La patinatura della carta

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La patinatura della carta
9° Corso di Tecnologia per Tecnici Cartari
edizione 2001/2002
La patinatura
della carta
di Rustioni Emanuele
Scuola Interregionale di Tecnologia per Tecnici Cartari
Via Don G. Minzoni, 50 - 37138 Verona
Indice
1 - Introduzione alla patinatura della carta
2 - I componenti della patina
2.1 - i pigmenti
2.1.1 - i leganti
2.1.2 - carbonato di calcio
2.1.3 - bianco satin
2.1.4 - solfato di bario
2.1.5 - biossido di titanio
2.1.6 - pigmenti plastico-sintetici
2.2 - i leganti
2.2.1 - amido
2.2.2 - proteine di soia e caseina
2.2.3 - lattici
2.2.4 - carbossimetilcellulosa (CMC)
2.3 - gli additivi
2.3.1 - antischiuma
2.3.2 - addensanti
2.3.3 - riduttori di viscosità
2.3.4 - lubrificanti
2.3.5 - coloranti
2.3.6 - sbiancanti ottici
2.3.7 - biocidi
2.3.8 - insolubilizzanti
3 - La cucina patine
3.1 - preparazione in discontinuo
3.2 - preparazione in continuo
La patinatura della carta
4 - Reologia delle patine
4.1 - flusso newtoniano
4.2 - flusso plastico
4.3 - flusso pseudoplastico
4.4 - flusso dilatante
5 - Ritenzione all’acqua
5.1 - influenza della ritenzione sulla macchinabilità
5.2 - misurazione della ritenzione
6 - Metodi di spalmatura della patina
6.1 - patinatura fuori macchina
6.2 - patinatura in macchina
6.3 - size-press
6.4 - film press
6.5 - metering bar
6.6 - cast coating
6.7 - lama ad aria
6.8 - lama metallica
6.8.1 - rullo applicatore
6.8.2 - jet fountain
6.8.3 - short dwell
7 - Asciugamento della patina
7.1 - raggi infrarossi
7.2 - flottatori ad aria calda
8 - Conclusioni
La patinatura della carta
1. Introduzione alla fabbricazione
della patina
Al giorno d’oggi si richiedono stampe a più colori con perfetta definizione dei mezzi toni e massima uniformità dei fondi pieni. Dal momento
che la stampa avviene soltanto se la carta è a contatto col cilindro stampante, è evidente che se questa non è perfettamente liscia ed uniforme,
certi punti dell’immagine possono andar perduti.
La patinatura consiste essenzialmente nell’applicazione di uno strato di
patina uniforme sulla superficie del foglio di carta o di cartone allo scopo
di migliorarne l’aspetto superficiale (lisciatura, lucido, uniformità) e la
stampabilità. Per raggiungere tale fine nel modo migliore sono rilevanti i
seguenti fattori:
1. la qualità del supporto di carta su cui stendere la patina;
2. una corretta formulazione della patina;
3. una corretta conduzione del processo di patinatura;
4. eventuali operazioni di rifinitura, come la calandratura o la spazzolatura.
È bene premettere subito, che se una cattiva patina può rovinare un
buon supporto, con un supporto scadente non si potrà mai produrre una
buona carta patinata, anche usando ottime formulazioni. La patina non
nasconde i difetti del supporto, ma quasi sempre li esalta, ma ha lo scopo
di regolarizzare l’assorbenza dell’inchiostro, uniformandone la ricettività
impartendo un aspetto brillante alla stampa.
La patina, nella sua formulazione più generale, è una dispersione
acquosa costituita in prevalenza da sostanze insolubili che chiamiamo pigmenti, da leganti disciolti che hanno la funzione di legare le particelle dei
pigmenti fra loro, e da additivi, generalmente presenti in piccole quantità,
la cui funzione verrà illustrata più avanti.
I componenti disponibili per la formulazione delle patine sono molto
numerosi; ci limiteremo a considerare, come esempio, alcuni fra i più significativi.
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2. I componenti della patina
2.1 I pigmenti
Sono i costituenti più abbondanti della patina (70-90% della patina
secca). La scelta dei pigmenti è determinata dalle caratteristiche finali del
foglio che si vogliono ottenere in vista dell’uso cui la carta è destinata,
compatibilmente con considerazioni di carattere economico.
Fattori importanti nel valutare un pigmento sono: il grado di bianco, la
purezza di tinta, l’opacità che può impartire al foglio, la granulometria
(ossia la grandezza delle particelle, sia intesa come valore medio, che come
distribuzione statistica delle varie grandezze, perché ovviamente le particelle non hanno tutte la stessa grandezza), la forma delle particelle, la
quantità di legante che richiedono, la ricettività verso l’inchiostro (in genere fattore determinante per la stampabilità) fattore questo influenzato dalla
forma delle particelle: ad esempio il caolino che possiede particelle piatte
e sottili darà una superficie facilmente lucidabile ma relativamente chiusa
e quindi scarsamente assorbente verso gli inchiostri grassi, mentre bianco
satin e carbonati di calcio precipitati, avendo struttura aghiforme impartiranno alla patina più elevati valori di porosità, caratteristica questa molto
importante per una rapida stabilizzazione degli inchiostri.
La farina fossile che ha struttura molto irregolare è poco lucidabile.
La dispersione in acqua avviene prima per azione meccanica in modo
da frantumare gli agglomerati di particelle e poi aggiungendo un disperdente per creare fra loro una forza repulsiva che ne eviti la riflocculazione
compromettendo i valori di viscosità.
La forma e la finezza delle particelle è importante per la precisa determinazione del disperdente nonchè della quantità da impiegarne ed è così
anche per l’adesivo che dovrà opporre resistenza al tiro degli inchiostri in
fase di stampa. Ecco allora che diventa necessario definire un parametro:
l’aspect ratio, detto anche grado di delaminazione.
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In riferimento ad un pigmento rappresenta il rapporto fra la lunghezza e l’altezza delle sue particelle.
2.1.1 I CAOLINI
Sono dei silico-alluminati idrati che si sono formati nel sottosuolo per
decomposizione di feldspati. Il rapporto fra SiO2 , Al2O3 e H2O, che sono
i maggiori costituenti, varia a seconda del luogo di origine.
Il caolino americano è stato dilavato dall’acqua dal luogo di origine e
depositato nel tempo, formando giacimenti relativamente puri che consentono una facile estrazione.
Il caolino inglese, invece, è associato a minerali non utilizzabili (principalmente mica) e quindi deve essere assoggettato ad un complesso processo di separazione dalla ganga che consiste nell’asportare il materiale dalla
cava con getti di acqua ad alta pressione. I materiali più grossolani si depositano per primi; il caolino, che è più fine e costituisce meno del 10% del
totale, si deposita più lentamente in appositi vasconi. Viene quindi addensato e seccato in forni rotanti. I caolini americani hanno un’umidità attorno al 2%, quelli inglesi al 12%. L’acqua libera che non fa parte del caolino
può essere rimossa scaldandolo sopra i 100 °C, ma vi è anche un’acqua
combinata, che entra come parte costituente della molecola e viene eliminata per calcinazione oltre i 450 °C (12-13%).
Le particelle di caolino sono costituite da un insieme di lamelle esagonali. Si possono separare queste lamelle l’una dall’altra, ottenendo così dei
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caolini partico- lari chiamati delaminati.
La forma lamellare delle particelle di caolino è alla base di alcune
importanti proprietà di questo pigmento: disponendosi con la sezione esagonale parallela alla superficie del foglio, possono impartirle un buon potere riflettente, cioè un elevato lucido; inoltre essendo i bordi di ogni particella sovrapposti a quelli di un’altra, rie- scono a coprire con continuità il
supporto formando una barriera verso l’inchiostro, che penetra scarsamente nella patina e resta in superficie, ottenendo così una stampa brillante e lucida e un minore spreco di inchiostro.
I caolini possono disperdersi in acqua fino a un secco di 67/68%
(inglesi) o 70/71 % (americani). Le dispersioni di caolini calcinati non
superano il 50/51 % di secco. Per ottenere la dispersione del caolino occorre aggiungere dei deflocculanti. Infatti le particelle di caolino di per sé tendono ad aggregarsi formando agglomerati pesanti che decantano. Ciò è
dovuto alla reciproca attrazione fra le zone delle particelle cariche positivamente (bordi) e le zone cariche negativamente (superfici esagonali) di
altre particelle.
Per ottenere la dispersione del caolino si deve quindi impedire tale
attrazione elettrostatica. A tal fine si aggiungono NaOH fino a pH 8-8,5 e
piccole quantità di deflocculanti (sali di catene anioniche). Gli ossidrili
della soda caustica e le parti anioniche del deflocculante verranno attratti
dalle zone positive delle particelle (bordi) neutralizzandole e impartendo
una carica negativa.
Ora le particelle sono negative in tutte le loro parti, e i cationi della
soda e del deflocculante si disporranno intorno ad esse formando delle
nuvole positive.
Sono queste cariche positive periferiche che respingendosi fra loro,
impediscono la riaggregazione del caolino.
