Andrologia M essualità edicina

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Andrologia M essualità edicina
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edicina
essualità
A M
FATTI, NOTIZIE E OPINIONI
PERIODICO UFFICIALE DELLA SIAMS • SOCIETÀ ITALIANA DI ANDROLOGIA E MEDICINA DELLA SESSUALITÀ
Il declino della fertilità
potenziale maschile: mito o realtà
È osservazione comune e confermata che in molti Paesi industrializzati vi sia una
diminuzione della fertilità di coppia e che, in alcuni Paesi, stia raggiungendo un
livello preoccupante. Si calcola che il problema attualmente arrivi sino a valori
del 15% nelle coppie che desiderano una gravidanza. E vi sono evidenze cliniche
che ciò sia, almeno in parte, dovuto ad un peggioramento del seme. Anche se da
tempo si cominciava a sospettare un calo della fertilità maschile dovuta a diminuzione dei valori fisiologici dell’eiaculato, è solo nel 1992 che una esperta studiosa
in statistica, danese, pubblica una analisi di 61 lavori usciti tra il 1938 ed il 1990.
I dati dimostravano una diminuzione drammatica degli spermatozoi: da 111 a 66
mil/ml. Il lavoro fu criticato ma stimolò una ricerca ampia e approfondita. In effetti
cause di bias, anche notevoli, nelle modificazioni nel tempo dei parametri seminali, derivano da:
1) modifiche negli standard del laboratorio;
2) miglioramento degli strumenti (è pressoché impossibile avere un rapporto attendibile sulla morfologia nemaspermica tra campioni studiati a distanza di 30
anni);
3) cambiamenti ambientali e condizioni sociali;
4) differenti modelli statistici;
5) diversi criteri di selezione dei gruppi.
Un esempio sull’atteggiamento di vigile attenzione che è necessario nell’accettare i numerosissimi dati in letteratura. La CECOS è un Associazione francese di
indubbia serietà clinica e scientifica che si occupa, standardizzando le metodiche
nei numerosi Centri, di crioconservazione dei gameti, e di fecondazione assistita.
Uno studio che suscitò scalpore scientifico e vasta diffusione anche nei media fu
pubblicato nel 1995 sul N.E.J.M. dal gruppo parigino. L’esame dell’eiaculato in
candidati donatori fertili, nel periodo 1973-1992, evidenziava:
1) nessuna modificazione del volume dell’eiaculato;
2) diminuzione del 2,1% anno della concentrazione nemaspermica, 89 mil/ml m
60 mil/ml;
3) diminuzione dello 0,6% anno della percentuale di spermatozoi mobili;
4) diminuzione dello 0,5% anno della percentuale di spermatozoi con normale
morfologia.
Ovviamente senza alcun interesse mediatico, ma di importante monito di critica
costruttiva nella scienza, nell’anno successivo fu pubblicato un identico lavoro
dal gruppo CECOS di Tolosa, riguardante la concentrazione nemaspermica in 302
donatori fertili, nel periodo 1977 m 1992: nessuna modifica.
Ma ormai il dado era stato tratto, e l’interesse scientifico nonché clinico, sociale,
economico e farmacologico, ha stimolato un vastissimo campo di ricerca sulla
fertilità potenziale e sull’eventuale declino di questa. Sono stati studiati vasti gruppi
di soggetti da candidati donatori di seme a volontari sani per ricerche di biologia
dei gameti, da soggetti prevasectomia a partner di coppie infertili. Manca ancora
la prova definitiva, ma la valutazione dei dati secondo il metodo della medicina
basata sulla prova induce a ritenere razionalmente che si stia effettivamente verificando un peggioramento delle caratteristiche seminali. Interessante può essere
valutare i risultati ottenuti presso il Laboratorio di Seminologia della “Sapienza”.
I gruppi erano o donatori volontari di spermatozoi o partner di coppie infertili.
Stesso metodo di lettura. Stessa biologa. Stesso team andrologico. Omogeneità per
quanto riguarda distribuzione, età, origine etnica e geografica, residenza. Nei part-
Anno 2 • n. 5 • Giugno 2008
Consiglio Direttivo
Presidente: M. MOTTA
Presidente eletto: A. LENZI
Segretario: E.A. JANNINI
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Consiglieri
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Commissione Scientifica
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Direttore Responsabile
Paolo E. Zoncada
Registrazione Tribunale di Milano
n. 173 del 20 marzo 2007
Editore
Edizioni Internazionali srl
Div. EDIMES
Via Riviera, 39 - 27100 Pavia
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E-mail: [email protected]
Realizzato con il contributo di
2
ner di coppie infertili motilità e morfologia degli spermatozoi sono risultate
significativamente ridotte, mentre non
si è riscontrata alcuna modificazione
nei donatori. Una possibile interpretazione dei dati è che i pazienti con i
più alti livelli di fisiologica produzione
nemaspermica mantengano inalterate le caratteristiche seminali, mentre
per i soggetti con livelli medio-bassi
si stia manifestando un reale declino
della fertilità. In questa ottica, se l’ipotesi ambientale venisse confermata da
evidenze scientifiche, ciò potrebbe
significare che è in atto una selezione
in favore dei soggetti giovani, sani ed
altamente fertili.
Gli studi in corso offrono dati sperimentali e clinici per alcune considerazioni.
