turbolenza nella società di gestione dei servizi
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turbolenza nella società di gestione dei servizi
Anno IV - N. 11~14 • 30 LUGLIO 2009 - € 1,50 La Voce dell’Isola Giornale Siciliano di Politica, Cultura, Economia, Turismo, Spettacolo diretto da Salvo Barbagallo LA GUERRA PRIVATA DEL SEN. FIRRARELLO TURBOLENZA NELLA SOCIETÀ DI GESTIONE DEI SERVIZI DELL’AEROPORTO CATANESE IL POTERE È SUO E.. GUAI A CHI LO TOCCA FONTANA-ROSSA DI VERGOGNA! di SALVO BARBAGALLO I l risultato delle elezioni europee lo ha ampiamente dimostrato: la guerra senza quartiere che si è scatenata, ormai da tempo, fra il senatore Pino Firrarello e il presidente della Regione Raffaele Lombardo ha portato, e porterà ancora, molto danno alla coalizione che fa capo al premier Berlusconi. Il senatore in questa guerra privata risulta ampiamente perdente: i risultati elettorali, ripetiamo, lo hanno provato senza ombra di dubbio. Il volere insistere sul percorso della contrapposizione frontale lo porterà alla catastrofe. Affiora continuamente un odio viscerale nei confronti di Raffaele Lombardo: il senatore Pino Firrarello lo dimostra e inevitabilmente presta il fianco. È come se l’anziano politico non avesse più frecce nel suo arco. E quindi è costretto ad assumere posizioni demagogiche che non hanno alcun senso. Lo dimostrano i frequenti interventi sul quotidiano locale che, alla fine, dimostrano soltanto il buon rapporto che il senatore ha con l’editore che gli mette a disposizione il giornalista di turno per delle interviste a senso unico, e sempre con il solito leit motiv, l’acredine nei confronti di Lombardo. In una delle ultime interviste, “concessa” al giornalista di punta (anagraficamente parlando…) del quotidiano locale il senatore Firrarello sentenzia: “Lombardo pensa soltanto al potere. Nessuna tregua con lui”. Questa ostinata presa di posizione, a mio avviso, merita necessariamente un commento. Partendo dal generale. Ci sono categorie umane molto particolari e (fortunatamente) abbastanza ristrette, ma non per questo meno negative: quelle degli imprenditori che vogliono accaparrarsi tutto di tutto (anche se non ne hanno bisogno), e quelle dei politici (che vera politica non hanno mai fatto) che detengono forti poteri decisionali derivati dal “consenso” elettorale acquisito nel tempo. Queste due categorie umane possono vantare alcuni punti in comune: si sentono immortali, si sentono intoccabili, ritengono un loro diritto potere spadroneggiare come vogliono, imponendo la loro volontà. A parte l’immortalità che non è un bene concesso all’umanità (ricordarsi della “livella” del compianto Totò non sarebbe male), queste categorie fanno e continueranno a fare quello che vogliono, almeno fino a quando loro verrà consentito. Ma per queste persone la parola “fine” sembra non esistere nel vocabo- lario, almeno fino a quando un potere più forte non deciderà al contrario, mandandoli a casa. Nel particolare. Posso affermare (e parlo in prima persona) di conoscere abbastanza bene il senatore Firrarello da diversi decenni: ho seguito la sua carriera politica, gli ho dedicato anche un libro-intervista (“Dal bipolarismo al bipartitismo”). Ho avuto modo di apprezzare molte sue idee, e di idee ne ha molte, il senatore, anche se non sempre riesce ad esprimerle bene verbalmente. Pino Firrarello è un classico prodotto della vecchia Democrazia Cristiana, quella che in Sicilia ha espresso i Lima, i Mannino, tanto lontani dal pensiero di Sturzo, nonostante si siano considerati suoi “allievi”. Raffaele Lombardo proviene dalla giovane DC, quella dei Nicolosi, per intenderci. Distanze interstellari fra i due, anche se il culto del potere potrebbe, in un certo qual modo, accomunarli. C’è una differenza significativa, fra i due politici: Lombardo può contare su una prospettiva, Firrarello no, è al capolinea. Il senso di questo mio intervento? Una risposta alla prima frase espressa dal senatore Firrarello sul quotidiano locale: “Personalmente con Lombardo non troverò mai una intesa perché lui pensa solo ad occupare posti di potere, non a guidare la Sicilia come si deve. Tutto prende lui, tutto decide lui”. Questa frase non avrebbe bisogno di alcun commento da parte di chi ha avuto modo di conoscere Pino Firrarello, perché l’accusa che il senatore volge nei confronti del “collega” di coalizione Lombardo gli calza addosso come un vestito su misura fatto da un ottimo sarto. Basti sapere che la guerra “privata” è scaturita proprio dal “potere” che il senatore Firrarello avrebbe voluto continuare a mantenere in toto, e che invece ha visto sbriciolato dal suo contendente. Il risultato delle elezioni europee dimostra che si è verificato un passaggio di mano nella gestione “assistenzialista” del territorio, malgrado gli strenui tentativi del senatore di contrastare il suo rivale. Le guerre private, è evidente, non sono un bene per la Sicilia, ma Firrarello non dovrebbe dimenticare i suoi errori e le sue responsabilità, delle quali potremmo parlare a lungo. A conclusione: il potere che gli è rimasto lo sta esercitando male, e gli torna contro come un boomerang. (Nella foto il sen. Firrarello) I riflessi mediterranei del G8 de L’Aquila Intolleranza: Sicilia, Isola senza memoria Raffaele Lombardo e il Partito del Sud Abbandonata dallo Stato? Catania città senza Prefetto 2 Politica Quale potrà essere il ruolo della Sicilia dopo gli accordi di principio raggiunti I riflessi mediterranei del G8 de L’Aquila di CORRADO RUBINO I l G8 e il G14 de L’Aquila si sono conclusi da poco e ovviamente i commenti non sono stati unanimi, soprattutto dopo tutto quello che era apparso nelle precedenti settimane sui media nazionali e stranieri a proposito delle "stravaganti” vicende riferite a Silvio Berlusconi. Ma per una volta tanto guardiamo oltre e cerchiamo di capire quale potrà essere il ruolo della Sicilia, isola al centro del Mediterraneo, dopo gli accordi di principio che i grandi delle Terra hanno raggiunto. Per prima cosa c’è da dire che l’Italia, in qualità di Presidente di turno del G8, aveva tra l’altro il compito di proporre il “format” che i paesi del G8 dovranno adottare in futuro per proseguire il dialogo con le economie emergenti. Cioè, in breve, allargare il Gruppo degli otto paesi più industrializzati del mondo (Stati Uniti, Russia, Inghilterra, Francia, Germania, Italia, Giappone e Canada), alle principali economie emergenti (Brasile, Cina, India, Messico, Sudafrica ed Egitto), passare quindi dalla formula G8 alla formula G14 o a formule più allargate. Questa volta sembra che la montagna non abbia partorito il solito topolino. Questa volta il summit de L’Aquila forse non sarà ricordato solo per i disordini dei no-global. La speranza è che, oltre alle immagini di Obama tra le rovine della città abruzzese, questo G8 dia il via ad azioni concrete per dare soluzioni ad almeno alcuni dei grandi problemi che affliggono il pianeta. Finora l'inquinamento non è diminuito, l'acqua è rimasta una risorsa non a tutti accessibile e la fame continua a imperversare fra le popolazioni più deboli. E non è tutto. Siamo in un momento di massima crisi economica planetaria; quindi oggi occorre trovare soluzioni ed adottare regole effettive e rapide per fermare il terremoto dell’economia che in questo momento può ancora trascinare al disastro non solo le nazioni più povere ma anche quelle più ricche. A tal proposito non devono passate inosservate le strette di mano tra Obama e il nostro vicino di casa Gheddafi, alla cena offerta dal presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ai leader del G8, che ci rassicurano ancor più per la tranquillità futura dei nostri rapporti commerciali con la Libia. Pur se quasi obbligate dal cerimoniale (nella sua visita a Roma, Gheddafi ha messo sullo stesso piano il terrorismo di Osama bin Laden e l'attacco americano a Tripoli), queste strette di mano sigillano il disgelo tra Washington e Tripoli già avviato con la rinuncia di Gheddafi al programma nucleare militare. La novità che è subito balzata all’attenzione di tutti è stato il cambio di rotta dell’amministrazione americana in merito al clima. Il presidente americano ha ricordato, in tutta onestà, come gli Stati Uniti in passato non abbiano rispettato l'impegno a ridurre la propria carbon footprint, ma «questi tempi sono finiti». I paesi più sviluppati devono dare l'esempio ed aiutare quelli in via di sviluppo a ridurre le emissioni. 30 Luglio 2009 Il premier Silvio Berlusconi «Dobbiamo dare forma al nostro futuro e non lasciare che gli eventi lo facciano per noi», ha detto Obama, aggiungendo che i fondi a favore della ricerca e dello sviluppo per un'economia pulita verranno raddoppiati entro il 2015. ne di una partnership globale per spingere verso tecnologie «amiche del clima» a basso contenuto di carbone. I leader degli Otto più Australia, Brasile, Cina, India, Indonesia, Messico e Sudafrica si impegnano ad «aumentare considerevolmente» ad effetto, i contenuti ci sono e soprattutto c'è una grande ed inconsueta buona volontà sia parte dei grandi che da parte dei paesi emergenti. Non si tratta come sappiamo di leggi, ma di indirizzi, suggerimenti, inviti non vincolanti, ma il clima di collaborazione respirato all'Aquila ci autorizza a pensare che buona parte di queste ricette verranno seguite, laddove altre organizzazioni hanno fino ad oggi fallito. Ma in Sicilia non dobbiamo cedere alla tentazione di lasciarci andare al cinismo, di pensare che è inutile fare la nostra parte perché tanto il problema è troppo grande e quindi non ci riguarda. Non dobbiamo lasciare la soluzione del problema delle emissioni in eredità alle prossime generazioni. Il 22, 23 e 24 aprile scorso a Siracusa i Ministri dell’Ambiente di 19 Paesi e i rappresentanti dalle varie Organizzazioni Internazionali specializzate sulle questioni ambientali, che sono intervenuti durante il G8 La nostra Isola corre gravissimi rischi a causa dei mutamenti ambientali globali di cui anche il Mediterraneo risente, i quali, oltre a compromettere la salute umana, determinano il cambiamento climatico, la riduzione dello strato di ozono stratosferico, la perdita di Biodiversità, i cambiamenti nei sistemi idrologici e delle forniture di acqua dolce, il degrado del territorio La consapevolezza della dimensione globale dei cambiamenti climatici e dell’urgenza di agire, ha indotto il G8 a imprimere un forte impulso politico e a coinvolgere attivamente anche le economie emergenti. Ma ancora non c'è l'intesa con la Cina e l’India per quanto riguarda il clima. L'accordo raggiunto dal G14 allargato a Indonesia, Australia e Corea del Sud infatti prevede un'intesa relativa alla necessità di non aumentare il riscaldamento globale di più di 2 gradi rispetto alla media dell'epoca preindustriale, ma non il taglio delle emissioni dei gas serra nella misura dell'80% di quelli attuali per i Paesi più industrializzati e del 50% per gli altri Paesi entro il 2050. L'accordo raggiunto dal G8 sui cambiamenti climatici non vincola infatti al momento la Cina, che ritiene fondamentale la necessità per i Paesi sviluppati di prendere in considerazione «le diverse condizioni» dei Paesi emergenti e di quelli in via di sviluppo. Come largamente preannunciato dunque, il governo di Pechino ha reso più esplicito il suo «no» all'intesa trovata dagli Otto Grandi sul clima. Pechino ha trovato anche l'appoggio di India ed Egitto che infatti ha chiesto e ottenuto al momento che nessun vincolo sulla riduzione di gas serra venga imposto ai Paesi emergenti. L'accordo raggiunto non ha vinto le resistenze della Cina, raccogliendo d'altra parte anche le critiche dell'Onu. Secondo il numero uno delle Nazioni Unite Ban Ki-moon infatti i progressi raggiunti dagli Otto Grandi «non sono sufficienti». La novità più importante che emerge dalla bozza di Dichiarazione finale sul clima è invece la creazio- e a «coordinare investimenti pubblici nella ricerca e nello sviluppo» delle tecnologie pulite, «con l'idea di raddoppiare questo tipo di investimento entro il 2015, riconoscendo l'importanza degli investimenti privati, della partnership pubblico-privata e della cooperazione internazionale, compresi i centri di ricerca regionali». I principali settori di questa nuova azione sono l'efficienza energetica, l'energia solare, le reti elettriche interattive, la cattura l'uso e lo stoccaggio del carbone, i veicoli di ultima generazione, le tecnologie ad alta efficienza e bassa emissione, la bioenergia e le altre tecnologie “pulite”. Insomma, al di là delle immagini per l’ambiente, sono stati chiamati a discutere e concordare la “Carta di Siracusa” sulla Biodiversità, che riassume i risultati dei lavori svolti e pone le basi della futura strategia italiana sulla Biodiversità. Il processo doveva proseguire coinvolgendo le Regioni, gli Amministratori e gli Enti locali e il sistema nazionale delle Aree Protette al fine di sensibilizzare i principali artefici di quello che sarà il cambiamento futuro riguardo l’importanza dei meccanismi che legano la Biodiversità e le opportunità di sviluppo economico locale attraverso i servizi eco-sistemici o eco-compatibili. Identificare queste realtà, già esistenti sul nostro territorio (e ce ne Il leader libico Gheddafi, nella recente visita a Roma sono), in cui decisioni politiche “giuste” che sono partite da scelte ecologicamente sane e che abbiano aiutato lo sviluppo economico locale, potrà aiutare a trovare un modo nuovo e più efficace di armonizzazione dei processi per il raggiungimento degli obiettivi sociali, culturali ed economici, contribuendo reciprocamente a migliorare la qualità della vita in Sicilia. La nostra Isola corre gravissimi rischi a causa dei mutamenti ambientali globali di cui anche il Mediterraneo risente, oltre a compromettere la salute umana, determinano il cambiamento climatico, la riduzione dello strato di ozono stratosferico, la perdita di Biodiversità, i cambiamenti nei sistemi idrologici e delle forniture di acqua dolce, il degrado del territorio. Il Mediterraneo è sempre più soggetto ai cambiamenti climatici le cui caratteristiche principali includono l’aumento delle temperature, i cambiamenti negli schemi di precipitazione, l’innalzamento del livello del mare e l’aumento dell’intensità e/o della frequenza degli eventi meteorologici estremi come mareggiate e l’alternanza di gravi periodi siccità con pesanti allagamenti ed inondazioni. La distruzione diretta degli ecosistemi, la frammentazione degli spazi naturali, il disturbo alle specie protette, l’introduzione di specie “esotiche”, l’inquinamento, l’effetto delle isole di calore urbane etc., sono tra i rischi più rilevanti per la Biodiversità specialmente nelle aree marino-costiere, in quelle agricolo -forestali e nelle aree urbane siciliane. Questi effetti interagiscono gli uni con gli altri e risultano difficili da comprendere senza un adeguato coordinamento ed una adeguata sinergia tra la ricerca scientifica delle nostre Università e i processi politici. Le aree protette in Sicilia possono svolgere un ruolo chiave per l’adattamento ai cambiamenti climatici e il loro incremento si potrebbe dimostrare un'efficace strategia. La ricostituzione della Biodiversità marina insieme ad interventi di gestione sostenibile della pesca, il controllo dell’inquinamento, il mantenimento degli habitat essenziali e la creazione di riserve marine si configurano come investimenti per la produttività e l’affidabilità dei servizi garantiti dal mare all’umanità. Azioni miranti alla conservazione della Biodiversità, in aree dedicate all’attività agricola, di pascolo e alla pesca, devono essere sviluppate attraverso politiche regionali adeguate che implichino un approccio partecipato e integrato tra chi decide, chi produce e chi consuma. Tutto ciò sarebbe un segno tangibile sia dell’attenzione dell’Amministrazione regionale nei confronti della tutela dell’ambiente, sia del ruolo decisivo svolto dal Servizio Forestale Regionale e dalle associazioni ambientaliste per la difesa del patrimonio naturalistico siciliano; peraltro può e deve rappresentare, nel pieno rispetto dell’eco-sostenibilità, un volano per l’economia di tutta l’isola attraverso un processo che vedrebbe coinvolte le principali aziende locali. La Voce dell’Isola n. 11~14 Politica 3 VOCI DAL CONTINENTE I Siciliani non possono permettersi di essere razzisti. È un controsenso L’Isola senza memoria: l’intolleranza verso gli stranieri di PIETRO CARUSO L ’Isola senza memoria. Ci sono certe cose della Sicilia che i siciliani, figuriamoci i continentali, se le sono dimenticate. Io non so se l’hanno fatto apposta, perché ignorare vuole anche dire avere meno fastidi, meno ubbie, meno responsabilità o forse perché certi processi storici, quando sono abbondantemente conditi da tivù spazzatura e radio scassa timpani, finiscono per “stonare” la gente. Fatto sta che quando vedo il presidentissimo Obama mi viene sempre alla memoria come il risultato di un lungo riscatto. I diritti del popolo nero, infatti, negli Usa sono cominciati ad essere tali solo dal 1965 e ci è voluta la grande campagna di Bob Kennedy nelle estati sanguinose che hanno precedute la sua precoce morte nel 1968 e c’è voluta la testardaggine di Martin Luther King per fare diventare operativi diritti di uguaglianza che galleggiavano fra le croci infuocate del Kkk e il conservatorismo atavico, quello che rivolta la mente e nega il futuro anche a se stessi. Quello schiavismo che finì per essere un tratto distintivo anche di liberali che si dichiaravano autentici, ma non erano ancora dei democratici veri. Potremmo, dunque, guardare con sufficienza gli amici americani forti della storia siciliana. E invece...quando in qualche bar-pasticceria di Catania o di Messina, ci si siede per gustare una granita o una soda, cominciamo ad avvertire segni d’intolleranza verso gli stranieri che prima erano caratteristica soltanto delle regioni “polentone”. Cosa è successo? La realtà è abbastanza evidente, quando è troppo, è troppo. La vicenda di Lampedusa “docet”. In quella lontana isola che ha il carattere dei “lampedusiani” e non può essere definita Sicilia “siciliana” a 360 gradi, la popolazione resiste di fronte a problemi immensi. Lì non c’è un’immaginario “deserto dei tartari”, dove si attende un nemico che non arriva mai. In quel pezzo di terra rocciosa lasciata alle correnti del Mediterraneo si combatte una battaglia con gli sbarchi, ora ridotti, ma non sappiamo fino a quando e per quanto tempo. Le “tre” Sicilie, del resto, hanno un rapporto ambivalente con lo straniero. Eppure i siciliani, così mescolati, come la lingua conferma anche a livello di valutazione culturale mondiale: sicani, siculi, fenici, greci, romani, bizantini, svevi, angioini, aragonesi... non possono permettersi di essere razzisti. È un controsenso. In genere nessuna isola del Mediterraneo può permetterselo, ma la Sicilia poi...è la più contaminata. Se la macchina del tempo consentisse di analizzare il “dna” di ciascun isolano, oltre ai “meticci” come me, faremmo un salto dalla sedia. Alcuni che si considerano di purissima etnia di origine spagnola, hanno inquietanti nei, voglie, color caffellatte come i popoli camitici: i biondissimi messinesi con gli occhi colorati dai mari del nord, denunciano i loro tratti normanni; e quei cognomi trapanesi...tutti con il suffisso di qualche località dichiarano la tratta della diaspora sefardita, di calLa Voce dell’Isola n. 11~14 co semitico. Di cui converrà parlare in modo più approfondito, quando tratteremo il capitolo degli ebrei siciliani. Un vero volto di Sicilia. La Sicilia non è così e non lo è mai stata. Potrebbe benissimo accampare il primato di maggiori contaminazioni etniche e culturali al mondo. Il “melting-pot”, termine inglese un po’ volgare per definire la mescolanza, l’isola ha cominciato a viverlo alcune migliaia di anni fa. Quei segnali sono poco visibili e poi, si sa, la memoria fa cilecca. Alzi la mano chi sa come si chiamava il suo bisnonno, o la nonna della nonna. Dentro tutto lo sfarzo di un’esistenza o il suo contrario, in realtà, ci stanno soltanto alcune decine di anni di vita biologica, poi per fortuna ci sono gli scrittori, gli storici e se il duramente osteggiata da alcune diocesi siciliane, tanto che recenti studi sulla repressione degli eretici spostano ad alcune centinaia di persone gli uccisi, bruciati, impiccati, talvolta solo in effigie, come accadeva, per esempio, in grandi roghi che venivano accesi contro “giuidizanti” e “luterani” sulle spiagge di Mondello. Persino un “Pietro Caruso”, originario di Caccamo, nel 1564, venne condannato per eresia in quanto sospettato di simpatie ebraiche o forse più semplicemente era un “marrano” spagnolo sefardita fuggito anch’esso dalla penisola iberica, ma sempre per quella mancanza di conoscenza sulle più antiche radici non posso giurare che fosse un avo del ramo siciliano della mia famiglia. Del resto nei bellissimi capitoli dei testi di Michele Amari dedicati ai saraceni o alle guerre dei Vespri Il “melting-pot”, termine inglese un po’ volgare per definire la mescolanza, la Sicilia ha cominciato a viverlo alcune migliaia di anni fa cancro della carta non li divora, i vecchi polverosi libri e i faldoni d’archivio. Non fidatevi troppo della digitalizzazione, se non è a disposizione del pubblico e se non si supera il divario fra chi sa usare le macchine informatiche e chi per ragioni di età, inesperienza, mancanza di costanza è deficitario di tali abilità. Eppure i siciliani sono anche profondamente diffidenti del mondo arabo, se pure ne hanno conosciuto una dominazione per alcuni secoli. E così nascono leggende, mescolate di verità. Per alcuni, per esempio, la distruzione delle foreste che caratterizzavano una parte dell’antica Sicilia, soprattutto interna, fu opera degli arabi, quando in realtà le colture degli agrumi furono introdotte dai califfi che le avevano ereditate, almeno in parte, dai mondi asiatici. Gli ebrei erano mal tollerati, ma allora come riuscì a resistere all’editto di Isabella di Castiglia la grande comunità ebrea sefardita insediata nella Sicilia occidentale oltre venti anni dal quel funesto 1492?. Certo la tolleranza siciliana è una favola, sia verso i nemici esterni sia quelli interni, veri o presunti. Oltre alla diffidenza verso gli arabi, la diversità religiosa dei fedeli della Torah fu emerge un carattere siculo ardito, indomito, ribelle anche se con molta più probabilità per secoli la terra del più grande vulcano ha accolto tutti, salvo poi trovarsi impegnata in divisioni e guerre civili come già dal tempo dei greci era avvenuto. Fra le colonie ateniesi e spartane il sangue che correva non aveva l’odore della fraternità. La diffidenza dei siciliani, atavica, verso gli stranieri è dunque comprensibile. E benedetto è sempre stato il figlio di Sicilia che ha promesso unità del popolo, pane e carità...anche se poi non è quasi mai riuscito nel suo intento. Quel benedetto figlio di Sicilia ogni tanto emerge e subito viene celebrato come un “santuzzu”, mentre quasi sempre è un pover’uomo pieno di ambizione, che ogni mattina si alza per capire come compiacere o farsi intendere da “Rrroma”. Le radici rinverdite. I continentali non sanno che la Sicilia ha mille sfaccettature e una ricca tradizione di paesi diversi. È del resto quella potenziale Isola-Stato che fu nel lontano passato. Per questo, per certi versi, anche senza il ponte sullo Stretto, la Sicilia avrebbe un senso nella storia e non volere diventare anche geograficamente un’appendice. No, non crediamo neppure noi all’assenza di modernità, alla burocrazia dei traghetti, ma pensiamo ugualmente che la Sicilia non può essere qualcosa di distante da ciò che la sua storia e la sua natura l’ha modellata. Può darsi che proprio quel flusso senza interruzioni di auto e di camion possano ridare nuovo lustro, ispirazioni, ma non è attraversando un luogo ad alta velocità che lo si impara a conoscere o che ce ne si innamora. L’esperienza culturale e turistica, nel merito, dice anzi qualcosa di diverso. Il problema è che la Sicilia, che ha già il melting-pot, potrebbe giocare di più il ruolo delle sue ambascerie nel mondo. Per fare questo ci vuole un grande progetto regionale. Riorientare l’emigrazione significa fornirle degli strumenti di dibattito per fare conoscere la Sicilia di terzo millennio, anzi che fornire soltanto l’immagine stereotipata del siculo mafioso, come in maniera incredibilmente veritiera descrive il ciclo dei “Soprano” nella rassegna dei “seriali” televisivi. La Sicilia è tante cose e la mafia ne è solo una parte, legata prevalentemente all’assenza e al rifiuto di una cultura dello Stato “patrigno” verso il popolo siciliano e al conservatorismo scellerato di chi vuole città governate di ricchi privi di polis, di agorà, di