L`integrazione dei migranti maghrebini nel Lazio

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L`integrazione dei migranti maghrebini nel Lazio
L’integrazione dei migranti maghrebini nel Lazio
Rapporto di ricerca
di
Grazia Naletto
1- L’entità e la composizione dell’immigrazione straniera nella regione
1.1 Evoluzione del fenomeno
La presenza della capitale ha qualificato il Lazio sin dagli anni ’70 come uno dei principali poli di
attrazione dell’immigrazione in Italia. Ancora oggi il Lazio è la seconda regione italiana per numero
di soggiornanti immigrati (238.918) in gran parte concentrati nella provincia di Roma (213.834).
Ciononostante l’immigrazione maghrebina assume dimensioni contenute sia in valori assoluti che
relativi: al 31 Dicembre 2001 i soggiornanti maghrebini in regione risultavano 11.516
(Caritas/Dossier Statistico Immigrazione), pari al 4,8% del totale dei soggiornanti stranieri.
L’andamento e le caratteristiche del fenomeno migratorio nella regione, insieme alle specificità del
suo tessuto economico e produttivo e del suo polo metropolitano, offrono alcune chiavi di lettura
che permettono di spiegare perché, considerando a parte il caso dell’immigrazione algerina che
rappresenta appena lo 0,8% dell’immigrazione in Italia, la prima (Marocchina) e la sesta comunità
straniera (Tunisina) per numero di presenze a livello nazionale sono così poco rappresentate a
livello regionale.
La prima immigrazione giunta nella capitale, a differenza di quanto è avvenuto in altre aree del
paese, è stata sostanzialmente femminile. Il lavoro domestico ha infatti rappresentato a Roma per un
lungo periodo il settore con maggiori possibilità occupazionali per i lavoratori immigrati o meglio,
per le lavoratrici immigrate. Sono le donne capoverdiane, eritree, somale e filippine, grazie alla
mediazione di organizzazioni cattoliche presenti nel paese di origine, i primi anelli della catena
migratoria verso la capitale aperti alla fine degli anni ’60 e consolidati negli anni ‘70. In questa
prima fase l’immigrazione nel Lazio si concentra nella capitale e riguarda solo le donne di alcuni
paesi.
A partire dagli inizi degli anni ’80 cresce il carattere policentrico dell’immigrazione. Su questa
trasformazione influisce la decisione di alcuni paesi europei come la Francia e la Germania, mete
più consolidate dell’immigrazione, di chiudere i flussi migratori. In questi anni i primi immigrati
maghrebini, centro-africani e provenienti dal Sud Est asiatico giungono dunque nel Lazio, spesso
irregolarmente da altri paesi europei. A differenza della prima ondata migratoria, questi flussi
coinvolgono prevalentemente persone di sesso maschile e di religione mussulmana che trovano
impiego nel settore della ristorazione oppure svolgono attività di ambulantato o di piccolo
artigianato in luoghi non fissi.
Alla fine degli anni ’80 il processo di differenziazione delle correnti migratorie conosce un ulteriore
sviluppo a seguito del crollo del muro di Berlino: con l’immigrazione polacca inizia quel flusso
consistente di immigrazione dall’Est che si estenderà nel corso degli anni ’90 ai cittadini rumeni,
ucraini, moldavi e russi. La componente maschile di questi flussi migratori trova nell’edilizia e nei
lavori manuali e poco qualificati (benzinai, meccanici, saldatori) i principali canali di inserimento
lavorativo e contribuisce ad abbassare il costo del lavoro in questi settori introducendo elementi di
concorrenzialità rispetto ai lavoratori maghrebini. Le donne dell’Est, in buona parte senza contratto
di lavoro, si affiancano invece a quelle delle comunità più radicate nel settore del lavoro domestico
e di cura.
Agli inizi degli anni ’90 risale anche il consolidamento dell’immigrazione bengalese e pakistana
che si caratterizza da un lato per una forte presenza nel settore della ristorazione, dall’altro per
1
l’avvio di quelle attività di impresa che, insieme a quelle cinesi, fanno dell’Esquilino il centro delle
attività commerciali degli immigrati a Roma. Alla fine del decennio la crescita dei flussi di
richiedenti asilo provenienti dal Kurdistan turco e iracheno e dai paesi dell’Africa sub-sahariana
(Congo, Sudan, Angola ecc) complica ulteriormente il quadro dell’immigrazione romana e laziale.
1.2 Fattori di contesto e principali caratteristiche
Oggi i paesi da cui provengono gli immigrati presenti nella regione sono più di 170 e le prime
cinque comunità (rumena, filippina, albanese, polacca e peruviana) rappresentano solo il 33,7%
della popolazione immigrata. Sebbene la concentrazione delle presenze nella capitale sia andata
diminuendo nel corso degli anni, ancora oggi l’89,5% degli immigrati soggiornanti nel Lazio vive
nella provincia capitolina.
La struttura economico-produttiva laziale presenta una significativa polarizzazione tra territorio
metropolitano e quello delle province: grande sviluppo del settore terziario, commerciale, turistico e
legato alla dimensione internazionale della città, del lavoro domestico, dell’edilizia e di numerose
attività informali caratterizzano la struttura economica della capitale, dove i processi di
internazionalizzazione, di informalizzazione e di segmentazione del mercato del lavoro tendono a
confinare i lavoratori immigrati nelle fasce più precarie e marginali; l’importanza del settore
agricolo e agro-alimentare, della pesca, dell’edilizia e il limitato sviluppo del settore industriale
avvicinano il resto del territorio regionale al modello economico meridionale. Il mercato del lavoro
risulta dunque molto frammentato e caratterizzato da un grado elevato di informalità che lascia
ampi spazi al lavoro nero. Le possibilità di inserimento lavorativo regolare sono per gli immigrati
molto limitate (Pugliese 2003).
D’altra parte la storia e l’andamento dell’immigrazione maghrebina nel Lazio risultano fortemente
condizionate dall’evoluzione della domanda di lavoro e dalla progressiva differenziazione dei flussi
migratori che la regione ha conosciuto nel corso degli anni.
Le prime presenze maghrebine si registrano a partire dalla seconda metà degli anni ’70, ma si tratta
principalmente di immigrazione di transito connessa alla necessità di svolgere alcune pratiche
burocratiche presso le strutture consolari. Solo a partire dalla seconda metà degli anni ’80 un certo
numero di immigrati marocchini e tunisini iniziano a stabilirsi nella regione (Carchedi 1992). In
parte arrivano dal paese di origine con un visto per turismo o irregolarmente, in parte provengono
dal Sud Italia. Si tratta di un’immigrazione quasi esclusivamente maschile, molto giovane e
prevalentemente poco qualificata (con un titolo di studio corrispondente alla licenza elementare o
media) che svolge attività di ambulantato o si inserisce nell’edilizia e nella ristorazione (Gesano
1993). Le regolarizzazioni del 1986 e del 1990 permettono l’acquisizione del permesso di soggiorno
e danno inizio ad un lento processo di stabilizzazione: al 30 giugno 1990 risultavano presenti nel
Lazio 6580 immigrati marocchini (5568 uomini e 904 donne) pari al 3,94% del totale dei
soggiornanti e 5471 immigrati tunisini (4434 uomini e 1037 donne) pari al 3.28% (Di Prospero
1993). La presenza di un numero, sia pure limitato, di donne testimonia l’inizio del processo di
consolidamento dell’immigrazione maghrebina in regione a partire dagli inizi degli anni ’90 che
raggiunge il suo punto più alto nel 1993: al 30 giugno di quell’anno gli immigrati marocchini e
tunisini sono rispettivamente 8319 e 6009.
1.3 Correnti migratorie e mobilità interna
Gli anni ’90 sono caratterizzati, nel Lazio come nel resto d’Italia, da un progressivo
ridimensionamento dei flussi provenienti dal Nord-Africa in favore dell’immigrazione proveniente
dall’Est europeo. Proprio in questi anni, l’immigrazione maghrebina presente nel Lazio è interessata
da un processo di mobilità che nella dimensione più significativa trova nel Nord Italia il suo sbocco
definitivo, ma in parte rimane interno alla regione per gli immigrati maghrebini che dalla capitale si
trasferiscono nei comuni vicini e nelle altre province laziali.
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L’emigrazione verso il Nord Italia è favorita da due circostanze concomitanti: proprio in questi anni
la domanda di manodopera straniera da parte delle piccole imprese del Nord Italia diventa sempre
più consistente e inizia a provocare movimenti significativi di lavoratori immigrati dal Sud al Nord
del paese. Parallelamente, l’immigrazione maschile dell’Est Europeo introduce elementi di forte
concorrenzialità sul mercato del lavoro e provoca nel Lazio processi di espulsione dei lavoratori
maghrebini, in particolare da quei settori lavorativi che si caratterizzano come primi canali di
inserimento lavorativo ad elevato margine di precarietà e di sfruttamento: l’edilizia e l’agricoltura.
L’accettazione di salari più bassi e la maggiore disponibilità allo sfruttamento che caratterizza le
immigrazioni più recenti, spinge i datori di lavoro a privilegiare l’impiego dei lavoratori dell’Est;
d’altra parte molti lavoratori maghrebini, interessati a stabilizzare il proprio progetto migratorio,
decidono spontaneamente di abbandonare lavori pesanti e sottopagati, spesso al nero, e di trasferirsi
al Nord per trovare un’occupazione regolare e meglio garantita.
Rimangono sul territorio regionale solo coloro che hanno già trovato un’occupazione stabile, che si
sono fatti raggiungere dalla propria famiglia o che, a causa dell’età avanzata e delle scarse chances
di inserimento professionale al nord, continuano a svolgere le attività di ambulantato. Ciò risulta in
modo evidente dalla serie di dati relativi ai soggiornanti marocchini e tunisini degli anni 1993-2001
(Caritas, Dossier Statistico Immigrazione anni 1994-2002): nel 1994 si registra una notevole
flessione rispetto all’anno precedente, solo in parte recuperata negli anni successivi. Le oscillazioni
visibili nei dati relativi alla seconda metà degli anni ’90 evidenziano piccoli incrementi nelle
presenze negli anni in cui si sono registrati gli effetti delle regolarizzazioni del 1995 e del 1998
(rispettivamente 1996 e 2000). Si tratta comunque di variazioni contenute: nella seconda metà degli
anni ’90 gli immigrati maghrebini che arrivano dal proprio paese si dirigono direttamente al Nord,
dove hanno maggiori chances di stabilizzazione; nel Lazio la maggiore pressione migratoria è
ormai rappresentata dai flussi provenienti dall’Est Europa.
Tab.1. Lazio: Soggiornanti marocchini e tunisini nel Lazio. Anni 1993-2001
Anni
Marocco
Tunisia
1993
8319
6009
1994
5709
3980
1995
5.755
3.992
1996
6725
4427
1997
6690
4225
1998
6948
4223
1999
6431
3729
2000
6920
3895
2001
6424
3960
Fonte: Caritas/Dossier Statistico Immigrazione 1994-2002
Nota: I dati per gli anni 1993-1996 si riferiscono alla data del 30 giugno, i dati degli anni successivi a quella del 31
dicembre.
Alla metà degli anni ’90 risale anche l’inizio delle migrazioni interne alla regione, in particolare
dalla capitale verso i centri minori: a queste concorrono sia le difficoltà di permanenza nel mercato
del lavoro romano sopra accennate, sia il disagio abitativo. Le difficoltà riscontrate nell’accesso
all’alloggio nella capitale inducono molti immigrati maghrebini a trasferirsi fuori Roma, per lo più
in centri di media e piccola grandezza, dove il costo degli affitti è più basso. D’altra parte i piccoli
centri offrono maggiori opportunità a coloro che continuano a svolgere le attività di commercio
ambulante, mentre l’Agro-Pontino offre in agricoltura alternative lavorative a quelle presenti nella
capitale.
La ricerca sul campo ha evidenziato anche un fenomeno di “mobilità di ritorno” assolutamente
recente, la cui rilevanza potrà forse essere valutata meglio in futuro. Nella provincia di Latina sono
stati riscontrati casi di famiglie marocchine che, dopo essersi trasferite nel Nord-Italia a metà degli
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anni ’90, sono recentemente tornate nella provincia laziale: il costo eccessivamente elevato della
qualità della vita al Nord sembra essere il motivo principale che ha spinto queste famiglie a tornare
nel Lazio.
1.4 Geografia della presenza e modelli insediativi
Oggi, come abbiamo già accennato, l’immigrazione maghrebina rappresenta una componente
ridotta della popolazione immigrata nel Lazio: al 31/12/2001 i soggiornanti maghrebini presenti
nella regione erano 11.516 pari al 5.32% degli immigrati maghrebini presenti in Italia. L’incidenza
sull’intera popolazione immigrata, pari al 4,8%, nel Lazio è inferiore di più di 10 punti percentuali
rispetto alla media nazionale (15.86%). Gran parte (il 71,5%) dei soggiornanti maghrebini, come
avviene per l’intera popolazione immigrata presente nel Lazio, si concentrano ancora oggi nella
provincia di Roma.
Tab. 2 LAZIO. Immigrazione maghrebina. Permessi di soggiorno al 31.12.2001
Paese di origine Frosinone Latina Rieti Roma Viterbo Lazio Italia
Algeria
37
132
9
900
54
Marocco
837
527
143 4505 452
Tunisia
118
796
15
2810 221
TOTALE
992
1455 167 8215 727
Fonte: OIM/Caritas Dossier Statistico Immigrazione
1132
6424
3960
11516
11.647
158.094
46494
216245
Ma il processo di mobilità interna alla regione ha favorito lo sviluppo di catene migratorie che non
sono più transitate per la capitale e la dispersione della popolazione maghrebina nei medi e piccoli
centri. Una corretta e attenta ricostruzione del modello insediativo dell’immigrazione maghrebina
nel Lazio non può dunque non tenere conto di questo processo di dispersione così come delle
specificità che caratterizzano la distribuzione delle singole comunità maghrebine all’interno della
regione. Ciò appare evidente analizzando gli ultimi dati disponibili sui residenti stranieri suddivisi
per provincia e per comune.
Tab. 3 Lazio: Residenti maghrebini per provincia al 31/12/2000 (valori assoluti e percentuale sul totale per riga)
Cittadinanza
ROMA
% su VITERBO % su RIETI
tot.riga
tot.riga
% su
tot.riga
LATINA
% su
tot.riga
FROSINONE
% su
tot.riga
LAZIO
Marocco
5229
70%
472
6%
205
3%
734
10%
879
12%
7519
Tunisia
3480
70%
263
5%
17
0%
1129
23%
109
2%
4998
Algeria
1126
78%
62
4%
8
1%
182
13%
58
4%
1436
Totale
9835
70%
797
6%
230
2%
2045
15%
1046
7%
13953
Fonte: nostre elaborazioni su dati Istat, demo.istat.it/stra1/start.html
I dati contenuti nella Tabella 4 evidenziano che, se si escludono la provincia di Roma, dove l’area
del comune capoluogo assorbe il 63% dei residenti maghrebini, e la provincia di Rieti dove vive
solo il 2% dei maghrebini nel Lazio, nelle altre tre province prevale un modello insediativo diffuso.
