agenti nel cda della mandante: ecco cosa pensano i presidenti dei

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agenti nel cda della mandante: ecco cosa pensano i presidenti dei
21 maggio 2016 13:09
AGENTI NEL CDA DELLA MANDANTE: ECCO COSA
PENSANO I PRESIDENTI DEI GRUPPI AZIENDALI AGENTI
C’è chi è favorevole, c’è chi è contrario e c’è chi esprime delle perplessità. Ecco i risultati
dell’inchiesta condotta da Tuttointermediari.it.
Il caso più eclatante è quello di UnipolSai con
Salvatore Lauria che ad aprile scorso è entrato a far parte del consiglio di amministrazione della
compagnia. Ha preso il posto di Francesco Saporito che sempre fino a un mese fa sedeva invece
nel Cda di Unipol Gruppo Finanziario. E c’è anche il caso di Itas. Il dibattito è aperto e spesso viene
sollevato nell’ambito dei congressi dei gruppi aziendali agenti.
Quanto è utile per una rappresentanza agenziale avere un proprio iscritto in seno al Cda della
compagnia mandante? Può portare vantaggi ai fini “politici” oppure no? Tuttointermediari.it ha
svolto una inchiesta tastando il polso dei presidenti di gruppo. All’indagine hanno partecipato 28
gruppi aziendali agenti (12, invece, sono stati quelli che non hanno fornito alcun contributo).
L’articolo è lungo, ma è una inchiesta e vale la pena leggerla fino alla fine.
I FAVOREVOLI – «Un agente nel Cda della mandante? Penso sia una ipotesi tutta
da definire nelle sue regole e metodi di realizzazione, ma di sicuro interesse e utilità sia a fini politici,
sia operativi», esordisce Antonio Canu, presidente del Gruppo agenti Lloyd Italico. «Proprio ora
che le compagnie tornano a costruire modelli di valutazione delle agenzie basati su dati che sono
però restie a condividere nella loro totalità con gli agenti o che condividono solo dopo vuoti temporali
enormi rispetto a quando quegli stessi dati vengono analizzati e ratificati nei Cda, credo che per gli
agenti avere un loro rappresentante nella “stanza dei bottoni “ sia interessante e vantaggioso. Anche
perché darebbe agli agenti la possibilità di far giungere direttamente agli azionisti o ai loro
rappresentanti in Cda la voce e il parere degli intermediari professionisti su azioni e scelte
strategiche che potrebbero talvolta più danneggiare che avvantaggiare la compagnia di riferimento
soprattutto quando privilegiano obiettivi di breve periodo».
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Per Roberto Arena, presidente del Gruppo agenti Vittoria, il tema è «affascinante e meritevole di
approfondimenti. Un agente, eletto dal proprio gruppo agenti, potrebbe fornire una visione diversa,
più autentica e diretta rispetto all’attività di intermediario. Se esercitato il ruolo in modo responsabile
e costruttivo, potrebbe segnalare (con ampio anticipo rispetto a studi di società di consulenza di cui
il Cda potrebbe dotarsi) cosa avviene nel mercato, le sue modificazioni e le richieste della clientela.
Potrebbe accelerare i processi di cambiamento a cui un Cda deve dare indirizzo esprimendo la
valutazione dell’esperienza raggiunta sul campo e segnalare con più immediatezza come rispondere
strategicamente alle necessità della clientela per aumentare la soddisfazione di tutti gli stakeholder».
Arena, però, avverte: «Va valutata con attenzione l’eventuale possibile strumentalizzazione da parte
di colleghi o di associazioni di categoria sindacali, con accuse di incapacità o peggio di
collaborazionismo o sudditanza. Tuttavia ribadisco: la presenza di un agente sarebbe un
arricchimento per ogni Cda. Poter avere al tavolo un agente preparato e attento agli interessi della
categoria che rappresenta, pur con la personale consapevolezza che l’eventuale entrata nella stanza
di comando non può essere considerata automaticamente un immediato cambio delle condizioni
economiche della rete di vendita. Un percorso però che può sicuramente creare le condizioni per
scelte più informate, con l’obiettivo di ottenere maggiori successi per il sistema complessivo di quella
compagnia», conclude Arena.