È in aumento la infertilità. Si tratta di un
problema, per ora, caratteristico delle
società industrializzate. Vi è evidenza
clinica che i cambiamenti dello stile di
vita nonché la maggiore esposizione
a fattori negativi ambientali, quali gli
“endorine disrupters”, siano da ritenere co-fattori di questo problema. Inoltre
il fatto che, dato l’elevato numero di
spermatozoi prodotti fisiologicamente,
la progressiva diminuzione possa attualmente determinare ancora solo una
situazione di subfertilità; se questo declino dovesse progredire ci troveremmo
di fronte a sempre maggior numero di
coppie infertili. La Danimarca è il Paese
dove il declino delle caratteristiche seminali è più evidente e si stima almeno
del 20% il numero dei giovani danesi
con alterazioni seminali. Si è riscontrata
contemporaneamente una progressiva
diminuzione del tasso di concepimento
naturale ed un declino del tasso totale.
Tale declino è compensato dall’aumento dell’uso di tecniche di PMA. A parte
gli inevitabili, possibili, effetti collaterali
della tecnica e le problematiche psicologiche, non si deve dimenticarne
il prezzo. Il costo per ogni seduta è di
2.381 € per la FIVET e di 2.578 € per
la ICSI. Tenendo in conto una “ongoing
pregnancy” il costo è rispettivamente di
10.482 € e 10.360 €.
Evidenze cliniche sempre più approfondite indicano, come causa principale della infertilità e del peggioramento
degli indici seminali, la presenza di
inquinanti ambientali. Già nel 1995 il
Registry of Toxic Effectc of Chemical Substances fotografava così la situazione:
1) più di 75.000 nuove sostanze chimiche registrate;
2) più di 60000 sostanze chimiche in
uso nelle industrie manifatturiere;
3) media delle nuove sostanze aggiunte annualmente, superiore a 500;
4) 16% di quelle studiate, con almeno
n. 5 - Giugno 2008
una segnalazione di effetto tossico
sulla riproduzione.
Gli studi sperimentali sono particolarmente complicati. La fonte di esposizione può essere acuta, cronica, professionale o ambientale. Gli agenti inquinanti
ed i tossici ambientali possono agire in
utero, alla pubertà, nel periodo riproduttivo o dopo la fecondazione. Il ciclo
riproduttivo deve prendere quindi in
considerazione 5 individui di 3 generazioni: nonna materna e paterna, padre
e madre, prole; 36 anni di controllo! Si
comprende quindi come alcuni Autori
definiscano l’andamento della infertilità: drammatico.
Si deve infine prendere in considerazione il fatto che lo spermiogramma,
comunque indispensabile, fornisce va-
Comitato editoriale
COORDINATORE
Prof. Marcella Motta
Istituto di Endocrinologia
Università degli Studi di Milano
Via Balzaretti, 9 - 20133 Milano
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e Biotecnologie Mediche,
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dei Gameti Maschili, Univ. di Padova
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lori di concentrazione, motilità e morfologia nemaspermica probabilmente
non sempre correttamente collegate
alla fertilità potenziale. Si dovrà studiare, ad esempio, la valutazione del DNA
e dello stress ossidativo, nonché altri
test di funzione nemaspermica quali
la progressione nel muco cervicale, la
motilità iperattivata, la reazione acrosomiale e l’interazione zona pellucida
- spermatozoo.
Le previsioni sono comunque preoccupanti. La scienza e la bioetica ci
dovranno aiutare nel valutare le conseguenze dei nostri atti dal “ora e qui” al
“anche nel futuro ed anche altrove”.
Franco Dondero
Università degli Studi di Roma “La Sapienza”
Dott. Dario Esposito
Endocrinologia, Dip. Medico Chirurgico
di Internistica Clinica e Sperimentale
Seconda Università di Napoli
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Dott. Paolo Sgrò
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Università di Roma IUSM,
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ANDROLOGIA E MEDICINA DELLA SESSUALITÀ
Opinioni del clinico
Obesità e disfunzione erettile
L’obesità è attualmente divenuta una
condizione epidemica. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità
l’obesità è tra i più visibili, ma allo
stesso tempo più ignorati, problemi
di salute pubblica mondiale, che incombe soprattutto sui paesi in via di
sviluppo.
Le problematiche legate al soprappeso
e all’obesità hanno ottenuto risonanza
ufficiale soltanto durante l’ultima decade, in contrapposizione alle condizioni di malnutrizione e sottopeso che
insieme alle malattie infettive, avevano
sempre dominato l’interesse sanitario
mondiale. L’International Obesity Task
Force stima che ad oggi un miliardo e
100 milioni di persone siano sovrappeso, di cui circa 312 milioni francamente obese.
Tali cifre sottostimano comunque il
problema; prendendo in considerazione infatti i nuovi criteri per le popolazioni asiatiche, in base ai quali un
indice di massa corporeo (IMC) pari a
23 kg/m2 definisce già una condizione
di sovrappeso, la stima salirebbe a ben
un miliardo e 700 milioni di individui
sovrappeso o obesi. Per la prima volta
il numero degli individui sovrappeso
nel mondo è equivalente al numero
degli individui sottopeso.
Mentre nell’ultimo mezzo secolo si è
stati testimoni di un generale declino
della mortalità (corretta per età), per
malattie cardiache e ictus, l’incremento epidemico della popolazione obesa
e quindi del diabete mellito di tipo 2
ad essa strettamente correlato, probabilmente rallenterà e infine invertirà
questo trend. Inoltre l’aumento del rischio di morte per ogni punto in più
di IMC declina progressivamente con
l’età ma rimane sostanzialmente invariato fino ai 75 anni o più.