bisogni e obiettivi condivisi. Pensare ai siciliani come dediti al malaffare è una bestialità. È chiaro: quando per fare quasi tutto bisogna chiedere il permesso e quando ottenutolo bisogna essere riconoscenti questo non riguarda più la buona educazione, ma le diverse forme di servaggio secondo le logiche di suddito e sovrano. La rivoluzione mancata in Sicilia, non è quella del “separatismo” che era comunque quasi impossibile, ma l’altra: l’assenza di una rivoluzione dei lumi omogenea, non ristretta a qualche circolo di aristocratici e borghesi illuminati. Eppure dentro al popolo siciliano come scorse persino l’esigentissimo Mazzini, c’è una disperata libertà che ogni tanto urla per uscire. Prende le forme più strane e viene costantemente disillusa. È quasi un fenomeno ciclico. L’ultima, in ordine di tempo, è la simpatia cosa incredibile per alcune delle battaglie della Lega Nord. Voglio essere chiaro: se la Lega, abbandonando le etichette geografiche, si trasformasse nel partito federalista italiano (ed europeo) potrebbe godere delle mie simpatie e forse anche di molti di voi lettori. Solo che non è così. L’attuale Lega Nord si è insinuata ed ha accelerato la crisi della Dc e dei partiti di governo nordisti nella Lombardia, nel Triveneto e nel Piemonte all’inizio degli anni Novanta. Ha sollevato il brando di Alberto da Giussano dimenticando che la “lega lombarda” difendeva gli interessi dei Comuni contro gli “stranieri” del Nord e non quelli del Sud. Se si ragionasse così perché un gruppo di esaltati non dovrebbe riprendere i panni dei pupi e promuovendo una Lega sudista non riuscisse a compiacersi agitando una mitica durlindana? Non scherziamo. Che il Paese già ne soffre e da anni e l’unica cosa sensata che un siciliano può insegnare al resto degli italiani è questa: siamo sopravvissuti a migliaia d’anni di storia e decine di diverse contaminazioni. Il nostro spirito è ancora vivo. Perchè crediamo nel tempo segnato dalla dialettica fra “vita” e “morte”. E per ora, dunque, siamo immortali, ma obbedienti alle severe parole del grande Salvatore Quasimodo, nel suo Thanotos athanatos. E dovremo dunque negarti, Dio dei tumori, Dio del fiore vivo, e cominciare con un no all’oscura pietra «io sono» e consentire alla morte e su ogni tomba scrivere la sola nostra certezza:«Thanatos athanatos»? Senza un nome che ricordi i sogni Le lacrime i furori di quest’uomo Sconfitto da domande ancora aperte? Il nostro dialogo muta; diventa Ora possibile l’assurdo. Là Oltre il fumo di nebbia, dentro gli alberi La Voce dell’Isola Iscritto al n° 15/2006 dell’apposito Registro presso il Tribunale di Catania Registro ROC n. 16473 Editore Mare Nostrum Edizioni Srl Direttore responsabile Salvatore Barbagallo Condirettore Marco Di Salvo Redazione Catania - Via Distefano n° 25 Tel/fax 095 533835 E-mail: [email protected] [email protected] Fotocomposizione e Stampa Litocon Srl - Z.I. Catania Tel. 095 291862 Per la pubblicità: Tel/fax 095 533835 E-mail: [email protected] [email protected] Anno IV, nº 11~14 30 LUGLIO 2009 Gli articoli rispecchiano l’esclusivo pensiero dei loro autori 30 Luglio 2009 4 Politica Non si può fare politica senza imporre il ripristino degli equilibri tra Nord e Sud Nuovo Regno delle Due Sicilie con Lombardo e il Partito del Sud di GIUSEPPE FIRRINCIELI E così il giorno dopo i risultati, per certi versi deludenti, delle scorse “Europee”, il presidente della Regione Siciliana e presidente del Movimento per le Autonomie, vuole ricostruire il Regno delle Due Sicilie, con l’annessione alla Sicilia dell’ex Regno di Napoli. E questa volta mettendo a capo non gli eredi della vecchia dinastia borbonica ma quella dei Lombardo di Grammichele. Con il benestare di sua maestà Silvio, sovrano intoccabile (?), il presidente Raffaele Lombardo propone il Partito del Sud da contrapporre - si fa per dire - alla Lega di Bossi, Calderoli e Maroni e - in senso lato – costruire un soggetto politico tale da poter equilibrare, o quanto meno cercare di non far fare l’asso pigliatutto alla compagine politica nordista, visto e considerato che chi pilota le sorti dell’Italia, oggi è un nuovo “divo Giulio”, ma questa volta della dinastia dei Tremonti; molto, ma molto legato al Carroccio e tanto da poter rispondere a Lombardo, in merito all’attribuzione all’Isola delle risorse fiscali: “Non possiamo riversare alla Sicilia, le accise dei carburanti prodotti nell’Isola, perché le Sedi legali delle Industrie petrolifere che hanno gli stabilimenti a Gela, Priolo, Ragusa e Milazzo, si trovano tutte nel Nord”. Allora Raffaele Lombardo intende portare il suo MPA capillarmente nelle regioni del Sud, rinominandolo “Partito del Sud” e cercando di coinvolgere personaggi politici vecchi e nuovi, e magari coinvolgendo a pieno titolo uomini dell’area sudista dell’ex Forza Italia, come Miccichè e Dell’Utri. Ma gli interrogativi non finiscono qui. Raffaele Lombardo dovrà scegliere: o assecondare il progetto di Berlusconi per la realizzazione del Partito del Sud e quindi diventare parte integrante del PDL con la possibilità di costituire un bel gruppo in Parlamento con il passag- Marcello Dell’Utri 30 Luglio 2009 Miccichè e Lombardo gio di Miccichè, Dell’Utri, e persino di Antonio Martino, e chissà quanti altri messi a disposizione dal premier; oppure continuare a fare politica con piccoli numeri e portare avanti il partito che oggi si definisce MPA-Alleati per il Sud. Ed ancora: tutti i nuovi adepti che Lombardo ha trovato in quest’ultimo periodo al Nord e che rappresentano il MPA nelle Autonomie locali e regionali, che fa? li butterà via? Come possiamo vedere gli interrogativi sono tanti. Il Partito del Sud, potrebbe diventare il tormentone dell’attuale estate, e che tormentone! In realtà di “Partito del Sud” ne parla Gianfranco Miccichè da parecchio tempo (e quindi sull’attuazione del progetto politico aleggia una volontà tutta berlusconiana), ma strutturato in modo diverso da come lo vuole il capo del MPA e cioè: la cordata Miccichè e compagni dovrebbe fare un’alleanza con Lombardo e compagni, dove chiaramente la componente del Pdl avrebbe una maggioranza tale da costituire alla Camera e al Senato gruppi tanto consistenti da essere identificati nello stesso Partito del Sud e di conseguenza diventare “gruppi forti” per garantire la maggioranza al Governo attuale. Il Pdl, in buona sostanza, godrebbe di appoggi di garanzia non di poco conto e nello stesso tempo Berlusconi potrebbe pianificare la sua consistenza numerica con due navi appoggio di grossa stazza: la Lega al Nord e l’ altra Lega al Sud. E Raffaele Lombardo acconsentirà a tutto questo? Abbandonerebbe la leadership di un suo movimento politico per farsi guidare da Antonio Martino o dalla Prestigiacomo? Calma, amici lettori. Il Partito del Sud non nascerà né in luglio né in agosto e neanche a settembre; di sicuro se ne tornerà a discutere. E poi, il nostro presidente della Regione dovrà pensare anche a fare i conti prima con i suoi amici di partito e poi dovrà ponderare bene le scelte per affidare il suo partito nelle altre Regioni del Sud. Per quanto riguarda gli amici di casa MPA, in Sicilia, si registrano fermenti e lotte intestine. Vedi il caso Lino Leanza. Anche se adesso è stato accontentato con la carica di assessore, l’ex capo gruppo MPA alla Regione, ultimamente ne ha creati di problemi, e non di poco conto. Nelle ultime elezioni comunali il neo assessore regionale ai Beni culturali è andato contro corrente ed in contrapposizione allo stesso movimento di cui fa parte. Non dimentichiamo quello che ha combinato ad Acireale: la sua corrente di partito è andata ad allearsi con il candidato sindaco uscente Garozzo, entrando in competizione con il MPA ufficiale che aveva un candidato sindaco proprio e cioè il collega dell’Ars, D’Agostino, sostenuto dal gruppo che fa capo al senatore Giovanni Pistorio. Manovre incredibili, ma vere e consolidate nel tempo, visto che due anni fa, sempre Lino Lenza, fece le medesime scelte con le elezioni comunali di Belpasso: Alleanza del Gruppo Leanza (scusate il bisticcio di parole) con l’allora sindaco del PDL Papale, parte prima, e contro il gruppo del MPA che sosteneva l’altro candidato sindaco Santo Pulvirenti, in quota ad Alleanza Siciliana di Nello Musumeci, con l’avallo di Raffaele Lombardo. E Lombardo in questo è uno sciamano, un capo carismatico che riesce a non creare traumi tra i suoi fedelissimi. Chissà? Cavalcare una tigre o un asino, per raggiungere la meta del piccolo o grande potere politico, non fa poi tanta differenza! La differenza nella scelta delle vie alternative, nella terra dei gattopardi, potrebbe non suscitare scandali o adombramenti, ma al di là dello Stretto potrebbe proiettare un’im- 1860, anno che segnò l’annessione del Sud ad una Italia “unita” che servì solo a garantire lo sviluppo economico dei popoli del nord e a portare la fame e la misera nel sud e a proiettare nel Nuovo Continente d’oltre oceano esodi infiniti per un secolo e mezzo di emigrati siciliani e dell’intero Sud. Non si può continuare a fare politica senza imporre il ripristino degli equilibri di sviluppo economico tra Nord e Sud. Se no, tanto vale che la Sicilia torni ad essere Nazione come lo fu in passato. I siciliani, in buona parte di quel periodo, diedero prova di potersi dare un governo democratico in uno stato multietnico grazie ad una classe dirigente siciliana, colta, preparata e all’avanguardia (per quei tempi) in uno Stato siciliano organizzato modernamente. Se ci avesLuigi Tomeucci sero fatto studiare a scuola la vera storia del popolo siciliano (invece d’inculcare nella mente dei nostri giovani che noi siciliani siamo stati solo e soltanto “dominati” da popoli di passaggio) tutti saremmo nelle condizioni di poter “affiancare” Lombardo che ha fra le mani un progetto politico non di poco conto; e a Roma è bene che ci vada per riunire i rappresentanti politici regionali a lui vicini, ovvero quelli che hanno già dato prova di impegno politico condiviso, ma anche per un altro motivo: far prestare agli stessi giuramento di impegno politico in via del Tritone, nel luogo preciso dove nel 1595 venne eretta, ad opera della Nazione Sicilia, la chiesa di santa Maria dell’Itria, nella cui cuspide era scritto “Proprietas Siculorum”. “Perché l’indipendenza è il diritto fondamentale dei Siciliani?” “Perché la Sicilia non ha mai rinunciato al diritto imprescrittibile della sua nazionalità e indipendenza che rimonta al 12° secolo” Dal Dialogo dei Vivi di magine poco edificante e non condivisibile. Ma il fine di Lombardo è tutt’altra cosa: fare attecchire un movimento politico che proponga l’interesse territoriale, non succube del centralismo partitico, per garantire alla gente la vivibilità nel proprio tessuto sociale, tanto è vero che la Lega per il nord è un valido esempio da imitare. Fino ad un certo punto, dicono in molti, perché dovranno essere garantite le peculiarità di una società civile, come il rispetto delle varie culture e della giusta ospitalità di una terra che si trova al centro del Mediterraneo. Non si può certo dimenticare la storia, specie quella delle emigrazioni del popolo nordista fino al La Voce dell’Isola n. 11~14 Politica 5 Anche il Ministero degli Interni aggrava la precaria situazione generale del capoluogo Abbandonata dallo Stato? Catania città senza Prefetto di ANTONIO CURRÒ C redo che nessuno ricordi un periodo così lungo in cui la città di Catania sia rimasta senza Prefetto. Già gli amministratori comunali, da diverso tempo, hanno abituato i cittadini catanesi a situazioni a dir poco imbarazzanti. Sono accaduti fatti amministrativi gravissimi che la città etnea non aveva mai registrato e che l’hanno trascinata alla ribalta delle cronache nazionali ed estere con commenti non solo poco lusinghieri ma deleteri per l’attività turistico-commerciale degli operatori del settore, senza contare la vergogna che chi è catanese prova quando si confronta con altre realtà. Non bastavano quindi lo stadio “Massimino” in mano ai delinquenti, gli oggetti d’arte e i dipinti sottratti alle collezioni civiche, il dissesto finanziario comunale, la mortadella in Parlamento ed altre vergogne simili, adesso anche il Ministero degli Interni contribuisce ad aggravare la già precaria situazione generale della città. Catania è senza Prefetto dal febbraio di quest’anno. Ormai sono trascorsi sei mesi da quando il dott. Giovanni Finazzo ha lasciato via Prefettura per raggiunti limiti di età; e quindi non si può dire che il Ministero sia stato colto di sorpresa. È vero che la Prefettura non è abbandonata a se stessa, tuttavia, le grandi capacità e la dedizione del Prefetto Vicario, dei Viceprefetto e dei Dirigenti che con la loro eccellente professionalità danno la necessaria continuità alle attività, non possono sostituire l’efficacia della figura autorevole del Prefetto che si deve assume la responsabilità di decisioni non delegabili; senza contare l’immagine che da di se una città senza questa importantissima pedina. Il Prefetto rappresenta il Governo a livello provinciale ed è autorità provinciale di pubblica sicurezza. Esercita tutte le funzioni dell'amministrazione periferica dello Stato non espressamente conferite ad altri Uffici e vigila sulle Autorità amministrative operanti nella provincia e vi si sostituisce, in caso di urgente necessità, adottando le misure del caso per mezzo delle ordinanze d’urgenza. Nella qualità di Autorità provinciale di pubblica sicurezza, il Prefetto ha la responsabilità dell'ordine e della sicurezza pubblica, presiede il Comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica, e coordina le Forze di Polizia. Ma non solo. La molteplicità e la varietà delle competenze impegna il Prefetto nei più disparati campi che vanno dal "sociale" e dalla protezione civile alla tutela della sicurezza, non sottovalutando la complessa opera tesa a rafforzare le intese e la cooperazione tra il tessuto amministrativo statale periferico e tra questo ed il sistema dei poteri e delle autonomie locali. Il Prefetto svolge dunque il delicato ed importante compito, e la sua assenza ha suscitato e suscita la giusta preoccupazione di tutte le componenti sane della città in quanto a Catania c’è un allarme sicurezza. La città è nuovamente sotto l’attacco vero e proprio di bande di delinLa Voce dell’Isola n. 11~14 Sembra confermarsi la diffusa sensazione che la congrega della peggiore politica che questa città abbia mai avuto vuole che essa resti priva di un’importante figura istituzionale e abbandonata nelle loro mani quenti che per interi pomeriggi si appropriano della città. Negli ultimi tempi da ogni parte giungono segnali di gravi e preoccupanti violazioni dell’ordine pubblico. Sono aumentati rapine e scippi anche a danno (episodio gravissimo e inaccettabile) di alcuni turisti. Dati ancora più preoccupanti in una città come Catania dove non è pensabile che dietro l’impennata dei reati di strada non ci sia la criminalità organizzata. Diversi sono stati gli appelli al Ministro dell’Interno, Maroni, perché è inammissibile che da sei mesi a Catania non ci sia un nuovo Prefetto. L’Associazione Antiracket Antiusura Etnea (ASAAE) ha lanciato un appello al Presidente della Repubblica e allo stesso Ministro dell'Interno affinché “si faccia immediata chiarezza e si nomini a Prefetto di Catania una persona al di sopra delle parti”. “Con l'aumento delle denunce siamo testimoni di una timida inversione di rotta nella coscienza dei cittadini - osserva il presidente dell'Associazione Antiracket Antiusura Et- Palazzo Minoriti a Catania, sede della Prefettura nea - ma assistiamo al superlavoro della Prefettura e siamo convinti che la legalità a Catania non possa più restare senza spina dorsale. Il nostro è un esercito senza comandante, non arrendiamoci proprio adesso”. Gli imprenditori si rivolgono a Confesercenti. Sono preoccupati e chiedono che le autorità competenti intervengano per contenere il fenomeno. Confesercenti a sua volta rilancia l’allarme sicurezza in città, asserendo che è scandaloso che in una città come Catania, in cui l’illegalità regna sovrana, non ci sia ancora un Prefetto autorevole. Anche la microcriminalità preoccupa la Confesercenti. Aumentano i furti nei magazzini e nei cantieri, gli atti di vandalismo e i furti di automezzi, al punto che gli imprenditori etnei percepiscono la sicurezza come il primo dei problemi da affrontare e l’associazione chiede all’amministrazione comunale di intensificare i controlli sul territorio con risorse umane e mezzi adeguati, nonostante il Governo abbia assegnato squadre di soldati anche alla città di Catania per affiancare poliziotti e carabinieri nei servizi di controllo del territorio. Inoltre occorre che l’amministrazione si impegni a sostenere l’installazione di apparecchiature di sorveglianza e migliorare l’illuminazione Roberto Maroni, ministro dell’Interno Giovanni Finazzo, l’ultimo prefetto di Catania pubblica. È necessario che imprenditori e cittadini collaborino segnalando tutte le situazioni che possano aiutare le autorità competenti. Il capogruppo del Movimento per l'Autonomia al Consiglio comunale di Catania, Salvo Di Salvo, ha inviato una lettera al responsabile del Viminale nella quale ha espresso preoccupazione per "la difficile situazione economica, occupazionale e sociale in cui versa il capoluogo etneo". L'esponente autonomista ha rivolto poi un appello al Ministro affinché "venga nominato in tempi brevi il nuovo prefetto di Catania poiché il contrasto alla criminalità e il sostegno alle fasce più deboli della popolazione, le cui difficili condizioni sociali sfociano spesso in pro- testa, richiedono la presenza del presidio prefettizio nei suoi pieni poteri a difesa della legalità. Nel mese di Aprile il consigliere comunale, Puccio La Rosa, aveva presentato in commissione “sicurezza e legalità” il suo progetto in grado di dare la prima e concreta risposta alla richiesta di sicurezza dei cittadini. Il progetto prevede, accanto alle sanzioni penali e amministrative vigenti, l’introduzione di sanzioni pecuniarie, che variano da cinquanta a settecento euro, comminate per scoraggiare il bullismo, la prostituzione su strada, l’occupazione illecita di suolo pubblico e l’abusivismo commerciale, il deturpamento dei luoghi pubblici. L’attuazione del progetto La Rosa presuppone “la definizione di nuovi criteri di controllo del territorio fra le forze dell’ordine, la realizzazione di squadre interforze e della centrale unica operativa per l’emergenza sicurezza, l’individuazione di un fondo per contrastare la dispersione scolastica e prevenire la devianza minorile”. Cosa ne è stato di quel progetto? Quante di quelle proposte sono state attuate intanto che la microcriminalità cresce a Catania? Che fine ha fatto il patto per “Catania sicura” del 2007, dedicato all'ispettore di polizia Filippo Raciti, e firmato dall’ex viceministro dell'Interno Marco Minniti, dall’ex sindaco di Catania, Umberto Scapagnini, dall’ex presidente della Provincia, Raffaele Lombardo, e dall’ex prefetto Anna Maria Cancellieri? Il Sindaco Stancanelli però faccia oggi la sua parte. Non è concepibile che una ordinanza come quella che vieta la vendita di alcolici ai minorenni venga puntualmente disattesa. Guardando alle zone limitrofe alla Fiera, Catania appare una città del terzo mondo, il corso Sicilia, quello che una volta era il salotto di Catania, trasformato in una casbah dagli ambulanti e dalla sporcizia (i portici settentrionali tappezzati da manifesti e maleodoranti di urina). Ma l’amministrazione sembra non vedere. Al Sindaco viene chiesto di fare quanto è in suo potere, prendendo decisioni concrete per affrontare l’emergenza e fare sentire subito la presenza del Corpo dei Vigili Urbani in città. Occorre migliorare significativamente anche la presenza delle forze di polizia locale sul territorio. Quali possono essere i motivi per cui non si è ancora provveduto ad una nomina per la sostituzione annunciata di un Prefetto che va in pensione? Che nessuno abbia voglia di sedersi su una poltrona che scotta? Oppure dobbiamo pensare (cosa più probabile) che i “notabili” di Catania non riescano a mettersi d’accordo su un nome che sia di gradimento alle loro fazioni, e che finora non siano stati in grado di scegliere fra i papabili una figura da segnalare a Silvio (visto che il Ministro non sembra avere voce in capitolo nelle regioni del sud) confermando la diffusa sensazione che la congrega della peggiore politica che questa città abbia mai avuto vuole che essa resti priva di un’importante figura istituzionale e abbandonata nelle loro mani. 30 Luglio 2009 6 Politica Il mercato del lavoro privo di prospettive ha finito con l’indebolire la sicurezza di ogni dipendente La piaga del precariato nata dall’assistenzialismo di ERNESTO GIRLANDO S i sa come vanno le cose nel nostro Paese. Si introduce una misura al fine di dare risposte a una domanda, poniamo il caso della richiesta di occupazione, e ci ritroviamo a dovere fronteggiare fenomeni degenerativi come quello dei contratti cosiddetti atipici: parttime, contratti a termine, lavoro parasubordinato. Una drammatica realtà che angustia centinaia di migliaia di lavoratori italiani in stato di insicurezza perenne, mancanti di ogni tutela, senza accesso ai meccanismi di anzianità, Tfr e trattamento previdenziale, malpagati, vessati e compressi nei loro diritti all’interno degli schemi del mercato del lavoro. Una tragedia che riguarda, secondo le recenti stime del Ministero della Funzione pubblica, 40.000 lavoratori nel solo settore pubblico. Ripeto: solo settore pubblico. Di questi 40.000, l’80% sono al Sud e ben 20.000 lavoratori con contratti atipici, la metà della somma nazionale, sono in forza alla Regione Sicilia. Se si considera che regioni come la Lombardia e il Lazio non hanno dipendenti con contratti a termine, ci si fa un’idea della dimensione e della drammaticità del fenomeno siciliano. E se poi si tiene pure conto che di questi 20.000 non tutti hanno concrete speranze di ottenere un contratto a tempo indeterminato, si capisce ancor di più che il fenomeno sta per esplodere in tutta la sua impressionante complicatezza. Lo si è detto infinite volte che la piaga del precariato è figlia di un retroterra assistenzialistico e parassitario, dal quale hanno tratto, per decenni, benefici elettorali e costruito carriere e scalate al potere centinaia di politici che hanno pilotato e alimentato il fenomeno, finendo per acquisire una posizione di forza nei confronti di una fetta dell’elettorato ridotta all’arrendevolezza perché carente di certezze economiche e sociali. Succede spesso: si alimenta il bisogno per rendere le persone facilmente ricattabili e spingerle a votare chi sarà più convincente nel promettere la stabilizzazione o un nuovo contratto ancor peggiore rispetto al precedente. Insomma, il fondo del fondo di un malcostume che non cessa di stupire. Ovviamente anche nel settore privato le cose non vanno diversamente: una giungla di contratti atipici, dipendenti di piccole imprese appaltatrici e “terziste”, co.co.co., lavoratori a progetto, associati in partecipazione, false partite Iva, irregolari. Un esercito di precari che porta sulle proprie spalle fragili tutta la flessibilità di cui il sistema ha bisogno. A fronte dell’altra metà dei lavoratori italiani protetta dall’inamovibilità che genera inefficienza e spesso posizioni di rendita inaccettabili. Sono le due facce, l’una conseguenza dell’altra, del mercato italiano del lavoro chiuso in un’impasse dalla quale è molto difficile uscire: poco abituati come siamo, nel nostro Paese, al dibattito pragmatico, si discute sempre sulla base di convinzioni ideologiche e pregiudiziali, chiusi all’innovazione, alla possibilità di ristrutturare nel suo complesso il mercato del lavoro e si finisce per indebolire la sicurezza di ogni 30 Luglio 2009 A Comiso, a fronte di 200 dipendenti di ruolo, si contano 287 precari dipendente. Alitalia docet. Per anni si è impedita la ristrutturazione e alla fine nessuno dei suoi dipendenti si è potuto considerare sicuro. Ma, come si dice, al peggio non c’è fondo. Se dalle considerazione di ordine generale passiamo a realtà ancorché piccole ma concrete si scoprono cose dell’altro mondo. C’è un Comune, sicuramente unico nel suo genere, che sta vivendo, sempre sulla pelle dei più deboli, un’incredibile vicenda di precariato sconfinante oltre ogni dimensione immaginabile. È un Comune noto per altre vicende di ben altra portata e valenza, quello di Comiso, che in que- ste incerte giornate di inizio estate scrive una delle pagine più stupefacenti della sua storia. Un Comune di 29.000 abitanti che conta un primato: 287 precari tra ex Asu e contrattisti atipici. Un record nazionale, se si calcola che, mediamente, ogni Comune italiano conta