Leggi l`articolo - Salvatore Liporace

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Il ginepro taiwanese
Viaggio nella lavorazione di un materiale ancora poco diffuso in
occidente
A cura di: Salvatore Liporace
Testi: Alessandra Cappelletti
Disegni: Ruben Roig Bernadó
Foto: Studio Botanico
Il possente nebari ed il tronco sinuoso squarciato da shari profondi di un bianco
abbagliante, guizzanti tra turgide vene rossicce che s’innalzano e si torcono quasi
fossero muscoli tesi allo spasimo per sorreggere una chioma brillante e vigorosa,
colpirono Salvatore Liporace con l’intensità di una saetta. Al primo sguardo fu
certo che la pianta che si trovava dinnanzi a lui si sarebbe trasformata, sotto le
sue abili mani, in un esemplare d’incredibile bellezza.
Avere a disposizione un prebonsai di alta qualità da plasmare seguendo il proprio
estro artistico per farne un capolavoro, è il sogno di ogni bonsaista. Trovare un
materiale che unisca l’aspetto tormentato dello yamadori, sottoposto per secoli
agli insulti della Natura inclemente, al rigoglio ed al vigore di un esemplare
coltivato, è sempre parso, agli occidentali, una chimera. Fino alla scoperta di un
angolo dell’Asia ove esperti e pazienti coltivatori avevano da tempo appreso l’arte
di impostare giovani alberi collocati in piena terra per ottenere materiali
eccezionali da destinare ad una ristretta cerchia di esigenti maestri orientali.
Salvatore Liporace aveva avuto occasione di apprezzare qualche esemplare di
ginepro coltivato, importato in Europa, ma il viaggio a Taiwan nel dicembre del
2001, aveva sollevato di colpo il sipario su una nuova e sconvolgente realtà. Quei
materiali che lo avevano colpito, altro non erano che un pallido esempio, una
sparuta avanguardia dell’esercito di meraviglie che si spiegava adesso dinnanzi ai
suoi occhi: centinaia di splendidi ginepri che crescevano in pieno campo nelle
regioni centro settentrionali dell’isola. La coltivazione, che a seconda della qualità
della pianta si protraeva per venti, trenta o quarant’anni, iniziava con la messa a
dimora di margotte che, opportunamente educate con filo e potature, davano
luogo a quei tronchi sinuosi circondati da folte chiome. La pratica della
spaccatura di alcuni rami, seguita dallo strappamento della corteccia, creava gli
shari che, con l’andare del tempo, sarebbero stati aggrediti dalle intemperie e
sottoposti ad un invecchiamento naturale. Raggiunto un livello ritenuto
soddisfacente da parte del coltivatore, l’albero veniva trapiantato in un vaso da
coltivazione, ove avrebbe trascorso ulteriori numerosi anni, prima di essere
ceduto ad un maestro per la definitiva lavorazione. E’ innegabile che il susseguirsi
d’interventi preparativi per un così lungo lasso di tempo, non facevano che
conferire sempre maggior pregio alla pianta, consentendole, nel contempo, di
riprendersi tra una lavorazione e l’altra e di giungere nelle mani dell’artista con
una vegetazione al massimo dello splendore ed un apparato radicale
opportunamente adattato alle dimensioni del vaso bonsai.
Il ginepro taiwanese è una varietà di Juniperus chinensis, particolarmente
apprezzata per la folta chioma caratterizzata da un ago morbido. Abituato a
crescere in zone umide ma con scarse precipitazioni, in terreni argillosi ricchi di
microelementi, necessita di bagnature molto attente. L’eccesso di acqua, infatti, al
pari di altre condizioni stressanti come le drastiche potature ed i rinvasi, esitano
nella comparsa dell’ago pungente. Questa forma vegetativa, decisamente più
resistente, rappresenta la difesa del ginepro in condizioni inidonee o di pericolo
per la sopravvivenza. Rimovendo il fattore stressante, tuttavia, rapidamente
questa specie generosa ripristina il fogliame di tipo morbido.