La dispersione ottenuta mediante una robusta agitazione sarà quindi
stabile, purché la si mantenga in continuo movimento. Si deve tener presente che per ogni caolino vi è un dosaggio ideale del disperdente, cui corrisponde un valore minimo della viscosità della dispersione; superando tale
dosaggio la viscosità torna ad aumentare.
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2.1.2 CARBONATO DI CALCIO
Un tempo era ottenuto per ventilazione del carbonato macinato o per
precipitazione con CO2 da latte di calce.
Attualmente si ottiene per macinazione del marmo in mezzo acquoso;
si può regolare il processo in modo da ottenere pigmenti con diversa distribuzione delle dimensioni particellari. Caratterizzante è la percentuale in
peso costituita da particelle con diametro inferiore a 2 micron, in base al
quale si classifica il carbonato secondo la finezza delle particelle ottenute,
scegliendo il tipo più idoneo allo scopo. Nei tipi più fini la percentuale in
peso dei granuli inferiori a 2 micron raggiunge il 95%. Il carbonato di calcio è disponibile già disperso. Ha un bianco elevatissimo (97/99%); la lucidabilità è inferiore a quella del caolino e aumenta col grado di finezza. È
particolarmente adatto per le carte opache. Ha un’elevata assorbenza
rispetto all’inchiostro.
Un inconveniente che si verificava in passato con le patine a base di carbonato e poco calandrate, consisteva nel fatto che durante la stampa l’inchiostro non si fissava stabilmente e tendeva a lasciarsi asportare. Con le
conoscenze tecnologiche di oggi tale rischio viene facilmente evitato.
2.1.3 BIANCO SATIN
È un sulfoalluminato di calcio, la cui formula chimica può essere indicata con 3CaO Al2O3 3CaSO4 32H2O. Si prepara partendo da una soluzione di allume e idros- sido di calce. Per la qualità del prodotto sono
importanti la scelta dei disperdenti, la purezza delle materie prime e le condizioni di preparazione.
Queste ultime possono influire sulla costituzione chimica del prodotto
che si ottiene. Le patine contenenti bianco satin sviluppano un elevato lucido e brillantezza e hanno un ottimo potere coprente. Quando si definisce
il secco della dispersione di bianco satin, si deve distinguere fra secco all’aria e secco in stufa: infatti una parte di acqua entra nella formulazione
come acqua di costituzione e viene eliminata gradualmente da 40 °C fino a
120 °C: così, ad esempio, se una sospensione del pigmento lascia per essiccamento all’aria un residuo del 30% circa, seccata in stufa a 105-110 °C
lascia un residuo del 22,5%. Per questo motivo, nella preparazione del
bianco satin si deve evitare un innalzamento della temperatura oltre i 35
°C.
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2.1.4 SOLFATO DI BARIO
Viene chiamato anche bianco fisso. Dato il costo molto elevato, entra a
far parte delle formulazioni di patine per carte di alta qualità. Ha un grado
di purezza molto spinto, un bianco notevole e un ottimo potere coprente.
Si ottiene per scambio chimico da sali di bario o per purificazione del solfato di bario. Viene posto in commercio in dispersione al 70%, perché non
è possibile ridisperderlo una volta seccato.
2.1.5 BIOSSIDO DI TITANIO
È molto apprezzato per il suo potere opacizzante. Ha bianco elevato. È
disponibile in due forme cristalline: rutilo e anatasio, che trovano entrambe impiego nella preparazione della patina.
Il rutilo è più compatto, più stabile, ha un maggior potere opacizzante,
è meno sensibile alla luce. Poiché il TiO2 assorbe nell’UV, rende inefficace
la presenza degli sbiancanti ottici, dei quali vedremo più avanti la funzione
e il meccanismo con cui agiscono.
Dato l’elevato costo, il biossido di titanio entra nella composizione
delle patine in modeste percentuali; inoltre si è proposta la sostituzione del
TiO2 con caolini calcinati, tenendo però presente nella formulazione che
il potere opacizzante di questi è circa la metà di quello del TiO2.
2.1.6 PIGMENTI PLASTICO-SINTETICI
È sufficiente una piccola percentuale di questi pigmenti (meno del
10% sul totale) per impartire un lucido molto elevato, anche con moderata calandratura. Hanno lo svantaggio del costo.
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2.2 Leganti
Le particelle di pigmento devono essere legate le une alle altre; inoltre
tali particelle a contatto con il supporto di carta devono essere fissate a quest’ultimo. Sono pertanto necessarie delle sostanze che hanno la funzione di
adesivo, che incollano le particelle di pigmento fra loro e al supporto: sono
appunto i leganti, senza i quali lo strato di patina si sgretolerebbe e si lascerebbe asportare dal tiro degli inchiostri in fase di stampa.
La quantità di legante da aggiungere è un fattore importante: se è
insufficiente, le particelle di pigmento sulla superficie possono staccarsi o
per azione di sfregamento o sotto il tiro dell’inchiostro durante la stampa.
I leganti non devono essere tuttavia in quantità eccessiva, perché possono
influire negativamente su altre caratteristiche della carta, come ad esempio
il lucido e la ricettività verso l’inchiostro; inoltre sono generalmente più
costosi dei pigmenti.
Il legante stabilisce dei ponti fra le particelle che deve unire; non riempie i vuoti disponibili fra le particelle di pigmento se non in piccola parte.
La quantità di legante varia secondo i pigmenti usati e dell’utilizzo finale cui la carta è destinata. Così ad esempio la carta per rotocalco richiede
quantità molto basse rispetto ad una carta per offset, e una carta per etichette ne richiede di più di una carta per edizioni. I leganti vengono quasi
sempre usati in associazione; es: amido + lattice, caseina o proteina + lattice, CMC + lattice.
2.2.1 AMIDO
È un polimero naturale del glucosio caratterizzato dal fatto che le unità
glucosidiche sono legate fra loro con legami alfa 1-4, mentre nella cellulosa i legami sono beta 1-4. Di conseguenza la composizione chimica è uguale nell’amido e nella cellulosa, ma varia la configurazione spaziale. La cellulosa ha una struttura fibrosa, l’amido ha una struttura granulare.
Le molecole di amido possono essere ramificate (amilopectina) o non
ramificate (amilosio). L’amido usato nell’industria cartaria proviene per lo
più dal mais, dalle patate o dal frumento. A seconda dell’origine varia il
peso molecolare dell’amido e il rapporto fra la frazione di amilosio e quella di amilopectina.
Gli amidi impiegati nella fabbricazione della carta e nella preparazione
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delle patine sono amidi modificati chimicamente. La modifica della molecola è necessaria per ottenere viscosità più basse e una miglior reologia.
I principali tipi sono:
1. amidi ossidati, nei quali alcuni dei gruppi alcoolici primari CH2OH
vengono ossidati a gruppi carbossilici che, come vedremo oltre, ostacolano la retrogradazione dell’amido.
2. amidi esterificati, che sono stabili e ben filmanti;
3. amidi esterificati con introduzione di gruppi acetilici.
Per preparare la salda di amido da impiegare nella patina si disperde la
polvere in acqua al 20-35%, secondo il tipo di amido (latte di amido) sotto
agitazione e si porta a cottura a 95 °C per almeno 20 minuti. L’amido ottenuto deve essere inviato all’utilizzo, oppure conservato a temperatura non
inferiore a 60 °C in recipienti isolati termicamente o muniti di camicia di
riscaldamento. Infatti le molecole di amido tendono ad associarsi nuovamente in agglomerati molecolari visibili al microscopio; la salda d’amido
assume un aspetto gelatinoso, molto viscoso, e non può essere più utilizzata.
Questo fenomeno si dice retrogradazione e avviene tanto più rapidamente quanto più bassa è la temperatura. Le molecole di amilosio, essendo
lineari, tendono ad associarsi più facilmente, mentre le ramificazioni presenti nelle molecole di amilopectina costituiscono un ostacolo al loro reciproco avvicinamento, diminuendo la tendenza alla retrogradazione: per lo
stesso motivo i gruppi chimici introdotti nella modificazione dell’amido
(carbossili, acetili, ecc.) ostacolano la retrogradazione.
Può essere talora vantaggioso acquistare l’amido nativo e convertirlo in
cartiera mediante ossidazione o enzimazione. In genere si preferisce usare
amido non proprio nativo, ma già leggermente modificato, ad es. per esterificazione, perché si ottiene un prodotto più puro e più stabile.
OSSIDAZIONE
Il latte di amido viene addizionato con l’ossidazione (per solfati o più
comunemente H2O2) e con una piccola quantità di solfato di rame come
catalizzatore, quindi viene convogliato in apposito cuocitore tubolare sotto
pressione assieme a una corrente di vapore a 120-140 °C.
Sono fondamentali una intima mescolanza amido/vapore e una corretta progettazione del cuocitore, che deve garantire un sufficiente tempo
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di contatto per completare la reazione. La viscosità finale che si ottiene è in
funzione della quantità di ossidante, della concentrazione del latte di
amido, della temperatura e del tempo di contatto.
ENZIMAZIONE
È un sistema versatile e sicuro, relativamente al prodotto finale che si
ottiene, ma richiede un impianto più costoso; perciò è vantaggioso solamente quando il consumo dell’amido è abbastanza elevato da consentire
un rapido ammortamento dell’impianto. L’enzimazione deve esser fatta
con un sistema in continuo e completamente automatizzato, per evitare
variazioni delle caratteristiche del prodotto. Al latte di amido viene aggiunto l’enzima (amilasi) che dovrà produrre l’idrolisi della molecola di amido.