Nelle province di Viterbo, Latina e Frosinone i residenti maghrebini nel comune capoluogo
rappresentano una esigua minoranza, corrispondono infatti rispettivamente al 11%, al 25% e all’8%
dei residenti maghrebini presenti in provincia.
L’analisi disaggregata dei dati evidenzia inoltre che la dispersione è più accentuata nel caso
dell’immigrazione tunisina e marocchina, decisamente meno significativa nel caso
dell’immigrazione algerina. Questa è infatti concentrata al 78.41% nella provincia di Roma e al
61.69% nel comune capitolino. Ciò è in parte spiegabile con il fatto che a differenza delle altre,
l’immigrazione algerina è più recente, prevalentemente individuale, numericamente molto limitata e
non ha ancora avviato catene migratorie consolidate. Inoltre essa ha coinvolto persone di elevato
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livello di istruzione, intellettuali e persone impegnate politicamente nel proprio paese che tendono a
cercare nella capitale un inserimento occupazionale rispondente alla propria formazione.
Tab.4 Lazio: Residenti maghrebini per provincia e percentuale residenti nei comuni capoluogo al 31/12/2000
Marocco
Roma
Latina
Frosinone
Viterbo
Rieti
Tunisia
Algeria
Totale Residenti Maghrebini
Comun Provincia %
Comune Provincia %
Comune Provincia %
Comune Provincia %
e
residenti
residenti
residenti
residenti
comune
comune
comune
comune
su
su
su
su
provincia
provincia
provincia
provincia
3383
5229
65%
1953
3480
56%
886
1126
79%
6222
9835
63%
146
734
20%
297
1129
26%
62
182
34%
505
2045
25%
62
879
7%
22
109
20%
1
58
2%
85
1046
8%
29
472
6%
38
263
14%
19
62
31%
86
797
11%
107
205
52%
2
17
12%
3
8
38%
112
230
49%
Fonte: nostre elaborazioni su dati Istat
Infine è utile osservare che ad eccezione, ancora una volta, della provincia di Roma, sono pochi i
comuni che superano le 50 presenze: buona parte della popolazione maghrebina è dispersa in
piccoli e piccolissimi nuclei di insediamento nei comuni minori.
Le aree di maggiore insediamento, esclusa la capitale, risultano quelle costiere sia a Nord (asse
Ladispoli-Civitavecchia-Tarquinia) che a Sud di Roma (zona costiera che va da Fiumicino,
Pomezia, Aprilia, proseguendo per Nettuno, Anzio e Latina).
Emergono dunque nel Lazio diverse modalità di insediamento connesse alle specificità della
struttura economico produttiva. In sintesi si potrebbe dire che siamo di fronte a un modello
insediativo polarizzato: all’elevata concentrazione nell’area metropolitana della popolazione che
risiede nella provincia di Roma si accompagna un’elevata dispersione nei piccoli centri di coloro
che vivono nel resto del territorio laziale.
1.5 Nuovi spunti di analisi (femminilizzazione, minori non accompagnati)
Il protagonismo maschile ha caratterizzato i primi flussi migratori nord-africani per motivi legati
alla cultura di origine: sono gli uomini ad aver avviato le catene migratorie e solo successivamente,
nei casi in cui il progetto migratorio si è trasformato da temporaneo in definitivo e si è consolidato,
sono iniziati i primi ricongiungimenti familiari.
La composizione dell’immigrazione maghrebina nella regione laziale è ancora oggi
prevalentemente maschile nonostante le due maggiori comunità che la compongono siano di antico
insediamento. La fotografia attuale di questa componente della popolazione straniera è comunque
molto diversa da quella degli inizi degli anni ’90: vive ormai nel Lazio una quota consistente di
nuclei familiari maghrebini che sono ben integrati nella società di accoglienza. Ciò è vero in
particolare per le comunità marocchina e tunisina che evidenziano a livello regionale un numero di
permessi di soggiorno per motivi familiari superiore alla media regionale di tutte le collettività
immigrate. E’ insomma oggi inadeguato parlare dell’immigrazione maghrebina esclusivamente al
maschile: nella capitale come nei piccoli centri le donne sono presenti così come è aumentato il
numero di minori, anche di quelli nati in Italia. Al 3l dicembre 2001 le donne risultavano pari
rispettivamente al 31,8% e al 28,6% dei soggiornanti marocchini e tunisini presenti nella regione
(Caritas, Dossier Statistico Immigrazione 2002).
La crescente stabilizzazione è evidenziata anche dall’aumento del numero di bambini maghrebini
inseriti nelle scuole. Questa è una delle novità più significative, più volte sottolineate dagli
interlocutori intervistati che ricordano come fino alla metà degli anni ’90 fosse maggiormente
diffuso lo sfruttamento dei minori, inviati sulle strade per pulire i vetri alle macchine o per chiedere
l’elemosina. Sempre a proposito dei minori, è opportuno osservare che se i ragazzi marocchini e poi
tunisini e algerini, hanno costituito i primi casi di minori stranieri non accompagnati giunti nella
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capitale agli inizi degli anni ’90, attualmente, nel contesto di una notevole crescita di questo
fenomeno, essi costituiscono una esigua minoranza. (Carchedi et al. 2003) I dati relativi ai minori
marocchini ospitati a Roma dalle strutture di accoglienza per minori non accompagnati Acisel, Ipab
Sacra Famiglia e CPIM sono da questo punto di vista significativi: negli anni 2000-2002 i minori
marocchini sono stati rispettivamente 31, 45 e 40 su un totale di 469, 846 e 851 accoglienze
effettuate.
Oltre alla maggiore stabilizzazione, sembrano registrarsi dei mutamenti anche nei nuovi flussi
migratori, ancorché questi siano contenuti. In primo luogo tra gli ultimi arrivati sembra crescere il
livello di istruzione e di formazione di partenza rispetto a quelli delle prime generazioni: ciò
determina anche una minore disponibilità ad inserirsi in fasce poco qualificate del mercato del
lavoro. In secondo luogo cresce anche il numero di donne non coniugate che scelgono di partire in
autonomia, magari potendo contare sul sostegno di familiari già presenti in Italia.
2. Immigrazione e famiglia
2.1 I ricongiungimenti familiari
L’analisi in dettaglio dei dati sui permessi per motivi familiari permette di apprezzare con maggiore
precisione in che misura l’immigrazione maghrebina nel Lazio è divenuta di tipo familiare e
l’esistenza di alcune differenziazioni sul territorio regionale e tra le singole comunità. Il primo dato
che la lettura della Tabella 5 permette di rilevare è la significativa disparità in termini percentuali tra
il valore laziale e quello nazionale dei ricongiungimenti realizzati dagli immigrati marocchini,
mentre i due valori sono abbastanza simili per le altre due comunità. Questa differenza è
determinata in modo significativo dal valore romano: la stabilizzazione, di cui i ricongiungimenti
sono uno dei principali indicatori, dell’immigrazione marocchina è infatti molto superiore nelle
altre province laziali. Si può dire insomma che l’insediamento nelle province minori, dove
ricordiamolo, la popolazione marocchina si distribuisce soprattutto nei piccoli centri, è più
favorevole a un inserimento lavorativo e sociale di successo, che incoraggia il ricongiungimento
familiare. Come anticipato, l’immigrazione algerina è quella che registra il valore più basso di
ricongiungimenti, comunque superiore alla media nazionale.
Tab. 5 Lazio. Soggiornanti per motivi familiari al 31/12/2001
(Valori assoluti e % sul totale dei soggiornanti maghrebini)
PROVINCE
Algeria
V. a
Marocco
% su totale
V.a
Tunisia
% su totale
V.a
% su totale
Frosinone
10
27,0
230
27,5
37
31,4
Latina
15
11,4
178
33,8
208
26,1
Rieti
2
22,2
63
44,1
2
13,3
164
18,2
967
21,5
694
24,7
8
14,8
162
35,8
55
24,9
Lazio
199
17,6
1600
24,8
996
25,2
Italia
1885
16,2
48331
30,6
12188
26,2
Roma
Viterbo
Fonte: Caritas/Dossier Statistico Immigrazione
2.2 Matrimoni misti e cittadinanza
La ricerca sul campo ha permesso di rilevare che la presenza di unioni e di matrimoni misti tra
cittadini maghrebini/e e italiani/e e con cittadini di altre comunità riguarda tutto il territorio
regionale. Non abbiamo purtroppo dati statistici su cui fondare l’attendibilità di queste osservazioni,
ma può essere utile riportare in sintesi i risultati di una ricerca svolta recentemente (Conti, Strozza
2003). La ricerca che ha preso in considerazione quattro diverse comunità presenti sul territorio
romano, ha analizzato un campione di 318 immigrati marocchini (252 uomini e 66 donne). Tra
questi è risultato coniugato il 32,1% e tra i non coniugati il 16,4% ha dichiarato di avere un rapporto
di convivenza. Tra i coniugati, il 24,6% è sposato con un cittadino italiano (il 25% degli uomini e il
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23,1% delle donne), mentre più della metà di conviventi ha una relazione con un cittadino italiano.
In comparazione con le altre comunità analizzate (rumena, filippina e peruviana), la comunità
marocchina registra la quota più alta di legami affettivi con italiani.
Numerosi interlocutori hanno inoltre parlato dello sviluppo di legami affettivi tra uomini
marocchini e tunisini e donne dell’Est Europa.
2.3 I minori stranieri e l’inserimento nelle scuole
I minori costituiscono nel Lazio l’1,7% dei soggiornanti algerini, il 5,6% di quelli marocchini e
l’1,8% di quelli tunisini: l’immigrazione marocchina rivela la percentuale di minori più consistente
pur restando al di sotto della media nazionale pari al 6,7%. E’ anche in questo caso opportuno
notare che la distribuzione dei dati a livello provinciale ha esiti diversi per le tre comunità: mentre
la percentuale di minori algerini è superiore a Roma rispetto alla media regionale, nel caso
dell’immigrazione marocchina la capitale presenta il valore più basso (4,3%). A Frosinone e a Rieti
i nuclei familiari marocchini sono più consistenti e i minori risultano pari rispettivamente al 10,3%
e al 12,6% dei soggiornanti. Anche i minori tunisini sono più presenti in termini percentuali nel
territorio extra metropolitano, sebbene in questo caso le variazioni percentuali siano meno
significative.
Al di là dei valori numerici, rispetto ai primi anni ’90, il numero di minori che frequentano la scuola
è aumentato notevolmente, anche se sembra permanere in alcune famiglie la prassi di inviare i figli
nel paese di origine quando raggiungono il 7° anno di età, per far loro frequentare il sistema
scolastico del proprio paese. Questa scelta, secondo quanto rilevato, viene fatta soprattutto da
quelle famiglie che hanno mantenuto un forte legame con il paese di provenienza per timore che la
frequenza del sistema scolastico italiano provochi la rottura del rapporto del minore con la cultura e
la lingua di origine e favorisca processi di assimilazione culturale.
In ogni caso Marocco e Tunisia risultano tra i primi 21 paesi da cui provengono gli allievi stranieri
inseriti nel sistema scolastico laziale. I dati forniti dall’Ufficio Scolastico regionale per il Lazio al
13 settembre 2002 offrono un quadro preciso: gli alunni provenienti dal Marocco e dalla Tunisia
rappresentano rispettivamente il 3,7% e l’1,4% del totale degli alunni stranieri iscritti alle scuole del
Lazio.
Tab.6 Lazio: Alunni marocchini e tunisini A.S. 2001/2002
Scuola
Scuola
Scuola
Scuola
Materna elementare
media
superiore
Marocco
Tunisia
Totale
alunni
stranieri
44
42
894
223
98
6045
153
35
3906
58
7
1923
Totale
paese
478
182
12.768
Fonte: Ufficio Scolastico Regionale per il Lazio
La distribuzione degli iscritti nei diversi ordini scolastici evidenzia una concentrazione degli alunni
nella scuola elementare e media inferiore, come del resto avviene per la totalità degli alunni
stranieri. Sono tuttavia interessanti anche i dati relativi alle iscrizioni alla scuola materna e a quella
superiore perché da un lato indicano che è in crescita il numero di bambini maghrebini che nascono
nel Lazio, dall’altro che nei prossimi anni crescerà il numero di giovani formati in Italia le cui
aspettative di inserimento sociale e professionale saranno probabilmente molto diverse da quelle dei
genitori.
L’Ufficio Scolastico Regionale non è stato invece in grado di fornire dati disaggregati a livello
territoriale. Gli unici dati reperiti a livello provinciale si riferiscono alla Provincia di Frosinone
(Anolf 2002).
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Tab. 7 Alunni immigrati nella Provincia di Frosinone Anno scolastico 2002-2003
Paese di origine
Scuola
Scuola
Scuola
Scuola
Materna
elementare
media
Superiore
Algeria
Marocco
20
64
47
15
Tunisia
2
2
Fonte: Anolf su dati forniti dal provveditorato agli studi di Frosinone
Non risulta nessun minore algerino iscritto a scuola, mentre sono diversi gli studenti marocchini
distribuiti in tutti gli ordini scolastici e infatti costituiscono il 18,5% dell’intera popolazione
scolastica immigrata (pari a 792 ragazzi). La lettura dell’alto valore percentuale deve essere fatta
tenendo presente che la comunità marocchina costituisce la seconda comunità nella provincia di
Frosinone dopo quella albanese. Secondo l’Anolf però, i dati del provveditorato risulterebbero
molto inferiori rispetto a quelli registrati dagli uffici anagrafi di alcuni comuni, in particolare a
Frosinone, Alatri, e Anagni. Impossibile verificare se la differenza tra le due serie di dati sia solo
dovuta a motivi tecnici (mancata cancellazione dei dati in anagrafe) oppure alla presenza di minori
non scolarizzati.
Ancora ridotto appare invece il numero di studenti maghrebini presenti nelle Università.
Nell’anno accademico 2001/2002 risultavano iscritti alle Università laziali 47 studenti maghrebini,
25 maschi e 22 femmine (Tab. 8). Un numero così ridotto di iscritti non permette di trarre
conclusioni significative. L’unico dato degno rilievo evidenzia che mentre tra le altre nazionalità
risulta un alto numero di iscritti alle lauree brevi in infermeria o fisioterapia (che permettono di
acquisire qualifiche molto richieste nel mercato del lavoro italiano), sono solo 2 donne marocchine
a fare questa scelta. Se a queste sommiamo i 7 iscritti a farmacia e i 3 a medicina, possiamo
senz’altro dire che l’ambito sanitario si qualifica come la scelta preferita. Si registra inoltre un
numero alto (sempre in termini relativi) di iscritti a architettura o ingegneria (spesso per lauree
brevi) e un certo numero di iscritti a corsi di laurea umanistici che studiano l’oriente o le lingue.