La perdita di peso intenzionale in soggetti obesi ha dimostrato prolungare la
vita media e ridurre il rischio cardiovascolare: la mortalità diabete-correlata risulta ridotta del 30-40% con una
perdita di peso moderata ( meno del
10% del peso corporeo iniziale); inoltre, pazienti affetti da diabete mellito
di tipo 2 che avevano perso 10 kg di
peso nel primo anno dalla diagnosi
guadagnavano circa 4 anni di vita in
media. Conseguenze metaboliche dell’obesità. Oltre ad essere un fattore di
rischio indipendente per malattie car-
diovascolari, l’obesità aumenta anche
l’incidenza di altri fattori di rischio,
quali diabete, dislipidemia, ipertensione e stato protrombotico.
Il rischio di sviluppare diabete, ipertensione e dislipidemia aumenta a
partire da un ICM di circa 21 kg/m2,
riducendo quindi l’aspettativa di vita e
aumentando i costi sociali ed economici a carico del sistema sanitario nazionale. L’eccesso di peso corporeo è
attualmente il sesto più importante fattore di rischio che incombe sulla spesa
sanitaria globale nel mondo.
Il rischio di sviluppare ipertensione è
fino a cinque volte più elevato nella
popolazione obesa rispetto agli individui normopeso, mentre più dell’85%
degli ipertesi si contano tra individui
con un BMI superiore a 25 kg/m2. L’aumento della pressione sanguigna correlato all’eccesso di peso corporeo è
presumibilmente correlato al rilascio
dagli adipociti di angiotensinogeno,
il precursore della ben nota molecola
ipertensiva angiotensina, all’aumento
del volume sanguigno associato alla
massa corporea, e all’aumento della
viscosità del sangue. Diete che comportano un aumento ponderale determinano un aumento della pressione
sanguigna, dal momento che l’incremento dell’introito di grassi saturi e
l’ipercolesterolemia inducono un aumento della pressione sia sistolica che
diastolica.
La dislipidemia si instaura progressivamente a partire da un BMI superiore a
21 kg/m2 con conseguente incremento
delle LDL piccole-dense e del rischio
aterogeno a loro attribuito. Tale aumento, in concomitanza alla diminuzione della concentrazione delle HDL,
e ad aumento dei trigliceridi, amplifica
il rischio di patologie coronariche.
Questo quadro dislipidemico, tipico
del paziente obeso, associato in particolare all’obesità di tipo viscerale e
ad insulino- resistenza, è anche noto
come dislipidemia aterogena.
Sovrappeso, obesità e aumento ponderale costituiscono i più importanti
fattori di rischio per lo sviluppo di diabete mellito di tipo 2, indipendentemente da età e sesso.
Nel Nurses’ Health Study, che ha coinvolto circa 85000 donne americane
in buona salute, è stata osservata una
forte correlazione tra l’obesità e l’inci-
3
denza di diabete durante i 16 anni di
follow-up: il rischio relativo di sviluppare diabete risultava 7,6 volte maggiore per le donne in soprappeso, 20,1
volte maggiore per le obese e 39 volte per l’obesità di grado severo (IMC
>35), rispetto alle donne normopeso.
Obesità e disfunzione erettile
Studi epidemiologici suggeriscono che
modifiche salutari dello stile di vita
sono associati ad una riduzione del
rischio di disfunzione erettile.
Nello studio Health Professionals Follow-up Study, svariati fattori modificabili dello stile di vita, incluso la forma
fisica, risultarono associati al mantenimento di una buona funzione erettile.
Per esempio, in uomini con un IMC
superiore a 28,7 il rischio di sviluppare
disfunzione erettile era superiore del
30% rispetto ai normopeso (ICM ≤25).
I risultati dello studio MMAS della durata di nove anni, e il follow-up durato
25 anni del Rancho Bernardo Study
hanno evidenziato come il peso corporeo costituisce un fattore di rischio
indipendente per disfunzione erettile,
con un rischio aggiuntivo del 90% rispetto ai controlli (OR tra 1.93 e 1.96
rispettivamente).
In generale, in soggetti con disfunzione erettile il peso corporeo e la circonferenza vita sono in media maggiori
rispetto a soggetti senza disfunzione
erettile; inoltre, tali individui sono più
frequentemente ipertesi ed ipercolesterolemici.
Sebbene il legame tra obesità e disfunzione erettile potrebbe non apparire
evidente, risultati sempre più rilevanti
individuano nell’adiposità centrale il
regolatore chiave dell’infiammazione
e della funzione endoteliale.
L’insulino-resistenza, la disfunzione
endoteliale e l’infiammazione subclinica costituiscono comune denominatore nella popolazione obesa e contribuiscono al maggiore rischio cardiovascolare in questi soggetti.
L’endotelio vascolare gioca un ruolo
primario nella patogenesi di numerose patologie trombotiche e infiammatorie. La disfunzione endoteliale è un
fattore predittivo di futuri eventi coronarici e può essere indagata mediante il dosaggio dei livelli plasmatici di
marcatori solubili circolanti. È opinione comune che la disfunzione erettile
e l’aterosclerosi siano sostenute dagli
stessi meccanismi vascolari: la disfunzione erettile potrebbe essere interpretata come sintomo sentinella in grado
di segnalare la necessità di indagini di
screening per patologie coronariche in
soggetti asintomatici.
4
L’associazione tra disfunzione erettile, funzione endoteliale e markers di
infiammazione vascolare sistemica è
stata valutata in 80 uomini obesi, di
età compresa tra 35-55 anni, suddivisi
in due gruppi eguali, in base alla presenza o assenza di disfunzione erettile. Paragonati a uomini della stessa età
non obesi, i primi risultarono caratterizzati da un decremento dell’indice
della funzione endoteliale e più elevate concentrazioni circolanti di citochine proinfiammatorie quali interluchina-6, interluchina-18 così come della
proteina C reattiva (PCR).