Il latte viene quindi trasferito in un cuocitore a vapore diretto, dove
avrà luogo l’attacco enzimatico favorito dalla temperatura di 80 °C.
L’amido prosegue attraverso una camera di reazione, e dopo un adeguato
tempo di contatto, entra assieme a vapore diretto in un secondo cuocitore
dove l’elevata temperatura, 120 °C, distrugge l’enzima ponendo fine alla
reazione.
Una variante da preferire consiste nel sostituire il primo cuocitore con
un’ampia camera di reazione. Da questa l’amido viene convogliato assieme
al vapore surriscaldato in una serpentina in cui, a 120 °C, avviene la distruzione dell’enzima. Questo esperimento è alloggiato in un’intercapedine a
contatto con la camera di reazione, per cui si sfrutta il calore ceduto per
dispersione dalla serpentina per mantenere la temperatura della camera di
reazione a 80 °C.
Dalla serpentina l’amido viene convogliato al serbatoio di stoccaggio.
In tutti i sistemi in continuo, sia di conversione termochimica o di enzimazione, un sistema automatizzato di livelli e consensi, arresta automaticamente il funzionamento dell’impianto quando il serbatoio è pieno e lo riavvia quando il livello nel serbatoio ha raggiunto la posizione di minimo. Il
vantaggio delle conversioni di amido eseguite nello stabilimento consiste
nel risparmio che si può realizzare nella materia prima e nella possibilità di
variare la viscosità del prodotto finale secondo le proprie necessità, agendo
su uno dei parametri (tempo di contatto con l’enzima attivo, quantità di
ossidante, ecc.). L’amido è particolarmente adatto per patine non superficiali, sulle quali cioè successivamente si stende un secondo strato di patina.
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Soprattutto quando si usa in superficie, l’amido deve essere insolubilizzato
affinché la patina risulti resistente all’azione dell’acqua.
Efficaci come insolubilizzanti sono le resine melammina-formaldeide
(dosata al 10% circa sull’amido presente) e il carbonato di zirconio ammonio. Le cere non possono considerarsi dei veri insolubilizzanti perché non
si legano all’amido, ma formano una barriera resistente all’acqua, contribuendo alla resistenza superficiale verso l’acqua.
2.2.2 PROTEINE DI SOIA E CASEINA
Sono fra i leganti più pregiati per le ottime caratteristiche impartite alla
carta patinata, rilevabili soprattutto alla stampa. La chiusura della superficie ne garantisce un elevato lucido anche sulle carte opache. La stampa
acquista più risalto e un maggior rilievo. Le proteine presentano, rispetto
alla caseina, il vantaggio di una maggior uniformità del prodotto. Inoltre
sono disponibili in una notevole varietà di versioni, fra le quali si può scegliere quella che più risponde alle proprie necessità. Pertanto oggi si preferisce sostituire la caseina con le proteine di soia.
Le proteine (o la caseina) vengono generalmente usate in piccola percentuale assieme al lattice. La caseina si ottiene dal latte vaccino per acidificazione. La qualità è molto variabile a seconda del latte e della zona di origine. Chimicamente è costituita da catene di amminoacidi di diversa natura variamente legati fra loro e ramificati. Quindi la molecola è caratterizzata dalla presenza di funzioni carbossiliche.
Le proteine si ricavano dai semi di soia dopo aver estratto l’olio. La
natura chimica è simile a quella della caseina. Grazie ai trattamenti chimici ai quali vengono assoggettate si ottengono varie qualità di proteina di
soia ciascuna con caratteristiche controllate e costanti. Le proteine e la
caseina si sciolgono in alcali, rispettivamente a 60 e 50 °C. A temperature
superiori si rischia l’idrolisi della catena molecolare con conseguente
diminuzione del potere legante. Per questo motivo si dovrebbe preferire
l’ammoniaca come base, perché ha un’azione idrolitica più blanda e viene
eliminata per evaporazione durante la patinatura (si pone quindi il problema dell’aspirazione dei vapori dall’odore pungente). Se si usa la soda
caustica, si deve evitare di eccedere nel dosaggio oltre il necessario per evitare l’iscurimento, l’idrolisi e un pH superficiale della carta troppo elevato.
Se la proteina o la caseina viene preparata a parte, si aggiunge l’alcali alla
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dispersione acquosa della proteina.
Per evitare di abbassare il secco delle patine, si preferisce sciogliere la
proteina in polvere direttamente nella dispersione del pigmento durante la
preparazione della patina, sfruttando così la stessa acqua della dispersione
del pigmento. Durante l’aggiunta della proteina si verifica un aumento di
viscosità; lo sforzo di agitazione produce calore e si raggiunge generalmente la temperatura di dissoluzione della proteina senza necessità di scaldare;
anzi si deve controllare che la temperatura non salga oltre i 60 °C. Può essere necessario ripartire l’aggiunta di alcali prima e dopo l’aggiunta di proteina, onde evitare lo shock proteinico, ossia l’ispessimento della proteina
quando l’ambiente subisce un brusco abbassamento del pH: L’aumento di
viscosità può, in queste condizioni, trasformare la dispersione pigmento/proteina in una massa pastosa semisolida che blocca l’agitatore e deve
essere rimossa meccanicamente. Per lo stesso motivo le proteine vanno
aggiunte lentamente, sotto forte agitazione, allo scopo di assicurare una
rapida diffusione e omogeinizzazione evitando shock locali.
2.2.3 LATTICI
Sono emulsioni di polimeri sintetici termoplastici, ottenuti polimerizzando insieme monomeri di natura diversa. Generalmente si tratta di copolimeri, cioè prodotti di polimerizzazione di 2/3 monomeri di stirene e
butadiene. Il rapporto fra molecole di butadiene e stirolo va da 40/60 a
30/70 circa. La diminuzione di tale rapporto favorisce la rigidità del polimero, l’aumento ne incrementa la plasticità e il potere legante.
Alla polimerizzazione prende parte, oltre ai due componenti principali, almeno un terzo monomero, in piccole quantità. Si tratta di acidi carbossilici vinilderivati, contenenti un doppio legame che partecipa alla polimerizzazione, con un meccanismo analogo a quello indicato sopra per il
butadiene e lo stirene. L’introduzione di questi gruppi carbossilici nella
molecola del polimero aumenta l’affinità verso il pigmento e migliora
anche la stabilità dell’emulsione. Infatti data l’affinità delle funzioni carbossiliche verso le molecole di acqua, queste si fissano attorno alle micelle
di lattice e impediscono a queste di aggregarsi fra loro. I lattici acrilici sono
assopolimeri o più spesso copolimeri di monomeri acrilici (scrilonitrile,
acrilati, metilmetacrilato, ecc., assieme talora a stirene o stirene-butadiene).
Consentono una buona chiusura della superficie per il loro potere filLa patinatura della carta -
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mante. I lattici non fissano gli sbiancanti ottici, ma tale limitazione non
costituisce un impedimento al loro uso, perché i lattici vengono generalmente associati a un altro legante (come amido, proteina, carbossilmetilcellulosa, alcool polvinilico), che ha una buona affinità con gli sbiancanti
ottici. Come per gli altri componenti della patina, anche per i lattici la scelta del tipo da impiegare dipende dalle caratteristiche finali del foglio patinato che si vogliono ottenere, dall’uso cui la carta è destinata e dalla necessità che la patina preparata abbia una buona macchinabilità in patinatrice.
Schematizzando si possono riassumere così le loro caratteristiche principali: a prima vista si presentano come fluidi bianchi ed opachi; in essi la
fase dispersa è un polimero in particelle sferoidali, mentre il disperdente è
una soluzione acquosa di emulsionanti, catalizzatori e stabilizzatori, agenti
tensioattivi fungono da interfaccia separando e stabilizzando quindi il polimero dalla fase acquosa.
I fattori caratterizzanti sono: la stabilità chemimeccanica, le dimensioni delle particelle, le loro interazioni, la tensione superficiale, il valore di
pH, viscosità, la capacità filmogena, il residuo secco.
Per ottenere stabilità meccanica bisogna tener presente che situazioni
dovute al processo, come agitazione violenta, pompaggio, filtrazione, possono creare grumi, cioè coaguli tra le particelle solide della sospensione. La
controreazione della patina sarà quindi influenzata dalla stabilità meccanica del legante.
Per quanto riguarda la stabilità chimica si può semplicemente dire che
le sostanze in fase acquosa devono ovviamente coesistere senza colegarsi,
demolendosi e deteriorandosi.
Un altro fattore caratteristico dei lattici è che non possiedono un valore di temperatura per passare dallo stato solido a quello liquido; esiste una
temperatura di transizione, detta di transizione vetrosa (Tg), che modifica
alcune caratteristiche del fluido come la viscosità, il modulo di elasticità, il
volume specifico, l’indice di rifrazione. È la temperatura alla quale il lattice passa da uno stato simile a quello del vetro ad uno stato plastico.