duecento dipendenti di ruolo e una settantina di precari. A Comiso, a fronte di duecento dipendenti di ruolo, si contano duecentottantasette precari. Di questi duecentottantasette, novantotto sono “ex articolisti” che, bontà dell’amministrazione, accederanno dal mese prossimo ai ruoli dell’Ente con contratto a tempo indetermina- to. Per gli altri centottantanove il cerchio si chiude. Assunti a vario titolo nei precedenti dieci anni di giunta di centrosinistra capeggiata da Di Giacomo, si trovano a fare i conti con la dura realtà finanziaria dell’Ente, sull’anemico bilancio del quale pesano per una cifra che si aggirerebbe intorno ai due milioni di euro annui. Effettivamente troppo. Il nuovo sindaco, Giuseppe Alfano, a capo di una coalizione di centrodestra, ha assunto da tempo l’impegno di risolvere la vicenda ponendo fine al precariato e procedendo alla stabilizzazione, evitando però di derogare a due principi a suo dire sacrosanti: la condizione economica del Comune e la meritocrazia. Parole d’ordine: stabilizzare un numero di precari aventi diritto sì, ma limitatamente alle possibilità finanziarie dell’Ente; procedere, per il resto, ai concorsi pubblici al fine di completare l’organico. Tutti i contratti in scadenza – l’ultimo scaglione il 30 giugno – non verranno rinnovati, dopodiché si procederà alla selezione. Voci non ufficiali parlano di 40/50 lavoratori atipici che verranno immessi nei ruoli del Comune. Per gli altri si apre la drammatica prospettiva della disoccupazione. Ancor più drammatica se si considera la crisi che la città vive. Crisi del comparto agricolo che sta producendo a sua volta un gran numero di disoccupati. Fortissime difficoltà del settore lapideo, un settore cardine nell’economia della zona, per una drastica riduzione delle commesse che ha portato decine di imprese a licenziare o porre in cassa integrazione i propri dipendenti. Gravi tensioni nel settore dell’edilizia, che dopo anni di sviluppo anche in questo caso allegro e incontrollato, vede un calo del 50%. Insomma, tempi duri che hanno trasformato paradossalmente il Comune nella più grande azienda del territorio. E non è un caso nella storia secolare di questo Ente. Da sempre, nella lunga tradizione popolare, democratica che ha caratterizzato la città di Comiso, l’Amministrazione comunale è stata impegnata nella difesa del lavoro. Dalle lotte contadine degli anni Cinquanta, alle storiche agitazioni degli scalpellini e dei braccianti della metà degli anni Cinquanta e degli inizi degli anni Sessanta. Nel corso della grave crisi dei due complessi industriali “La Teverina” e l’ “Osef”, negli anni Sessanta, che portò al licenziamento di un centinaio di lavoratori e, poi, costantemente in tante altre difficili circostanze. Il Comune ha rappresentato sempre un baluardo salvifico nei momenti drammatici. Le precedenti amministrazioni non sono aliene da colpe. Anni di sperpero del denaro pubblico, di assunzioni facili, di ingrossamento delle clientele elettorali, di occasioni volutamente perdute per stabilizzare almeno una parte dei precari. La nuova amministrazione eredita una situazione obiettivamente difficile ma non può non tener conto di un contesto economico ed occupazionale drammatico. Nel mezzo centottantanove persone preoccupate e incerte del loro destino. Probabilmente a pagare per tutti. La Voce dell’Isola n. 11~14 Politica 7 A Trapani appena il 34% di presenza femminile sul posto di lavoro Pari opportunità, nuovi strumenti contro tutte le discriminazioni di ALESSANDRO DE BARTOLOMEO P ari Opportunità e lavoro, non sempre un binomio che cammina sui binari della semplicità in una terra difficile e ricca di contraddizioni come la nostra. Il legislatore ha comunque previsto gli strumenti idonei e lo ha fatto istituendo con la legge 125/91 e successive modifiche ed integrazioni, una figura istituzionale che svolge un compito delicatissimo e spesso poco conosciuto: quello delle Consigliere o dei Consiglieri di Parità. Una organizzazione capillare diffusa su tutto il territorio italiano, che vede anche in Sicilia una consigliera in ogni capoluogo di provincia, ed una Consigliera Regionale. Una strutturazione non apicale, e le cui nomine avvengono da parte del Ministero delle Pari Opportunità. Vari i compiti istituzionali, tra le quali mettere in atto tutte quelle azioni finalizzate alla promozione e diffusione delle tematiche concernenti le pari opportunità, ma anche vigilanza e azione sul rispetto del principio di non discriminazione, e intervento nelle situazioni di squilibrio di genere sui luoghi di lavoro. In aggiunta inoltre, sostegno dei lavoratori che hanno subito una discriminazione nell’accesso al lavoro o ai corsi di formazione, nello sviluppo della carriera o nel livello di retribuzione, che hanno avuto difficoltà a vivere serenamente maternità e lavoro o che siano stati licenziati perchè donne. Il Consigliere di Parità ha facoltà di promuovere e sostenere azioni in giudizio (individuali e collettive) nei casi di rilevata discriminazione basata sul sesso, e di individuare procedure efficaci per la rimozione delle discriminazioni e delle situazioni di squilibrio di genere sui luoghi di lavoro ricorredo innanzi al tribunale. Abbiamo posto alcune domande alla consigliera di Parità della provincia di Trapani dott.ssa Caterina Maria Peraino, con la stessa abbiamo voluto approfondire alcuni aspetti legati alle tematiche che giornalmente tratta. Pari opportunità, due parole che prese separatamente, danno adito a considerazioni opposte: quanto oggi vi è di parità e quanto di opportunità in Sicilia per l’acceso al mondo del lavoro per le donne? Chiara la risposta fornita dalla Consigliera: “Statistiche e studi condotti La Voce dell’Isola n. 11~14 La dottoressa Caterina Maria Peraino sanciscono la mancanza di parità tra uomini e donne tanto a livello di inserimento nel mondo del lavoro, quanto a livello di differenziale salariale e di ascesa nelle carriere, nella provincia di Trapani abbiamo appena il 34% di presenza femminile sul posto di lavoro, considerando che la me- non vengono applicate, se pensiamo al part-time ad esempio che dovrebbe essere uno strumento di conciliazione per le donne per poter badare oltre al lavoro anche gli impegni parentali, ma che viene utilizzato come strumento di reclutamento del personale e non come possibilità concessa al la- Lavoro e carriera oggi, più opportunità per le donne o per gli uomini? “Bisogna fare una certa differenza tra quello che è il settore pubblico e quello privato, perché spesso il settore privato, oggi più che mai, non sono lavori full-time, o a tempo inde- A livello formale le leggi in Italia ci sono e sono le migliori d’Europa, ma dal punto di vista sostanziale non vengono applicate dia nazionale è intorno al 56% in alcune zone del nord-est, e non tenendo conto della attuale crisi congiunturale, siamo decisamente lontani”. Le opportunità, non ci sono se vogliamo analizzare bene le due parole. Ma a cosa è dovuto secondo lei tutto ciò? “In Sicilia in particolare le donne sono più scolarizzate rispetto agli uomini, a livello formale le leggi in Italia ci sono e sono le migliori in Europa, dal punto di vista sostanziale voratore in particolari momenti della sua vita lavorativa, succede sembra, ma non abbiamo a tal proposito denunce a corredo almeno in questo territorio, di uomini e donne che svolgono un lavoro in cui ad una busta paga corrisponda un pagamento con assegni che vengono scambiati regolarmente e poi resi per la metà, ecco, sono cose che purtroppo ci raccontiamo con Inps, o Ispettorato del Lavoro, ma vai a trovare chi denuncia, perché non c’è alternativa”. terminato, ecco le posizioni sono più delicate a quel punto si spera soprattutto di tenere il posto di lavoro più che fare carriera, ma a condizioni migliori dove la donna che lavora in una grande azienda anche privata, che ha un contratto di lavoro a tempo indeterminato, si lavora full-time, dove l’azienda punta su di lei con la formazione, le opportunità di crescita ci sono ma non quanto l’uomo, perché purtroppo ci sono ancora dei retaggi culturali da parte del manage- ment aziendale che puntano sul lavoratore uomo, perché il lavoratore uomo ha più tempo da dedicare alla azienda e la donna vuoi o non vuoi prima o poi avrà il problema della maternità con le annesse assenze, cose che il datore di lavoro considera una seccatura, anche se poi non ha difficoltà ad applicare la normativa.” Con la consigliera abbiamo inoltre accennato a due fenomeni latenti eppure presenti nel nostro tessuto sociale: il Mobbing e lo Stalking. Ma quali cifre e che dati rispetto a queste problematiche? Le abbiamo domandato. La risposta fornita è in linea: “Per quanto riguarda il mobbing e lo stalking, io ricevo molte persone in questi due settori soprattutto lavoranti nel privato, denunciando molestie soprattutto sul posto di lavoro, in genere il mobbing scaturisce dal rifiuto alla molestia, tu non ci stai e te la faccio pagare in svariati modi, purtroppo ancora oggi manca una legge ad hoc sul mobbing, e i dati sono alquanto lacunosi, perché riuscire a dimostrare di essere vittime di mobbing non è facile, perché potresti basarti sulle testimonianze, ma un collega o una collega pur con la solidarietà espressa, difficilmente testimoniano per paura di perdere il loro posto di lavoro, manca essenzialmente nel mobbing la cultura della denuncia, a differenza dello stalking dove in base al decreto ultimo, ad esempio una volta individuato l’individuo molestatore lo si può fare prima ammonire giudizialmente”. Oggi cosa non dicono le donne? “A mio modo di vedere, le donne non dicono di essere vittime di violenza, perché soprattutto prima di acquisire quella consapevolezza che con tutto quello che alla fin fine si stà facendo a cominciare dal corso di criminologia del 2008 alla presenza del prof. Mastronardi dell’Università La Sapienza di Roma, a cominciare da quello, la finalità che io personalmente avevo è quella di svegliare le coscienze, sensibilizzare le istituzioni sul tema, e sensibilizzare le donne che il più delle volte sono vittime e non sono consapevoli di esserlo, quello che non dicono e quello che non pensano sia sbagliato, dovuto soprattutto al tipo di cultura dominante che vede la donna sopportatrice, per me non è così, credo nel matrimonio, nella famiglia, ma nel rispetto delle regole e dei ruoli”. 30 Luglio 2009 8 Politica Tante le ottime premesse del Consorzio, ma oggi l’Ateneo è sommerso dai debiti Le speranze dell’Università iblea stanno svanendo come neve al sole di ERNESTO GIRLANDO L e premesse erano ottime. Le speranze tante. Il progetto dell’Università degli iblei nacque, quindici anni or sono, nell’ottica di un’interlocuzione attiva con il territorio. Al momento della fondazione del Consorzio universitario ragusano, la speranza fu quella di far assurgere l’Ateneo a parte operante del territorio ibleo. Di trarre da esso quel patrimonio di conoscenze, di saperi, aderente alla locale realtà culturale e d’impresa, da porre al servizio dello sviluppo anche economico della ferace terra del ragusano. Ma le aspettative e i progetti, pur speranzosi e nutriti dalle migliori intenzioni, si sa, sono solo una piccola parte della realtà e la realtà stessa è, a sua volta, una piccola parte di ciò che viviamo. L’Università iblea è stata, di fatto, un’altra cosa. Una piccola realtà universitaria simile a tante altre piccole realtà universitarie decentrate. Se vogliamo farla breve, un esamificio dove sistemare docenti in cattedra e assegnare qualche posto di sottogoverno. Nulla di più. Trascinatasi per anni tra mille difficoltà, soprattutto economiche, riflesso delle croniche difficoltà finanziarie degli enti locali che compongono l’assetto societario del Consorzio, al primo vero scossone è andata giù. L’edificio è crollato ingloriosamente, all’ennesimo mancato pagamento delle quote che, secondo le varie convenzioni stipulate il Consorzio si impegna a versare all’Università degli Studi di Catania. Ma la vicenda è complessa e non priva di colpi di scena. Tutto ha inizio nel corso della seduta del Senato accademico etneo del 23 marzo scorso che delibera di non attivare per l’Anno accademico 2009/2010 il nuovo ciclo dei corsi di laurea di Ragusa in mancanza del pagamento degli importi dovuti entro il 31 maggio. Il Consorzio si impegna fragorosamente a procedere in breve ai pagamenti, “ovvero a fornire idonea garanzia”. Tutto sembra procedere per il meglio quando arriva il primo colpo di scena: il 5 giugno la pubblicazione del Manifesto degli Studi, sancito da un decreto rettorale, cancella di fatto i corsi decentrati. Ragusa subisce il danno maggiore con il blocco delle immatricolazioni al primo anno delle quattro facoltà con sede nel capoluogo: Lingue, Giurisprudenza, Agraria, Medicina e Chirurgia. Potranno continuare i corsi per gli altri anni fino ad esaurimento. Ancora peggio per le facoltà di Scienze del Governo e dell’Amministrazione con sede a Modica e Informatica applicata con sede a Comiso, che, secondo il Manifesto degli Studi, tornano in toto a Catania dove saranno completati i corsi già a partire dal prossimo anno accademico. Un vero colpo di spugna che cancella il futuro dell’Università in provincia di Ragusa. Ma come si è arrivati a questa drastica decisione degli organi di governo dell’Ateneo catanese? La questione covava da tempo e, come capita di solito, non è chiara fino in fondo. Almeno non sono chiare le colpe e il rimpallo delle responsabilità non facilita la comprensione. Da una parte c’è la politica – come sempre purtroppo – con le sue fosche e farraginose cattive abitudi- Ragusa Ibla, l’ex Distretto militare oggi sede dell’Università iblea tante occasioni di maneggio e di sottogoverno. Dall’altra l’Ateneo catanese che reclama crediti che non vengono mai onorati nonostante transazioni, impegni e promesse. Basta dare uno sguardo veloce all’entità delle cifre per capire di cosa stiamo parlando. L’Università etnea vanta da anni un credito nei confronti del Comune di Comiso di 825 Anni di cattiva amministrazione del Consorzio universitario vengono alla luce nella loro drammatica realtà e cancellano in un sol colpo quella che era stata una conquista per il territorio ni, dall’altra un sistema accademico che batte evidentemente ritmi e logiche diverse. Da una parte c’è un Consorzio universitario che ha come soci la Provincia e i Comuni di Ragusa, Comiso, Vittoria e Modica, con un consiglio di amministrazione al quale si accede attraverso nomine che non contemplano parametri di competenza, di prestigio culturale, scientifico e quant’altro, ma solamente logiche di appartenenza e di lottizzazione di poltrone. L’Università viene vissuta come una delle mila euro a fronte dell’unico pagamento ricevuto ammontante alla bellezza di 12.500 euro. Il Comune di Modica deve una somma che si Palazzo dell’Università a Catania. Nel riquadro, Antonino Recca rettore dell’Università di Catania 30 Luglio 2009 aggira sui 7 milioni di euro. Il Comune di Ragusa e la Provincia regionale sono a loro volta in ritardo per le loro spettanze che assommano a circa 1 milione e mezzo di euro. Cifre ovviamente considerevoli nell’economia della gestione universitaria catanese. Anni di cattiva amministrazione del Consorzio universitario vengono alla luce nella loro drammatica realtà e cancellano in un sol colpo quella che era stata una conquista per il territorio ibleo, per migliaia di giovani studenti, per le loro famiglie e per un agevole accesso a un diritto fondamentale quale quello allo studio. Giovanni Mauro, presidente del Consorzio, recita la scena della vittima. Minaccia di adire le vie legali al fine di ottenere “risarcimenti sia morali che materiali” e assicura che l’attività universitaria negli iblei non avrà fine a seguito dell’inopinata decisione del Rettore catanese, riservandosi di rivolgersi ad altri atenei italiani pur di dare continuità ai corsi già esistenti. Per amor del vero, Mauro paga colpe non sue in quanto appena eletto presidente del CdA a seguito delle recentissime dimissioni del suo predecessore Peppe Drago, fattosi da parte a causa delle note vicende giudiziarie che lo hanno colpito. Tuttavia è una presidenza, la sua, in perfetta continuità con un malcostume che grava maledettamente su ogni ente, ogni organo, ogni ambito eretto a rifugio di tutti i trombati della cosiddetta Casta politica. L’ex deputato nazionale Mauro, l’ex sen. Gianni Battaglia, l’ex deputato regionale Sebastiano Gurrieri, l’ex deputato regionale e nazionale Saverio La Grua: una nutrita schiera di ex con tanto di poltrone e retribuzioni, ma carenti, alla prova dei fatti, delle doti necessarie di buona volontà, di governance, di conoscenza del mondo accademico che forse avrebbero consentito una prospettiva decorosa e un futuro all’Università iblea. Tutto sembra perduto. Poi l’altro colpo di scena: la politica, con le sue infinite strade, vince il secondo round. Il Ministro Gelmini, nelle cui mani viene affidato il caso, riesce nella mediazione e riapre i termini della questione. L’accordo si chiude in breve. Il Consorzio rinuncia all’azione legale, alla quale aveva già dato corso, e il Rettore Antonino Recca, che sembrava irremovibile, acconsente alla riapertura delle immatricolazioni per le facoltà di Lingue, Agraria e Giurisprudenza, mentre i corsi di Medicina saranno trasferiti a Catania: troppo dispendiosi e ingestibili per mancanza di strutture adeguate. Sorte diversa per Comiso e Modica che non riavranno le immatricolazioni a, rispettivamente, Informatica applicata e Scienze del Governo e dell’Amministrazione, ma manterranno i corsi a partire dal terzo anno. Inoltre il Consorzio si obbliga a versare all’Università di Catania, in due rate, l’importo di € 2.460.101,47 a saldo di quanto dovuto per l’A.A. 2008/2009, pena la disattivazione dei primi anni dei corsi riattivati. Ma è vera gloria? L’ardua sentenza non tarderà ad arrivare. La convenzione ha una sola vera certezza: la disattivazione dei corsi se il Consorzio non pagherà. Cioè se non pagheranno il Comune di Ragusa e la Provincia regionale. Di soci privati manco a parlarne: nessuno è disposto a contribuire alle spese. Futuro incerto, dunque. Ancor più incerto se si considera l’entrata in vigore della riforma 270 che cambierà l’offerta formativa e gli scenari dell’Università italiana. La domanda è: sarà possibile mantenere almeno un corso di laurea negli anni successivi all’A.A. 2010-2011 visti gli standard di qualità richiesti dal governo nazionale e l’anemica disponibilità di fondi del Consorzio universitario ragusano? Allo stato delle cose non c’è da scommetterci un centesimo. I corsi sono momentaneamente salvi grazie anche a una mobilitazione degli studenti e del territorio. Speriamo di salvare quel che sarà ancora salvabile del sogno universitario ibleo. Ma per favore, che per una volta la realtà sia quella vera. La Voce dell’Isola n. 11~14 Politica 9 Il capoluogo non è immune da segnali di malefatte che provengono da ogni parte della vita civile Siracusa è una città “babba”? Le apparenze spesso ingannano soprattutto) sulla vita e la salute della gente, che nei Palazzi della politica viene modificata e “controllata” ad uso e piacimento su precisi programmi che vertono al raggiungimento e al consolidamento del potere. Ma dove è andata a finire le coscienza dell’uomo? E che ruolo copre lo stesso all’interno del macabro sistema pubblico? Ma, per fortuna, quanti ad oggi si sentono sicuri e protetti all’interno di questo sistema anarchico, vedranno presto sfaldarsi lentamente il terreno dove hanno creduto di consolidare grattacieli immuni da crolli. Il count down è già iniziato, anche se non percepibile, perché da costoro capire quando è giunto il tempo di fermarsi e di chiedere scusa alla collettività per i danni loro causati dal soggettivo ma plenario comportamento. Per certi versi, non molto discordanti per il principio di causa ed effetto, i Palazzi deputati alla politica sembrano la base di Gakona, e chi vuol intendere intenda. Mi chiedo, a che cosa sono servite le morti onorevoli ed eroiche di Falcone, di Borsellino, di Dalla Chiesa (e si potrebbe proseguire ad libitum) se non si è capito che il marcio viene “generato” dal modo e dal sistema di fare politica? Ma veramente dobbiamo ancora assistere di GIANNI TOMASELLI I l ventunesimo secolo sarà certamente caratterizzato da una svolta epocale che darà la giusta collocazione dell’Uomo all’interno della filosofia dell’ecobioumanesimo. Ma ancora siamo distanti nel vedere il risveglio delle coscienze, la parità dei diritti, l’uomo al centro dell’esistenza, il crollo del potere, quello becero ed egoisticamente personale. Anche la nostra città, Siracusa, non è immune da segnali di potere che provengono da ogni parte della vita civile e non. In questo numero, ci corre l’obbligo parlare di quanto recentemente si è verificato all’interno del Consiglio Comunale di Siracusa, tanto per prendere un esempio di come si gestisce il potere a discapito della cittadinanza (leggasi di chi ha dato il potere agli eletti). I fatti. Da anni, una nota associazione non lucrativa che si occupa di prevenzione per la lotta contro i tumori, con lusinghieri risultati sul campo dell’intercettamento precoce di neoplasie, svolge un servizio di trasporto gratuito con i propri pulmini che, da Siracusa a Catania, assiste al trasporto i malati oncologici bisognosi di cure radioterapiche. Le spese per la copertura della gestione gratuita di questo servizio, vengono richieste annualmente all’amministrazione comunale di Siracusa che, sistematicamente, annaspa tra le pieghe del bilancio, per poter “raschiare” il necessario e garantire il servizio a centinaia di persone che hanno bisogno di sottoporsi a Catania per le cure radioterapiche del caso. Un piccolo inciso. Siracusa, notoriamente capoluogo del “triangolo della morte” (Priolo-AugustaMelilli) non dispone ancora del servizio di radioterapia, pur essendo tra le province del sud Italia dove si riscontrano i più alti casi di tumore grazie anche all’incontrollato sviluppo industriale che miete decine di vittime l’anno (basta consultare i dati recenti pubblicati nel Registro Tumori). Si tratta di disattenzione politica? O di programmata cultura del disfattismo? Ma ritornando al discorso di prima, quindi, ogni anno per racimolare un pò di quattrini da spendere in servizi indispensabili (direi vitali) per la popolazione, i Consiglieri Comunali fanno come le talpe, annusando sempre ciò che per loro sia di personale ritorno e disat- Il palazzo di città di Siracusa tendendo il mandato che gli è stato conferito dagli elettori. Cronaca. Durante una recente seduta del Consiglio Comunale, si è ripresentato il problema di trovare i fondi necessari per sostenere il ser- Nei Palazzi della politica viene modificata e “controllata” ad uso e piacimento su precisi programmi che vertono al raggiungimento e al consolidamento del potere vizio del trasporto per i malati oncologici ma, (udite, udite!) con la complicità di quasi tutto il Consiglio, veniva presa in considerazione Una seduta del consiglio comunale aretuseo La Voce dell’Isola n. 11~14 la proposta avanzata dal Consigliere Giovanni Raddino, medico chirurgo eletto il 31 luglio 2009 tra le fila dell’UDC. Quale la proposta? L’acquisto di un pulmino Oncobus per espletare il servizio (in foto copia) già da anni attuato dall’associazione e che deve tribolare per il rinnovo della convenzione. Mi chiedo: ma se non si trovano i fondi per soste- nere un servizio già collaudato e necessario per i malati di tumore, con quale faccia si può presentare la richiesta di trovare ulteriori fondi per “clonare” un servizio esistente? La risposta sta in una parola: POTERE. Il gruppo dell’UDC ha minacciato di bocciare il max emendamento inserito nell’ordine del giorno se, con la passiva complicità della maggioranza, non fosse stata accettata la proposta presentata dal Raddino. E allora? Di cosa stiamo parlando? Di ricatto o di potere? Di democrazia o di regime? Di valori o di nichilismo? Siamo arrivati veramente alla frutta! Si gioca, ormai, anche (o a sacrifici di Uomini puri e onesti per porre fine a questo disumano stillicidio di valori dove l’uomo è posto all’ultimo gradino rispetto allo sclerotico potere. Uomini di buoni costumi e sani principi, preparatevi a breve a vedere in diretta la fine e il crollo di quanti ad oggi si reputano eterni e indistruttibili. Si avvicina finalmente la fase del cambiamento, dove l’uomo vedrà la propria dignità al centro della vita sociale e dove i “furbi” verranno emarginati e condannati a vivere nell’onestà a loro molto ostile, costretti a trasformare il potere anarchico in potere fronesofico. 