turbolenza nella società di gestione dei servizi

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turbolenza nella società di gestione dei servizi
Anno IV - N. 11~14 • 30 LUGLIO 2009 - € 1,50
La Voce dell’Isola
Giornale Siciliano di Politica, Cultura, Economia, Turismo, Spettacolo diretto da Salvo Barbagallo
LA GUERRA PRIVATA DEL SEN. FIRRARELLO
TURBOLENZA NELLA SOCIETÀ DI GESTIONE
DEI SERVIZI DELL’AEROPORTO CATANESE
IL POTERE È SUO E..
GUAI A CHI LO TOCCA FONTANA-ROSSA
DI VERGOGNA!
di SALVO BARBAGALLO
I
l risultato delle elezioni europee
lo ha ampiamente dimostrato: la
guerra senza quartiere che si è
scatenata, ormai da tempo, fra il senatore Pino Firrarello e il presidente
della Regione Raffaele Lombardo
ha portato, e porterà ancora, molto
danno alla coalizione che fa capo al
premier Berlusconi. Il senatore in
questa guerra privata risulta ampiamente perdente: i risultati elettorali,
ripetiamo, lo hanno provato senza
ombra di dubbio. Il volere insistere
sul percorso della contrapposizione
frontale lo porterà alla catastrofe.
Affiora continuamente un odio
viscerale nei confronti di Raffaele
Lombardo: il senatore Pino Firrarello lo dimostra e inevitabilmente
presta il fianco. È come se l’anziano
politico non avesse più frecce nel
suo arco. E quindi è costretto ad assumere posizioni demagogiche che
non hanno alcun senso. Lo dimostrano i frequenti interventi sul quotidiano locale che, alla fine, dimostrano soltanto il buon rapporto che
il senatore ha con l’editore che gli
mette a disposizione il giornalista di
turno per delle interviste a senso
unico, e sempre con il solito leit
motiv, l’acredine nei confronti di
Lombardo. In una delle ultime interviste, “concessa” al giornalista di
punta (anagraficamente parlando…)
del quotidiano locale il senatore Firrarello sentenzia: “Lombardo pensa
soltanto al potere. Nessuna tregua
con lui”. Questa ostinata presa di
posizione, a mio avviso, merita necessariamente un commento. Partendo dal generale. Ci sono categorie umane molto particolari e (fortunatamente) abbastanza ristrette, ma
non per questo meno negative:
quelle degli imprenditori che vogliono accaparrarsi tutto di tutto
(anche se non ne hanno bisogno), e
quelle dei politici (che vera politica
non hanno mai fatto) che detengono
forti poteri decisionali derivati dal
“consenso” elettorale acquisito nel
tempo. Queste due categorie umane
possono vantare alcuni punti in comune: si sentono immortali, si sentono intoccabili, ritengono un loro
diritto potere spadroneggiare come
vogliono, imponendo la loro volontà. A parte l’immortalità che non è
un bene concesso all’umanità (ricordarsi della “livella” del compianto Totò non sarebbe male), queste categorie fanno e continueranno
a fare quello che vogliono, almeno
fino a quando loro verrà consentito.
Ma per queste persone la parola “fine” sembra non esistere nel vocabo-
lario, almeno fino a quando un potere più forte non deciderà al contrario, mandandoli a casa.
Nel particolare. Posso affermare
(e parlo in prima persona) di conoscere abbastanza bene il senatore
Firrarello da diversi decenni: ho seguito la sua carriera politica, gli ho
dedicato anche un libro-intervista
(“Dal bipolarismo al bipartitismo”).
Ho avuto modo di apprezzare molte
sue idee, e di idee ne ha molte, il senatore, anche se non sempre riesce
ad esprimerle bene verbalmente.
Pino Firrarello è un classico prodotto della vecchia Democrazia Cristiana, quella che in Sicilia ha
espresso i Lima, i Mannino, tanto
lontani dal pensiero di Sturzo, nonostante si siano considerati suoi
“allievi”.
Raffaele Lombardo proviene dalla giovane DC, quella dei Nicolosi,
per intenderci.
Distanze interstellari fra i due,
anche se il culto del potere potrebbe, in un certo qual modo, accomunarli. C’è una differenza significativa, fra i due politici: Lombardo può
contare su una prospettiva, Firrarello no, è al capolinea.
Il senso di questo mio intervento?
Una risposta alla prima frase
espressa dal senatore Firrarello sul
quotidiano locale: “Personalmente
con Lombardo non troverò mai una
intesa perché lui pensa solo ad occupare posti di potere, non a guidare la Sicilia come si deve. Tutto
prende lui, tutto decide lui”. Questa
frase non avrebbe bisogno di alcun
commento da parte di chi ha avuto
modo di conoscere Pino Firrarello,
perché l’accusa che il senatore volge nei confronti del “collega” di
coalizione Lombardo gli calza addosso come un vestito su misura
fatto da un ottimo sarto. Basti sapere che la guerra “privata” è scaturita
proprio dal “potere” che il senatore
Firrarello avrebbe voluto continuare
a mantenere in toto, e che invece
ha visto sbriciolato dal suo contendente. Il risultato delle elezioni europee dimostra che si è verificato
un passaggio di mano nella gestione
“assistenzialista” del territorio, malgrado gli strenui tentativi del senatore di contrastare il suo rivale. Le
guerre private, è evidente, non sono
un bene per la Sicilia, ma Firrarello
non dovrebbe dimenticare i suoi errori e le sue responsabilità, delle
quali potremmo parlare a lungo. A
conclusione: il potere che gli è rimasto lo sta esercitando male, e gli
torna contro come un boomerang.
(Nella foto il sen. Firrarello)
I riflessi mediterranei
del G8 de L’Aquila
Intolleranza:
Sicilia, Isola senza memoria
Raffaele Lombardo
e il Partito del Sud
Abbandonata dallo Stato?
Catania città senza Prefetto
2
Politica
Quale potrà essere il ruolo della Sicilia dopo gli accordi di principio raggiunti
I riflessi mediterranei
del G8 de L’Aquila
di CORRADO RUBINO
I
l G8 e il G14 de L’Aquila si sono
conclusi da poco e ovviamente i
commenti non sono stati unanimi, soprattutto dopo tutto quello che
era apparso nelle precedenti settimane sui media nazionali e stranieri
a proposito delle "stravaganti” vicende riferite a Silvio Berlusconi.
Ma per una volta tanto guardiamo
oltre e cerchiamo di capire quale
potrà essere il ruolo della Sicilia,
isola al centro del Mediterraneo, dopo gli accordi di principio che i
grandi delle Terra hanno raggiunto.
Per prima cosa c’è da dire che
l’Italia, in qualità di Presidente di
turno del G8, aveva tra l’altro il
compito di proporre il “format” che
i paesi del G8 dovranno adottare in
futuro per proseguire il dialogo con
le economie emergenti. Cioè, in breve, allargare il Gruppo degli otto
paesi più industrializzati del mondo
(Stati Uniti, Russia, Inghilterra,
Francia, Germania, Italia, Giappone
e Canada), alle principali economie
emergenti (Brasile, Cina, India,
Messico, Sudafrica ed Egitto), passare quindi dalla formula G8 alla
formula G14 o a formule più allargate.
Questa volta sembra che la montagna non abbia partorito il solito
topolino. Questa volta il summit de
L’Aquila forse non sarà ricordato
solo per i disordini dei no-global. La
speranza è che, oltre alle immagini
di Obama tra le rovine della città
abruzzese, questo G8 dia il via ad
azioni concrete per dare soluzioni
ad almeno alcuni dei grandi problemi che affliggono il pianeta. Finora
l'inquinamento non è diminuito,
l'acqua è rimasta una risorsa non a
tutti accessibile e la fame continua a
imperversare fra le popolazioni più
deboli.
E non è tutto. Siamo in un momento di massima crisi economica
planetaria; quindi oggi occorre trovare soluzioni ed adottare regole effettive e rapide per fermare il terremoto dell’economia che in questo
momento può ancora trascinare al
disastro non solo le nazioni più povere ma anche quelle più ricche.
A tal proposito non devono passate inosservate le strette di mano tra
Obama e il nostro vicino di casa
Gheddafi, alla cena offerta dal presidente della Repubblica, Giorgio
Napolitano, ai leader del G8, che ci
rassicurano ancor più per la tranquillità futura dei nostri rapporti
commerciali con la Libia. Pur se
quasi obbligate dal cerimoniale
(nella sua visita a Roma, Gheddafi
ha messo sullo stesso piano il terrorismo di Osama bin Laden e l'attacco americano a Tripoli), queste
strette di mano sigillano il disgelo
tra Washington e Tripoli già avviato
con la rinuncia di Gheddafi al programma nucleare militare.
La novità che è subito balzata
all’attenzione di tutti è stato il cambio di rotta dell’amministrazione
americana in merito al clima. Il presidente americano ha ricordato, in
tutta onestà, come gli Stati Uniti in
passato non abbiano rispettato l'impegno a ridurre la propria carbon footprint, ma «questi tempi sono finiti». I paesi più sviluppati devono dare l'esempio ed aiutare quelli in via
di sviluppo a ridurre le emissioni.
30 Luglio 2009
Il premier Silvio Berlusconi
«Dobbiamo dare forma al nostro futuro e non lasciare che gli eventi lo
facciano per noi», ha detto Obama,
aggiungendo che i fondi a favore
della ricerca e dello sviluppo per
un'economia pulita verranno raddoppiati entro il 2015.
ne di una partnership globale per
spingere verso tecnologie «amiche
del clima» a basso contenuto di carbone. I leader degli Otto più Australia, Brasile, Cina, India, Indonesia,
Messico e Sudafrica si impegnano
ad «aumentare considerevolmente»
ad effetto, i contenuti ci sono e soprattutto c'è una grande ed inconsueta buona volontà sia parte dei
grandi che da parte dei paesi emergenti.
Non si tratta come sappiamo di
leggi, ma di indirizzi, suggerimenti,
inviti non vincolanti, ma il clima di
collaborazione respirato all'Aquila
ci autorizza a pensare che buona
parte di queste ricette verranno seguite, laddove altre organizzazioni
hanno fino ad oggi fallito.
Ma in Sicilia non dobbiamo cedere alla tentazione di lasciarci andare
al cinismo, di pensare che è inutile
fare la nostra parte perché tanto il
problema è troppo grande e quindi
non ci riguarda. Non dobbiamo lasciare la soluzione del problema
delle emissioni in eredità alle prossime generazioni.
Il 22, 23 e 24 aprile scorso a Siracusa i Ministri dell’Ambiente di 19
Paesi e i rappresentanti dalle varie
Organizzazioni Internazionali specializzate sulle questioni ambientali,
che sono intervenuti durante il G8
La nostra Isola corre gravissimi rischi a causa dei mutamenti ambientali
globali di cui anche il Mediterraneo risente, i quali, oltre a compromettere
la salute umana, determinano il cambiamento climatico, la riduzione dello
strato di ozono stratosferico, la perdita di Biodiversità, i cambiamenti nei
sistemi idrologici e delle forniture di acqua dolce, il degrado del territorio
La consapevolezza della dimensione globale dei cambiamenti climatici e dell’urgenza di agire, ha indotto il G8 a imprimere un forte impulso politico e a coinvolgere attivamente anche le economie emergenti.
Ma ancora non c'è l'intesa con la
Cina e l’India per quanto riguarda il
clima. L'accordo raggiunto dal G14
allargato a Indonesia, Australia e
Corea del Sud infatti prevede un'intesa relativa alla necessità di non
aumentare il riscaldamento globale
di più di 2 gradi rispetto alla media
dell'epoca preindustriale, ma non il
taglio delle emissioni dei gas serra
nella misura dell'80% di quelli attuali per i Paesi più industrializzati e
del 50% per gli altri Paesi entro il
2050.
L'accordo raggiunto dal G8 sui
cambiamenti climatici non vincola
infatti al momento la Cina, che ritiene fondamentale la necessità per i
Paesi sviluppati di prendere in considerazione «le diverse condizioni»
dei Paesi emergenti e di quelli in via
di sviluppo. Come largamente preannunciato dunque, il governo di
Pechino ha reso più esplicito il suo
«no» all'intesa trovata dagli Otto
Grandi sul clima. Pechino ha trovato anche l'appoggio di India ed Egitto che infatti ha chiesto e ottenuto al
momento che nessun vincolo sulla
riduzione di gas serra venga imposto ai Paesi emergenti. L'accordo
raggiunto non ha vinto le resistenze
della Cina, raccogliendo d'altra parte anche le critiche dell'Onu. Secondo il numero uno delle Nazioni Unite Ban Ki-moon infatti i progressi
raggiunti dagli Otto Grandi «non sono sufficienti».
La novità più importante che
emerge dalla bozza di Dichiarazione
finale sul clima è invece la creazio-
e a «coordinare investimenti pubblici nella ricerca e nello sviluppo»
delle tecnologie pulite, «con l'idea
di raddoppiare questo tipo di investimento entro il 2015, riconoscendo
l'importanza degli investimenti privati, della partnership pubblico-privata e della cooperazione internazionale, compresi i centri di ricerca
regionali». I principali settori di
questa nuova azione sono l'efficienza energetica, l'energia solare, le reti
elettriche interattive, la cattura l'uso
e lo stoccaggio del carbone, i veicoli
di ultima generazione, le tecnologie
ad alta efficienza e bassa emissione,
la bioenergia e le altre tecnologie
“pulite”.
Insomma, al di là delle immagini
per l’ambiente, sono stati chiamati a
discutere e concordare la “Carta di
Siracusa” sulla Biodiversità, che
riassume i risultati dei lavori svolti e
pone le basi della futura strategia
italiana sulla Biodiversità. Il processo doveva proseguire coinvolgendo
le Regioni, gli Amministratori e gli
Enti locali e il sistema nazionale
delle Aree Protette al fine di sensibilizzare i principali artefici di quello
che sarà il cambiamento futuro riguardo l’importanza dei meccanismi
che legano la Biodiversità e le opportunità di sviluppo economico locale attraverso i servizi eco-sistemici o eco-compatibili.
Identificare queste realtà, già esistenti sul nostro territorio (e ce ne
Il leader libico Gheddafi, nella recente visita a Roma
sono), in cui decisioni politiche
“giuste” che sono partite da scelte
ecologicamente sane e che abbiano
aiutato lo sviluppo economico locale, potrà aiutare a trovare un modo
nuovo e più efficace di armonizzazione dei processi per il raggiungimento degli obiettivi sociali, culturali ed economici, contribuendo reciprocamente a migliorare la qualità
della vita in Sicilia.
La nostra Isola corre gravissimi
rischi a causa dei mutamenti ambientali globali di cui anche il Mediterraneo risente, oltre a compromettere la salute umana, determinano il
cambiamento climatico, la riduzione
dello strato di ozono stratosferico, la
perdita di Biodiversità, i cambiamenti nei sistemi idrologici e delle
forniture di acqua dolce, il degrado
del territorio.
Il Mediterraneo è sempre più soggetto ai cambiamenti climatici le cui
caratteristiche principali includono
l’aumento delle temperature, i cambiamenti negli schemi di precipitazione, l’innalzamento del livello del
mare e l’aumento dell’intensità e/o
della frequenza degli eventi meteorologici estremi come mareggiate e
l’alternanza di gravi periodi siccità
con pesanti allagamenti ed inondazioni.
La distruzione diretta degli ecosistemi, la frammentazione degli spazi naturali, il disturbo alle specie
protette, l’introduzione di specie
“esotiche”, l’inquinamento, l’effetto
delle isole di calore urbane etc., sono tra i rischi più rilevanti per la
Biodiversità specialmente nelle aree
marino-costiere, in quelle agricolo
-forestali e nelle aree urbane siciliane.
Questi effetti interagiscono gli uni
con gli altri e risultano difficili da
comprendere senza un adeguato coordinamento ed una adeguata sinergia tra la ricerca scientifica delle nostre Università e i processi politici.
Le aree protette in Sicilia possono
svolgere un ruolo chiave per l’adattamento ai cambiamenti climatici e
il loro incremento si potrebbe dimostrare un'efficace strategia.
La ricostituzione della Biodiversità marina insieme ad interventi di
gestione sostenibile della pesca, il
controllo dell’inquinamento, il mantenimento degli habitat essenziali e
la creazione di riserve marine si
configurano come investimenti per
la produttività e l’affidabilità dei
servizi garantiti dal mare all’umanità.
Azioni miranti alla conservazione
della Biodiversità, in aree dedicate
all’attività agricola, di pascolo e alla
pesca, devono essere sviluppate attraverso politiche regionali adeguate
che implichino un approccio partecipato e integrato tra chi decide, chi
produce e chi consuma.
Tutto ciò sarebbe un segno tangibile sia dell’attenzione dell’Amministrazione regionale nei confronti
della tutela dell’ambiente, sia del
ruolo decisivo svolto dal Servizio
Forestale Regionale e dalle associazioni ambientaliste per la difesa del
patrimonio naturalistico siciliano;
peraltro può e deve rappresentare,
nel pieno rispetto dell’eco-sostenibilità, un volano per l’economia di
tutta l’isola attraverso un processo
che vedrebbe coinvolte le principali
aziende locali.
La Voce dell’Isola n. 11~14
Politica
3
VOCI DAL CONTINENTE I Siciliani non possono permettersi di essere razzisti. È un controsenso
L’Isola senza memoria:
l’intolleranza verso gli stranieri
di PIETRO CARUSO
L
’Isola senza memoria. Ci
sono certe cose della Sicilia
che i siciliani, figuriamoci i
continentali, se le sono dimenticate.
Io non so se l’hanno fatto apposta, perché ignorare vuole anche dire avere meno fastidi, meno ubbie,
meno responsabilità o forse perché
certi processi storici, quando sono
abbondantemente conditi da tivù
spazzatura e radio scassa timpani,
finiscono per “stonare” la gente.
Fatto sta che quando vedo il presidentissimo Obama mi viene sempre alla memoria come il risultato di
un lungo riscatto.
I diritti del popolo nero,
infatti, negli Usa sono cominciati ad
essere tali solo dal 1965 e ci è voluta la grande campagna di Bob Kennedy nelle estati sanguinose che
hanno precedute la sua precoce
morte nel 1968 e c’è voluta la testardaggine di Martin Luther King
per fare diventare operativi diritti di
uguaglianza che galleggiavano fra
le croci infuocate del Kkk e il conservatorismo atavico, quello che rivolta la mente e nega il futuro anche
a se stessi. Quello schiavismo che
finì per essere un tratto distintivo
anche di liberali che si dichiaravano
autentici, ma non erano ancora dei
democratici veri. Potremmo, dunque, guardare con sufficienza gli
amici americani forti della storia siciliana. E invece...quando in qualche bar-pasticceria di Catania o di
Messina, ci si siede per gustare una
granita o una soda, cominciamo ad
avvertire segni d’intolleranza verso
gli stranieri che prima erano caratteristica soltanto delle regioni “polentone”. Cosa è successo? La realtà è
abbastanza evidente, quando è troppo, è troppo. La vicenda di Lampedusa “docet”. In quella lontana isola
che ha il carattere dei “lampedusiani” e non può essere definita Sicilia
“siciliana” a 360 gradi, la popolazione resiste di fronte a problemi
immensi. Lì non c’è un’immaginario “deserto dei tartari”, dove si attende un nemico che non arriva mai.
In quel pezzo di terra rocciosa lasciata alle correnti del Mediterraneo
si combatte una battaglia con gli
sbarchi, ora ridotti, ma non sappiamo fino a quando e per quanto tempo. Le “tre” Sicilie, del resto, hanno
un rapporto ambivalente con lo straniero. Eppure i siciliani, così mescolati, come la lingua conferma anche
a livello di valutazione culturale
mondiale: sicani, siculi, fenici, greci, romani, bizantini, svevi, angioini, aragonesi... non possono permettersi di essere razzisti. È un controsenso.
In genere nessuna isola del Mediterraneo può permetterselo, ma la
Sicilia poi...è la più contaminata. Se
la macchina del tempo consentisse
di analizzare il “dna” di ciascun isolano, oltre ai “meticci” come me, faremmo un salto dalla sedia.
Alcuni che si considerano di purissima etnia di origine spagnola,
hanno inquietanti nei, voglie, color
caffellatte come i popoli camitici: i
biondissimi messinesi con gli occhi
colorati dai mari del nord, denunciano i loro tratti normanni; e quei cognomi trapanesi...tutti con il suffisso
di qualche località dichiarano la
tratta della diaspora sefardita, di calLa Voce dell’Isola n. 11~14
co semitico. Di cui converrà parlare
in modo più approfondito, quando
tratteremo il capitolo degli ebrei siciliani.
Un vero volto di Sicilia. La Sicilia non è così e non lo è mai stata.
Potrebbe benissimo accampare il
primato di maggiori contaminazioni
etniche e culturali al mondo. Il
“melting-pot”, termine inglese un
po’ volgare per definire la mescolanza, l’isola ha cominciato a viverlo alcune migliaia di anni fa. Quei
segnali sono poco visibili e poi, si
sa, la memoria fa cilecca. Alzi la
mano chi sa come si chiamava il suo
bisnonno, o la nonna della nonna.
Dentro tutto lo sfarzo di un’esistenza o il suo contrario, in realtà, ci
stanno soltanto alcune decine di anni di vita biologica, poi per fortuna
ci sono gli scrittori, gli storici e se il
duramente osteggiata da alcune diocesi siciliane, tanto che recenti studi
sulla repressione degli eretici spostano ad alcune centinaia di persone
gli uccisi, bruciati, impiccati, talvolta solo in effigie, come accadeva,
per esempio, in grandi roghi che venivano accesi contro “giuidizanti” e
“luterani” sulle spiagge di Mondello. Persino un “Pietro Caruso”, originario di Caccamo, nel 1564, venne condannato per eresia in quanto
sospettato di simpatie ebraiche o
forse più semplicemente era un
“marrano” spagnolo sefardita fuggito anch’esso dalla penisola iberica,
ma sempre per quella mancanza di
conoscenza sulle più antiche radici
non posso giurare che fosse un avo
del ramo siciliano della mia famiglia. Del resto nei bellissimi capitoli
dei testi di Michele Amari dedicati
ai saraceni o alle guerre dei Vespri
Il “melting-pot”, termine inglese un po’
volgare per definire la mescolanza, la Sicilia
ha cominciato a viverlo alcune migliaia
di anni fa
cancro della carta non li divora, i
vecchi polverosi libri e i faldoni
d’archivio. Non fidatevi troppo della digitalizzazione, se non è a disposizione del pubblico e se non si supera il divario fra chi sa usare le
macchine informatiche e chi per ragioni di età, inesperienza, mancanza
di costanza è deficitario di tali abilità. Eppure i siciliani sono anche
profondamente diffidenti del mondo
arabo, se pure ne hanno conosciuto
una dominazione per alcuni secoli.
E così nascono leggende, mescolate
di verità. Per alcuni, per esempio, la
distruzione delle foreste che caratterizzavano una parte dell’antica Sicilia, soprattutto interna, fu opera degli arabi, quando in realtà le colture
degli agrumi furono introdotte dai
califfi che le avevano ereditate, almeno in parte, dai mondi asiatici.
Gli ebrei erano mal tollerati, ma allora come riuscì a resistere all’editto
di Isabella di Castiglia la grande comunità ebrea sefardita insediata nella Sicilia occidentale oltre venti anni
dal quel funesto 1492?. Certo la tolleranza siciliana è una favola, sia
verso i nemici esterni sia quelli interni, veri o presunti. Oltre alla diffidenza verso gli arabi, la diversità
religiosa dei fedeli della Torah fu
emerge un carattere siculo ardito,
indomito, ribelle anche se con molta
più probabilità per secoli la terra del
più grande vulcano ha accolto tutti,
salvo poi trovarsi impegnata in divisioni e guerre civili come già dal
tempo dei greci era avvenuto. Fra le
colonie ateniesi e spartane il sangue
che correva non aveva l’odore della
fraternità. La diffidenza dei siciliani, atavica, verso gli stranieri è dunque comprensibile. E benedetto è
sempre stato il figlio di Sicilia che
ha promesso unità del popolo, pane
e carità...anche se poi non è quasi
mai riuscito nel suo intento. Quel
benedetto figlio di Sicilia ogni tanto
emerge e subito viene celebrato come un “santuzzu”, mentre quasi
sempre è un pover’uomo pieno di
ambizione, che ogni mattina si alza
per capire come compiacere o farsi
intendere da “Rrroma”.
Le radici rinverdite. I continentali non sanno che la Sicilia ha mille
sfaccettature e una ricca tradizione
di paesi diversi.
È del resto quella potenziale Isola-Stato che fu nel lontano passato.
Per questo, per certi versi, anche
senza il ponte sullo Stretto, la Sicilia
avrebbe un senso nella storia e non
volere diventare anche geograficamente un’appendice. No, non crediamo neppure noi all’assenza di
modernità, alla burocrazia dei traghetti, ma pensiamo ugualmente che
la Sicilia non può essere qualcosa di
distante da ciò che la sua storia e la
sua natura l’ha modellata. Può darsi
che proprio quel flusso senza interruzioni di auto e di camion possano
ridare nuovo lustro, ispirazioni, ma
non è attraversando un luogo ad alta
velocità che lo si impara a conoscere o che ce ne si innamora. L’esperienza culturale e turistica, nel merito, dice anzi qualcosa di diverso. Il
problema è che la Sicilia, che ha già
il melting-pot, potrebbe giocare di
più il ruolo delle sue ambascerie nel
mondo. Per fare questo ci vuole un
grande progetto regionale. Riorientare l’emigrazione significa fornirle
degli strumenti di dibattito per fare
conoscere la Sicilia di terzo millennio, anzi che fornire soltanto l’immagine stereotipata del siculo mafioso, come in maniera incredibilmente veritiera descrive il ciclo dei
“Soprano” nella rassegna dei “seriali” televisivi. La Sicilia è tante cose
e la mafia ne è solo una parte, legata
prevalentemente all’assenza e al rifiuto di una cultura dello Stato “patrigno” verso il popolo siciliano e al
conservatorismo scellerato di chi
vuole città governate di ricchi privi
di polis, di agorà, di bisogni e obiettivi condivisi. Pensare ai siciliani
come dediti al malaffare è una bestialità. È chiaro: quando per fare
quasi tutto bisogna chiedere il permesso e quando ottenutolo bisogna
essere riconoscenti questo non riguarda più la buona educazione, ma
le diverse forme di servaggio secondo le logiche di suddito e sovrano.