Prendendo in esame lo stirene/butadiene che ha una durezza considerevole permette una migliore abrasione della superficie durante la calandratura che a sua volta incrementerà il grado di lucido della superficie
patinata.
Ad una diminuzione di stirene nel lattice, segue una diminuzione della
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rigidità determinando un calo della porosità.
Importante tenere presente che il lattice può migrare sulla carta patinata a causa di uno scorretto asciugamento, e questo può avvenire per
punti creando una superficie con densità irregolare e favorendo il problema del mottling, difetto che può essere favorito anche da una patina molto
diluita , cioè con basso contenuto di solidi. La migrazione del legante verso
la superficie della carta, comporta l’occlusione dei micropori tra particelle
di pigmento, imprdendo il corretto assorbimento delle componenti liquide
degli inchiostri grassi. Questo spostamento verso il supporto riguarda sopratutto i leganti idrosolubili come amidi e caseine ed è principalmente controllata dalle caratteristiche di assorbenza del foglio e dipende anche dalla
ritenzione d’ acqua della patina, concetto che verrà più avanti chiarito.
Nelle patine ad elevata concentrazione di solidi, e a velocità di asciugamento elevate, il legante si concentra sopratutto sulla superficie della patina, mentre con basse percentuali di solidi e velocità di asciugamento lente,
si concentra maggiormente verso il supporto.
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2.2.4 CARBOSSIMETILCELLULOSA (CMC)
Si ottiene dalla cellulosa per introduzione di gruppi CH2-COOH. Il
grado di sostituzione è un importante fattore di caratterizzazione. Vi sono
molti gradi di CMC che differiscono fra loro per la viscosità o per la purezza. La CMC s’impiega in piccola percentuale, generalmente 0,5-2% sul pigmento, insieme al lattice.
La CMC favorisce la ritenzione d’acqua (cioè, come vedremo più avanti, la tendenza della patina a trattenere la parte acquosa contenente i leganti, che altrimenti tenderebbero a penetrare sul supporto, impoverendone
lo strato di patina); questa proprietà si riduce però drasticamente con l’aumento di temperatura, per esempio nella fase iniziale di essiccamento della
patina. La CMC provoca aumenti di viscosità spesso indesiderati, specie
quando si usano patine con secco elevato. Durante l’impiego della patina,
ma soprattutto durante il reimpiego della carta patinata di scarto (refili,
fogliacci) tende a separarsi sotto forma di microscopici grumi, per cui è
fonte di sporco, depositi e occlusioni di filtri. Il risultato di stampa è buono,
anche se inferiore a quello ottenibile con proteine più lattice.
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2.3 Additivi
Oltre ai pigmenti e ai leganti, che sono i principali costituenti della
patina, si devono aggiungere piccole quantità di sostanze che svolgono una
funzione molto importante e irrinunciabile. Fra questi additivi possiamo
includere i disperdenti del pigmento, dei quali abbiamo già visto la funzione e il comportamento.
2.3.1 ANTISCHIUMA
Si distinguono in preventori di schiuma e abbattitori di schiuma. I
primi impediscono o limitano il formarsi della schiuma; i secondi favoriscono la scomparsa di quella che si è formata. Si preferisce ricorrere ai preventori e aggiungere eventualmente un abbattitore quando, nonostante la
presenza del preventore, si assiste talora a una formazione anormale di
schiuma. Il preventore si aggiunge nella patina durante la preparazione;
l’abbattitore durante l’impiego, nel luogo in cui si rende necessario. La formazione di schiuma può essere favorita dalla natura di qualche ingrediente nella patina, che sarà quindi opportuno cercare di individuare e possibilmente sostituire; da trascinamenti meccanici di aria nella patina, durante la turbolenza dell’agitazione o per infiltrazione attraverso le tenute di
pompe, giranti, ecc. La schiuma influisce negativamente sulla reologia
della patina; inoltre le bollicine di aria che galleggiando, scoppiano lasciando il segno sulla superficie, mentre le microbollicine di aria occluse nella
patina, durante l’essiccamento del foglio, si aprono una via verso l’alto ed
esplodono lasciando dei minuscoli crateri.
È da tener presente che gli antischiuma impiegati nelle patine non
sono i medesimi usati nella fabbricazione della carta. L’antischiuma deve
essere ben disperso e non se ne deve usare più di quanto non sia necessario, per evitare difetti superficiali dovuti ad accumulo del prodotto.
2.3.2 ADDENSANTI
Servono ad ottenere un aumento della viscosità, una modifica della
reologia e una maggiore ritenzione d’acqua. La CMC, già presa in considerazione con i leganti, è uno fra i più usati. Si usano anche alginati o prodotti sintetici.
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2.3.3 RIDUTTORI DI VISCOSITÀ
Servono a ridurre la viscosità della patina, quando questa risulta eccessiva. In generale si preferisce non ricorrere a questo tipo di additivi, evitando formulazioni eccessivamente viscose. È da tener presente che la viscosità diminuisce anche aumentando il pH, ma non si può agire per questa via
oltre un certo limite, perché un pH molto elevato (come uno molto basso) favoriscono il difetto della “velatura” in fase di stampa, ossia la comparsa di colore
sulle zone del foglio che non dovrebbero ricevere l’inchiostro.
2.3.4 LUBRIFICANTI
Aumentano la plasticità della patina e dello strato di questa sul foglio;
migliorano l’aspetto superficiale, la lucidabilità alla calandratura e il risultato di stampa. Sono molto importanti per le carte per rotocalco, mentre
per le carte per offset l’effetto dei lubrificanti è più discutibile, o almeno
difficile da valutare. I più diffusi sono lo stearato di calcio in emulsione ed
emulsioni di cere.
2.3.5 COLORANTI
Servono a impartire, anche quando la patina è bianca, una sfumatura
di tinta tale da rendere gradevole l’aspetto e mascherare il lieve fondo giallo che alcuni pigmenti possiedono. Si può variare a piacimento la sfumatura modificando la quantità di due pigmenti: in genere uno rosso e l’altro
blu (o violetto). Si può così ottenere un bianco rosato, azzurrato, ghiaccio.
In una carta patinata bianca la quantità di coloranti è minima: un eccesso
incupisce il colore e deprime il bianco.
2.3.6 SBIANCANTI OTTICI
Gli sbiancanti o candeggianti ottici sono sostanze fluorescenti, cioè
dotate della proprietà di assorbire la radiazione UV, non visibile, e riemetterla con una energia inferiore, ossia con una lunghezza d’onda superiore,
nel blu o violetto visibile. Così, a parità di luce incidente, aumenta la quantità di luce visibile riflessa dal foglio, che quindi appare all’occhio più bianco di quanto non lo sia effettivamente. A seconda della lunghezza d’onda
con cui la radiazione UV viene rimessa, si dice che lo sbiancante ha una
fiamma blu o rossa. Lo sbiancante deve disporre di una sostanza supporto
su cui fissarsi: proteina, amido, CMC, alcool polivinilico. La presenza di
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biossido di titanio fra i pigmenti neutralizza l’effetto dello sbiancante e lo
rende inutile, perché il TiO2 assorbe l’UV e sottrae quindi la radiazione UV
necessaria al funzionamento degli sbiancanti. Per valutare l’effetto dello
sbiancante si deve misurare il bianco della superficie alternativamente con
e senza un filtro UV interposto. Con il filtro interposto si intercetta la radiazione UV, per cui l’effetto dello sbiancante in assenza di UV verrà meno e
il bianco risulterà inferiore a quello misurato senza filtro. La differenza di
bianco con e senza filtro misura quindi l’efficacia dello sbiancante. Gli
sbiancanti possono essere a saturazione: aumentandone la quantità, l’effetto aumenta fino a un certo punto per arrestarsi e quindi calare a dosaggi
crescenti. Sono disponibili anche sbiancanti che consentono di incrementare il bianco, aumentando il dosaggio senza che si raggiunga la saturazione. Gli sbiancanti vanno usati con precauzione, evitandone il contatto e l’aspirazione, essendovi ancora incertezza degli effetti sull’organismo umano.
2.3.7 BIOCIDI
Alcuni componenti organici della patina, in particolare caseina, proteine, amidi, sono soggetti a fermentazione batterica. Ciò produce un
odore molto sgradevole e l’alterazione delle caratteristiche della patina, pH
e viscosità, con effetti negativi sul potere legante e sulla ritenzione d’acqua.
Si previene la fermentazione con piccolissime quantità di biocidi scelti in
funzione del pH della patina e della loro compatibilità con la patina da trattare. Fra i pigmenti, i carbonati, specie quelli a granulometria media e
bassa, per la presenza di impurezze organiche nel minerale d’origine, devono essere trattati con biocidi dal fornitore o, se necessario, dall’utilizzatore.
Nonostante l’uso di biocidi, può capitare che si sviluppi un focolaio
d’infezione in qualche punto dell’impianto, dove la patina tende a ristagnare a lungo. In tal caso si devono distruggere le colonie batteriche lavando il circuito con solu- zioni di soda caustica e ipoclorito. Tale lavaggio è
suggerito anche a scopo preventivo e con frequenza mensile.