30 Luglio 2009 10 Sanità ALIMENTAZIONE - Nuovi disturbi colpiscono la quasi totalità della popolazione Un fenomeno che in Sicilia si sta diffondendo rapidamente di ALESSANDRO DE BARTOLOMEO C ome si può leggere nella prefazione allo studio PASSI (Progressi delle Aziende Sanitarie per la Salute in Italia) riferito al 2007 che porta la firma in calce dell’assessore regionale alla Sanita on. Massimo Russo “L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha recentemente riaffermato come la spesa sanitaria sia oggi condizionata dal progressivo incremento di problemi di salute derivanti dalla diffusione di cronicità legate, da un lato, all’incremento della durata media della vita e, dall’altro, all’aumento di frequenza tra la popolazione di stili di vita inadeguati “. Secondo lo stesso rapporto, in Sicilia, il 4% delle persone intervistate risulta sottopeso, il 49% normopeso, il 32% sovrappeso e il 15% obeso. Il dato che deve fare riflettere è però un altro: emerge infatti una sottostima del rischio per la salute legato al proprio peso: solo il 40% percepisce il proprio peso come “troppo alto”, il 34% è aumentato di peso nell’ultimo anno e la maggior parte giudica la propria alimentazione in senso positivo. I risultati indicano la necessità di promuovere una maggiore consapevolezza del ruolo dell’alimentazione nella tutela della salute e nella prevenzione delle malattie e di favorire lo sviluppo di comportamenti virtuosi attraverso l’adozione di iniziative ed interventi di provata efficacia, anche perché all’orizzonte si affacciano due fenomeni in costante crescita, lo sviluppo dei disturbi dell’alimentazione ed l’obesità. Entrambi, benché molto differenti tra loro, rappresentano oggi una minaccia soprattutto tra le generazioni più giovani, anche in Sicilia. Allarme sociale? Forse è troppo presto per poterlo affermare. A tal fine, primo di una serie di incontri conoscitivi che ci introdurranno nel difficile mondo delle patologie dedicate ai DCA (disturbi del comportamento alimentare – ndr -) abbiamo contattato ultima ma non ultima una Associazione che da anni opera su scala nazionale e che da quest’anno ha deciso di “scendere in campo” in Sicilia, aprendo una propria unità operativa:stiamo parlando dell’AIDAP acronimo di Associazione Italiana Disturbi dell’alimentazione e del Peso. Lo spunto lo ha dato il recente convegno organizzato a Trapani presso l’Hotel Cristal lo scorso 20 Giugno alla presenza del Professore Riccardo Dalle Grave presidente nazionale AIDAP, del Professore Salvatore Corrao della Facoltà di Medicina dell’Università di Palermo, del dr Angelo Bastianini responsabile del Servizio territoriale Pneuomologia della AUSL9 di Trapani e dei dottori Gioacchino Allotta responsabile ambulatorio diabetologia ospedale Sant’Antonio Abate di Trapani, e Luigi Piazza Primario di chirurgia dell’obesità presso L’Ospedale Vittorio Emanuele dell’Università di Catania. Ad oggi l’unica sede della associazione su tutto il territorio siciliano è quella apertasi a Trapani, il surplus per chi si rivolge alla equipe di professionisti è rappresentato dall’approccio multidisciplinare alle varie problematiche, non limitando30 Luglio 2009 Antonino Faillaci si solamente alla sfera psicologica. Abbiamo ascoltato il Responsabile scientifico della Unità Operativa Locale dottore Antonino Faillaci il La sua risposta: “L’azione dell’AIDAP è diretta ad incrementare la cultura, l’informazione e la prevenzione sui disturbi dell’alimenta- che se la classificazione verrà aggiornata entro il 2009 al momento i Disturbi dell’Alimentazione, che si definiscono come persistenti disturbi del comportamento alimentare o di comportamenti finalizzati al controllo del peso, che danneggiano la salute fisica o il funzionamento psicologico e che non sono secondari a nessuna condizione medica o psichiatrica conosciuta, si distinguono in Anoressia Nervosa, Bulimia Nervosa e disturbi atipici, il più importante fra i quali è il disturbo da alimentazione incontrollata, legato all’obesità”. Termini medici, parole che racchiudono al loro interno profonde lacerazioni esistenziali, storie e situazioni che causano spesso anche C’è la necessità di promuovere una maggiore consapevolezza del ruolo dell’alimentazione nella tutela della salute e nella prevenzione delle malattie e di favorire lo sviluppo di comportamenti virtuosi attraverso l’adozione di iniziative ed interventi di provata efficacia quale ci ha concesso gentilmente un po’ del suo tempo per un breve scambio di opinioni. Al dottore abbiamo chiesto essenzialmente di che cosa si occupa attualmente l’AIDAP in Sicilia? zione e sull’obesità.” Ma i Disturbi dell’alimentazione quali sono ed in quanti tipi si suddividono? La sua risposta è stata come avevamo chiesto molto sintetica: “An- relazioni sociali interrotte. Ma Ci sono dati sulla diffusione del fenomeno in Sicilia? “Mancano dati epidemiologici certi. Tuttavia bisogna considerare che la Sicilia è fra le regioni a più elevata incidenza di obesità e sedentarietà, mentre i pochi servizi esistenti sono sovraffollati e molti siciliani affetti da queste patologie si recano nelle regioni del Centro Nord per farsi curare. Nell’attuale situazione economica regionale sembra difficile ipotizzare che le cose miglioreranno”. Pessimismo, o forse cruda realtà? Le sue considerazioni devono fare riflettere. Al Dottore Faillaci abbiamo inoltre chiesto Come è possibile identificare i soggetti a rischio? “L’identificazione dei soggetti a rischio è possibile in base al riconoscimento dei comportamenti patologici: la dieta ferrea, l’esercizio fisico eccessivo e compulsivo, il vomito, il digiuno prolungato, ma anche atteggiamenti come pesarsi spesso, evitare di esporre il corpo in pubblico, avere pensieri negativi e frequenti su peso, forme corporee e controllo dell’alimentazione”. Ma cosa fare una volta identificati? “La cosa migliore che si può fare è rivolgersi a degli specialisti in terapia dei D.A. non a qualsiasi psicologo e/o nutrizionista, poiché l’approccio terapeutico deve essere integrato e gli operatori devono possedere una formazione specifica. In molti casi l’intervento nelle prime fasi risolve il problema rapidamente. Quindi mai sottovalutare il problema o avere paura delle conseguenze o, peggio ancora, mostrare vergogna e nascondersi dietro improbabili giustificazioni”. Cosa pensa del fenomeno delle diete “fai da te”? “Beh, Se esiste un modo per favorire lo sviluppo di nuovi casi questo è sicuramente il migliore. Modificare caratteristiche biologiche come peso e forme corporee può essere molto pericoloso, soprattutto se a provarci sono soggetti sani, di peso normale o in leggero sovrappeso e per motivi esclusivamente estetici. Bisogna fermamente respingere e tener lontani dai propinatori di diete soprattutto i più giovani. Una ultima domanda: A chi consiglia di rivolgersi? “Chiunque abbia dei dubbi o voglia segnalarci dei casi o delle esperienze può inviare una mail all’indirizzo [email protected], oppure telefonare allo 0923 554244. È utile inoltre consultare il sito www.positivepress.net/aidap, molto completo perchè contiene informazioni scientificamente corrette sulla materia. La Voce dell’Isola n. 11~14 Sanità 11 Dopo i tagli, Massimo Russo a Caltagirone per riaprire il dialogo Una visita assessoriale per spegnere le polemiche di OMAR GELSOMINO U na visita presso l’ospedale Gravina di Caltagirone per “spegnere polemiche inutili e strumentali”. È stato il commento della visita a Caltagirone dopo le polemiche dei giorni scorsi apparse sui media regionali e nazionali. “Sono sicuro che questa riforma darà al cittadino prestazioni sicure, rapide ed efficienti all’interno di un’organizzazione diversa e funzionale al raggiungimento di questo obiettivo – ha dichiarato l’assessore regionale alla Sanità Massimo Russo -. Temo come amministratore l’applicazione della riforma, perché ci siamo dotati di uno strumento molto valido, che altre Regioni ormai ci invidiano, proprio per la linearità e l’originalità del modello che abbiamo disegnato, molto puntuale rispetto all’esigenza della nostra comunità regionale, sono preoccupato perché dovremmo mettere in atto un’imponente opera di riconversione industriale con tempi e procedure che riguardano l’aspetto tecnico, giuridico, sanitario e finanziario ci stiamo attrezzando per fare questo e conto sull’aiuto, la condivisione e la pazienza dei pazienti. Il giro all’interno dell’azienda ospedaliera Gravina è proseguito insieme al direttore generale Carlo Romano, il direttore amministrativo Giacomo Medulla, il direttore sanitario Ferdinando Di Vincenzo ed il personale amministrativo per rendersi conto della struttura ma soprattutto delle moderne attrezzature di cui si sta dotando il Gravina per quanto riguarda il primo soccorso. “Rispetto all’istanza del potenziamento del servizio sono pronto a corrispondere alle richieste che vengono dagli operatori – ha continuato l’assessore Russo -, perché questo sistema che abbiamo delineato va incontro a questo tipo di richiesta, manca la risonanza magnetica, stiamo facendo il piano degli strumenti diagnostici a livello regionale, se questo territorio è sfornito di un macchinario così importante ormai nella vita operativa di una struttura sanitaria provvederemmo affinché si abbia a Caltagirone così come provvederemmo a fare la rete dell’oncologia perché non accada che le radioterapie siano concentrate solo in alcune province e che qualche sfortunato che già porta i segni di una terribile malattia debba fare centinaia di chilometri per avere le radia- La Voce dell’Isola n. 11~14 Nelle foto, l’assessore alla Sanità Massimo Russo (al centro) durante la visita presso l’ospedale Gravina di Caltagirone zioni positive. Questa è la sanità che stiamo costruendo, quella di avvicinare i servizi al territorio, in modo uniforme lasciando soltanto a Catania e a Palermo la realizzazione di quelle eccellenze, per le quali oggi un cittadini va in alcune regioni, ma rone questo mio tour per rendermi conto direttamente di ciò che manca e di ciò che la gente e gli operatori hanno bisogno e che di fronte a questo tipo di richiesta intendo corrispondere puntualmente, ma all’interno di un quadro organico di rife- giro nelle strutture sanitarie siciliane in vista dell’applicazione della riforma proprio da Caltagirone che ha vissuto un momento di disagio espresso in forma incivile, inaccettabile e intollerabile, anche per rassicurare gli operatori, la comunità Un giro all’interno dell’azienda ospedaliera Gravina è proseguito insieme al direttore generale Carlo Romano, il direttore amministrativo Giacomo Medulla, il direttore sanitario Ferdinando Di Vincenzo ed il personale amministrativo è servito all’assessore regionale per rendersi conto della struttura ma soprattutto delle moderne attrezzature di cui si sta dotando l’ospedale Gravina l’eccellenza è tale se ci sono dei servizi funzionanti ed una eccellente normalità. Dobbiamo avvicinare i servizi a tutte le province e ai cittadini in modo tale che si possano fare le vere eccellenze che servono a infrenare la mobilità verso le altre regioni. questo è l’impegno che sento di assumere. Ho iniziato da Caltagi- rimento e di progetti. In Sicilia è mancata la programmazione, sono mancati gli obiettivi ed i controlli, questi sono i principi che io reclino ogni giorno”. Di fronte alle proteste dei giorni scorsi in seguito all’approvazione della riforma sanitaria l’assessore regionale Russo ha replicato: “Ho voluto iniziare questo mio che stiamo togliendo solo la veste giuridica, mancherà la parola azienda dal cartellone ma il resto rimarrà, anzi lo vogliamo migliorare, guardando proprio alle prestazioni e non certo lasciandoci risucchiare da polemiche inutili sulla caratterizzazione che deve avere questa struttura. Ci sono delle legittime preoccupa- zioni e questo sereno anche se vivace confronto con gli operatori credo che abbia consentito di far cogliere qual è la voglia che ha l’assessore di corrispondere al bisogno del territorio, all’interno di scelte politiche ben precise che hanno visto l’eliminazione di dodici aziende su tutto il territorio regionale con criteri uniformi per tutti. Nella legge è prevista la possibilità che l’organizzazione dell’azienda sanitaria provinciale delle province di Catania, Messina e Palermo possa essere diversificata in ragione del numero di abitanti, la legge prevede che all’interno del bacino possano ritagliarsi dei moduli organizzativi, delle iniziative in ragione della specificità del territorio, ci sono tutti gli spazi per corrispondere alle esigenze di un territorio importante come quello del Calatino”. L’assessore regionale alla Sanità ha poi visitato anche la struttura riabilitativa del Gravina, in località Santo Pietro a Caltagirone e successivamente ha incontrato i sindaci dei comuni che ricadono nel distretto sanitario. 30 Luglio 2009 12 Sanità L’esperienza di un giovane medico in un ospedale australiano Nazioni lontane a confronto: un tirocinante catanese a Melbourne di SEBANIA LIBERTINO S pesso, noi siciliani ci lamentiamo degli ospedali sia per il servizio che per le strutture … ma esageriamo oppure siamo davvero nel Terzo mondo? Forse, in piccolo, una risposta può fornirla l’esperienza del dottor Costantino Terranova, specializzando in Anestesia e rianimazione all’Università degli studi di Catania, reduce da un’esperienza di sei mesi in Australia, dove ha prestato servizio sia in piccoli centri come Darwin che in grandi città quali Melbourn. Anzitutto, ci descrivi brevemente come sei riuscito a fare un periodo di tirocinio in Australia? Esiste una sorta di Erasmus oppure sono collaborazioni che aveva il tuo tutor? Il nostro corso di specializzazione prevede un periodo di sei mesi al di fuori dell’Ateneo sia in Italia che all’estero. Io ho deciso di andare in Australia, ci ero stato in viaggio di nozze e mi aveva affascinato, ed il mio supervisore ha trovato un contatto a Darwin. Lì ho studiato il sistema trauma, in particolare, ero andato per acquisire dati clinici per la specializzazione. E come sei finito melbourn? L’ospedale di Darwin aveva un grande bacino d’utenza, era attrezzato per i grandi disastri, specie in aiuto del Sud-Est asiatico. Ma è anche l’ospedale della città, e lì non succede niente! La città ha 200.000 abitanti ma è veramente tranquilla. In un mese non ho fatto granché. Basti pensare che l’Italia ha una densità di 199 abitanti per km2 mentre il territorio del Nord dell’Australia ha 0,1 abitanti per km2. Così ho chiesto al referente australiano ed al Prof. in Italia di andare in una città “più calda”, perché avevo bisogno di collezionare casi clinici, così di mia iniziativa mi sono spostato a Melbourne e sono andato a chiedere all’ospedale “the Alfred”. Mi hanno dimostrato una disponibilità piena, cosa che non mi aspettavo dato che il dr. Costantino Terranova mi presentavo senza alcun referente, o megli oli ho inseriti nel curriculum ma non mi aveva presentato nessuno. Così dmi sono spostato a Melbourne. E questo non ha indisposto nessuno? Sul momento credo di si, ma rientrato a Catania ho ottenuto i complimenti dei miei referenti, sia italiano che australiano per la mia tenacità e intraprendenza! Inoltre ha coordinato i volontari, davvero tantissimi che hanno provveduto alla sistemazione delle tendopoli, la raccolta e distribuzione di viveri, vestiti ecc. per le popolazioni colpite. L’spedale ha modificato la sua struttura per gestire l’emergenza? No l’ospedale è molto grande, ha 90 posti di terapia intensiva, ha un grosso centro ustioni. L’Ospedale è servito da tre elicotteri, uno serve il Terranova: “Australia: rispetto per gli altri. Italia: fregare il prossimo. Si possono riassumere così le filosofie di vita e di intervento nei due Paesi secondo la mia esperienza” Adesso, una domanda a bruciapelo, così entriamo subito nel vivo dell’intervista: gli ospedali australiani sono così diversi dai nostri? Si, il giorno con la notte La più grande differenza tra l’Australia e L’Italia? Nelle foto, l’Alfred hospital e il Royal Darwin hospital di Melbourne 30 Luglio 2009 Australia: “rispetto per gli altri”. Italia: “fregare il prossimo”. Si possono riassumere così le filosofie di vita e di intervento nei due Paesi secondo la mia esperienza. La cosa più bella che hai visto e/o fatto? Ovviamente lavorativamente parlando … La cosa più bella è stata essere a Melbourne durante i bush fires (la stagione degli incendi iniziata il 7 febbraio, n.d.r.) e vedere come in ospedale sono riusciti a tamponare l’emergenza senza che nessun cittadino lamentasse. Altra cosa che mi ha colpito è stato il lavoro di squadra. Non ho notato classismo nei confronti del resto del personale sanitario, infermieri e assistenti sanitari. Tutti lavoravano in maniera affiatata con un unico obiettivo: la cura del paziente. Come hanno affrontato il periodo dei fuochi?. In qualche giorno hanno raccolto molti soldi tramite una sorta di Telethon organizzato sul momento. Hanno anche fatto dei semplici braccialetti con la frase “ ricostruiremo tutto come prima” che hanno venduto in beneficienza, i giornali locali hanno organizzato raccolte. Tutto il ricavato è stato destinato alle popolazioni colpite. L’ospedale in sé ha approntato qualcosa di particolare, non so sale d’emergenza o altro? L’Ospedale è quello centrale del Vittoria (lo Stato australiano con capitale Melbourne, n.d.r.), è al centro di una fitta rete di interconnessioni tra le città e le campagne per cui oltre alla cura dei pazienti ha anche gestito il coordinamento. Ad es. mappe costantemente aggiornate, con bollettino dei feriti, dispersi e morti. Ha distribuito le forze sanitarie dello Stato su tutto il territorio. Considera che hanno anche un grande parco di elicotteri, ambulanze … l’ospedale è attrezzato per intervenire a seguito di eventi straordinari. nord-est dello Stato, uno il NordOvest ed il terzo è di lunga percorrenza e può coprire l’intero Stato. Ci descrivi una tua giornata tipo, quindi non durante i fuochi? Sveglia alle 6:30, prendevo l’autobus e in Ospedale, ufficialmente, facevo attività di “observer” (osservatore, n.d.r.), ossia dovevo guardare e collezionare i dati clinici. In realtà, però, davo sempre una mano e mi ritrovavo ad intervenire. Io seguivo i turni del Capo di Dipartimento che, a differenza che in Italia non viaggiava in macchina blu e non si dava chissà che arie … Era una persona come le altre, non godeva di agevolazioni particolari e poi l’età … Il primario più giovane che ho conosciuto aveva 41 anni e il più vecchio 50 anni. E i più anziani dove sono? In pensione e girano il mondo …. Un’altra cosa che mi ha colpito dell’Australia è la facilità con cui si cambia lavoro, perché quella è la terra delle opportunità. Se hai un’idea innovativa trovi chi ti finanzia e sei circondato da persone che ti sostengono anche se non hanno alcun riscontro economico. Ad esempio, io ho potuto realizzare un sito internet. Ho conosciuto un webmaster e quando gli ho parlato della mia idea mi ha fatto il sito internet gratis! (www.costantino.terranova.com) Come sono strutturati i turni ospedalieri, come in Italia? In genere sono molto simili. La cosa diversa è che hai più possibilità di fare straordinario, se hai necessità economica lo dici prima e ti agevolano, lo stesso se hai bisogno di periodi prolungati di ferie. Hanno un grande bisogno di medici e infermieri. Hanno grosse strutture ospedaliere ma non hanno tutti i laureati che ci sono in Italia, questo perché si comincia a lavorare già durante gli studi per cui non tutti sentono la necessità continuare gli studi per avere il pezzo di carta per ottenere un lavoro. Costantino, come definiresti, nell’insieme, la tua esperienza lavorativa in Australia? In una parola? UTOPIA Diciamo così. Ho passato sei mesi a cercare qualcosa che non andasse, senza trovarlo, e non solo sul lavoro! La cosa più stupida: orari degli autobus rispettati al secondo. E poi gli spot pubblicitari anti fumo o quelli per la sicurezza sul lavoro con immagini anche molto crude proprio per scoraggiare a fumare, o per invogliare a rispettare le norme di sicurezza. Ti facevano veramente spaventare! Allora ti trasferiresti lì? Anche subito, ma con mia moglie!! Esercitazione contro il terrorismo batteriologico La Voce dell’Isola n. 11~14 Momenti poco chiari nella conduzione del personale della società di gestione dei servizi dell’aeroporto di Catania FONTANA-ROSSA DI VERGOGNA ome nella maggior parte delle questioni scottanti che riguardano il capoluogo etneo, anche per lo scalo aereo la medaglia presenta due facce: quella bella (ma già invecchiata anche se giovane) della nuova aerostazione, e quella brutta, rappresentata dalla magnifica struttura Anni ’80, ideata dallo Studio Morandi, abbandonata, cadente e degradata in mano a vagabondi e drogati. Ma non sono solo questi aspetti che rappresentano una vistosa anomalia: ci sono, soprattutto, gli innumerevoli interessi che ruotano attorno alle attività dell’aeroporto. Interessi economici e politici conosciuti solo dagli “addetti ai lavori” e che il cittadino comune ignora per assoluta mancanza d’informazione, e per la disinformazione ben pilotata. Il nostro giornale periodicamente ha messo in luce questi aspetti, attirandosi le “antipatie” dei potenti. Come è accaduto in anni precedenti, abbiamo nutrito delle speranze ogni qual volta i responsabili della società C La Voce dell’Isola n. 11~14 DOSSIER 13 di gestione dei servizi dell’aeroporto - Sac e Sac Service - hanno annunciato clamorose “svolte”, ma le speranze sono rimaste tali e nulla di veramente positivo, alla fine, si è verificato. Così è accaduto per l’ultima “svolta” annunciata nel corso di una vistosa conferenza stampa dell’azienda, nell’aprile scorso, alla quale sono seguiti fatti che hanno suscitato non poche perplessità. Come è costume del nostro giornale, di non parlare mai a “senso unico”, noi abbiamo dato l’opportunità di esprimere il proprio pensiero al presidente della Sac, ingegnere Gaetano Mancini. All’opinione del manager, stimato professionista catanese, il nostro giornale contrappone alcune informazioni, cioè “notizie” documentate e non opinioni, che l’ingegnere Mancini (almeno in teoria) potrebbe non conoscere, e consapevoli che i “fatti” possono essere più importanti delle “opinioni” che, spesso, lasciano il tempo che trovano. 30 Luglio 2009 DOSSIER 14 Aeroporto di Catania - Per il presidente della società di gestione dei servizi dello s Mancini: “Nella Sac c’è un man e un indirizzo sicuro e di grand di MIRCO ARCANGELI P residente Mancini, ci corre l’obbligo iniziare questa intervista con una domanda scontata: ad aprile sono stati presentati i piani industriali, un programma di riorganizzazione aziendale per rientrare dal deficit, nuovi assetti organizzativi, ed i primi risultati di una strategia volta a produrre efficienza e rigore. A quasi tre mesi da questo importante evento, vorremmo sapere dal Presidente cosa è successo in questo lasso di tempo e cosa succederà. In realtà il piano industriale della Sac spa è stato presentato da oltre un anno mentre durante l’evento citato, (una conferenza stampa dei soci della Sac Spa) è stato presentato il piano industriale della Sac Service (una controllata). Della Sac spa sono invece stati presentati i primi risultati in termini di efficienza e forte rigore. E’ stata presentata la linea, l’indirizzo che l’assemblea ha voluto imprimere, in maniere molto forte al management di Sac, e conte- 30 Luglio 2009 stualmente, i primi risultati concreti che, rispetto a questo nuovo indirizzo di forte efficienza, si è voluto dare. Da quel momento in poi certamente forse il fatto più importante che riguarda Sac, è l’avvio delle attività del Consorzio di rampa Handling, che ha visto una cessione del ramo di azienda (quello dei servizi di rampa), e il conseguente trasferimento di 111 dipendenti nel consorzio, che complessivamente è un’operazione che ha determinato e sta confermando quello che ci aspettavamo, cioè un forte intervento di efficientamento sul centro di costo dell’attività di handling. Direi quindi, è un dato che mi piace sottolineare, abbiamo tutelato i posti di lavoro, perché altrimenti, stante il fatto che quel ramo di attività di Sac perdeva circa 2 milioni di euro all’anno, certamente si sarebbe arrivati ad una procedura di esubero di lavoratori. Mentre, in questa maniera, la procedura di esubero non c’è stata, per il grado di efficienza economica, riuscendo quindi ad evitare problemi di licenziamento. Quindi praticamente l’ossatura di questa conferenza stampa sta nella riorganizzazione interna per trovare una migliore efficienza nella struttura, cercando di trasferire compiti e servizi e quindi manodopera ad altre aziende e strutture esterne, magari consorziate e sempre partecipate, in modo da trovare maggiore efficienza. 