Tab.8 Lazio. Studenti maghrebini iscritti ai corsi universitari nel Lazio Anno accademico 2001/2002
Paese di provenienza
Maschi
Femmine Totale
8
13
21
Marocco
Tunisia
Algeria
Totale studenti maghrebini
Totalità degli studenti stranieri
iscritti nelle università romane
Fonte: MIUR
11
6
25
852
7
2
22
1209
18
8
47
2061
2.4 Altri indicatori di stabilità
La stabilizzazione dell’immigrazione maghrebina nel Lazio, oltre che dalla crescita dei
ricongiungimenti familiari e dalla scolarizzazione dei minori, è confermata anche dall’anzianità di
presenza. Un numero consistente di immigrati maghrebini vive nel Lazio da un numero elevato di
anni: tra i soggiornanti in Italia al 31-12-2001 era arrivato infatti da più di 5 anni il 70,4% degli
Algerini, il 70,6% dei Marocchini e il 76,6% dei Tunisini (Fonte: Caritas/Dossier Statistico
Immigrazione). La ripartizione dei dati per classi di permanenza evidenzia alcune differenze tra
l’immigrazione algerina da un lato e quella marocchina e tunisina dall’altro. Nel primo caso la
percentuale più alta si registra nella fascia 5-9 anni di permanenza (50.7%), negli altri due casi
invece nella fascia 10-14 anni (38,1% e 45.7%). Complessivamente i dati sull’anzianità di
permanenza confermano quanto accennato in precedenza: la componente più consistente
dell’immigrazione marocchina e tunisina è giunta alla fine degli anni ’80 e nei primi anni ’90 e ha
potuto regolarizzare la propria posizione nel corso delle due sanatorie di quegli anni (1986 e 1990).
8
Il flusso di immigrati algerini è invece lievemente successivo e si colloca in gran parte alla metà
degli anni ’90: l’analisi dei dati sugli immigrati che hanno partecipato ai diversi provvedimenti di
regolarizzazione evidenzia infatti un maggior numero di domande presentate da immigrati algerini
nel corso della sanatoria del 1995 (Carfagna 2002).
Questa diversa tempistica dei flussi è in parte riscontrabile anche nei dati relativi all’età che è in
media più elevata nel Lazio rispetto al livello nazionale. Anche in questo caso emerge una
differenziazione tra la comunità algerina, più giovane, e quella marocchina e tunisina. In tutte e tre
le comunità prevale il numero delle persone di età compresa tra i 19 e i 40 anni pari all’81,4% degli
algerini, al 64,6% dei marocchini e al 73,5% dei tunisini. Ma in questi ultimi due casi è significativa
la percentuale di persone di età superiore ai 41 anni pari al 25,9% dei marocchini e al 23% dei
tunisini.
Complessivamente i dati statistici e le informazioni raccolte offrono un quadro diversificato del
livello di stabilizzazione degli immigrati maghrebini che varia sia in riferimento alle singole
comunità che ai singoli contesti territoriali. L’immigrazione marocchina e quella tunisina, di più
antico insediamento, presentano ormai in parte una composizione nucleare, maggiormente
accentuata nel territorio non metropolitano. L’immigrazione algerina, più contenuta numericamente
e in media più giovane delle altre, si caratterizza ancora come immigrazione maschile e individuale,
con uno scarso consolidamento delle catene migratorie e come immigrazione “di rifugio” di fronte
all’impossibilità di emigrare altrove. Ciò è almeno quello che emerge considerando i dati relativi
alla presenza dei nuclei familiari così come testimoniata dalla percentuale di minori presenti nelle
diverse province laziali, dal livello di scolarizzazione dei bambini, dai dati sull’età e sull’anzianità
di presenza e dalle interviste.
3. Immigrazione e mercato del lavoro
3.1 I caratteri generali
L’immigrazione maghrebina nel Lazio si caratterizza, come nel resto dell’Italia, come
un’immigrazione per lavoro: è questo infatti il motivo predominante del soggiorno in tutte e tre le
comunità considerate. E’ nel Lazio per motivi di lavoro il 74,6% degli algerini, il 72,8% dei
marocchini e il 64,4% dei tunisini. Prevale in tutte le comunità il lavoro dipendente, la comunità più
propensa al lavoro autonomo è quella marocchina con una percentuale dell’8,5% sul totale dei
permessi di soggiorno. In termini percentuali, l’incidenza dei permessi di soggiorno per lavoro
dipendente è più alta a Viterbo e a Latina per i tunisini (rispettivamente 65,6% e 62,3% del totale
dei permessi di soggiorno in provincia) e algerini (70,4% a Viterbo e 80,3% a Latina), a Roma per i
marocchini (58%); mentre rispetto alla percentuale media regionale (8,5%) spicca la percentuale di
cittadini marocchini che svolgono lavoro autonomo a Viterbo (19%) e Rieti 11,2%.
Il livello di disoccupazione più alto è quello della comunità marocchina (12,4% del totale dei
permessi di soggiorno nel Lazio), seguito da quello della comunità algerina (11,7%). Decisamente
inferiore il valore per la comunità tunisina pari al 6,3%. In totale i disoccupati maghrebini in
regione risultano al 31.12.2001 1185 pari al 10,26% dei soggiornanti maghrebini, quasi 6 punti
percentuali in più rispetto al tasso di disoccupazione dell’intera popolazione immigrata nel Lazio
(pari al 4,7%). In parte ciò è spiegabile con i processi di sostituzione che in alcuni settori del
mercato del lavoro (in particolare nell’edilizia) hanno provocato l’espulsione dei lavoratori
maghrebini a vantaggio dei lavoratori dell’Est e dalla mancanza nel Lazio di quel settore industriale
che al Nord assorbe una parte consistente di manodopera marocchina. In parte è presumibile che un
certo numero di lavoratori che risultano iscritti al collocamento lavorino al nero o svolgano attività
di ambulantato informale. Gli operatori di alcuni sportelli legali della capitale hanno ad esempio
evidenziato alcuni casi di ambulanti marocchini anziani che vivono nel Lazio da molto tempo e che
dopo aver ottenuto il permesso di soggiorno nel corso delle regolarizzazioni precedenti, sono
ricaduti nell’irregolarità a causa dell’impossibilità di dimostrare un reddito sufficiente.
9
Le caratteristiche del mercato del lavoro laziale, sia romano che regionale, rendono particolarmente
difficile un inserimento lavorativo stabile e regolare. Roma è innanzitutto una città terziaria, che
combina alcune caratteristiche connesse alla sua natura di metropoli con una struttura economica
priva di un settore industriale, in cui il lavoro dipendente è quasi unicamente concentrato
nell’ambito della amministrazione pubblica e in cui il settore dei servizi si articola in mille forme
diverse e in attività molto spesso informali. Le opportunità di inserimento lavorativo per i migranti
si concentrano dunque prevalentemente nelle fasce meno qualificate del mercato del lavoro in gran
parte caratterizzate da una significativa diffusione di lavoro nero. Rispetto ai primi anni ’80 la città
non offre ai migranti opportunità lavorative molto diverse: lavoro domestico e di cura, edilizia,
settore alberghiero e della ristorazione, servizi (nelle fasce meno qualificate), rappresentano ancora
oggi i principali canali di inserimento lavorativo. L’unica novità di rilievo rispetto ai primi anni di
sviluppo del fenomeno migratorio, è costituita dalla crescita, in particolare negli ultimi anni, di
forme di autoimpiego e di piccole imprese promosse dagli immigrati che oggi rappresentano uno
dei più significativi settori economici in cui essi possono collocarsi (come imprenditori o come
dipendenti, più o meno regolari dal punto di vista del rapporto di lavoro).
Nel resto del territorio regionale il commercio, l’agricoltura e l’edilizia costituiscono i principali
settori di inserimento lavorativo per gli uomini, mentre per le donne il lavoro domestico e di cura
rappresentano ancora la principale chance di inserimento professionale.
3.2 Le realtà del lavoro autonomo tra ambulantato e imprenditoria etnica
Asciugamani, tovaglie, calzini, copritavola, tappeti, biancheria di bassa qualità in genere: questi
erano i prodotti classici del venditore ambulante marocchino che a partire dagli anni 80 è divenuta
una figura molto visibile nei piccoli centri così come sulle spiagge italiane, tanto da diventare il
simbolo dell’immigrato in Italia, etichettato dai media con il termine vu’cumprà. Anche nel Lazio,
la vendita porta a porta, per strada o sul bagnasciuga ha rappresentato una delle attività principali
degli immigrati marocchini negli anni ’80. A loro spettava rimettere nei circuiti del mercato, merce
altrimenti destinata a rimanerne esclusa a causa di una forte crisi che in quegli anni conoscevano
alcune fabbriche tessili presenti nella regione. In molti venivano nel Lazio per qualche mese e poi
tornavano nel loro paese più volte l’anno: l’immigrazione era per loro una scelta provvisoria, quasi
del tutto assente l’intenzione di stabilirsi definitivamente nella regione.
Il progressivo irrigidimento delle politiche sugli ingressi e il vincolo sempre più stringente che la
normativa nazionale ha stabilito tra possibilità di ottenere il permesso di soggiorno, reddito e quindi
rapporto di lavoro, ha reso sempre più difficile l’immigrazione temporanea e stagionale. La
formalizzazione dell’attività commerciale attraverso l’acquisizione di una regolare licenza di
vendita oppure l’inserimento (effettivo o presunto) nel mercato del lavoro sono divenuti requisiti
indispensabili per la regolare permanenza in Italia. Per questi motivi oggi la vendita ambulante
senza licenza, che pure sussiste, caratterizza una componente minoritaria dell’immigrazione
marocchina nel Lazio. La persistenza di questa forma di commercio coinvolge una parte degli
immigrati residenti nella capitale, prevalentemente quelli di età più avanzata e meno qualificati, che
continuano a vendere la merce porta a porta spostandosi dal comune di residenza nella zona dei
castelli romani, nei piccoli comuni limitrofi e sul litorale romano. Anche nella provincia di
Frosinone, secondo gli interlocutori intervistati, molti degli uomini marocchini che possiedono un
permesso di soggiorno per lavoro dipendente, svolgono in realtà ancora prevalentemente la vendita
ambulante porta a porta spostandosi da un comune all’altro della provincia.
E’ invece aumentato notevolmente nella regione il numero dei commercianti ambulanti che hanno
preso la licenza comunale e sono regolarmente iscritti alla Camera di Commercio: costituiscono una
parte consistente dei titolari di impresa maghrebini che nel terzo trimestre 2002 risultavano nel
Lazio 1569, in maggior parte marocchini (1016) e tunisini (491), per il 59% concentrati nella
capitale. A differenza dei connazionali che vendono porta a porta, questi commercianti sono ormai
inseriti nei mercati rionali o hanno dei punti vendita fissi (nelle piazze più frequentate, davanti alle
10
entrate dei centri commerciali, in qualsiasi punto delle città nel caso dei venditori di fiori e piante). I
prodotti che commerciano sono i più vari: alla biancheria, si sono aggiunti i capi di abbigliamento,
gli oggetti per la casa, i prodotti per la pulizia domestica, i fiori e le piante. I clienti sono
prevalentemente italiani.
Non è facile valutare quanto il passaggio dalla condizione di vu’cumpra a quella di imprenditore
abbia migliorato nella sostanza le condizioni di vita, economiche e di lavoro dei venditori ambulanti
marocchini; la vendita in posti fissi ha probabilmente ridotto la loro precarietà e facilitato
l’interazione sociale con la popolazione laziale. Il protagonismo imprenditoriale maghrebino,
registrato da una recente ricerca svolta dalla Caritas per conto della Camera di commercio di Roma
(Caritas-CCIA di Roma 2003), deve in ogni caso essere letto tenendo presente che in molti casi la
“creazione di impresa” evidenziata dai dati è soprattutto un modo per trasformare attività di vendita
sviluppate a livello informale in attività di vendita legali, ammesse nell’ambito dell’economia
ufficiale; la valenza economica di questa trasformazione non sempre corrisponde ad una maggiore
capacità di iniziativa imprenditoriale dei soggetti che la promuovono.
Fatte queste precisazioni, è indubbio che il fenomeno della imprenditoria immigrata ha conosciuto
negli ultimi anni nel Lazio, come nel resto d’Italia, una crescita significativa e una diffusione su
tutto il territorio regionale, che va ben oltre i confini del cosiddetto “ethnic business” e delle attività
meramente commerciali. In questo sviluppo il ruolo dell’immigrazione maghrebina sembra
rilevante. I titolari d’impresa marocchini rappresentano l’8.5% dei titolari di impresa nati all’estero
presenti nel Lazio, a distanza si situano i tunisini con il 4.1%. Complessivamente gli imprenditori
maghrebini costituiscono da soli il 13% dei titolari di impresa nati all’estero presenti in Regione.
Tab. 4 - Titolari d'impresa nati in paesi nordafricani, dati provinciali. LAZIO - 3° trimestre 2002.
Paesi/Aree di nascita
Province
Frosinone
v.a.
Egitto
% sul
totale
Latina
v.a.
% sul
totale
Rieti
v.a.
Roma
% sul
totale
v.a.
% sul
totale
Viterbo
v.a.
% sul
totale
Totale Lazio
v.a.
% sul totale
5,6
8
0,7
24
2,1
3
1,8
636
7,1
6
1,1
677
Marocco
197
16,7
104
9,2
20
11,9
581
6,5
114
21,6
1.016
8,5
Tunisia
12
1,0
168
14,8
4
2,4
298
3,3
9
1,7
491
4,1
Libia
8
0,7
83
7,3
3
1,8
370
4,1
24
4,5
488
4,1
Algeria
1
0,1
9
0,8
0
0,0
52
0,6
0
0,0
62
0,5
Totale Nord-Africa
226
19,2
388
34,3
30
17,9
1.937
21,6
153
29,0
2.734
22,8
Totale Extracomunitari
771
65,5
879
77,7
120
71,4
8.114
90,3
425
80,5
10.309
86,0
1.177
100,0
1.132
100,0
168
100,0
8.981
100,0
528
100,0
11.986
100,0
Totale nati all'estero
FONTE: Elaborazione Dossier Statistico Immigrazione/Caritas su dati Infocamere
Il settore economico in cui si concentra l’iniziativa imprenditoriale maghrebina è quello dei servizi,
in particolare nel commercio: opera infatti in questo ambito l’85,1% degli imprenditori marocchini,
il 47,2% dei tunisini e il 60.2% degli algerini. Questo dato, incrociato con quello relativo alla natura
giuridica dell’impresa che evidenzia l’incidenza degli imprese individuali, conferma quanto detto in
precedenza: molti degli ambulanti marocchini, che un tempo vendevano per strada o porta a porta,
adesso hanno acquisito la regolare licenza di vendita. Ma, secondo quanto registrato nel corso
dell’indagine sul campo, ormai l’imprenditoria maghrebina non è più confinata nell’ambito del
commercio ambulante. A Roma bar, ristoranti, negozi che vendono prodotti artigianali provenienti
dai paesi di origine sono stati aperti da immigrati marocchini e tunisini. Particolarmente attiva
risulta l’iniziativa tunisina nel settore delle costruzioni. A Latina sono stati aperti pasticcerie, negozi
che vendono i prodotti per la casa, imprese di pulizia e edili, call center e una cooperativa sociale
“marocchina-tunisina”, che svolge attività di orientamento legale per gli immigrati.
11
In questi ultimi casi, il capitale richiesto per l’avvio dell’attività fa si che gli imprenditori siano in
genere persone da tempo residenti in Italia e di età non più giovane, anche se, secondo le interviste
realizzate, sta crescendo il numero di giovani che, grazie al sostegno della famiglia, partono già dal
paese di origine con l’obiettivo di aprire un’attività in Italia.
