Le COMUNICAZIONI di MASSA come quarto potere COSTITUZIONALE

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Le COMUNICAZIONI di MASSA come quarto potere COSTITUZIONALE
Le COMUNICAZIONI di MASSA come quarto potere COSTITUZIONALE: scuola e
radiodiffusione baricentri dell’esercizio della sovranità popolare.
La tesi principale di questo testo è la seguente: i mezzi di comunicazione di massa a stampa, orali
(scuola) ed elettronici (RAI, radiodiffusione, emittenti comunitarie, telematica ) sono il principale
strumento costituzionale per l’esercizio effettivo della sovranità popolare, non delegata.
Pertanto essi costituiscono l’asse portante di un quarto POTERE costituzionale, autonomo dagli
altri tre (legislativo, esecutivo, giudiziario) e capace di condizionarli “dal basso”.
Un potere ed una FUNZIONE decisiva per la democrazia sociale della nostra costituzione.
All’interno di questo principio, soggetti privati possono essere chiamati ad assolvere - a condizioni
date - funzioni particolari e fini specifici, purchè non in contrasto con le finalità costituzionali (art.41
della Costituzione).Nessun soggetto privato - meno che mai commerciale o partitico - può
sostituirsi in questo ruolo proprio della democrazia costituzionale a responsabilità collettiva,
indivisibile ed inalienabile.
Per le sue caratteristiche - in rapporto ad altri strumenti comunicativi - la formazione didattica e
permanente e la radiodiffusione costituiscono il baricentro della funzione pubblica e sociale dello
Stato - comunità.
In particolare, la scuola pubblica è il più potente mezzo di formazione e di comunicazione laica,
interattiva e multimediale (orale, scritta e telematica).
Quindi Scuola ed educazione pubblica permanente, RAI - radiodiffusore pubblico nazionale
multimediale - testate e le emittenti COMUNITARIE di base, telematica sociale interattiva
costituiscono il sistema informativo-comunicativo pubblico di valore costituzionale. Essenze
decisive della democrazia costituzionale e sociale e dello sviluppo economico e culturale. Da
questa impostazione seguono una serie di conseguenze strutturali, politiche, legislative e sindacali
indicate nel testo.
1. Scuola, formazione, radiodifusione e telematica collettiva: perno della conoscenza critica
interattiva e della sovranità popolare dei sistemi comunicativi moderni.
I governanti e gli imprenditori privati italiani, violando e forzando la Costituzione dal 1947 ad oggi,
hanno espropriato popoli e cittadini dai loro diritti comunicativi - attivi e passivi - quindi,
dell’esercizio della loro sovranità popolare non delegata, possibile mediante l’uso dei mezzi
elettronici e stampati di massa.
Essi hanno lasciato finora ad un certo tipo di scuola pubblica (gentiliana e burocratica) il compito
della formazione - sempre più nozionistica ed inconcludente: una formazione limitata a pochi anni
di vita del cittadino il quale rimane poi succube dei modelli dominanti, della “informazione
mediatica mercificata” oppure della “formazione” professionale d’impresa (tecnicistica e mirata).
Gli attuali governanti e le gerarchie cattoliche - privatizzando, confessionalizzando e mercificando
ciò che resta della scuola pubblica e della RAI - mirano ad eliminare la “anomalia” - pur limitata della cultura pubblica e laica.
Così il monopolio privatistico mediatico e la “cultura d’impresa”, che hanno fini propagandistici e
mercantili per pochi, può estendersi a tutte le attività umane e per tutta la vita di ciascuno.
Con la stampa e l’editoria in mani private, RAI, scuola pubblica e Telecom - formalmente statali
e/o concessionarie pubbliche- costituivano finora un argine costituzionale - sia pure minimo e
discutibile - al monopolio privato dei mass media. Ora lo slogan più “nobile” dei privatizzatori è: “Si
tratta di servizi pubblici che il(un) privato sa gestire con più efficienza e competenza”.
Si tratta di un’affermazione falsa, errata e contraria a tutta la prima parte della Costituzione.
Falsa perchè non è dimostrata la superiorità gestionale del privato, anzi! E di quale privato?
Errata perchè trattasi di funzioni formative-informative-comunicative proprie dello Stato, legate ad
interessi collettivi ed all’esercizio della sovranità popolare non delegata.