111 persone sono state trasferite al consorzio Saga Handling. Ci sono altre strutture che vengono a crearsi con trasferimenti di personale? C’è una riorganizzazione interna di uffici, di apparati che è in essere? C’è un’occupazione in esubero? In quella occasione si parlava di personale in esubero, come si pensa di tutelarla? Vero che in parte si è già fatto con questo trasferimento, ma cosa ci dice il Presidente? I trasferimenti attesi a breve sono quelli relativi all’altra parte dell’handling quindi diciamo la parte handling di rampa. E’ un’attività che sostanzialmente noi abbiamo portato a compimento rispetto ad un preciso indirizzo di legge, una legge del ’99, che fino ad ora non era stata attuata dalla Sac, e che sostanzialmente poggia sulla liberalizzazione dei servizi di Handling, con la separazione netta tra l’attività del gestore e quella di Handling che invece va sul mercato. Quindi ora noi abbiamo quasi costituito, la Sac Handling, alla quale peraltro verrà conferita anche l’attività handling non di rampa, nonché le azioni del Consorzio Saga Handling. La procedura non è completata solo perché dal punto di vista amministrativo si stanno finendo di fare le valutazioni dei cespiti e quant’altro necessario per fare la cessione del ramo d’azienda. Di qui a qualche settimana la procedura dovrebbe essere definita. Con questa operazione viene dato corpo ad un’altra modifica organizzativa. Poi c’è stata una semplificazione della macro struttura di Sac con la riduzione di una direzione, da tre a due, e la delega al presidente per la gestione delle attività, quindi un’organizzazione più snella e finalizzata ad accelerare i processi. Gli esuberi a cui faceva riferimento lei non sono di Sac spa, ma di Sac Service. Una società controllata al 100% da Sac, la quale gestisce sostanzialmente tre attività: l’attività di security, l’attività di gestione dei parcheggi e l’attività infovoli. Il piano industriale di Sac spa aveva già individuato fin dall’anno scorso, una serie di interventi di efficientamento rispetto al tema delle attività svolte dalla controllata, in particolare security, gestione dei parcheggi e infovoli. Il nuovo CDA di SAC Service si è impegnato in maniera importante su questo tema. E’ emersa in maniera evidente qual’è l’attuale situazione strutturale del gruppo societario, ed il CDA ha varato un piano industriale che è appunto quello presentato ad aprile. Un budget 2009 con relativo piano industriale che prevede una serie di interventi forti, appunto, sulla struttura societaria, e che prevede una procedura di mobilità. La procedura di mobilità è attualmente in atto, noi abbiamo chiesto alla società di verificare anche la possibilità di applicare la cassa integrazione, ed i contratti di solidarietà. Loro lo stanno facendo. Quindi la procedura è in corso. Questa riorganizzazione prevede quindi mobilità, ma anche cassa integrazione e quindi allontanamento dal lavoro? C’è una situazione nella quale il tentativo che sta facendo la Sac Service è quello di recuperare il più possibile rispetto alle attività che sono gestite. Questo, guardando la struttura all’interno, ma se volessimo dare uno sguardo dall’esterno? In questi mesi si sono avvicendate delle polemiche, sugli spazi esterni, ad esempio terreni ab- bandonati, aree non utilizzate o la vecchia aerostazione fatiscente, parcheggi che funzionano e non funzionano, insomma qualcuno addirittura ha parlato di presenza di cani randagi. Una polemica avanzata anche dal senatore Enzo Bianco. Cosa ci dice il Presidente? no fatto perdere del tempo prezioso, siamo arrivati a ridosso del periodo estivo con un doppio problema, da un lato le temperature, con la conseguenza che effettuare impianti a verde in questa condizione climatica avrebbe comportato un sicuro risultato negativo con ulteriori sprechi economici “Questa aerostazione è dimensionata per 6 milioni di passe un confronto con la vecchia aerostazione, sebbene gli spaz cresciuto. Quindi noi subiamo dei colli di bottiglia ed abb avviando le procedure per la ristrutturazione della vecchia Direi che sono osservazioni sacrosante, io stesso sono intervenuto più volte su questo tema anche sugli organi di stampa perché il tutto è verissimo. Noi abbiamo avviato tutte le procedure che sono finalizzate a definire la parte che noi possiamo definire, nel senso che noi non abbiamo compiti di polizia, non siamo in grado di affrontare l’abusivismo, non abbiamo competenze per contrastare il randagismo, sono chiaramente sfere di problemi che noi non possiamo gestire. La parte di problemi che noi invece possiamo e dobbiamo gestire è stata attenzionata dal CDA. Abbiamo avviato le procedure per la razionalizzazione delle attività di movimentazione delle auto, dei pedoni, dei mezzi davanti all’aerostazione e per la sistemazione delle aree a verde. In questo ultimo caso eravamo pronti ad intervenire, nel frattempo gli iter procedurali han- non sopportabili dalla struttura, ed in secondo luogo, essendoci il traffico del periodo estivo, fare interventi sul traffico in questo periodo comporterebbe eccessivi disagi per l’utenza. Quindi noi riteniamo che finito il perio- 15 scalo oggi tutto procede bene nagement molto forte, de efficienza dell’azienda” do estivo, su entrambe le questioni, con grande celerità, daremo la giusta risposta. Il tema circolazione infatti è fondamentale. Noi sappiamo che in certi momenti la circolazione non funziona molto bene. Proprio questa mattina sono stato alla commissione trasporti del comune di Catania. E’ stata fatta terventi, che faremo subito dopo la fase estiva. Alcuni di tipo gestionale che faremo subito, altri strutturali che faremo subito dopo, finalizzati ad impedire il blocco del traffico e della circolazione. In effetti da fruitore dei servizi posso confermare che forse prima la sosta temporanea era più facile, un confronto con la vecchia aerostazione, sebbene gli spazi siano molto più grandi, il numero dei varchi non è molto cresciuto. Quindi noi subiamo dei colli di bottiglia ed abbiamo l’esigenza di utilizzare degli spazi nuovi. Stiamo avviando le procedure per la ristrutturazione della vecchia aerostazione “Morandi”. Un manufatto di pregio, realizzato da un architetto importante, e noi riteniamo che possa ospitare circa 2,5 milioni di passeggeri, probabilmente con un indirizzo di tipo low cost. Questo porterebbe la capienza complessiva a 8,5 milioni di passeggeri, fare un terminal B sostanzialmente. Contemporaneamente si dovrà procedere con le opere previste dal Master Plan 2007 (piano di sviluppo dell’aeroporto). Con la realizzazione che abbiamo fatto quest’anno, la bretella 26 (nuova via di rullaggio), la pista di Catania è capace di ospitare un traffico di 12 milioni di passeggeri all’anno. Evidentemente questi passeggeri non troverebbero capacità di accoglienza nell’aerostazione, che non ce la farebbe, quindi praticamente il collo di bottiglia è il livello sviluppo aeroportuale. E questo è il primo sogno. Poi c’è una seconda prospettiva altrettanto importante che riguarda la definizione dei terreni comunali o meglio delle aree a destinazione aeroportuale previste dalla concessione. A questo proposito va sottolineato che il Comune di Catania ha risposto all’offerta fattagli per l’acquisto di tali aree con una posizione non coincidente con quella dell’Assemblea dei soci. Nel frattempo stiamo avviando tutte le procedure previste dalla concessione per l’acquisizione delle aree. La terza grande questione, che rappresenta anche il vero grande sogno, è quella di risolvere in maniera positiva la interferenza tra la pista aeroportuale e la ferrovia. Noi oggi, come sappiamo, abbiamo un binario che passa in testa alla pista 08. Questo binario ferroviario impedisce il prolungamento della pista. L’attuale pista è eggeri, abbiamo però punte ben superiori. Se noi facciamo zi siano molto più grandi, il numero dei varchi non è molto iamo l’esigenza di utilizzare degli spazi nuovi. Stiamo a aerostazione Morandi” una opzione su questi temi. Io ho fortemente sollecitato il Comune affinché si possa incrementare il numero dei vigili urbani. Perché c’è oggettivamente un problema di questo tipo. Contestualmente abbiamo messo in cantiere una serie di in- mentre ora con la rampa che sale e che non ha molto spazio attorno, per il movimento che genera l’aerostazione risulta del tutto insufficiente. Bene passando ad altro argomento. Abbiamo parlato di riorganizzazione interna, di immagine esterna, parliamo ora di futuro e di strategie. Si parla di futuro terzo hub italiano capace di intercettare voli intercontinentali. Contestualmente l’aeroporto di Catania ha forse raggiunto già ora livelli di saturazione confermando il 4° posto a livello nazionale con oltre 6 milioni di passeggeri trasportati. Considerando i risultati raggiunti, ed il suo potenziale sviluppo, chiediamo all’ingegnere Mancini come immagina l’aeroporto di Catania del domani? Qual è il suo sogno nel cassetto a questo proposito? Innanzitutto dovrebbe essere già avvenuta la realizzazione del secondo modulo, capace di risolvere i problemi di accoglienza delle persone nei periodi di punta. Cioè questa aerostazione è dimensionata per 6 milioni di passeggeri, abbiamo però punte ben superiori. Se noi facciamo una pista che non può ospitare i grandi aerei intercontinentali, i Boeing 747, l’Airbus A380700, e altro. L’eliminazione di questo ostacolo, permetterebbe il prolungamento della pista, che proietterebbe l’aeroporto di Catania in una dimensione intercontinentale. Tra l’altro, se si permettesse di fare questo intervento, interramento della ferrovia, prolungamento della pista, sarebbe molto bello pensare anche ad uno spostamento dell’asse ferroviario, per far arrivare la ferrovia in coincidenza con l’aerostazione. Questo permetterebbe ai passeggeri delle varie province (Messina, Siracusa, Enna e perché no anche Catania) di arrivare direttamente sotto l’aeroporto con il treno senza dover per forza utilizzare l’auto. Si otterrebbe uno standard di servizi molto più alto, ed uno standard di sicurezza tale da evitare le grandi corse in auto immersi nel traffico della tangenziale. Un servizio molto comune in tutti i grandi aeroporti del mondo. Credo che questo scenario avrebbe anche una prospettiva per le ferrovie. Infatti se ipotizziamo che un 20% dei passeggeri possa utilizzare il sistema ferroviario, si aggiungerebbe un’utenza ferroviaria di 1,2 milioni di passeggeri. Speriamo quindi che sia una questione che interessa anche le ferrovie. Questo forse oggi è veramente un sogno, ma io credo in fondo che sognare non faccia male, e noi tutti stiamo lavorando perché queste cose diventino un giorno realtà. Alcuni numeri de «La Voce dell’Isola» in cui si parla dell’aeroporto di Catania. In alto: il presidente della Sac, l’ing. Gaetano Mancini La Voce dell’Isola n. 11~14 L’annunciata “svolta moralizzatrice” si risolve in epurazione a favore del più bieco nepotismo Sac-Service: fuori 9 indesiderati restano invece figli, nuore, ecc... DOSSIER 16 di VITTORIO SPADA N el corso della conferenza stampa tenuta il 17 aprile scorso, il presidente della Sac, ingegnere Gaetano Mancini, ha dichiarato: *“Si ritiene non solo opportuno ma addirittura doveroso, dare conto delle principali questioni che interessano un gruppo a totale partecipazione pubblica che vede la capogruppo SAC assegnataria della gestione totale di una importante infrastruttura come l’Aeroporto di Fontanarossa. Ancor di più alla luce delle prime iniziative già avviate dalle quali si attende un consistente miglioramento operativo per oltre 5 milioni di euro all’anno (3 mln in SAC e 2 mln in SAC Service) con un contestuale snellimento strutturale attraverso il passaggio di 130 addetti ad altre aziende (111 da SAC e 19 da SAC Service). Fatto questo che ha peraltro consentito la salvaguardia del loro posto di lavoro. Iniziative che rappresentano una vera e propria svolta gestionale finalizzata a dare alla struttura aeroportuale quella efficienza indispensabile al suo sviluppo”.. A sua volta il presidente della Sac Service, Giuseppe Sciacca, ha commentato: * “Scelte drastiche quelle che abbiamo intrapreso che riguardano il taglio dei costi (ridotte del 40 per cento le consulenze) e la redistribuzione del personale: in Sac Service, per esempio, c’è un esubero in amministrazione….”. Nel corso della conferenza stampa è stato messo in luce anche che *“… la SAC Service presentava una per- in tre anni”. Abbiamo estrapolato alcuni passi della conferenza stampa che ci pongono diversi interrogativi: Partendo dall’informazione, a nostro avviso (ma possiamo sbagliarci) incompleta, di un bilancio in rosso di due milioni e passa di euro della Sac Service, ci chiediamo se questo disavanzo sia stato coperto: la Sac Service, infatti, è una srl, e se presenta un bilancio in rosso o lo copre e ricapitalizza, oppure deve essere posta in liquidazione. In merito non si hanno notizie. Di contro si apprendono, invece, le misure di rigore adottate dalla Sac Service: la società aeroportuale ha raggiunto un accordo con alcuni sindacati, Uil, Cgil, Codires, per il licenziamento di 50 dipendenti, l’intero nu- vice, Carmelo Micalizzi, “denunciava” al presidente della Sac ed ai vertici dei soci Sac gli alti stipendi che sette dipendenti della Sac Service prendevano: sicuramente uno “scatto d’orgoglio” moralistico. Ma Micalizzi questo stesso “scatto d’orgoglio”, a quanto pare, non lo ha avuto quando, proprio alla Sac Service ha fatto assumere due figli e la nuora. Queste cose, probabilmente l’ingegnere Mancini le sconosce, così come sconosce, sicuramente, che diversi consulenti della Sac Service, con “alti emolumenti”, sono stati fatti transitare alla Sac (leggasi Moreno Prosperi); così come, sicuramente, i due presidenti, Mancini e Sciacca, ignorano che un componente del Consiglio della Camera di Commercio di Catania (socia della Sac), Rino Sardo (controllore e controllato?), prima è stato assunto dalla Sac Service con un ruolo già ricoperto da altro dipendente e, pochi giorni prima dell’invio dei provvedimenti di mobilità, è stato trasbordato alla Sac, con un aumento di stipendio! I criteri di selezione del personale da licenziare appaiono altrettanto nebulosi, tenuto conto – per quanto è dato sapere…che non sarebbero state rispettate le graduatorie per qualifica e anzianità, mentre sarebbero stati “salvati” dipendenti i cui meriti particolari si sconoscono. Qualche esempio? Dal licenziamento non è stato toccato Simone Lucarelli (nipote di Pietro Agen, presidente della Camera di Commercio di Catania), Giuseppe Castiglione (figlio di Santo Castiglione, attuale presidente dell’Autorità Portuale di Catania), Giuliano Rossitto (figlio del noto professore Elio Rossitto), Marco Tanasi (fratello di Tanasi, presidente del Codacons). Anche in questi casi citati non si sono registrati scatti di orgoglio moralistico da parte dei componenti dei Cda Sac e Sac Service. C’è dell’altro… Non mettiamo in dubbio la buona fede del presidente Sac, Mancini, ma viene spontaneo chiedergli se conosce quale sia la retribuzione del direttore Sac e Sac Service, Paolo Antonelli: si dice alta, molto più alta di quella percepita dallo stesso presidente! Ma noi non ci crediamo. Riteniamo, invece, credibile la notizia di un consistente “premio” in euro assegnato a Paolo Antonelli per la professionalità con cui ha condotto a termine la vicenda della Sac Service. Aggiungiamo: Che dire dei tanti parenti stretti di deputati e politici, in forza alla Sac e Sac Service? Se così stanno le cose, allora, dove sta la “svolta”, il cambiamento di rotta “morale” che si è detto voler imprimere alla società di gestione dei servizi aeroportuali di Catania? Se il risanamento morale della società si intendeva farlo eliminando 50 dipendenti, perchè alla fine sono stati “epurati” soltanto nove impiegati, senza tenere conto delle loro qualifiche e anzianità? Si tratta di una vendetta politica? Noi non sappiamo dare risposte a questi interrogativi. Come ci chiediamo anche quale criterio di valutazione sia stato adottato nell’individuazione del personale ritenuto in esubero. Altri capitoli poco noti possono essere ancora aperti: L’ingegnere Mancini dovrebbe spiegarci, per esempio, la presenza, in qualità di azionista, della società “Iniziative Editoriali Siciliane srl” dell’editore Mario Ciancio in una collegata Sac, la Intersac Holding Spa… eccetera. Gestione della Sac-Service: tipica situazione in cui si giudica bene e si razzola male dita strutturale vicina ai 2 milioni di euro che grava sul bilancio consolidato della SAC. Il Consiglio di Amministrazione della SAC ha pertanto condizionato la decisione sulla continuità aziendale alla adozione da parte della SAC Service di un piano di interventi di estremo rigore. Il Consiglio di Amministrazione di SAC Service ha proposto un piano industriale che dà il via ad una forte iniziativa di risanamento basata su una razionalizzazione che porterà all’azzeramento delle perdite cleo di vertice dell’amministrazione, con la voce “mobilità” senza preavviso agli interessati, dall’oggi all’indomani. Ma come interpretare la circostanza sospetta che firmatari di questo accordo hanno propri parenti stretti (possiamo fare nomi e cognomi) in servizio alla Sac? Forse questo tipo di dettagli non è noto ai presidenti Mancini e Sciacca? Più conosciuta, sicuramente, la lettera con la quale il 25 marzo dello scorso anno il componente del Consiglio d’amministrazione della Sac Ser- Da sinistra: Rino Sardo, Gaetano Mancini 30 Luglio 2009 La Voce dell’Isola n. 11~14 Scienze 17 Geotermica, inesauribile e poco sfruttata energia che viene dal sottosuolo Il calore della Terra produce una fonte energetica alternativa di SEBANIA LIBERTINO T esIl panorama delle fonti di energia alternativa è molto variegato e non si esaurisce con le fonti più note quali eolico e fotovoltaico. Una fonte energetica pressoché inesauribile e certamente poco sfruttata è quella geotermica. Il termine “geotermia” deriva dal greco “gêo” e “thermos” ed il significato letterale è “calore della Terra”. L’energia geotermica deriva dal calore presente negli strati più profondi della crosta terrestre e può essere considerata una forma di energia rinnovabile, se valutata in tempi brevi. Penetrando in profondità la superficie terrestre, la temperatura diventa gradualmente più elevata, aumentando di circa 30 °C per km nella crosta terrestre (0.3 °C/km e 0.8 °C/km rispettivamente nel mantello e nel nucleo). Il calore interno alla terra fu originariamente generato durante l’accrezione (formazione, n.d.r.) del pianeta dovuta alla forza di attrazione gravitazionale. In seguito il calore interno ha continuato ad essere generato grazie a processi di decadimento nucleare naturale di elementi quali l’uranio, il torio e il potassio. Il calore terrestre proveniente dall’interno, viene successivamente trasferito verso la superficie mediante convezione del magma o di acque profonde: da qui nasce la maggior parte dei fenomeni come le eruzioni vulcaniche, le sorgenti termali, i geyser, o le fumarole. I giacimenti di questa energia sono però dispersi e a profondità così elevate da impedirne lo sfruttamento. Come si riesce ad estrarre energia dal sottosuolo? Essenzialmente si sfrutta il calore di fluidi, vapore o acqua in gran parte meteorica, che si riscaldano circolando nelle rocce calde e permeabili e interagendo con queste acquisiscono sali e gas incondensabili. In condizioni particolari, quali la presenza di fratture nella crosta terrestre (faglie) o affioramenti di rocce permeabili, acqua e vapore possono raggiungere la superficie dando luogo a manifestazioni naturali anche altamente spettacolari, come lagoni, geyser e fumarole. Il vapore, o l’acqua calda, sono sfruttati o direttamente per muovere una turbina collegata ad un generatore che produce energia elettrica, oppure per riscaldare un liquido di scambio che a sua volta farà girare la turbina. Il vapore acqueo generato (o prelevato dal sottosuolo) viene riutilizzato per il riscaldamento urbano, per le coltivazioni in serra e nel termalismo. Per alimentare la produzione del vapore acqueo si ricorre spesso all’immissione di acqua fredda in profondità, una tecnica utile per mantenere costante il flusso del vapore. In questo modo si riesce a far lavorare a pieno regime le turbine e produrre calore con continuità. A causa della necessità di essere in prossimità di una faglia l’energia geotermica rappresenta oggi meno dell’1% della produzione mondiale di energia. Leader nel suo sfruttamento è l’Islanda, dove l’85% delle abitazioni sono riscaldate con questa fonte energetica. In realtà esistono diversi sistemi geotermici, ma attualmente vengono sfruttati a livello industriale solo i sistemi idrotermaLa Voce dell’Isola n. 11~14 li, costituiti da formazioni rocciose permeabili in cui l’acqua piovana e dei fiumi si infiltra e viene scaldata da strati di rocce ad alta temperatura. Le temperature raggiunte variano dai 50-60 °C fino ad alcune centinaia di gradi. È naturalmente legata a quei territori dove vi sono fenomeni geotermici, quindi, è una fonte energetica marginale da utilizzare solo in limitati contesti territoriali. Il più grande complesso geotermico al mondo si trova in California a The Geysers (l’impianto ha un potenziale di 1400 MW, sufficiente a soddisfare le richieste energetiche dell'area metropolitana di San Francisco). Anche in Africa, il Kenya e l’Etiopia hanno costruito degli impianti per l’energia geotermica. In Etiopia si calcola che l’energia presente è di almeno 1000 MW. Circa venti paesi al mondo hanno progetti di sviluppo del geotermico. Persino Google ha investito nel geotermico di terza generazione, basato sulla trivellazione di profondità per raggiungere punti caldi della crosta anche da zone non naturalmente termali. La trivellazione è il costo maggiore; nel 2005 l’energia geotermica costava fra i 50 e i 150 euro per MWh, ma si prevede che tale costo scenda a 50-100 euro per MWh nel 2010 e a 40-80 euro per MWh nel 2020. Lo svantaggio principale delle centrali geotermiche è il tipico odore sgradevole di uova marce causato dall’idrogeno solforato. Se è tollerato nel caso dei siti termali, è piuttosto avverso alla popolazione residente nei pressi di una centrale geo- di 10 anni. Per estrarre e usare il calore imprigionato nella Terra, è necessario individuare le zone dove questo si è concentrato: serbatoi o giacimenti geotermici. È possibile utilizzare industrialmente solo quello che si trova concentrato in alcune zone privilegiate in corrispondenza delle quali, non lontano dalla superficie (5-10 km di profondità), sono presenti masse magmatiche fluide o già solidificate in via di raffreddamento. Tali zone si localizzano nelle aree dove le placche in cui è suddivisa la crosta terrestre vengono a contatto, e dove masse magmatiche tendono a risalire verso la superficie: queste zone (denominate “dorsali oceaniche” e “zone di subduzione”) sono state caratterizzate da intensa attività tettonica che ha dato tre 100 anni di distanza e, nonostante fosse stato distrutto durante la seconda guerra mondiale, quello stabilimento, interamente ricostruito, ancora funziona, soddisfacendo oltre l’80% del fabbisogno energetico degli abitanti della zona. Il potenziale geotermico italiano fino a profondità economicamente convenienti è ragguardevole, con risorse di alta temperatura (> 150 °C) concentrate nella fascia pre-appenninica tosco-laziale-campana, in alcune zone del Veneto, dell’Emilia Romagna e della Lombardia, in Sardegna, Sicilia e in alcune isole vulcaniche del Tirreno, e con risorse di media e bassa temperatura (< 150 °C) ubicate su vaste aree del territorio nazionale. In base alle sue caratteristiche geologiche, dunque, l’Italia è un Paese a forte vocazione geotermica, per cui il suo potenziale potrebbe essere valorizzato molto più di quanto fatto fino ad ora. La produzione di energia elettrica dalla Per estrarre e usare il calore imprigionato nella Terra, è necessario individuare le zone dove questo si è concentrato in giacimenti geotermici. È possibile utilizzare industrialmente solo quello che si trova concentrato in alcune zone privilegiate in corrispondenza delle quali, non lontano dalla superficie, sono presenti masse magmatiche fluide o già solidificate in via di raffreddamento termica. Il problema è comunque risolvibile mediante l’installazione di particolari impianti di abbattimento. Un altro problema è quello dell’impatto ambientale. Infatti, le centrali si presentano come un groviglio di tubature anti-estetiche, anche se l’aspetto è simile a quello di molti siti industriali o fabbriche. Infine, alcuni studiosi, sostengono che la produttività delle centrali geotermiche si riduce anche del 30% nel giro origine a vulcani, terremoti ed altri fenomeni. È chiaro che l’Italia, terra relativamente giovane e con intensa attività vulcanica, è proprio uno di quei luoghi in cui è possibile sfruttare l’energia geotermica. Ed infatti, già nel 1904, per l’esattezza 4 luglio di quell’anno, proprio in Italia, per merito del principe Piero Ginori Conti, fu sperimentato il primo generatore geotermico a Larderello, in provincia di Pisa. Ad ol- geotermia è fortemente concentrata in Toscana (Pisa, Siena e Grosseto). La produzione di energia elettrica, a fronte degli 810,5 MWe installati e dei 5,5 miliardi di kWh prodotti nel 2006 (corrispondenti ad 1,1 milioni di tep, tonnellate equivalenti di petrolio, ndr), può giungere a 1.500 MWe nel 2020, con una generazione di 10 miliardi di kWh/anno, pari al fabbisogno elettrico di 9 milioni di abitanti. Ciò rappresenta il raddop- pio della produzione del 2006, e corrisponde ad un risparmio di oltre 2 milioni di tep. Per gli usi diretti, a fronte dei 650 MWt installati e di una produzione corrispondente ad oltre 190.000 tep nel 2006, la potenza installata può giungere a 6.000 MWt nel 2020, con una produzione equivalente ad 1.800.000 tep, idonea per riscaldare 800.000 appartamenti. Si tratta di valori circa 10 volte superiori a quelli del 2006. Considerati nell’insieme, gli usi elettrici e non elettrici del calore terrestre possono quindi passare dagli 1,3 milioni di tep del 2006 a quasi 4 milioni di tep del 2020, corrispondenti ad oltre 1,2% del consumo totale lordo di energia del Paese. Si tratta di un contributo che può sembrare modesto in termini percentuali, ma che non lo è affatto in termini economici se raffrontato al costo del combustibile fossile sostituito. L’importanza di tale contributo risulta poi ancora più evidente se si pensa che la prevista crescita della geotermia nel 2020 consente di evitare di scaricare nell’atmosfera circa 10 milioni di tonnellate di CO2 all’anno. Tra i progetti per lo sviluppo del geotermico in Italia, si annovera anche quello della IKEA. La nota società svedese ha installato nel nuovo negozio di Parma (località Ugozzolo), un impianto geotermico costituito da 272 sonde che arrivano a 150 metri di profondità nel suolo. E la Sicilia? Purtroppo, come ogni volta che si parla di innovazione la Sicilia sarebbe il luogo migliore in cui realizzarla, ma l’unico posto in cui non si fa niente. Noi abbiamo impianti termali un po’ ovunque, sinonimo del fatto che ci sono tantissimi siti “sfruttabili”, inoltre abbiamo l’Etna e Stromboli, a testimoniare che siamo in presenza di numerose faglie da cui si potrebbe prelevare l’energia geotermica, ma ad oggi non ci sono siti per il suo sfruttamento. 