3.3 Il lavoro dipendente: modelli e caratteristiche
L’inserimento nel lavoro dipendente è molto più frammentato e differenziato nei vari contesti
territoriali. Edilizia, agricoltura, settore turistico alberghiero e della ristorazione insieme a una
gamma di attività diversificate nel basso terziario costituiscono i principali ambiti di inserimento
lavorativo.
Una parte dell’immigrazione maschile opera nel settore edilizio: si tratta, secondo una delle persone
intervistate a Roma, prevalentemente degli uomini già presenti in Italia da diversi anni, che
lavorano come muratori e sono ben pagati. La presenza in questo settore è diffusa in tutto il
territorio regionale, nei grandi come nei piccoli centri. Gli unici dati di cui disponiamo riguardano
Roma. Tra l’ottobre 2000 e il settembre 2001 risultavano presso la Cassa edile di Roma 292
lavoratori africani: non sono disponibili i dati sul paese di provenienza ma non è azzardato supporre
che molti di questi fossero nord-africani. D’altra parte, secondo un recente rapporto Fillea CGIL, tra
i 500 lavoratori che si sono rivolti allo sportello vertenze di Roma tra l’ottobre 2002 e il febbraio
2003, in maggioranza costituiti da lavoratori rumeni e ucraini, figurano anche giovani marocchini e
tunisini di età compresa tra i 25 e i 30 anni. (Fillea-CGIL, 2003). A Latina, secondo uno degli
operatori che lavora presso lo sportello Anolf del capoluogo, l’inserimento di lavoratori tunisini e
marocchini nell’edilizia è avvenuto soprattutto dopo il 1996: i primi operano come muratori, i
secondi prevalentemente come manovali. Anche nella provincia di Frosinone la presenza di
immigrati tunisini nel settore ci è stata confermata dall’operatore Anolf della città.
Lavoratori marocchini e tunisini operano anche nel settore turistico alberghiero e della ristorazione
(bar, ristoranti, pizzerie) nelle zone del litorale e nella capitale. Questo settore è del resto quello in
cui si è registrata negli ultimi anni la più alta domanda di lavoro (Birindelli 2002, Caritas/Dossier
Statistico Immigrazione 2003). Le mansioni sono molto diversificate e dipendono dal livello di
qualificazione professionale. Accanto alle mansioni meno qualificate (bagnini, lavapiatti, camerieri)
gli immigrati marocchini e tunisini più giovani e qualificati ricoprono ruoli di responsabilità in
agenzie turistiche e nei grandi alberghi. Le iniziative mirate di formazione e qualificazione
promosse sia nei paesi di origine sia nel Lazio hanno favorito un migliore inserimento in questo
settore.
Nei centri urbani ci sono poi una molteplicità di attività di servizio che vedono una presenza
diffusa: dalle attività di facchinaggio e di magazzino nella grande distribuzione, ai servizi di pony
express, dai lavori nelle piccole ditte di manutenzione (caldaie, elettricisti, meccanici, carrozzieri) ai
benzinai e ai servizi di autolavaggio, fino alla vendita dei grandi quotidiani per strada e alle attività
di autotrasporto. Si tratta di attività in cui il lavoro nero è molto diffuso e spesso lavoro regolare e
irregolare si sovrappongono con contratti che coprono solo una parte del lavoro svolto.
Nella zona dei castelli romani e di Pomezia sono stati inoltre verificati alcuni casi di lavoratori
marocchini inseriti nelle fabbriche tessili e di vernici, nelle ditte di lavorazione del legno e in
cooperative addette allo smaltimento dei rifiuti. Ma si tratta di casi sporadici e poco rappresentativi.
Più significativa è invece la presenza di lavoratori sia tunisini che marocchini e algerini in
agricoltura nell’agro-pontino: lavorano come braccianti in agricoltura, nelle aziende florovivaistiche
e in quelle agro-alimentari. In queste ultime lavorano anche delle donne. Secondo una delle persone
intervistate, il trattamento di lavoro in quest’ultimo settore è molto buono, tanto da far sì che alcuni
nuclei familiari che si erano trasferiti al Nord negli anni ’90, sono tornati recentemente a Latina e si
sono di nuovo inserite nel settore.
La presenza di circa 200 lavoratori tunisini nel settore della pesca ad Anzio rappresenta un vero e
proprio caso di specializzazione “etnica”: lavorano come pescatori, in piccole barche che hanno un
equipaggio composto al massimo da quattro, cinque persone. In alcuni casi sono proprietari della
12
barca nella quale lavorano, sebbene la legge italiana impedisca loro di capitanarla. Si tratta di
immigrati che risiedono da lungo tempo sul litorale laziale e che si sono fatti raggiungere dalle
proprie famiglie.
Sin qui si è parlato dell’inserimento lavorativo dell’immigrazione maghrebina più antica,
caratterizzata da un livello basso di qualificazione professionale. Ma gli immigrati che sono arrivati
più recentemente sono in media più giovani, presentano un grado più elevato di istruzione rispetto
al passato e sono meno disponibili ad inserirsi in fasce del mercato del lavoro poco qualificate.
Secondo l’operatore Anolf di Latina, sono oramai presenti nel Lazio diversi immigrati marocchini
laureati in ingegneria e in informatica che lavorano presso aziende anche molto grandi in posizioni
molto qualificate, nonostante non siano riusciti ad ottenere il riconoscimento del titolo di studio:
l’inquadramento in azienda è inferiore rispetto alla loro qualifica ma le retribuzioni risultano
comunque molto buone e non differenziate rispetto a quelle dei lavoratori italiani. Il rappresentante
di un’associazione tunisina di Roma ha parlato invece di infermieri e operai specializzati, inseriti in
fabbriche tessili e meccaniche nel Lazio, ma anche in altre regioni, dopo aver seguito un corso di
formazione in Tunisia grazie a un progetto finanziato dalla regione Lazio. In effetti, secondo le
persone intervistate, oltre che dalla segmentazione del mercato del lavoro, il principale ostacolo ad
un inserimento professionale qualificato è costituito dall’estrema difficoltà nell’ottenere il
riconoscimento del titolo di studio, difficoltà che è ad esempio molto inferiore in Francia, paese da
cui sia la Tunisia che il Marocco hanno ereditato il sistema scolastico, molto diverso da quello
italiano. Insieme a questo un’ulteriore ostacolo è costituito dalla lingua. L’inserimento professionale
qualificato richiede una conoscenza della lingua italiana molto elevata che la maggior parte degli
immigrati maghrebini, soprattutto della prima generazione, non è riuscito a raggiungere: la necessità
di lavorare subito e il più possibile per garantirsi la sopravvivenza ha impedito ai più di dedicare un
adeguato periodo di tempo alla formazione linguistica.
Gli uomini maghrebini sono quasi del tutto assenti dal lavoro domestico e di cura, settore in cui
invece operano le donne. La visione tradizionale in base alla quale le donne maghrebine non
lavorano e si occupano esclusivamente della cura della propria famiglia è stata nel corso della
indagine sul campo più volte messa in discussione sia nei capoluoghi di provincia, sia nelle località
minori. Sebbene le interviste svolte nel corso della ricerca abbiano confermato la permanenza di un
forte condizionamento della cultura di appartenenza, secondo la quale la funzione sociale principale
della donna è quella riproduttiva, l’inserimento nel mercato del lavoro è risultato più diffuso rispetto
al passato. L’occupazione più ricorrente è quella della collaborazione domestica presso le famiglie:
le caratteristiche del mercato del lavoro sopra evidenziate tendono del resto a confinare una larga
parte del lavoro immigrato femminile in questo ambito. Ma differentemente da quanto accade ad
esempio per le donne filippine e ucraine, le donne marocchine e tunisine preferiscono lavorare a
ore: questo tipo di inserimento permette loro di conciliare la necessità di integrare il reddito del
coniuge con la cura della propria famiglia, almeno nei casi in cui non vi siano bambini troppo
piccoli da accudire.
Se il settore dei servizi alla persona è quello in cui risultano maggiori inserimenti in tutto il
territorio regionale, a Latina diverse donne maghrebine lavorano in fabbrica, come sarte e come
commesse nei supermercati e a Roma è stata confermata la presenza di donne algerine e tunisine
con un elevato livello di istruzione che lavorano come giornaliste, ricercatrici e nel mondo dello
spettacolo.
Per chiudere su questo punto, possiamo dire che, a differenza del passato, l’immagine stereotipata
della donna casalinga, di basso livello di istruzione e incapace di parlare la lingua italiana sembra
poco adeguato a descrivere la realtà dell’immigrazione maghrebina femminile nel Lazio, oggi molto
più complessa e differenziata rispetto al passato, sebbene prevalga ancora in tutte e tre le comunità
maghrebine il numero di donne che non lavorano.
13
3.4 Emersione dal lavoro irregolare con le ultime regolarizzazioni
Come abbiamo visto, la maggior parte degli immigrati marocchini e tunisini è arrivata nel Lazio
nella seconda metà degli anni ‘80 e ha potuto ottenere il permesso di soggiorno grazie ai
provvedimenti di regolarizzazione del 1986 e del 1990. Le sanatorie successive del 1995 e del 1998
hanno coinvolto in misura minore immigrati maghrebini che operavano nell’edilizia, in agricoltura
e nel basso terziario. La diminuzione dei flussi migratori provenienti dal Maghreb registrata negli
ultimi anni, anche a causa dei maggiori controlli sull’immigrazione illegale effettuata nei paesi di
origine, e la maggiore capacità di attrazione esercitata dal mercato del lavoro del Nord Italia hanno
contribuito a ridimensionare notevolmente i nuovi arrivi e il numero di immigrati marocchini e
tunisini sprovvisti di permesso di soggiorno presenti nella regione. Non sono ancora disponibili i
dati relativi all’esito del provvedimento di regolarizzazione predisposto dopo l’entrata in vigore
della legge 89/2002, ma secondo gli interlocutori intervistati a Roma, Latina e Frosinone il numero
di domande riguardanti immigrati maghrebini risulterà molto inferiore, in termini relativi, rispetto al
passato. D’altra parte nel corso di una ricerca svolta recentemente dall’IRRPS-CNR per conto del
Comune di Roma sono stati analizzati i dati relativi alle vertenze di lavoro presentate da immigrati i
cui datori di lavoro non hanno presentato istanza di regolarizzazione seguite da tre sportelli di
assistenza legale della capitale (IRPSS-CNR, 2003). Solo uno sportello, quello della Fillea-CGIL
che ha seguito 500 vertenze nel settore edilizio, ha seguito un numero, per altro bassissimo, di
vertenze presentate da lavoratori edili marocchini.
3.5 Il lavoro atipico ed interinale degli immigrati
Da quanto sopra illustrato e come vedremo meglio nel paragrafo successivo, i settori in cui la
maggior parte dei lavoratori maghrebini riescono a collocarsi sono caratterizzati, sia pure con
modalità diverse, da un’alta presenza di lavoro al nero e da forme di lavoro atipico intendendo con
questo termine non tanto le forme di lavoro interinale, quanto i contratti di lavoro a tempo
determinato o part-time. Il lavoro interinale nel Lazio privilegia infatti prevalentemente settori del
medio e alto terziario che richiedono un livello di qualificazione elevato e nei quali i lavoratori
maghrebini, come la maggior parte degli immigrati, non riescono ad inserirsi. L’analisi dei dati di
due tra le principali agenzie di lavoro interinale presenti a Roma (Adecco e Manpower) ha
evidenziato che i due settori lavorativi in cui esiste una forte richiesta di manodopera immigrata e in
cui le due agenzie hanno effettuato delle missioni sono quello turistico-alberghiero e della
ristorazione e quello dei servizi di pulizia. Lavoratori marocchini e tunisini sono stati collocati nel
primo settore, non nel secondo. Ma il settore turistico e alberghiero e della ristorazione è anche
quello in cui sono diffusi contratti a termine e contratti “week-end” in funzione dell’oscillazione
della domanda di lavoro nel corso dell’anno o della settimana. La prima forma è molto utilizzata sul
litorale laziale dove il lavoro è prevalentemente stagionale; la seconda nei locali della ristorazione
della capitale.
Lavoro atipico e lavoro nero si sovrappongono nel settore agricolo, dove i contratti di lavoro a
tempo determinato nascondono una parte di lavoro svolto al nero e sottopagato, e nel settore della
pesca ad Anzio, dove invece prevale il contratto part-time.
I contratti di collaborazione occasionale, in genere di 6 mesi, sono usati dalle agenzie che
organizzano la vendita per strada dei quotidiani. In edilizia più che il lavoro atipico prevale il lavoro
nero, anche in questo caso nella forma spuria oppure sovrapposto ai contratti di lavoro regolare.
3.6 Salari e condizioni di lavoro
L’edilizia e l’agricoltura, in cui opera ancora oggi una buona parte degli immigrati maghrebini nel
Lazio, sono due settori di lavoro caratterizzati da una grande diffusione del lavoro nero e da un alto
livello di precarietà. L’elevato grado di destrutturazione del mercato del lavoro, l’assenza di
controlli dentro e fuori i cantieri, la pratica diffusa dei subappalti, le modalità di reperimento della
manodopera che passano ancora oggi attraverso la pratica del caporalato, fanno sì che quello
edilizio sia uno dei settori in cui il livello di sfruttamento del lavoro e l’impiego di manodopera al
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nero sono più alti. Come accennato in precedenza, il settore edile si caratterizza come uno dei canali
di primo inserimento lavorativo in cui l’ampio utilizzo di lavoro nero permette l’impiego di
lavoratori appena arrivati privi di permesso di soggiorno. I lavoratori maghrebini sono stati tra i
primi immigrati a operare in questo settore nei primi anni ’90. L’inserimento lavorativo in questo
ambito avviene ancora oggi, ma a differenza dei lavoratori dell’est, che vengono reclutati dai
caporali lungo le strade consolari e nei pressi degli “smorzi”, passa prevalentemente attraverso il
passaparola interno alle comunità e i contatti personali. Le interviste hanno evidenziato che esiste
una differenziazione salariale sia su base etnica che a seconda del tipo di rapporto di lavoro. I
lavoratori maghrebini, in Italia da più tempo e più stabilizzati, sono meno disposti allo sfruttamento.
Le retribuzioni percepite variano a seconda delle qualifiche: i manovali guadagnano in media tra i
40 e i 50 euro al giorno se sono regolarmente assunti, tra i 30 e i 35 euro al giorno se lavorano al
nero; il salario medio dei muratori varia tra i 60 e i 75 euro giornalieri per i lavoratori dipendenti, è
più basso per gli irregolari. Il confronto tra questi valori e quelli riscontrati nel corso di un’altra
ricerca svolta recentemente (Pugliese 2003) sembra confermare la disparità di trattamento esistente
tra lavoratori maghrebini e lavoratori dell’Est, in particolare rumeni e ucraini, denunciata da diversi
interlocutori: il campione di lavoratori edili considerato in quella ricerca era costituito infatti
prevalentemente da edili appartenenti a quest’ultime due comunità e i salari medi erano risultati più
bassi, pari a 35-40 euro per i manovali e a 40-50 euro per i muratori.
In sintesi possiamo dire che in edilizia il problema maggiore per i lavoratori maghrebini è quello di
ottenere un regolare rapporto di lavoro e un inquadramento rispondente alla funzione svolta: in
questo caso infatti la retribuzione è buona; ma anche persone che vivono in Italia da anni sono
costrette a cambiare spesso datore di lavoro e a lavorare, almeno parzialmente, al nero.