2.3.8 INSOLUBILIZZANTI
Se ne è già accennato a proposito della insolubilizzazione dell’amido. Le
patine sono più difficili da insolubilizzare se il pH è elevato. Se però questo
è dovuto a NH3, che evapora durante l’essiccamento della patina ha luogo la
reazione con l’insolubilizzante (melammina-formaldeide, gliossale, ecc.).
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3. La cucina patine
Per cucina patina s’intende il complesso degli impianti e delle apparecchiature necessari per la preparazione della patina e per la sua movimentazione fino all’alimentazione della patinatrice. Schematicamente, possiamo considerarla costituita da:
1. Impianti per l’eventuale dispersione o preparazione di alcuni componenti della patina (es: caolino, amido, CMC, ecc.) e i serbatoi per
il loro stoccaggio.
2. Sistemi di dosaggio dei componenti della patina.
3. Sistemi di preparazione della patina in discontinuo (dispersori,
impastatrici) o in continuo.
4. Filtrazione della patina.
5. Serbatoi della patina.
6. Finali per l’alimentazione delle teste patinatrici.
7. Filtrazione dell’eccesso di patina che ritorna dalle teste patinatrici.
È importante che la cucina possieda una flessibilità adeguata: deve cioè
essere in grado di far fronte entro certi limiti al variare delle necessità.
Infatti nel tempo le formulazioni possono essere modificate, o se ne possono aggiungere altre nuove, ovvero possono aumentare le produzioni e
quindi le quantità di patina necessaria. Per ogni materia prima, gli operatori devono essere ragguagliati sul tipo di materiale di cui devono essere
fatti i serbatoi, le pompe, i collegamenti; se è necessario che vi sia agitazione nei serbatoi e con quali modalità; quali sono i limiti di temperatura
minimi e massimi ai quali possono essere sottoposti; l’eventuale pericolosità secondo le norme di sicurezza.
Il dosaggio dei componenti viene per lo più effettuato o per pesata con
celle di carico al dispersore stesso o, nel caso di additivi liquidi, con pompe
dosatrici. Nella preparazione della patina in continuo il dosaggio è sempre
volumetrico.
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3.1 Preparazione in discontinuo
Si effettua miscelando i vari ingredienti in appositi dispersori, che sono
recipienti muniti di agitatore. L’agitatore è costituito da un albero con
delle pale fissate a varie altezze oppure da una girante sul fondo, fissata a
un perno passante, per cui si richiede un’efficace tenuta idraulica.
L’agitatore ha in genere più di una velocità, dato che la dispersione del
pigmento o delle proteine richiede un’ agitazione molto energica, mentre
dopo l’aggiunta dei lattici e di altri additivi è preferibile una blanda agitazione per evitare la destabilizzazione delle emulsioni.
Sulle pareti di alcuni dispersori vi sono dei settori fissi che servono a
frangere il flusso della massa in agitazione assicurando una buona miscelazione. Il dispersore può essere munito di camicia di raffreddamento ad
acqua per evitare che a causa dell’agitazione la temperatura salga troppo;
raramente, solo quando si è in presenza di patine fluide a basso secco, può
essere necessario scaldare la massa con vapore immesso nella camicia. II
fondo del dispersore è leggermente conico per facilitare lo svuotamento a
fine preparazione.
Le impastatrici sono munite di due agitatori a pale sfasate: uno centrale ad alta velocità, l’altro periferico più lento. Quest’ultimo è munito anche
di una serie di raschie in teflon che strisciando sulla parete interna, durante la rotazione, la mantengono pulita.
3.2 Preparazione in continuo
In alternativa ai dispersori esaminati sopra, si possono usare dei miscelatori tubolari in serie nei quali vengono immessi in maniera continua e
dosata gli ingredienti, che fluiscono miscelandosi intimamente.
Naturalmente in questo caso tutti i componenti devono essere necessariamente liquidi o predispersi. I principali vantaggi sono l’impiego immediato della patina preparata e la possibilità di passare rapidamente da una
formulazione all’altra senza che si abbiano notevoli quantità di rimanenza
di quella precedente. Inoltre si lavora in sistema chiuso, praticamente senza
trascinamenti d’aria, completamente automatizzato. Anche il sistema discontinuo, può essere automatizzato. In tal caso la preparazione è regolata
da un computer nel quale vengono inseriti i programmi delle varie formuLa patinatura della carta -
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lazioni con le qualità degli ingredienti, la sequenza di aggiunta e i tempi di
agitazione veloce o lenta. La precisione di dosaggio viene assicurata con
delle celle di carico per misurare il peso dei prodotti inseriti, con pompe
dosatrici che misurano i volumi inviati al dispersore, oppure misurando il
tempo di funzionamento di pompe a portata costante. Le patine preparate
in automatico, hanno caratteristiche più costanti e richiedono un intervento minimo da parte dell’operatore.
La patina preparata deve essere filtrata dalle impurezze estranee, dai
grumi e dai residui indisciolti. La filtrazione si compie attraverso reti con
maglie di 100 micron di lato in filtri aperti e vibranti oppure chiusi sotto
pressione, di tipi tubolari o con cestello rotante.
Anche la patina che, dopo essere stata a contatto col foglio di carta, si
ricicla in patinatrice, deve essere filtrata da grumi, coaguli, impurezze e
fibre asportate dal foglio di carta, prima di tornare a contatto col supporto,
usando reti da 100-150 micron.
Le caratteristiche che devono essere controllate di routine su tutte le
preparazioni e annotate su un registro o su modulo, sono:
1. il contenuto secco; (per essiccamento in stufa a 105-110 °C o meglio
su bilancia elettronica munita di un sistema a lampada infrarosso che
in pochi minuti essicca il campione e su cui legge direttamente la
percentuale di secco della patina.
2. La viscosità, che si misura con il viscosimetro Brookfield a una temperatura fissa (es. 25 °C) a 100 e 25 giri.
3. il pH.
Sono importanti per la creazione della patina e per prevederne il comportamento in patinatrice anche la ritenzione d’acqua e il comportamento
reologico.
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4. Comportamento reologico
della patina
La reologia studia le deformazioni che subisce la materia sotto l’azione
di una forza esterna.
Consideriamo un elemento cubico di un liquido (come può considerarsi la patina)
di cui una faccia ABCD sia immobile. Se tangenzialmente alla faccia
opposta EFGH, una forza P agisce sul bordo FE, l’elemento cubico si deforma: la faccia EFGH scorre nel senso della forza applicata con velocità v. La
resistenza allo scorrimento viene misurata con la forza P applicata all’area
unitaria del piano superiore EFGH, ed è denominata forza di taglio T.
Quindi:
T= P/A
dove con A si intende l’area delimitata dai punti EFGH.
Le sezioni parallele intermedie dell’elemento cubico, scorrono con
velocità via via minore quanto più si avvicinano alla base fissa. L’angolo FAB
se sottoposto alle sollecitazioni non è più retto e assume un valore w che
diventa sempre più piccolo col trascorrere del tempo.
Potremo perciò definire una velocità di deformazione D, ponendola
uguale alla variazione di w col tempo.
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La viscosità assoluta (Va) corrisponde alla forza per unità di superficie
necessaria a mantenere un gradiente di scorrimento unitario.
Va=T/D
Usando le unità di misura SI (sistema internazionale), si misura in Pa
(Pascal) e D in s (secondi). 1 mPa (millipascal) equivale a 1 cps (centipoise) nel sistema di misura che si usava in passato. Il coefficiente coincide con
buona approssimazione con il coefficiente di viscosità e si misura in mPas
(millipascalsecondo).
Pertanto più la viscosità è elevata, minore risulta la velocità di deformazione D a parità di sforzo di taglio: la viscosità misura dunque la tendenza del liquido a opporre resistenza al movimento.
Per caratterizzare il comportamento di un liquido sotto l’aspetto reologico, si deve esaminare come varia la velocità di deformazione in funzione
della forza di taglio applicata.
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Si distinguono i comportamenti seguenti:
4.1 Flusso newtoniano
Curva A. Aumentando T, D cresce proporzionalmente; la pendenza
della curva è costante, perché costante rimane la viscosità al variare della
forza di taglio. Infatti la pendenza rappresenta l’inverso della viscosità. Il
flusso newtoniano si ha nel caso dell’acqua, delle soluzioni, delle sospensioni molto diluite nelle quali non vi è interazione fra le particelle disperse.
4.2 Flusso plastino
Curva B. Si deve applicare una forza ben definita prima che abbia inizio il movimento. È il caso di certe dispersioni che richiedono una fase iniziale in cui le particelle vengono divise le une dalle altre per azione dello
sforzo applicato; oltrepassata tale soglia, il flusso assume andamento newtoniano.
4.3 Flusso pseudoplastico
Curva C. Si ha il movimento da subito, ma vi è inizialmente una forte
resistenza (viscosità elevata). È il caso dei polimeri che richiedono inizialmente un forza maggiore, in quanto parte di questa viene spesa per l’allineamento delle molecole. Più l’allineamento procede, via via che aumenta
lo sforzo, più la viscosità diminuisce e il flusso diviene più rapido.
4.4 Flusso dilatante
Curva D. È caratteristico di alcune dispersioni molto dense con forti
attriti fra le particelle. La viscosità aumenta col crescere dello sforzo di
taglio, e la massa tende ad assumere consistenza sempre più pastosa. Lo
sforzo di taglio aumenta più rapidamente della velocità di flusso.