La rivoluzione mancata in Sicilia,
non è quella del “separatismo” che
era comunque quasi impossibile, ma
l’altra: l’assenza di una rivoluzione
dei lumi omogenea, non ristretta a
qualche circolo di aristocratici e
borghesi illuminati. Eppure dentro
al popolo siciliano come scorse persino l’esigentissimo Mazzini, c’è
una disperata libertà che ogni tanto
urla per uscire. Prende le forme più
strane e viene costantemente disillusa. È quasi un fenomeno ciclico.
L’ultima, in ordine di tempo, è la
simpatia cosa incredibile per alcune
delle battaglie della Lega Nord. Voglio essere chiaro: se la Lega, abbandonando le etichette geografiche, si trasformasse nel partito federalista italiano (ed europeo) potrebbe godere delle mie simpatie e forse
anche di molti di voi lettori. Solo
che non è così. L’attuale Lega Nord
si è insinuata ed ha accelerato la crisi della Dc e dei partiti di governo
nordisti nella Lombardia, nel Triveneto e nel Piemonte all’inizio degli
anni Novanta. Ha sollevato il brando di Alberto da Giussano dimenticando che la “lega lombarda” difendeva gli interessi dei Comuni contro
gli “stranieri” del Nord e non quelli
del Sud. Se si ragionasse così perché un gruppo di esaltati non dovrebbe riprendere i panni dei pupi e
promuovendo una Lega sudista non
riuscisse a compiacersi agitando una
mitica durlindana? Non scherziamo.
Che il Paese già ne soffre e da anni
e l’unica cosa sensata che un siciliano può insegnare al resto degli italiani è questa: siamo sopravvissuti a
migliaia d’anni di storia e decine di
diverse contaminazioni. Il nostro
spirito è ancora vivo. Perchè crediamo nel tempo segnato dalla dialettica fra “vita” e “morte”.
E per ora, dunque, siamo immortali, ma obbedienti alle severe parole del grande Salvatore Quasimodo,
nel suo Thanotos athanatos.
E dovremo dunque negarti, Dio
dei tumori, Dio del fiore vivo,
e cominciare con un no all’oscura
pietra «io sono» e consentire alla
morte e su ogni tomba scrivere la
sola nostra certezza:«Thanatos
athanatos»?
Senza un nome che ricordi i sogni
Le lacrime i furori di quest’uomo
Sconfitto da domande ancora
aperte?
Il nostro dialogo muta; diventa
Ora possibile l’assurdo. Là
Oltre il fumo di nebbia, dentro gli
alberi
La Voce
dell’Isola
Iscritto al n° 15/2006 dell’apposito
Registro presso il Tribunale
di Catania
Registro ROC n. 16473
Editore
Mare Nostrum Edizioni Srl
Direttore responsabile
Salvatore Barbagallo
Condirettore
Marco Di Salvo
Redazione
Catania - Via Distefano n° 25
Tel/fax 095 533835
E-mail: [email protected]
[email protected]
Fotocomposizione e Stampa
Litocon Srl - Z.I. Catania
Tel. 095 291862
Per la pubblicità:
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Anno IV, nº 11~14
30 LUGLIO 2009
Gli articoli rispecchiano
l’esclusivo pensiero dei loro autori
30 Luglio 2009
4
Politica
Non si può fare politica senza imporre il ripristino degli equilibri tra Nord e Sud
Nuovo Regno delle Due Sicilie
con Lombardo e il Partito del Sud
di GIUSEPPE FIRRINCIELI
E
così il giorno dopo i risultati,
per certi versi deludenti, delle
scorse “Europee”, il presidente della Regione Siciliana e presidente del Movimento per le Autonomie, vuole ricostruire il Regno delle
Due Sicilie, con l’annessione alla
Sicilia dell’ex Regno di Napoli.
E questa volta mettendo a capo
non gli eredi della vecchia dinastia
borbonica ma quella dei Lombardo
di Grammichele.
Con il benestare di sua maestà
Silvio, sovrano intoccabile (?), il
presidente Raffaele Lombardo propone il Partito del Sud da contrapporre - si fa per dire - alla Lega di
Bossi, Calderoli e Maroni e - in senso lato – costruire un soggetto politico tale da poter equilibrare, o
quanto meno cercare di non far fare
l’asso pigliatutto alla compagine politica nordista, visto e considerato
che chi pilota le sorti dell’Italia, oggi è un nuovo “divo Giulio”, ma
questa volta della dinastia dei Tremonti; molto, ma molto legato al
Carroccio e tanto da poter rispondere a Lombardo, in merito all’attribuzione all’Isola delle risorse fiscali:
“Non possiamo riversare alla Sicilia, le accise dei carburanti prodotti
nell’Isola, perché le Sedi legali delle
Industrie petrolifere che hanno gli
stabilimenti a Gela, Priolo, Ragusa e
Milazzo, si trovano tutte nel Nord”.
Allora Raffaele Lombardo intende portare il suo MPA capillarmente
nelle regioni del Sud, rinominandolo “Partito del Sud” e cercando di
coinvolgere personaggi politici vecchi e nuovi, e magari coinvolgendo
a pieno titolo uomini dell’area sudista dell’ex Forza Italia, come Miccichè e Dell’Utri. Ma gli interrogativi
non finiscono qui. Raffaele Lombardo dovrà scegliere: o assecondare il
progetto di Berlusconi per la realizzazione del Partito del Sud e quindi
diventare parte integrante del PDL
con la possibilità di costituire un bel
gruppo in Parlamento con il passag-
Marcello Dell’Utri
30 Luglio 2009
Miccichè e Lombardo
gio di Miccichè, Dell’Utri, e persino
di Antonio Martino, e chissà quanti
altri messi a disposizione dal premier; oppure continuare a fare politica con piccoli numeri e portare
avanti il partito che oggi si definisce
MPA-Alleati per il Sud.
Ed ancora: tutti i nuovi adepti che
Lombardo ha trovato in quest’ultimo periodo al Nord e che rappresentano il MPA nelle Autonomie locali e regionali, che fa? li butterà
via?
Come possiamo vedere gli interrogativi sono tanti. Il Partito del
Sud, potrebbe diventare il tormentone dell’attuale estate, e che tormentone! In realtà di “Partito del Sud”
ne parla Gianfranco Miccichè da parecchio tempo (e quindi sull’attuazione del progetto politico aleggia
una volontà tutta berlusconiana), ma
strutturato in modo diverso da come
lo vuole il capo del MPA e cioè: la
cordata Miccichè e compagni dovrebbe fare un’alleanza con Lombardo e compagni, dove chiaramente la componente del Pdl avrebbe
una maggioranza tale da costituire
alla Camera e al Senato gruppi tanto
consistenti da essere identificati nello stesso Partito del Sud e di conseguenza diventare “gruppi forti” per
garantire la maggioranza al Governo attuale. Il Pdl, in buona sostanza,
godrebbe di appoggi di garanzia non
di poco conto e nello stesso tempo
Berlusconi potrebbe pianificare la
sua consistenza numerica con due
navi appoggio di grossa stazza: la
Lega al Nord e l’ altra Lega al Sud.
E Raffaele Lombardo acconsentirà a tutto questo? Abbandonerebbe
la leadership di un suo movimento
politico per farsi guidare da Antonio
Martino o dalla Prestigiacomo?
Calma, amici lettori. Il Partito del
Sud non nascerà né in luglio né in
agosto e neanche a settembre; di sicuro se ne tornerà a discutere. E poi,
il nostro presidente della Regione
dovrà pensare anche a fare i conti
prima con i suoi amici di partito e
poi dovrà ponderare bene le scelte
per affidare il suo partito nelle altre
Regioni del Sud. Per quanto riguarda gli amici di casa MPA, in Sicilia,
si registrano fermenti e lotte intestine.
Vedi il caso Lino
Leanza. Anche se
adesso è stato accontentato con la carica di assessore,
l’ex capo gruppo
MPA alla Regione,
ultimamente ne ha
creati di problemi, e
non di poco conto.
Nelle ultime elezioni comunali il neo
assessore regionale
ai Beni culturali è
andato contro corrente ed in contrapposizione allo
stesso movimento di cui fa parte.
Non dimentichiamo quello che ha
combinato ad Acireale: la sua corrente di partito è andata ad allearsi
con il candidato sindaco uscente
Garozzo, entrando in competizione
con il MPA ufficiale che aveva un
candidato sindaco proprio e cioè il
collega dell’Ars, D’Agostino, sostenuto dal gruppo che fa capo al senatore Giovanni Pistorio.
Manovre incredibili, ma vere e
consolidate nel tempo, visto che due
anni fa, sempre Lino Lenza, fece le
medesime scelte con le elezioni comunali di Belpasso: Alleanza del
Gruppo Leanza (scusate il bisticcio
di parole) con l’allora sindaco del
PDL Papale, parte prima, e contro il
gruppo del MPA che sosteneva l’altro candidato sindaco Santo Pulvirenti, in quota ad Alleanza Siciliana
di Nello Musumeci, con l’avallo di
Raffaele Lombardo. E Lombardo in
questo è uno sciamano, un capo carismatico che riesce a non creare
traumi tra i suoi fedelissimi.
Chissà? Cavalcare una tigre o un
asino, per raggiungere la meta del
piccolo o grande potere politico,
non fa poi tanta differenza!
La differenza nella scelta delle vie
alternative, nella terra dei gattopardi, potrebbe non suscitare scandali o
adombramenti, ma al di là dello
Stretto potrebbe proiettare un’im-
1860, anno che segnò l’annessione
del Sud ad una Italia “unita” che
servì solo a garantire lo sviluppo
economico dei popoli del nord e a
portare la fame e la misera nel sud e
a proiettare nel Nuovo Continente
d’oltre oceano esodi infiniti per un
secolo e mezzo di emigrati siciliani
e dell’intero Sud.
Non si può continuare a fare politica senza imporre il ripristino degli
equilibri di sviluppo economico tra
Nord e Sud. Se no, tanto vale che la
Sicilia torni ad essere Nazione come
lo fu in passato. I siciliani, in buona
parte di quel periodo, diedero prova
di potersi dare un governo democratico in uno
stato multietnico grazie ad
una classe dirigente siciliana, colta, preparata e all’avanguardia
(per quei tempi) in uno Stato siciliano organizzato modernamente.
Se ci avesLuigi Tomeucci sero
fatto studiare a scuola
la vera storia
del popolo siciliano (invece d’inculcare nella mente dei nostri giovani
che noi siciliani siamo stati solo e
soltanto “dominati” da popoli di
passaggio) tutti saremmo nelle condizioni di poter “affiancare” Lombardo che ha fra le mani un progetto
politico non di poco conto; e a Roma è bene che ci vada per riunire i
rappresentanti politici regionali a lui
vicini, ovvero quelli che hanno già
dato prova di impegno politico condiviso, ma anche per un altro motivo: far prestare agli stessi giuramento di impegno politico in via del Tritone, nel luogo preciso dove nel
1595 venne eretta, ad opera della
Nazione Sicilia, la chiesa di santa
Maria dell’Itria, nella cui cuspide
era scritto “Proprietas Siculorum”.
“Perché l’indipendenza è il diritto
fondamentale dei Siciliani?”
“Perché la Sicilia non ha mai rinunciato
al diritto imprescrittibile della sua
nazionalità e indipendenza che rimonta
al 12° secolo”
Dal Dialogo dei Vivi di
magine poco edificante e non condivisibile. Ma il fine di Lombardo è
tutt’altra cosa: fare attecchire un
movimento politico che proponga
l’interesse territoriale, non succube
del centralismo partitico, per garantire alla gente la vivibilità nel proprio tessuto sociale, tanto è vero che
la Lega per il nord è un valido
esempio da imitare.
Fino ad un certo punto, dicono in
molti, perché dovranno essere garantite le peculiarità di una società
civile, come il rispetto delle varie
culture e della giusta ospitalità di
una terra che si trova al centro del
Mediterraneo.
Non si può certo dimenticare la
storia, specie quella delle emigrazioni del popolo nordista fino al
La Voce dell’Isola n. 11~14
Politica
5
Anche il Ministero degli Interni aggrava la precaria situazione generale del capoluogo
Abbandonata dallo Stato?
Catania città senza Prefetto
di ANTONIO CURRÒ
C
redo che nessuno ricordi un
periodo così lungo in cui la
città di Catania sia rimasta
senza Prefetto.
Già gli amministratori comunali,
da diverso tempo, hanno abituato i
cittadini catanesi a situazioni a dir
poco imbarazzanti. Sono accaduti
fatti amministrativi gravissimi che
la città etnea non aveva mai registrato e che l’hanno trascinata alla
ribalta delle cronache nazionali ed
estere con commenti non solo poco
lusinghieri ma deleteri per l’attività
turistico-commerciale degli operatori del settore, senza contare la vergogna che chi è catanese prova
quando si confronta con altre realtà.
Non bastavano quindi lo stadio
“Massimino” in mano ai delinquenti, gli oggetti d’arte e i dipinti sottratti alle collezioni civiche, il dissesto finanziario comunale, la mortadella in Parlamento ed altre vergogne simili, adesso anche il Ministero degli Interni contribuisce ad aggravare la già precaria situazione
generale della città.
Catania è senza Prefetto dal febbraio di quest’anno. Ormai sono trascorsi sei mesi da quando il dott.
Giovanni Finazzo ha lasciato via
Prefettura per raggiunti limiti di età;
e quindi non si può dire che il Ministero sia stato colto di sorpresa.
È vero che la Prefettura non è abbandonata a se stessa, tuttavia, le
grandi capacità e la dedizione del
Prefetto Vicario, dei Viceprefetto e
dei Dirigenti che con la loro eccellente professionalità danno la necessaria continuità alle attività, non
possono sostituire l’efficacia della
figura autorevole del Prefetto che si
deve assume la responsabilità di decisioni non delegabili; senza contare
l’immagine che da di se una città
senza questa importantissima pedina.
Il Prefetto rappresenta il Governo
a livello provinciale ed è autorità
provinciale di pubblica sicurezza.
Esercita tutte le funzioni dell'amministrazione periferica dello Stato
non espressamente conferite ad altri
Uffici e vigila sulle Autorità amministrative operanti nella provincia e
vi si sostituisce, in caso di urgente
necessità, adottando le misure del
caso per mezzo delle ordinanze
d’urgenza. Nella qualità di Autorità
provinciale di pubblica sicurezza, il
Prefetto ha la responsabilità dell'ordine e della sicurezza pubblica, presiede il Comitato provinciale per
l'ordine e la sicurezza pubblica, e
coordina le Forze di Polizia.
Ma non solo. La molteplicità e la
varietà delle competenze impegna il
Prefetto nei più disparati campi che
vanno dal "sociale" e dalla protezione civile alla tutela della sicurezza,
non sottovalutando la complessa
opera tesa a rafforzare le intese e la
cooperazione tra il tessuto amministrativo statale periferico e tra questo ed il sistema dei poteri e delle
autonomie locali.
Il Prefetto svolge dunque il delicato ed importante compito, e la sua
assenza ha suscitato e suscita la giusta preoccupazione di tutte le componenti sane della città in quanto a
Catania c’è un allarme sicurezza. La
città è nuovamente sotto l’attacco
vero e proprio di bande di delinLa Voce dell’Isola n. 11~14
Sembra confermarsi
la diffusa sensazione
che la congrega
della peggiore politica
che questa città abbia
mai avuto vuole
che essa resti priva
di un’importante
figura istituzionale
e abbandonata
nelle loro mani
quenti che per interi pomeriggi si
appropriano della città. Negli ultimi
tempi da ogni parte giungono segnali di gravi e preoccupanti violazioni
dell’ordine pubblico. Sono aumentati rapine e scippi anche a danno
(episodio gravissimo e inaccettabile) di alcuni turisti. Dati ancora più
preoccupanti in una città come Catania dove non è pensabile che dietro l’impennata dei reati di strada
non ci sia la criminalità organizzata.
Diversi sono stati gli appelli al
Ministro dell’Interno, Maroni, perché è inammissibile che da sei mesi
a Catania non ci sia un nuovo Prefetto.
L’Associazione Antiracket Antiusura Etnea (ASAAE) ha lanciato un
appello al Presidente della Repubblica e allo stesso Ministro dell'Interno affinché “si faccia immediata
chiarezza e si nomini a Prefetto di
Catania una persona al di sopra delle parti”.
“Con l'aumento delle denunce siamo testimoni di una timida inversione di rotta nella coscienza dei cittadini - osserva il presidente dell'Associazione Antiracket Antiusura Et-
Palazzo Minoriti a Catania, sede della Prefettura
nea - ma assistiamo al superlavoro
della Prefettura e siamo convinti che
la legalità a Catania non possa più
restare senza spina dorsale. Il nostro
è un esercito senza comandante, non
arrendiamoci proprio adesso”.
Gli imprenditori si rivolgono a
Confesercenti. Sono preoccupati e
chiedono che le autorità competenti
intervengano per contenere il fenomeno. Confesercenti a sua volta rilancia l’allarme sicurezza in città,
asserendo che è scandaloso che in
una città come Catania, in cui l’illegalità regna sovrana, non ci sia ancora un Prefetto autorevole. Anche
la microcriminalità preoccupa la Confesercenti. Aumentano i furti nei
magazzini e nei
cantieri, gli atti
di vandalismo e
i furti di automezzi, al punto che gli
imprenditori etnei percepiscono la
sicurezza come il primo dei problemi da affrontare e l’associazione
chiede all’amministrazione comunale di intensificare i controlli sul territorio con risorse umane e mezzi
adeguati, nonostante il Governo abbia assegnato squadre di soldati anche alla città di Catania per affiancare poliziotti e carabinieri nei servizi di controllo del territorio.
Inoltre occorre che l’amministrazione si impegni a sostenere l’installazione di apparecchiature di sorveglianza e migliorare l’illuminazione
Roberto Maroni, ministro dell’Interno
Giovanni Finazzo, l’ultimo prefetto di Catania
pubblica. È necessario che imprenditori e cittadini collaborino segnalando tutte le situazioni che possano
aiutare le autorità competenti.
Il capogruppo del Movimento per
l'Autonomia al Consiglio comunale
di Catania, Salvo Di Salvo, ha inviato una lettera al responsabile del
Viminale nella quale ha espresso
preoccupazione per "la difficile situazione economica, occupazionale
e sociale in cui versa il capoluogo
etneo".
L'esponente autonomista ha rivolto poi un appello al Ministro affinché "venga nominato in tempi brevi
il nuovo prefetto di Catania poiché
il contrasto alla criminalità e il sostegno alle fasce più deboli della
popolazione, le cui difficili condizioni sociali sfociano spesso in pro-
testa, richiedono la presenza del
presidio prefettizio nei suoi pieni
poteri a difesa della legalità.
Nel mese di Aprile il consigliere
comunale, Puccio La Rosa, aveva
presentato in commissione “sicurezza e legalità” il suo progetto in grado di dare la prima e concreta risposta alla richiesta di sicurezza dei cittadini.
Il progetto prevede, accanto alle
sanzioni penali e amministrative vigenti, l’introduzione di sanzioni pecuniarie, che variano da cinquanta a
settecento euro, comminate per scoraggiare il bullismo, la prostituzione
su strada, l’occupazione illecita di
suolo pubblico e l’abusivismo commerciale, il deturpamento dei luoghi
pubblici. L’attuazione del progetto
La Rosa presuppone “la definizione
di nuovi criteri di controllo del territorio fra le forze dell’ordine, la realizzazione di squadre interforze e
della centrale unica operativa per
l’emergenza sicurezza, l’individuazione di un fondo per contrastare la
dispersione scolastica e prevenire la
devianza minorile”.
Cosa ne è stato di quel progetto?
Quante di quelle proposte sono state
attuate intanto che la microcriminalità cresce a Catania?
Che fine ha fatto il patto per “Catania sicura” del 2007, dedicato all'ispettore di polizia Filippo Raciti, e
firmato dall’ex viceministro dell'Interno Marco Minniti, dall’ex sindaco di Catania, Umberto Scapagnini,
dall’ex presidente della Provincia,
Raffaele Lombardo, e dall’ex prefetto Anna Maria Cancellieri?
Il Sindaco Stancanelli però faccia
oggi la sua parte. Non è concepibile
che una ordinanza come quella che
vieta la vendita di alcolici ai minorenni venga puntualmente disattesa.
Guardando alle zone limitrofe alla
Fiera, Catania appare una città del
terzo mondo, il corso Sicilia, quello
che una volta era il salotto di Catania, trasformato in una casbah dagli
ambulanti e dalla sporcizia (i portici
settentrionali tappezzati da manifesti e maleodoranti di urina). Ma
l’amministrazione sembra non vedere.
Al Sindaco viene chiesto di fare
quanto è in suo potere, prendendo
decisioni concrete per affrontare
l’emergenza e fare sentire subito la
presenza del Corpo dei Vigili Urbani in città. Occorre migliorare significativamente anche la presenza delle forze di polizia locale sul territorio.
Quali possono essere i motivi per
cui non si è ancora provveduto ad
una nomina per la sostituzione annunciata di un Prefetto che va in
pensione? Che nessuno abbia voglia
di sedersi su una poltrona che scotta? Oppure dobbiamo pensare (cosa
più probabile) che i “notabili” di
Catania non riescano a mettersi
d’accordo su un nome che sia di
gradimento alle loro fazioni, e che
finora non siano stati in grado di
scegliere fra i papabili una figura da
segnalare a Silvio (visto che il Ministro non sembra avere voce in capitolo nelle regioni del sud) confermando la diffusa sensazione che la
congrega della peggiore politica che
questa città abbia mai avuto vuole
che essa resti priva di un’importante
figura istituzionale e abbandonata
nelle loro mani.
30 Luglio 2009
6
Politica
Il mercato del lavoro privo di prospettive ha finito con l’indebolire la sicurezza di ogni dipendente
La piaga del precariato
nata dall’assistenzialismo
di ERNESTO GIRLANDO
S
i sa come vanno le cose nel
nostro Paese. Si introduce una
misura al fine di dare risposte
a una domanda, poniamo il caso
della richiesta di occupazione, e ci
ritroviamo a dovere fronteggiare fenomeni degenerativi come quello
dei contratti cosiddetti atipici: parttime, contratti a termine, lavoro parasubordinato. Una drammatica realtà che angustia centinaia di migliaia di lavoratori italiani in stato di
insicurezza perenne, mancanti di
ogni tutela, senza accesso ai meccanismi di anzianità, Tfr e trattamento
previdenziale, malpagati, vessati e
compressi nei loro diritti all’interno
degli schemi del mercato del lavoro.
Una tragedia che riguarda, secondo
le recenti stime del Ministero della
Funzione pubblica, 40.000 lavoratori nel solo settore pubblico. Ripeto:
solo settore pubblico. Di questi
40.000, l’80% sono al Sud e ben
20.000 lavoratori con contratti atipici, la metà della somma nazionale,
sono in forza alla Regione Sicilia.
Se si considera che regioni come la
Lombardia e il Lazio non hanno dipendenti con contratti a termine, ci
si fa un’idea della dimensione e della drammaticità del fenomeno siciliano. E se poi si tiene pure conto
che di questi 20.000 non tutti hanno
concrete speranze di ottenere un
contratto a tempo indeterminato, si
capisce ancor di più che il fenomeno sta per esplodere in tutta la sua
impressionante complicatezza.
Lo si è detto infinite volte che la
piaga del precariato è figlia di un retroterra assistenzialistico e parassitario, dal quale hanno tratto, per decenni, benefici elettorali e costruito
carriere e scalate al potere centinaia
di politici che hanno pilotato e alimentato il fenomeno, finendo per
acquisire una posizione di forza nei
confronti di una fetta dell’elettorato
ridotta all’arrendevolezza perché carente di certezze economiche e sociali. Succede spesso: si alimenta il
bisogno per rendere le persone facilmente ricattabili e spingerle a votare
chi sarà più convincente nel promettere la stabilizzazione o un nuovo
contratto ancor peggiore rispetto al
precedente. Insomma, il fondo del
fondo di un malcostume che non
cessa di stupire.
Ovviamente anche nel settore privato le cose non vanno diversamente: una giungla di contratti atipici,
dipendenti di piccole imprese appaltatrici e “terziste”, co.co.co., lavoratori a progetto, associati in partecipazione, false partite Iva, irregolari.
Un esercito di precari che porta sulle proprie spalle fragili tutta la flessibilità di cui il sistema ha bisogno.
A fronte dell’altra metà dei lavoratori italiani protetta dall’inamovibilità che genera inefficienza e spesso
posizioni di rendita inaccettabili.
Sono le due facce, l’una conseguenza dell’altra, del mercato italiano
del lavoro chiuso in un’impasse dalla quale è molto difficile uscire: poco abituati come siamo, nel nostro
Paese, al dibattito pragmatico, si discute sempre sulla base di convinzioni ideologiche e pregiudiziali,
chiusi all’innovazione, alla possibilità di ristrutturare nel suo complesso il mercato del lavoro e si finisce
per indebolire la sicurezza di ogni
30 Luglio 2009
A Comiso,
a fronte di 200
dipendenti
di ruolo,
si contano
287 precari
dipendente. Alitalia docet. Per anni
si è impedita la ristrutturazione e alla fine nessuno dei suoi dipendenti
si è potuto considerare sicuro.
Ma, come si dice, al peggio non
c’è fondo. Se dalle considerazione
di ordine generale passiamo a realtà
ancorché piccole ma concrete si
scoprono cose dell’altro mondo. C’è
un Comune, sicuramente unico nel
suo genere, che sta vivendo, sempre
sulla pelle dei più deboli, un’incredibile vicenda di precariato sconfinante oltre ogni dimensione immaginabile. È un Comune noto per altre vicende di ben altra portata e valenza, quello di Comiso, che in que-
ste incerte giornate di inizio estate
scrive una delle pagine più stupefacenti della sua storia. Un Comune di
29.000 abitanti che conta un primato: 287 precari tra ex Asu e contrattisti atipici. Un record nazionale, se
si calcola che, mediamente, ogni
Comune italiano conta duecento dipendenti di ruolo e una settantina di
precari. A Comiso, a fronte di duecento dipendenti di ruolo, si contano
duecentottantasette precari. Di questi duecentottantasette, novantotto
sono “ex articolisti” che, bontà
dell’amministrazione, accederanno
dal mese prossimo ai ruoli dell’Ente
con contratto a tempo indetermina-
to. Per gli altri centottantanove il
cerchio si chiude.