In agricoltura le condizioni di lavoro sono altrettanto precarie, la domanda di lavoro varia a seconda
dei periodi dell’anno, scandita dai tempi di coltivazione e di raccolta: i picchi corrispondono con la
potatura delle viti e degli ulivi, la raccolta delle olive, dell’uva e dei kiwi in settembre-ottobre; la
coltivazione orto-frutticola in maggio-giugno, la raccolta dei cocomeri, dei meloni e dei pomodori
in estate. E’ dunque molto diffuso il lavoro a tempo determinato e stagionale, anche se l’utilizzo
della coltivazione in serra ha spalmato maggiormente che nel passato la domanda di lavoro
nell’arco di tutto l’anno. Secondo un rappresentante della Flai di Pomezia e alcuni lavoratori
agricoli tunisini, i datori di lavoro agricoli abusano dell’indennità di disoccupazione agricola per
riequilibrare il salario. In occasione dei conteggi fatti dal sindacato per i lavoratori che richiedono
l’indennità risulta infatti molto spesso che il datore di lavoro denuncia il numero minimo di giornate
lavorative, necessario per richiedere la disoccupazione, anche se le giornate effettive di lavoro sono
di più. Oltre a questo escamotage, l’abbassamento del costo del lavoro avviene anche in questo caso
impiegando manodopera al nero. Il salario reale oscilla tra i 4, 30 e i 4,50 euro l’ora, ma per
contratto il minimo dovrebbe essere di 7 euro.
Simili per certi versi le condizioni di lavoro dei pescatori tunisini di Anzio: secondo un
rappresentante della CGIL del luogo, in questo caso tutti i lavoratori sono assunti regolarmente
perché i controlli della capitaneria di porto sono frequenti. Ma quasi tutti hanno un contratto di
lavoro per 4 ore mentre ne lavorano 8. Un tentativo di sindacalizzazione da parte della CGIL è
fallito dopo due riunioni: i capitani delle barche sono riusciti a impaurire i pescatori che si sono
tirati indietro per timore di perdere il posto.
3.7 Tutela del lavoro e sindacati
E’ stato recentemente rilevato come, parallelamente al processo di stabilizzazione
dell’immigrazione in Italia e alla crescita dell’inserimento degli immigrati nel mercato del lavoro
regolare, sia cresciuto anche il livello della loro sindacalizzazione (Mottura 2000, 2002). Ciò è
avvenuto in maggiore misura nelle regioni del Nord e in alcune aree del centro Italia dove il tessuto
produttivo è caratterizzato da una forte presenza di medie e piccole imprese. Ma il modello
economico laziale è, come abbiamo visto molto diverso: nel 2002 il 76,7% degli occupati operava
15
nel terziario, il 19,9% nell’industria, per il 7,7% nell’edilizia, e il 3.3% in agricoltura. La debolezza
del tessuto industriale fa si che i lavoratori stranieri si inseriscano in segmenti del mercato del
lavoro in cui la penetrazione delle organizzazioni sindacali è tradizionalmente difficile: lavoro nero,
contratti atipici, elevata dispersione in piccole aziende, spesso caratterizzate da un’elevata mobilità,
e utilizzo del lavoro stagionale non favoriscono la sindacalizzazione dei lavoratori, altamente
ricattabili dai datori di lavoro nel settore turistico alberghiero e della ristorazione, nell’edilizia e in
agricoltura. Un’esatta valutazione del livello di sindacalizzazione è molto difficile in assenza di dati
sugli iscritti immigrati alle principali organizzazioni sindacali disaggregati per regione e per
provincia, tanto meno è possibile verificare con esattezza quanti siano gli iscritti maghrebini e in
quali categorie. Gli unici dati disponibili sono quelli della Cisl e dell’associazione di tutela ad essa
collegata Anolf che in ogni caso non disaggregano i dati per nazionalità. I primi risultano al
dicembre 2002 11.830 concentrati a Roma (61%) e a Latina (25%). I secondi sono 3770, ma a
differenza degli iscritti al sindacato, si concentrano nella maggior parte a Latina (66%). Sebbene
l’Anolf sia formalmente una struttura esterna alla Cisl, la considerazione dei suoi iscritti è
significativa in quanto nei fatti essa è molto legata alla struttura sindacale che per scelta
organizzativa ha delegato a una associazione esterna le attività di tutela e di assistenza legale. Ed è
proprio attraverso questo tipo di attività che nel Lazio passa l’avvicinamento tra immigrati e
organizzazioni sindacali. I numerosi sportelli informativi territoriali costituiscono infatti dei punti di
riferimento per i lavoratori interessati a regolarizzare la propria posizione sul soggiorno o sul
lavoro. E ciò vale anche per le altre organizzazioni sindacali. Nel caso della Cgil gli sportelli sono
interni all’organizzazione distribuiti nelle Camere del lavoro territoriali: i Centri Lavoratori
Stranieri Immigrati (CELSI) svolgono orientamento e assistenza legale per le pratiche sul permesso
di soggiorno e attività di segretariato sociale, mentre le consulenze sul lavoro (conteggi, controllo
buste paga, richieste di indennità di disoccupazione e cause contro i licenziamenti) vengono seguite
dagli uffici vertenze: gli utenti stranieri di questi ultimi sono, non casualmente, lavoratori edili e
collaboratrici familiari. I problemi maggiormente riscontrati tra gli utenti regolarmente occupati
riguardano la mancata garanzia delle ferie, orari di lavoro superiori a quelli dichiarati e
l’inquadramento inferiore a quello effettivo. Nel caso dei lavoratori edili sono particolarmente
ricorrenti i problemi legati agli incidenti sul lavoro. E’ del resto significativo che l’unico dato
riguardante gli immigrati iscritti alla CGIL che siamo riusciti ad ottenere è quello relativo agli
iscritti alla FILLEA che nel 2003 risultavano 4750 in tutto il Lazio di cui 3526 a Roma.
La sindacalizzazione dei lavoratori immigrati sui luoghi di lavoro sembra invece ancora debole: già
si è detto del tentativo fatto dalla CGIL tra i pescatori di Anzio, ma anche in agricoltura la
situazione non è molto diversa. Secondo il responsabile della FLAI di Pomezia negli ultimi anni le
difficoltà organizzative, dovute all’accorpamento in un unico sindacato dei lavoratori agricoli e di
quelli dell’industria alimentare, hanno indebolito la capacità di penetrazione del sindacato in un
settore parcellizzato per eccellenza in piccole aziende. D’altra parte nel settore edilizio la presenza
di una grande offerta di lavoro sul mercato rende i lavoratori particolarmente ricattabili: la paura di
perdere il posto di lavoro scoraggia qualsiasi tentativo di rivolgersi al sindacato. Del resto è
significativo che secondo un recente rapporto della Fillea, in edilizia ancora più che negli altri
settori, i datori di lavoro che hanno presentato domanda di regolarizzazione hanno scaricato sui
lavoratori i costi della contribuzione decurtando parte dello stipendio.
In questo contesto non stupisce che i delegati sindacali immigrati nel Lazio siano pochi così come
decisamente scarsa è la presenza di immigrati negli organici sindacali.
4 Inserimento nella società
4.1 Condizioni abitative
L’accesso all’alloggio è uno degli aspetti più problematici dell’inserimento sociale degli immigrati
maghrebini. Tutte le persone intervistate a Roma, a Latina, a Anzio e a Frosinone hanno definito la
16
questione abitativa come una vera e propria emergenza e uno dei motivi principali che inducono gli
immigrati maghrebini a spostarsi nei piccoli centri dove gli affitti sono più bassi e la concentrazione
di popolazione è minore. In effetti il disagio abitativo costituisce uno dei problemi endemici della
capitale, che ormai sta interessando anche gli altri comuni capoluogo di provincia, e non è un
problema esclusivo degli immigrati maghrebini. L’inadeguatezza delle politiche di edilizia pubblica
e la crescita esponenziale degli affitti rende difficile trovare una casa in affitto non solo a tutti i
cittadini immigrati, ma anche ai cittadini italiani che non hanno le risorse necessarie per acquistare
una casa. Ciò ha fatto sì che nelle città, e in modo più evidente nella capitale, siano nati due mercati
immobiliari paralleli che riservano ai cittadini immigrati gli alloggi più precari e marginali e al
tempo stesso gli affitti più alti.
Gli immigrati maghrebini, come si è accennato, hanno risposto, nel corso degli anni, a questa
emergenza in modi diversi: accettando di vivere in più persone nello stesso alloggio, spesso in
condizioni di sovraffollamento; spostandosi dalla capitale verso i piccoli centri oppure partecipando
alle occupazioni di alcuni stabili promosse da alcune organizzazioni locali. Naturalmente la scelta
della soluzione abitativa è correlata anche al tipo di esigenze individuali che sono mutate nel corso
del tempo. Se la domanda abitativa fino ai primi anni ’90 privilegiava la richiesta di forme di
accoglienza, capaci di soddisfare le esigenze di un’immigrazione ancora prevalentemente
individuale, l’avvio di ricongiungimenti familiari e la crescita dei nuclei familiari hanno
determinato l’aumento della domanda di soluzioni abitative stabili, domanda a cui le politiche
abitative locali non sono state capaci di dare risposta. Per quanto riguarda la prima fase a Roma è
storico il caso della Pantanella, in cui 200 tunisini e 300 marocchini trovarono alloggio in un ex
pastificio, dove si rifugiarono complessivamente 800 immigrati, tra il 1989 e il 1991. Dopo lo
sgombero della Pantanella, negli anni 1992-1993 molti di questi immigrati si trasferirono nella
baraccopoli di Tor Sapienza, alla periferia di Roma, e poi, nel 1994-1995, nella zona di Centocelle,
in un altro agglomerato di baracche in via del Posidone. Ma alla metà degli anni ’90 molti degli
immigrati maghrebini alloggiati in queste aree iniziarono a ricongiungersi con le proprie famiglie:
la convivenza in strutture fatiscenti e sovraffollate, in pessime condizioni sanitarie divenne sempre
più insostenibile con l’arrivo delle donne e dei bambini. Circa 70 famiglie maghrebine di via del
Posidone decisero quindi di occupare alcune case a Ostia, altre riuscirono ad ottenere
l’assegnazione di case popolari fuori Roma a Col Fiorito, Anzio, Cerveteri, Dragoncello.
Ancora oggi le condizioni abitative variano a seconda delle singole situazioni individuali: a Roma
ma anche sul territorio di Latina e di Frosinone gli uomini maghrebini soli vivono in gruppo in una
stessa abitazione per abbattere i costi dell’affitto. Che il disagio abitativo caratterizzi ancora oggi
l’immigrazione individuale maghrebina è del resto confermato dal fatto che nelle occupazioni di
alcuni stabili promosse dall’associazione Action nelle zone di Piramide, San Giovanni e Cinecittà
sono presenti diversi immigrati maghrebini. D’altra parte non sempre il consolidamento del
progetto migratorio e la riunione familiare consentono la ricerca di un’abitazione autonoma: nella
provincia di Frosinone, ci è stata indicata la convivenza di diversi nuclei familiari marocchini nella
stessa abitazione, perché il prezzo degli affitti è troppo alto. D’altra parte l’inserimento lavorativo
delle donne maghrebine è ancora limitato: laddove la donna è casalinga la riunione familiare non
comporta un aumento del reddito familiare e non facilita l’inserimento abitativo autonomo.
L’estrema diversificazione delle condizioni di inserimento economico e sociale non permette d’altra
parte di operare delle generalizzazioni: ad esempio una delle persone intervistate ha affermato che
non mancano nel Lazio casi di famiglie tunisine e marocchine che sono riuscite ad acquistare
l’abitazione. Certo la mancanza di politiche di edilizia pubblica incisive non facilita l’inserimento
abitativo: a Latina, ad esempio, solo un immigrato ha ottenuto una casa popolare e sono state
abbattute recentemente alcune case in cui abitavano cittadini marocchini da più di 10 anni senza
predisporre soluzioni abitative alternative. Secondo diversi interlocutori, trovare casa è divenuto più
difficile dopo l’11 settembre: è sempre più frequente il rifiuto delle agenzie immobiliari di svolgere
attività di mediazione tra proprietari e immigrati maghrebini. A Latina la situazione è peggiorata
17
ulteriormente dopo che l’unica struttura di accoglienza (Al Kharama), con 20 appartamenti, è stata
chiusa dopo appena un anno di attività.
4.2 Accesso ai servizi
L’assenza di un sistema di servizi all’immigrazione efficiente e integrato è una carenza più volte
rilevata nel corso delle interviste così come l’insufficiente garanzia dei diritti sociali formalmente
garantiti dalla legge, soprattutto tra quegli immigrati marocchini e tunisini che vivono da più tempo
nella regione. Il carattere “maturo” di buona parte dell’immigrazione maghrebina nel Lazio fa si che
da un lato gli immigrati siano consapevoli dei propri diritti sociali, dall’altro conoscano i limiti delle
politiche pubbliche territoriali e si rivolgano alle strutture del privato sociale che di volta in volta
possono supplire alle carenze dei servizi pubblici. D’altra parte va considerato che la grande
capacità attrattiva del polo romano-laziale rende particolarmente complesso predisporre servizi di
orientamento sociale e lavorativo capaci di rispondere ai bisogni della popolazione straniera. Ciò
ancor più in un contesto nel quale le stesse politiche del welfare “tradizionale” sono soggette a una
costante erosione a causa della riduzione delle risorse pubbliche ad esse destinate dai bilanci statali
(Accorinti 2003, Sbilanciamoci 2003).
In sostanza per valutare il livello di accesso degli immigrati maghrebini ai servizi sociali, è
necessario distinguere tra servizi del welfare “pesante” (sistema sanitario e scolastico, assistenza
sociale, edilizia residenziale pubblica) e servizi erogati dalle organizzazioni di terzo settore.
Per quanto riguarda i diritti e i servizi che sono formalmente garantiti dal sistema pubblico,
l’accesso ai servizi sanitari e l’inserimento scolastico dei bambini non presentano particolari
problemi.
Per quanto riguarda la salute, la legge garantisce le cure di pronto soccorso e di emergenza anche a
coloro che sono privi di permesso di soggiorno, mentre i diritti sanitari dei soggiornanti sono
equiparati a quelli dei cittadini italiani. Tuttavia negli ultimi mesi le Questure hanno ritardato il
rinnovo dei permessi di soggiorno (l’attesa media per un rinnovo oscilla tra i 9 e i 12 mesi) a causa
del maggior carico di lavoro comportato dal provvedimento di regolarizzazione in corso e gli
immigrati con il permesso di soggiorno scaduto hanno incontrato maggiori difficoltà nell’accesso ai
servizi sanitari che non rientrano nella prima emergenza. L’iscrizione al Servizio Sanitario
Nazionale scade infatti alla scadenza del permesso di soggiorno, a meno che l’immigrato non
provveda a esibire la documentazione che comprova la richiesta di rinnovo (art. 42 Regolamento di
attuazione del T.U. 286/98). Sempre in materia di salute esistono poi delle criticità che riguardano
l’accesso delle donne ai servizi, connesse più alla loro formazione culturale che ai limiti dei servizi
stessi, criticità che potrebbero essere meglio affrontate con una più diffusa presenza di mediatori e
mediatrici culturali presso i servizi sanitari.