La funzione endoteliale risultava maggiormente compromessa negli uomini obesi impotenti rispetto agli obesi
caratterizzati da una buona funzione
sessuale, mentre i livelli circolanti di
proteina PCR erano significativamente più alti negli uomini obesi affetti da
disfunzione erettile. L’associazione tra
punteggio IIEF (International Index of
Erectil Function) e l’indice della funzione endoteliale avvalora la teoria
dell’esistenza di una comune alterazione vascolare sottesa ad entrambe le
condizioni negli uomini obesi. Una deficiente attività del monossido d’azoto,
legata ad una sua minore disponibilità,
potrebbe fornire una spiegazione unica a questa associazione.
Sindrome metabolica
e disfunzione erettile
La sindrome metabolica, costituita da
un cluster di fattori di rischio caratterizzati da insulino- resistenza e obesità
viscerale, è associata ad un aumento
del rischio di malattia coronarica e
mortalità cardiovascolare.
La prevalenza di questa condizione in
paesi sviluppati ed in via di sviluppo
continua ad aumentare. Mentre i rapporti iniziali sulla prevalenza della
sindrome metabolica nella popolazione adulta negli Stati Uniti tra il 19881994 mostravano che circa un quarto
gli adulti statunitensi, ossia 47 milioni
di persone, erano affetti da questa condizione, studi più recenti stimano che
dal 1999 al 2002 la sua prevalenza tra
la popolazione adulta degli Stati Uniti
si assesti tra il 34 e il 40% negli uomini e tra il 35 e il 38% nelle donne,
in funzione dei parametri utilizzati per
definire la sindrome stessa.
I parametri comuni alle differenti classificazioni sono obesità centrale, insulino-resistenza, ipertensione e dislipidemia.
Pazienti affetti da sindrome metabolica sono anche caratterizzati da un aumentato rischio di sviluppare diabete di
tipo 2. Le linee guida dell’ATP-III sug-
n. 5 - Giugno 2008
geriscono una definizione di sindrome
metabolica che include la presenza
di almeno 3 dei seguenti parametri:
obesità addominale, ipertrigliceridemia, riduzione dei livelli di colesterolo
HDL, ipertensione, ed elevata glicemia
a digiuno. In particolare i valori limite sono i seguenti: circonferenza vita
>102 cm negli uomini e >88 cm nelle
donne; trigliceridi >150mg/dl; colesterolo HDL <40mg/dl negli uomini e
<50mg/dl nelle donne; pressione sanguigna >130/85 mmHg; glucosio a digiuno >110 mg/dl.
Dato che quattro delle cinque componenti nella sindrome metabolica costituiscono altrettanti fattori di rischio per
disfunzione erettile, abbiamo postulato
un’associazione tra disfunzione erettile e sindrome metabolica, analizzando l’ipotesi che la disfunzione erettile
avesse maggior prevalenza negli uomini con sindrome metabolica. Confrontati ad un gruppo di controllo appaiato per età e peso corporeo (n=50),
i pazienti con sindrome metabolica
(n=100) avevano una maggior prevalenza di disfunzione erettile (26,7%
vs 13% p=0,03); inoltre, la prevalenza
di disfunzione erettile (IIEF <21) aumentava in relazione al numero delle
componenti della sindrome metabolica coesistenti nello stesso soggetto,
suggerendo che il peso cumulativo del
rischio cardiovascolare possa avere un
ruolo centrale nella patogenesi della
disfunzione erettile.
In studi prospettici privi di controllo,
il 43% degli uomini che presentavano disfunzione erettile incontravano
i criteri del US National Cholesterol
Education Program per sindrome metabolica. Inoltre, nel 29% degli uomini
affetti da disfunzioni sessuali sussisteva
la diagnosi di sindrome metabolica: il
96% era affetto da disfunzione erettile,
il 40% da desiderio sessuale ipoattivo,
il 23% da eiaculazione precoce, e il
5% da eiaculazione ritardata.
Ipogonadismo e sindrome metabolica
L’ipogonadismo negli uomini è stato
associato con un rischio maggiore di
sviluppare sindrome metabolica, malattie cardiovascolari e disfunzione
sessuale.
La sindrome metabolica è associata a
disfunzione endoteliale, compromissione vascolare peniena, e neuropatia
autonomica diabetica, tutte cause di
disfunzione erettile nell’uomo. Uno
studio prospettico non controllato su
un campione di uomini nei quali era
stata posta diagnosi di disfunzione sessuale ha evidenziato che la presenza
di ipogonadismo negli uomini con
sindrome metabolica era associata
con una peggiore funzione sessuale e maggiore ansia rispetto a uomini
con sindrome metabolica ma senza
ipogonadismo. In 864 maschi adulti
inclusi in due studi, i livelli circolanti
di testosterone diminuivano con l’aumentare dell’indice di massa corporea
(P< 0.01).
I livelli di testosterone medio basale negli uomini anziani obesi o severamente
obesi erano attorno a 150 e 300ng/dl,
rispettivamente, minori rispetto a quelli
presenti in uomini della stessa età normopeso e senza sindrome metabolica.
La presenza di diabete o alterata glicemia a digiuno, obesità, e/o valori di trigliceridi ≥150 mg/dl, si associa con un
più basso livello di testosterone. L’invecchiamento, la sindrome metabolica
e l’obesità hanno un ruolo significativo
nella riduzione del livello totale di testosterone nell’uomo, soprattutto se il
confronto viene effettuato con uomini
metabolicamente sani.