Assunti a vario titolo nei precedenti dieci anni di giunta di centrosinistra capeggiata da Di Giacomo,
si trovano a fare i conti con la dura
realtà finanziaria dell’Ente, sull’anemico bilancio del quale pesano
per una cifra che si aggirerebbe intorno ai due milioni di euro annui.
Effettivamente troppo. Il nuovo sindaco, Giuseppe Alfano, a capo di
una coalizione di centrodestra, ha
assunto da tempo l’impegno di risolvere la vicenda ponendo fine al
precariato e procedendo alla stabilizzazione, evitando però di derogare a due principi a suo dire sacrosanti: la condizione economica del
Comune e la meritocrazia. Parole
d’ordine: stabilizzare un numero di
precari aventi diritto sì, ma limitatamente alle possibilità finanziarie
dell’Ente; procedere, per il resto, ai
concorsi pubblici al fine di completare l’organico. Tutti i contratti in
scadenza – l’ultimo scaglione il 30
giugno – non verranno rinnovati,
dopodiché si procederà alla selezione. Voci non ufficiali parlano di
40/50 lavoratori atipici che verranno
immessi nei ruoli del Comune. Per
gli altri si apre la drammatica prospettiva della disoccupazione.
Ancor più drammatica se si considera la crisi che la città vive. Crisi
del comparto agricolo che sta producendo a sua volta un gran numero
di disoccupati. Fortissime difficoltà
del settore lapideo, un settore cardine nell’economia della zona, per
una drastica riduzione delle commesse che ha portato decine di imprese a licenziare o porre in cassa
integrazione i propri dipendenti.
Gravi tensioni nel settore dell’edilizia, che dopo anni di sviluppo anche
in questo caso allegro e incontrollato, vede un calo del 50%. Insomma,
tempi duri che hanno trasformato
paradossalmente il Comune nella
più grande azienda del territorio.
E non è un caso nella storia secolare di questo Ente. Da sempre, nella lunga tradizione popolare, democratica che ha caratterizzato la città
di Comiso, l’Amministrazione comunale è stata impegnata nella difesa del lavoro. Dalle lotte contadine
degli anni Cinquanta, alle storiche
agitazioni degli scalpellini e dei
braccianti della metà degli anni Cinquanta e degli inizi degli anni Sessanta.
Nel corso della grave crisi dei due
complessi industriali “La Teverina”
e l’ “Osef”, negli anni Sessanta, che
portò al licenziamento di un centinaio di lavoratori e, poi, costantemente in tante altre difficili circostanze. Il Comune ha rappresentato
sempre un baluardo salvifico nei
momenti drammatici.
Le precedenti amministrazioni
non sono aliene da colpe. Anni di
sperpero del denaro pubblico, di assunzioni facili, di ingrossamento
delle clientele elettorali, di occasioni volutamente perdute per stabilizzare almeno una parte dei precari.
La nuova amministrazione eredita
una situazione obiettivamente difficile ma non può non tener conto di
un contesto economico ed occupazionale drammatico. Nel mezzo
centottantanove persone preoccupate e incerte del loro destino. Probabilmente a pagare per tutti.
La Voce dell’Isola n. 11~14
Politica
7
A Trapani appena il 34% di presenza femminile sul posto di lavoro
Pari opportunità, nuovi strumenti
contro tutte le discriminazioni
di ALESSANDRO DE BARTOLOMEO
P
ari Opportunità e lavoro, non
sempre un binomio che cammina sui binari della semplicità in
una terra difficile e ricca di contraddizioni come la nostra.
Il legislatore ha comunque previsto
gli strumenti idonei e lo ha fatto istituendo con la legge 125/91 e successive modifiche ed integrazioni, una
figura istituzionale che svolge un
compito delicatissimo e spesso poco
conosciuto: quello delle Consigliere
o dei Consiglieri di Parità. Una organizzazione capillare diffusa su tutto il
territorio italiano, che vede anche in
Sicilia una consigliera in ogni capoluogo di provincia, ed una Consigliera Regionale.
Una strutturazione non apicale, e le
cui nomine avvengono da parte del
Ministero delle Pari Opportunità. Vari i compiti istituzionali, tra le quali
mettere in atto tutte quelle azioni finalizzate alla promozione e diffusione delle tematiche concernenti le
pari opportunità, ma anche vigilanza
e azione sul rispetto del principio di
non discriminazione, e intervento
nelle situazioni di squilibrio di
genere sui luoghi di lavoro. In aggiunta inoltre, sostegno dei lavoratori
che hanno subito una discriminazione nell’accesso al lavoro o ai
corsi di formazione, nello sviluppo
della carriera o nel livello di retribuzione, che hanno avuto difficoltà
a vivere serenamente maternità e lavoro o che siano stati licenziati perchè donne.
Il Consigliere di Parità ha facoltà
di promuovere e sostenere azioni in
giudizio (individuali e collettive) nei
casi di rilevata discriminazione basata sul sesso, e di individuare procedure efficaci per la rimozione delle
discriminazioni e delle situazioni di
squilibrio di genere sui luoghi di lavoro ricorredo innanzi al tribunale.
Abbiamo posto alcune domande
alla consigliera di Parità della provincia di Trapani dott.ssa Caterina Maria
Peraino, con la stessa abbiamo voluto
approfondire alcuni aspetti legati alle
tematiche che giornalmente tratta.
Pari opportunità, due parole che
prese separatamente, danno adito
a considerazioni opposte: quanto
oggi vi è di parità e quanto di opportunità in Sicilia per l’acceso al
mondo del lavoro per le donne?
Chiara la risposta fornita dalla Consigliera: “Statistiche e studi condotti
La Voce dell’Isola n. 11~14
La dottoressa Caterina Maria Peraino
sanciscono la mancanza di parità tra
uomini e donne tanto a livello di inserimento nel mondo del lavoro,
quanto a livello di differenziale salariale e di ascesa nelle carriere, nella
provincia di Trapani abbiamo appena
il 34% di presenza femminile sul posto di lavoro, considerando che la me-
non vengono applicate, se pensiamo
al part-time ad esempio che dovrebbe
essere uno strumento di conciliazione
per le donne per poter badare oltre al
lavoro anche gli impegni parentali,
ma che viene utilizzato come strumento di reclutamento del personale
e non come possibilità concessa al la-
Lavoro e carriera oggi, più opportunità per le donne o per gli uomini?
“Bisogna fare una certa differenza
tra quello che è il settore pubblico e
quello privato, perché spesso il settore privato, oggi più che mai, non
sono lavori full-time, o a tempo inde-
A livello formale le leggi in Italia ci sono e sono le migliori
d’Europa, ma dal punto di vista sostanziale non vengono applicate
dia nazionale è intorno al 56% in alcune zone del nord-est, e non tenendo
conto della attuale crisi congiunturale, siamo decisamente lontani”.
Le opportunità, non ci sono se
vogliamo analizzare bene le due parole. Ma a cosa è dovuto secondo lei
tutto ciò?
“In Sicilia in particolare le donne
sono più scolarizzate rispetto agli uomini, a livello formale le leggi in
Italia ci sono e sono le migliori in
Europa, dal punto di vista sostanziale
voratore in particolari momenti della
sua vita lavorativa, succede sembra,
ma non abbiamo a tal proposito denunce a corredo almeno in questo
territorio, di uomini e donne che svolgono un lavoro in cui ad una busta
paga corrisponda un pagamento con
assegni che vengono scambiati regolarmente e poi resi per la metà, ecco,
sono cose che purtroppo ci raccontiamo con Inps, o Ispettorato del Lavoro, ma vai a trovare chi denuncia,
perché non c’è alternativa”.
terminato, ecco le posizioni sono più
delicate a quel punto si spera soprattutto di tenere il posto di lavoro più
che fare carriera, ma a condizioni
migliori dove la donna che lavora in
una grande azienda anche privata,
che ha un contratto di lavoro a tempo
indeterminato, si lavora full-time,
dove l’azienda punta su di lei con la
formazione, le opportunità di crescita
ci sono ma non quanto l’uomo, perché purtroppo ci sono ancora dei retaggi culturali da parte del manage-
ment aziendale che puntano sul lavoratore uomo, perché il lavoratore uomo ha più tempo da dedicare alla
azienda e la donna vuoi o non vuoi
prima o poi avrà il problema della
maternità con le annesse assenze,
cose che il datore di lavoro considera
una seccatura, anche se poi non ha
difficoltà ad applicare la normativa.”
Con la consigliera abbiamo inoltre
accennato a due fenomeni latenti eppure presenti nel nostro tessuto sociale: il Mobbing e lo Stalking.
Ma quali cifre e che dati rispetto
a queste problematiche? Le abbiamo domandato.
La risposta fornita è in linea: “Per
quanto riguarda il mobbing e lo
stalking, io ricevo molte persone in
questi due settori soprattutto lavoranti nel privato, denunciando molestie soprattutto sul posto di lavoro,
in genere il mobbing scaturisce dal
rifiuto alla molestia, tu non ci stai e
te la faccio pagare in svariati modi,
purtroppo ancora oggi manca una
legge ad hoc sul mobbing, e i dati
sono alquanto lacunosi, perché riuscire a dimostrare di essere vittime di
mobbing non è facile, perché potresti
basarti sulle testimonianze, ma un
collega o una collega pur con la solidarietà espressa, difficilmente testimoniano per paura di perdere il loro
posto di lavoro, manca essenzialmente nel mobbing la cultura della
denuncia, a differenza dello stalking
dove in base al decreto ultimo, ad esempio una volta individuato l’individuo molestatore lo si può fare prima ammonire giudizialmente”.
Oggi cosa non dicono le donne?
“A mio modo di vedere, le donne
non dicono di essere vittime di violenza, perché soprattutto prima di
acquisire quella consapevolezza che
con tutto quello che alla fin fine si
stà facendo a cominciare dal corso di
criminologia del 2008 alla presenza
del prof. Mastronardi dell’Università
La Sapienza di Roma, a cominciare
da quello, la finalità che io personalmente avevo è quella di svegliare le
coscienze, sensibilizzare le istituzioni
sul tema, e sensibilizzare le donne
che il più delle volte sono vittime e
non sono consapevoli di esserlo,
quello che non dicono e quello che
non pensano sia sbagliato, dovuto
soprattutto al tipo di cultura dominante che vede la donna sopportatrice, per me non è così, credo nel
matrimonio, nella famiglia, ma nel
rispetto delle regole e dei ruoli”.
30 Luglio 2009
8
Politica
Tante le ottime premesse del Consorzio, ma oggi l’Ateneo è sommerso dai debiti
Le speranze dell’Università iblea
stanno svanendo come neve al sole
di ERNESTO GIRLANDO
L
e premesse erano ottime. Le
speranze tante. Il progetto
dell’Università degli iblei
nacque, quindici anni or sono, nell’ottica di un’interlocuzione attiva
con il territorio. Al momento della
fondazione del Consorzio universitario ragusano, la speranza fu quella
di far assurgere l’Ateneo a parte
operante del territorio ibleo. Di trarre da esso quel patrimonio di conoscenze, di saperi, aderente alla locale realtà culturale e d’impresa, da
porre al servizio dello sviluppo anche economico della ferace terra del
ragusano. Ma le aspettative e i progetti, pur speranzosi e nutriti dalle
migliori intenzioni, si sa, sono solo
una piccola parte della realtà e la realtà stessa è, a sua volta, una piccola
parte di ciò che viviamo. L’Università iblea è stata, di fatto, un’altra
cosa. Una piccola realtà universitaria simile a tante altre piccole realtà
universitarie decentrate. Se vogliamo farla breve, un esamificio dove
sistemare docenti in cattedra e assegnare qualche posto di sottogoverno. Nulla di più.
Trascinatasi per anni tra mille difficoltà, soprattutto economiche, riflesso delle croniche difficoltà finanziarie degli enti locali che compongono l’assetto societario del
Consorzio, al primo vero scossone è
andata giù. L’edificio è crollato ingloriosamente, all’ennesimo mancato pagamento delle quote che, secondo le varie convenzioni stipulate
il Consorzio si impegna a versare
all’Università degli Studi di Catania.
Ma la vicenda è complessa e non
priva di colpi di scena. Tutto ha inizio nel corso della seduta del Senato
accademico etneo del 23 marzo
scorso che delibera di non attivare
per l’Anno accademico 2009/2010
il nuovo ciclo dei corsi di laurea di
Ragusa in mancanza del pagamento
degli importi dovuti entro il 31
maggio. Il Consorzio si impegna
fragorosamente a procedere in breve
ai pagamenti, “ovvero a fornire idonea garanzia”. Tutto sembra procedere per il meglio quando arriva il
primo colpo di scena: il 5 giugno la
pubblicazione del Manifesto degli
Studi, sancito da un decreto rettorale, cancella di fatto i corsi decentrati. Ragusa subisce il danno maggiore con il blocco delle immatricolazioni al primo anno delle quattro facoltà con sede nel capoluogo: Lingue, Giurisprudenza, Agraria, Medicina e Chirurgia. Potranno continuare i corsi per gli altri anni fino ad
esaurimento. Ancora peggio per le
facoltà di Scienze del Governo e
dell’Amministrazione con sede a
Modica e Informatica applicata con
sede a Comiso, che, secondo il Manifesto degli Studi, tornano in toto a
Catania dove saranno completati i
corsi già a partire dal prossimo anno
accademico. Un vero colpo di spugna che cancella il futuro dell’Università in provincia di Ragusa.
Ma come si è arrivati a questa
drastica decisione degli organi di
governo dell’Ateneo catanese? La
questione covava da tempo e, come
capita di solito, non è chiara fino in
fondo. Almeno non sono chiare le
colpe e il rimpallo delle responsabilità non facilita la comprensione.
Da una parte c’è la politica – come sempre purtroppo – con le sue
fosche e farraginose cattive abitudi-
Ragusa Ibla, l’ex Distretto militare oggi sede dell’Università iblea
tante occasioni di maneggio e di
sottogoverno. Dall’altra l’Ateneo
catanese che reclama crediti che non
vengono mai onorati nonostante
transazioni, impegni e promesse.
Basta dare uno sguardo veloce all’entità delle cifre per capire di cosa
stiamo parlando. L’Università etnea
vanta da anni un credito nei confronti del Comune di Comiso di 825
Anni di cattiva amministrazione
del Consorzio universitario vengono
alla luce nella loro drammatica realtà
e cancellano in un sol colpo quella che era
stata una conquista per il territorio
ni, dall’altra un sistema accademico
che batte evidentemente ritmi e logiche diverse. Da una parte c’è un
Consorzio universitario che ha come soci la Provincia e i Comuni di
Ragusa, Comiso, Vittoria e Modica,
con un consiglio di amministrazione
al quale si accede attraverso nomine
che non contemplano parametri di
competenza, di prestigio culturale,
scientifico e quant’altro, ma solamente logiche di appartenenza e di
lottizzazione di poltrone. L’Università viene vissuta come una delle
mila euro a fronte dell’unico pagamento ricevuto ammontante alla
bellezza di 12.500 euro. Il Comune
di Modica deve una somma che si
Palazzo dell’Università a Catania. Nel riquadro, Antonino Recca rettore dell’Università di Catania
30 Luglio 2009
aggira sui 7 milioni di euro. Il Comune di Ragusa e la Provincia regionale sono a loro volta in ritardo
per le loro spettanze che assommano a circa 1 milione e mezzo di euro. Cifre ovviamente considerevoli
nell’economia della gestione universitaria catanese.
Anni di cattiva amministrazione
del Consorzio universitario vengono
alla luce nella loro drammatica realtà e cancellano in un sol colpo quella che era stata una conquista per il
territorio ibleo, per migliaia di giovani studenti, per le loro famiglie e
per un agevole accesso a un diritto
fondamentale quale quello allo studio. Giovanni Mauro, presidente del
Consorzio, recita la scena della vittima. Minaccia di adire le vie legali
al fine di ottenere “risarcimenti sia
morali che materiali” e assicura che
l’attività universitaria negli iblei
non avrà fine a seguito dell’inopinata decisione del Rettore catanese, riservandosi di rivolgersi ad altri atenei italiani pur di dare continuità ai
corsi già esistenti. Per amor del vero, Mauro paga colpe non sue in
quanto appena eletto presidente del
CdA a seguito delle recentissime dimissioni del suo predecessore Peppe
Drago, fattosi da parte a causa delle
note vicende giudiziarie che lo hanno colpito.
Tuttavia è una presidenza, la sua,
in perfetta continuità con un malcostume che grava maledettamente su
ogni ente, ogni organo, ogni ambito
eretto a rifugio di tutti i trombati
della cosiddetta Casta politica. L’ex
deputato nazionale Mauro, l’ex sen.
Gianni Battaglia, l’ex deputato regionale Sebastiano Gurrieri, l’ex deputato regionale e nazionale Saverio
La Grua: una nutrita schiera di ex
con tanto di poltrone e retribuzioni,
ma carenti, alla prova dei fatti, delle
doti necessarie di buona volontà, di
governance, di conoscenza del mondo accademico che forse avrebbero
consentito una prospettiva decorosa
e un futuro all’Università iblea.
Tutto sembra perduto. Poi l’altro
colpo di scena: la politica, con le
sue infinite strade, vince il secondo
round. Il Ministro Gelmini, nelle cui
mani viene affidato il caso, riesce
nella mediazione e riapre i termini
della questione. L’accordo si chiude
in breve. Il Consorzio rinuncia all’azione legale, alla quale aveva già
dato corso, e il Rettore Antonino
Recca, che sembrava irremovibile,
acconsente alla riapertura delle immatricolazioni per le facoltà di Lingue, Agraria e Giurisprudenza, mentre i corsi di Medicina saranno trasferiti a Catania: troppo dispendiosi
e ingestibili per mancanza di strutture adeguate.
Sorte diversa per Comiso e Modica che non riavranno le immatricolazioni a, rispettivamente, Informatica applicata e Scienze del Governo
e dell’Amministrazione, ma manterranno i corsi a partire dal terzo anno. Inoltre il Consorzio si obbliga a
versare all’Università di Catania, in
due rate, l’importo di €
2.460.101,47 a saldo di quanto dovuto per l’A.A. 2008/2009, pena la
disattivazione dei primi anni dei
corsi riattivati.
Ma è vera gloria? L’ardua sentenza non tarderà ad arrivare. La convenzione ha una sola vera certezza:
la disattivazione dei corsi se il Consorzio non pagherà. Cioè se non pagheranno il Comune di Ragusa e la
Provincia regionale. Di soci privati
manco a parlarne: nessuno è disposto a contribuire alle spese.
Futuro incerto, dunque. Ancor più
incerto se si considera l’entrata in
vigore della riforma 270 che cambierà l’offerta formativa e gli scenari dell’Università italiana. La domanda è: sarà possibile mantenere
almeno un corso di laurea negli anni
successivi all’A.A. 2010-2011 visti
gli standard di qualità richiesti dal
governo nazionale e l’anemica disponibilità di fondi del Consorzio
universitario ragusano? Allo stato
delle cose non c’è da scommetterci
un centesimo.
I corsi sono momentaneamente
salvi grazie anche a una mobilitazione degli studenti e del territorio.
Speriamo di salvare quel che sarà
ancora salvabile del sogno universitario ibleo. Ma per favore, che per
una volta la realtà sia quella vera.
La Voce dell’Isola n. 11~14
Politica
9
Il capoluogo non è immune da segnali di malefatte che provengono da ogni parte della vita civile
Siracusa è una città “babba”?
Le apparenze spesso ingannano
soprattutto) sulla vita e la salute della gente, che nei Palazzi della politica viene modificata e “controllata”
ad uso e piacimento su precisi programmi che vertono al raggiungimento e al consolidamento del potere.
Ma dove è andata a finire le coscienza dell’uomo? E che ruolo copre lo stesso all’interno del macabro
sistema pubblico? Ma, per fortuna,
quanti ad oggi si sentono sicuri e
protetti all’interno di questo sistema
anarchico, vedranno presto sfaldarsi
lentamente il terreno dove hanno
creduto di consolidare grattacieli
immuni da crolli.
Il count down è già iniziato, anche se non percepibile, perché da
costoro capire quando è giunto il
tempo di fermarsi e di chiedere scusa alla collettività per i danni loro
causati dal soggettivo ma plenario
comportamento. Per certi versi, non
molto discordanti per il principio di
causa ed effetto, i Palazzi deputati
alla politica sembrano la base di Gakona, e chi vuol intendere intenda.
Mi chiedo, a che cosa sono servite le morti onorevoli ed eroiche di
Falcone, di Borsellino, di Dalla
Chiesa (e si potrebbe proseguire ad
libitum) se non si è capito che il
marcio viene “generato” dal modo e
dal sistema di fare politica? Ma veramente dobbiamo ancora assistere
di GIANNI TOMASELLI
I
l ventunesimo secolo sarà certamente caratterizzato da una svolta epocale che darà la giusta collocazione dell’Uomo all’interno della filosofia dell’ecobioumanesimo.
Ma ancora siamo distanti nel vedere
il risveglio delle coscienze, la parità
dei diritti, l’uomo al centro dell’esistenza, il crollo del potere, quello
becero ed egoisticamente personale.
Anche la nostra città, Siracusa, non
è immune da segnali di potere che
provengono da ogni parte della vita
civile e non.
In questo numero, ci corre l’obbligo parlare di quanto recentemente si è verificato all’interno del Consiglio Comunale di Siracusa, tanto
per prendere un esempio di come si
gestisce il potere a discapito della
cittadinanza (leggasi di chi ha dato
il potere agli eletti). I fatti. Da anni,
una nota associazione non lucrativa
che si occupa di prevenzione per la
lotta contro i tumori, con lusinghieri
risultati sul campo dell’intercettamento precoce di neoplasie, svolge
un servizio di trasporto gratuito con
i propri pulmini che, da Siracusa a
Catania, assiste al trasporto i malati
oncologici bisognosi di cure radioterapiche. Le spese per la copertura
della gestione gratuita di questo servizio, vengono richieste annualmente all’amministrazione comunale di
Siracusa che, sistematicamente, annaspa tra le pieghe del bilancio, per
poter “raschiare” il necessario e garantire il servizio a centinaia di persone che hanno bisogno di sottoporsi a Catania per le cure radioterapiche del caso.
Un piccolo inciso. Siracusa, notoriamente capoluogo del “triangolo
della morte” (Priolo-AugustaMelilli) non dispone ancora del servizio di radioterapia, pur essendo tra
le province del sud Italia dove si riscontrano i più alti casi di tumore
grazie anche all’incontrollato sviluppo industriale che miete decine
di vittime l’anno (basta consultare i
dati recenti pubblicati nel Registro
Tumori). Si tratta di disattenzione
politica? O di programmata cultura
del disfattismo? Ma ritornando al
discorso di prima, quindi, ogni anno
per racimolare un pò di quattrini da
spendere in servizi indispensabili
(direi vitali) per la popolazione, i
Consiglieri Comunali fanno come le
talpe, annusando sempre ciò che per
loro sia di personale ritorno e disat-
Il palazzo di città di Siracusa
tendendo il mandato che gli è stato
conferito dagli elettori.
Cronaca. Durante una recente seduta del Consiglio Comunale, si è
ripresentato il problema di trovare i
fondi necessari per sostenere il ser-
Nei Palazzi della politica viene modificata
e “controllata” ad uso e piacimento su precisi
programmi che vertono al raggiungimento
e al consolidamento del potere
vizio del trasporto per i malati oncologici ma, (udite, udite!) con la
complicità di quasi tutto il Consiglio, veniva presa in considerazione
Una seduta del consiglio comunale aretuseo
La Voce dell’Isola n. 11~14
la proposta avanzata dal Consigliere
Giovanni Raddino, medico chirurgo
eletto il 31 luglio 2009 tra le fila
dell’UDC. Quale la proposta? L’acquisto di un pulmino Oncobus per
espletare il servizio (in foto copia)
già da anni attuato dall’associazione
e che deve tribolare per il rinnovo
della convenzione. Mi chiedo: ma
se non si trovano i fondi per soste-
nere un servizio già collaudato e necessario per i malati di tumore, con
quale faccia si può presentare la richiesta di trovare ulteriori fondi per
“clonare” un servizio esistente? La
risposta sta in una parola: POTERE.
Il gruppo dell’UDC ha minacciato
di bocciare il max emendamento inserito nell’ordine del giorno se, con
la passiva complicità della maggioranza, non fosse stata accettata la
proposta presentata dal Raddino.
E allora? Di cosa stiamo parlando? Di ricatto o di potere? Di democrazia o di regime? Di valori o di nichilismo? Siamo arrivati veramente
alla frutta! Si gioca, ormai, anche (o
a sacrifici di Uomini puri e onesti
per porre fine a questo disumano
stillicidio di valori dove l’uomo è
posto all’ultimo gradino rispetto allo sclerotico potere. Uomini di buoni costumi e sani principi, preparatevi a breve a vedere in diretta la fine e il crollo di quanti ad oggi si reputano eterni e indistruttibili.
Si avvicina finalmente la fase del
cambiamento, dove l’uomo vedrà la
propria dignità al centro della vita
sociale e dove i “furbi” verranno
emarginati e condannati a vivere
nell’onestà a loro molto ostile, costretti a trasformare il potere anarchico in potere fronesofico.
