensieri ed idee, ma è soprattutto un luogo di amicizia. I ragazzi ridono, hanno un grande senso
dell’umorismo, non si lamentano per la loro situazione, ma guardano avanti e sperano che
unendo le loro forze potranno aiutarsi l’uno con l’altro e trovare qualcuno che li possa aiutare a
continuare la loro educazione, a trovare un lavoro e a diventare degli adulti esemplari, modelli
per altri care-leavers.
Il gruppo si chiama Kenya Network of Care-Leavers e ha per obiettivo la promozione del
benessere dei care-leavers e la lobby per i diritti dei bambini in istituto. Nonostante infatti
siano oramai fuori e lontani dagli istituti non si dimenticano di quelli che ancora sono dentro e
vogliono aiutarli a difendere i proprio diritti e proteggerli dalle difficoltà e le sofferenze che
loro hanno vissuto all’uscita dall’istituto, percepita come un secondo abbandono.
L’incontro si e’chiuso con una preghiera e con un thè e l’appuntamento sarà per il prossimo
mese. I ragazzi cercheranno di promuovere il gruppo presso altri care-leavers,cosi che da un
gruppo ne possano nascere altri, che, insieme, possano avere un peso nelle politiche del
governo.
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La redazione di “Amici dei Bambini” in Kenia:
Elena Magoni (volontaria espatriata di Amici dei Bambini)
Sofia Segre Reinach (stagista Amici dei Bambini)
Per qualsiasi comunicazione potete scriverci:
Amici dei Bambini Kenia
P.O. Box 100782-00101 Jamia Posta
Nairobi – KENIA
e-mail: [email protected]
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