Anticostituzionale perchè la nostra Costituzione- pur datata - ha voluto attribuire a queste funzioni
statuali una particolare categoria istituzionale (art.43): servizi pubblici essenziali con carattere di
preminente interesse generale - soggetti a situazioni di monopolio - per i quali si prevedono solo 4
assetti proprietari (statale, ente pubblico, comunità di lavoratori o di utenti). Sarebbe come cedere
a privati le funzioni legislative, esecutive o giurisdizionali.
Nessuna analogia con i cosiddetti servizi pubblici: taxi. negozi, riscossione tributi, ecc. Semmai con
altre funzioni statuali preminenti: salute, ambiente, forme d’energia, ecc.
Fatto salvo questo principio è possibile ipotizzare che soggetti privati possano esercire servizi
specifici con finalità particolari (non solo commerciali, come oggi è). Definiti ruoli, ambiti e le risorse
del settore e dei gestori PUBBLICI, ai sensi dell’art.43, vi può essere spazio per soggetti privati che
vogliano competere nell’offerta di servizi specifici con fini particolari e sulla base di standard di
qualità misurabili. Essi possono essere da stimolo in modo che l’offerta al pubblico sia la migliore
possibile. In ogni caso essi non assolvono né potranno mai assolvere funzioni statuali, pubbliche o
collettive o istituzionali, ma solo funzioni privatizzabili.
Quindi non un impossibile confronto su FUNZIONI distinte, ma solo sul modo di assolvere funzioni
particolari privatizzabili e remunerative (es. fiction, teledidattica, ecc.).
Entro un sistema di COMUNICAZIONE integrato, la scuola e la formazione permanente pubbliche,
la radiodiffusione, la RAI, le radio e TV comunitarie, le testate di matrice sociale, la telematica
sociale sono il perno del SISTEMA pubblico universale ai sensi dell’art.21 e 43 della Costituzione.
In realtà gli articoli della Costituzione - 1° parte - cui riferirsi sono molti di più: art. 1, 2, 3, 9, 19, 21,
30, 31, 33, 34, 41, 43, 48, 49.
Anche sul piano produttivo, economico ed occupazionale - come la storia c’insegna- la garanzia di
sviluppo-competizione sta solo nell’esistenza di un forte sistema COMUNICATIVO, pubblico e
decentrato, che per molti anni ancora avrà nella radiodiffusione e nella scuola il suo baricentro.
Ciò è tanto più decisivo se si pensa che siamo colonizzati ed immersi in fenomeni mercantili e
propagandistici privati di grande portata, sul piano internazionale, nazionale e locale.
In sintesi, nella comunicazione, più democrazia e più partecipazione significano più lavoro,
più sviluppo economico, più innovazione.
2. Le Comunicazioni di massa come quarto potere costituzionale:
Ai tre poteri dello Stato liberale - legislativo, esecutivo, giurisdizionale - occorre ormai aggiungere
quello COMUNICATIVO, depositario dei processi di conoscenza critica, della dialettica e della
partecipazione sociale, dell’esercizio della sovranità e del controllo popolare; più in generale del
controllo istituzionale, pubblico e sociale sugli altri poteri -statuali e non.
Nella realtà moderna i mass-media ed i mezzi comunicativi hanno assunto un ruolo decisivo e
strategico in termini politici, culturali, sociali, formativi, economici, umani, anmbientali, ecc.
Essi sono in grado di condizionare tutti i cittadini e gli altri poteri dello Stato.Reciprocamente
possono essere usati -come sono- da uno dei poteri per condizionare gli altri: si pensi al rapporto
Governo-partiti-media, a quello magistratura-media oppure a quello elezioni-media.
Nel senso comune che affermazione sembra scontata, ma nessuno Stato - liberista, socialista o
popolare che sia - ha recepito nel suo ordinamento una simile realtà.
Non gli Stati socialisti che hanno fatto della COMUNICAZIONE pubblica uno strumento solo
statuale o governativo: ma nemmeno gli Stati capitalisti che, anche sul piano formale, l’hanno
consegnata ai partiti (soggetti privati e poteri istituzionali) e/o ai mercanti, faccendieri e simili.