Conclusioni
Una restrizione dell’apporto energetico e l’aumento dell’attività fisica rappresentano ancora la pietra angolare
della prevenzione e terapia dell’obesità. L’esercizio regolare può ridurre il
peso corporeo e la massa grassa in assenza di restrizione calorica in soggetti
sovrappeso.
Un aumento del consumo energetico
totale appare come il fattore determinante il successo di una perdita di
peso basata sull’esercizio. I migliori
risultati durevoli nel tempo possono
essere ottenuti quando l’attività fisica
produce una spesa energetica almeno
pari a 2500 Kcal/settimana.
L’approccio ottimale nei programmi
per la riduzione del peso appare essere la combinazione di un’attività fisica
regolare e la restrizione calorica.
Un minimo di 60 minuti di attività fisica quotidiana di intensità moderata
può essere necessario per evitare o limitare il riacquisto del peso perso in
soggetti precedentemente sovrappeso
o obesi. Sostanziali cambiamenti dello
stile di vita, che includano un’attività
fisica moderata o intensa, una dieta salutare evitando di riguadagnare i chili
persi sono metodi sicuri ed efficaci per
ridurre il rischio cardiovascolare e la
mortalità prematura in tutti i gruppi di
analisi e per prevenire o trattare la disfunzione erettile.
Poiché l’obesità e il sovrappeso rappresentano importanti fattori di rischio per
lo sviluppo del diabete di tipo 2, che
è una delle principali cause di disfunzione erettile, è fondamentale evitare
5
ANDROLOGIA E MEDICINA DELLA SESSUALITÀ
o limitare quei fattori nutrizionali che
sono associati al rischio di sviluppare
diabete di tipo 2 negli studi epidemiologici.
Un pattern alimentare caratterizzato da un maggiore introito di frutta e
verdura, e comunque alimenti di natura vegetale, si associa ad un ridotto
rischio di diabete di tipo 2, mentre un
pattern caratterizzato da un elevato introito di cibi tipicamente occidentali,
che includono carni manipolate e processate (del tipo hamburger e hot dog),
patate fritte, bevande zuccherate, cibo
con elevato indice glicemico, si associa con un rischio aumentato.
Per combattere l’epidemia di sovrappeso a livello di popolazione, è importante sviluppare strategie volte ad
aumentare l’attività fisica abituale e
migliorare la dieta.
Dario Giugliano
Letture consigliate
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Congressi 2008-2009
ESHRE 24th Annual Meeting
Annual Meeting of the European
Society for Human Reproduction
and Embryology
July 6-9, 2008
Barcelona, Spain
E-mail: [email protected]
The 2008 meeting of
The International Academy
of Sex Research
July 9-12, 2008
Leuven, Belgium
E-mail: [email protected]
www.iasr.org
ANDROGENS 2008
5th biennial meeting on androgen
receptor function
October 1-3, 2008
Rotterdam, The Netherlands
E-mail: m.a.vandenakker@
erasmusmc.nl
www.androgens2008.org
Fertility Society of Australia
Annual Meeting 2008
October 20-22, 2008
Brisbane, Australia
E-mail: [email protected]
www.fsa.au.com
9th Meeting of the International
Society for the Study
of Women’s Sexual Health
(ISSWSH)
February 11-15, 2009
Florence
E-mail: [email protected]
www.isswsh.org
9th International Congress
of Andrology
March 7-10, 2009
Barcelona, Spain
E-mail:
[email protected]
www.ica2009.com
ICA 2009 Satellite Symposium
Sperm DNA Damage:
from Research to Clinic
March 11-13, 2009
Hotel Aldovrandi Palace,
Rome, Italy
[email protected]
www.spermdnasatellite.org
34th Annual Conference ASA
(American Society of Andrology)
Apr 4-7, 2009
Philadelphia, Pennsylvania
United States
64th Annual Meeting of the ASRM
November 8-12, 2008
Moscone Convention Center,
San Francisco, CA, USA
E-mail: [email protected]
11th European Congress
of Endocrinology
April 25-29, 2009
Istanbul, Turkey
www.euro-endo.org
SIU World Uro-Oncology Update
November 19-22, 2008
Espacio Riesco, Santiago, Chile
E-mail: [email protected]
www.siucongress.org
3rd International Consultation
on Sexual Medicine
Jun 20-22, 2009
Paris France
th
5 European congress
of andrology
November 26-28, 2008
Rome, Italy
www.andrology2008.com
Joint Congress of the European
and International Societies
for Sexual Medicine
December 7-11, 2008
Expo - Brussels Brussels, Belgium
E-mail: [email protected]
www.issmessm2008.info
19th World Congress
of Sexual Health
June 21-25, 2009
Göteborg, Sweden
E-mail:
[email protected]
www.sexo-goteborg-2009.com
12th Congress of the European
Society for Sexual Medicine
(ESSM)
November 14-18, 2009
Lyon, France
E-mail: [email protected]
6
n. 5 - Giugno 2008
Notizie
Ciclismo
e temperatura scrotale
Influence of moderate cycling
on scrotal temperature
Jung A., Strauss P., Lindner H.J.,
Schuppe HC.