30 Luglio 2009
10 Sanità
ALIMENTAZIONE - Nuovi disturbi colpiscono la quasi totalità della popolazione
Un fenomeno che in Sicilia
si sta diffondendo rapidamente
di ALESSANDRO DE BARTOLOMEO
C
ome si può leggere nella prefazione allo studio PASSI
(Progressi delle Aziende Sanitarie per la Salute in Italia) riferito
al 2007 che porta la firma in calce
dell’assessore regionale alla Sanita
on. Massimo Russo “L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha recentemente riaffermato come la spesa sanitaria sia oggi condizionata
dal progressivo incremento di problemi di salute derivanti dalla diffusione di cronicità legate, da un lato,
all’incremento della durata media
della vita e, dall’altro, all’aumento
di frequenza tra la popolazione di
stili di vita inadeguati “. Secondo lo
stesso rapporto, in Sicilia, il 4% delle persone intervistate risulta sottopeso, il 49% normopeso, il 32% sovrappeso e il 15% obeso. Il dato che
deve fare riflettere è però un altro:
emerge infatti una sottostima del rischio per la salute legato al proprio
peso: solo il 40% percepisce il proprio peso come “troppo alto”, il
34% è aumentato di peso nell’ultimo anno e la maggior parte giudica
la propria alimentazione in senso
positivo. I risultati indicano la necessità di promuovere una maggiore
consapevolezza del ruolo dell’alimentazione nella tutela della salute
e nella prevenzione delle malattie e
di favorire lo sviluppo di comportamenti virtuosi attraverso l’adozione
di iniziative ed interventi di provata
efficacia, anche perché all’orizzonte
si affacciano due fenomeni in costante crescita, lo sviluppo dei disturbi dell’alimentazione ed l’obesità. Entrambi, benché molto differenti tra loro, rappresentano oggi una
minaccia soprattutto tra le generazioni più giovani, anche in Sicilia.
Allarme sociale? Forse è troppo presto per poterlo affermare.
A tal fine, primo di una serie di
incontri conoscitivi che ci introdurranno nel difficile mondo delle patologie dedicate ai DCA (disturbi
del comportamento alimentare – ndr
-) abbiamo contattato ultima ma non
ultima una Associazione che da anni
opera su scala nazionale e che da
quest’anno ha deciso di “scendere in
campo” in Sicilia, aprendo una propria unità operativa:stiamo parlando
dell’AIDAP acronimo di Associazione Italiana Disturbi dell’alimentazione e del Peso.
Lo spunto lo ha dato il recente
convegno organizzato a Trapani
presso l’Hotel Cristal lo scorso 20
Giugno alla presenza del Professore
Riccardo Dalle Grave presidente nazionale AIDAP, del Professore Salvatore Corrao della Facoltà di Medicina dell’Università di Palermo, del
dr Angelo Bastianini responsabile
del Servizio territoriale Pneuomologia della AUSL9 di Trapani e dei
dottori Gioacchino Allotta responsabile ambulatorio diabetologia ospedale Sant’Antonio Abate di Trapani, e Luigi Piazza Primario di
chirurgia dell’obesità presso
L’Ospedale Vittorio Emanuele
dell’Università di Catania.
Ad oggi l’unica sede della associazione su tutto il territorio siciliano è quella apertasi a Trapani, il surplus per chi si rivolge alla equipe di
professionisti è rappresentato dall’approccio multidisciplinare alle
varie problematiche, non limitando30 Luglio 2009
Antonino Faillaci
si solamente alla sfera psicologica.
Abbiamo ascoltato il Responsabile
scientifico della Unità Operativa
Locale dottore Antonino Faillaci il
La sua risposta: “L’azione dell’AIDAP è diretta ad incrementare
la cultura, l’informazione e la prevenzione sui disturbi dell’alimenta-
che se la classificazione verrà aggiornata entro il 2009 al momento i
Disturbi dell’Alimentazione, che si
definiscono come persistenti disturbi del comportamento alimentare o
di comportamenti finalizzati al controllo del peso, che danneggiano la
salute fisica o il funzionamento psicologico e che non sono secondari a
nessuna condizione medica o psichiatrica conosciuta, si distinguono
in Anoressia Nervosa, Bulimia Nervosa e disturbi atipici, il più importante fra i quali è il disturbo da alimentazione incontrollata, legato
all’obesità”.
Termini medici, parole che racchiudono al loro interno profonde
lacerazioni esistenziali, storie e situazioni che causano spesso anche
C’è la necessità di promuovere una maggiore consapevolezza del ruolo
dell’alimentazione nella tutela della salute e nella prevenzione
delle malattie e di favorire lo sviluppo di comportamenti virtuosi
attraverso l’adozione di iniziative ed interventi di provata efficacia
quale ci ha concesso gentilmente un
po’ del suo tempo per un breve
scambio di opinioni.
Al dottore abbiamo chiesto essenzialmente di che cosa si occupa attualmente l’AIDAP in Sicilia?
zione e sull’obesità.”
Ma i Disturbi dell’alimentazione quali sono ed in quanti tipi si
suddividono?
La sua risposta è stata come avevamo chiesto molto sintetica: “An-
relazioni sociali interrotte. Ma Ci
sono dati sulla diffusione del fenomeno in Sicilia? “Mancano dati
epidemiologici certi. Tuttavia bisogna considerare che la Sicilia è fra
le regioni a più elevata incidenza di
obesità e sedentarietà, mentre i pochi servizi esistenti sono sovraffollati e molti siciliani affetti da queste
patologie si recano nelle regioni del
Centro Nord per farsi curare. Nell’attuale situazione economica regionale sembra difficile ipotizzare
che le cose miglioreranno”. Pessimismo, o forse cruda realtà? Le sue
considerazioni devono fare riflettere.
Al Dottore Faillaci abbiamo inoltre chiesto Come è possibile identificare i soggetti a rischio? “L’identificazione dei soggetti a rischio è
possibile in base al riconoscimento
dei comportamenti patologici: la
dieta ferrea, l’esercizio fisico eccessivo e compulsivo, il vomito, il digiuno prolungato, ma anche atteggiamenti come pesarsi spesso, evitare di esporre il corpo in pubblico,
avere pensieri negativi e frequenti
su peso, forme corporee e controllo
dell’alimentazione”.
Ma cosa fare una volta identificati? “La cosa migliore che si può
fare è rivolgersi a degli specialisti
in terapia dei D.A. non a qualsiasi
psicologo e/o nutrizionista, poiché
l’approccio terapeutico deve essere
integrato e gli operatori devono
possedere una formazione specifica.
In molti casi l’intervento nelle prime fasi risolve il problema rapidamente. Quindi mai sottovalutare il
problema o avere paura delle conseguenze o, peggio ancora, mostrare vergogna e nascondersi dietro
improbabili giustificazioni”.
Cosa pensa del fenomeno delle
diete “fai da te”? “Beh, Se esiste
un modo per favorire lo sviluppo di
nuovi casi questo è sicuramente il
migliore. Modificare caratteristiche
biologiche come peso e forme corporee può essere molto pericoloso,
soprattutto se a provarci sono soggetti sani, di peso normale o in leggero sovrappeso e per motivi esclusivamente estetici. Bisogna fermamente respingere e tener lontani dai
propinatori di diete soprattutto i più
giovani.
Una ultima domanda:
A chi consiglia di rivolgersi?
“Chiunque abbia dei dubbi o voglia
segnalarci dei casi o delle esperienze può inviare una mail all’indirizzo
[email protected], oppure telefonare allo 0923 554244. È utile
inoltre consultare il sito www.positivepress.net/aidap, molto completo
perchè contiene informazioni scientificamente corrette sulla materia.
La Voce dell’Isola n. 11~14
Sanità 11
Dopo i tagli, Massimo Russo a Caltagirone per riaprire il dialogo
Una visita assessoriale
per spegnere le polemiche
di OMAR GELSOMINO
U
na visita presso l’ospedale
Gravina di Caltagirone per
“spegnere polemiche inutili
e strumentali”. È stato il commento
della visita a Caltagirone dopo le
polemiche dei giorni scorsi apparse
sui media regionali e nazionali. “Sono sicuro che questa riforma darà al
cittadino prestazioni sicure, rapide
ed efficienti all’interno di un’organizzazione diversa e funzionale al
raggiungimento di questo obiettivo
– ha dichiarato l’assessore regionale
alla Sanità Massimo Russo -. Temo
come amministratore l’applicazione
della riforma, perché ci siamo dotati
di uno strumento molto valido, che
altre Regioni ormai ci invidiano,
proprio per la linearità e l’originalità
del modello che abbiamo disegnato,
molto puntuale rispetto all’esigenza
della nostra comunità regionale, sono preoccupato perché dovremmo
mettere in atto un’imponente opera
di riconversione industriale con
tempi e procedure che riguardano
l’aspetto tecnico, giuridico, sanitario
e finanziario ci stiamo attrezzando
per fare questo e conto sull’aiuto, la
condivisione e la pazienza dei pazienti. Il giro all’interno dell’azienda ospedaliera Gravina è proseguito
insieme al direttore generale Carlo
Romano, il direttore amministrativo
Giacomo Medulla, il direttore sanitario Ferdinando Di Vincenzo ed il
personale amministrativo per rendersi conto della struttura ma soprattutto delle moderne attrezzature
di cui si sta dotando il Gravina per
quanto riguarda il primo soccorso.
“Rispetto all’istanza del potenziamento del servizio sono pronto a
corrispondere alle richieste che vengono dagli operatori – ha continuato
l’assessore Russo -, perché questo
sistema che abbiamo delineato va
incontro a questo tipo di richiesta,
manca la risonanza magnetica, stiamo facendo il piano degli strumenti
diagnostici a livello regionale, se
questo territorio è sfornito di un
macchinario così importante ormai
nella vita operativa di una struttura
sanitaria provvederemmo affinché si
abbia a Caltagirone così come provvederemmo a fare la rete dell’oncologia perché non accada che le radioterapie siano concentrate solo in
alcune province e che qualche sfortunato che già porta i segni di una
terribile malattia debba fare centinaia di chilometri per avere le radia-
La Voce dell’Isola n. 11~14
Nelle foto, l’assessore alla Sanità Massimo Russo (al centro) durante la visita presso l’ospedale Gravina di Caltagirone
zioni positive. Questa è la sanità che
stiamo costruendo, quella di avvicinare i servizi al territorio, in modo
uniforme lasciando soltanto a Catania e a Palermo la realizzazione di
quelle eccellenze, per le quali oggi
un cittadini va in alcune regioni, ma
rone questo mio tour per rendermi
conto direttamente di ciò che manca
e di ciò che la gente e gli operatori
hanno bisogno e che di fronte a questo tipo di richiesta intendo corrispondere puntualmente, ma all’interno di un quadro organico di rife-
giro nelle strutture sanitarie siciliane
in vista dell’applicazione della riforma proprio da Caltagirone che ha
vissuto un momento di disagio
espresso in forma incivile, inaccettabile e intollerabile, anche per rassicurare gli operatori, la comunità
Un giro all’interno dell’azienda ospedaliera Gravina è proseguito insieme
al direttore generale Carlo Romano, il direttore amministrativo Giacomo
Medulla, il direttore sanitario Ferdinando Di Vincenzo ed il personale
amministrativo è servito all’assessore regionale per rendersi conto della struttura
ma soprattutto delle moderne attrezzature di cui si sta dotando l’ospedale Gravina
l’eccellenza è tale se ci sono dei servizi funzionanti ed una eccellente
normalità. Dobbiamo avvicinare i
servizi a tutte le province e ai cittadini in modo tale che si possano fare
le vere eccellenze che servono a infrenare la mobilità verso le altre regioni. questo è l’impegno che sento
di assumere. Ho iniziato da Caltagi-
rimento e di progetti. In Sicilia è
mancata la programmazione, sono
mancati gli obiettivi ed i controlli,
questi sono i principi che io reclino
ogni giorno”. Di fronte alle proteste
dei giorni scorsi in seguito all’approvazione della riforma sanitaria
l’assessore regionale Russo ha replicato: “Ho voluto iniziare questo mio
che stiamo togliendo solo la veste
giuridica, mancherà la parola azienda dal cartellone ma il resto rimarrà,
anzi lo vogliamo migliorare, guardando proprio alle prestazioni e non
certo lasciandoci risucchiare da polemiche inutili sulla caratterizzazione che deve avere questa struttura.
Ci sono delle legittime preoccupa-
zioni e questo sereno anche se vivace confronto con gli operatori credo
che abbia consentito di far cogliere
qual è la voglia che ha l’assessore di
corrispondere al bisogno del territorio, all’interno di scelte politiche
ben precise che hanno visto l’eliminazione di dodici aziende su tutto il
territorio regionale con criteri uniformi per tutti. Nella legge è prevista la possibilità che l’organizzazione dell’azienda sanitaria provinciale
delle province di Catania, Messina e
Palermo possa essere diversificata
in ragione del numero di abitanti, la
legge prevede che all’interno del bacino possano ritagliarsi dei moduli
organizzativi, delle iniziative in ragione della specificità del territorio,
ci sono tutti gli spazi per corrispondere alle esigenze di un territorio
importante come quello del Calatino”. L’assessore regionale alla Sanità ha poi visitato anche la struttura
riabilitativa del Gravina, in località
Santo Pietro a Caltagirone e successivamente ha incontrato i sindaci dei
comuni che ricadono nel distretto
sanitario.
30 Luglio 2009
12 Sanità
L’esperienza di un giovane medico in un ospedale australiano
Nazioni lontane a confronto:
un tirocinante catanese a Melbourne
di SEBANIA LIBERTINO
S
pesso, noi siciliani ci lamentiamo degli ospedali sia per il
servizio che per le strutture …
ma esageriamo oppure siamo davvero nel Terzo mondo? Forse, in
piccolo, una risposta può fornirla
l’esperienza del dottor Costantino
Terranova, specializzando in Anestesia e rianimazione all’Università
degli studi di Catania, reduce da
un’esperienza di sei mesi in Australia, dove ha prestato servizio sia in
piccoli centri come Darwin che in
grandi città quali Melbourn.
Anzitutto, ci descrivi brevemente come sei riuscito a fare un periodo di tirocinio in Australia?
Esiste una sorta di Erasmus oppure sono collaborazioni che aveva il tuo tutor?
Il nostro corso di specializzazione
prevede un periodo di sei mesi al di
fuori dell’Ateneo sia in Italia che all’estero. Io ho deciso di andare in
Australia, ci ero stato in viaggio di
nozze e mi aveva affascinato, ed il
mio supervisore ha trovato un contatto a Darwin. Lì ho studiato il sistema trauma, in particolare, ero andato per acquisire dati clinici per la
specializzazione.
E come sei finito melbourn?
L’ospedale di Darwin aveva un
grande bacino d’utenza, era attrezzato per i grandi disastri, specie in
aiuto del Sud-Est asiatico. Ma è anche l’ospedale della città, e lì non
succede niente! La città ha 200.000
abitanti ma è veramente tranquilla.
In un mese non ho fatto granché.
Basti pensare che l’Italia ha una
densità di 199 abitanti per km2 mentre il territorio del Nord dell’Australia ha 0,1 abitanti per km2. Così ho
chiesto al referente australiano ed al
Prof. in Italia di andare in una città
“più calda”, perché avevo bisogno
di collezionare casi clinici, così di
mia iniziativa mi sono spostato a
Melbourne e sono andato a chiedere
all’ospedale “the Alfred”. Mi hanno
dimostrato una disponibilità piena,
cosa che non mi aspettavo dato che
il dr. Costantino Terranova
mi presentavo senza alcun referente,
o megli oli ho inseriti nel curriculum ma non mi aveva presentato
nessuno. Così dmi sono spostato a
Melbourne.
E questo non ha indisposto nessuno?
Sul momento credo di si, ma rientrato a Catania ho ottenuto i complimenti dei miei referenti, sia italiano
che australiano per la mia tenacità e
intraprendenza!
Inoltre ha coordinato i volontari,
davvero tantissimi che hanno provveduto alla sistemazione delle tendopoli, la raccolta e distribuzione di
viveri, vestiti ecc. per le popolazioni
colpite.
L’spedale ha modificato la sua
struttura per gestire l’emergenza?
No l’ospedale è molto grande, ha
90 posti di terapia intensiva, ha un
grosso centro ustioni. L’Ospedale è
servito da tre elicotteri, uno serve il
Terranova: “Australia: rispetto per gli altri. Italia: fregare
il prossimo. Si possono riassumere così le filosofie di vita
e di intervento nei due Paesi secondo la mia esperienza”
Adesso, una domanda a bruciapelo, così entriamo subito nel vivo
dell’intervista: gli ospedali australiani sono così diversi dai nostri?
Si, il giorno con la notte
La più grande differenza tra
l’Australia e L’Italia?
Nelle foto, l’Alfred hospital e il Royal Darwin hospital di Melbourne
30 Luglio 2009
Australia: “rispetto per gli altri”.
Italia: “fregare il prossimo”. Si possono riassumere così le filosofie di
vita e di intervento nei due Paesi secondo la mia esperienza.
La cosa più bella che hai visto
e/o fatto? Ovviamente lavorativamente parlando …
La cosa più bella è stata essere a
Melbourne durante i bush fires (la
stagione degli incendi iniziata il 7
febbraio, n.d.r.) e vedere come in
ospedale sono riusciti a tamponare
l’emergenza senza che nessun cittadino lamentasse.
Altra cosa che mi ha colpito è stato il lavoro di squadra. Non ho notato classismo nei confronti del resto
del personale sanitario, infermieri e
assistenti sanitari. Tutti lavoravano
in maniera affiatata con un unico
obiettivo: la cura del paziente.
Come hanno affrontato il periodo dei fuochi?.
In qualche giorno hanno raccolto
molti soldi tramite una sorta di Telethon organizzato sul momento. Hanno anche fatto dei semplici braccialetti con la frase “ ricostruiremo tutto come prima” che hanno venduto
in beneficienza, i giornali locali
hanno organizzato raccolte. Tutto il
ricavato è stato destinato alle popolazioni colpite.
L’ospedale in sé ha approntato
qualcosa di particolare, non so sale d’emergenza o altro?
L’Ospedale è quello centrale del
Vittoria (lo Stato australiano con capitale Melbourne, n.d.r.), è al centro
di una fitta rete di interconnessioni
tra le città e le campagne per cui oltre alla cura dei pazienti ha anche
gestito il coordinamento. Ad es.
mappe costantemente aggiornate,
con bollettino dei feriti, dispersi e
morti. Ha distribuito le forze sanitarie dello Stato su tutto il territorio.
Considera che hanno anche un grande parco di elicotteri, ambulanze …
l’ospedale è attrezzato per intervenire a seguito di eventi straordinari.
nord-est dello Stato, uno il NordOvest ed il terzo è di lunga percorrenza e può coprire l’intero Stato.
Ci descrivi una tua giornata tipo, quindi non durante i fuochi?
Sveglia alle 6:30, prendevo l’autobus e in Ospedale, ufficialmente,
facevo attività di “observer” (osservatore, n.d.r.), ossia dovevo guardare e collezionare i dati clinici. In realtà, però, davo sempre una mano e
mi ritrovavo ad intervenire. Io seguivo i turni del Capo di Dipartimento che, a differenza che in Italia
non viaggiava in macchina blu e
non si dava chissà che arie … Era
una persona come le altre, non godeva di agevolazioni particolari e
poi l’età … Il primario più giovane
che ho conosciuto aveva 41 anni e il
più vecchio 50 anni.
E i più anziani dove sono?
In pensione e girano il mondo ….
Un’altra cosa che mi ha colpito
dell’Australia è la facilità con cui si
cambia lavoro, perché quella è la
terra delle opportunità. Se hai
un’idea innovativa trovi chi ti finanzia e sei circondato da persone che
ti sostengono anche se non hanno
alcun riscontro economico. Ad
esempio, io ho potuto realizzare un
sito internet. Ho conosciuto un webmaster e quando gli ho parlato della
mia idea mi ha fatto il sito internet
gratis!
(www.costantino.terranova.com)
Come sono strutturati i turni
ospedalieri, come in Italia?
In genere sono molto simili. La
cosa diversa è che hai più possibilità
di fare straordinario, se hai necessità
economica lo dici prima e ti agevolano, lo stesso se hai bisogno di periodi prolungati di ferie.
Hanno un grande bisogno di medici e infermieri. Hanno grosse
strutture ospedaliere ma non hanno
tutti i laureati che ci sono in Italia,
questo perché si comincia a lavorare
già durante gli studi per cui non tutti
sentono la necessità continuare gli
studi per avere il pezzo di carta per
ottenere un lavoro.
Costantino, come definiresti,
nell’insieme, la tua esperienza lavorativa in Australia?
In una parola? UTOPIA
Diciamo così. Ho passato sei mesi
a cercare qualcosa che non andasse,
senza trovarlo, e non solo sul lavoro! La cosa più stupida: orari degli
autobus rispettati al secondo. E poi
gli spot pubblicitari anti fumo o
quelli per la sicurezza sul lavoro
con immagini anche molto crude
proprio per scoraggiare a fumare, o
per invogliare a rispettare le norme
di sicurezza. Ti facevano veramente
spaventare!
Allora ti trasferiresti lì?
Anche subito, ma con mia moglie!!
Esercitazione contro il terrorismo
batteriologico
La Voce dell’Isola n. 11~14
Momenti poco chiari nella conduzione
del personale della società di gestione dei servizi
dell’aeroporto di Catania
FONTANA-ROSSA
DI VERGOGNA
ome nella maggior parte delle questioni scottanti che riguardano il capoluogo etneo, anche per
lo scalo aereo la medaglia presenta due facce:
quella bella (ma già invecchiata anche se giovane) della nuova aerostazione, e quella brutta, rappresentata
dalla magnifica struttura Anni ’80, ideata dallo Studio
Morandi, abbandonata, cadente e degradata in mano a
vagabondi e drogati. Ma non sono solo questi aspetti
che rappresentano una vistosa anomalia: ci sono, soprattutto, gli innumerevoli interessi che ruotano attorno alle attività dell’aeroporto. Interessi economici e politici conosciuti solo dagli “addetti ai lavori” e che il
cittadino comune ignora per assoluta mancanza d’informazione, e per la disinformazione ben pilotata.
Il nostro giornale periodicamente ha messo in luce
questi aspetti, attirandosi le “antipatie” dei potenti. Come è accaduto in anni precedenti, abbiamo nutrito delle speranze ogni qual volta i responsabili della società
C
La Voce dell’Isola n. 11~14
DOSSIER
13
di gestione dei servizi dell’aeroporto - Sac e Sac Service
- hanno annunciato clamorose “svolte”, ma le speranze
sono rimaste tali e nulla di veramente positivo, alla fine, si è verificato. Così è accaduto per l’ultima “svolta”
annunciata nel corso di una vistosa conferenza stampa
dell’azienda, nell’aprile scorso, alla quale sono seguiti
fatti che hanno suscitato non poche perplessità.
Come è costume del nostro giornale, di non parlare
mai a “senso unico”, noi abbiamo dato l’opportunità di
esprimere il proprio pensiero al presidente della Sac,
ingegnere Gaetano Mancini. All’opinione del manager,
stimato professionista catanese, il nostro giornale contrappone alcune informazioni, cioè “notizie” documentate e non opinioni, che l’ingegnere Mancini (almeno
in teoria) potrebbe non conoscere, e consapevoli che i
“fatti” possono essere più importanti delle “opinioni”
che, spesso, lasciano il tempo che trovano.
30 Luglio 2009
DOSSIER
14
Aeroporto di Catania - Per il presidente della società di gestione dei servizi dello s
Mancini: “Nella Sac c’è un man
e un indirizzo sicuro e di grand
di MIRCO ARCANGELI
P
residente Mancini, ci corre l’obbligo iniziare questa intervista con una domanda scontata: ad aprile sono
stati presentati i piani industriali, un programma di riorganizzazione aziendale per rientrare
dal deficit, nuovi assetti organizzativi, ed i primi risultati di
una strategia volta a produrre
efficienza e rigore. A quasi tre
mesi da questo importante
evento, vorremmo sapere dal
Presidente cosa è successo in
questo lasso di tempo e cosa
succederà.
In realtà il piano industriale della Sac spa è stato presentato da oltre un anno mentre durante
l’evento citato, (una conferenza
stampa dei soci della Sac Spa) è
stato presentato il piano industriale della Sac Service (una controllata). Della Sac spa sono invece
stati presentati i primi risultati in
termini di efficienza e forte rigore.
E’ stata presentata la linea, l’indirizzo che l’assemblea ha voluto
imprimere, in maniere molto forte
al management di Sac, e conte-
30 Luglio 2009
stualmente, i primi risultati concreti che, rispetto a questo nuovo
indirizzo di forte efficienza, si è
voluto dare.
Da quel momento in poi certamente forse il fatto più importante
che riguarda Sac, è l’avvio delle
attività del Consorzio di rampa
Handling, che ha visto una cessione del ramo di azienda (quello
dei servizi di rampa), e il conseguente trasferimento di 111 dipendenti nel consorzio, che complessivamente è un’operazione che ha
determinato e sta confermando
quello che ci aspettavamo, cioè un
forte intervento di efficientamento
sul centro di costo dell’attività di
handling. Direi quindi, è un dato
che mi piace sottolineare, abbiamo tutelato i posti di lavoro, perché altrimenti, stante il fatto che
quel ramo di attività di Sac perdeva circa 2 milioni di euro all’anno, certamente si sarebbe arrivati
ad una procedura di esubero di lavoratori. Mentre, in questa maniera, la procedura di esubero non
c’è stata, per il grado di efficienza
economica, riuscendo quindi ad
evitare problemi di licenziamento.
Quindi praticamente l’ossatura di questa conferenza stampa sta
nella riorganizzazione interna per
trovare una migliore efficienza
nella struttura,
cercando di trasferire compiti e servizi e quindi manodopera ad altre
aziende e strutture
esterne, magari
consorziate e sempre partecipate, in
modo da trovare
maggiore efficienza. 111 persone sono state trasferite
al consorzio Saga
Handling. Ci sono
altre strutture che
vengono a crearsi
con trasferimenti
di personale? C’è
una riorganizzazione interna di uffici,
di apparati che è in
essere? C’è un’occupazione in esubero? In quella occasione si parlava
di personale in esubero, come si pensa
di tutelarla? Vero
che in parte si è
già fatto con questo trasferimento,
ma cosa ci dice il
Presidente?
I trasferimenti attesi a breve sono
quelli relativi all’altra parte dell’handling quindi diciamo la parte handling
di rampa. E’ un’attività che sostanzialmente noi abbiamo
portato a compimento rispetto ad un
preciso indirizzo di
legge, una legge del
’99, che fino ad ora
non era stata attuata
dalla Sac, e che sostanzialmente
poggia sulla liberalizzazione dei
servizi di Handling, con la separazione netta tra l’attività del gestore e quella di Handling che invece
va sul mercato. Quindi ora noi
abbiamo quasi costituito, la Sac
Handling, alla quale peraltro verrà conferita anche l’attività handling non di rampa, nonché le
azioni del Consorzio Saga Handling. La procedura non è completata solo perché dal punto di
vista amministrativo si stanno finendo di fare le valutazioni dei
cespiti e quant’altro necessario
per fare la cessione del ramo
d’azienda. Di qui a qualche settimana la procedura dovrebbe essere definita.