«Dopo l’acquisizione di FonSai da parte di Unipol e la
nascita di UnipolSai abbiamo potuto rilevare e apprezzare che era stata condivisa tra compagnia
e agenti l’idea di avere nel Cda un agente», raccontano Nicola Picaro (foto a sinistra) e Paolo
Mordacci (foto a destra), che guidano il Gruppo agenti associati UnipolSai. «Ci siamo interrogati
sull’opportunità della scelta di essere rappresentati in Cda e il nostro pensiero in merito è stato, ed
è ancora oggi, molto laico rispetto alla domanda. Riteniamo che occupare un posto in Cda possa
generare certamente un circuito virtuoso di informazioni dalla proprietà agli agenti e viceversa, fatta
salva la necessaria riservatezza imposta peraltro dalle norme. Affinché ciò avvenga in modo
proficuo, il ruolo del rappresentante agenti in Cda deve essere interpretato in modo coerente con la
politica dei gruppo agenti che deve rappresentare. Cogliamo pertanto favorevolmente l’utilità di
entrare nella “stanza dei bottoni”, ma assume un valore aggiunto nel momento in cui le istanze e le
aspettative degli agenti rappresentati raggiungono e sensibilizzano i nostri interlocutori».
Tra i pareri favorevoli c’è anche quello di Vincenzo Cirasola, presidente del Gruppo aziendale
agenti Generali. «Sì, in linea di principio sono favorevole. Avere un agente nel Cda di una
compagnia è sempre stato il “sogno” di noi agenti delle Generali, ma sono ben consapevole che la
realtà è ben diversa dai sogni, poiché in una holding internazionale quotata in Borsa, resta molto
difficile che i vari azionisti di riferimento accettino l’intromissione di una persona terza, non
possessore o in rappresentanza di un rilevante pacchetto azionario, tale da potersi permettere di
potere essere uno degli 11-13 componenti di un Cda. Nel caso di Generali é già tanto che il
presidente del gruppo agenti abbia il rispetto e l’opportunità di dialogare direttamente con il group
ceo. Discorso diverso, invece, per le mutue oppure per le piccole compagnie a livello nazionale,
semmai con un unico proprietario di maggioranza. In questo caso, far sedere un agente nel Cda è
sicuramente più semplice e meno contestabile dagli altri azionisti». Poi ricorda: «In passato alcuni
colleghi delle Generali hanno provato a costituire una società per raccogliere tutti gli agenti- azionisti,
per arrivare a rappresentare almeno l’1% del capitale, ma non sono riusciti a ricevere le deleghe da
parte dei singoli agenti, per la nostra solita indole individualista e soprattutto per la riservatezza dei
nostri investimenti. La società dopo un paio di anni ha cessato».
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Favorevole è anche Enzo Sivori (a sinistra) presidente
dell’Associazione agenti UnipolSai (e non può essere diversamente visto che Salvatore Lauria è
proprio un iscritto ad Aau). «Penso che sia fondamentale per permettere un rafforzamento dei
rapporti con la proprietà (soprattutto in questo momento di cambiamento epocale del settore in cui
è necessario favorire la centralità degli agenti nel processo di gestione della relazione complessiva
con i clienti), richiedendo anche alle compagnie di evolvere verso modelli organizzativi che
supportino le attività che le strutture agenziali devono svolgere per soddisfare le esigenze dei clienti,
in tutte le fasi del processo assicurativo. La presenza in Cda a diretto contatto con i rappresentanti
della proprietà consente di esprimere agli stessi le opinioni, non mediate degli agenti, con chiarezza
e trasparenza».
Anche Jean François Mossino, presidente del Gruppo agenti Sai, vota per il sì. «Il Cda di una
compagnia ha un ruolo determinante, elaborando le strategie aziendali e i progetti di medio-lungo
termine e prendendo decisioni nel corso di attuazione di un piano industriale, in particolare quando
è necessario intervenire per sopravvenuti cambiamenti, legislativi o di mercato. Potervi partecipare
attivamente è importante. È il livello superiore a quello del confronto abituale tra le rappresentanze
degli agenti e la compagnia». Secondo Mossino «apporta a entrambe le parti (azienda e rete) un
valore aggiunto importante, non solo politico. Un agente può al tempo stesso portare la visione e
l’esperienza della rete agenziale, uno degli stakeholder determinanti del sistema aziendale,
raccogliendo contemporaneamente degli elementi conoscitivi che possono aiutare a comprendere
meglio certe scelte fatte dall’impresa a beneficio del sistema complessivo. Credo che una simile
impostazione completi la relazione industriale tra la compagnia (o, a maggior ragione, il gruppo
assicurativo) e la rete, pur mantenendo il pieno rispetto dei ruoli e senza contravvenire alle
disposizioni di legge».