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Supponiamo ora di applicare una forza di taglio a un liquido non newtoniano. Se al cessare dell’azione il liquido riacquista subito le condizioni
che aveva prima di applicare la forza, il liquido si definisce non tixotropico.
Se invece si manifesterà un’ isteresi, cioè occorrerà un intervallo di tempo
prima che il liquido riassuma lo stato originario, il liquido si definisce tixotropico.
Il diagramma che si ottiene aumentando lo sforzo di taglio fino a un
certo valore e riportandolo quindi a zero, presenta, per un liquido tixotropico, una configurazione ad anello allungato (fig. 3).
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È evidente che per lo stesso valore di forza di taglio si hanno due valori di D a seconda che si stia incrementando o che lo si stia diminuendo.
Diagrammi di tipo simile si possono tracciare rapidamente con appositi
strumenti (Hercules, Venema, Rotovisco, ecc.) con i quali si misura il
momento torcente al variare della velocità angolare e danno preziose informazioni su quello che sarà il comportamento di una particolare formulazione durante la patinatura. Il comportamento tipico di una buona patina
è pseudoplastico/tixotropico.
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5. Ritenzione dell’acqua
La ritenzione all’acqua di una patina dipende dalle forze di attrazione
fra i gruppi polari dei polimeri dissolti e le molecole dell’acqua. L’acqua è
un solvente estremamente polare. Consiste in un atomo di ossigeno con
una densità di carica altamente negativa e due atomi di idrogeno con densità di carica altamente positiva. Perciò essa stabilizza altre sostanze con un
deficit o un eccesso di elettroni, formando legami idrogeno.
Gli addensanti e leganti sintetici consistono in gruppi anionici carbossilici con un eccesso di elettroni insieme ad esteri organici e gruppi acetati
con un deficit di elettroni. Tutti e due i gruppi attraggono molte molecole
di acqua per bilanciare la loro carica, e ciò causa, appunto, ritenzione d’acqua, influenzata dai seguenti fattori:
a) temperatura: l’alta temperatura riduce le forze d’attrazione fra l’acqua ed i gruppi funzionali contenuti negli additivi come i leganti e
addensanti.
b) contenuto di solidi: l’effetto di questi additivi sull’acqua è maggiore
in patine molto concentrate rispetto a quelle più diluite. La ritenzione all’acqua nelle patine aumenta linearmente col loro contenuto di solidi, ma la reologia decresce allo stesso tempo.
c) supporto: un supporto con un’alta assorbenza richiede una patina
con una ritenzione che compensa l’azione di capillarità.
d) pigmenti: attraggono le molecole di acqua grazie ai gruppi polari
sulla loro superficie. La separazione delle cariche gioca un’importante parte, col risultato che ad esempio, il caolino inglese da una
maggior ritenzione rispetto ad altri pigmenti.
e) struttura chimica dei componenti: la ritenzione all’acqua può essere
aumentata grazie alla selezione dei monomeri polari e solubili.
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5.1 Influenza della ritenzione
sulla macchinabilità
Una buona macchinabilità si ottiene solamente se la ritenzione all’acqua è sufficientemente alta e la viscosità sotto alte forze di taglio è bassa.
Un’alta ritenzione dipende dall’abilità della patina di trattenere riserve
d’acqua dopo l’applicazione sul foglio e dal fatto di restare fluida per più
tempo possibile. Questo è essenziale per il successo del processo di patinatura.
Non appena la patina entra a contatto col foglio un po’d’acqua penetra in esso. Il contenuto di solidi nella patina immediatamente adiacente la
superficie della carta, sale velocemente creando drammatici effetti sulla
reologia. Questo forma una parte immobile detta "cake" (torta, che rende
l’idea) e dipende da un fattore che chiameremo setting point o punto di
immobilizzazione. Il tempo richiesto perché la patina diventi immobile
dipende quindi dalla propria ritenzione.
La perdita di acqua attraverso il foglio viene inoltre enfatizzata dalla
pressione sotto la lama.
L’incremento in concentrazione può causare un cambiamento nella
reologia da pseudoplastica a dilatante e può causare gravi problemi per la
macchinabilità, come un graduale incremento del peso di patina. La ragione di questo fatto è che troppa acqua filtra attraverso il foglio. Questo causa
un aumento di viscosità e la spinta all’indietro della testa di patinatura ad
alte forze di taglio. La pressione della testa va aumentata per compensare
questo effetto e va aggiunta acqua.
Un problema simile si ha quando i componenti filtrano nel supporto
insieme all’acqua causando una diminuzione di ritenzione. Lo strato assottigliato sotto la lama perde liquidi e sballa la reologia. Un eccessivo incremento di concentrazione è causa di righe e bleeding.
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5.2 Misurazione della ritenzione
Un metodo ben conosciuto, molto diffuso è quello di S. D. Warren che
utilizza il fenomeno della conducibilità elettrica: un foglio assorbente, in
genere carta da filtro con precise caratteristiche, viene messo a contatto
con un foglio di carta appena patinata, misurando il tempo che impiega a
condurre elettricità (con tensione di 1 mV); la ritenzione è misurata in
secondi.
Un altro metodo venne sviluppato dalla BASF agli inizi degli anni 70 e
consiste nel colorare la patina di un rosso solubile in acqua e posta a contatto con un foglio di carta da filtro standard. Il colorante penetra insieme
all’acqua nella carta che gradualmente diventa rossa. Il tempo richiesto
affinchè il grado di bianco scenda del 40% rispetto al suo valore originale,
calcolato in secondi indicherà l’incognita. Questo metodo è più sensibile
rispetto al Warren ma richiede l’uso dello Zeiss Elrepho photometer.
Entrambi i metodi lavorano sul principio della capillarità ed essendo statici, una lettura può essere ottenuta anche con carta satura d’acqua. Di contro non funzionano su supporti a bassa assorbenza o prepatinati, così come
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non funzionano per simulare dewatering sotto pressione della lama.
Ecco perché si è pensato ad un metodo relativamente nuovo, un poco
costoso pezzo dell’apparato fornito da Gradek Oy che consiste in un cilindro riempito con patina ed al caso posto sotto pressione. Una membrana
speciale in policarbonato con pori di dimensione ben definita viene posta
alla base del cilindro. Sotto di essa vi saranno un certo numero di strati di
carta. Il metodo consiste nel misurare la quantità d’acqua trasferitasi dalla
patina, attraverso la membrana, sulla carta in un dato periodo di tempo
sotto una data pressione. La ritenzione è espressa in g/m2.
La membrana essendo costosa ma duratura può essere utilizzata più
volte previo lavaggio in un bagno ad ultrasuoni.
I passi da gigante fatti dalle moderne tecnologie hanno permesso l’utilizzo degli ultrasuoni per seguire la penetrazione dell’acqua attraverso la
carta: si tratta di apparati forniti da Emco GmbH e Emtec GmbH (entrambi di Leipzig) che consistono nel porre la patina in esame in una cella fornita sui due lati di un trasmettitore ed un ricevitore a ultrasuoni. La carta è
fissata su un particolare supporto permeabile alle onde ultrasoniche che
verrà immerso nel fluido. L’acqua che penetrerà nello strato cartaceo varierà piano piano l’ampiezza delle onde che lo attraversano dal trasmettitore
al ricevitore. Un computer collegato a quest’ultimo permetterà l’analisi del
processo. L’enorme vantaggio di questa attrezzatura consiste nel fatto che
può essere usata per tutti i tipi di carta fino ad un massimo di 900 g/m2. È
così possibile investigare dinamicamente il processo in ogni momento da
quando la patina viene messa a contatto con la carta, anche inducendo
pressione istantanea all’interno della cella.
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6. Metodi di spalmatura della patina
Per la stesura della patina sulla superficie del supporto cartaceo sono
stati messia a punto diversi modelli .di macchine spalmatrici. Alcuni sistemi
sono orientati alla qualità ed al grande apporto in peso di patina, altri invece puntano alla velocità, produttività e dall’economicità del prodotto.
Alcune macchine patinatrici permettono la stesura su entrambe le facce
contemporaneamente e vengono definite macchine doppie. Altre teste di
patinatura applicano il prodotto solo su un lato e dopo l’asciugamento di
questo proseguono alla patinatura dell’altro. Queste macchine si definiscono semplici. Nelle macchine semplici viene effettuato un pre asciugamento con pannelli a raggi infrarossi alimentati elettricamente o con piastre a
gas, la parte non patinata può appoggiare su rulli di accompagnamento.
L’asciugamento finale avviene su cilindri essiccatori privi di feltro e rinchiusi dentro cappe d’aria calda.
Nelle macchine doppie l’asciugamento è più problematico poichè nessuna delle due facce può toccare elementi della macchina. La carta viene
quindi introdotta in un tunnel nel quale soffi d’aria calda la tengono sollevata per un percorso di venti metri circa fino all’ottenimento di un asciugamento parziale. Per completare l’operazione, la carta viene poi messa a
contatto di cilindri essicatori riscaldati a vapore.