Con questa operazione viene
dato corpo ad un’altra modifica
organizzativa. Poi c’è stata una
semplificazione della macro struttura di Sac con la riduzione di una
direzione, da tre a due, e la delega
al presidente per la gestione delle
attività, quindi un’organizzazione
più snella e finalizzata ad accelerare i processi. Gli esuberi a cui
faceva riferimento lei non sono di
Sac spa, ma di Sac Service. Una
società controllata al 100% da
Sac, la quale gestisce sostanzialmente tre attività: l’attività di security, l’attività di gestione dei
parcheggi e l’attività infovoli. Il
piano industriale di Sac
spa aveva già
individuato fin
dall’anno scorso, una serie di
interventi di
efficientamento rispetto al
tema delle attività svolte dalla controllata, in particolare security, gestione dei parcheggi e infovoli.
Il nuovo CDA di SAC Service
si è impegnato in maniera importante su questo tema. E’ emersa in
maniera evidente qual’è l’attuale
situazione strutturale del gruppo
societario, ed il CDA ha varato
un piano industriale che è appunto
quello presentato ad aprile. Un
budget 2009 con relativo piano industriale che prevede una serie di
interventi forti, appunto, sulla
struttura societaria, e che prevede
una procedura di mobilità.
La procedura di mobilità è attualmente in atto, noi abbiamo
chiesto alla società di verificare
anche la possibilità di applicare la
cassa integrazione, ed i contratti
di solidarietà. Loro lo stanno facendo. Quindi la procedura è in
corso.
Questa riorganizzazione prevede quindi mobilità, ma anche
cassa integrazione e quindi allontanamento dal lavoro?
C’è una situazione nella quale il
tentativo che sta facendo la Sac
Service è quello di recuperare il
più possibile rispetto alle attività
che sono gestite.
Questo, guardando la struttura all’interno, ma se volessimo
dare uno sguardo dall’esterno?
In questi mesi si sono avvicendate delle polemiche, sugli spazi
esterni, ad esempio terreni ab-
bandonati, aree non utilizzate o
la vecchia aerostazione fatiscente, parcheggi che funzionano e
non funzionano, insomma qualcuno addirittura ha parlato di
presenza di cani randagi. Una
polemica avanzata anche dal
senatore Enzo Bianco. Cosa ci
dice il Presidente?
no fatto perdere del tempo prezioso, siamo arrivati a ridosso del periodo estivo con un doppio problema, da un lato le temperature,
con la conseguenza che effettuare
impianti a verde in questa condizione climatica avrebbe comportato un sicuro risultato negativo
con ulteriori sprechi economici
“Questa aerostazione è dimensionata per 6 milioni di passe
un confronto con la vecchia aerostazione, sebbene gli spaz
cresciuto. Quindi noi subiamo dei colli di bottiglia ed abb
avviando le procedure per la ristrutturazione della vecchia
Direi che sono osservazioni sacrosante, io stesso sono intervenuto più volte su questo tema anche
sugli organi di stampa perché il
tutto è verissimo. Noi abbiamo
avviato tutte le procedure che sono finalizzate a definire la parte
che noi possiamo definire, nel
senso che noi
non
abbiamo
compiti di polizia, non siamo in
grado di affrontare l’abusivismo,
non abbiamo competenze per contrastare il randagismo, sono chiaramente sfere di problemi che noi non
possiamo gestire.
La parte di problemi che noi invece
possiamo e dobbiamo gestire è stata attenzionata dal CDA.
Abbiamo avviato le
procedure per la razionalizzazione delle
attività di movimentazione delle auto, dei
pedoni, dei mezzi davanti all’aerostazione
e per la sistemazione
delle aree a verde.
In questo ultimo caso
eravamo pronti ad intervenire, nel frattempo
gli iter procedurali han-
non sopportabili dalla struttura, ed
in secondo luogo, essendoci il
traffico del periodo estivo, fare interventi sul traffico in questo periodo comporterebbe eccessivi disagi per l’utenza. Quindi noi riteniamo che finito il perio-
15
scalo oggi tutto procede bene
nagement molto forte,
de efficienza dell’azienda”
do estivo, su entrambe le questioni,
con grande celerità, daremo la giusta
risposta.
Il tema circolazione infatti è fondamentale. Noi sappiamo che in certi
momenti la circolazione non funziona
molto bene. Proprio questa mattina
sono stato alla commissione trasporti
del comune di Catania. E’ stata fatta
terventi, che faremo subito dopo la
fase estiva. Alcuni di tipo gestionale
che faremo subito, altri strutturali che
faremo subito dopo, finalizzati ad impedire il blocco del traffico e della
circolazione.
In effetti da fruitore dei servizi
posso confermare che forse prima
la sosta temporanea era più facile,
un confronto con la vecchia aerostazione, sebbene gli spazi siano molto
più grandi, il numero dei varchi non è
molto cresciuto. Quindi noi subiamo
dei colli di bottiglia ed abbiamo l’esigenza di utilizzare degli spazi nuovi.
Stiamo avviando le procedure per la
ristrutturazione della vecchia aerostazione “Morandi”. Un manufatto di
pregio, realizzato
da un architetto
importante, e noi
riteniamo che possa ospitare circa
2,5 milioni di passeggeri, probabilmente con un indirizzo di tipo low
cost.
Questo porterebbe la capienza complessiva a 8,5
milioni di passeggeri, fare un terminal B sostanzialmente. Contemporaneamente si dovrà procedere con le
opere previste dal Master Plan 2007
(piano di sviluppo dell’aeroporto).
Con la realizzazione che abbiamo fatto quest’anno, la bretella 26 (nuova
via di rullaggio), la pista di Catania è
capace di ospitare un traffico di 12
milioni di passeggeri all’anno. Evidentemente questi passeggeri non troverebbero capacità di accoglienza
nell’aerostazione, che non ce la farebbe, quindi praticamente il collo di
bottiglia è il livello sviluppo aeroportuale. E questo è il primo sogno. Poi
c’è una seconda prospettiva altrettanto importante che riguarda la definizione dei terreni comunali o meglio
delle aree a destinazione aeroportuale
previste dalla concessione. A questo
proposito va sottolineato che il Comune di Catania ha risposto all’offerta fattagli per l’acquisto di tali aree
con una posizione non coincidente
con quella dell’Assemblea dei soci.
Nel frattempo stiamo avviando tutte
le procedure previste dalla concessione per l’acquisizione delle aree.
La terza grande questione, che rappresenta anche il vero grande sogno,
è quella di risolvere in maniera positiva la interferenza tra la pista aeroportuale e la ferrovia. Noi oggi, come
sappiamo, abbiamo un binario che
passa in testa alla pista 08. Questo binario ferroviario impedisce il prolungamento della pista. L’attuale pista è
eggeri, abbiamo però punte ben superiori. Se noi facciamo
zi siano molto più grandi, il numero dei varchi non è molto
iamo l’esigenza di utilizzare degli spazi nuovi. Stiamo
a aerostazione Morandi”
una opzione su questi temi. Io ho fortemente sollecitato il Comune affinché si possa incrementare il numero
dei vigili urbani. Perché c’è oggettivamente un problema di questo tipo.
Contestualmente abbiamo messo in
cantiere una serie di in-
mentre ora con la rampa che sale e
che non ha molto spazio attorno,
per il movimento che genera l’aerostazione risulta del tutto insufficiente. Bene passando ad altro argomento. Abbiamo parlato di riorganizzazione interna, di immagine
esterna, parliamo ora di futuro
e di strategie. Si parla
di futuro terzo hub
italiano capace di intercettare voli intercontinentali. Contestualmente l’aeroporto
di Catania ha forse raggiunto già ora livelli di
saturazione confermando il 4° posto a livello
nazionale con oltre 6 milioni di passeggeri trasportati. Considerando i
risultati raggiunti, ed il
suo potenziale sviluppo,
chiediamo all’ingegnere
Mancini come immagina
l’aeroporto di Catania del
domani? Qual è il suo sogno nel cassetto a questo
proposito?
Innanzitutto dovrebbe essere già avvenuta la realizzazione del secondo modulo,
capace di risolvere i problemi
di accoglienza delle persone
nei periodi di punta. Cioè
questa aerostazione è dimensionata per 6 milioni di passeggeri, abbiamo però punte
ben superiori. Se noi facciamo
una pista che
non può ospitare i grandi aerei
intercontinentali, i Boeing 747,
l’Airbus A380700, e altro.
L’eliminazione di
questo ostacolo,
permetterebbe il
prolungamento
della pista, che
proietterebbe l’aeroporto di Catania
in una dimensione
intercontinentale.
Tra l’altro, se si
permettesse di fare
questo intervento,
interramento della
ferrovia, prolungamento della pista,
sarebbe molto bello
pensare anche ad uno
spostamento dell’asse ferroviario, per far
arrivare la ferrovia in
coincidenza con l’aerostazione.
Questo permetterebbe ai passeggeri delle
varie province (Messina, Siracusa, Enna e
perché no anche Catania) di arrivare direttamente sotto l’aeroporto con il treno
senza dover per forza utilizzare l’auto. Si otterrebbe uno standard di servizi molto più alto, ed uno standard di
sicurezza tale da evitare le grandi corse in auto immersi nel
traffico della tangenziale.
Un servizio molto comune
in tutti i grandi aeroporti
del mondo.
Credo che questo scenario avrebbe anche una prospettiva per le ferrovie. Infatti se ipotizziamo che un
20% dei passeggeri possa
utilizzare il sistema ferroviario, si aggiungerebbe
un’utenza ferroviaria di
1,2 milioni di passeggeri.
Speriamo quindi che sia
una questione che interessa anche le ferrovie.
Questo forse oggi è veramente un
sogno, ma io credo in fondo che sognare non faccia male, e noi tutti stiamo lavorando perché queste cose diventino un giorno realtà.
Alcuni numeri de
«La Voce dell’Isola»
in cui si parla
dell’aeroporto
di Catania.
In alto: il presidente
della Sac,
l’ing. Gaetano
Mancini
La Voce dell’Isola n. 11~14
L’annunciata “svolta moralizzatrice” si risolve in epurazione a favore del più bieco nepotismo
Sac-Service: fuori 9 indesiderati
restano invece figli, nuore, ecc...
DOSSIER
16
di VITTORIO SPADA
N
el corso della conferenza stampa tenuta il 17 aprile scorso, il presidente
della Sac, ingegnere Gaetano Mancini, ha dichiarato:
*“Si ritiene non solo opportuno ma addirittura doveroso, dare conto delle principali questioni che interessano un gruppo a totale partecipazione pubblica che vede la
capogruppo SAC assegnataria della gestione totale di una importante infrastruttura
come l’Aeroporto di Fontanarossa. Ancor
di più alla luce delle prime iniziative già
avviate dalle quali si attende un consistente
miglioramento operativo per oltre 5 milioni
di euro all’anno (3 mln in SAC e 2 mln in
SAC Service) con un contestuale snellimento strutturale attraverso il passaggio di 130
addetti ad altre aziende (111 da SAC e 19
da SAC Service). Fatto questo che ha peraltro consentito la salvaguardia del loro
posto di lavoro. Iniziative che rappresentano una vera e propria svolta gestionale finalizzata a dare alla struttura aeroportuale
quella efficienza indispensabile al suo sviluppo”..
A sua volta il presidente della Sac Service, Giuseppe Sciacca, ha commentato:
* “Scelte drastiche quelle che abbiamo
intrapreso che riguardano il taglio dei costi
(ridotte del 40 per cento le consulenze) e la
redistribuzione del personale: in Sac Service, per esempio, c’è un esubero in amministrazione….”.
Nel corso della conferenza stampa è stato
messo in luce anche che
*“… la SAC Service presentava una per-
in tre anni”. Abbiamo estrapolato alcuni
passi della conferenza stampa che ci pongono diversi interrogativi:
Partendo dall’informazione, a nostro avviso (ma possiamo sbagliarci) incompleta,
di un bilancio in rosso di due milioni e passa di euro della Sac Service, ci chiediamo
se questo disavanzo sia stato coperto: la
Sac Service, infatti, è una srl, e se presenta
un bilancio in rosso o lo copre e ricapitalizza, oppure deve essere posta in liquidazione. In merito non si hanno notizie. Di contro si apprendono, invece, le misure di rigore adottate dalla Sac Service: la società aeroportuale ha raggiunto un accordo con alcuni sindacati, Uil, Cgil, Codires, per il licenziamento di 50 dipendenti, l’intero nu-
vice, Carmelo Micalizzi, “denunciava” al
presidente della Sac ed ai vertici dei soci
Sac gli alti stipendi che sette dipendenti
della Sac Service prendevano: sicuramente
uno “scatto d’orgoglio” moralistico. Ma
Micalizzi questo stesso “scatto d’orgoglio”,
a quanto pare, non lo ha avuto quando, proprio alla Sac Service ha fatto assumere due
figli e la nuora.
Queste cose, probabilmente l’ingegnere
Mancini le sconosce, così come sconosce,
sicuramente, che diversi consulenti della
Sac Service, con “alti emolumenti”, sono
stati fatti transitare alla Sac (leggasi Moreno Prosperi); così come, sicuramente, i due
presidenti, Mancini e Sciacca, ignorano che
un componente del Consiglio della Camera
di Commercio di Catania (socia della
Sac), Rino Sardo
(controllore e controllato?), prima è
stato assunto dalla
Sac Service con un
ruolo già ricoperto
da altro dipendente
e, pochi giorni prima
dell’invio dei provvedimenti di mobilità, è stato trasbordato alla Sac, con un
aumento di stipendio! I criteri di selezione del personale da
licenziare appaiono altrettanto nebulosi, tenuto conto – per quanto è dato sapere…che non sarebbero state rispettate le graduatorie per qualifica e anzianità, mentre sarebbero stati “salvati” dipendenti i cui meriti particolari si sconoscono.
Qualche esempio? Dal licenziamento
non è stato toccato Simone Lucarelli (nipote di Pietro Agen, presidente della Camera
di Commercio di Catania), Giuseppe Castiglione (figlio di Santo Castiglione, attuale
presidente dell’Autorità Portuale di Catania), Giuliano Rossitto (figlio del noto professore Elio Rossitto), Marco Tanasi (fratello di Tanasi, presidente del Codacons).
Anche in questi casi citati non si sono registrati scatti di orgoglio moralistico da parte
dei componenti dei Cda Sac e Sac Service.
C’è dell’altro…
Non mettiamo in dubbio la buona fede
del presidente Sac, Mancini, ma viene
spontaneo chiedergli se conosce quale sia
la retribuzione del direttore Sac e Sac Service, Paolo Antonelli: si dice alta, molto
più alta di quella percepita dallo stesso presidente! Ma noi non ci crediamo. Riteniamo, invece, credibile la notizia di un consistente “premio” in euro assegnato a Paolo
Antonelli per la professionalità con cui ha
condotto a termine la vicenda della Sac
Service.
Aggiungiamo:
Che dire dei tanti parenti stretti di deputati e
politici, in forza alla Sac
e Sac Service? Se così
stanno le cose, allora,
dove sta la “svolta”, il
cambiamento di rotta
“morale” che si è detto
voler imprimere alla società di gestione dei servizi aeroportuali di Catania?
Se il risanamento morale della società si intendeva farlo eliminando
50 dipendenti, perchè alla fine sono stati
“epurati” soltanto nove impiegati, senza tenere conto delle loro qualifiche e anzianità?
Si tratta di una vendetta politica? Noi non
sappiamo dare risposte a questi interrogativi.
Come ci chiediamo anche quale criterio
di valutazione sia stato adottato nell’individuazione del personale ritenuto in esubero.
Altri capitoli poco noti possono essere
ancora aperti: L’ingegnere Mancini dovrebbe spiegarci, per esempio, la presenza, in
qualità di azionista, della società “Iniziative
Editoriali Siciliane srl” dell’editore Mario
Ciancio in una collegata Sac, la Intersac
Holding Spa… eccetera.
Gestione
della Sac-Service:
tipica situazione
in cui si giudica bene
e si razzola male
dita strutturale vicina ai 2 milioni di euro
che grava sul bilancio consolidato della
SAC. Il Consiglio di Amministrazione della
SAC ha pertanto condizionato la decisione
sulla continuità aziendale alla adozione da
parte della SAC Service di un piano di interventi di estremo rigore.
Il Consiglio di Amministrazione di SAC
Service ha proposto un piano industriale
che dà il via ad una forte iniziativa di risanamento basata su una razionalizzazione
che porterà all’azzeramento delle perdite
cleo di vertice dell’amministrazione, con la
voce “mobilità” senza preavviso agli interessati, dall’oggi all’indomani.
Ma come interpretare la circostanza sospetta che firmatari di questo accordo hanno propri parenti stretti (possiamo fare nomi e cognomi) in servizio alla Sac? Forse
questo tipo di dettagli non è noto ai presidenti Mancini e Sciacca? Più conosciuta,
sicuramente, la lettera con la quale il 25
marzo dello scorso anno il componente del
Consiglio d’amministrazione della Sac Ser-
Da sinistra: Rino Sardo, Gaetano Mancini
30 Luglio 2009
La Voce dell’Isola n. 11~14
Scienze 17
Geotermica, inesauribile e poco sfruttata energia che viene dal sottosuolo
Il calore della Terra produce
una fonte energetica alternativa
di SEBANIA LIBERTINO
T
esIl panorama delle fonti di
energia alternativa è molto
variegato e non si esaurisce
con le fonti più note quali eolico e
fotovoltaico. Una fonte energetica
pressoché inesauribile e certamente
poco sfruttata è quella geotermica.
Il termine “geotermia” deriva dal
greco “gêo” e “thermos” ed il significato letterale è “calore della Terra”. L’energia geotermica deriva dal
calore presente negli strati più profondi della crosta terrestre e può essere considerata una forma di energia rinnovabile, se valutata in tempi
brevi. Penetrando in profondità la
superficie terrestre, la temperatura
diventa gradualmente più elevata,
aumentando di circa 30 °C per km
nella crosta terrestre (0.3 °C/km e
0.8 °C/km rispettivamente nel mantello e nel nucleo). Il calore interno
alla terra fu originariamente generato durante l’accrezione (formazione,
n.d.r.) del pianeta dovuta alla forza
di attrazione gravitazionale. In seguito il calore interno ha continuato
ad essere generato grazie a processi
di decadimento nucleare naturale di
elementi quali l’uranio, il torio e il
potassio. Il calore terrestre proveniente dall’interno, viene successivamente trasferito verso la superficie mediante convezione del magma
o di acque profonde: da qui nasce la
maggior parte dei fenomeni come le
eruzioni vulcaniche, le sorgenti termali, i geyser, o le fumarole. I giacimenti di questa energia sono però
dispersi e a profondità così elevate
da impedirne lo sfruttamento.
Come si riesce ad estrarre energia
dal sottosuolo? Essenzialmente si
sfrutta il calore di fluidi, vapore o
acqua in gran parte meteorica, che si
riscaldano circolando nelle rocce
calde e permeabili e interagendo
con queste acquisiscono sali e gas
incondensabili. In condizioni particolari, quali la presenza di fratture
nella crosta terrestre (faglie) o affioramenti di rocce permeabili, acqua e
vapore possono raggiungere la superficie dando luogo a manifestazioni naturali anche altamente spettacolari, come lagoni, geyser e fumarole. Il vapore, o l’acqua calda,
sono sfruttati o direttamente per
muovere una turbina collegata ad un
generatore che produce energia elettrica, oppure per riscaldare un liquido di scambio che a sua volta farà
girare la turbina. Il vapore acqueo
generato (o prelevato dal sottosuolo) viene riutilizzato per il riscaldamento urbano, per le coltivazioni in
serra e nel termalismo. Per alimentare la produzione del vapore acqueo si ricorre spesso all’immissione di acqua fredda in profondità,
una tecnica utile per mantenere costante il flusso del vapore. In questo
modo si riesce a far lavorare a pieno
regime le turbine e produrre calore
con continuità.
A causa della necessità di essere
in prossimità di una faglia l’energia
geotermica rappresenta oggi meno
dell’1% della produzione mondiale
di energia. Leader nel suo sfruttamento è l’Islanda, dove l’85% delle
abitazioni sono riscaldate con questa fonte energetica. In realtà esistono diversi sistemi geotermici, ma attualmente vengono sfruttati a livello
industriale solo i sistemi idrotermaLa Voce dell’Isola n. 11~14
li, costituiti da formazioni rocciose
permeabili in cui l’acqua piovana e
dei fiumi si infiltra e viene scaldata
da strati di rocce ad alta temperatura. Le temperature raggiunte variano
dai 50-60 °C fino ad alcune centinaia di gradi.
È naturalmente legata a quei territori dove vi sono fenomeni geotermici, quindi, è una fonte energetica
marginale da utilizzare solo in limitati contesti territoriali. Il più grande
complesso geotermico al mondo si
trova in California a The Geysers
(l’impianto ha un potenziale di 1400
MW, sufficiente a soddisfare le richieste energetiche dell'area metropolitana di San Francisco). Anche in
Africa, il Kenya e l’Etiopia hanno
costruito degli impianti per l’energia geotermica. In Etiopia si calcola
che l’energia presente è di almeno
1000 MW. Circa venti paesi al mondo hanno progetti di sviluppo del
geotermico. Persino Google ha investito nel geotermico di terza generazione, basato sulla trivellazione di
profondità per raggiungere punti
caldi della crosta anche da zone non
naturalmente termali. La trivellazione è il costo maggiore; nel 2005
l’energia geotermica costava fra i 50
e i 150 euro per MWh, ma si prevede che tale costo scenda a 50-100
euro per MWh nel 2010 e a 40-80
euro per MWh nel 2020.
Lo svantaggio principale delle
centrali geotermiche è il tipico odore sgradevole di uova marce causato
dall’idrogeno solforato. Se è tollerato nel caso dei siti termali, è piuttosto avverso alla popolazione residente nei pressi di una centrale geo-
di 10 anni. Per estrarre e usare il calore imprigionato nella Terra, è necessario individuare le zone dove
questo si è concentrato: serbatoi o
giacimenti geotermici. È possibile
utilizzare industrialmente solo quello che si trova concentrato in alcune
zone privilegiate in corrispondenza
delle quali, non lontano dalla superficie (5-10 km di profondità), sono
presenti masse magmatiche fluide o
già solidificate in via di raffreddamento. Tali zone si localizzano nelle
aree dove le placche in cui è suddivisa la crosta terrestre vengono a
contatto, e dove masse magmatiche
tendono a risalire verso la superficie: queste zone (denominate “dorsali oceaniche” e “zone di subduzione”) sono state caratterizzate da intensa attività tettonica che ha dato
tre 100 anni di distanza e, nonostante fosse stato distrutto
durante la seconda guerra
mondiale, quello stabilimento,
interamente ricostruito, ancora
funziona, soddisfacendo oltre
l’80% del fabbisogno energetico degli abitanti della zona.
Il potenziale geotermico italiano
fino a profondità economicamente
convenienti è ragguardevole, con risorse di alta temperatura (> 150 °C)
concentrate nella fascia pre-appenninica tosco-laziale-campana, in alcune zone del Veneto, dell’Emilia
Romagna e della Lombardia, in Sardegna, Sicilia e in alcune isole vulcaniche del Tirreno, e con risorse di
media e bassa temperatura (< 150
°C) ubicate su vaste aree del territorio nazionale. In base alle sue caratteristiche geologiche, dunque, l’Italia è un Paese a forte vocazione geotermica, per cui il suo potenziale potrebbe essere valorizzato molto più
di quanto fatto fino ad ora. La produzione di energia elettrica dalla
Per estrarre e usare il calore imprigionato nella Terra, è necessario
individuare le zone dove questo si è concentrato in giacimenti
geotermici. È possibile utilizzare industrialmente solo quello che
si trova concentrato in alcune zone privilegiate in corrispondenza
delle quali, non lontano dalla superficie, sono presenti masse
magmatiche fluide o già solidificate in via di raffreddamento
termica. Il problema è comunque risolvibile mediante l’installazione di
particolari impianti di abbattimento.
Un altro problema è quello dell’impatto ambientale. Infatti, le centrali
si presentano come un groviglio di
tubature anti-estetiche, anche se
l’aspetto è simile a quello di molti
siti industriali o fabbriche. Infine,
alcuni studiosi, sostengono che la
produttività delle centrali geotermiche si riduce anche del 30% nel giro
origine a vulcani, terremoti ed altri
fenomeni. È chiaro che l’Italia, terra
relativamente giovane e con intensa
attività vulcanica, è proprio uno di
quei luoghi in cui è possibile sfruttare l’energia geotermica.
Ed infatti, già nel 1904, per l’esattezza 4 luglio di quell’anno, proprio
in Italia, per merito del principe Piero Ginori Conti, fu sperimentato il
primo generatore geotermico a Larderello, in provincia di Pisa. Ad ol-
geotermia è fortemente concentrata
in Toscana (Pisa, Siena e Grosseto).
La produzione di energia elettrica, a
fronte degli 810,5 MWe installati e
dei 5,5 miliardi di kWh prodotti nel
2006 (corrispondenti ad 1,1 milioni
di tep, tonnellate equivalenti di petrolio, ndr), può giungere a 1.500
MWe nel 2020, con una generazione
di 10 miliardi di kWh/anno, pari al
fabbisogno elettrico di 9 milioni di
abitanti. Ciò rappresenta il raddop-
pio della produzione del 2006, e
corrisponde ad un risparmio di oltre
2 milioni di tep. Per gli usi diretti, a
fronte dei 650 MWt installati e di
una produzione corrispondente ad
oltre 190.000 tep nel 2006, la potenza installata può giungere a 6.000
MWt nel 2020, con una produzione
equivalente ad 1.800.000 tep, idonea per riscaldare 800.000 appartamenti. Si tratta di valori circa 10
volte superiori a quelli del 2006.
Considerati nell’insieme, gli usi
elettrici e non elettrici del calore terrestre possono quindi passare dagli
1,3 milioni di tep del 2006 a quasi 4
milioni di tep del 2020, corrispondenti ad oltre 1,2% del consumo totale lordo di energia del Paese.