Molto vigoroso, il ginepro taiwanese è in grado di produrre gemme anche dal
legno vecchio, purché adeguatamente stimolato da potature. I germogli si
accrescono rapidamente, soprattutto in climi simili a quelli del paese d’origine ove
sono possibili cinque o più vegetazioni all’anno, a condizione che i rami vengano
lasciati liberi di vegetare, in modo da consentire lo scorrimento della linfa lungo le
vene. Questo fenomeno è dovuto al fatto che la linfa viene incanalata e
convogliata dalle radici verso i rami dotati di fogliame ove ha luogo la fotosintesi
clorofilliana e quindi riconvogliata verso le radici. La natura ragiona solo in
termini di rapporti costi/benefici e non di stili bonsai o di eleganza. Pertanto, se
ai fini di un’armonia nel bonsai che stiamo creando è necessario favorire la
crescita di un nuovo ramo in una determinata posizione, è importante valutare
accuratamente le potature e la porzione di vegetazione da eliminare, per non
compromettere irreparabilmente l’alimentazione delle nuove gemme.
Per mantenere lo splendore vegetativo di questa interessante specie botanica e
promuoverne la crescita pur mantenendo l’ago morbido, è consigliabile effettuare
concimazioni di tipo organico a lenta cessione come il “Bio Gold” o l’ “Aburakasu”.
In caso di eccesso di concimazione, si rischierebbe una crescita di aghi di tipo
pungente.
A – Panoramica di una vasta coltivazione di ginepri, nell’entroterra
taiwanese. Si può osservare sullo sfondo il sistema a terrazze che
impedisce il ristagno delle acque durante la stagione delle piogge,
favorendone lo scivolamento a valle. Il terreno, prevalentemente
argilloso, pur essendo ricco di microelementi utili alla crescita
rigogliosa di questi esemplari, presenta lo svantaggio di trasformarsi
in una massa pastosa e compatta in seguito all’imbibizione con
acqua, impedendo l’aerazione delle radici e favorendone il marciume.
L’eccessivo disseccamento delle masse argillose, che durante la
stagione secca si scompongono ad opera di numerose crepe,
provocando la rottura dei capillari radicali, viene invece impedito
mediante irrigazione artificiale e sarchiature volte a mantenere il
terreno morbido.
B – Alcuni apici dal movimento interessante, asportati nel corso di
potature di formazione, vengono recuperati con la tecnica della
margotta per farne deliziosi sho-in. In quest’immagine se ne possono
apprezzare alcuni in basso a destra.
C – Appropriate selezioni dei rami creano jin che in futuro si
prolungheranno in shari verso il nebari. E’ noto, infatti, che
l’eliminazione di un ramo porterà alla morte della vena che lo
alimentava, lasciando al suo posto legna secca. Un esempio di queste
lavorazioni su piante ancora in piena terra, campeggia al centro
dell’immagine.
1 – Un ventennio di coltivazione
in pieno campo non basta a
rendere un ginepro interessante
per un maestro. Saranno infatti
necessari ulteriori anni da
trascorrere in un ampio vaso
con misto di argilla e sabbia per
favorire la crescita di capillari
radicali, infoltire la vegetazione
e definire ulteriormente gli shari
e le vene. Solo a questo punto
l’esemplare sarà pronto per
essere esposto nell’area adibita
alla vendita.
2 – L’esemplare scelto da
Salvatore Liporace: al suo attivo
numerosi anni trascorsi nel vaso
da coltivazione, sottoposto a
continua lavorazione degli shari e
filatura dei rami. I suoi punti di
forza sono lo spettacolare
movimento tortuoso della vena,
l’eccellente stato di salute
denunciato da fogliame vigoroso e
morbido e dalla presenza di una
fitta ramificazione sottile. Il vaso
di dimensioni contenute, faceva
presagire una relativa semplicità
di collocazione in un vaso bonsai.
3 – Il ginepro scelto campeggia tra
altri, molti dei quali destinati agli
esigenti maestri nipponici.
Molti anni or sono, durante uno
dei suoi numerosi viaggi studio in
Giappone, S. Liporace aveva
sentito il maestro Masahiko
Kimura esprimersi in modo
estremamente
favorevole
nei
confronti dei maestri taiwanesi.