Da UnipolSai torniamo a Generali. «La presenza di un rappresentante-agente in seno al Cda della
compagnia determinerebbe certamente un passo in avanti verso una ritrovata centralità del ruolo
dell’agente nell’ambito della distribuzione assicurativa e delle scelte strategiche delle imprese». Ne
è convinta Mariagrazia Musto, presidente dell’Unione nazionale agenti Toro. «In particolare, una
compagnia come Generali Italia che si propone sul mercato con ambiziosi progetti di respiro
internazionale e rinnovati vertici aziendali, non dovrebbe trascurare l’esperienza e il valore di tutte
le reti agenziali in essa confluite. Queste devono trovare la giusta rappresentatività, anche
nell’organo politico per eccellenza che è il Cda e ciò in una ottica di relazioni più immediate ed
efficaci che si discostano dagli usuali tavoli di lavoro, per passare alla condivisione di visioni e scelte
di business che non possono prescindere dal punto di vista dei gruppi agenti quali catalizzatori delle
istanze di operatori professionali e attenti interpreti dei reali bisogni del mercato».
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Massimo Binini (a destra), presidente del Gruppo aziendale agenti
Itas (altro gruppo che “presta agenti” al Cda di compagnia), fa un discorso molto articolato.
«Sembrerebbe fin troppo semplice rispondere che è una cosa positiva, ma per affrontare seriamente
il tema e per dimostrare la positività di tale prospettiva è necessaria una riflessione almeno su tre
aspetti fondamentali: qual è il processo politico attraverso il quale un agente diventa consigliere di
amministrazione? Qual è la finalità per la quale un agente entra nel Cda della compagnia dal punto
di vista della governance della compagnia? E dal punto di vista del gruppo agenti, e quindi anche
degli agenti? Partiamo proprio dal percorso politico che porta un agente a entrare nel Cda di una
compagnia e dall’obiettivo che governance e agenti tendono a voler raggiungere. Occorre cioè
chiarire che l’ingresso nel Cda di una compagnia può avvenire attraverso un percorso democratico
basato su un processo di rappresentanza oppure attraverso la nomina per cooptazione
“politicamente voluta” dalla compagnia stessa. Ma allora a chi risponde e di quali interessi è portatore
un agente che siede in un Cda di una compagnia? Sulla base di quale mandato?», si chiede Binini.
«Ci vengono in aiuto i concetti politici di “mandato imperativo” e “mandato libero”: nel primo caso
verrebbe a instaurarsi un rapporto tra il gruppo agenti e l’agente che siede in consiglio, un mandato
politico ben preciso e definito. Nel secondo caso, invece, l’agente che raggiungesse, grazie alla
forza politica del proprio gruppo agenti, una posizione di consigliere sarebbe poi libero di decidere
autonomamente in nome e per conto di un “interesse generale”. Quindi certamente l’ingresso di un
rappresentante agente nel Cda di una compagnia è una cosa positiva tanto per la compagnia stessa
quanto per la “categoria degli agenti”, poiché il bagaglio di esperienze professionali e umane che un
agente è in grado di portare in un ambito decisionale così importante non può che rappresentare un
valore aggiunto. Dovrà però necessariamente avere alla base un mandato politico chiaro, non
generico, da parte del proprio gruppo agenti e alle spalle la storia di una vera rappresentanza
democratica», conclude Binini.
Sulla questione interviene anche Maurizio Baroni (a sinistra),
presidente del Gruppo agenti Das. «È sicuramente un atto di riconoscenza al ruolo dell’attività
agenziale in seno agli interessi degli organi amministrativi e degli azionisti. L’opportunità sarebbe
una buona integrazione al vertice da parte dell’intermediario che, lo ricordo, si occupa della vendita
dei prodotti alla clientela con rischi di impresa propri. Dopotutto abbiamo la presenza di consiglieri
indipendenti nei board delle compagnie atti alla tutela degli interessi della società e non degli
azionisti o del management». E conclude: «L’utilità ai fini “politici” potrebbe esserci insediando nel
board il punto di vista della nostra attività, andando oltre gli attuali tavoli di confronto interni alle
compagnie dove, talvolta, si espongono solo i desiderata degli organi operativi intermedi».