30 Luglio 2009 18 Turismo Con una serie di coinvolgenti manifestazioni culturali Ad agosto ritorna alla vita l’antica città di Morgantina di SALVO DI MAURO A d agosto Morgantina torna a nuova vita con una serie di iniziative culturali che si terranno negli antichi siti. Rivive la città antica che dopo 24 secoli è stata restituita al sole della pianura della dea Cerere. Rivive il mercato, il parlamento, il ginnasio, il tempio, il teatro l’ekklesiasterion (luogo di riunione del popolo per votare le leggi). Le manifestazioni, uniche e coinvolgenti, si terranno. nel parco archeologico. Morgantina è una città sicula e greca, sito archeologico nel comune di Aidone: la città fu riportata alla luce nell’autunno del 1955 dalla missione archeologica dell’Università di Princeton (Stati Uniti). Gli scavi sinora compiuti consentono di seguire lo sviluppo dell’insediamento per un periodo di circa un millennio, dalla preistoria all’epoca romana. L’area più facilmente visitabile, recintata dalla Sovraintendenza, conserva resti dalla metà del V alla fine del I secolo a.C., il periodo di massimo splendore della città. Da questo sito provengono importantissimi reperti archeologici come la Venere di Morgantina, attualmente custodita presso la collezione Getty a Malibu, di cui è previsto il ritorno in loco nel 2010, e il Tesoro di Morgantina, anch’esso in via di restituzione. Morgantina è sicuramente uno dei siti archeologici più interessanti dell’entroterra di Sicilia. Le numerose fonti in cui viene menzionata Morgantina sono una riprova della sua importanza. Alle informazioni delle fonti letterarie si aggiungono ovviamente i reperti rinvenuti in seguito agli scavi archeologici effettuati in tutta l’area. La città si estende su una piccola pianura delimitata da dolci colline. Al centro del pianoro si trova l’Agorà dominata dall’alto dal “colle della Cittadella”, sede dell’Acropoli. Il sito, prima di essere colonizzato dai greci, presentava insediamenti preistorici di età castelluciana e dell’Età del Bronzo. Fu nel IX secolo a.C. che arrivarono i Morgeti (da cui Morgantina prende il nome). Testimonianze del periodo di colonizzazione da parte di questo popolo si trovano nell’area dell’Acropoli: capanne a pianta quadrata appartenenti ad un villaggio agricolo. Nel IV secolo a.C. i coloni Calcidesi di Catania ingrandiscono il sito. Nel 211 a.C., durante le guerre puniche, Morgantina si schiera con i Cartaginesi e questo provoca la sua distruzione da parte dei Romani. Lungo il perimetro dell’area archeologica sono visibili le antiche mura di cinta che, seguendo l’oro30 Luglio 2009 grafia della zona, hanno un andamento piuttosto frastagliato. Le mura non presentavano torri, solo alcuni baluardi, e si aprivano in corrispondenza delle quattro porte. Sull’Acropoli, oltre alle succitate capanne morgetiche, si trovano i resti più antichi della città, compresa l’area sacra. L’area sacra comprende dei piccoli templi ed il naiskos arcaico, un grande tempio lungo all’incirca 32 metri risalente al VI secolo a.C. Ai piedi della collina dell’Acropoli si trova il quartiere residenziale. Qui sono state rinvenute lussuosi esempi di abitazioni con pavimenti a mosaico e pareti affre- Gli scavi di Morgantina e accanto il manifesto delle manifestazioni estive Uno dei siti più importanti dell’entroterra siciliano purtroppo poco conosciuto e poco valorizzato venuti dei busti votivi policromi che raffigurano Demetra. Accanto al teatro greco, più a est, si trova il granaio pubblico; risalente al III sec. a.C. ha una pianta rettangolare. I resti di due fornaci all’interno dell’edificio sono la prova dell’esistenza in città di fabbriche di vasi in ceramica. La terrazza superiore dell’Agorà è delimitata da tre portici monumentali con colonne (stoà); uno con funzione di ginnasio, uno adibito a scate: la Casa del Capitello Dorico, famosa per la sua iscrizione musiva EYEKEY (Stai bene!) sul pavimento in cocciopesto; la Casa di Ganimede, che prende il nome dal mosaico rinvenuto al suo interno raffigurante il ratto di Ganimede; altre abitazioni degne di nota sono la Casa dei capitelli tuscanici e la Casa del Magistrato, entrambe con decorazioni musive e parietali. La zona più interessante di Morgantina è certamente l’Agorà, disposta su due livelli (quello inferiore riservato ai riti sacri, quello superiore per fini commerciali e pubblici) collegati da una grande scalinata. Quest’ultima è molto particolare perchè consta di tre lati che formano così in basso uno spazio probabilmente usato per le riunioni cittadine, come Ekklesiasterion, o per momenti di culto vista la vicinanza con il Santuario delle Divinità Ctonie, Demetra e Kore. Contemporaneo alla scalinata è senza dubbio il Teatro Greco. La sua cavea semicircolare consta di 15 gradini ed è suddivisa in sei settori; è probabile che le scalinate in pietra continuavano con delle strutture in legno per aumentare la capienza del teatro (5000 posti circa). Il Santuario delle Divinità Ctonie ha una pianta trapezoidale ed è all’interno di questo edificio che sono stati rin- fini commerciali, l’altro per riunioni pubbliche. Al centro di questa terrazza dell’Agorà si trova il Macellum, del II secolo a.C. ; l’edificio ha pianta quadrata ed è l’esempio più antico di macellum a noi pervenuto. I reperti archeologici rinvenuti nell’area archeologica di Morgantina sono conservati nel piccolo ma interessantissimo Museo Archeologico nella vicina Aidone. I reperti custoditi vanno dall’età del Ferro al I secolo a.C. La gastronomia per il rilancio turistico del territorio A Trapani è arrivata “Stragusto” il festival del cibo da strada G astronomia e territorio un binomio che in questo lembo occidentale di Sicilia può rivelarsi fondamentale per il rilancio economico e turistico. La provincia di Trapani dopo Bon Ton, rassegna dedicata al tonno ed ai prodotti di tonnara andata in scena lo scorso giugno, ha ospitato la prima edizione di Stragusto festa del cibo da strada del mediterraneo. Nel capoluogo nella tre giorni che si è tenuta il 24 luglio scorso nello scenario della ex Piazza mercato del pesce un luogo simbolo della Città, si è avuto modo di tuffarsi in un profluvio di odori, sapori e colori tipici della cultura enogastronomia dell’area del mediterraneo. Degustazioni con panelle, arancine, kebab, pane ca meusa, spincioni, ma anche momenti di cultura e laboratori, ma anche spazio dedicato all’arte, alla musica, con concerti ed esibizioni. In invidiabile posizione geografica cittadina posta tra le due nuove spiagge recentemente riscoperte e meta di un sempre maggiore numero di utenti, si è avuta la possibilità di unire l’utile assaggiando e gustando le specialità tipiche eno-gastronomiche del bacino del mediterraneo, e perché no, magari molti ne hanno approfittato per farsi un bel bagno nelle acque cristalline appena prospicienti, lasciandosi poi cullare la sera dal tipico struscio delle “vasche” nella centralissima Via Torrearsa o del vicino Corso Garibaldi, il “salotto buono” della città. D. B. La Voce dell’Isola n. 11~14 Cultura 19 Nuove manifestazioni dopo la due giorni al Convitto Cutelli di Catania Avanti a passo di danza la Compagnia DanzAbile di DOMENICO COCO D opo la due giorni dedicata alla danza, proposta nell’ambito delle celebrazioni del Convitto Nazionale M. Cutelli di Catania, diretto dal rettore Osvaldo S. Bresmes, in occasione del 230° anniversario dalla fondazione del “Collegio dei Nobili”(1779 – 2009). il Centro Coreutico Accademico di Sicilia “Khoreia” e la Compagnia “DanzAbile” hanno in corso di preparazione nuove iniziative per questa estate e per il prossimo autunno. Non è stato dimenticato l’evento tenuto al Cutelli, patrocinato dalla Provincia Regionale di Catania – Assessorato alla Politiche Scolastiche, è realizzato in collaborazione dell’Università di Catania, dell’Orto Botanico, dell’Assessorato alla Cultura del Comune di Catania e dell’Associazione Polena. Gli abiti di scena, si ricorda, sono stati firmati dallo stilista Eugenio Vazzano, la fotografia di scena è stata curata dal maestro Domenico Morizzi. La Corte del Vaccarini, ribalta delle performance coreutiche, è stata arricchita dalla presenza di carrozze ottocentesche, messe a disposizione dall’Istituto Incremento Ippico per la Sicilia - Ass.to Regionale Agricoltura e Foreste e di un carretto siciliano, offerto da Michelangelo Costantino dell’Associazione Culturale Carretti d’Epoca. A chiusura della serata, la Corte è stata colorata di caleidoscopiche luci dei fuochi d’artificio barocchi. La Compagnia DanzAbile, che ha sede all’interno del Centro Coreutico di Sicilia “Koreia”, diretta da Maria Grazia Finocchiaro, è nota al pubblico per essersi splendidamente esibita a Catania il 31 luglio 2008 in occasione della solenne cerimonia della rievocazione storica dei 150 dell’Orto Botanico con le performance The moon over Mtatsminda, Pan, Neznakomaya e Bernarda in sette, su coreografie di Maria Grazia Finocchiaro. Di recente la Compagnia DanzAbile ha presentato al Teatro del Baglio di Villafrati (Pa), alla sua Quarta stagione, lo spettacolo di teatro-danza “Libertad”, liberamente tratto dal capolavoro “La casa di La Voce dell’Isola n. 11~14 Successi e prospettive future dei giovani allievi seguiti con passione e professionalità da Maria Grazia Finocchiaro Maria Grazia Finocchiaro Bernarda Alba” di Federico García Lorca su musiche di Giovanni Sollima, Meredith Monk e Michel Petrucciani. “… Per tutti gli otto anni di durata del lutto non entrerà in questa casa il vento della via, facciamo conto di aver murato con mattoni porte e finestre…”: così si esprime Bernarda il giorno della morte del marito; come pietre, scaglia tali parole, che piombano con la pesantezza di enormi macigni nei petti delle figlie. È la lapidazione delle loro pulsioni interne, la condanna a sopravvivere nonostante la sepoltura delle loro anime inesperte. Pupazzi nelle mani di una madre-padrona, manovrate dalla tirannia delle sue disposizioni, sono solo marionette unite dai fili invisibili del loro stesso sangue. Sola si muove come uno spettro tra le bianche mura, l’anziana Maria Josefa vaneggiando ricordi di un lontano passato. Respiri soffocati, sospiri rassegnati, diventano ora grida interiori, che rimbombano in una casa di falsi silenzi. Tutti si muovono in un apparente equilibrio di onore e rispettabilità sociale, si spostano nell’identico percorso delle loro stanze, scandendo con i loro passi un tempo interminabile. Amore, odio, rancore, rabbia, invidia,sentimenti questi che ribolliscono nelle vene, tensioni che non possono fare a meno di fuoriuscire, esplodendo nella violenza degli sguardi e nella crudezza delle parole, che ormai esprimono una ribellione che scuote la casa, mettendone in discussione l’onorabilità. Ma le mura della casa di Bernarda, ispessite da anni di dispotismo, di repressioni, di egoismo, di parvenze e di ipocrisie, non crollano e la verità vi morirà all’interno. Maria Grazia Finocchiaro si forma presso l’Accademia Nazionale di Danza di Roma, dove si specializza in tecnica della danza contemporanea e composizione coreografica. Vincitrice di numerose borse di studio tra cui quella presso il Wuppertal Tanz Theater di Pina Bausch, dove si specializza nella sperimentazione del teatro-danza. Da questa grande passione nascono molte delle sue opere, fra cui ricordiamo: Oitat; Io; Isola; La casa di Bernarda Alba; Bernarda... dentro; Bernarda in sette; Libertad. Nel 2002 fonda la compagnia “Danzabile” e dal 2004 ha la direzione artistica del Centro Coreutico Accademico di Sicilia “Khoreia”. Incontro a Catania con la scrittrice Margaret Mazzantini M argaret Mazzantini, l'aristocrazia della letteratura italiana, è stata a Catania per presentare il suo nuovo romanzo, "Venuto al mondo", edito da Mondadori. Dopo il grande e meritato successo di "Non ti muovere", arrivato al traguardo di quasi due milioni di copie vendute e portato sul grande schermo da Sergio Castellitto e Penelope Cruz, la Mazzantini si cimenta, in questo nuovo lavoro, con la storia complicata e dolce, personale e sociale, di una donna e del suo figlio adolescente che lasciano l'Italia per un viaggio reale e metaforico con destinazione Sarajevo. Ad attenderli, un mondo ricordato ma ormai sconosciuto e un amore di un tempo di pura passione. Con una scrittura che nulla lascia al caso e che sottintende un certosino lavoro di rifinitura, e con una fantasia sbrigliata verso l'universo sospeso tra Occidente e Oriente che è la città bosniaca, protagonista -alla pari dei personaggi in carne e ossa- di questa storia, la scrittrice italo/irlandese riesce nel complicato intento di raccontare un’epopea d'amore e crudeltà, di guerra, maternità e pace senza mai cadere nelle banalità di maniera e non smarrendo mai il Margaret Mazzantini rigido filo conduttore di una narrazione che è contemporaneità e impegno civile. Il Teatro Stabile di Catania, nell'ambito della rassegna "Libri in Cortile", ha organizzato nei giorni scorsi nel Cortile Platamone un incontro con la scrittrice italo/irlandese, e l’attore Vincenzo Pirrotta ha letto brani del suo ultimo libro. Margaret Mazzantini, già Premio Strega nel 2002 con "Non ti muovere" (Mondadori, 2001), bestseller da quasi due milioni di copie vendute e da cui è stato tratto l'omonimo film con Sergio Castellitto e Penelope Cruz, è stata intervistata da Pietrangelo Buttafuoco. 30 Luglio 2009 20 Cultura L’artista siciliano presente nelle principale esposizioni italiane La pittura di Davide Camonita nel panorama culturale nazionale di DOMENICO COCO Premi e prestigiosi riconoscimenti che mettono in luce una creatività che affonda le radici nella storia dell’Isola N on si è spento l’eco della 46° mostra nazionale di pittura contemporanea “Santhia’”. Tenuta nel Dipartimento di Botanica dell’Università di Catania. L’iniziativa è compresa nel Calendario delle Manifestazioni Ufficiali dello Stato e si è avvalsa dell’alto patrocinio della Presidenza della Repubblica e del patrocinio della Regione Piemonte, della Provincia di Vercelli, della Società Italiana Amici dei Fiori di Firenze, della Pro loco “Santhia’” Sono state esposte le opere di 300 artisti, provenienti da tutte le regioni Italiane, prescelti dalla Commissione preposta. La Sicilia è stata rappresentata dall’artista Davide Camonita, che, con orgoglio, ha esposto le sue opere nella storica sede del palazzo della Pro loco di Santhia’. Storicamente la manifestazione si ispira ai valori universali di cultura perseguiti dagli “Amici della Scala di Milano”. Durante la mostra sono stati consegnati i riconoscimenti “Premio Nazionale Gaudenzio Ferrari”, “Premio Giorgio Allario Caresana”, “Premio Presidenza della Repubblica Giorgio Napolitano”, “Premio di Sua Eminenza Papa Benedetto XVI” ed ancora altri riconoscimenti in nome delle rappresentanze delle alte cariche dello Stato. Pre- Comune di Milano. La Cascina, la cui origine è compresa fra il 13° e il 14° secolo, per iniziativa di Balzarino Posterla, ha un nome che evoca in sé la vastità orizzontale dei campi, i loro colori e silenzi, la leggiadria e la creatività e diviene luogo eccellente per ospitare manifestazioni di elevato valore artistico e spirituale. Davide Camonita è nato a Paternò (CT) nel 1986, vive e lavora nel capoluogo etneo. Sin da bambino manifesta interesse per la pittura. Da riviste e libri specializzate attinge notizie sulla pittura, ancor prima di scegliere gli studi artistici. Sarà la visione de “La notte stellata” di Van Considerazioni sullo “sciopero” dei blogger del 14 Luglio 2009 La presa della pastiglia L eggo che il 14 Luglio 2009, 220 anni dopo la Presa della Bastiglia, c’è stata una nuova rivoluzione: una eccezionale giornata di silenzio, osservato dai blog italiani, per protestare contro il decreto Alfano. Non si tratterebbe di una adesione allo sciopero dei giornalisti, quanto piuttosto una decisione di protestare contro il provvedimento tout court. Indipendentemente dalle ragioni, più o meno condivisibili, più o meno oneste, più o meno giuste, che possano avere spinto a circolare una simile notizia, come blogger io trovo la stessa molto preoccupante. È un po’ come se un sedicente amministratore di condominio entrasse in casa mia per annunciarmi che, in tale data, il resto dei condomini ha deciso di fare dieta vegetariana. Ed io con loro! Il fatto è che io non sapevo neppure che questo amministratore fosse stato nominato e soprattutto avevo appena acquistato una bistecca per celebrare quella giornata coi cugini d’oltralpe! Fuor di metafora, a mio modo di vedere, tutta la storia non ha capo né coda. Posso solo pensare che si trat- 30 Luglio 2009 ti di confusione semantica: “abbaglio” per “bavaglio”, “Bastiglia” per “pastiglia”. Detto questo, se il target dell’iniziativa è quello nobile di sostenere un discorso di maggiore libertà informativa, non vedo proprio come si possa raggiungerlo togliendo il cerotto dalla bocca di qualcuno per metterlo sulla bocca di qualcun altro. A parte ciò, la “gravità” dell’intero progetto sta soprattutto nel tentativo, che pare di ravvisare (ma potrei sbagliarmi, anzi, sicuramente mi sbaglio, anzi, voglio sbagliarmi!), di far entrare quel tempio dell’espressione libera che è Internet dentro dinamiche editoriali obsolete (ma non solo!) e assolutamente provinciali. La Rete rappresenta infatti l’antitesi delle stesse! La Rete, a dispetto delle apparenze, non è il Borg di Star Trek! Non è un organismo cibernetico dedito ad assimilare col fine di controllare, ma è espressione viva della libertà dell’anima e della sua diversità. Un’anima che fa fatica a trovare accordo persino con se stessa, figuriamoci aderire a progetti corporativi di qualsiasi genere e natura! Rina Brundu il pittore Camonita, autore delle opere nelle foto sente alla manifestazione il cavaliere di Gran Croce Mario Pistono. Fra i componenti della giuria critica d’arte ricordiamo Angelo Mistrangelo, Dino Pasquali, Giorgio Severo. L’artista Davide Camonita nell’anno 2007 è stato già insignito, nell’ambito della medesima mostra, del premio “Renzo Piano”. Davide Camonita contemporaneamente ha presenziato, con le sue opere, ad altro concorso di Arti Figurative “Trofeo Barocco”, che si è tenuto nel Salone al 1° Piano della Cascina Monastero, sala degli Olivetani, giunto alla sua VIII^ Edizione, organizzato dall’Associazione Culturale Artistica “Cascina Barocco”. L’evento è stato patrocinato dal Gogh a portarlo al liceo artistico statale “Emilio Greco” di Catania. È stato allievo di artisti come Silvio Signorelli, Rino Fontana, Piero Zuccaio ed altri. Affascinato dal disegno tecnico e dall’architettura si diploma presso l’Istituto tecnico per Geometri. Inizia con le opere olio su tela, ma man mano inserisce sempre nuovi arditi materiali, per assecondare la sua congenita voglia di sperimentare, partecipando a manifestazioni Nazionali e Internazionali. È stato insignito di numerosi premi e riconoscimenti, in Italia e all’Estero. Tra i più importanti, trofeo “Città di Catania”, premio “Alba 2006”, premio Nazionale “Renzo Piana” e “Palma d’Oro 2007”. La Voce dell’Isola n. 11~14 Cultura 21 A Catania è soltanto simbolico l’intento di preservare i Beni culturali esistenti Lo scandaloso mancato restauro della Chiesa S. Nicolò l’Arena di SANTO PRIVITERA P eriodicamente si torna a parlare di ridare slancio e dignità alla storia di Catania. Su questi argomenti, si accendono i dibattiti più disparati; ci si scontra anche: ma con quali risultati? Si tratta quasi sempre di chiacchiere buttate lì per i motivi più disparati. Verità gridate, che molto spesso non sono affatto verità. Le responsabilità sono corali e non riguardano soltanto questo o quell’altro Ente. La “solfa” è sempre la stessa: “Valorizzare, attraverso accorti interventi di restauro conservativo, i beni culturali esistenti a Catania”. Peccato però che sono ancora molti i monumenti che necessitano interventi urgenti. Per alcuni di essi, particolarmente simbolici, la piena valorizzazione tarda sempre a venire. Ma esiste o no la reale volontà di intervenire? Il dubbio viene. Annotiamo, tanto per fare un esempio, che la basilica di San Nicolò l’Arena è da anni un cantiere aperto; ma si tratta solo di una surreale parvenza perché i lavori non hanno mai avuto inizio. La scorsa estate, l’intervento di restauro era stato dato per imminente, ma a tutt’oggi l’edificio continua a rimanere “intubato” come un malato allo stato terminale. Una ragnatela di tubi innocenti, infatti, all’interno e all’esterno ne tengono ingabbiata la poderosa mole. Sull’ “innocenza” dei tubi si può pure scherzare, ma fa rabbia vedere la meravigliosa cupola ridotta a un ammasso di ferraglia per lo più arrugginita. Vista così da lontano, poi, la splendida cupola, opera settecentesca dell’architetto Stefano Ittar, per effetto di una strana illusione ottica, appare persino “sfuocata” come se qualcuno volesse occultarla alla vi- il prospetto del monumentale tempio di San Nicolò l’Arena. Sotto: la cupola ingabbiata tata per ragioni statiche, ha un costo per l’amministrazione comunale. “Per ragioni statiche, va bene; ma i tempi? Da molti anni, la chiesa be- Dopo l’avvio dei lavori, il monumento da tempo è rimasto “intubato” come un malato allo stato terminale, abbandonato nella completa incuria sta. Non mi pare il caso di disinteressarsi fino al punto di esclamare: “Non me ne frega un tubo!”