L’inserimento scolastico dei bambini maghrebini, come abbiamo già accennato, non sembra invece
rivelare nessuna complicazione.
Più problematici risultano l’accesso all’edilizia residenziale pubblica e il godimento di alcune
agevolazioni assistenziali. Nel primo caso le ragioni sono di ordine strutturale: l’edilizia sociale nel
territorio laziale è assolutamente insufficiente a coprire la domanda, autoctona o straniera che sia;
nel secondo caso la garanzia di alcuni diritti sociali (ad esempio il diritto ad ottenere l’assegno di
maternità o l’assegno sociale) è legata al possesso della carta di soggiorno il cui ottenimento
richiede il possesso di requisiti che non sempre gli immigrati maghrebini sono in grado di
dimostrare. Gli operatori di alcuni servizi legali (Progetto diritti, Celsi CGIL, Senzaconfine di Roma
e Cgil di Anzio) hanno infatti evidenziato che, soprattutto tra gli ambulanti marocchini, risultano
maggiori difficoltà nel dimostrare di avere il reddito sufficiente richiesto dalla legge per ottenere la
carta di soggiorno.
I servizi che sono destinati a rispondere alle esigenze specifiche dei cittadini stranieri, connesse alla
loro condizione di immigrati, sono invece svolti prevalentemente dalle organizzazioni di terzo
settore (volontariato, cooperative sociali, associazioni non profit). In alcuni casi essi vengono
erogati in convenzione con le amministrazioni locali (ciò avviene soprattutto per quanto riguarda la
18
prima accoglienza), in altri vengono gestiti autonomamente. I principali settori di intervento sono
l’accoglienza, l’orientamento legale e al lavoro, il segretariato sociale e l’erogazione di servizi
ambulatoriali. Il sistema di accoglienza negli ultimi anni è stato destinato per il 90% dei posti
disponibili all’accoglienza dei richiedenti asilo, dunque è stato scarsamente utilizzato dagli
immigrati maghrebini. Mentre, sebbene sia diminuito nel corso degli anni il numero dei nuovi
arrivi, gli immigrati marocchini continuano a rivolgersi ai servizi di orientamento legale per le
problematiche relative al soggiorno (ottenimento e rinnovo) e soprattutto per le richieste di
ricongiungimento familiare. Proprio negli ultimi mesi del 2003 il blocco dei visti per
ricongiungimento familiare da parte del Consolato italiano di Casablanca ha provocato non pochi
problemi agli immigrati marocchini che avevano fatto richiesta.
Secondo alcuni operatori il rapporto di fiducia stabilito al momento dell’espletamento delle pratiche
di regolarizzazione fa si che anche a distanza di tempo gli utenti marocchini tornino a rivolgersi agli
stessi sportelli per lo svolgimento delle pratiche successive, anche quando non presentano nessuna
complicazione. Ciò, sempre secondo gli operatori, deriva anche dalla convinzione diffusa secondo
la quale le normali pratiche sul soggiorno hanno un decorso meno difficile se sono seguite da
operatori legali che hanno un buon rapporto con le Questure.
Il ricorso ai servizi di orientamento lavorativo pubblico e del privato sociale risulta poco diffuso.
L’inserimento nel mercato del lavoro avviene per gli immigrati maghrebini prevalentemente per
contatti personali o interni alle comunità: l’obiettivo è trovare lavoro nel meno tempo possibile. Gli
sportelli di orientamento al lavoro, per la tipologia dei servizi che offrono, presuppongono
un’utenza disponibile a investire tempo nella propria formazione e non sono in grado di offrire una
risposta immediata all’esigenza di trovare un lavoro. L’affluenza a questi servizi è dunque molto
scarsa. Merita però di essere segnalato il caso del centro Welcome, un centro di ascolto per donne
straniere che facilita l’incontro tra domanda e offerta di lavoro nel settore dei servizi alle famiglie.
Tra le donne che si sono rivolte al centro risultano donne maghrebine appartenenti a tutte e tre le
comunità. Ciò da un lato conferma che una parte di queste donne è interessata a lavorare, dall’altro
che c’è una maggiore domanda di servizi che facilitano non l’orientamento, ma l’inserimento nel
mercato del lavoro.
4.3 Bisogni culturali e formativi
Il legame con la cultura di origine e l’indisponibilità di spazi, risorse e strumenti per poter
promuovere iniziative culturali che consentano di valorizzarlo caratterizzano una buona parte della
immigrazione maghrebina nella regione, sebbene stia iniziando ad emergere una differenziazione
dei bisogni culturali tra prima e seconda generazione. L’inadeguatezza e, in alcuni contesti
territoriali, la totale assenza di politiche pubbliche mirate a sostenere la socialità e la promozione di
attività culturali e interculturali è particolarmente denunciata dagli uomini e dalle donne maghrebine
adulti. Essi risentono molto più dei giovani (sia di quelli arrivati più tardi, sia di quelli che sono
cresciuti e in alcuni casi nati in Italia) del venire meno di quelle forme di incontro e di solidarietà
sociale assicurate nella società di origine dalla centralità che la famiglia allargata assume
nell’organizzazione della vita sociale (Kouider 1998). Permane insomma la difficoltà di mantenere
vive le proprie radici culturali e l’esperienza migratoria, in mancanza di spazi e luoghi in cui
ritrovare una dimensione collettiva e costruire un sistema di relazioni con la società autoctona,
provoca un diffuso senso di isolamento e l’affermazione di un modello di “inserimento sociale
separato”, in cui le relazioni con i cittadini autoctoni sono ancora limitate. Ciò vale in modo ancora
più accentuato per le donne, soprattutto per quelle che non lavorano come ha evidenziato, per altro
con l’attenzione ad evitare superficiali generalizzazioni, Maria Immacolata Macioti in una
interessante ricerca sull’immigrazione femminile marocchina nel Lazio (Macioti 2000). Secondo
quanto emerso dalla ricerca sul campo, da questo punto di vista non sembra essere molto diversa la
condizione degli immigrati che vivono nella capitale da quella di coloro che risiedono nelle altre
province e nei centri minori se non per quegli immigrati e quelle immigrate che, grazie alla loro
formazione di partenza, hanno maggiori strumenti culturali a disposizione e conoscono meglio la
19
lingua italiana. In questi casi la metropoli sembra offrire maggiori possibilità di interazione con la
società autoctona.
Il deficit di attività culturali e di socializzazione fa sì che le ricorrenze religiose finiscano con il
rappresentare le principali occasioni di incontro, così come le moschee costituiscono ancora i
principali punti di aggregazione. La partecipazione alle festività di fine Ramadan, ad esempio,
assume una valenza non solo religiosa, ma sociale e culturale, l’occasione per ritrovarsi, mangiare e
fare festa con le musiche e i balli del paese di origine, per rafforzare la propria appartenenza
culturale. E’ forse anche per questi motivi che le poche realtà associative esistenti sul territorio
hanno, come vedremo, la promozione di attività culturali e l’insegnamento della lingua araba come
principali ambiti di intervento.
D’altra parte la preoccupazione che l’esperienza migratoria comporti processi di assimilazione e
omologazione culturale è molto forte e si esprime con particolare riferimento alla educazione dei
bambini e dei ragazzi. Diversi interlocutori hanno sottolineato come il distacco dalla cultura di
origine tra i bambini e tra i giovani sia molto accentuato: l’inserimento nel sistema scolastico
italiano e la maggiore capacità di penetrazione di modelli culturali e sociali propri della società
autoctona favoriscono questa tendenza.1 In più interviste, ad esempio, è stato affermato che i
ragazzi più grandi, di età superiore ai 14 anni, vivono con maggiore insofferenza il ritorno nel paese
di origine anche per periodi brevi di vacanza.
Benché sia sempre difficile trarre osservazioni di carattere generale sui comportamenti sociali e
culturali e sia ancora poco studiata in Italia l’immigrazione di seconda generazione (Andall 2003),
la ricerca sembra rivelare che l’alternativa alla separatezza dell’inserimento sociale e culturale è
ancora oggi prevalentemente rappresentata dall’assimilazione al modello culturale della società di
approdo, al prezzo di una sostanziale rottura con la cultura di appartenenza. Del resto il più alto
livello di inserimento sociale degli immigrati e delle immigrate maghrebine che si sono coniugati
con cittadini autoctoni sembra assecondare questa ipotesi. Tale separatezza rischia di accentuarsi e
di provocare ulteriori processi di ripiegamento all’interno delle singole comunità in occasione di
eventi esterni che stimolano la recrudescenza di rappresentazioni stereotipizzanti nella società di
accoglienza. Tendenze di questo genere sono state riscontrate da alcuni interlocutori intervistati nel
corso della ricerca nel periodo successivo all’11 Settembre 2001: il rifiuto di identificarsi nello
stereotipo dell’immigrato “musulmano integralista e potenziale terrorista”, secondo una donna
algerina intervistata, ha spinto i membri della sua comunità, la più disgregata tra quelle maghrebine,
a riavvicinarsi per confrontarsi su quanto è successo, ma anche a rifugiarsi e a ricercare forme
solidarietà all’interno della comunità per reagire alle campagne mediatiche criminalizzanti. Una
maggiore attenzione a questo tipo di processi da parte degli enti locali e degli attori che operano sul
territorio è senz’altro auspicabile nell’ottica di favorire lo sviluppo di modelli di inserimento sociale
capaci di valorizzare le esigenze culturali delle diverse comunità immigrate e di evitare al tempo
stesso forme di ghettizzazione sociale e culturale.
Sul piano dei bisogni formativi il tipo di domanda non si discosta da quella propria del complesso
della popolazione immigrata. Anche nel Lazio, come per altro è avvenuto nel resto delle regioni
italiane (Zucchetti 2001, Pugliese et alt. 2003), l’offerta formativa ha sino ad oggi privilegiato la
formazione di figure professionali destinate ad essere inserite nelle fasce meno qualificate del
mercato del lavoro. La domanda di lavoro già esistente è stata insomma il parametro di riferimento
principale per la pianificazione degli interventi di formazione professionale mirati a favorire
l’inserimento lavorativo degli immigrati. Per ragioni solo in parte comprensibili, la preoccupazione
prioritaria è stata quella di favorire il loro inserimento nel mercato del lavoro regolare, in quei
settori che esprimono una maggiore domanda di lavoro straniero, a prescindere dal livello pregresso
di istruzione, di competenze e di qualificazione di cui gli immigrati sono titolari. Se è vero che
l’immigrazione maghrebina è caratterizzata da un livello medio di istruzione più basso rispetto a
quello di altre comunità presenti sul territorio, gli immigrati arrivati dopo la metà degli anni ’90
1
Preoccupazioni di questo tipo sono state riscontrate anche da Annamaria Persichetti in una recente pubblicazione
(Persichetti 2003).
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sono in media più qualificati e possiedono delle competenze che potrebbero essere valorizzate con
opportuni interventi di riqualificazione professionale e con la predisposizione di servizi che
facilitino il riconoscimento dei titoli di studio acquisiti nel paese di origine. Solo a titolo
esemplificativo, nel corso della ricerca è stata riscontrata direttamente o attraverso la realizzazione
di interviste la presenza di donne algerine laureate in sociologia, uomini marocchini laureati in
medicina, in ingegneria, in informatica e in legge, uomini tunisini laureati in storia, in lettere e in
agraria. Ma al di là degli interventi di formazione per mediatori culturali (o interculturali), nessuna
attività specifica è stata promossa sul territorio per favorire l’inserimento degli immigrati nei
circuiti della formazione qualificata ordinaria. Più che di predisporre politiche formative per “gli
immigrati”, si tratta di facilitare la loro partecipazione ai corsi di formazione che già esistono ma
che sono frequentati solo da cittadini italiani, magari avendo cura di coinvolgere le associazioni e le
comunità presenti nel territorio nella pianificazione e nella gestione degli interventi e prevedendo
moduli di insegnamento della lingua italiana specificamente mirati al tipo di figura professionale
che si intende formare. Quest’ultima osservazione sembra tanto più rilevante nel caso
dell’immigrazione maghrebina: più interlocutori tra quelli interpellati nel corso della ricerca hanno
individuato nel deficit di conoscenza della lingua italiana uno degli ostacoli principali
all’inserimento professionale qualificato.
Sul piano linguistico esiste poi non una domanda, ma sicuramente un deficit di conoscenza della
lingua italiana tra le donne marocchine e tunisine non occupate (non tra quelle algerine) e tra gli
uomini che ancora oggi svolgono l’ambulantato per strada. Tale deficit non è spiegabile con la
mancanza di offerta formativa: i corsi di formazione linguistica sia pubblici che organizzati dal
volontariato sociale sono molteplici e diffusi su tutto il territorio regionale. Nel primo caso la scarsa
interazione con la società autoctona non genera il bisogno e la volontà di imparare la lingua italiana:
l’assenza di una domanda espressa non significa però che non vi sia lo spazio per politiche attive
che, anche attraverso opportuni interventi di socializzazione, incoraggino l’inserimento sociale e
l’uscita dall’isolamento che caratterizza ancora molte donne maghrebine.(Macioti 2000)
Nel caso degli ambulanti la tendenza più diffusa è quella di imparare le parole fondamentali che
servono per garantirsi la sopravvivenza e vendere i propri prodotti: per chi fa un lavoro pesante ed
ha come obiettivo prioritario vendere il più possibile, l’investimento del proprio tempo nella
formazione linguistica è un lusso che non si può permettere. Non è un caso che anche la maggior
parte dei venditori ambulanti pakistani e bengalesi abbia in media una scarsa conoscenza
dell’italiano, che è nulla nel caso degli ambulanti cinesi ma per motivazioni in parte diverse.
4.4 Associazionismo e centri di aggregazione
Una ricerca realizzata agli inizi degli anni ’90 individuava nel grado di instabilità, nella grande
mobilità geografica e nel fatto che erano allora le comunità più soggette a controlli di tipo
amministrativo da parte delle autorità italiane, le cause della scarsa propensione della comunità
tunisina e marocchina a darsi forme di rappresentanza stabili (Carchedi e Caputo 1992). Allora nel
Lazio era stata registrata la presenza di un’unica associazione di immigrati nord-africani costituita,
nel suo gruppo promotore, da giovani marocchini e tunisini.
Almeno sulla carta oggi risultano presenti nel territorio laziale diverse associazioni maghrebine, sia
nella capitale che nel resto della regione. A Roma risultano un’associazione di immigrati nordafricani, un’associazione marocchina, un’associazione e un centro socio-culturale tunisini collegati
al consolato, un’associazione algerina sostenuta dal consolato e una neonata associazione di donne
marocchine. Nella provincia di Roma operano un’associazione di immigrati marocchini ad Ardea,
due associazioni di immigrati marocchini e tunisini a Campagnano e un’associazione di amicizia
Italia-Marocco a Monterotondo, un’associazione di immigrati tunisini a Aprilia. A Frosinone
operano due associazioni marocchine e due maghrebine e un’associazione culturale islamica.
21
Associazioni di tunisini sono presenti a Latina e a Nettuno. Apparentemente dunque la situazione
sembrerebbe molto diversa da quella riscontrata dieci anni fa.