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Per Giovanni Garro, presidente del Gruppo aziendale agenti Assimoco – Assimoco Vita, «la
questione è molto delicata e sicuramente si potrebbero avere notizie delle strategie delle compagnie
“di prima mano” e immediate, pur sempre considerando che ogni tanto gli interessi degli agenti e
delle compagnie possono essere differenti. La qualifica del rappresentante degli agenti in seno al
Cda deve essere trasparente e altamente professionale, per evitare che venga strumentalizzata dai
colleghi che possono intravedere una sorta di conflitto di interessi in alcune decisioni e strategie».
Garro sottolinea che «molto dipende da come sono impostati i rapporti tra direzione e gruppo agenti;
certo è che avere un rappresentante del gruppo nel Cda potrebbe comunque essere un vantaggio
anche per la compagnia, che saprebbe immediatamente anche l’opinione della propria rete di
vendita, prima di prendere decisioni definitive».
Pollice in alto anche per Michele Sonnessa, presidente del Gruppo agenti Uniti Tua
Assicurazioni: «Penso possa essere un fatto decisamente positivo, in particolare in una compagnia
come Tua Assicurazioni nella quale le relazioni sono molto corte. Esiste il rischio di un conflitto di
interessi, al tempo stesso però ritengo che nel Cda un rappresentante degli agenti possa offrire un
contributo di esperienza e conoscenza diretta delle attività svolte e delle problematiche esistenti, con
la possibilità di suggerire soluzioni adeguate e di partecipare attivamente alle strategie e alle politiche
aziendali. Pertanto penso possa essere molto utile sia per gli agenti, sia per la compagnia».
«Sono favorevole alla possibilità che un agente possa far parte del Cda di
una compagnia, anche perché si risolverebbero parecchi problemi», afferma Letterio Munafò (a
destra), presidente del Gruppo agenti assicurativi Amissima. «La compagnia potrebbe studiare
insieme con il presidente di gruppo o comunque con un rappresentante del gruppo quali potrebbero
essere le strategie da portare avanti. Automaticamente si ammortizzerebbero molte eventuali
discordanze che potrebbero sorgere nelle scelte industriali che una compagnia può fare».
Il Gruppo agenti Reale Mutua, in attesa di nominare il nuovo presidente, ha espresso parere
favorevole all’ipotesi di avere un agente nel Cda della compagnia, con il ruolo di «portavoce del
gruppo, con delega di esclusiva competenza della giunta esecutiva e del consiglio direttivo».
«In generale sono favorevole all’ipotesi che un agente di assicurazioni sieda nel board della
compagnia», dice Federico Serrao, presidente del Gruppo agenti Augusta. «Ritengo che non
avendo vincoli di mandato e posizioni subordinate alcune, il consigliere-agente potrebbe garantire,
come minimo, maggiori tutele e maggiori diritti ai colleghi. Se poi proviamo a portarci ancora più in
là, laddove vi fossero i presupposti per tendere a una partnership con la compagnia, la voce
autorevole dell’agente potrebbe esprimersi laddove le decisioni vengono prese, o possono essere
almeno orientate. Ritengo poi che i tempi dei contrasti e delle barricate siano alle nostre spalle, e
che tale rappresentanza potrebbe essere un vantaggio per la stessa compagnia. Calandoci nella
realtà di Generali, holding internazionale e quotata in Borsa, questo processo è obiettivamente
complesso da realizzare, con presenza di azionisti che hanno investito qualche miliardo di euro nella
holding. Forse rimarrà un sogno ma, anche attraverso il pensare e costituire delle forme di
partecipazione che potrebbero agevolare questo ingresso, non lascerei nulla di intentato», afferma
Serrao.
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Avere un rappresentante del gruppo agenti nel Cda della compagnia? L’Anagina (Associazione
nazionale agenti generali Ina Assitalia) è «pienamente favorevole», fa sapere il presidente Davide
Nicolao. «È opportuno, infatti, ricordare che nella storia di Anagina, il presidente dell’associazione
è stato, fino all’anno 2000, un componente del Cda della compagnia ex Ina Assitalia, poiché il ruolo
degli agenti generali Anagina è sempre stato quello di essere il “terminale” sul territorio della
compagnia e, quindi, per tradizione e cultura associativa, l’agente generale è stato sempre
considerato parte integrante della compagnia e non una “controparte”. Purtroppo, mentre questo
ruolo era acclarato nel mondo ex Ina Assitalia, oggi Anagina sta avendo numerose difficoltà a
conseguire un accordo di questo tipo nella neonata Generali Italia», commenta Nicolao. «Anagina,
e la storia dell’associazione lo dimostra facilmente, sostiene da sempre la necessità di una reale
unicità tra agenti generali e compagnia, in considerazione dell’obiettivo da raggiungere che, secondo
l’associazione, è unico per entrambi, nel rispetto dei propri e differenti ruoli».