. Questo, proprio no. Ci piacerebbe sapere, piuttosto, se l’impalcatura mon- nedettina versa in queste condizioni. Ormai la ferrea cintura che l’avvolge, sembra fare parte dell’arredo artistico del monumento stesso; un esempio “d’arte moderna” di dubbio Un linguaggio criptico e capzioso come quello della burocrazia, caratterizzato da tecnicismi, astrazioni, ambiguità Il politichese a portata di dito … di MARCO CERRONE C on l’espressione politichese o burocratese ci si riferisce ad un tipo di linguaggio politico di difficile comprensione per i non addetti ai lavori. Un linguaggio criptico e capzioso come quello della burocrazia, caratterizzato da tecnicismi, astrazioni, ambiguità che creano una distanza tra politici e cittadini. Questi ultimi manifestano una certa insofferenza e come afferma Murray Edelman, nel suo importane studio sul linguaggio politico (The Symbolic Uses of Politics, 1976), «il gergo burocratico viene costantemente ridicolizzato e la presunta arbitrarietà delle decisioni amministrative viene regolarmente denunciata». Da pochi giorni una delle categoria analitiche della comunicazione politica come quella del linguaggio politico è approdata su iPhone. È stata infatti rilasciata Politichese, un’applicazione scaricabile dall’Apple Sto- La Voce dell’Isola n. 11~14 gusto ma verosimilmente anche di sperpero del denaro pubblico. E che dire della vegetazione spontanea che nasce nella sua facciata? Rigo- re, su iPhone e iPod Touch, che permette di allenarsi a parlare come i politici e a dire qualsiasi cosa su qualunque cosa senza dire niente. Con la pressione di un dito si possono generare fino a 268 milioni di combinazioni di frasi per creare un discorso che non ha nessun significato come questo: «Un approccio strutturato su una pluralità di competenze delinea la sfida che ci attende in Europa nel primario interesse della popolazione avviando infine in compimento, nel momento in cui la congiuntura lo consente, la sfida del nuovo millennio». È possibile poi salvare quelli che più vi piacciono o che più sono utili alla vostra campagna elettorale ed inviarli anche via mail. Un’utile soluzione, dunque, sia se siete politici, perché potete risparmiare soldi in ghostwriter e preparare una campagna elettorale fai da te, sia se siete cittadini e volete far bella figura con i vostri amici, quando si parla di politica, manifestando una sbalorditiva proprietà di linguaggio. gliosa in autunno, appassita in estate, scandisce il tempo che passa nel pieno decadimento estetico di una struttura che altrove sarebbe stata, ne siamo certi, adeguatamente valorizzata. Perché quando si tratta della chiesa di S. Nicolò l’Arena, si alzano sempre silenziose ma robuste barriere? Riteniamo che col passar del tempo, questo grande contenitore di storia sia destinato a un lento e inesorabile decadimento. L’organo di Donato del Piano, fresco di restauro, potrebbe essere il primo a subirne le conseguenze. Il suo ripristino sarà costato all’erario un bel po’ di quattrini, eppure è stato utilizzato poco e male. Un vero peccato. Pochi probabilmente sanno che il permanere di questo stato di “disordine”, o di “limbo”, non facilita il pieno rendimento funzionale degli elementi esistenti all’interno della struttura stessa. Altro esempio di spreco di risorse economiche che il Comune dice di non avere a sufficienza, è dato dai costi di gestione. Essi, oltre alla custodia, comprenderebbero anche quelli della rettoria. Trattandosi di un monumento religioso, è prevista la figura di un rettore che garantisca con regolarità il normale svolgimento delle funzioni religiose. Tutto ciò, a conti fatti, dovrebbe far riflettere: la sua apertura al pubblico, alle condizioni attuali, appare più una forzatura che un servizio reso ai cittadini e al turista. Ma allora, qualcuno ci dica finalmente se i fondi regionali per il restauro del Monumentale Tempio di S. Nicolò L’Arena, ci sono o no. 30 Luglio 2009 22 Cultura L’invenzione lessicale approdo coerente della ricerca perseguita da Sebastiano Burgaretta Un sottile filo di Arianna sfida l’azzardo del neologismo di GIUSEPPE TRAINA « La citazione intertestuale carica di senso la parola del poeta, la ricollega a una tradizione altissima mentre la lega, orizzontalmente, alle altre tradizioni mediterranee C he cosa non rifonde al cuore tuo / il suono variegato d’una banda: / dai ritmi di fuoco e d’energia, / che i martiri innalzano nel mondo, / ai passi timidi di muti infanti / al vento soggiogati e all’armonia! / Che dire poi del sogno in dormiveglia / tra melismi struggenti nella notte / ai crocicchi trapanesi d’ogni tempo / quando il Cristo si lascia basculare / in moti dolci e teneri di danza?». Ho riportato per intero la lirica La banda per dare subito un’idea della musicalità dolcissima ma straordinariamente virile dei versi di Sebastiano Burgaretta, del suo lessico colto e mai fine a se stesso, che, anche laddove, poi, sfida l’azzardo del neologismo, si fonda sempre su un assoluto rigore etimologico e una sicura coerenza semantica. E ciò succede spesso, in questo nuovo libro di poesie, Sovente all’anima, stampato - come il precedente Le ‘olàm nelle elegantissime edizioni Il Girasole di Angelo Scandurra. L’invenzione lessicale è un approdo coerente con la ricerca perseguita da Burgaretta, con intensità sempre maggiore, nelle sue raccolte poetiche più recenti (mi riferisco anche a Trame del Mediterraneo, che risale al 2003). Si tratta di un’inarcatura che punteggia un verso già di per sé programmaticamente predisposto alla soluzione mistilingue: di silloge in silloge, infatti, il nostro poeta va costruendo una sorta di nuovo sabir (un «sabir dell’uomo vero / che tutto si commette al mare aperto, / ammalia da sempre la parola, / non cede ai turbini del cielo», leggiamo nella poesia La parola, significativa dichiarazione di poetica) che mescola italiano, dialetto siciliano, greco, latino, spagnolo, francese, arabo ed ebraico e che è espressione di quella «cultura intermediterranea alternativa» vagheggiata da Predrag Matvejevic. D’altra parte, la forza della parola - non gridata né sussurrata ma, semplicemente, pronunciata a fronte alta -, il plurilinguismo e l’espressivismo sono tre elementi che rinviano a quella “linea” dantesca della poesia italiana che nella contemporaneità non sempre ha trovato sviluppi che sapessero essere al passo coi tempi: e questo, naturalmente, lo si dice in una prospettiva che va ben oltre il successo (temo effimero) mietuto dalle pubbliche recite d’un Benigni o d’un Sermonti, e che invece, in un poeta come Burgaretta, significa un’assimilazione così profonda della parola dantesca che interi versi o sintagmi della Commedia si incontrano nelle poesie di Sovente all’anima, e spesso in una significativa collocazione conclusiva. Talché la citazione intertestuale carica di senso la parola del poeta, la ricollega a una tradizione altissima mentre la lega, orizzontalmente, alle altre tradizioni mediterranee evocate lungo il libro: al misticismo spagnolo, al mito greco, alla religiosità popolare delle processioni e dei rituali che il folklorista Burgaretta conosce a menadito (e lo sanno bene i lettori di altre sue recenti pubblicazioni, da Sicilia intima a La memoria e la parola). Il libro è diviso in tre sezioni. La 30 Luglio 2009 Sebastiano Burgaretta prima, “Colori”, si apre nel segno dell’omaggio al meraviglioso cromatismo delle tele di Piero Guccione (cantore su tela della «meseta iblea che scivola rapita / verso carpali colline calcidesi / in danze elicoidali di colombe / e riverberi d’ali cristalline», I cieli di Piero) e sviluppa suggestioni di origine prevalentemente naturale, non senza la presenza discreta ma continua dei segni dell’agire umano: la canzone (quelle della nobile tradizione napoletana citate in Valle a mare, per esempio, ma anche i «cori di Sicilia gitani» di Memento), la musica (come in La banda, citata all’inizio), la poesia (Montale e Pound evocati in A Rapallo). Colori, suoni, forme della presenza umana rimandano comunque al divino, come accade, più implicitamente, nella splendida sequenza di terzine che anima Filigrana d’acqua o, più esplicitamente, nella non meno bella Casa de campo (che si conclude con questi tre versi di purissima segretezza: «Dono di pre- senza totale / nel silenzio del mio Gioi. / Tutto qui si è fermato»). “La parola” s’intitola la seconda sezione e in essa Burgaretta raggruppa – tra memoria culturale e impegno di poetica – liriche molto diverse, alcune di raccolta delicatezza come Vento, che palpita nel giro di otto versi alternando quinari e settenari sul filo delle assonanze, altre dal dettato più arioso, come Ancora il nome, dedicata a Rosa Rossi, maestra di studi e maieuta d’una vocazione intellettuale. Ma l’illustre ispanista non è l’unica presenza intellettuale ad essere omaggiata da Burgaretta in questa parte del libro, che passa in rassegna le diverse forme del lògos: dalla parola profetica dell’antica Cassandra alla parola «che vive fuori del tempo / nel rito ammaliante / che non conosce fine» del gran pu- paro Mimmo Cuticchio (All’ombra del genio), dalla parola poetica di Peppino Bonaviri, protagonista per criptocitazioni di Vento di Camuti («smarrita la memoria dei poeti / nulla può lo spirito beffardo / nel silenzio che filtra il sole d’oro») all’alta sperimentazione sostanzialmente lirica di Stefano D’Arrigo, nella raffinatissima La casa degli Antoni, dove s’incastona un gioco di riferimenti testuali che arriva fino al «divino pennello messanense» di Antonello. Né potrei escludere la presenza dell’amico Vincenzo Consolo dietro la breve lirica Terra di Demetra. Ma questa è anche la sezione di alcune belle poesie d’un Burgaretta “fuori di casa”: fogli di viaggio a Parigi, in Grecia, in Spagna, nella sua Sicilia. Ma, è ben chiaro, tutto quanto è Mediterraneo si mescola nelle liriche del poeta avolese: e così, per esempio, Odós Prodrómou può iniziare con «Repentina l’aria d’organino / triste nel meriggio siciliano / riflette un mattino in via Prodrómou / col tulle nuziale sul balcone», e chiudersi, poi, nell’evocazione in chiave del «cieco infelice di Granada», Francisco Alarcón de Icaza. La sezione “Sovente all’anima” funziona, infine, come ultima stazione di un movimento ascensionale di segno metafisico (e in tal senso si capisce ulteriormente la presenza intertestuale della Commedia dantesca): comincia non a caso con una poesia come Inaudita voce, sinfonia di sapore iniziatico costruita su un rigoroso schema strofico e su una forte insistenza sui suoni allitteranti, assonanti ovvero consonanti, volti a suggerire la forza («pneuma potente accampa / sulle porpore sfuggenti»), la segretezza («mano antica / e invisibile agli occhi / degli intrusi nel convito»), l’ermeticità, insomma, di un possesso esclusivo («Fermato il legno / dalla triplice chiusura, / chiuso pure il libro / dei coaguli d’inchiostro») che si risolve, mi pare, in null’altro che la vitalità aperta e naturale («Irrompe nella piazza / l’afflato eterno della vita»). Anche le liriche successive suggeriscono il senso di un «approdo alle rive della luce» (in Tabórica vivencia), di una pienezza ritrovata (Saldo il legno) - magari ancora nel segno del canto popolare (Alla festa de noantri) –, di un ancoramento alla simbologia cristiana (La perla). È la poesia eponima, in definitiva, che spiega tutto, con una semplicità che non rinuncia al gioco calligrammatico prima di esplodere nel canto conclusivo: «Torna verde lo stupore antico. / Lontano gli occhi della mente / a incontri celebrati dentro il cuore. / Il filo d’Arianna mai reciso, / del labirinto persa la memoria, / allunga al cielo l’ombra del suo arco». Due continenti, la cultura e le sue visioni Mamiya, Sicilia-New-York di OMAR GELSOMINO D ue continenti, la cultura e le sue visioni. Caratteri che accomunano una mostra, il cui tema è la cultura, che trasformatasi in visione, archivia le emozioni in stampe, proiezioni e suoni. Un viaggio quello da Catania a New York durato sedici mesi, rappresentato da cinquanta stampe su alluminio – silver glass cm 50 x 50 –, due video – una suite piccolo formato 135 e la Trilogia di New York – e l’istallazione audio Avenues ci guida in un viaggio nel mondo del medio formato originale, di Enrico Masi, autore di reportage e sperimentazioni artistiche, e della stilista siciliana Valeria Di Masi nella mostra dal titolo Mamiya, Sicilia – New York Manifesto curata da Sebastiano Favitta e Attilio Gerbino. Un viaggio sperimentato attraverso gli scatti di una fotocamera giapponese – una MAMIYA C220 datata 1968 – sopravvissuta avventurosamente agli anni Settanta, gli Ottanta e ancora i Novanta per rivivere nelle mani di Enrico MASI nella Sicilia del XXI secolo. Immagini a colore e in bianco e nero, grattacieli o paesaggi siciliani, architetture geometriche e paesaggistiche, antico e moderno, gioventù e vecchiaia. “Ognuna di queste foto – concordano i critici Marina Benedetto e Pippo Pappalardo - racconta una storia, un frammento, un istante, quasi che l’artista ci voglia condurre in un labirinto di storie parallele che si intrecciano, liberi di fantasticare e di tessere le nostre trame personali”. Un insieme di contrasti, quasi a formare una poesia, con i suoi riflessi ed i suoi contrasti, ci induce a riflettere sul tempo che va e passa, sulla nostra vita e le belle stagioni, sull’avanzare dell’età e dell’ineluttabilità del tempo. La mostra sarà visitabile presso la Galleria fotografica Luigi Ghiri, in via Duomo, dal martedì alla domenica dalle ore 9,30 alle ore 12,30 e dalle ore 16,00 alle ore 19,00, fino al 23 agosto. Valerio Di Masi La Voce dell’Isola n. 11~14 Cultura 23 Incontro con Marco Sforza, un emiliano dallo spiccato senso dell'humor Il cantautore è anche un poeta cresciuto nelle feste di paese di MORENA FANTI M arco Sforza è un cantautore emiliano dallo spiccato senso dello humor, “un istrione”, come dice il suo pasticcere di fiducia. Lui scrive, anche canzoni, e parla un po’ di tutto, principalmente di se stesso, del suo modo di vivere e di confrontarsi, ma soprattutto dei suoi problemi. Con se stesso e specialmente con le donne, dice lui. Sarà davvero così? Allevato a pane e valzer – le melodie che ascoltava la mamma nei pomeriggi di lavori a maglia -, Marco Sforza è cresciuto con la musica nelle orecchie e nel cuore. In seguito feste di paese e baci mai dati, e la musica sempre in sottofondo. Quando i ricordi hanno iniziato a sfilacciarsi Marco ha iniziato a scrivere per non dimenticare: “Saranno state quelle note, quelle grosse voci, quelle splendide ballate […] Io ascoltavo tutto questo e in qualche modo volevo farne parte pure io. Cosi d’incanto iniziai ad accompagnare le mie parole con la chitarra e una pianola. E mi piaceva”. E che Marco Sforza si diverta cantando e suonando è una cosa immediata, una cosa che si scopre subito ascoltandolo in concerto. In perfetta sintonia con gli amici (il Trio Separè) che suonano insieme a lui, Marco è un musicista vero, un artista che rispecchia l’uomo che ha in sé: “Il musicista / Quando parla si veste di modestia / Lui lui è un grande artista / Tendenzialmente solitario e pessimista // Non gli chiedere mai / Di suonarti qualcosa nell’immediato / Lui puntualmente dirà / No guarda non è il caso.. non ho studiato”. Marco Sforza scrive di allegria e di spensieratezza ma anche di malinconia e nostalgia. Il tutto si riassume in verità e sudore. Le sue parole hanno il suono di alcune poesie, con le parole che si rincorrono e inseguono i nostri modi di fare e di essere: “L’indifferenza, è una dolce amante / Misteriosa è un po’ intrigante / E poi del resto, è un’invenzione / Del nostro tempo, del nostro umore […] Scappo via, ho troppa fretta / No grazie, no…non m’interessa […] L’indifferenza la trovi sui giornali / Tra qualche vip e qualche cane”. E finalmente Marco, dopo tanta musica e tanta scrittura, ha deciso, da un paio di anni, di portare fuori dalla sua stanza le sue canzoni. E lo fa affermando: “Non faccio il musicista di professione. Io scrivo solo canzoni”. I ragazzi che ti accompagnano sono amici da prima, o musicisti che hai conosciuto per lavoro e dopo sono diventati amici? Amici. Soprattutto amici. Matteo Pacifico, il clarinettista, è stato il primo con cui ho intrapreso questo viaggio musicale. Ci siamo conosciuti in una casa di riposo 6 o 7 anni fa. Cosi tra una festa e l’altra, tra un walzer e una mazurka abbiamo iniziato a conoscerci e suonare insieme. Fabio Volpini invece, l’ho conosciuto al Roxy Bar un anno fa. Eravamo lì per una rassegna organizzata da Red Ronnie, io come solista, lui era il batterista di una cantautriLa Voce dell’Isola n. 11~14 Marco Sforza in concerto ce di Bologna. Per farla breve, dopo la mia esibizione (“geniale”) è corso da me entusiasta e mi ha chiesto (anzi mi ha quasi obbligato) di prenderlo a suonare con me. E cosi è nato il trio. [Il trio?!.. Si, il trio Separè. Ma ne manca uno, no?!] Hai ragione: il terzo elemento. Descriverlo per me è sempre un po’ complicato perché. Perché lui è un bohemien, nel vero senso del termine. Forse il primo e l’unico che io conosca. Di comune accordo abbiamo voluto espressamente che facesse parte del nuovo cd, Mattia “il conte” De Medici, violinista eccentrico come il suo stile di vita. Un genio musicale. Indomabile. Quanto è importante per te avere una buona sintonia tra di voi? Credo che sia una base fondamentale per chi suona, soprattutto quando si porta in giro un’idea e una proposta di musica molto personale e nello stesso tempo nuova per chi ascolta. Senza un affiatamento completo e sincero è molto difficile riuscire ad emozionare il pubblico e a divertirsi insieme. Io mi ritengo molto fortunato ad avere come musicisti/amici tre ragazzi come loro. Oltretutto io sono uno a cui non piace fare sem- ma onesta e fin che posso la porterò avanti. Senti più il bisogno di scrivere o di fare musica? Cioè, potresti essere ‘solo’ scrittore dei testi e poi cederli ad altri, ad esempio, o senti che vuoi essere ‘tutto’ perché sei più completo come artista? Da quando ho iniziato a scrivere ho sempre cercato di portare avanti le due cose contemporaneamente. Spesso capita che prima arrivi la musica, un motivetto, un giro di accordi e poi pian piano nasce un testo. Altre volte è l’esatto contrario. Il bisogno comunque è sempre vivo, quasi un’esigenza, un modo mio per fermare qualcosa, di fissarlo e il più delle volte di esaltarlo musicalmente. Il problema non è cercare di essere tutto, ma saper cosa si vuole essere, avere la consapevolezza dei propri limiti e poi da lì scegliere dove andare. Nel mio caso mi verrebbe molto difficile limitarmi al solo testo o solo alla parte musicale. Forse perché ho davvero questo bisogno di usare entrambe le cose, di esprimermi con la musica ed il testo insieme. Certo, potrei benissimo scrivere testi per altri, ma sono certo che alla fine la canzone non risulterà come io l’avevo immaginata: sarebbe un nologie, le radio indipendenti ecc. tutti hanno la possibilità di farsi conoscere per quello che fanno. Il problema è il modo con cui si arriva alla notorietà . Quante volte vediamo in tv e sentiamo per radio un’infinità di singoli, di canzoni costruite apposta per vendere: il ritmo orecchiabile, la bella fanciulla o il boy impomatato fino alle mutande! Non si fa cultura così. Ma alla maggior parte delle gente questo non interessa, basta che la canzone piaccia, abbia un bel ritmo e il gio- “Sono i concerti dal vivo che salvano la musica, la vera musica, quella con il sudore, le risa, i locali, la gente che ti ascolta e condivide insieme a te un momento magico” pre le stesse cose e preferisco, secondo il momento, la serata, e la gente che ho davanti, adeguarmi all’atmosfera. Non sempre nasce quello che si ha in mente, ma almeno ci si prova. I colleghi che ogni volta suonano la stessa scaletta, le stesse pause, gli stessi arrangiamenti, non li concepisco tanto. Forse è una mia idea di spettacolo molto pretenziosa, non scontata, compromesso giusto e naturale da accettare. Stesso discorso vale per la musica. Comunque alla fine preferisco scrivermele e cantarmele. Am diverti ed piò! [mi diverto di più, per i non emiliani] Quanto è difficile farsi conoscere nel mondo della musica? Credo che oggi sia molto più facile rispetto a quaranta/cinquanta anni fa. Ormai, con Internet, le nuove tec- co è fatto. Nel mio caso forse arrivare ai ranghi alti di radio e tv è ancora più complicato. Io, insieme ad un mare di ragazzi giovani e non giovani, rientro in quella categoria chiamata “cantautori”. Sentire una canzone di Bindi, di Conte, di Tenco, di Testa o anche lo stesso De Andrè passare per una radio nazionale avviene di rado, salvo quando fanno uscire le solite raccolte annuali. Figurati se vogliono passare un brano di Marco Sforza o tanti altri. Certo ci sono i concorsi, quelli importanti, ad esempio Musicultura a Recanati, Sanremo Lab, Bielle e tanti altri, ma siamo sempre al punto di partenza. Nel senso che sotto di te devi avere qualcuno che ti promuova e faccia il possibile perché il tuo prodotto e/o proposta musicale diventi palpabile e vendibile. È il come che fa la differenza. Infatti da pochi anni a questa parte sono nate un’infinità di etichette indipendenti per contrastare tutto questo magna magna discografico; certo è positivo tutto questo, ma credo che di strada da fare ce ne sia ancora tanta e credo anche che non bisogna partire dalle piccole etichette indipendenti, ma bisogna puntare in alto, alle major e alle radio a diffusione nazionale, cambiare i palinsesti, smetterla di far passare ogni mese i soliti Ligabue, i soliti Vasco. Sarebbe ora che lasciassero spazio ai giovani, a nuove identità , nuove espressioni. C’è bisogno di una rivoluzione musical/commerciale. Poi per uno come me che ha sempre creduto nel live e continuerà a farlo è una grande soddisfazione riuscire a portare in giro le mie cose, la mia musica, la mia vita. Sono i concerti dal vivo che salvano la musica, la vera musica, quella con il sudore, le risa, i locali, la gente che ti ascolta e condivide insieme a te un momento (magico). Hai ragione. Mi suona tutto tremendamente familiare. Per chi scrive succede esattamente la stessa cosa. Le librerie propongono sempre e solo i soliti nomi e i libri delle grandi case editrici e gli altri non si trovano mai. Ma torniamo a te e alla musica. È uscito il 21 marzo scorso il tuo primo cd “Laiv”, registrato in presa diretta il 20 dicembre 2008 al Circolo Culturale Materia Off di Parma. Avere tra le mani il (proprio) primo cd è come per uno scrittore vedere stampato il suo primo libro. Sei soddisfatto di questo cd nuovo e lucido? Cosa si prova vedendo il risultato del proprio lavoro? Che progetti hai per il futuro? La soddisfazione è tanta, davvero. Alla fine si è contenti comunque, al di là di venderli tutti oppure no. Le prime impressioni dai nuovi ascoltatori sono buone e per il momento questo è ciò che ci interessa. Ora dovrò occuparmi della promozione, magari in qualche radio, interviste, (magari fatte da una dolcissima scrittrice bolognese) e poi locali, festival estivi, ecc. Poi si vedrà . Sinceramente non sono il tipo che vuole programmare tutto a tavolino. Anzi, non ne sarei capace, farei un gran casino, come mio solito. 30 Luglio 2009 24 Cultura Parlare delle prospettive future (o della mancanza delle stesse) è diventato di moda Giornalismo online, una rivoluzione per dominare le nuove tecnologie di RINA BRUNDU C ’è qualcosa che non mi torna leggendo il pur ottimo articolo di Massimo Gaggi “La rivoluzione di Twitter manda in affanno i media” (Corriere della Sera del 24 Giugno 2009). Concordo, per esempio, quando nel catenaccio scrive “Le reti sociali impongono una ridefinizione del giornalismo”, concordo (a fatica, ma concordo) quando mi fa indirettamente notare che si può fare “giornalismo” anche semplicemente riuscendo a trafugare una “fotografia vietata” da un Paese governato da un regime dispotico (vedi i ragazzi iraniani che grazie a Twitter trasmettono “brevi messaggi e immagini della sommossa e della repressione”). Concordo pienamente quando sostiene che nel prossimo futuro “fare giornalismo diventa (anche) saper dominare le nuove tecnologie, aggirare i muri della censura, ma anche filtrare fonti la cui at tendibilità è tutta da dimostrare..”