International Journal of
Andrology 2007
Lo stress termico testicolare può alterare la qualità del liquido seminale. Un
possibile impatto negativo del ciclismo
sulla qualità del liquido seminale, dovuto all’aumento della temperatura
scrotale, che è strettamente correlata
a quella testicolare, è stato postulato
in alcuni articoli scientifici presenti in
letteratura. Lo scopo di questo lavoro
è stato di valutare il profilo della temperatura scrotale durante una prova di
ciclismo in una situazione standardizzata che rifletta una condizione comune durante una gara di ciclismo di tipo
non competitivo. Per tale scopo sono
stati reclutati 25 soggetti volontari maschi che non presentavano patologie
andrologiche (volume testicolare nella
norma, assenza di varicocele, ecc.) ed
anamnesi negativa per infertilità. La
temperatura scrotale è stata registrata
in entrambi gli emiscroti ogni minuto
durante una prova di ciclismo di 60
minuti ad una potenza di 25 Watt corrispondenti a circa 25,5 km/h. Inoltre
è stata registrata la temperatura auricolare come indice di quella corporea.
Dai risultati è emerso che la temperatura corporea è aumentata in maniera
significativa durante il test passando da
un valore di 36.7 a 36.9°C. A questo
aumento della temperatura corporea
non corrisponde un eguale aumento
della temperatura scrotale. Il valore
medio della temperatura scrotale durante la prova, era sotto i 35.6°C. Tale
valore di temperatura non può essere
considerato come uno stress termico
genitale di rilievo. È noto, da diversi lavori presenti in letteratura, che la
posizione seduta (automobile, ecc)
può danneggiare il testicolo tuttavia
durante il ciclismo tale rischio è controbilanciato dall’attività fisica. Infatti
gli Autori desumono dai loro risultati
che l’aumento della circolazione dell’aria a livello perigenitale durante la
corsa con la bicicletta, comporta la
dissipazione del calore e quindi temperature scrotali significativamente più
basse paragonate allo stare seduti sen-
za effettuare attività fisica. A giudizio
degli Autori, l’ipotesi proposta da altri
ricercatori che il ciclismo sia associato
a stress termico e che questo possa influenzare negativamente la spermatogenesi, non è supportata dai loro dati.
L’ipotesi espressa da alcune review che
collegano il ciclismo, lo stress termico
e l’alterazione della spermatogenesi rimane quindi una questione aperta che
necessita di ulteriori valutazioni.
Paolo Sgrò
L’inibizione della
secrezione di LH
da parte del testosterone
negli uomini richiede
l’aromatizzazione per
i suoi effetti ipofisari,
ma non per quelli
ipotalamici.
Evidenza dallo studio
combinato di uomini
normali e di uomini
con deficit di GnRH
Inhibition of LH Secretion by
Testosterone in Men Requires
Aromatization for its Pituitary but not
its Hypothalamic Effects.
Evidence from the Tandem Study
of Normal and GonadotropinReleasing Hormone-Deficient Men.
Pitteloud N., Dwyer AA., DeCruz S.,
Lee H, Boepple PA., Crowley WF.
Jr, Hayes FJ. The Journal of Clinical
Endocrinology and Metabolism 2008
Mar; 93(3): 784-791
In condizioni fisiologiche i livelli sierici di LH sono mantenuti in uno stretto
range e controllati dalla secrezione di
GnRH e dalla inibizione degli steroidi
gonadici. Nonostante i numerosi studi
condotti in passato sia dagli stessi autori
che da altri su quale sia l’esatto meccanismo di controllo della secrezione
di LH, ancora esistono numerose controversie. Ciò è dovuto principalmente
all’uso di modelli sperimentali umani
non idonei, al tipo di farmaci utilizzati
per bloccare la secrezione e l’aromatizzazione del testosterone, e alle dosi di
estradiolo (E2) somministrate risultanti
spesso in livelli soprafisiologici. Pertanto l’accurata localizzazione del sito
di feedback del T e dell’E2 richiede un
modello in cui la dose e la frequenza
del GnRH possa essere sperimentalmente controllata e nel quale ogni modifica della secrezione di LH sia così localizzabile a livello ipofisario. I maschi
con ipogonadismo ipogonadotropo isolato (IHH), che mancano di secrezione
endogena di GnRH, si prestano perfettamente a questo modello sperimentale essendo possibile in questi somministrare il peptide ipotalamico a dosi
e intervalli regolari, cosicchè qualsiasi
modifica della secrezione di LH potrà
essere ascrivibile al solo effetto ipofisario. Invece nei maschi normali con asse
ipotalamo-ipofisi-gonadi intatto, alle
modifiche dei livelli circolanti di steroidi gonadici conseguono effetti sia ipotalamici che ipofisari. Quindi gli autori di
questo studio, utilizzando un modello
sperimentale di castrazione biochimica
con ketoconazolo e selettiva somministrazione di T-enantato o Estradiolo transdermico applicato sia a maschi normali che a soggetti con IHH, hanno potuto
dimostrare che la somministrazione di T
riduce la frequenza dei picchi secretori
di GnRH nei maschi normali in assenza
di E2, mentre nei soggetti ipogonadici
cui era somministrato GnRH l’aggiunta di T non causa riduzione dei livelli
o dell’ampiezza dei picchi secretori di
LH. Inoltre la somministrazione di E2 in
maschi normali abbassa la secrezione
di LH riducendo la frequenza dei picchi
secretori senza alcun effetto sulla loro
ampiezza, dimostrando che il maggior
sito di feedback di questo steroide è a livello ipotalamico. Questo studio dimostra inoltre che il T come tale a livello
ipotalamico regola la frequenza dei picchi secretori di GnRH, mentre attraverso la sua aromatizzazione inibisce l’attività secretoria ipofisaria di LH. Viene in
questo lavoro chiaramente confermato
che l’azione regolatoria dell’E2 è dovuta ad una azione diretta dell’ormone
circolante che non richiede l’aromatizzazione in situ a partire dal T come da
altri ipotizzato. In conclusione, utilizzando questo modello sperimentale di
ablazione degli steroidi sessuali e di addizione selettiva di steroidi sessuali sia
in maschi normali che in soggetti con
IHH, gli autori hanno dimostrato che il
T e l’E2 hanno effetti indipendenti sulla
secrezione di LH, che il T agisce come
tale a livello ipotalamico e aromatizzato ad E2 a livello ipofisario, e che l’E2
agisce su entrambi i siti, ma inibisce la
secrezione di LH prevalentemente a livello ipotalamico.