Si tratta di un contributo che può
sembrare modesto in termini percentuali, ma che non lo è affatto in
termini economici se raffrontato al
costo del combustibile fossile sostituito.
L’importanza di tale contributo risulta poi ancora più evidente se si
pensa che la prevista crescita della
geotermia nel 2020 consente di evitare di scaricare nell’atmosfera circa
10 milioni di tonnellate di CO2 all’anno.
Tra i progetti per lo sviluppo del
geotermico in Italia, si annovera anche quello della IKEA. La nota società svedese ha installato nel nuovo
negozio di Parma (località Ugozzolo), un impianto geotermico costituito da 272 sonde che arrivano a
150 metri di profondità nel suolo.
E la Sicilia? Purtroppo, come
ogni volta che si parla di innovazione la Sicilia sarebbe il luogo migliore in cui realizzarla, ma l’unico posto in cui non si fa niente. Noi abbiamo impianti termali un po’ ovunque, sinonimo del fatto che ci sono
tantissimi siti “sfruttabili”, inoltre
abbiamo l’Etna e Stromboli, a testimoniare che siamo in presenza di
numerose faglie da cui si potrebbe
prelevare l’energia geotermica, ma
ad oggi non ci sono siti per il suo
sfruttamento.
30 Luglio 2009
18 Turismo
Con una serie di coinvolgenti manifestazioni culturali
Ad agosto ritorna alla vita
l’antica città di Morgantina
di SALVO DI MAURO
A
d agosto Morgantina torna a
nuova vita con una serie di
iniziative culturali che si terranno negli antichi siti. Rivive la
città antica che dopo 24 secoli è stata restituita al sole della pianura della dea Cerere.
Rivive il mercato, il parlamento,
il ginnasio, il tempio, il teatro l’ekklesiasterion (luogo di riunione del
popolo per votare le leggi).
Le manifestazioni, uniche e coinvolgenti, si terranno. nel parco archeologico.
Morgantina è una città sicula e
greca, sito archeologico nel comune di
Aidone: la città fu riportata alla luce
nell’autunno del 1955
dalla missione archeologica dell’Università di Princeton
(Stati Uniti). Gli scavi sinora compiuti
consentono di seguire
lo sviluppo dell’insediamento per un periodo di circa un millennio, dalla preistoria all’epoca romana.
L’area più facilmente
visitabile, recintata
dalla Sovraintendenza, conserva resti dalla metà del V alla fine del I secolo a.C., il
periodo di massimo
splendore della città.
Da questo sito provengono importantissimi reperti archeologici come la Venere
di Morgantina, attualmente custodita presso la collezione Getty
a Malibu, di cui è
previsto il ritorno in
loco nel 2010, e il
Tesoro di Morgantina, anch’esso in via di restituzione.
Morgantina è sicuramente uno dei
siti archeologici più interessanti dell’entroterra di Sicilia. Le numerose
fonti in cui viene menzionata Morgantina sono una riprova della sua
importanza. Alle informazioni delle
fonti letterarie si aggiungono ovviamente i reperti rinvenuti in seguito
agli scavi archeologici effettuati in
tutta l’area. La città si estende su
una piccola pianura delimitata da
dolci colline. Al centro del pianoro
si trova l’Agorà dominata dall’alto
dal “colle della Cittadella”, sede
dell’Acropoli. Il sito, prima di essere colonizzato dai greci, presentava
insediamenti preistorici di età castelluciana e dell’Età del Bronzo. Fu
nel IX secolo a.C. che arrivarono i
Morgeti (da cui Morgantina prende
il nome). Testimonianze del periodo
di colonizzazione da parte di questo
popolo si trovano nell’area dell’Acropoli: capanne a pianta quadrata appartenenti ad un villaggio
agricolo. Nel IV secolo a.C. i coloni
Calcidesi di Catania ingrandiscono
il sito. Nel 211 a.C., durante le guerre puniche, Morgantina si schiera
con i Cartaginesi e questo provoca
la sua distruzione da parte dei Romani.
Lungo il perimetro dell’area archeologica sono visibili le antiche
mura di cinta che, seguendo l’oro30 Luglio 2009
grafia della zona, hanno un andamento piuttosto frastagliato. Le mura non presentavano torri, solo alcuni baluardi, e si aprivano in corrispondenza delle quattro porte.
Sull’Acropoli, oltre alle succitate
capanne morgetiche, si trovano i resti più antichi della città, compresa
l’area sacra. L’area sacra comprende dei piccoli templi ed il naiskos
arcaico, un grande tempio lungo all’incirca 32 metri risalente al VI secolo a.C. Ai piedi della collina
dell’Acropoli si trova il quartiere residenziale. Qui sono state rinvenute
lussuosi esempi di abitazioni con
pavimenti a mosaico e pareti affre-
Gli scavi di Morgantina e accanto il manifesto delle manifestazioni estive
Uno dei siti più importanti dell’entroterra siciliano
purtroppo poco conosciuto e poco valorizzato
venuti dei busti votivi policromi che
raffigurano Demetra. Accanto al
teatro greco, più a est, si trova il
granaio pubblico; risalente al III
sec. a.C. ha una pianta rettangolare.
I resti di due fornaci all’interno
dell’edificio sono la prova dell’esistenza in città di fabbriche di vasi in
ceramica.
La terrazza superiore dell’Agorà è
delimitata da tre portici monumentali con colonne (stoà); uno con
funzione di ginnasio, uno adibito a
scate: la Casa del Capitello
Dorico, famosa per la sua iscrizione
musiva EYEKEY (Stai bene!) sul
pavimento in cocciopesto; la Casa
di Ganimede, che prende il nome
dal mosaico rinvenuto al suo interno
raffigurante il ratto di Ganimede; altre abitazioni degne di nota sono la
Casa dei capitelli tuscanici e la
Casa del Magistrato, entrambe con
decorazioni musive e parietali.
La zona più interessante di Morgantina è certamente l’Agorà, disposta su due livelli (quello inferiore riservato ai riti sacri, quello superiore per fini commerciali e pubblici) collegati da una grande scalinata. Quest’ultima è molto particolare
perchè consta di tre lati che formano
così in basso uno spazio probabilmente usato per le riunioni cittadine, come Ekklesiasterion, o per
momenti di culto vista la vicinanza
con il Santuario delle Divinità
Ctonie, Demetra e Kore.
Contemporaneo alla scalinata è
senza dubbio il Teatro Greco. La
sua cavea semicircolare consta di 15
gradini ed è suddivisa in sei settori;
è probabile che le scalinate in pietra
continuavano con delle strutture in
legno per aumentare la capienza del
teatro (5000 posti circa). Il Santuario delle Divinità Ctonie ha una
pianta trapezoidale ed è all’interno
di questo edificio che sono stati rin-
fini commerciali, l’altro per riunioni
pubbliche. Al centro di questa terrazza dell’Agorà si trova il Macellum, del II secolo a.C. ; l’edificio ha
pianta quadrata ed è l’esempio più
antico di macellum a noi pervenuto.
I reperti archeologici rinvenuti
nell’area archeologica di Morgantina sono conservati nel piccolo ma
interessantissimo Museo Archeologico nella vicina Aidone. I reperti
custoditi vanno dall’età del Ferro al
I secolo a.C.
La gastronomia per il rilancio turistico del territorio
A Trapani è arrivata “Stragusto”
il festival del cibo da strada
G
astronomia e territorio un binomio che in questo lembo occidentale di Sicilia può rivelarsi
fondamentale per il rilancio economico e turistico. La provincia di Trapani dopo Bon Ton, rassegna
dedicata al tonno ed ai prodotti di tonnara andata in
scena lo scorso giugno, ha ospitato la prima edizione
di Stragusto festa del cibo da strada del mediterraneo.
Nel capoluogo nella tre giorni che si è tenuta il 24 luglio scorso nello scenario della ex Piazza mercato del
pesce un luogo simbolo della Città, si è avuto modo di
tuffarsi in un profluvio di odori, sapori e colori tipici
della cultura enogastronomia dell’area del mediterraneo.
Degustazioni con panelle, arancine, kebab, pane ca
meusa, spincioni, ma anche momenti di cultura e laboratori, ma anche spazio dedicato all’arte, alla musica,
con concerti ed esibizioni.
In invidiabile posizione geografica cittadina posta
tra le due nuove spiagge recentemente riscoperte e meta di un sempre maggiore numero di utenti, si è avuta
la possibilità di unire l’utile assaggiando e gustando le
specialità tipiche eno-gastronomiche del bacino del
mediterraneo, e perché no, magari molti ne hanno approfittato per farsi un bel bagno nelle acque cristalline
appena prospicienti, lasciandosi poi cullare la sera dal
tipico struscio delle “vasche” nella centralissima Via
Torrearsa o del vicino Corso Garibaldi, il “salotto buono” della città.
D. B.
La Voce dell’Isola n. 11~14
Cultura 19
Nuove manifestazioni dopo la due giorni al Convitto Cutelli di Catania
Avanti a passo di danza
la Compagnia DanzAbile
di DOMENICO COCO
D
opo la due giorni dedicata alla danza, proposta nell’ambito delle celebrazioni del
Convitto Nazionale M. Cutelli di
Catania, diretto dal rettore Osvaldo
S. Bresmes, in occasione del 230°
anniversario dalla fondazione del
“Collegio dei Nobili”(1779 – 2009).
il Centro Coreutico Accademico di
Sicilia “Khoreia” e la Compagnia
“DanzAbile” hanno in corso di preparazione nuove iniziative per questa estate e per il prossimo autunno.
Non è stato dimenticato l’evento tenuto al Cutelli, patrocinato dalla
Provincia Regionale di Catania –
Assessorato alla Politiche Scolastiche, è realizzato in collaborazione
dell’Università di Catania, dell’Orto
Botanico, dell’Assessorato alla Cultura del Comune di Catania e dell’Associazione Polena. Gli abiti di
scena, si ricorda, sono stati firmati
dallo stilista Eugenio Vazzano, la
fotografia di scena è stata curata dal
maestro Domenico Morizzi. La Corte del Vaccarini, ribalta delle performance coreutiche, è stata arricchita
dalla presenza di carrozze ottocentesche, messe a disposizione dall’Istituto Incremento Ippico per la Sicilia
- Ass.to Regionale Agricoltura e Foreste e di un carretto siciliano, offerto da Michelangelo Costantino
dell’Associazione Culturale Carretti
d’Epoca. A chiusura della serata, la
Corte è stata colorata di caleidoscopiche luci dei fuochi d’artificio barocchi.
La Compagnia DanzAbile, che ha
sede all’interno del Centro Coreutico di Sicilia “Koreia”, diretta da
Maria Grazia Finocchiaro, è nota al
pubblico per essersi splendidamente
esibita a Catania il 31 luglio 2008 in
occasione della solenne cerimonia
della rievocazione storica dei 150
dell’Orto Botanico con le performance The moon over Mtatsminda,
Pan, Neznakomaya e Bernarda in
sette, su coreografie di Maria Grazia
Finocchiaro.
Di recente la Compagnia DanzAbile ha presentato al Teatro del
Baglio di Villafrati (Pa), alla sua
Quarta stagione, lo spettacolo di
teatro-danza “Libertad”, liberamente tratto dal capolavoro “La casa di
La Voce dell’Isola n. 11~14
Successi
e prospettive
future dei giovani
allievi seguiti
con passione
e professionalità
da Maria Grazia
Finocchiaro
Maria Grazia Finocchiaro
Bernarda Alba” di Federico García
Lorca su musiche di Giovanni Sollima, Meredith Monk e Michel
Petrucciani.
“… Per tutti gli otto anni di durata del lutto non entrerà in questa
casa il vento della via, facciamo
conto di aver murato con mattoni
porte e finestre…”: così si esprime
Bernarda il giorno della morte del
marito; come pietre, scaglia tali parole, che piombano con la pesantezza di enormi macigni nei petti delle
figlie. È la lapidazione delle loro
pulsioni interne, la condanna a sopravvivere nonostante la sepoltura
delle loro anime inesperte. Pupazzi
nelle mani di una madre-padrona,
manovrate dalla tirannia delle sue
disposizioni, sono solo marionette
unite dai fili invisibili del loro stesso sangue.
Sola si muove come uno spettro
tra le bianche mura, l’anziana Maria
Josefa vaneggiando ricordi di un
lontano passato. Respiri soffocati,
sospiri rassegnati, diventano ora grida interiori, che rimbombano in una
casa di falsi silenzi.
Tutti si muovono in un apparente
equilibrio di onore e rispettabilità
sociale, si spostano nell’identico
percorso delle loro stanze, scandendo con i loro passi un tempo interminabile. Amore, odio, rancore, rabbia, invidia,sentimenti questi che ribolliscono nelle vene, tensioni che
non possono fare a meno di fuoriuscire, esplodendo nella violenza degli
sguardi e nella crudezza delle parole, che ormai esprimono una ribellione che scuote la casa, mettendone
in discussione l’onorabilità. Ma le
mura della casa di Bernarda, ispessite da anni di dispotismo, di repressioni, di egoismo, di parvenze e di
ipocrisie, non crollano e la verità vi
morirà all’interno.
Maria Grazia Finocchiaro si forma presso l’Accademia Nazionale
di Danza di Roma, dove si specializza in tecnica della danza contemporanea e composizione coreografica.
Vincitrice di numerose borse di
studio tra cui quella presso il Wuppertal Tanz Theater di Pina Bausch,
dove si specializza nella sperimentazione del teatro-danza.
Da questa grande passione nascono molte delle sue opere, fra cui ricordiamo: Oitat; Io; Isola; La casa
di Bernarda Alba; Bernarda... dentro; Bernarda in sette; Libertad.
Nel 2002 fonda la compagnia
“Danzabile” e dal 2004 ha la direzione artistica del Centro Coreutico
Accademico di Sicilia “Khoreia”.
Incontro a Catania
con la scrittrice
Margaret Mazzantini
M
argaret Mazzantini, l'aristocrazia della letteratura
italiana, è stata a Catania
per presentare il suo nuovo romanzo, "Venuto al mondo", edito
da Mondadori. Dopo il grande e
meritato successo di "Non ti muovere", arrivato al traguardo di quasi due milioni di copie vendute e
portato sul grande schermo da Sergio Castellitto e Penelope Cruz, la
Mazzantini si cimenta, in questo
nuovo lavoro, con la storia complicata e dolce, personale e sociale, di una donna e del suo figlio
adolescente che lasciano l'Italia
per un viaggio reale e metaforico
con destinazione Sarajevo.
Ad attenderli, un mondo ricordato ma ormai sconosciuto e un
amore di un tempo di pura passione.
Con una scrittura che nulla lascia al caso e che sottintende un
certosino lavoro di rifinitura, e con
una fantasia sbrigliata verso l'universo sospeso tra Occidente e
Oriente che è la città bosniaca,
protagonista -alla pari dei personaggi in carne e ossa- di questa
storia, la scrittrice italo/irlandese
riesce nel complicato intento di
raccontare un’epopea d'amore e
crudeltà, di guerra, maternità e pace senza mai cadere nelle banalità
di maniera e non smarrendo mai il
Margaret Mazzantini
rigido filo conduttore di una narrazione che è contemporaneità e impegno civile.
Il Teatro Stabile di Catania, nell'ambito della rassegna "Libri in
Cortile", ha organizzato nei giorni
scorsi nel Cortile Platamone un incontro con la scrittrice italo/irlandese, e l’attore Vincenzo Pirrotta
ha letto brani del suo ultimo libro.
Margaret Mazzantini, già Premio
Strega nel 2002 con "Non ti muovere" (Mondadori, 2001), bestseller da quasi due milioni di copie
vendute e da cui è stato tratto
l'omonimo film con Sergio Castellitto e Penelope Cruz, è stata intervistata da Pietrangelo Buttafuoco.
30 Luglio 2009
20 Cultura
L’artista siciliano presente nelle principale esposizioni italiane
La pittura di Davide Camonita
nel panorama culturale nazionale
di DOMENICO COCO
Premi e prestigiosi
riconoscimenti
che mettono in luce
una creatività
che affonda
le radici
nella storia
dell’Isola
N
on si è spento l’eco della 46°
mostra nazionale di pittura
contemporanea “Santhia’”.
Tenuta nel Dipartimento di Botanica
dell’Università di Catania.
L’iniziativa è compresa nel Calendario delle Manifestazioni Ufficiali
dello Stato e si è avvalsa dell’alto
patrocinio della Presidenza della
Repubblica e del patrocinio della
Regione Piemonte, della Provincia
di Vercelli, della Società Italiana
Amici dei Fiori di Firenze, della Pro
loco “Santhia’”
Sono state esposte le opere di 300
artisti, provenienti da tutte le regioni
Italiane, prescelti dalla Commissione preposta. La Sicilia è stata rappresentata dall’artista Davide Camonita, che, con orgoglio, ha esposto le sue opere nella storica sede
del palazzo della Pro loco di Santhia’.
Storicamente la manifestazione si
ispira ai valori universali di cultura
perseguiti dagli “Amici della Scala
di Milano”. Durante la mostra sono
stati consegnati i riconoscimenti
“Premio Nazionale Gaudenzio Ferrari”, “Premio Giorgio Allario Caresana”, “Premio Presidenza della Repubblica Giorgio Napolitano”, “Premio di Sua Eminenza Papa Benedetto XVI” ed ancora altri riconoscimenti in nome delle rappresentanze
delle alte cariche dello Stato. Pre-
Comune di Milano. La Cascina, la
cui origine è compresa fra il 13° e il
14° secolo, per iniziativa di Balzarino Posterla, ha un nome che evoca
in sé la vastità orizzontale dei campi, i loro colori e silenzi, la leggiadria e la creatività e diviene luogo
eccellente per ospitare manifestazioni di elevato valore artistico e spirituale.
Davide Camonita è nato a Paternò
(CT) nel 1986, vive e lavora nel capoluogo etneo. Sin da bambino manifesta interesse per la pittura. Da riviste e libri specializzate attinge notizie sulla pittura, ancor prima di
scegliere gli studi artistici. Sarà la
visione de “La notte stellata” di Van
Considerazioni sullo “sciopero” dei blogger del 14 Luglio 2009
La presa della pastiglia
L
eggo che il 14 Luglio 2009, 220 anni dopo la
Presa della Bastiglia, c’è stata una nuova rivoluzione: una eccezionale giornata di silenzio, osservato dai blog italiani, per protestare contro il decreto Alfano. Non si tratterebbe di una adesione allo sciopero dei giornalisti, quanto piuttosto una decisione di
protestare contro il provvedimento tout court.
Indipendentemente dalle ragioni, più o meno condivisibili, più o meno oneste, più o meno giuste, che possano avere spinto a circolare una simile notizia, come
blogger io trovo la stessa molto preoccupante. È un po’
come se un sedicente amministratore di condominio
entrasse in casa mia per annunciarmi che, in tale data,
il resto dei condomini ha deciso di fare dieta vegetariana. Ed io con loro!
Il fatto è che io non sapevo neppure che questo amministratore fosse stato nominato e soprattutto avevo
appena acquistato una bistecca per celebrare quella
giornata coi cugini d’oltralpe!
Fuor di metafora, a mio modo di vedere, tutta la storia non ha capo né coda. Posso solo pensare che si trat-
30 Luglio 2009
ti di confusione semantica: “abbaglio” per “bavaglio”,
“Bastiglia” per “pastiglia”. Detto questo, se il target
dell’iniziativa è quello nobile di sostenere un discorso
di maggiore libertà informativa, non vedo proprio come si possa raggiungerlo togliendo il cerotto dalla bocca di qualcuno per metterlo sulla bocca di qualcun altro. A parte ciò, la “gravità” dell’intero progetto sta soprattutto nel tentativo, che pare di ravvisare (ma potrei
sbagliarmi, anzi, sicuramente mi sbaglio, anzi, voglio
sbagliarmi!), di far entrare quel tempio dell’espressione libera che è Internet dentro dinamiche editoriali obsolete (ma non solo!) e assolutamente provinciali. La
Rete rappresenta infatti l’antitesi delle stesse!
La Rete, a dispetto delle apparenze, non è il Borg di
Star Trek! Non è un organismo cibernetico dedito ad
assimilare col fine di controllare, ma è espressione viva della libertà dell’anima e della sua diversità.
Un’anima che fa fatica a trovare accordo persino con
se stessa, figuriamoci aderire a progetti corporativi di
qualsiasi genere e natura!
Rina Brundu
il pittore Camonita, autore delle opere nelle foto
sente alla manifestazione il cavaliere di Gran Croce Mario Pistono. Fra
i componenti della giuria critica
d’arte ricordiamo Angelo Mistrangelo, Dino Pasquali, Giorgio Severo. L’artista Davide Camonita nell’anno 2007 è stato già insignito,
nell’ambito della medesima mostra,
del premio “Renzo Piano”.
Davide Camonita contemporaneamente ha presenziato, con le sue
opere, ad altro concorso di Arti Figurative “Trofeo Barocco”, che si è
tenuto nel Salone al 1° Piano della
Cascina Monastero, sala degli Olivetani, giunto alla sua VIII^ Edizione, organizzato dall’Associazione
Culturale Artistica “Cascina Barocco”. L’evento è stato patrocinato dal
Gogh a portarlo al liceo artistico
statale “Emilio Greco” di Catania. È
stato allievo di artisti come Silvio
Signorelli, Rino Fontana, Piero Zuccaio ed altri. Affascinato dal disegno tecnico e dall’architettura si diploma presso l’Istituto tecnico per
Geometri. Inizia con le opere olio su
tela, ma man mano inserisce sempre
nuovi arditi materiali, per assecondare la sua congenita voglia di sperimentare, partecipando a manifestazioni Nazionali e Internazionali.
È stato insignito di numerosi premi
e riconoscimenti, in Italia e all’Estero. Tra i più importanti, trofeo “Città di Catania”, premio “Alba 2006”,
premio Nazionale “Renzo Piana” e
“Palma d’Oro 2007”.
La Voce dell’Isola n. 11~14
Cultura 21
A Catania è soltanto simbolico l’intento di preservare i Beni culturali esistenti
Lo scandaloso mancato restauro
della Chiesa S. Nicolò l’Arena
di SANTO PRIVITERA
P
eriodicamente si torna a parlare di ridare slancio e dignità
alla storia di Catania. Su questi argomenti, si accendono i dibattiti più disparati; ci si scontra anche:
ma con quali risultati? Si tratta quasi sempre di chiacchiere buttate lì
per i motivi più disparati. Verità gridate, che molto spesso non sono affatto verità. Le responsabilità sono
corali e non riguardano soltanto
questo o quell’altro Ente. La “solfa” è sempre la stessa: “Valorizzare,
attraverso accorti interventi di restauro conservativo, i beni culturali
esistenti a Catania”. Peccato però
che sono ancora molti i monumenti
che necessitano interventi urgenti.
Per alcuni di essi, particolarmente
simbolici, la piena valorizzazione
tarda sempre a venire. Ma esiste o
no la reale volontà di intervenire? Il
dubbio viene.
Annotiamo, tanto per fare un
esempio, che la basilica di San Nicolò l’Arena è da anni un cantiere
aperto; ma si tratta
solo di una surreale
parvenza perché i
lavori non hanno
mai avuto inizio.
La scorsa estate,
l’intervento di restauro era stato dato per imminente,
ma a tutt’oggi
l’edificio continua
a rimanere “intubato” come un malato
allo stato terminale. Una ragnatela di
tubi innocenti, infatti, all’interno e
all’esterno ne tengono ingabbiata la poderosa mole.
Sull’ “innocenza” dei tubi si può pure scherzare, ma fa rabbia vedere la
meravigliosa cupola ridotta a un
ammasso di ferraglia per lo più arrugginita.
Vista così da lontano, poi, la
splendida cupola, opera settecentesca dell’architetto Stefano Ittar, per
effetto di una strana illusione ottica,
appare persino “sfuocata” come se
qualcuno volesse occultarla alla vi-
il prospetto del monumentale tempio di San Nicolò l’Arena. Sotto: la cupola ingabbiata
tata per ragioni statiche, ha un costo
per l’amministrazione comunale.
“Per ragioni statiche, va bene; ma i
tempi? Da molti anni, la chiesa be-
Dopo l’avvio dei lavori, il monumento da tempo è rimasto “intubato”
come un malato allo stato terminale, abbandonato nella completa incuria
sta. Non mi pare il caso di disinteressarsi fino al punto di esclamare:
“Non me ne frega un tubo!”. Questo, proprio no. Ci piacerebbe sapere, piuttosto, se l’impalcatura mon-
nedettina versa in queste condizioni.
Ormai la ferrea cintura che l’avvolge, sembra fare parte dell’arredo
artistico del monumento stesso; un
esempio “d’arte moderna” di dubbio
Un linguaggio criptico e capzioso come quello della burocrazia,
caratterizzato da tecnicismi, astrazioni, ambiguità
Il politichese a portata di dito …
di MARCO CERRONE
C
on l’espressione politichese o burocratese ci si
riferisce ad un tipo di linguaggio politico di difficile comprensione per i non addetti ai lavori.
Un linguaggio criptico e capzioso come quello della
burocrazia, caratterizzato da tecnicismi, astrazioni, ambiguità che creano una distanza tra politici e cittadini.
Questi ultimi manifestano una certa insofferenza e come afferma Murray Edelman, nel suo importane studio
sul linguaggio politico (The Symbolic Uses of Politics,
1976), «il gergo burocratico viene costantemente ridicolizzato e la presunta arbitrarietà delle decisioni amministrative viene regolarmente denunciata».
Da pochi giorni una delle categoria analitiche della
comunicazione politica come quella del linguaggio politico è approdata su iPhone. È stata infatti rilasciata
Politichese, un’applicazione scaricabile dall’Apple Sto-
La Voce dell’Isola n. 11~14
gusto ma verosimilmente anche di
sperpero del denaro pubblico. E che
dire della vegetazione spontanea
che nasce nella sua facciata? Rigo-
re, su iPhone e iPod Touch, che permette di allenarsi a
parlare come i politici e a dire qualsiasi cosa su qualunque cosa senza dire niente. Con la pressione di un dito
si possono generare fino a 268 milioni di combinazioni
di frasi per creare un discorso che non ha nessun significato come questo: «Un approccio strutturato su una
pluralità di competenze delinea la sfida che ci attende
in Europa nel primario interesse della popolazione avviando infine in compimento, nel momento in cui la
congiuntura lo consente, la sfida del nuovo millennio».