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6.1 Patinatura fuori macchina
Storicamente la patinatura veniva effettuata solo su piccole quantità di
carta in una fase successiva alla fabbricazione. Le attenzioni erano quindi
rivolte al risultato qualitativo della patinatura. I tipi di macchine spalmatrici e le formulazioni di patine utilizzate davano origine a quelle carte definite poi patinate classiche. Oggigiorno vi sono sistemi più o meno automatizzati, molto veloci per trasportare il rotolo da lavorare direttamente dal
pope alla patinatrice off line mediante l’uso di carriponte, o di binari, ai
quali viene agganciata l’anima dalla quale si srotola il foglio in ingresso alla
macchina patinatrice. Ciò permette di rendere indipendente la continua
dalle eventuali variazioni di velocità durante il processo, nonchè di isolare
possibili problemi sull’una o sull’altra macchina.
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6.2 Patinatura in macchina
I primi impianti per la patinatura in macchina vennero realizzati in
Europa subito dopo la seconda guerra mondiale. La richiesta sempre più
alta di carte patinate a prezzi economici aveva costretto i fabbricanti a ideare sistemi di patinatura ad alta velocità (lama flessibile) che consentivano la
patinatura in linea con la macchina continua, dando vita a dei prodotti
definiti patinate moderne.
Visto che le patinatrici hanno ora velocità produttive notevolmente
superiori alla continua e per poter stendere più di uno strato di patina per
lato, si è tornati a considerare se valga la pena mantenere le due macchine
in linea.
Dividendo le due operazioni, come già descritto, si è costretti a bobinare il prodotto a fine macchina ed a rintrodurlo in patinatrice con un
impiego maggiore di manodopera e creando dello scarto. Per contro quando la patinatrice è in linea con la continua, qualsiasi arresto o limitazione
produttiva (cambio tela, feltri, etc...) obbliga a fermare anche l’impianto di
patinatura. Comunque sia entro ora in merito alla descrizione dei vari
sistemi di applicazione.
6.3 Size-press
È la configurazione più semplice composta, in sostanza, da due cilindri
pressati uno contro l’altro, fra i quali si trova il foglio. Generalmente uno
dei due rulli viene rivestito con uno strato di materiale più morbido. Come
si vede nelle figure riportate di seguito, fra i due cilindri viene immesso un
prodotto fluido che si applicherà al foglio.
I prodotti che si possono applicare con la size-press sono molteplici, ed
ognuno diretto a conferire determinate caratteristiche necessarie all’utilizzo finale al quale la carta è destinata.
Il bagno in size-press, può essere costituito dalla sola acqua, in quanto
già questo trattamento, oltre a diminuire i problemi di grinzature, curling
e stabilità dimensionale, conferisce un incremento della lunghezza di rottura del 6%-8%. Ciò è spiegabile, considerando che il foglio a causa del
restringimento durante la fase di asciugamento, è sottoposto improvvisamente allo shock del bagno in size-press ed al relativo rigonfiamento delle
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fibre che perdono gran parte della loro efficacia, che non riacquisteranno
neppure nella successiva fase di asciugamento. Attualmente la configurazione classica si presenta con gli assi delle presse sfalsati, con un angolo
variabile fra i 30° ed i 45°.
Ciò riduce molto sia il problema della caduta di sporco, che quello
degli eccessivi angoli di entrata ed uscita del foglio. Invece nella size-press
orizzontale questi problemi sono maggiormente evidenziabili.
I tipi di prodotti, con i quali la carta può essere trattata in superficie,
sono di natura diversa: dalla sola ad una notevole varietà di amidi, alcool
polivinilici, cere, resine per la resistenza ad umido, collanti, coloranti, idrorepellenti, prodotti per conferire resistenza ai grassi, pigmentazione, preLa patinatura della carta -
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patinatura e patinatura.
Con l’aumento della velocità delle macchine continue, si è aggravato il
problema dello “splashing”, ossia la fuoriuscita di soluzione dal bagno, causato dall’alta velocità.
Tale fenomeno è dovuto alle forze idrodinamiche che agiscono sul fluido viscoso non comprimibile, accelerato dal contatto con i rulli della sizepress e forzate a cambiare direzione nel punto dove il foglio entra nel Nip.
A questo problema si è ovviato aumentando il diametro delle presse,
oltre 1500 mm, potendo arrivare a velocità poco inferiori ai 1000 m/min.
Ciò comporta una maggiore larghezza del Nip, incrementata per avere lo
stesso assorbimento, inoltre si è aumentata la resistenza dei rivestimenti e,
in certi casi, si è aumentato anche il carico totale in modo da mantenere la
stessa pressione specifica.
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6.4 Film-press
Per migliorare il risultato della size-press si è apportata una modifica
che consiste nello stendere sulle due presse uno strato di prodotto mediante lama metallica o metering bar.
Questo strato è calibrato in funzione della capacità di assorbimento del
supporto. In questo metodo tutto il prodotto che arriva nella zona di pressione viene portato via dalla carta e non si forma accumulo di materiale. La
macchina così formata è nota come film-press.
Essa presenta vantaggi molto evidenti:
- Il grado di applicazione è indipendente dal contenuto dei solidi e
dalla viscosità;
- permette un incremento della velocità della macchina continua, perché il foglio è immerso meno tempo in acqua;
- permette una riduzione del numero di rotture, perché il foglio viene
trattato in superficie
- il contenuto in solidi della patina può essere maggiore;
- una minore tendenza al fenomeno della buccia d’arancia ;
- una minore tendenza a sporcare i primi cilindri essiccatori dopo il
trattamento;
- un basso assorbimento di acqua che permette al foglio di uscire asciutto;
- volume specifico superiore;
- non necessita di presse con diametri maggiorati come la size-press;
- una resistenza superficiale più elevata rispetto alla size-press.
Anche la film press, presenta alcuni svantaggi, come l’elevato costo e la
difficoltà ad impregnare totalmente il foglio.
Come già detto in precedenza, la size-press, ha problemi per quanto
riguarda la vaschetta di alimentazione, ossia, con l’aumento della velocità si
creano delle turbolenze; inoltre, il foglio tende a seguire uno dei due cilindri, in quanto, girano alla stessa velocità del nastro di carta, e al momento
del distacco, la separazione del foglio patinato dai cilindri, provoca il fenomeno detto buccia d’arancia.
Sia questo problema che quello dello splashing, impongono patine a
La patinatura della carta -
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bassa concentrazione e viscosità ed una applicazione possibile di 4-6 gr/m2
per lato. Infatti, con la size-press, si preferisce effettuare l’operazione di
prepatinatura, per la quale è accettabile anche una superficie con una
rugosità più elevata del normale, in quanto, verrà ricoperta da un altro strato di patina più nobile, in una successiva fase.
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6.5 Metering bar
Questo sistema, è costituito da un cilindro applicatore che deposita sul
foglio un eccesso di patina, che verrà poi laminata da una barra metallica
di diversa struttura superficiale, che ruota in senso opposto a quello della
carta.
Per il buon funzionamento, la barra è adagiata, con differenti sistemi,
in una sede elastica costruita in gomma o plastica. La pulizia continua della
metering bar è resa possibile dalla particolare forma del porta barra, che
permette una circolazione di acqua, che andrà a contatto con la parte inferiore della stessa, senza interferire con la patina.
I fattori che influenzano la quantità applicata sono:
- caratteristiche del supporto (assorbenza e rugosità);
- concentrazione, viscosità e proprietà reologiche della patina;
- velocità del foglio;
- diametro e tipo di barra;
- tensione del foglio;
- velocità periferica della barra in relazione a quella del foglio.
La barra può essere di tre tipi: spiralata, tornita o liscia.
Con la barra liscia si possono applicare oltre 7 g/m2, mentre con quella spiralata si va abbondantemente oltre i 14 g/m2. Ciò è reso possibile grazie al fatto che il canale della spiralatura si riempie di patina dosandone sul
foglio una quantità maggiore rispetto alla barra liscia.
Tuttavia il sistema di applicazione metering bar, con il passare del
tempo sta perdendo la sua importanza, a causa dell’aumento della larghezza e della velocità delle macchine continue. Non essendo il foglio supportato dietro il punto di contatto con la barra, ne consegue che avere una
regolazione perfetta sia in senso trasversale che longitudinale, è molto problematico. Infatti, si preferisce impiegare tale sistema per la produzione di
cartoni, dove le continue girano a velocità ridotte.
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6.6 Cast coating
Questo sistema viene usato per ottenere un tipo di patinatura molto
brillante, evitando una successiva calandratura. Normalmente si usa produrre carta monopatinata, con un apporto di patina che può arrivare
anche a 25-30 gr/m2 su un lato. Come si può notare, la caratteristica principale è costituita da un cilindro monolucido di grosso diametro (anche
oltre i 4 metri), con uno strato piuttosto consistente di cromo elettrolitico,
perfettamente levigato, che trasferirà la sua specularità al foglio patinato
dopo l’asciugamento.
Il retro del foglio può essere trattato con acqua o altre soluzioni per
compensare il curling, che altrimenti sarebbe troppo evidente a causa del
tipo di asciugamento e della quantità di patina applicata su un solo lato.
Il processo cast coating, in genere, è usato fuori macchina in quanto la
sua velocità di esercizio è piuttosto bassa.