«Se la presenza di un agente nel Cda può essere utile ai fini “politici”
oppure non apportare alcun vantaggio per il gruppo agenti? In linea generale ritengo che molto
dipenderà da quanto sarà stretta la relazione e la condivisione dei progetti tra impresa-compagnia
e imprese-agenzie nei prossimi anni, perché da questa strada passerà il successo per entrambi»,
afferma Fabrizio Chiodini (a sinistra) presidente di Intermediari UnipolSai (Ius) Associati.
«Auspico fortemente che si intraprenda realmente questo percorso all’interno del quale ben si
potrebbe continuare a inquadrare un nostro rappresentante quale membro del Cda di UnipolSai
quale tratto di unione tra la compagnia e la sua rete distributiva».
I DUBBIOSI – «Riteniamo che la questione posta sia certamente complessa, ma allo
stesso tempo meritevole di un’articolata e matura riflessione», rispondono i presidenti Francesco
Bovio e Vittorio Giovetti, per conto del Gruppo agenti assicurativi professionisti (Gaap). «A
nostro avviso la fattispecie non può definirsi né utile, né un vantaggio. Si tratta semplicemente di
capire se i tempi sono maturi per immaginare un sistema agenti/compagnia che superi il classico
dualismo delle parti contrapposte o degli interessi non sempre convergenti». Il dubbio sta tutto qui.
«Si profilerebbero scenari di metodo relazionale più affini al “win win” che al “contending”. Gli uomini
deputati a interpretare questi ipotetici ruoli, poi, sarebbero quelli che farebbero la vera differenza da
misurarsi in cifra etica e capacità di individuare sempre edin maniera lucida i perimetri e i confini nei
quali muoversi. Le novità», secondo i rappresentanti del Gaap, «meritano sempre approcci acritici e
possibilisti, nel rispetto delle regole, ma senza neppure postulare quest’ultime come inevolvibili. Lo
spirito guida deve essere quello di realizzare, comunque e in ogni caso, la migliore tutela possibile
per i colleghi rappresentati».
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«Un agente presente nel Cda della compagnia? Esistono motivi a
favore e motivi contro», afferma Alessandro Nesi (a sinistra) presidente del Gruppo agenti Sara.
«Premetto che un agente, adeguatamente preparato, ha sicuramente le potenzialità per ben
figurare e operare in un consiglio. Se in prima battuta potrebbe apprezzarsi la prospettiva di una
poltrona all’interno del Cda, che funga da osservatorio delle dinamiche alte di compagnia e che
accorci la catena informativa, consentendo agli agenti di verificare le promesse del management
contestualizzandole negli scenari aziendali, non posso omettere di considerare che esistono ragioni
per astenersi dalla tentazione di tale incarico. Ritenere che la presenza in Cda possa meglio
garantire gli obiettivi del gruppo agenti rischia di depotenziare la leva rappresentativa del sodalizio,
rimettendo in capo a un singolo soggetto responsabilità eccessive, che meglio invece si gestiscono
in chiave collegiale, nei confronti periodici e più approfonditi, tra giunta e management. Qualora
questo esponente della rete fosse persona diversa dal presidente del gruppo agenti, si creerebbe
un dualismo di leadership e di interlocuzione verso gli agenti, che minaccerebbe l’efficacia della
rappresentanza. Inoltre», prosegue Nesi, «sarebbe opportuno valutare quali implicazioni possa
comportare tale eventualità, nel caso che il presidente fosse un agente plurimandatario, cosa ben
probabile stante l’evoluzione che il mercato della distribuzione sta vivendo. Ma ancor di più, la
presenza in un Cda impone di privilegiare superiori ragioni aziendali rispetto a logiche di parte,
motivo per cui ci si potrebbe trovare in gravi imbarazzi di fronte a scelte di voto, per esempio in caso
di piani di strutturazione della rete. Inoltre vi è il rischio, per una mancanza di cultura della
partecipazione e di conoscenza di funzionamento degli organi amministrativi, che le aspettative dei
colleghi siano elevate rispetto a quanto concretamente possa consentire una singola voce.