È possibile poi salvare quelli che più vi piacciono o
che più sono utili alla vostra campagna elettorale ed inviarli anche via mail. Un’utile soluzione, dunque, sia se
siete politici, perché potete risparmiare soldi in ghostwriter e preparare una campagna elettorale fai da te,
sia se siete cittadini e volete far bella figura con i vostri
amici, quando si parla di politica, manifestando una
sbalorditiva proprietà di linguaggio.
gliosa in autunno, appassita in estate, scandisce il tempo che passa nel
pieno decadimento estetico di una
struttura che altrove sarebbe stata,
ne siamo certi, adeguatamente valorizzata. Perché quando si tratta della
chiesa di S. Nicolò
l’Arena, si alzano
sempre silenziose ma
robuste barriere? Riteniamo che col passar del tempo, questo grande contenitore di
storia sia
destinato a
un lento e inesorabile decadimento. L’organo di Donato del
Piano, fresco di restauro, potrebbe
essere il primo a subirne le conseguenze. Il suo ripristino sarà costato
all’erario un bel po’ di quattrini, eppure è stato utilizzato poco e male.
Un vero peccato.
Pochi probabilmente sanno che il
permanere di questo stato di “disordine”, o di “limbo”, non facilita il
pieno rendimento funzionale degli
elementi esistenti all’interno della
struttura stessa.
Altro esempio di spreco di risorse
economiche che il Comune dice di
non avere a sufficienza, è dato dai
costi di gestione. Essi, oltre alla custodia, comprenderebbero anche
quelli della rettoria. Trattandosi di
un monumento religioso, è prevista
la figura di un rettore che garantisca
con regolarità il normale svolgimento delle funzioni religiose.
Tutto ciò, a conti fatti, dovrebbe
far riflettere: la sua apertura al
pubblico, alle condizioni attuali, appare più una forzatura che un servizio reso
ai cittadini e al turista. Ma
allora, qualcuno ci dica finalmente se i fondi regionali per il
restauro del Monumentale
Tempio di S. Nicolò
L’Arena, ci sono o no.
30 Luglio 2009
22 Cultura
L’invenzione lessicale approdo coerente della ricerca perseguita da Sebastiano Burgaretta
Un sottile filo di Arianna
sfida l’azzardo del neologismo
di GIUSEPPE TRAINA
«
La citazione intertestuale carica di senso
la parola del poeta, la ricollega a una tradizione
altissima mentre la lega, orizzontalmente,
alle altre tradizioni mediterranee
C
he cosa non rifonde al cuore
tuo / il suono variegato d’una
banda: / dai ritmi di fuoco e
d’energia, / che i martiri innalzano
nel mondo, / ai passi timidi di muti
infanti / al vento soggiogati e all’armonia! / Che dire poi del sogno in
dormiveglia / tra melismi struggenti
nella notte / ai crocicchi trapanesi
d’ogni tempo / quando il Cristo si
lascia basculare / in moti dolci e teneri di danza?».
Ho riportato per intero la lirica La
banda per dare subito un’idea della
musicalità dolcissima ma straordinariamente virile dei versi di Sebastiano Burgaretta, del suo lessico
colto e mai fine a se stesso, che, anche laddove, poi, sfida l’azzardo del
neologismo, si fonda sempre su un
assoluto rigore etimologico e una sicura coerenza semantica. E ciò succede spesso, in questo nuovo libro
di poesie, Sovente all’anima, stampato - come il precedente Le ‘olàm nelle elegantissime edizioni Il Girasole di Angelo Scandurra.
L’invenzione lessicale è un approdo coerente con la ricerca perseguita
da Burgaretta, con intensità sempre
maggiore, nelle sue raccolte poetiche più recenti (mi riferisco anche a
Trame del Mediterraneo, che risale
al 2003). Si tratta di un’inarcatura
che punteggia un verso già di per sé
programmaticamente predisposto
alla soluzione mistilingue: di silloge
in silloge, infatti, il nostro poeta va
costruendo una sorta di nuovo sabir
(un «sabir dell’uomo vero / che tutto si commette al mare aperto, / ammalia da sempre la parola, / non cede ai turbini del cielo», leggiamo
nella poesia La parola, significativa
dichiarazione di poetica) che mescola italiano, dialetto siciliano, greco, latino, spagnolo, francese, arabo
ed ebraico e che è espressione di
quella «cultura intermediterranea alternativa» vagheggiata da Predrag
Matvejevic.
D’altra parte, la forza della parola
- non gridata né sussurrata ma, semplicemente, pronunciata a fronte alta
-, il plurilinguismo e l’espressivismo sono tre elementi che rinviano
a quella “linea” dantesca della poesia italiana che nella contemporaneità non sempre ha trovato sviluppi
che sapessero essere al passo coi
tempi: e questo, naturalmente, lo si
dice in una prospettiva che va ben
oltre il successo (temo effimero)
mietuto dalle pubbliche recite d’un
Benigni o d’un Sermonti, e che invece, in un poeta come Burgaretta,
significa un’assimilazione così profonda della parola dantesca che interi versi o sintagmi della Commedia
si incontrano nelle poesie di Sovente
all’anima, e spesso in una significativa collocazione conclusiva. Talché
la citazione intertestuale carica di
senso la parola del poeta, la ricollega a una tradizione altissima mentre
la lega, orizzontalmente, alle altre
tradizioni mediterranee evocate lungo il libro: al misticismo spagnolo,
al mito greco, alla religiosità popolare delle processioni e dei rituali
che il folklorista Burgaretta conosce
a menadito (e lo sanno bene i lettori
di altre sue recenti pubblicazioni, da
Sicilia intima a La memoria e la parola).
Il libro è diviso in tre sezioni. La
30 Luglio 2009
Sebastiano Burgaretta
prima, “Colori”, si apre nel segno
dell’omaggio al meraviglioso cromatismo delle tele di Piero Guccione (cantore su tela della «meseta
iblea che scivola rapita / verso carpali colline calcidesi / in danze elicoidali di colombe / e riverberi d’ali
cristalline», I cieli di Piero) e sviluppa suggestioni di origine prevalentemente naturale, non senza la
presenza discreta ma continua dei
segni dell’agire umano: la canzone
(quelle della nobile tradizione napoletana citate in Valle a mare, per
esempio, ma anche i «cori di Sicilia
gitani» di Memento), la musica (come in La banda, citata all’inizio), la
poesia (Montale e Pound evocati in
A Rapallo).
Colori, suoni, forme della presenza umana rimandano comunque al
divino, come accade, più implicitamente, nella splendida sequenza di
terzine che anima Filigrana d’acqua o, più esplicitamente, nella non
meno bella Casa de campo (che si
conclude con questi tre versi di purissima segretezza: «Dono di pre-
senza totale / nel
silenzio del mio
Gioi. / Tutto qui
si è fermato»).
“La
parola”
s’intitola la seconda sezione e in essa Burgaretta raggruppa – tra memoria culturale e
impegno di poetica
– liriche molto diverse, alcune di
raccolta delicatezza come Vento, che
palpita nel giro di otto versi alternando quinari e settenari sul filo
delle assonanze, altre dal dettato più
arioso, come Ancora il nome, dedicata a Rosa Rossi, maestra di studi e
maieuta d’una vocazione intellettuale. Ma l’illustre ispanista non è
l’unica presenza intellettuale ad essere omaggiata da Burgaretta in
questa parte del libro, che passa in
rassegna le diverse forme del lògos:
dalla parola profetica dell’antica
Cassandra alla parola «che vive fuori del tempo / nel rito ammaliante /
che non conosce fine» del gran pu-
paro Mimmo Cuticchio (All’ombra
del genio), dalla parola poetica di
Peppino Bonaviri, protagonista per
criptocitazioni di
Vento di Camuti
(«smarrita la memoria dei poeti / nulla
può lo spirito beffardo / nel silenzio
che filtra il sole
d’oro») all’alta sperimentazione sostanzialmente lirica di Stefano
D’Arrigo, nella
raffinatissima La
casa degli Antoni,
dove s’incastona
un gioco di riferimenti testuali che
arriva fino al «divino pennello
messanense» di
Antonello. Né
potrei escludere
la presenza dell’amico Vincenzo
Consolo dietro la breve lirica Terra
di Demetra.
Ma questa è anche la sezione di
alcune belle poesie d’un Burgaretta
“fuori di casa”: fogli di viaggio a
Parigi, in Grecia, in Spagna, nella
sua Sicilia. Ma, è ben chiaro, tutto
quanto è Mediterraneo si mescola
nelle liriche del poeta avolese: e così, per esempio, Odós Prodrómou
può iniziare con «Repentina l’aria
d’organino / triste nel meriggio siciliano / riflette un mattino in via Prodrómou / col tulle nuziale sul balcone», e chiudersi, poi, nell’evocazione in chiave del «cieco infelice di
Granada», Francisco Alarcón de
Icaza. La sezione “Sovente all’anima” funziona, infine, come ultima
stazione di un movimento ascensionale di segno metafisico (e in tal
senso si capisce ulteriormente la
presenza intertestuale della Commedia dantesca): comincia non a caso
con una poesia come Inaudita voce,
sinfonia di sapore iniziatico costruita su un rigoroso schema strofico e
su una forte insistenza sui suoni allitteranti, assonanti ovvero consonanti, volti a suggerire la forza
(«pneuma potente accampa / sulle
porpore sfuggenti»), la segretezza
(«mano antica / e invisibile agli occhi / degli intrusi nel convito»), l’ermeticità, insomma, di un possesso
esclusivo («Fermato il legno / dalla
triplice chiusura, / chiuso pure il libro / dei coaguli d’inchiostro») che
si risolve, mi pare, in null’altro che
la vitalità aperta e naturale («Irrompe nella piazza / l’afflato eterno della vita»).
Anche le liriche successive suggeriscono il senso di un «approdo
alle rive della luce» (in Tabórica vivencia), di una pienezza ritrovata
(Saldo il legno) - magari ancora nel
segno del canto popolare (Alla festa
de noantri) –, di un ancoramento alla simbologia cristiana (La perla).
È la poesia eponima, in definitiva,
che spiega tutto, con una semplicità
che non rinuncia al gioco calligrammatico prima di esplodere nel canto
conclusivo: «Torna verde lo stupore
antico. / Lontano gli occhi della
mente / a incontri celebrati dentro il
cuore. / Il filo d’Arianna mai reciso,
/ del labirinto persa la memoria, / allunga al cielo l’ombra del suo arco».
Due continenti, la cultura e le sue visioni
Mamiya, Sicilia-New-York
di OMAR GELSOMINO
D
ue continenti, la cultura e le sue visioni. Caratteri che accomunano
una mostra, il cui tema è la cultura,
che trasformatasi in visione, archivia le
emozioni in stampe, proiezioni e suoni.
Un viaggio quello da Catania a New York
durato sedici mesi, rappresentato da cinquanta stampe su alluminio – silver glass
cm 50 x 50 –, due video – una suite piccolo formato 135 e la Trilogia di New York –
e l’istallazione audio Avenues ci guida in
un viaggio nel mondo del medio formato
originale, di Enrico Masi, autore di reportage e sperimentazioni artistiche, e della
stilista siciliana Valeria Di Masi nella mostra dal titolo Mamiya, Sicilia – New York
Manifesto curata da Sebastiano Favitta e
Attilio Gerbino.
Un viaggio sperimentato attraverso gli
scatti di una fotocamera giapponese – una
MAMIYA C220 datata 1968 – sopravvissuta avventurosamente agli anni Settanta,
gli Ottanta e ancora i Novanta per rivivere
nelle mani di Enrico MASI nella Sicilia
del XXI secolo. Immagini a colore e in
bianco e nero, grattacieli o paesaggi siciliani, architetture geometriche e paesaggistiche, antico e moderno, gioventù e vecchiaia. “Ognuna di queste foto – concordano i critici Marina Benedetto e Pippo Pappalardo - racconta una storia, un frammento, un istante, quasi che l’artista ci voglia
condurre in un labirinto di storie parallele
che si intrecciano, liberi di fantasticare e
di tessere le nostre trame personali”.
Un insieme di contrasti, quasi a formare
una poesia, con i suoi riflessi ed i suoi
contrasti, ci induce a riflettere sul tempo
che va e passa, sulla nostra vita e le belle
stagioni, sull’avanzare dell’età e dell’ineluttabilità del tempo. La mostra sarà visitabile presso la Galleria fotografica Luigi
Ghiri, in via Duomo, dal martedì alla domenica dalle ore 9,30 alle ore 12,30 e dalle ore 16,00 alle ore 19,00, fino al 23 agosto.
Valerio Di Masi
La Voce dell’Isola n. 11~14
Cultura 23
Incontro con Marco Sforza, un emiliano dallo spiccato senso dell'humor
Il cantautore è anche un poeta
cresciuto nelle feste di paese
di MORENA FANTI
M
arco Sforza è un cantautore
emiliano dallo spiccato
senso dello humor, “un
istrione”, come dice il suo pasticcere di fiducia.
Lui scrive, anche canzoni, e parla
un po’ di tutto, principalmente di se
stesso, del suo modo di vivere e di
confrontarsi, ma soprattutto dei suoi
problemi. Con se stesso e specialmente con le donne, dice lui. Sarà
davvero così?
Allevato a pane e valzer – le melodie che ascoltava la mamma nei
pomeriggi di lavori a maglia -, Marco Sforza è cresciuto con la musica
nelle orecchie e nel cuore. In seguito feste di paese e baci mai dati, e la
musica sempre in sottofondo. Quando i ricordi hanno iniziato a sfilacciarsi Marco ha iniziato a scrivere
per non dimenticare: “Saranno state
quelle note, quelle grosse voci,
quelle splendide ballate […] Io
ascoltavo tutto questo e in qualche
modo volevo farne parte pure io.
Cosi d’incanto iniziai ad accompagnare le mie parole con la chitarra e
una pianola. E mi piaceva”.
E che Marco Sforza si diverta
cantando e suonando è una cosa immediata, una cosa che si scopre subito ascoltandolo in concerto. In
perfetta sintonia con gli amici (il
Trio Separè) che suonano insieme a
lui, Marco è un musicista vero, un
artista che rispecchia l’uomo che ha
in sé: “Il musicista / Quando parla si
veste di modestia / Lui lui è un
grande artista / Tendenzialmente
solitario e pessimista // Non gli
chiedere mai / Di suonarti qualcosa
nell’immediato / Lui puntualmente
dirà / No guarda non è il caso.. non
ho studiato”.
Marco Sforza scrive di allegria e
di spensieratezza ma anche di malinconia e nostalgia. Il tutto si riassume in verità e sudore. Le sue parole hanno il suono di alcune poesie,
con le parole che si rincorrono e inseguono i nostri modi di fare e di
essere: “L’indifferenza, è una dolce
amante / Misteriosa è un po’ intrigante / E poi del resto, è un’invenzione / Del nostro tempo, del nostro
umore […] Scappo via, ho troppa
fretta / No grazie, no…non m’interessa […] L’indifferenza la trovi sui
giornali / Tra qualche vip e qualche
cane”.
E finalmente Marco, dopo tanta
musica e tanta scrittura, ha deciso,
da un paio di anni, di portare fuori
dalla sua stanza le sue canzoni. E lo
fa affermando: “Non faccio il musicista di professione. Io scrivo solo
canzoni”.
I ragazzi che ti accompagnano
sono amici da prima, o musicisti
che hai conosciuto per lavoro e
dopo sono diventati amici?
Amici. Soprattutto amici. Matteo
Pacifico, il clarinettista, è stato il
primo con cui ho intrapreso questo
viaggio musicale. Ci siamo conosciuti in una casa di riposo 6 o 7
anni fa.
Cosi tra una festa e l’altra, tra un
walzer e una mazurka abbiamo iniziato a conoscerci e suonare insieme. Fabio Volpini invece, l’ho conosciuto al Roxy Bar un anno fa. Eravamo lì per una rassegna organizzata da Red Ronnie, io come solista,
lui era il batterista di una cantautriLa Voce dell’Isola n. 11~14
Marco Sforza in concerto
ce di Bologna. Per farla breve, dopo
la mia esibizione (“geniale”) è corso da me entusiasta e mi ha chiesto
(anzi mi ha quasi obbligato) di
prenderlo a suonare con me. E cosi
è nato il trio.
[Il trio?!.. Si, il trio Separè. Ma
ne manca uno, no?!]
Hai ragione: il terzo elemento.
Descriverlo per me è sempre un po’
complicato perché. Perché lui è un
bohemien, nel vero senso del termine. Forse il primo e l’unico che io
conosca. Di comune accordo abbiamo voluto espressamente che facesse parte del nuovo cd, Mattia “il
conte” De Medici, violinista eccentrico come il suo stile di vita. Un genio musicale. Indomabile.
Quanto è importante per te avere una buona sintonia tra di voi?
Credo che sia una base fondamentale per chi suona, soprattutto
quando si porta in giro un’idea e
una proposta di musica molto personale e nello stesso tempo nuova
per chi ascolta.
Senza un affiatamento completo e
sincero è molto difficile riuscire ad
emozionare il pubblico e a divertirsi
insieme. Io mi ritengo molto fortunato ad avere come musicisti/amici
tre ragazzi come loro. Oltretutto io
sono uno a cui non piace fare sem-
ma onesta e fin che posso la porterò
avanti.
Senti più il bisogno di scrivere o
di fare musica? Cioè, potresti essere ‘solo’ scrittore dei testi e poi
cederli ad altri, ad esempio, o senti che vuoi essere ‘tutto’ perché sei
più completo come artista?
Da quando ho iniziato a scrivere
ho sempre cercato di portare avanti
le due cose contemporaneamente.
Spesso capita che prima arrivi la
musica, un motivetto, un giro di accordi e poi pian piano nasce un testo. Altre volte è l’esatto contrario.
Il bisogno comunque è sempre vivo, quasi un’esigenza, un modo mio
per fermare qualcosa, di fissarlo e il
più delle volte di esaltarlo musicalmente. Il problema non è cercare di
essere tutto, ma saper cosa si vuole
essere, avere la consapevolezza dei
propri limiti e poi da lì scegliere dove andare.
Nel mio caso mi verrebbe molto
difficile limitarmi al solo testo o solo alla parte musicale. Forse perché
ho davvero questo bisogno di usare
entrambe le cose, di esprimermi con
la musica ed il testo insieme. Certo,
potrei benissimo scrivere testi per
altri, ma sono certo che alla fine la
canzone non risulterà come io
l’avevo immaginata: sarebbe un
nologie, le radio indipendenti ecc.
tutti hanno la possibilità di farsi
conoscere per quello che fanno.
Il problema è il modo con cui si
arriva alla notorietà . Quante volte
vediamo in tv e sentiamo per radio
un’infinità di singoli, di canzoni costruite apposta per vendere: il ritmo
orecchiabile, la bella fanciulla o il
boy impomatato fino alle mutande!
Non si fa cultura così. Ma alla
maggior parte delle gente questo
non interessa, basta che la canzone
piaccia, abbia un bel ritmo e il gio-
“Sono i concerti dal vivo che salvano la musica, la vera musica,
quella con il sudore, le risa, i locali, la gente che ti ascolta
e condivide insieme a te un momento magico”
pre le stesse cose e preferisco, secondo il momento, la serata, e la
gente che ho davanti, adeguarmi all’atmosfera.
Non sempre nasce quello che si
ha in mente, ma almeno ci si prova.
I colleghi che ogni volta suonano la
stessa scaletta, le stesse pause, gli
stessi arrangiamenti, non li concepisco tanto.
Forse è una mia idea di spettacolo molto pretenziosa, non scontata,
compromesso giusto e naturale da
accettare. Stesso discorso vale per
la musica. Comunque alla fine preferisco scrivermele e cantarmele.
Am diverti ed piò! [mi diverto di
più, per i non emiliani]
Quanto è difficile farsi conoscere nel mondo della musica?
Credo che oggi sia molto più facile rispetto a quaranta/cinquanta anni fa.
Ormai, con Internet, le nuove tec-
co è fatto. Nel mio caso forse arrivare ai ranghi alti di radio e tv è
ancora più complicato. Io, insieme
ad un mare di ragazzi giovani e non
giovani, rientro in quella categoria
chiamata “cantautori”. Sentire una
canzone di Bindi, di Conte, di Tenco, di Testa o anche lo stesso De
Andrè passare per una radio nazionale avviene di rado, salvo quando
fanno uscire le solite raccolte annuali. Figurati se vogliono passare
un brano di Marco Sforza o tanti altri.
Certo ci sono i concorsi, quelli
importanti, ad esempio Musicultura
a Recanati, Sanremo Lab, Bielle e
tanti altri, ma siamo sempre al punto di partenza. Nel senso che sotto
di te devi avere qualcuno che ti promuova e faccia il possibile perché il
tuo prodotto e/o proposta musicale
diventi palpabile e vendibile. È il
come che fa la differenza.
Infatti da pochi anni a questa
parte sono nate un’infinità di etichette indipendenti per contrastare
tutto questo magna magna discografico; certo è positivo tutto questo, ma credo che di strada da fare
ce ne sia ancora tanta e credo anche che non bisogna partire dalle
piccole etichette indipendenti, ma
bisogna puntare in alto, alle major
e alle radio a diffusione nazionale,
cambiare i palinsesti, smetterla di
far passare ogni mese i soliti Ligabue, i soliti Vasco. Sarebbe ora che
lasciassero spazio ai
giovani, a nuove
identità , nuove
espressioni. C’è bisogno di una rivoluzione musical/commerciale. Poi per
uno come me che
ha sempre creduto
nel live e continuerà a farlo è una
grande soddisfazione riuscire a
portare in giro le
mie cose, la mia
musica, la mia vita.
Sono i concerti
dal vivo che salvano la musica,
la vera musica,
quella con il sudore, le risa, i
locali, la gente
che ti ascolta e condivide insieme a
te un momento (magico).
Hai ragione. Mi suona tutto tremendamente familiare. Per chi
scrive succede esattamente la stessa cosa. Le librerie propongono
sempre e solo i soliti nomi e i libri
delle grandi case editrici e gli altri
non si trovano mai. Ma torniamo
a te e alla musica. È uscito il 21
marzo scorso il tuo primo cd
“Laiv”, registrato in presa diretta
il 20 dicembre 2008 al Circolo
Culturale Materia Off di Parma.
Avere tra le mani il (proprio) primo cd è come per uno scrittore
vedere stampato il suo primo libro. Sei soddisfatto di questo cd
nuovo e lucido? Cosa si prova vedendo il risultato del proprio lavoro? Che progetti hai per il futuro?
La soddisfazione è tanta, davvero.
Alla fine si è contenti comunque, al
di là di venderli tutti oppure no. Le
prime impressioni dai nuovi ascoltatori sono buone e per il momento
questo è ciò che ci interessa.
Ora dovrò occuparmi della promozione, magari in qualche radio,
interviste, (magari fatte da una dolcissima scrittrice bolognese) e poi
locali, festival estivi, ecc.
Poi si vedrà . Sinceramente non
sono il tipo che vuole programmare
tutto a tavolino. Anzi, non ne sarei
capace, farei un gran casino, come
mio solito.
30 Luglio 2009
24 Cultura
Parlare delle prospettive future (o della mancanza delle stesse) è diventato di moda
Giornalismo online, una rivoluzione
per dominare le nuove tecnologie
di RINA BRUNDU
C
’è qualcosa che non mi torna
leggendo il pur ottimo articolo di Massimo Gaggi “La rivoluzione di Twitter manda in affanno i media” (Corriere della Sera
del 24 Giugno 2009).
Concordo, per esempio, quando
nel catenaccio scrive “Le reti sociali
impongono una ridefinizione del
giornalismo”, concordo (a fatica,
ma concordo) quando mi fa indirettamente notare che si può fare
“giornalismo” anche semplicemente
riuscendo a trafugare una “fotografia vietata” da un Paese governato
da un regime dispotico (vedi i ragazzi iraniani che grazie a Twitter
trasmettono “brevi messaggi e immagini della sommossa e della repressione”).
Concordo pienamente quando sostiene che nel prossimo futuro “fare
giornalismo diventa (anche) saper
dominare le nuove tecnologie, aggirare i muri della censura, ma anche
filtrare fonti la cui at tendibilità è
tutta da dimostrare..”. Ma questo è
quanto. Ciò che non mi torna invece
è l’impressione, che ricavo dalla lettura, di un eccessivo entusiasmo rispetto a quello che, alla fin fine, resta sempre un social-network tout
court. Nulla più, nulla meno.
Associare “troppo” le cose del
giornalismo (almeno di quello con
la G maiuscola) agli exploit dell’ultima modalità comunicativa digitale
(per quanto glamour e per quanto
powerful) può essere pericoloso.
Nonché controproducente. Sarebbe
un po’ come se, nel microcosmo X,
si ponessero sullo stesso piano gli
informati e tempestivi pettegolezzi
della Perpetua di paese, con i tentativi della “mente razionante locale”
di verificare, approfondire, ma anche spiegare quelle stesse “notiziole” (e perché no? persino di determinarle – vedi per associazione il
giornalismo d’inchiesta), allo scopo
di meglio comprendere le soffocanti
dinamiche dentro cui le stesse si
producono.
Sarà perché parlare delle prospettive future (o della mancanza delle stesse) del
giornalismo è diventato
di moda! Giorni fa nel
suo interessante Mediablog, Marco Pratellesi,
discutendo di giornalismo online, titolava
“Web, la fine del tutto
gratis”. Il post faceva
poi una veloce ricapitolazione di possibili “soluzioni” alla “reale”
problematica di fondo
(ovvero, come creare
un modello giornalistico online economicamente valido), così come proposte da diverse
fonti informative.
Mediablog citava,
tra gli altri, uno studio
americano riportato
su Il Corriere Economia, studio che
avrebbe evidenziato come la
metà dei “navigatori-lettori”
sarebbe disposta a pagare un
30 Luglio 2009
abbonamento mensile ad un quotidiano se il costo fosse modesto (cinque euro circa). Pratellesi ricordava
poi l’analisi fatta dallo stesso Gaggi
sulla “soluzione-micro pagamenti”
lanciata da Rupert Murdoch. Altre
limiteranno a diventare moderna
confezione di un prodotto che resterà datato.