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6.7 Lama d’aria
Il principio è basato sull’immissione di aria a temperatura e pressione
ben controllate, in una camera di forma particolare da cui uscirà attraverso una apertura calibrata, una lama d’aria che, opportunamente orientata,
elimina l’eccesso di patina precedentemente dosata sul foglio da un cilindro applicatore. Tale getto di aria agisce sullo strato di patina secondo il
principio del Filter cake, per il quale si elimina la patina fino al punto in
cui l’energia dell’aria si equilibria con la forza interna della patina che si
addensa vicino alla superficie del foglio, sul quale tende a coesionarsi ed
ancorarsi. Pressione, volume di aria e velocità, caratteristiche del supporto
e della patina, sono determinanti per la quantità di patina applicata che
può raggiungere anche i 30 gr/m2. L’apertura, da cui fuoriesce l’aria è posizionata normalmente ad una distanza dal foglio che tiene conto delle
distanze e degli angoli.
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6.8 Lama metallica
Il principio è quello di raschiare via l’eccesso di patina precedentemente dosato, con una lama di acciaio che tocca la carta supportata da un
cilindro in gomma con la funzione di contropressore detto backing roll.
I sistemi di applicazione della patina sono principalmente di tre tipi:
1. rullo applicatore;
2. jet fountain;
3. short Dwell.
6.8.1 RULLO APPLICATORE
È un cilindro metallico rivestito in gomma, immerso per la metà del
suo diametro in una vaschetta contenente patina. Ruotando in senso di
marcia del foglio, regolato ad opportuna distanza e velocità, dosa un eccesso di patina sullo stesso.
Il tempo di contatto patina-foglio, prima che venga raschiato l’eccesso,
è abbastanza lungo; mentre la distanza cilindro-foglio oscilla fra 0,3-1,5
mm.
La flessibilità della lama le consente di flettersi sotto la pressione esercitata. Anche il rullo patinatore essendo rivestito di gomma sintetica, subisce nel punto di contatto con la lama una lieve deformazione per effetto
della pressione. Questo cilindro ha diametri molto variabili che vanno da
30 cm fino a superare il metro, e la sua superficie richiede una precisa rettifica.
Le posizioni della lama sono diverse: essa può poggiare di punta rispetto al cilindro patinatore, piatta, tangenzialmente al patinatore o con angolo > di 0 dovuta alla pressione che la flette, o in posizione ad “S”.
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L’apporto della patina è influenzato dall’angolo con cui la lama agisce
sul foglio, dalle caratteristiche reologiche, dalla velocità della patinatrice,
ma anche dalla ricettività del supporto.
Durante il processo di patinatura si deve evitare che l’eccesso di patina
eliminato dalla lama che è già stato a contatto con la carta si mescoli con la
patina in arrivo nella vaschetta. Cio’ viene ovviato se la quantità di patina
che alimenta la testa è molto maggiore di quella in eccedenza sul foglio.
Dalla vaschetta quel che resta torna al polmone di alimentazione previa filtrazione dalle fibre staccatesi dal foglio e da eventuali grumi.
Fattore di primaria importanza è la distanza fra l’applicazione e la lama
considerato che la penetrazione del fluido nel supporto è proporzionale
alla radice quadrata del tempo intercorso fra i due punti. Sia se la penetrazione sia molto progredita sia che lo sia troppo poco, risulterà difficile
poter distribuire uno strato di patina di qualità accettabile.
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6.8.2 JET FOUNTAIN
È costituito da una camera di alimentazione pressurizzata con un orifizio di uscita ben calibrato, in modo da limitare la quantità di patina riciclata
e soprattutto dosarla con una notevole regolarità in senso trasversale.
La pressione di esercizio varia fra 1,5 e 3,0 kg/cm2 ed è in funzione
della viscosità della patina, che con questo tipo di applicazione può raggiungere anche valori oltre i 3000 c.p.s.
I vantaggi del jet fountain rispetto al cilindro applicatore sono:
- minore consumo di energia del backing-roll;
- opacità e caratteristiche di stampa migliori per la minore penetrazione di patina;
- la pulizia non deve essere fatta frequentemente.
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6.8.3 SHORT DWELL
Permette un diretto controllo della pressione della patina contro il
foglio (0,06-0,1 Bar), provvedendo ad una stesura uniforme. Il brevissimo
contatto carta-patina prima della lama, minimizza la penetrazione facendo
si che la patina resti praticamente solo in superficie.
La short dwell presenta i seguenti vantaggi:
- minore numero di rotture;
- minore perdita di tempo e di patina per la pulizia;
- migliore stampabilità del prodotto finito;
- maggiore durata della lama;
- migliore ritenzione di acqua nella patina.
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7. Asciugamento della patina
Il profilo di umidità, spessore, lucido, liscio, stampabilità e il curling
sono caratteristiche che vengono influenzate dal tipo di asciugamento della
patina. Normalmente, vengono scelti in funzione dello spazio disponibile.
I metodi di asciugamento sono di tre tipi:
1. raggi infrarossi;
2. flottatori ad aria calda;
3. cilindri essicatori.
7.1 Raggi infrarossi
Sono costituiti da elementi a piastra, assemblabili per le varie larghezze
dei nastri di carta e costituiti in file normalmente accoppiate.
Vengono usati raggi infrarossi con alte percentuali di lunghezza d’onda corta e sviluppano temperature che superano i 2000 °C, con ventilazione forzata per la asportazione di vapori.
Questo sistema, permette un rapido trasferimento dell’energia termica
direttamente sul foglio senza riscaldare l’aria di circolazione.
L’efficienza di tale asciugamento è calcolata fra 40% e 1’80% dell’energia impiegata. Bisogna trovare un giusto equilibrio, prima di arrivare al
punto di gel della patina, perché il lattice, sotto l’azione di forze intermolecolari, ha la tendenza a migrare per punti, o all’interno del foglio oppure in superficie creando l’indesiderato problema del mottling, (la cattiva
stesura della patina, causa una distribuzione irregolare dell’inchiostro).
Se l’evaporazione è troppo veloce, il lattice tende a seguire l’acqua di
evaporazione, e si accumula irregolarmente in superficie, mentre se è troppo lenta, tende a penetrare per punti nel supporto, compromettendo di
conseguenza la regolarità superficiale.
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7.2 FLOTTATORI AD ARIA CALDA
Il foglio passa in prossimità di soffiatori trasversali di aria calda a
200/250 °C, con particolari sistemi di uscita ed orientamento del getto, che
hanno la funzione di asciugamento e di sostegno della carta.
In genere quando la carta arriva in prossimità di questi elementi, assume un andamento oscillante, senza toccarli in nessun punto.
L’aria lambisce lo strato limite sulla superficie della patina; mentre una
parte di flusso va allo scarico, il restante si impiega per formare il cuscino
di pressione che agisce sul foglio, generando l’onda che può essere di differente ampiezza.
Il percorso ondulato conferisce una certa rigidità al foglio stesso, rendendo difficile alle forze che agiscono in senso longitudinale di provocare
pieghe, arricciamenti dei bordi e crepe, garantendo quindi una buona
macchinabilità.
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8. Conclusioni
Nel trattare questo argomento ho avuto confenna di quanto l’indagine
di laboratorio sia alla base del processo di patinatura, come peraltro ritengo lo sia in tutti i processi industriali.
Basarsi unicamente sull’esperienza, per quanto importante, non porta
all’ottimizzazione della produzione e non contribuire alla ricerca dell’economicità del processo e neppure all’ottenimento della ripetibilità del risultato. La patinatura è una fase molto delicata che conferisce caratteristiche
di bianco, opacità e stampabilità che verranno valutate con molta criticità
da parte dell ‘utilizzatore.
Bisogna ricordare anche che una corretta formulazione e applicazione
possono dare ottimi risultati ma, comunque, non possono coprire i difetti
del supporto cartaceo. Per ottenere risultati soddisfacenti bisogna quindi:
- realizzare un supporto di qualità costante e struttura uniforme;
- realizzare una patina di qualità costante e con aspetti reologici ben
definiti;
- indagare a fondo sulla bagnabilità del supporto anche in riferimento
al mezzo di dispersione della patina;
- indagare a fondo sulla tendenza della patina a cedere il suo mezzo di
dispersione;
- studiare la patina reologicamente, regolare il tipo e l’andamento del
flusso, intervenire per correggere tale flusso al fine di ottimizzare la
produzione anche negli aspetti economici della produzione stessa.
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Bibliografia
- Materiale vario
(SIC - SCUOLA INTERREGIONALE DI TECNOLOGIA PER TECNICI CARTARI)
- Appunti sulla relazione tenuta al 9° Corso di Tecnologia per Tecnici cartari
(ALESSANDRA BOGLIANO)
- Appunti sulla relazione tenuta al 9° Corso di Tecnologia per Tecnici cartari
(NAZZARENO MICHELI)
- Appunti sulla relazione tenuta al 9° Corso di Tecnologia per Tecnici cartari
(IMERYS)
- Appunti sulla relazione tenuta al 9° Corso di Tecnologia per Tecnici cartari
(BASF)
- Materiale vario
(CARTIERA SAFFA - MILANO)
La patinatura della carta