Personalmente, pur essendo favorevole a un profondo dialogo tra tutte le componenti aziendali,
ritengo che gli interessi della rete possano essere meglio tutelati da ruoli liberi e trasparenti».
Esprime qualche dubbio anche Mauro Franchi, presidente di Agit (Agenti Groupama Italia).
«Potrebbe essere interessante la partecipazione in Cda, ma questo dipenderebbe molto dal tipo di
rappresentanza che si pratica come gruppo/compagnia. Avulso da questa analisi la risposta sarebbe
non puntuale», è il suo commento.
«L’idea che un rappresentante del gruppo agenti faccia parte di una
struttura di controllo della compagnia è senz’altro affascinante», commenta Roberto Zanirato (a
destra), già presidente del Gruppo aziendale agenti Nationale Suisse. «A quel punto, però,
l’agente può ancora ritenersi tale? Non si corre il rischio che diventi un uomo di compagnia? Vedo
situazioni contrastanti e di conflitto…».
Più che dubbioso, Alessandro Lazzaro, presidente dell’Unione agenti Axa, è realista: «Noi non
abbiamo alcun rappresentante all’interno del Cda di Axa Assicurazioni. Non entro nel merito di altre
realtà che, per essere valutate necessitano di una conoscenza delle singole imprese che non ho.
Per quel che riguarda la nostra realtà avrebbe anche poco senso dal punto di vista strategico dato
che le decisioni in quell’ambito vengono prese in altre sedi».
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I CONTRARI – «Avere un rappresentante degli agenti nel Cda della compagnia
potrebbe sembrare una conquista, ma in realtà sono molte le insidie nascoste dietro una situazione
di questo tipo, che appare come una operazione di facciata, di propaganda e non sostanziale». È
perentorio il commento di Mauro Pecchini, presidente del Gruppo agenti Tua Plurimandatari
Riuniti, che spiega anche il motivo di questo suo scetticismo. «Quali vantaggi può portare alla
proprietà l’inserimento di un agente nel Cda? Prima di tutto gli agenti sono imprenditori autonomi
con interessi spesso divergenti da quelli della compagnia che rappresentano, mentre il Cda
persegue la massimizzazione del profitto della compagnia, non quello degli intermediari. Come
dovrebbe comportarsi un rappresentante degli agenti costretto a votare provvedimenti
potenzialmente dannosi per la rete, ma utili per l’impresa? Si troverebbe in un conflitto di interessi
insuperabile: fare il bene della compagnia tradendo la fiducia dei colleghi o combattere una battaglia,
evidentemente solitaria e quindi inutile, all’interno del Cda? E quando verrà inevitabilmente a
conoscenza di notizie sensibili riguardo a una specifica agenzia (per esempio riorganizzazioni,
revoche e altro) che atteggiamento dovrà tenere? Potrà fare uso come presidente di Gaa delle
informazioni ottenute in qualità membro del Cda o sarà piuttosto vincolato da obblighi di
segretezza?». Pecchini aggiunge: «Esiste un problema legato ai compensi: tutte le attività che
svolgiamo all’interno di Sna o dei gruppi agenti sono a titolo gratuito, mentre un incarico nel Cda
sarebbe a titolo oneroso; è piuttosto scomodo, o forse impossibile, riuscire a tutelare gli interessi dei
colleghi andando in conflitto con la parte che ti sta offrendo un compenso». Poi conclude: «Non
voglio essere categorico ed escludere a priori la possibilità che un collega particolarmente capace e
illuminato possa sedere in un Cda, ma viste le numerose controindicazioni appena richiamate mi
pare quantomeno sconveniente che a farlo sia proprio un rappresentante del Gaa».
Danilo Battaglia (a destra), presidente del Gruppo aziendale
agenti Duomo UniOne non ha dubbi. «Premesso che la rappresentanza degli agenti è decisa dalla
necessità di difendere interessi professionali ed economici, ritengo che questo avvenga in modo più
agevole se chi rappresenta non ha altri interessi; i Cda delle compagnie devono rendere conto agli
azionisti, mentre gli agenti devono rendere conto ai propri clienti; quindi le cariche a mio avviso sono
incompatibili».