Dario Esposito
DELLA
I
S
S
A
MS
E
ndrologia
edicina
essualità
A M
DIZIONARIO ANDROLOGICO
Stop and start: tecnica per imparare il
controllo del meccanismo eiaculatorio basata sull’interruzione della fase
eccitatoria prima dell’eiaculazione
e della ripresa dell’intero ciclo sessuale per un numero di volte stabilito
dal sessuologo.
Subfertilità: capacità ridotta, ma non
impossibile, di uno o entrambi i partners di una coppia, di ottenere una
gravidanza spontanea (mancata gravidanza entro un anno di rapporti mirati). Tale condizione risulta inspiegabile
in circa il 20% dei casi. La subfertilità
maschile include l’oligo/asteno- e/o
teratozoospemia (vedi) e la presenza
di anticorpi antispermatozoi.
SUZI (Sub zonal insemination): tecnica di riproduzione assistita (vedi)
non più utilizzarta in cui gli spermatozoi, mediante un microago, vengono deposti nello spazio perivitellino,
che si trova tra la membrana citoplasmatica delle cellule uovo e la zona
pellucida. L’evoluzione della SUZI è
la ICSI (vedi).
Swelling test: anche definito hypoosmotic swelling test, è un test di
vitalità nell’ambito dell’esame del
liquido seminale. Valuta l’integrità
della membrana cellulare quando
l’eiaculato è diluito in una soluzione
ipoosmotica. Le cellule vitali mostrano rigonfiamenti della coda di varia
forma e grandezza.
Swim up: procedura di selezione in vitro degli spermatozoi da liquido seminale in base alla motilità. Le cellule mobili sono in grado abbandonare
attivamente il liquido seminale stratificato in provetta e migrare nella fase
sovrastante costituita da opportuno
mezzo di coltura.
QT
Tanner (stadi): tanner e Marshall definirono i gradi dello sviluppo puberale dallo stadio 1 (preadolescente)
allo stadio 5 (adulto). Nel maschio
vengono valutati testicoli, scroto e
pene (G1-G5) e la peluria pubica
(PH1-PH5). Nella femmina lo sviluppo delle mammelle (B1-B5) e della
peluria pubica (PH1-PH5).
TEFNA (Testicular fine needle aspiration): tecnica percutanea di aspirazione mediante ago sottile di
materiale testicolare per analisi citologica. Si può utilizzare, in alternativa alla biopsia testicolare (vedi), per
la definizione dei quadri patologici
responsabili di azoospermia (vedi) o
grave oligozoospermia (vedi).
Teratozoospermia: definisce la presenza di un numero < 30 % di spermatozoi con morfologia normale in un
campione di liquido seminale. Sono
in corso studi multicentrici per fornire nuovi valori di riferimento che probabilmente abbasseranno tale limite.
TESA (Testicular sperm aspiration):
tecnica percutanea di aspirazione
mediante ago sottile di spermatozoi
testicolari per ICSI (vedi).
TESE (Testicular sperm extraction):
tecnica di prelievo di spermatozoi
intratesticolari mediante biopsia. Gli
spermatozoi possono essere utilizzati a fresco o crioconservati.
Test di vitalità: test utili per discriminare nell’ambito dell’esame del liquido
seminale gli spermatozoi morti da
quelli immobili. I due test generalmente utilizzati a tale scopo sono
l’hypoosmotic swelling test (vedi
Sweilling test) e il test all’eosina.
Testosterone libero: rappresenta la
quota libera del testosterone totale
circolante (circa l’1 %) capace di
penetrare nelle cellule (testosterone
libero) e svolgere la sua azione a livello nucleare. La maggior parte del
testosterone sierico è legato a proteine (SHBG e albumina) che lo rendono temporaneamente inattivo.
Testosterone: il principale e più attivo
ormone androgeno nell’uomo. Nell’uomo è prodotto dalle cellule di
Leydig del testicolo (una quota esigua dal corticosurrene), nella donna
è prodotto dal surrene e dall’ovaio.
È indispensabile per lo sviluppo dei
caratteri sessuali e per le funzioni
normali della sfera genitale.
TNM: principale sistema di classificazione dei tumori maligni usato
comunemente per riassumerne le
caratteristiche principali e per determinarne la stadiazione e la prognosi. Il sistema TNM può riferirsi
ad una classificazione di tipo clinico pre-trattamento (cTNM) o ad
una classificazione istopatologica
post-chirurgica (pTNM). T (tumor):
parametro, da 1 a 4, che indica
l’estensione del tumore primario;
inoltre, con Tx si indica un tumore
primitivo non definibile, con T0 un
tumore non evidenziabile e con Tis
un carcinoma “in situ”. N (nodes):
parametro che indica lo stato dei
linfonodi regionali; va da 0 (linfonodi regionali liberi da metastasi) a
3; Nx indica che i linfonodi regionali non sono valutabili (ad esempio per precedente asportazione).