Se le comunicazioni di massa sono di fatto un quarto potere autonomo allora occorre
definirlo politicamente e legislativamente, sia nel suo funzionamento interno che nel rapporto
con gli altri poteri statuali e non (es. sovranità popolare, democrazia sociale, ecc.). Potenzialmente
esso è anche anche più forte e pervasivo degli altri tre. Un 4^ potere che se non appartiene al
controllo ed alla sovranità popolare non delegata, finisce per essere preda dei poteri più forti se
non di oligarchie ristrette. La storia di questi decenni è, al riguardo, sintomatica ed illuminante.
Occorre allora disciplinare questo potere ed il suo rapporto con gli altri tre, avendo come base di
riferimento l’esercizio della sovranità popolare non delegata ed i diritti comunicativi popolari.
Ne emergono alcune questioni di grande rilevanza:
- Quali assetti proprietari per la comunicazione e per la sua parte pubblica ?
la risposta del FORUM DAC è la proprietà collettiva (art.43 Costituzione).
- Chi ha titolo e diritto a comunicare attivamente?
tutti i soggetti singoli e collettivi, a partire da quelli più signiifcativi (art.21 Costituzione).
- Cosa diventa la rappresentanza politica, sociale e sindacale nel sistema comunicativo?
I modelli industriali privatistici non possono essere applicati alla comunicazione. Qui i soggetti
sociali, ad es., hanno insieme un ruolo attivo e diretto ed un ruolo di controllo.
I sindacati si muovono in un campo “non tradizionale” che costituisce l’esercizio della sovranità e
del controllo polare non delegato. Gli “utenti” sono anche comunicatori,
Affaristi, mercanti e politici (partiti) hanno già il monopolio in altri campi - istituzionali e non e possono avere loro strumenti privati di comunicazione. Possiamo accettare che monopolizzino
anche la comunicazione, anche quella pubblica e di matrice sociale e popolare?
- Quali strumenti specifici di tutela vanno fissati per la comunicazione?
Come DAC rispondiamo: Carta universale dei diritti comunicativi, norme antilottizzatorie, gestori
pubblici forti ed autonomi, proprietà collettiva dei sistemi pubblici, controllo popolare con revoca
dei gestori, eleggibilità dei responsabili, accesso diretto ai mass-media, autogestione associativa
dei media, controllo di qualità dei messaggi, dei servizi e dei prodotti TLC, ecc, ecc.
- Quale ruolo debbono avere la scuola, la formazione, la RAI ed altri soggetti similari?
rispondiamo: formare la coscienza e la conoscenza critica e laica dei cittadini su tutti i processi
che li riguardano, sulle soluzioni da adottare, sui compiti che li aspettano, ecc, per l’intero arco e
per ogni aspetto della loro vita.
L’elenco delle questioni potrebbe continuare, ma è già sufficiente per dire che occorrono culture
politiche e leggi specifiche per il quarto potere della comunicazione.
Per attuare tutto ciò non c’è neppure bisogno di modificare la Costituzione, basta solo leggerla
organicamente nel complesso dei suoi valori, dei principi e delle norme inapplicate.
Certo una sua risistemazione più attuale della COMUNICAZIONE nella nostra Costituzione può
anche essere fatta: ma allora questa sarebbe una vera ed urgente riforma costituzionale.
Questa impostazione - anche se in modo non esplicito e non organico - è presente nelle
Costituzionali e nelle sentenze costituzionali di vari Paesi - liberisti e competitivi- e nelle stesse
leggi comunicative (Canada, U.K., Germania, ecc.): perciò i loro assetti poggiano tuttora su servizi
pubblici forti e decentrati.
Il guaio che la storia del capitalismo è più forma che sostanza. Non solo, ma oggi invece che
“riportare” la sostanza alla forma (più giusta e razionale) ed alla legalità, si tende a fare il contrario,
cancellando la forma, il rispetto delle leggi, i valori di riferimento.
Ci si muove e si accettano politiche irrazionali, prive di strategia, senza sbocchi.
Si pensi ad es, alla politica scolastica, formativa o mediatica: i bisogni ed i mezzi tecnici di
formazione - informazione crescono ovunque e nelle varie età dell’uomo, eppure si taglia nella
scuola pubblica come nella RAI. Il risultato sarà allora quello di farci imbonire e colonizzare dai
soliti trust, non solo mediatici.
Roma 30 gennaio 1998