In realtà la ricerca sul campo corregge nella sostanza l’impressione che si potrebbe ricavare avendo
come unica fonte di informazione gli elenchi delle associazioni delle pubbliche amministrazioni.
Tutti gli interlocutori intervistati hanno affermato che molte associazioni esistono solo sulla carta e
l’opinione prevalente è quella che considera l’immigrazione maghrebina ancora molto disgregata e
incapace di creare forme organizzate stabili e durature. In particolare a Roma il livello di attivismo
e di aggregazione sarebbe addirittura inferiore rispetto a quello esistente nei primi anni ’90: nessuna
delle associazioni presenti nella capitale sembra costituire un vero e proprio punto di riferimento, né
a livello comunitario né a livello maghrebino. La dispersione dei lavoratori maghrebini in diversi
comparti del mercato del lavoro, soprattutto nella capitale, è uno dei fattori che almeno in parte può
spiegare l’estemporaneità di forme associative che nascono e muoiono con grande facilità. Questa
ipotesi sembra confermata dal fatto che le associazioni nate nei piccoli centri, dove la dispersione
geografica e lavorativa è inferiore, godono di maggiore salute.
Sicuramente non irrilevanti sono anche i processi di mobilità che hanno coinvolto questa
componente dell’immigrazione sia all’interno che all’esterno della regione. Tuttavia la
stabilizzazione degli ultimi anni induce a non ritenere sufficienti questi argomenti. Nel corso delle
interviste è stata riconosciuta una maggiore rilevanza al fatto che i governi e le ambasciate dei paesi
di provenienza hanno aumentato il controllo sull’immigrazione marocchina e tunisina. Le forme di
questo controllo sono diversificate e comprendono anche il sostegno alla costituzione di
associazioni legate alle ambasciate e l’erogazione di alcuni servizi miranti a consolidare i legami
con il paese di origine. Ciò, sempre secondo quanto appreso dalle interviste, scoraggerebbe la
costituzione di forme organizzate che svolgano attività al di fuori dell’ambito religioso e culturale.
Non bisogna sottovalutare il fatto che, sebbene in anni recenti il governo marocchino e quello
tunisino abbiano tentato di legittimarsi a livello internazionale ostentando processi di
democratizzazione, si tratta comunque di paesi nei quali la libertà di espressione non gode
certamente di una grande tradizione e buona parte delle strutture organizzate della società civile
sono filo-governative. La paura di esporsi a ritorsioni da parte delle autorità del proprio paese e la
conseguente diffidenza reciproca inducono una certa resistenza all’autorganizzazione e a
concentrare comunque le attività in ambito religioso, culturale e sociale: l’impegno politico è
completamente assente, compresa la partecipazione a campagne di sensibilizzazione e per la tutela
dei diritti. Nel Comitato degli immigrati di Roma, nato nell’estate del 2002, realtà che riunisce una
ventina di associazioni straniere presenti sul territorio romano, gli immigrati maghrebini sono del
tutto assenti. Un’associazione marocchina ha presentato un candidato (che è stato poi eletto) per la
prima elezione dei consiglieri stranieri aggiunti, ma ciò sembra rispondere più a esigenze di
visibilità e di autoaffermazione che all’esistenza di forme di rappresentanza consolidate.
Nel quadro generale di una sostanziale fragilità organizzativa, si distinguono però alcune iniziative
che meritano, per motivi diversi, una segnalazione.
La novità più significativa è costituita dalla nascita recentissima del mensile in lingua araba Al
Maghrebiya, edito dalla Stranieri in Italia e distribuito in 20.000 copie in tutta Italia. Secondo
quanto dichiarato dalla direttrice marocchina della rivista, la cui redazione è a Roma, il giornale si
propone di fare informazione sia su quanto accade nei paesi di origine sia sul mondo
dell’immigrazione in Italia, con una particolare attenzione all’universo femminile. In effetti sul
primo numero del mensile uscito a fine ottobre le notizie relative alla modifica dello statuto
personale della donna recentemente effettuata in Marocco si affianca a un’intervista a Magdi Allam
sulla discussione seguita alla proposta dell’on. Fini sul diritto di voto e ad articoli di
approfondimento sulla normativa italiana in materia di immigrazione. Si tratta di un’iniziativa di
informazione che non è espressione di una realtà organizzata e che ha una valenza nazionale più che
locale, ma è sicuramente significativo il fatto che una casa editrice abbia deciso di investire su una
testata in lingua araba e che abbia scelto come target l’immigrazione maghrebina. Proprio per la
22
dispersione geografica, maggiore nel centro-sud del paese, la nascita di un giornale potrebbe
comunque costituire un nuovo punto di riferimento.
Sempre nell’ambito dell’informazione, per iniziativa di un imprenditore marocchino che opera nel
settore del turismo, sta per partire una trasmissione televisiva dal titolo Ideé Maroc che sarà messa
in onda su una televisione privata (TV9) il cui segnale copre il territorio della Toscana,
dell’Umbria, della Liguria meridionale e del Lazio settentrionale. Anche in questo caso, secondo
quanto dichiarato dal promotore dell’iniziativa, l’obiettivo è quello di promuovere informazione sia
sulla situazione del Marocco che sul mondo dell’immigrazione marocchina in Italia: la popolazione
marocchina che verrebbe raggiunta dalla trasmissione ammonterebbe a circa 25.000 persone.
All’origine del progetto c’è la volontà di “valorizzare le risorse umane, economiche, turistiche,
imprenditoriali del Marocco e di sviluppare gli scambi economici e culturali con l’Italia”.
Particolarmente interessante è quanto si legge nella scheda di presentazione della trasmissione:
“Tv9 ed Ideé Maroc chiameranno ad esprimersi rappresentanti della politica, dell’economia,
dell’imprenditoria marocchine, ed insieme rappresentanti ed istituzioni italiane che collaborano con
il Marocco. Allo stesso tempo, il programma riporterà le testimonianze di molti rappresentanti della
comunità marocchina in Italia: medici, liberi professionisti, artisti ed intellettuali, imprenditori,
mostreranno l’aspetto efficiente, moderno, professionale, di un paese troppo spesso vittima delle
semplificazioni dei media”. L’accento posto sulla presenza di figure professionali qualificate
nell’immigrazione marocchina in Italia esprime il desiderio di modificare la visione stereotipata di
un’immigrazione poco qualificata e l’interesse economico, oltreché culturale, a dimostrare che
questa fascia di immigrazione può costituire una risorsa per l’intensificazione delle relazioni tra
paese di origine e paese di emigrazione. E’ del resto significativo che il promotore dell’iniziativa
abbia mostrato una totale sfiducia nella politica italiana, sia locale che nazionale, mettendo in
dubbio che vi sia un reale interesse a promuovere la garanzia dei diritti per i cittadini stranieri:
“l’impegno nella politica è una perdita di tempo, meglio promuovere iniziative che facciano arrivare
i soldi in Marocco”. Il legame con il paese di provenienza è del resto evidenziato dalla foto del
principe ereditario Moulay Al Hassan con il proprio bambino sul depliant promozionale della
trasmissione che è a lui dedicata.
Lo Spazio donne e seconda generazione di Roma si propone come uno spazio socio-culturale
rivolto in primo luogo agli immigrati tunisini, ma aperto anche all’esterno. Il centro organizza corsi
di lingua araba per bambini tunisini e ragazzi italiani, attività teatrali e musicali e corsi di
informatica. E’ evidente che alla base della fondazione del centro, sostenuto dal consolato tunisino,
c’è la volontà di tutelare e rafforzare il legame tra i minori e gli immigrati di seconda generazione
con il paese di origine. Ma, secondo uno dei giovani che lo gestiscono, soprattutto negli ultimi due
anni si è cercato di aprire il centro anche ai cittadini italiani. In ogni caso esso costituisce a Roma
per gli immigrati tunisini l’unico spazio di socializzazione alternativo alle moschee e ai luoghi di
preghiera.
Una realtà ancora diversa è la cooperativa sociale fondata a Frosinone da un immigrato tunisino e
uno marocchino che operano presso lo sportello Anolf locale insieme ad altri connazionali. La
costituzione della cooperativa, nata recentemente, rappresenta il tentativo di trasformare in una
forma di autoimpiego l’impegno sociale che i due operatori, in Italia da diversi anni, svolgono da
tempo. E’ opportuno sottolineare che si tratta di due persone molto impegnate nelle associazioni
tunisina e marocchina locale e che, grazie al tipo di servizio che svolgono, costituiscono un punto di
riferimento per i connazionali presenti in città.
La carenza di strutture organizzate e di spazi di incontro fa si che i principali luoghi di
socializzazione siano le moschee o i locali adibiti a luoghi di preghiera. A Roma, oltre alla grande
moschea centrale (in cui opera il neo consigliere straniero aggiunto eletto in Campidoglio), due
moschee a Centocelle sono molto frequentate dagli immigrati tunisini e marocchini. A Frosinone
l’associazione El Tuba gestisce un luogo di preghiera e partecipa a un tavolo interreligioso
promosso dal Comune. A Latina, grazie a una sottoscrizione, gli immigrati marocchini e tunisini
hanno acquistato il locale adibito a luogo di preghiera che avevano preso in affitto e il sequestro del
23
locale da parte dell’Amministrazione comunale che ha bloccato il nullaosta per i lavori di
ristrutturazione, ha scatenato una forte protesta.
La mancanza di spazi di socializzazione, secondo due donne algerine intervistate, condiziona molto
l’integrazione sociale delle donne che sono solite incontrarsi presso le loro abitazioni. Soprattutto
nei centri più piccoli, è consuetudine tra le famiglie marocchine e tunisine organizzare la domenica
momenti di ritrovo nelle proprie abitazioni, proprio per ridurre l’isolamento delle donne che non
lavorano e che risentono maggiormente della mancanza delle occasioni di incontro offerte dai forti
legami familiari e comunitari e dalla presenza degli hammam nel paese di origine.
4.5 Integrazione e politiche locali
Nei quattro paragrafi precedenti si è avuto già modo di evidenziare alcune delle principali carenze
delle politiche locali di inserimento. Al di là delle mancanze, una analisi circostanziata dell’impatto
delle politiche di integrazione non solo sulla popolazione maghrebina, ma sul complesso della
popolazione immigrata, è ostacolata dalla mancanza di dati statistici disaggregati e dalla
conseguente impossibilità di costruire indicatori efficaci. Il riferimento ai programmi di intervento
delle pubbliche amministrazioni può offrire informazioni utili sul livello di percezione dei bisogni e
sulle prospettive di lavoro, ma risultano invece ancora carenti documenti e statistiche relativi al
bilancio delle attività già svolte. Per fare due esempi, non è stato possibile ottenere dei dati
sull’inserimento di cittadini maghrebini nell’edilizia residenziale pubblica o sul numero di utenti
maghrebini ai servizi sanitari nel Lazio. Il rapporto sui Ricoveri ospedalieri degli stranieri in Italia
nell’anno 2000, redatto dal Ministero della Sanità, offre informazioni utili sul numero di degenti
marocchini e tunisini e sul tipo di patologie maggiormente riscontrate, ma solo a livello nazionale.
La disgregazione dei dati a livello regionale non registra il paese di origine dei pazienti, ma solo le
grandi aree di provenienza. Né, d’altra parte, questo tipo di informazione è desumibile dai rapporti
redatti dalle singole Asl regionali.
Potremmo dunque indicare come primo punto debole delle politiche di inserimento proprio la
carenza di un monitoraggio costante, puntuale e coordinato tra i diversi attori territoriali che
operano nello stesso ambito di intervento. Una simile attività di monitoraggio non sarà però
possibile sino a quando la frammentazione delle competenze (in ambito sociale, sanitario, culturale)
non verrà superata attraverso il coordinamento delle politiche pubbliche e del terzo settore in
sistemi territoriali capaci di metterle in relazione tra loro. Ciò tra l’altro permetterebbe di evitare
sprechi inutili di risorse e la proliferazione di servizi e interventi sovrapposti, non sempre
corrispondenti all’esistenza di bisogni reali.
Come abbiamo accennato, gli aspetti più problematici delle politiche di integrazione emersi nel
corso della ricerca riguardano l’inadeguatezza di risorse e di modelli di intervento che favoriscano
l’inserimento abitativo, l’inserimento qualificato nel mondo del lavoro, la promozione di attività
culturali e la creazione di spazi di socializzazione e di partecipazione. Sull’ultimo punto è utile
aggiungere che la sfiducia negli attori politici sia istituzionali che della società civile sembra diffusa
nell’immigrazione maghrebina laziale, come è del resto dimostrato dalla sua scarsa partecipazione a
campagne e iniziative di sensibilizzazione e di promozione dei diritti. E’ significativo ad esempio
che la decisione da parte dell’Amministrazione Comunale della capitale di inserire nel Consiglio
Comunale la figura del Consigliere Straniero Aggiunto sia vissuta dalla popolazione maghrebina
come una scelta che non favorisce realmente la partecipazione attiva degli immigrati alla vita della
città, partecipazione che sarebbe invece garantita dal pieno riconoscimento del diritto di voto attivo
e passivo. Soprattutto nella componente più stabilizzata e nella seconda generazione è forte la
domanda di politiche che, cessando di considerare gli immigrati solo ed esclusivamente come
soggetti deboli e precari, inizino a tracciare reali percorsi di inclusione e di cittadinanza.
4.6 Forme di discriminazione ed eventuali fenomeni di traffiking
24
Un’accurata ricostruzione delle discriminazioni e degli atti, dei comportamenti e delle violenze
razziste costituisce un’impresa non facile in un contesto regionale caratterizzato dalla totale assenza
di iniziative pubbliche o promosse dalle organizzazioni della società civile finalizzate a svolgere in
modo sistematico attività di monitoraggio, di studio e di denuncia in questo ambito. Se il Lazio
condivide con le altre regioni la scelta di non dare attuazione agli art. 43 e 44 del T.U. 286/98, che
affidava proprio alle amministrazioni regionali il compito di istituire osservatori regionali per la
lotta contro le discriminazioni, desta maggiore sorpresa la mancanza di iniziativa in questo campo,
se non in forme estemporanee, da parte delle associazioni antirazziste, alcune delle quali, soprattutto
nella capitale, sono sempre state tra le più attive a livello nazionale. La sottovalutazione del
fenomeno delle discriminazioni sembra insomma aver caratterizzato la gran parte del mondo
istituzionale e associativo, sottovalutazione che è auspicabile venga superata nel prossimo futuro
(Rivera 2003).
Con la consapevolezza di offrire una visione parziale, ci limiteremo dunque a fare alcune
osservazioni a partire dalle informazioni raccolte nel corso della ricerca.
Complessivamente, l’opinione prevalente tra gli interlocutori intervistati è che i fenomeni di
discriminazione e razzismo non sono particolarmente diffusi nel Lazio mentre essi vengono
considerati molto più preoccupanti nelle regioni del Nord Italia. In ogni caso è diffusa la
convinzione che stereotipi, pregiudizi e comportamenti di intolleranza siano più diffusi nei
confronti di altre comunità e quando colpiscono gli immigrati maghrebini non li colpiscono in
quanto tali ma in quanto immigrati arabi e musulmani.