Anche l’Associazione Agenti Allianz è contraria: «È una possibilità teoricamente affascinante, ma
al momento mi sembra inopportuna», afferma il presidente Umberto D’Andrea. «Se a monte
esistesse una norma generale, penso a un articolo dell’Ana, che sancisse compiti, limiti e obiettivi,
se ne potrebbe parlare. Ma a oggi si rischia soltanto di dare vita a situazioni spot, legate a iniziative
singole, a mio avviso a rischio di “impopolarità”. Un rappresentante degli agenti ha la mission di
rappresentare gli interessi degli agenti alla mandante. Mi chiedo se non ci sia il rischio, entrando in
Cda, di rappresentare gli interessi aziendali agli iscritti. Diciamo che a oggi non vedo le condizioni.
Ovviamente questa è una valutazione teorica. Bisognerebbe valutare i singoli casi,
contestualizzando nello scenario dei rapporti gruppo/mandante», sostiene D’Andrea.
Lapidario, ma significativo, è il commento di Pierguido Durini, presidente del Gruppo agenti
Helvetia: «Non sono d’accordo perche ritengo che i gruppi agenti debbano operare in autonomia.
Possiamo anche chiedere alla compagnia di inserire un rappresentante nel Cda. E se la compagnia
in cambio ci chiedesse di inserire un loro rappresentante all’interno del Gruppo aziendale agenti?»,
chiede provocatoriamente.
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«Penso che non sia assolutamente opportuno avere una
rappresentanza nel Cda in quanto verrebbe meno lo spirito con cui è stato costituito il gruppo». È
l’opinione di Riccardo Berta (a sinistra), presidente del Gruppo agenti Arag Italia. «Il gruppo nasce
per salvaguardare l’interesse e le posizioni lavorative di agenzie colleghi che non possono collidere
sempre con le volontà dell’impresa in quanto ogni singola agenzia rappresenta una singola impresa
una singola attività e come tale con i propri interessi economici e strutturali. Trovo inoltre del tutto
inopportuno che un agente sieda nel Cda della compagnia perché verrebbe meno il principio di
indipendenza e verrebbe meno anche lo spirito di confronto tra impresa e agenti. Oltre modo tale
divieto è sancito anche dallo statuto del sindacato nazionale agenti lo Sna, al quale il gruppo agenti
Arag Italia non aderisce, ma sicuramente simpatizza e pertanto ci atteniamo alle linee guida presenti
nello statuto. Verrebbe infine meno con lo spirito di indipendenza e di libero confronto che
rappresenta la linea guida della costituzione del gruppo».
Pierangelo Colombo, presidente del Gruppo agenti Aviva, controbatte con la stessa provocazione
di Durini. «Gli egenti nel Cda delle compagnie? E perché allora non il presidente e/o l’amministratore
delegato della compagnia nel gruppo agenti? A parte il caso di una sola compagnia dove i presidenti
di gruppo diventano poi presidenti o amministratori delegati della compagnia stessa, ritengo
necessario il rispetto dei ruoli, pur nella massima collaborazione e trasparenza in un costante e
costruttivo confronto, nel comune interesse con la compagnia. Peraltro il rappresentante in seno al
Cda, che per una valenza politica non potrebbe che essere il presidente del gruppo, come si
comporterebbe di fronte a una strategia della compagnia che penalizzerebbe la rete? Insomma,
ognuno faccia il proprio mestiere».
Pollice giù anche per Graziano Piagnerelli (a destra), presidente del Gruppo
agenti tradizionali Ergo Italia, secondo cui avere un agente dentro il Cda di una impresa «non
servirebbe alle compagnie e non servirebbe agli agenti. Ritengo che nessun gruppo agenti sia nelle
condizioni di intervenire, modificandole, sulle decisioni strategiche delle compagnie. Poi, con il
plurimandato diffuso, sarebbe come mettersi un estraneo in casa mentre si lavano i panni sporchi».
All’inchiesta di Tuttointermediari.it non hanno fornito alcun contributo: il Gruppo Intermediari
Assicurativi Uniqa, il Gruppo Agenti Cattolica, il Gruppo Agenti Fata Assicurazioni, il Gruppo Agenti
Liguria, il Gruppo Agenti Donau, il Gruppo agenti Zurich, il Gruppo agenti Italiana Assicurazioni, il
Gruppo aziendale agenti Rsa, il Gruppo agenti Milano Allianz, il Gruppo agenti di assicurazione Toro,
il Gruppo agenti Euler Hermes e Una Vis Coface.
Fabio Sgroi
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