. Ma questo è quanto. Ciò che non mi torna invece è l’impressione, che ricavo dalla lettura, di un eccessivo entusiasmo rispetto a quello che, alla fin fine, resta sempre un social-network tout court. Nulla più, nulla meno. Associare “troppo” le cose del giornalismo (almeno di quello con la G maiuscola) agli exploit dell’ultima modalità comunicativa digitale (per quanto glamour e per quanto powerful) può essere pericoloso. Nonché controproducente. Sarebbe un po’ come se, nel microcosmo X, si ponessero sullo stesso piano gli informati e tempestivi pettegolezzi della Perpetua di paese, con i tentativi della “mente razionante locale” di verificare, approfondire, ma anche spiegare quelle stesse “notiziole” (e perché no? persino di determinarle – vedi per associazione il giornalismo d’inchiesta), allo scopo di meglio comprendere le soffocanti dinamiche dentro cui le stesse si producono. Sarà perché parlare delle prospettive future (o della mancanza delle stesse) del giornalismo è diventato di moda! Giorni fa nel suo interessante Mediablog, Marco Pratellesi, discutendo di giornalismo online, titolava “Web, la fine del tutto gratis”. Il post faceva poi una veloce ricapitolazione di possibili “soluzioni” alla “reale” problematica di fondo (ovvero, come creare un modello giornalistico online economicamente valido), così come proposte da diverse fonti informative. Mediablog citava, tra gli altri, uno studio americano riportato su Il Corriere Economia, studio che avrebbe evidenziato come la metà dei “navigatori-lettori” sarebbe disposta a pagare un 30 Luglio 2009 abbonamento mensile ad un quotidiano se il costo fosse modesto (cinque euro circa). Pratellesi ricordava poi l’analisi fatta dallo stesso Gaggi sulla “soluzione-micro pagamenti” lanciata da Rupert Murdoch. Altre limiteranno a diventare moderna confezione di un prodotto che resterà datato. Per usare una semplice analogia, sarebbe come pretendere che i ragazzi di oggi mangiassero pavesini boom – solo dopo è venuto fuori che era tutta carta straccia comunque, ma queste sono altre storie!). Quale laureando non lo farebbe se avesse la necessità di “rimpolpare” la sua tesi? Quale investitore non lo farebbe se fosse preoccupato per il domani? Per converso, io non ho mai rinnovato per due mesi di fila un abbonamento online ad un quotidiano perché alla fine mi veniva a noia: mi veniva a noia la sua struttura obsoleta, mi veniva a noia la mancanza di dinamicità rispetto al mondo vivo (e persino gratuito!) che lo circondava in Rete. Allo stesso modo, mai e poi mai accetterei di versare un micro-pagamento che magari mi si presenta sul conto in compagnia della diletta sorella banking-fee; in simil guisa, e per chiudere il cerchio, mai e poi mai accetterei di finanziare uno pseudo-giornalismo che sia anche soltanto un lontano parente di un social network o di un circolo gossiparo. A mio modo di vedere dunque (e pur rendendomi conto che il tallone d’Achille di tutto il mio discorso sta Oggi la metà dei “navigatori-lettori” sarebbe disposta a pagare un abbonamento mensile ad un quotidiano se il costo fosse modesto proposte si soffermavano sulla necessità di “una maggiore sintonia con i lettori”, mentre il post si chiudeva ricordando l’altalenante percorso compiuto da diversi, importanti, quotidiani tra la formula gratuita e quella a pagamento (delle notizie, s’intende!). Per quanto mi riguarda, escluso l’item della “maggiore sintonia con i lettori”, che mi pare piuttosto una conditio sine qua non, io ritengo che tutte queste “ possibili, metodologie lavorative” siano in realtà superate e che avranno pure scarse possibilità di successo. Soprattutto, avranno scarse possibilità di successo se si a go-go solo perché una determinatissima (a non soccombere) ditta produttrice, pur di salvare il prodotto, dopo settimane di intenso brainstorming del suo miglior management, fosse venuta su con l’idea di stimolare le vendite creando un package avveniristico. Anche se il package fosse d’oro, infatti, sempre di pavesini si tratterebbe! Dubito molto dunque che, per quanto gloriosa, quella semplice galletta sarebbe in grado di soddisfare (da sola) i palati più “raffinati” della gioventù moderna (non me ne vogliano i produttori!). Senza considerare (e qui mi rifaccio alle perplessità avanzate in precedenza rispetto alla questione Twitter), che il rischio che questa incauta ditta correrebbe sarebbe quello di catalizzare l’attenzione sulle “meraviglie” della confezione e non sul prodotto stesso. Dio ne scampi! La verità per fortuna recita che un lettorenavigatore può sì sborsare il peculio per pagare un lavoro scritturale ma questo deve valere il suo costo! Per esempio, è vecchissima (rispetto alla storia di Internet) la pratica di far pagare saggi letterari, o anche accurate analisi finanziarie delle tendenze di mercato (questo accadeva al tempo del nel suo fine ideale!), non si può parlare di nuovi modelli editoriali per il giornalismo del futuro, senza prima affrontare il tema dei suoi contenuti. O senza rispondere a fondamentali domande quali: che cosa vorrà dire essere giornalisti domani? Quali qualità renderanno tale un Premio Pulitzer del futuro che dovrà per forza giostrarsi tra le necessità “spirituali” della sua “arte” e quelle del ritorno economico? Tutto questo ci riporta, fatalmente, alla importantissima questione dell’intrinseca capacità del professionista che svolgerà quella professione: che lo si voglia oppure no sarà infatti tale elemento il fattore chiave che farà la differenza. E, per certi versi, permetterà pure di vivere senza grosse preoccupazioni editoriali. Insomma, per dirla seguendo la modalità glamour corrente, sarà proprio quello il fattore chiave che segnerà il confine tra l’essere professionisti-(T) wit-less e l’essere professisti(T) wit-full.(1) Note: (1) Lo wit (lo dico ad uso e consumo di quei quattro lettori che hanno avuto il buon senso di restare fedeli alla lingua di Dante) è l’arguzia, il bello spirito. Ma in verità è anche qualcosa di più. È di fatto parola quasi impossibile da tradurre in Italiano perché descrive in maniera mirabile la più grande capacità dell’intelletto - non a caso viene citato di frequente il learned-wit di Oscar Wilde. Rina Brundu Dublin, 24/06/2009 ©All rights reserved La Voce dell’Isola n. 11~14 Cultura 25 La disincantata poesia di Maria Pina Ciancio alla ricerca di uno spazio indefinito La ragazza con la valigia sperduta tra cielo e terra di SALVO ZAPPULLA L a poesia ricerca la purezza, lo stupore, l’incanto. Maria Pina Ciancio, nel suo libro (La ragazza con la valigia, editore Lieto Colle, pagg.57, € 10,00) vaga sperduta tra terra e cielo alla ricerca di uno spazio indefinito, senza tempo né materia. Uno spiraglio che si apre, un’ altro che si chiude. La vita che ti nega l’accesso o ti permette di entrate, tutto permeato da un senso di indefinitezza, di vacuità. “Si era fermata, una pausa alla corsa/alle parole di pietra, alle carezze trattenute/ per lasciargli al bar dell’angolo/ un libro di Bukowski/ e una clessidra polverosa/ capovolta da vent’anni sulla porta”. Una semplicità disarmante, posta con disincanto, da cogliere e farne dono. Tante piccole voci si affacciano dall’uscio di una porta socchiusa, si avviano lungo il sentiero per ribadire la propria esistenza e formano un coro di delicata musicalità. Quello di Maria Pina è un viaggio metafisico su per la vetta più alta. Procede con candore, si meraviglia, si tasta sgomenta le ferite lasciate da rovi acuminati, si volge all’indietro a osservare i solchi causati dal tempo e ogni volta è una fitta dolorosa: affiora un ricordo, un rimpianto, una storia finita. “Arrivò per l’ultimo treno/parlava, cantava, vecchia esausta/una preghiera blasfema/concedetemi il viaggio/e qualcosa da bere/... Un sordo si alzò/ prese sogni e parole/ e glieli offrì in un bicchiere”. Maschere da decifrare e da esplorare, pesanti come macigni, gravano sulle spalle e sulla coscienza del lettore. Un inquieto vagare tra le pieghe dell’anima, alla ricerca continua di spazi da riempire, tra i perché destinati a non avere risposta; rovistando tra gli oggetti dell’intorno, sperando rivelino i loro segreti, certezze impossibili da ottenere sul meraviglioso inesplorabile mistero della vita. ”La solitudine non le faceva più paura, da quando la vita le aveva fatto scempio in lungo e in largo. A Nina adesso faceva paura guardare in faccia il cielo e in quella smerigliata innocenza, socchiudere gli occhi e non saper pregare”. Un viaggio metafisico su per la vetta più alta. Procede con candore, si meraviglia, si tasta sgomenta le ferite lasciate da rovi acuminati, si volge all'indietro a osservare i solchi causati dal tempo La nobiltà marchigiana presente alle Giornate Antonelliane N el palazzo Antonelli Augusti Castracane di Brugnetto si è tenuta la terza edizione delle Giornate Antonelliane dedicata alla antica ed illustre casata degli Antonelli, e per questo incontro dedicata al duecentocinquantesimo anniversario delle elevazione alla porpora cardinalizia del Conte Cardinale Nicola Antonelli, figura di rilevo nella curia romana della seconda metà del Settecento. A far gli onori di casa ed introdurre l'incontro è stato il giornalista Giovanni Martines Augusti, relatori il professor Flavio Solazzi – che ha parlato della figura del cardinale Nicola - e il professor Stefano Papetti – con una analisi sul collezionismo d'arte nel Settecento marchigiano e la famiglia Antonelli -. L'incontro si è concluso con un rosario solenne e cori nella Chiesa privata. Hanno preso parte alla manifestazione, tra tanti illustri ospiti della nobilità marchigiana, il conte Barozzi di Venezia, il prinicipe Guglielmo Giovannelli Marconi da Roma, l’imprenditore Domenico Coco da Catania. F. G. Nella foto, Maria Pina Ciancio La Voce dell’Isola n. 11~14 30 Luglio 2009 26 Cultura In un thriller appassionante Giuseppe Firrinceli ricorda una storia “cancellata” “Noi Italiani e voi Siciliani!” I misteri del dopoguerra nell’Isola di CORRADO RUBINO “ Q uella piccola dimora di campagna, ma a pochi passi dal mare, significava per Ludovico, fin da piccolo, un luogo di giochi e di vacanza, di evasione estiva. Aveva addosso il respiro del mare ed era appena ombrata da un albero carico di fichi, i sangiuvannari. Si doveva percorrere quasi un miglio per raggiungere le prime case dell’abitato di Scoglitti, quella piccola frazione marinara; dal lato opposto si estendevano pergolati e macchie di mortilla ed un gigantesco minicucco. Fortino dei suoi primi amori e dei suoi primi lavori, quella casetta di campagna, nucleo agricolo dei suoi avi, era diventata la casina del mare e della vendemmia e poi lui, da universitario e anche dopo, dava ripetizioni di italiano e latino, nei mesi estivi, ai tanti ragazzi che dovevano riparare a settembre. Il professore, uscendo nell’orto, notò che le viti avevano bisogno di cure, e pensò che presto avrebbe dovuto chiamare don Tano per far dare una sistemata ai filari. Poi rientrò in casa, nella sua stanza, ma ormai la sua mente era assediata da una torma di ricordi. Era l’imbrunire. Il professore girò lo sguardo verso la finestra. Sembrava il quadro di un romantico pittore che aveva voluto dipingere un rosso tramonto. Poi rivolse gli occhi verso quel quadro appeso ad una parete della sua stanza. Il dipinto raffigurava un cane fermo sopra la scogliera, che guardava vigile il mare e si stagliava, quasi colpito, contro un rosso di sera in attesa del felice rientro di qualcuno che deve tornare a casa, alla sua terra. Quel quadro, Ludovico, lo aveva avuto in dono da un suo amico pittore catanese, con il quale divideva la propria idea indipendentista, ed assieme al quale aveva trascorso ore a parlare delle incantevoli bellezze naturalistiche che nasconde la terra di Sicilia. Il sipario si alzò definitivamente sul palcoscenico dei ricordi. Con il rosso sfondo dell’imbrunire, buon presagio, gli apparve la scena di un paesaggio rurale, intriso di sudore di fatica e di canti contadini che sottolineavano l’evento di una buona e abbondante raccolta d’uva pronta a diventare nettare di tanto pregio.» Questo è uno dei passi contenuti nel libro di Giuseppe Firrincieli che tramite i ricordi di Ludovico, personaggio principale del suo Noi Italiani e voi Siciliani!, ci fa rivivere una Sicilia romantica che va scomparendo. Momenti, odori, paesaggi e vita di una terra che per essere stata per molto tempo al centro degli avvenimenti storici del mondo conosciuto ne ha subito le inevitabili conseguenze. Le avidità, le invidie, le paure e i colpi bassi di coloro che da sempre l’anno voluta docile, sottomessa e obbediente; proprio come una star dello spettacolo quando rimane per molto tempo sulla scena e raggiunge vette inaspettate oscurando gli altri attori. Ludovico con i suoi racconti cerca anche di sfatare i luoghi comuni che vogliono la Sicilia arretrata e suddita di dominazioni straniere, senza una cultura ed una storia proprie. Ma i momenti di racconto delle tradizioni siciliane e i ricordi poetici 30 Luglio 2009 GIUSEPPE FIRRINCIELI NOI ITALIANI E VOI SICILIANI! EDIZIONI NEL MONDO di Ludovico, che sono godibili nel libro, l’autore li cuce all’interno di un vero e proprio thriller veloce ed appassionante, contrapponendo la tranquilla e metodica vita di un tranquillo siciliano, professore di lettere in pensione, a quella di un altro siciliano cinico e freddo potente della finanza mondiale. Ludovico si ritrova così coinvolto in una spirale di avvenimenti in cui si intrecciano potere, denaro e politica in un roman- tate della guerra, che nell’estate del ’43 non fu una passeggiata per nessuno, visto il numero delle vittime fra i militari di entrambi gli schieramenti e la popolazione civile siciliana, con una altrettanto spietata lotta contro una politica nazionale che sfrutta l’ingegno e la fantasia dei siciliani senza riconoscere loro la possibilità di utilizzarli a vantaggio della propria terra calpestata da secoli, vittima di sfruttamenti atavici che purtroppo continuano ad opprimere i siciliani senza poter mai arrivare al raggiungimento della propria indipendenza. Il titolo è una provocatoria esclama- Giuseppe Firrincieli, sopra la copertina del libro. Accanto, un militare americano dopo l’invasione della Sicilia zo quasi attuale carico di suspence e di colpi di scena. Firrincieli ha avuto l’eccellente idea di narrare le vicende del Movimento Indipendentista Siciliano (che sono state definitivamente rimosse dalla storiografia ufficiale), che culmineranno nel dopoguerra con la mai chiarita morte del professore Antonio Canepa e dei suoi compagni, inserendole nella trama di un romanzo moderno che coniuga mirabilmente documenti storici e invenzione narrativa. Sullo scenario di una Sicilia che fa innamorare attraverso paesaggi sublimi, miti e leggende, egli trova la giusta soluzione per sottoporre al lettore una visione diversa della storia della Sicilia soprattutto quella, forse troppo glorificata, post unità d’Italia. Contrappone le scene dure e spie- zione non certamente gratuita: “Noi Italiani e voi Siciliani!”. Non è una frase gridata al tempo dello sbarco dei garibaldini a Marsala (a quel tempo poteva certamente essere giustificata) ma è il risultato di un diffuso sentire la Sicilia e i siciliani come un corpo estraneo all’Italia ancora nel 1943, in piena seconda guerra mondiale, a ottantatre anni da quella che la storiografia chiama enfaticamente “unità d’Italia”. L’autore quindi trae il titolo del suo libro da un famoso proclama fatto affiggere sui muri delle grandi città siciliane dal Capo di Stato Maggiore del “Regio Esercito”. Questo è parte del testo: «…le “FF. AA. Sicilia” in gran parte composte di vostri conterranei, sono qui fra voi, per difendere la vostra Isola, L’autore contrappone le scene dure e spietate della guerra, che nell’estate del ’43 non fu una passeggiata per nessuno, visto il numero delle vittime fra i militari di entrambi gli schieramenti e la popolazione civile siciliana bastione d’Italia. Voi tutti – ne sono sicuro – affiancherete l’opera delle FF.AA. Sicilia: Mantenendo, in qualsiasi contingenza, calma ed incrollabile fiducia nei destini della Patria; Applicando disciplinatamente e volenterosamente le disposizioni delle Autorità militari; Attendendo con lena costante al vostro lavoro ordinario, e a quello cui sarete chiamati per rafforzare sempre più la difesa dell’Isola; Arruolandovi e - se sarà necessario – combattendo nelle “Centurie Volontarie Vespri” di imminente costituzione. Strettamente, fiduciosamente e fraternamente uniti, voi, fieri siciliani e noi, militari italiani e germanici, delle “FF.AA. Sicilia” dimostreremo al nemico che qui non si passa. P.M. 5 – 9 maggio 1943 – XXI, firmato, il Generale Comandante, Mario Roatta» …e pensare che lui era il Capo di Stato Maggiore di un esercito in gran parte formato da meridionali. Il libro di Giuseppe Firrincieli, Noi Italiani e voi Siciliani!, di cui è già possibile avere qualche anticipazione sul sito www.giuseppefirrincieli.com dedicato all’autore e al suo ultimo lavoro, sarà presentato nei prossimi mesi, probabilmente ad ottobre prossimo presso la sede della Facoltà di Scienze Politiche di Catania. Giuseppe Firrincieli è nato a Ragusa Ibla nel 1948. Si è trasferito a Catania all’età di 20 anni, proprio all’inizio della contestazione giovanile che ebbe inizio nelle varie Facoltà cittadine. Laureato in giornalismo scritto e radiofonico all’Istituto Superiore di Giornalismo, presso l’Università di Palermo, svolge, dal 1984, l’attività di giornalista pubblicista. È un siciliano dalla testa ai piedi con la passione della pittura e della fotografia; arte, quest’ultima, che in passato gli ha dato diverse soddisfazioni e comunque ambedue queste arti hanno contribuito non poco ad affinare il senso dell’inquadramento paesaggistico che in Firrincieli appare molto spiccato. Inoltre, appassionato cultore della storia indipendentista siciliana, si è sempre prodigato per l’inserimento dei fatti del 1943-1948 nei testi di storia per le scuole siciliane. La Voce dell’Isola n. 11~14 Cultura 27 Francesco Di Domenico trasforma in satira irriverente qualsiasi argomento Storie brillanti di eroi scadenti dalla fantasia di un poeta verace di SALVO ZAPPULLA Q uesto libro non dovrebbe andare nelle librerie, e nemmeno andrebbe recensito. Questo libro è una mina vagante che potrebbe esplodere da un momento all’altro. Il suo autore meriterebbe il pubblico ludibrio e condannato alla sedia elettrica. (Storie brillanti di eroi scadenti, edizioni Cento Autori, pagg. 158, € 12,00). Francesco Di Domenico, napoletano che più napoletano non si può, uomo dalla fervida immaginazione e dallo spirito indomabile, riesce a trasformare in satira irriverente qualsiasi argomento tratta. Il suo è umorismo allo stato puro, i suoi personaggi bislacchi e improbabili, coinvolti in situazioni surreali, pirotecnici commedianti degli equivoci, strappano il sorriso anche al più serio dei lettori. Le donne descritte non sono esattamente delle dame, né gli uomini potrebbero aspirare al ruolo di cavalier cortesi. Un’ umanità sgangherata, quella raccontata da Di Domenico, adorabile nella sua vacuità e sventatezza, composta da furbastri e aspiranti tali, che null’altro può pretendere, se non di essere consegnata alla gloria letteraria. L’autore ha il gusto della dissacrazione nel sangue, nel DNA. Una specie di Re Mida del buon umore e dell’irriverenza. Il Governo ci scarica nuove tasse da pagare? Nessun problema, Francesco troverà il modo di riderci sopra. Vi è morto il gatto? La zia Matilde è finita sotto un treno? Niente paura, Francesco ha la medicina giusta. Un Campanile contemporaneo? Un pronipote di Toto? Un seguace di Massimo Troisi? Le sue freddure sono invece di stampo anglosassone, prendono spunto anche dall’avvenimento più banale per creare un’atmosfera di ilarità. Francesco somiglia più a un Woodehouse dei tempi moderni, maestro della comicità che ha conquistato intere generazioni di lettori. Le storie di questo napoletano dalla penna tagliente possiedono l’eleganza e la raffinatezza dell’umorismo inglese (Vuoi vedere che è nato sul diretto Napoli- Londra?) Questo libro va letto, portato nelle Francesco Di Domenico librerie e recensito. E il suo autore è una persona dalla sensibilità sopraffina che forse combatte il suo mal di vivere esorcizzandolo con l’ironia. intervistato Francesco Di Domenico: questa intervista è stata rilasciata in circostanze particolari: in una clinica psichiatrica del napoletano do- trovavo ricoverato anch’io, in quanto, credendo di essere il Santo Padre, gli avevo accordato la richiesta. Francesco, che bisogno c’era di I suoi personaggi bislacchi e improbabili, coinvolti in situazioni surreali, pirotecnici commedianti degli equivoci, strappano il sorriso anche al più serio dei lettori Questo libro apre con una dedica a una ragazza di vent’anni che in un momento di follia si è tolta la vita, prima foglia strappata ai suoi cari dall’autunno. Abbiamo incontrato e ve Di Domenico era ricoverato dopo il terzo tentativo di chiedere udienza al Santo Padre per pretendere lo scambio nelle immaginette di Gesù con quella di Carl Marx. E dove mi questo libro? Non bastava già la Bibbia a educare i popoli? Assolutamente no, fu il Sultano di Chieti a negare quest’assunto quando, durante la preghiera della sera, inciampando in una Bibbia ipocrita (basata anch’essa sui “si dice” e scritta da un consigliere comunale molisano) cadde dal minareto rovinando addosso alla sorella di un Muezzin, che restò incinta e generò Cat, che ha sua volta generò Tom, che generò Sam e furono tutti scritturati come comparse ne “I Dieci Comandamenti”, poi Tom & Cat furono assunti dalla Warner Bros.(Sam ha una gelateria a Beverly Hills). Perchè la letteratura umoristica, secondo te, viene considerata ancora letteratura minore, semplice letteratura d’ evasione, da consigliare tutt’al più ai detenuti? Nel trattato di Antropologia della dott. ssa Jamie Lee Curtis: “Un Pesce di nome Wanda”, fu stabilito che l’umorismo abbatte le pulsioni sessuali dei coatti, dei ribelli e rende felici i fotografi che non sono costretti continuamente a chiedere: sorrida please! Infatti, dopo l’acquisto di alcune centinaia di miei libri si è visto un notevole decremento della violenza sessuale nelle carceri italiane. In quelle americane il fenomeno è però rovesciato, si è sentito urlare in inglese (il libro è stato spedito senza traduzione): “Vieni qui secondino che te...” Dopo questo libro ti senti più un Masaniello o una Maria Teresa di Calcutta? Leo Gullotta. Mi sento molto vicino all’arte di questo attore elisabettiano, anche se non mi sciacquerei la bocca col suo bicchiere, dopo che lui ha fatto i gargarismi. Quale tipo di suicidio ti sentiresti di consigliare ai tuoi tre lettori dopo aver letto il libro? La vita è fatta di scelte, caro Zappulla, io gli metterei su di un piatto uno spogliarello di Rosy Bindi e Marina Sereni con la telecronaca di La Russa (Costretti a tenere gli occhi aperti) o dormire nel letto con Valeria Marini, incatenati alla spalliera. So per certo che in questo momento Achille Campanile si sta rivoltando nella tomba. Riesci a intuirne il motivo? Bhe. Non c’è nessuno che gli rimbocca la lapide. Curiosità, ovvero desiderio di conoscere di AZZURRA FAETI C uriosità è desiderio di sapere, di conoscere, di cercare anche, a volte senza trovare nulla. La curiosità è il primo segnale pedagogico che ci fa dire del bambino piccolo “Com’è intelligente”. Nella mia esperienza di madre, nonna ed ora di racconta fiabe, noto che nella scuola materna i perché fioccano. Nella scuola primaria solo qualche mano si alza per chiedere “Perché?”. Nella scuola media mancano i perché, forse i ragazzi hanno già trovato la risposta oppure rimandano la soluzione a quando, rientrati a casa, se la faranno dare da “Internet”. La curiosità si manifesta in maniera diversa dai miei tempi. Resta sempre una necessi- La Voce dell’Isola n. 11~14 tà ma si appaga con una ricerca facilitata anche se le cose da scoprire sono tante. Da bambina andavo a rovistare in soffitta, non c’era niente più appagante che trovare un vecchio baule, un pacco di vecchi giornali, la corrispondenza amorosa della bisnonna.. Ora non c’è nemmeno la soffitta e ci si libera di tutto. Un rovello che ha tormentato i bambini di città fino all’adolescenza era “Come nascono i bambini?”. I bambini di campagna lo sapevano bene avendo a portata di occhi i parti delle vacche, delle pecore e delle cavalle. Io fui edotta dai figli di un contadino e fui considerata dai miei amici come l’antenata di Lupo Alberto. Nel mondo animale la curiosità non manca ma il fine non è la ricerca pura. Il gatto va immediatamente a rovistare nel sacchetto della spesa, appena poggiato sul tavolo, perché cerca il suo mangiare. Ancora non sappiamo quanto gli animali riescano ad astrarsi ed astrarre. La curiosità è maestra della scienza, senza lei, non avremmo avuto le grandi scoperte in astronomia, medicina, fisica. Marco Polo, Cristoforo Colombo, solo per citare due dei più famosi esploratori, affrontarono un mondo ignoto con pochissime vaghe informazioni. Non avevano certezza soprattutto delle distanze. Li spinse il loro bisogno di conoscere, di sapere in poche parole la loro curiosità. La curiosità ha due facce; la prima è la sorpresa di un fatto. Il primo uomo si rese conto della forza del fuoco… dopo essersi scottato o dopo aver visto il lampo che aveva incendiato l’albero. L’uomo civilizzato procede per deduzioni. Se una mela cade dall’albero, lo scienziato si chiede quale sia la forza che trascina il frutto verso terra. La curiosità è la molla che ci aiuta a tenere insieme la natura e la ragione. La forza dell’immediatezza e l’acutezza dell’analisi. Da curiosità deriva il verbo curiosare che nel vocabolario viene tradotto in “osservare con curiosità” e qui ritorniamo alla mia soffitta e al mio baule. C’è un’altra definizione (direi più attuale) ed è “Dimostrare impertinente e riprovevole curiosità per cose e fatti altrui”. Chi non ha nella memoria una tendina scostata e due occhi che spiano…? Noi umani non potremmo fare a meno della curiosità anche di quella negativa, con tutto quello che ne consegue.. dove c’è vita c’è curiosità. 30 Luglio 2009