Per usare una semplice analogia,
sarebbe come pretendere che i ragazzi di oggi mangiassero pavesini
boom – solo dopo è venuto fuori
che era tutta carta straccia comunque, ma queste sono altre storie!).
Quale laureando non lo farebbe se
avesse la necessità di “rimpolpare”
la sua tesi? Quale investitore non lo
farebbe se fosse preoccupato per il
domani?
Per converso, io non ho mai rinnovato per due mesi di fila un abbonamento online ad un quotidiano
perché alla fine mi veniva a noia: mi
veniva a noia la sua struttura obsoleta, mi veniva a noia la mancanza
di dinamicità rispetto al mondo vivo
(e persino gratuito!) che lo circondava in Rete. Allo stesso modo, mai
e poi mai accetterei di versare un
micro-pagamento che magari mi si
presenta sul conto in compagnia
della diletta sorella banking-fee; in
simil guisa, e per chiudere il cerchio, mai e poi mai accetterei di finanziare uno pseudo-giornalismo
che sia anche soltanto un lontano
parente di un social network o di un
circolo gossiparo.
A mio modo di vedere dunque (e
pur rendendomi conto che il tallone
d’Achille di tutto il mio discorso sta
Oggi la metà dei “navigatori-lettori” sarebbe disposta a pagare
un abbonamento mensile ad un quotidiano se il costo fosse modesto
proposte si soffermavano sulla necessità di “una maggiore sintonia
con i lettori”, mentre il post si chiudeva ricordando l’altalenante percorso compiuto da diversi, importanti, quotidiani tra la formula gratuita e quella a pagamento (delle notizie, s’intende!).
Per quanto mi riguarda, escluso
l’item della “maggiore sintonia con
i lettori”, che mi pare piuttosto una
conditio sine qua non, io ritengo che
tutte queste “ possibili, metodologie
lavorative” siano in realtà superate e
che avranno pure scarse possibilità
di successo. Soprattutto, avranno
scarse possibilità di successo se si
a go-go solo perché una determinatissima (a non soccombere) ditta
produttrice, pur di salvare il prodotto, dopo settimane di intenso brainstorming del suo miglior management, fosse venuta su con l’idea di
stimolare le vendite creando un package avveniristico.
Anche se il package fosse d’oro,
infatti, sempre di pavesini si tratterebbe! Dubito molto dunque che,
per quanto gloriosa, quella semplice
galletta sarebbe in grado di soddisfare (da sola) i palati più “raffinati”
della gioventù moderna (non me ne
vogliano i produttori!). Senza considerare (e qui mi rifaccio alle perplessità avanzate in precedenza rispetto alla
questione Twitter),
che il rischio che questa incauta ditta correrebbe sarebbe quello
di catalizzare l’attenzione sulle “meraviglie” della confezione
e non sul prodotto
stesso.
Dio ne scampi! La
verità per fortuna recita che un lettorenavigatore può sì
sborsare il peculio
per pagare un lavoro
scritturale ma questo
deve valere il suo
costo! Per esempio,
è vecchissima (rispetto alla storia di
Internet) la pratica
di far pagare saggi
letterari, o anche
accurate analisi
finanziarie delle tendenze di
mercato (questo accadeva
al tempo del
nel suo fine ideale!), non si può parlare di nuovi modelli editoriali per il
giornalismo del futuro, senza prima
affrontare il tema dei suoi contenuti.
O senza rispondere a fondamentali
domande quali: che cosa vorrà dire
essere giornalisti domani? Quali
qualità renderanno tale un Premio
Pulitzer del futuro che dovrà per
forza giostrarsi tra le necessità “spirituali” della sua “arte” e quelle del
ritorno economico?
Tutto questo ci riporta, fatalmente, alla importantissima questione
dell’intrinseca capacità del professionista che svolgerà quella professione: che lo si voglia oppure no sarà infatti tale elemento il fattore
chiave che farà la differenza. E, per
certi versi, permetterà pure di vivere
senza grosse preoccupazioni editoriali.
Insomma, per dirla seguendo la
modalità glamour corrente, sarà proprio quello il fattore chiave che segnerà il confine tra l’essere professionisti-(T) wit-less e l’essere professisti(T) wit-full.(1)
Note:
(1) Lo wit (lo dico ad uso e consumo di quei quattro lettori che
hanno avuto il buon senso di restare
fedeli alla lingua di Dante) è l’arguzia, il bello spirito. Ma in verità è
anche qualcosa di più. È di fatto parola quasi impossibile da tradurre
in Italiano perché descrive in maniera mirabile la più grande capacità dell’intelletto - non a caso viene
citato di frequente il learned-wit di
Oscar Wilde.
Rina Brundu
Dublin, 24/06/2009
©All rights reserved
La Voce dell’Isola n. 11~14
Cultura 25
La disincantata poesia di Maria Pina Ciancio alla ricerca di uno spazio indefinito
La ragazza con la valigia
sperduta tra cielo e terra
di SALVO ZAPPULLA
L
a poesia ricerca la purezza, lo stupore, l’incanto. Maria Pina Ciancio, nel
suo libro (La ragazza con la valigia,
editore Lieto Colle, pagg.57, € 10,00) vaga sperduta tra terra e cielo alla ricerca di
uno spazio indefinito, senza tempo né materia. Uno spiraglio che si apre, un’ altro
che si chiude. La vita che ti nega l’accesso
o ti permette di entrate, tutto permeato da
un senso di indefinitezza, di vacuità. “Si
era fermata, una pausa alla corsa/alle parole di pietra, alle carezze trattenute/ per
lasciargli al bar dell’angolo/ un libro di
Bukowski/ e una clessidra polverosa/ capovolta da vent’anni sulla porta”.
Una semplicità disarmante, posta con disincanto, da cogliere e farne dono. Tante
piccole voci si affacciano dall’uscio di una
porta socchiusa, si avviano lungo il sentiero per ribadire la propria esistenza e formano un coro di delicata musicalità. Quello di
Maria Pina è un viaggio metafisico su per
la vetta più alta. Procede con candore, si
meraviglia, si tasta sgomenta le ferite lasciate da rovi acuminati, si volge all’indietro a osservare i solchi causati dal tempo e
ogni volta è una fitta dolorosa: affiora un
ricordo, un rimpianto, una storia finita.
“Arrivò per l’ultimo treno/parlava, cantava, vecchia esausta/una preghiera blasfema/concedetemi il viaggio/e qualcosa da
bere/... Un sordo si alzò/ prese sogni e parole/ e glieli offrì in un bicchiere”. Maschere da decifrare e da esplorare, pesanti come
macigni, gravano sulle spalle e sulla coscienza del lettore. Un inquieto vagare tra
le pieghe dell’anima, alla ricerca continua
di spazi da riempire, tra i perché destinati a
non avere risposta; rovistando tra gli oggetti dell’intorno, sperando rivelino i loro segreti, certezze impossibili da ottenere sul
meraviglioso inesplorabile mistero della vita.
”La solitudine non le faceva più paura,
da quando la vita le aveva fatto scempio in
lungo e in largo. A Nina adesso faceva
paura guardare in faccia il cielo e in quella smerigliata innocenza, socchiudere gli
occhi e non saper pregare”.
Un viaggio metafisico su per la vetta più alta. Procede con candore,
si meraviglia, si tasta sgomenta le ferite lasciate da rovi acuminati,
si volge all'indietro a osservare i solchi causati dal tempo
La nobiltà marchigiana presente
alle Giornate Antonelliane
N
el palazzo Antonelli Augusti Castracane di Brugnetto si è tenuta la terza
edizione delle Giornate Antonelliane
dedicata alla antica ed illustre casata degli
Antonelli, e per questo incontro dedicata al
duecentocinquantesimo anniversario delle
elevazione alla porpora cardinalizia del
Conte Cardinale Nicola Antonelli, figura di
rilevo nella curia romana della seconda metà
del Settecento. A far gli onori di casa ed introdurre l'incontro è stato il giornalista Giovanni Martines Augusti, relatori il professor
Flavio Solazzi – che ha parlato della figura
del cardinale Nicola - e il professor Stefano
Papetti – con una analisi sul collezionismo
d'arte nel Settecento marchigiano e la famiglia Antonelli -. L'incontro si è concluso con
un rosario solenne e cori nella Chiesa privata.
Hanno preso parte alla manifestazione, tra
tanti illustri ospiti della nobilità marchigiana, il conte Barozzi di Venezia, il prinicipe
Guglielmo Giovannelli Marconi da Roma,
l’imprenditore Domenico Coco da Catania.
F. G.
Nella foto, Maria Pina Ciancio
La Voce dell’Isola n. 11~14
30 Luglio 2009
26 Cultura
In un thriller appassionante Giuseppe Firrinceli ricorda una storia “cancellata”
“Noi Italiani e voi Siciliani!”
I misteri del dopoguerra nell’Isola
di CORRADO RUBINO
“
Q
uella piccola dimora di campagna, ma a pochi passi dal
mare, significava per Ludovico, fin da piccolo, un luogo di giochi e di vacanza, di evasione estiva.
Aveva addosso il respiro del mare
ed era appena ombrata da un albero
carico di fichi, i sangiuvannari. Si
doveva percorrere quasi un miglio
per raggiungere le prime case dell’abitato di Scoglitti, quella piccola
frazione marinara; dal lato opposto
si estendevano pergolati e macchie
di mortilla ed un gigantesco minicucco. Fortino dei suoi primi amori
e dei suoi primi lavori, quella casetta di campagna, nucleo agricolo dei
suoi avi, era diventata la casina del
mare e della vendemmia e poi lui,
da universitario e anche dopo, dava
ripetizioni di italiano e latino, nei
mesi estivi, ai tanti ragazzi che dovevano riparare a settembre.
Il professore, uscendo nell’orto,
notò che le viti avevano bisogno di
cure, e pensò che presto avrebbe dovuto chiamare don Tano per far dare
una sistemata ai filari. Poi rientrò in
casa, nella sua stanza, ma ormai la
sua mente era assediata da una torma di ricordi. Era l’imbrunire. Il
professore girò lo sguardo verso la
finestra. Sembrava il quadro di un
romantico pittore che aveva voluto
dipingere un rosso tramonto. Poi rivolse gli occhi verso quel quadro
appeso ad una parete della sua stanza. Il dipinto raffigurava un cane
fermo sopra la scogliera, che guardava vigile il mare e si stagliava,
quasi colpito, contro un rosso di sera in attesa del felice rientro di qualcuno che deve tornare a casa, alla
sua terra. Quel quadro, Ludovico, lo
aveva avuto in dono da un suo amico pittore catanese, con il quale divideva la propria idea indipendentista, ed assieme al quale aveva trascorso ore a parlare delle incantevoli bellezze naturalistiche che nasconde la terra di Sicilia. Il sipario
si alzò definitivamente sul palcoscenico dei ricordi. Con il rosso sfondo
dell’imbrunire, buon presagio, gli
apparve la scena di un paesaggio rurale, intriso di sudore di fatica e di
canti contadini che sottolineavano
l’evento di una buona e abbondante
raccolta d’uva pronta a diventare
nettare di tanto pregio.»
Questo è uno dei passi contenuti
nel libro di Giuseppe Firrincieli che
tramite i ricordi di Ludovico, personaggio principale del suo Noi Italiani e voi Siciliani!, ci fa rivivere una
Sicilia romantica che va scomparendo. Momenti, odori, paesaggi e vita
di una terra che per essere stata per
molto tempo al centro degli avvenimenti storici del mondo conosciuto
ne ha subito le inevitabili conseguenze. Le avidità, le invidie, le
paure e i colpi bassi di coloro che da
sempre l’anno voluta docile, sottomessa e obbediente; proprio come
una star dello spettacolo quando rimane per molto tempo sulla scena e
raggiunge vette inaspettate oscurando gli altri attori. Ludovico con i
suoi racconti cerca anche di sfatare i
luoghi comuni che vogliono la Sicilia arretrata e suddita di dominazioni straniere, senza una cultura ed
una storia proprie.
Ma i momenti di racconto delle
tradizioni siciliane e i ricordi poetici
30 Luglio 2009
GIUSEPPE FIRRINCIELI
NOI ITALIANI E VOI SICILIANI!
EDIZIONI NEL MONDO
di Ludovico, che sono godibili nel
libro, l’autore li cuce all’interno di
un vero e proprio thriller veloce ed
appassionante, contrapponendo la
tranquilla e metodica vita di un tranquillo siciliano, professore di lettere
in pensione, a quella di un altro siciliano cinico e freddo potente della
finanza mondiale. Ludovico si ritrova così coinvolto in una spirale di
avvenimenti in cui si intrecciano potere, denaro e politica in un roman-
tate della guerra, che nell’estate del
’43 non fu una passeggiata per nessuno, visto il numero delle vittime
fra i militari di entrambi gli schieramenti e la popolazione civile siciliana, con una altrettanto spietata lotta
contro una politica nazionale che
sfrutta l’ingegno e la fantasia dei siciliani senza riconoscere loro la possibilità di utilizzarli a vantaggio della propria terra calpestata da secoli,
vittima di sfruttamenti atavici che
purtroppo continuano ad opprimere i siciliani senza poter
mai arrivare al raggiungimento della
propria indipendenza.
Il titolo è una provocatoria esclama-
Giuseppe Firrincieli, sopra la copertina del libro.
Accanto, un militare americano dopo l’invasione
della Sicilia
zo quasi attuale carico di suspence e
di colpi di scena.
Firrincieli ha avuto l’eccellente
idea di narrare le vicende del Movimento Indipendentista Siciliano
(che sono state definitivamente rimosse dalla storiografia ufficiale),
che culmineranno nel dopoguerra
con la mai chiarita morte del professore Antonio Canepa e dei suoi
compagni, inserendole nella trama
di un romanzo moderno che coniuga
mirabilmente documenti storici e invenzione narrativa. Sullo scenario di
una Sicilia che fa innamorare attraverso paesaggi sublimi, miti e leggende, egli trova la giusta soluzione
per sottoporre al lettore una visione
diversa della storia della Sicilia soprattutto quella, forse troppo glorificata, post unità d’Italia.
Contrappone le scene dure e spie-
zione non certamente gratuita: “Noi
Italiani e voi Siciliani!”. Non è una
frase gridata al tempo dello sbarco
dei garibaldini a Marsala (a quel
tempo poteva certamente essere giustificata) ma è il risultato di un diffuso sentire la Sicilia e i siciliani come un corpo estraneo all’Italia ancora nel 1943, in piena seconda
guerra mondiale, a ottantatre anni
da quella che la storiografia chiama
enfaticamente “unità d’Italia”. L’autore quindi trae il titolo del suo libro
da un famoso proclama fatto affiggere sui muri delle grandi città siciliane dal Capo di Stato Maggiore
del “Regio Esercito”.
Questo è parte del testo: «…le
“FF. AA. Sicilia” in gran parte composte di vostri conterranei, sono qui
fra voi, per difendere la vostra Isola,
L’autore contrappone
le scene dure e spietate
della guerra,
che nell’estate del ’43
non fu una passeggiata
per nessuno, visto
il numero
delle vittime fra
i militari di entrambi
gli schieramenti
e la popolazione
civile siciliana
bastione d’Italia.
Voi tutti – ne sono sicuro – affiancherete l’opera delle FF.AA. Sicilia:
Mantenendo, in qualsiasi contingenza, calma ed incrollabile fiducia
nei destini della Patria;
Applicando disciplinatamente e
volenterosamente le disposizioni
delle Autorità militari;
Attendendo con lena costante al
vostro lavoro ordinario, e a quello
cui sarete chiamati per rafforzare
sempre più la difesa dell’Isola;
Arruolandovi e - se sarà necessario – combattendo nelle “Centurie
Volontarie Vespri” di imminente costituzione.
Strettamente, fiduciosamente e
fraternamente uniti, voi, fieri siciliani e noi, militari italiani e germanici, delle “FF.AA. Sicilia” dimostreremo al nemico che qui non si passa.
P.M. 5 – 9 maggio 1943 – XXI,
firmato, il Generale Comandante,
Mario Roatta»
…e pensare che lui era il Capo di
Stato Maggiore di un esercito in
gran parte formato da meridionali.
Il libro di Giuseppe Firrincieli,
Noi Italiani e voi Siciliani!, di cui è
già possibile avere qualche anticipazione sul sito www.giuseppefirrincieli.com dedicato all’autore e al
suo ultimo lavoro, sarà presentato
nei prossimi mesi, probabilmente ad
ottobre prossimo presso la sede della Facoltà di Scienze Politiche di
Catania.
Giuseppe Firrincieli è nato a Ragusa Ibla nel 1948. Si è trasferito a
Catania all’età di 20 anni, proprio
all’inizio della contestazione giovanile che ebbe inizio nelle varie Facoltà cittadine. Laureato in giornalismo scritto e radiofonico all’Istituto
Superiore di Giornalismo, presso
l’Università di Palermo, svolge, dal
1984, l’attività di giornalista pubblicista.
È un siciliano dalla testa ai piedi
con la passione della pittura e della
fotografia; arte, quest’ultima, che in
passato gli ha dato diverse soddisfazioni e comunque ambedue queste
arti hanno contribuito non poco ad
affinare il senso dell’inquadramento
paesaggistico che in Firrincieli appare molto spiccato. Inoltre, appassionato cultore della storia indipendentista siciliana, si è sempre prodigato per l’inserimento dei fatti del
1943-1948 nei testi di storia per le
scuole siciliane.
La Voce dell’Isola n. 11~14
Cultura 27
Francesco Di Domenico trasforma in satira irriverente qualsiasi argomento
Storie brillanti di eroi scadenti
dalla fantasia di un poeta verace
di SALVO ZAPPULLA
Q
uesto libro non dovrebbe andare nelle librerie, e nemmeno andrebbe recensito. Questo libro è una mina vagante che potrebbe esplodere da un momento
all’altro. Il suo autore meriterebbe il
pubblico ludibrio e condannato alla
sedia elettrica. (Storie brillanti di
eroi scadenti, edizioni Cento Autori,
pagg. 158, € 12,00). Francesco Di
Domenico, napoletano che più napoletano non si può, uomo dalla fervida immaginazione e dallo spirito
indomabile, riesce a trasformare in
satira irriverente qualsiasi argomento tratta. Il suo è umorismo allo stato puro, i suoi personaggi bislacchi
e improbabili, coinvolti in situazioni
surreali, pirotecnici commedianti
degli equivoci, strappano il sorriso
anche al più serio dei lettori. Le
donne descritte non sono esattamente delle dame, né gli uomini potrebbero aspirare al ruolo di cavalier
cortesi. Un’ umanità sgangherata,
quella raccontata da Di Domenico,
adorabile nella sua vacuità e sventatezza, composta da furbastri e aspiranti tali, che null’altro può pretendere, se non di essere consegnata alla gloria letteraria. L’autore ha il gusto della dissacrazione nel sangue,
nel DNA.
Una specie di Re Mida del buon
umore e dell’irriverenza. Il Governo
ci scarica nuove tasse da pagare?
Nessun problema, Francesco troverà
il modo di riderci sopra. Vi è morto
il gatto? La zia Matilde è finita sotto
un treno? Niente paura, Francesco
ha la medicina giusta. Un Campanile contemporaneo? Un pronipote di
Toto? Un seguace di Massimo Troisi? Le sue freddure sono invece di
stampo anglosassone, prendono
spunto anche dall’avvenimento più
banale per creare un’atmosfera di
ilarità.
Francesco somiglia più a un Woodehouse dei tempi moderni, maestro
della comicità che ha conquistato
intere generazioni di lettori. Le storie di questo napoletano dalla penna
tagliente possiedono l’eleganza e la
raffinatezza dell’umorismo inglese
(Vuoi vedere che è nato sul diretto
Napoli- Londra?)
Questo libro va letto, portato nelle
Francesco Di Domenico
librerie e recensito. E il suo autore è
una persona dalla sensibilità sopraffina che forse combatte il suo mal di
vivere esorcizzandolo con l’ironia.
intervistato Francesco Di Domenico: questa intervista è stata rilasciata
in circostanze particolari: in una clinica psichiatrica del napoletano do-
trovavo ricoverato anch’io, in quanto, credendo di essere il Santo Padre, gli avevo accordato la richiesta.
Francesco, che bisogno c’era di
I suoi personaggi bislacchi e improbabili, coinvolti in situazioni
surreali, pirotecnici commedianti degli equivoci, strappano
il sorriso anche al più serio dei lettori
Questo libro apre con una dedica a
una ragazza di vent’anni che in un
momento di follia si è tolta la vita,
prima foglia strappata ai suoi cari
dall’autunno. Abbiamo incontrato e
ve Di Domenico era ricoverato dopo
il terzo tentativo di chiedere udienza
al Santo Padre per pretendere lo
scambio nelle immaginette di Gesù
con quella di Carl Marx. E dove mi
questo libro? Non bastava già la
Bibbia a educare i popoli?
Assolutamente no, fu il Sultano di
Chieti a negare quest’assunto quando, durante la preghiera della sera,
inciampando in una Bibbia ipocrita
(basata anch’essa sui “si dice” e
scritta da un consigliere comunale
molisano) cadde dal minareto rovinando addosso alla sorella di un
Muezzin, che restò incinta e generò
Cat, che ha sua volta generò Tom,
che generò Sam e furono tutti scritturati come comparse ne “I Dieci
Comandamenti”, poi Tom & Cat furono assunti dalla Warner
Bros.(Sam ha una gelateria a Beverly Hills).
Perchè la letteratura umoristica, secondo te, viene considerata
ancora letteratura minore, semplice letteratura d’ evasione, da
consigliare tutt’al più ai detenuti?
Nel trattato di Antropologia della
dott. ssa Jamie Lee Curtis: “Un Pesce di nome Wanda”, fu stabilito
che l’umorismo abbatte le pulsioni
sessuali dei coatti, dei ribelli e rende felici i fotografi che non sono costretti continuamente a chiedere:
sorrida please!
Infatti, dopo l’acquisto di alcune
centinaia di miei libri si è visto un
notevole decremento della violenza
sessuale nelle carceri italiane. In
quelle americane il fenomeno è però
rovesciato, si è sentito urlare in inglese (il libro è stato spedito senza
traduzione): “Vieni qui secondino
che te...”
Dopo questo libro ti senti più
un Masaniello o una Maria Teresa
di Calcutta?
Leo Gullotta. Mi sento molto vicino all’arte di questo attore elisabettiano, anche se non mi sciacquerei
la bocca col suo bicchiere, dopo che
lui ha fatto i gargarismi.
Quale tipo di suicidio ti sentiresti di consigliare ai tuoi tre lettori dopo aver letto il libro?
La vita è fatta di scelte, caro Zappulla, io gli metterei su di un piatto
uno spogliarello di Rosy Bindi e
Marina Sereni con la telecronaca di
La Russa (Costretti a tenere gli occhi aperti) o dormire nel letto con
Valeria Marini, incatenati alla spalliera.
So per certo che in questo momento Achille Campanile si sta rivoltando nella tomba. Riesci a intuirne il motivo?
Bhe. Non c’è nessuno che gli
rimbocca la lapide.
Curiosità, ovvero desiderio di conoscere
di AZZURRA FAETI
C
uriosità è desiderio di sapere, di conoscere, di cercare anche, a volte senza
trovare nulla.
La curiosità è il primo segnale pedagogico
che ci fa dire del bambino piccolo “Com’è
intelligente”.
Nella mia esperienza di madre, nonna ed
ora di racconta fiabe, noto che nella scuola
materna i perché fioccano. Nella scuola primaria solo qualche mano si alza per chiedere
“Perché?”. Nella scuola media mancano i
perché, forse i ragazzi hanno già trovato la
risposta oppure rimandano la soluzione a
quando, rientrati a casa, se la faranno dare
da “Internet”.
La curiosità si manifesta in maniera diversa dai miei tempi. Resta sempre una necessi-
La Voce dell’Isola n. 11~14
tà ma si appaga con una ricerca facilitata
anche se le cose da scoprire sono tante.
Da bambina andavo a rovistare in soffitta,
non c’era niente più appagante che trovare
un vecchio baule, un pacco di vecchi giornali, la corrispondenza amorosa della bisnonna.. Ora non c’è nemmeno la soffitta e ci si
libera di tutto. Un rovello che ha tormentato i
bambini di città fino all’adolescenza era
“Come nascono i bambini?”.
I bambini di campagna lo sapevano bene
avendo a portata di occhi i parti delle vacche, delle pecore e delle cavalle. Io fui edotta
dai figli di un contadino e fui considerata dai
miei amici come l’antenata di Lupo Alberto.
Nel mondo animale la curiosità non manca
ma il fine non è la ricerca pura.
Il gatto va immediatamente a rovistare nel
sacchetto della spesa, appena poggiato sul
tavolo, perché cerca il suo mangiare. Ancora
non sappiamo quanto gli animali riescano ad
astrarsi ed astrarre. La curiosità è maestra
della scienza, senza lei, non avremmo avuto
le grandi scoperte in astronomia, medicina,
fisica.
Marco Polo, Cristoforo Colombo, solo per
citare due dei più famosi esploratori, affrontarono un mondo ignoto con pochissime vaghe informazioni. Non avevano certezza soprattutto delle distanze.
Li spinse il loro bisogno di conoscere, di
sapere in poche parole la loro curiosità.
La curiosità ha due facce; la prima è la
sorpresa di un fatto. Il primo uomo si rese
conto della forza del fuoco… dopo essersi
scottato o dopo aver visto il lampo che aveva
incendiato l’albero. L’uomo civilizzato procede per deduzioni.
Se una mela cade dall’albero, lo scienziato
si chiede quale sia la forza che trascina il
frutto verso terra.
La curiosità è la molla che ci aiuta a tenere insieme la natura e la ragione.
La forza dell’immediatezza e l’acutezza
dell’analisi. Da curiosità deriva il verbo curiosare che nel vocabolario viene tradotto in
“osservare con curiosità” e qui ritorniamo
alla mia soffitta e al mio baule.
C’è un’altra definizione (direi più attuale)
ed è “Dimostrare impertinente e riprovevole
curiosità per cose e fatti altrui”.
Chi non ha nella memoria una tendina
scostata e due occhi che spiano…?
Noi umani non potremmo fare a meno della curiosità anche di quella negativa, con tutto quello che ne consegue.. dove c’è vita c’è
curiosità.
30 Luglio 2009