A cavallo fra gli anni ’80 e ’90 la stigmatizzazione degli immigrati marocchini nella figura del
venditore ambulante (volgarizzata con il termine vu’cumpra’) e la sua estensione a tutti gli
immigrati africani si fondavano su pregiudizi relativi alla loro condizione economica e lavorativa: i
luoghi comuni più ricorrenti facevano riferimento alla scarsa voglia di lavorare, all’illegalità
dell’attività svolta, alla concorrenza sleale, all’evasione fiscale nonché all’irregolarità della
posizione sul soggiorno. L’aumento e la diversificazione dei flussi migratori provenienti da altri
paesi, il passaggio di molte attività di vendita ambulante dalla sfera dell’economia informale a
quella dell’economia ufficiale e la conseguente riduzione del numero di venditori che vendono
porta a porta, l’inserimento (regolare e irregolare) di una parte degli immigrati maghrebini nel
mercato del lavoro, hanno contribuito a modificare il senso comune e a rendere meno visibile e
meno conflittuale la presenza dell’immigrazione maghrebina nella regione.2
Tuttavia l’attentato alle Twin Towers dell’11 settembre 2001 sembra aver provocato alcuni atti e
comportamenti intolleranti che hanno coinvolto, in quanto etichettati come musulmani, dunque
islamici, dunque potenziali terroristi, anche gli immigrati maghrebini. E’ forse utile passare in
rassegna alcuni affermazioni fatte dagli interlocutori intervistati. Sorvolando sulle affermazioni
generiche secondo cui “l’11 settembre ha avuto conseguenze su tutta l’immigrazione musulmana”,
vale la pena di soffermarsi su alcune indicazioni più precise.
L’operatore marocchino intervistato a Latina ha affermato che subito dopo l’11 settembre c’è stato a
Fondi un caso di licenziamento di un camionista marocchino, mentre diversi proprietari di
bancarelle nei mercati hanno registrato una diminuzione delle vendite. Il processo di identificazione
degli immigrati maghrebini con i terroristi islamici, scattato subito dopo gli attentati negli Stati
Uniti, si sarebbe però affievolito negli ultimi mesi del 2003. Una signora tunisina che vive ad
Aprilia ha affermato che subito dopo l’11 settembre il fratello che lavorava presso un’azienda florovivaistica da diversi anni, è stato licenziato. Il rappresentante di un’associazione tunisina di Roma
ha negato che il razzismo sia presente a Roma, ma al tempo stesso ha affermato che “ dopo l’11
settembre è divenuto più difficile per gli immigrati trovare casa”. Secondo l’operatore Anolf di
2
E’ stato del resto evidenziato come i processi sociali di etichettamento abbiano nel corso degli anni “privilegiato”
vittime diverse in corrispondenza dei vari “allarmi immigrazione” lanciati da mass media e partiti politici xenofobi. Gli
immigrati maghrebini hanno costituito solo il primo dei vari gruppi di immigrati oggetto di stigmatizzazione: a loro
sono seguiti gli albanesi, i rom, i polacchi, i rumeni solo per portare alcuni esempi. Una delle poche ricostruzioni
dell’evoluzione del razzismo in Italia è stata svolta da Annamaria Rivera (Rivera 2003).
25
Frosinone l’11 settembre ha avuto delle ripercussioni non tanto modificando il comportamento dei
cittadini italiani, “anche se le battute sul lavoro erano più frequenti”, ma diffondendo un sentimento
di paura all’interno delle stesse comunità: ciò sarebbe confermato dalla diminuzione del numero
delle persone che frequentano la moschea. In effetti, la maggiore visibilità che le comunità
immigrate hanno nelle città più piccole, nel clima di criminalizzazione degli immigrati musulmani
enfatizzato dai media e con l’aumento dei controlli effettuati dalle forze dell’ordine, può avere
indotto molte persone a ridurre la frequenza delle moschee e dei luoghi di preghiera. Del resto
alcuni cittadini marocchini sono rimasti coinvolti nelle indagini promosse dai Ros sul terrorismo
islamico, a cui la stampa ha dato un grande rilievo, non altrettanta attenzione è stata prestata quando
le accuse si sono rivelate infondate.
Complessivamente comunque, forse anche per la limitatezza delle fonti disponibili, il numero di
discriminazioni subite da immigrati maghrebini nel Lazio risulta limitato. L’aggressione avvenuta
nell’ottobre 2002 a Roma, ai danni di un giovane marocchino ridotto in fin di vita da parte di un
gruppo di cinque ultrà di estrema destra e fortunatamente risolta con una lunga degenza in ospedale,
sembra costituire un caso isolato.
4.7 Altri indicatori di inclusione ed esclusione
Uno degli aspetti più problematici dell’immigrazione maghrebina è costituito dal livello di devianza
più alto che caratterizza questa componente dell’immigrazione rispetto ad altre comunità immigrate.
Secondo i dati forniti dall’associazione Antigone, al 30 giugno 2002 il 43,6% della popolazione
straniera detenuta in Italia era costituita da cittadini marocchini, tunisini e algerini. 3 L’associazione
non dispone di dati disaggregati per nazionalità a livello regionale e dunque è impossibile in questa
sede valutare con esattezza l’entità del fenomeno nel Lazio. La preoccupazione per un significativo
coinvolgimento nel fenomeno di devianza è emersa però più volte nel corso della ricerca, in
particolare da parte di membri di associazioni tunisine e marocchine secondo i quali, la devianza
sarebbe più diffusa tra i giovani che provengono dai contesti urbani. Ciò sarebbe dovuto, sempre
secondo i nostri interlocutori, al fatto che la scelta ad emigrare in questi casi più che essere
finalizzata alla ricerca di un’occupazione, qualunque essa sia, mira all’ottenimento nel più breve
tempo possibile di quei beni di consumo che sono il simbolo del benessere occidentale.
La devianza è un fenomeno sociale troppo complesso e su cui troppo spesso sono state tratte
conclusioni affrettate e stereotipizzanti, uno studio serio del fenomeno richiederebbe ben altri
approfondimenti capaci di tenere conto sia delle condizioni economiche e sociali di partenza dei
soggetti coinvolti, sia del loro percorso migratorio in Italia. In questa sede ci limitiamo a segnalare
che esso, pur coinvolgendo una minoranza degli immigrati maghrebini nel Lazio, rappresenta
ancora oggi uno dei principali indicatori della presenza di processi di esclusione sociale che
coinvolgono questa componente dell’immigrazione laziale.
5 Legami con il paese di origine
5.1 Rimesse: quali canali principali?
Il Lazio rappresenta la regione con il più alto volume di rimesse in uscita la cui crescita è stata
molto più sostenuta rispetto all’aumento del numero dei soggiornanti stranieri e rispetto al resto del
territorio nazionale.
Tab.9 Rimesse degli immigrati inviate dall’Italia, dal Lazio e da Roma
Italia
Lazio
Roma
3
1992
199.748
13856
12811
1993
244699
46905
45089
1994
335535
79521
75620
1995
402971
98021
96626
1996
476878
124528
117280
1997
565502
154614
147093
1998
761022
207168
200515
1999
988184
282728
274478
2000
1138756
341773
335494
2001
749.369
256.244
252.514
2002
791.616
362.830
359.856
Anche il Dossier Caritas Immigrazione 2003 riporta la stessa informazione.
26
Fonte: Elaborazioni Caritas/Dossier Statistico Immigrazione su dati dell’Ufficio Italiano Cambi
Studi recenti hanno però evidenziato come sul comportamento economico, sulla capacità di
risparmio e sull’invio di rimesse nel paese di origine da parte degli immigrati influiscano diversi
fattori oltre a quello più scontato rappresentato dal reddito individuale. Il carattere temporaneo o
definitivo del progetto migratorio, le condizioni di inserimento sociale e in particolare quelle
abitative, la presenza o meno della famiglia in Italia o la permanenza di familiari nel paese di
origine sono ugualmente rilevanti nel determinare un maggiore o minore impiego del risparmio in
trasferimenti di denaro indirizzati al paese di origine (Strozza et alt. 2003; Libanora 2002).
Inoltre è stato più volte sottolineato che le rimesse bancarie costituiscono solo una parte dei
trasferimenti di denaro che passano invece in misura consistente attraverso altri canali (le agenzie
private, le poste, i corrieri di fiducia) e che a questi devono essere aggiunte le rimesse non
monetarie costituite dalla spedizione, o dalla consegna diretta, di beni di consumo (Caritas/Ilo 2000;
Mazzonis et al 2000; Libanora cit).
Queste osservazioni sono particolarmente pertinenti in relazione al comportamento economico degli
immigrati maghrebini nel Lazio che varia a seconda del tipo di inserimento lavorativo, della
condizione familiare e della stanzialità o meno degli immigrati. Laddove la scelta migratoria si è
consolidata con il ricongiungimento familiare ed è considerata come una scelta definitiva l’invio di
denaro nel paese di origine avviene solo se ci sono genitori anziani a carico e nella media risulta più
contenuta, soprattutto quando il reddito familiare è costituito da un’unica entrata. In questi casi la
capacità di risparmio si riduce notevolmente: su di essa gravano innanzitutto le spese per l’alloggio
(che secondo le persone intervistate assorbe una maggiore quota del reddito rispetto al passato), in
secondo luogo la crescita delle spese di consumo che aumentano con il maggiore radicamento nella
società di accoglienza. L’invio delle rimesse è invece più consistente tra gli immigrati che non sono
coniugati o che hanno la propria famiglia nel paese di origine.
L’invio delle rimesse avviene nella maggior parte dei casi tramite il ricorso ad agenzie private di
trasferimento di denaro, tramite l’invio di vaglia internazionali oppure tramite la consegna diretta in
occasione delle vacanze. L’uso del canale bancario è risultato molto limitato. La spedizione di
rimesse non monetarie non sembra una prassi molto diffusa: la relativa vicinanza dei paesi di
origine fa si che la consegna di beni di consumo avvenga prevalentemente in occasione delle visite
periodiche compiute nel corso dell’anno o dei rientri nel periodo di interruzione del lavoro per gli
immigrati stagionali.
5.3 Mantenimento della cultura e della religione del paese di origine
L’immigrazione maghrebina presente nella regione non costituisce un universo omogeneo: le
singole storie individuali si differenziano a seconda del tipo di situazione sociale e economica che
sta all’origine del progetto migratorio, dell’inserimento nel mercato del lavoro, del carattere
individuale o familiare dell’esperienza migratoria e, in una qualche misura, anche dell’area di
insediamento. Il rischio di cadere in interpretazioni univoche e stereotipizzanti, incapaci di
rispecchiare la reale molteplicità dei singoli percorsi migratori, incasellando in modelli
eccessivamente rigidi la varietà estremamente eterogenea di relazioni con il paese di origine e i
modelli culturali che in questo prevalgono, compresa le religione più diffusa, è dunque
particolarmente alto. Per quanto ci è stato possibile comprendere nel corso della ricerca sul campo,
in cui sono stati intervistati e incontrati interlocutori molto diversi tra loro (imprenditori maghrebini,
rappresentanti sindacali italiani e maghrebini, rappresentanti di associazioni, ricercatori italiani e
maghrebini, donne casalinghe e donne inserite nel mercato del lavoro, donne e uomini coniugati con
connazionali o con cittadini italiani e non, persone che vivono nel Lazio da più di dieci anni e
giovani che sono arrivati solo recentemente) l’emigrazione rappresenta un’esperienza che comporta
inevitabilmente dei mutamenti nella percezione di sé, nella relazione con le proprie radici culturali e
con i propri familiari. L’esito della scoperta di modelli sociali e culturali diversi, le modalità con le
27
quali ciascun immigrato si inserisce nella società di approdo sono molto diversi. A titolo meramente
esemplificativo, e senza pretendere di trarne delle conclusioni generalizzanti, possiamo segnalare
alcune esperienze.
Nel corso della ricerca abbiamo incontrato un gruppo di 8 immigrati tunisini e algerini nella sede di
Aprilia dell’associazione Senzaconfine. Si tratta di persone che vivono in Italia da un minimo di 5 a
un massimo di 12 anni, in parte lavoratori edili, in parte braccianti e di una donna che lavora in una
cooperativa di servizi domiciliari. Tra questi vi sono persone di età compresa tra i 40 e 45 anni, che
hanno nel Lazio la propria famiglia, alcuni hanno figli piccoli. Mentre un ragazzo di 29 anni e una
donna di età compresa tra i 35 e i 40 anni, sono sposati con una cittadini italiani. La signora veste
all’occidentale e non porta il velo. Anche nell’ambito di un così piccolo gruppo di persone il tipo di
rapporto esistente con il paese di origine risulta molto differenziato. Due persone algerine mostrano
un forte legame con il proprio paese, esprimono il desiderio di tornarvi, anche se non
esplicitamente, sono legati a un modello culturale che riconosce alla donna la funzione preminente
di riproduzione e di cura della famiglia. La signora tunisina costituisce un esempio di rottura con
questo modello: partita in autonomia, pur avendo il fratello già in Italia, lavora, è sposata con un
cittadino italiano anche se sottolinea come la sua sia una condizione ancora minoritaria all’interno
dell’immigrazione femminile tunisina. Il giovane ventinovenne, sposato con una cittadina italiana,
ritiene molto improbabile un ritorno nel paese di origine, frequenta giovani italiani, ha un modello
di consumi ormai occidentale. L’appartenenza religiosa è più forte per alcuni, meno pronunciata per
altri: c’è chi frequenta regolarmente la moschea, chi non è praticante; per tutti le principali feste
religiose costituiscono però momenti importanti di socializzazione che vengono festeggiati
prevalentemente nei circuiti familiari. Uno degli elementi che sembra accomunare il gruppo è la
forte centralità riconosciuta alla famiglia.
Una giovane tunisina, studentessa in sociologia, vive a Roma da otto anni ed è sposata con un
cittadino italiano. In lei è molto forte la consapevolezza di un equilibrio in perenne mutamento tra
modelli culturali ereditati dall’educazione ricevuta nel paese di origine e il rischio di perdere le
proprie radici in un processo di omologazione culturale. Nel racconto della propria storia personale
emerge un rapporto molto conflittuale con un modello culturale in cui l’autorità maschile è ancora
centrale. Rifiuto ancora più evidente in una sociologa algerina, anch’essa in Italia da undici anni,
non sposata, che racconta il suo rapporto doppiamente conflittuale con l’esperienza migratoria e la
società di accoglienza: da un lato la percezione della migrazione come un’esperienza liberatoria (da
un modello di società maschile, dai vincoli familiari); dall’altro la perdita di quei momenti di
socialità e di solidarietà collettiva che nel paese di origine sono assicurati dalla famiglia allargata.
Ancora diversa la situazione di un imprenditore marocchino. Sposato con una cittadina italiana, un
esempio di inserimento sociale ed economico molto privilegiato e caratterizzato da standard di vita
elevati, in questo imprenditore i legami con il paese e la cultura di origine sono ancora molto forti.
Infine, si è già fatto cenno alla centralità della religione come elemento di coesione e di
socializzazione per due comunità di tunisini e marocchini che vivono a Latina, segnalata anche
dalla nascita di una vertenza con il Comune relativa ai locali della Moschea.
Emergono comportamenti culturali, familiari, sociali e religiosi che difficilmente sono riassumibili
in un unico modello.
28
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