Egli, mostrandogli cataloghi con
bonsai lavorati a Taiwan, aveva
espresso l’opinione che fossero
tra i migliori al mondo. Dovettero
però trascorrere lunghi anni
prima che S. Liporace potesse
soddisfare la curiosità che si era
accesa in lui, finché nel dicembre
del 2000, in occasione suo primo
viaggio a Taiwan, ebbe la
conferma della veridicità di tale
affermazione.
4 – Allo Studio Botanico l’Artista
procede alla scelta del fronte e
dell’inclinazione. In questa
immagine si ha la vista del fronte
originario che non lo soddisfa in
quanto occulta la vena mettendo
in primo piano lo shari. Inoltre il
forte angolo creato dal tronco è
inelegante e poco gradevole.
5 – Particolare dell’angolo
6 – Vista del fronte
definitivo con la nuova
inclinazione: in tal modo
si evidenziano il piede,
lo shari e la tortuosità
della vena, mentre
l’angolo acquista
maggiore morbidezza ed
il movimento diviene più
fluido ed armonico.
7 – La delicata operazione del
rinvaso. La miscela di sabbia
ed argilla ha favorito la
crescita di numerosi capillari.
Notare la dimensione
dell’albero.
7 B – Particolare della lavorazione dello shari. Questa tecnica, in
Taiwan, ha raggiunto livelli tali che vi sono maestri specializzati nella
lavorazione della legna secca (silk-fiber carving). Quest’arte richiede
anni di esperienza e l’utilizzo di utensili manuali che, a differenza
delle frese, conferisce assoluta naturalezza all’opera umana.
Durante il viaggio a Taiwan, S. Liporace fu invitato ad assistere ad
una dimostrazione privata del maestro Cheng, nel corso della quale fu
stupito dalla precisione ed accuratezza della lavorazione. Modellare
uno shari secondo i dettami di questa scuola, può richiedere
numerosi giorni, ma il risultato finale sembrerà il prodotto delle forze
della natura e dello scorrere del tempo. Quella dimostrazione convinse
S. Liporace che l’Occidente avrebbe dovuto poter apprendere tale arte,
pertanto organizzò un tour italiano del maestro Cheng comprendente
dimostrazioni, seminari ed un corso speciale per gli istruttori IBS.
Tale maestro prese parte, tra l’altro, al congresso Mondiale di Monaco
come rappresentante di Taiwan.
8 – Vista di lato dell’esemplare,
nella sua nuova collocazione in
una vaso Certrè in gres fatto a
mano. Il terriccio è costituito da
akadama setacciata
preventivamente per eliminare la
polvere.
9 – Retro. Si può notare come il
notevole cambio d’inclinazione
porti all’esposizione di parte del
pane radicale.
10 – Il fronte con
particolare del nebari e
del tronco.
11 – Il ginepro in tutta la sua
maestosità. Si noti l’applicazione
dello sfagno per prevenire la
disidratazione della porzione di
radici esposte.
12 – Il colorito rossiccio
delle vene dei ginepri viene
esaltato attraverso la
pulitura della corteccia.
Alla spazzolatura
grossolana con setole
morbide bagnate, segue la
levigatura con carta
vetrata a grana fine e
l’applicazione di una
piccola quantità di olio
d’oliva effettuata mediante
tamponatura con una
pezzuola.
13 – Da molti anni, ormai, S.
Liporace occulta il filo di
rame mediante l’applicazione
sullo stesso di liquido jin. Lo
zolfo, reagendo con il rame
ne provoca l’annerimento e
la conseguente
mimetizzazione tra i rami.
14 – Conclusa la palcatura, la
pulizia del tronco e l’applicazione
del liquido jin, l’albero si mostra
in tutto il suo splendore.
15 – Un bonsai deve essere
curato ed armonico anche sul
retro, come si evince da
quest’immagine.
16 – Nebari e
maschiatura:
L’impatto visivo è
frutto di un’insieme di
particolari. Qui si può
vedere l’accurata
preparazione
consistente
nell’accostamento di
diverse varietà di
muschi e licheni che
armonizzano vaso,
nebari, shari e vena.
17 – Aspetto finale di un’esemplare pronto a stupire a qualunque
esposizione. A detta di molti, questo ginepro, acquistato dal sig. Luis
Balino, è considerato uno dei più importanti d’Europa.