M (mestatasis): indica la presenza
di metastasi a distanza; può essere
0 (nessuna metastasi) o 1 (presenza
di metastasi); Mx indica metastasi a
distanza non accertabili.
Torsione testicolare: rotazione del
testicolo sul suo cordone dovuta a
inadeguata o incompleta o assente
fissazione del testicolo allo scroto.
La funzionalità del testicolo dipende
dalla durata dell’ischemia per tale
motivo l’intervento medico-chirurgico deve essere più tempestivo possibile.
Transessualismo: è caratterizzato dalla
convinzione precoce e irreversibile
di appartenere al sesso opposto, in
un soggetto del tutto “normale” dal
punto di vista cromosomico, ormonale e somatico. L’identificazione
con l’altro sesso non deve essere
solo un desiderio per qualche presunto vantaggio culturale derivante
dall’appartenenza al sesso opposto.
DIZIONARIO ANDROLOGICO
Transrettale (ecografia): l’ecografia
transrettale della prostata e delle
vescicole seminali in scala di grigi
con studio color doppler è un utile
strumento diagnostico per la valutazione dell’infertilità maschile e per la
valutazione di eventuali processi flogistici, attraverso sia la valutazione
diretta (e.g. agenesia delle vescicole
seminali) ma anche attraverso segni
indiretti quali dilatazioni dei dotti
eiaculatori o un’aspetto pseudo policistico delle vescicole seminali.
Traslocazione reciproca: consinste in
uno scambio di materiale genetico
tra cromosomi non omologhi con
una frequenza di circa 1 su 600 nati.
Gli individui portatori di una traslocazione reciproca presentano una
più alta possibilità di procreare figli
affetti da anomalie a causa dell’errato appaiamento dei loro cromosomi
durante la meiosi che comporta un
elevato rischio di produrre gameti
con una distribuzione cromosomica
anomala.
Traslocazione robertsoniana: coinvolge due cromosomi acrocentrici che
si fondono a livello del centromero.
Conseguentemente si ha la perdita
del braccio corto ed il cariotipo risultante possiede un cromosoma in
meno. Le traslocazioni robertsoniane possono coinvolgere tutte le combinazioni possibili di cromosomi
acrocentrici, ma il tipo più comune
coinvolge i cromosomi 13 e 14 con
una frequenza di circa 1 su 1300
nati. I portatori di una traslocazione
robertsoniana presentano un fenotipo normale, ma hanno una più alta
probabilità di generare figli affetti da
disturbi genetici.
Travestitismo: si parla di travestitismo
nel caso di un maschio eterosessuale che per un periodo di almeno sei
mesi abbia fantasie, impulsi sessuali
o comportamenti ricorrenti e intensamente eccitanti sessualmente riguardanti l’indossare abiti del sesso
opposto. La vestizione è utilizzata in
modo feticistico per eccitarsi sessualmente (feticismo di travestimento).
TRUS (Transurethral ultrasound, ecografia transrettale): è una metodica
ecografica che permette di visualizzare al meglio la prostata utilizzando una piccola sonda che emette
gli ultrasuoni che va posizionata,
attraverso l’ano, nel retto. Permette
di misurare le dimensioni esatte della prostata, di valutarne la morfolo-
gia, e di eseguire biopsie mirate dei
noduli prostatici. Ai fini diagnostici
permette di distinguere tra ipertrofia
prostatica benigna e tumore della
prostata.
TSH: ormone ipofisario, detto anche
tireotropina, il cui effetto fondamentale è quello di stimolare la funzione
tiroidea.
Tubulo seminifero: unità fondamentale dell’apparato riproduttivo maschile, derivante dalla canalizzazione
dei cordoni sessuali, il cui lume si
connette con quello della rete testis
(vedi). Nell’adulto è formato da un
epitelio seminifero e da una sottile
tonaca propria, separati dalla membrana basale. L’epitelio seminifero è
costituito da due categorie di cellule:
le cellule di sostegno o del Sertoli e
le cellule germinali.
Tubulovasostomia: intervento ideato
nel 1978 come alternativa ai classici
interventi di vasoepididimostomia.
Consiste nell’anastomosi tra il tubulo epididimario dilatato ed il cilindro mucoso deferenziale, che viene
completata da un secondo piano tra
la vaginale propria dell’epididimo
e lo strato muscolo-avventiziale del
deferente.
Tumescenza: gonfiore, turgore, rigonfiamento di un tessuto o di un organo. Per tumescenza peniena si indica
l’aumento della circonferenza peniena e può essere valutata mediante il
test della tumescenza notturna (NPTRigiscan, vedi).
Tumore della prostata: neoplasia della
prostata che si sviluppa di preferenza
nella porzione periferica della ghiandola (vedi) per poi estendersi oltre
la capsula ed invadere le vescicole
seminali ed il trigono vescicale. La
diffusione metastatica avviene prima
per via linfatica (linfonodi ipogastrici, iliaci e inguinali) e poi ematogena (ossa, polmone, fegato, surreni).
È il tumore più frequente nell’uomo
con un’incidenza che aumenta in
modo esponenziale oltre i 50 anni.
Oltre all’età, altri fattori di rischio
noti sono una dieta ricca di grassi
saturi e la presenza di familiarità. La
diagnosi precoce (dosaggio del PSA
plasmatico (vedi), esplorazione rettale o ecografia prostatica transrettale)
permette di effettuare un’efficacie
terapia (ormonale, chirurgica o radioterapia) con assenza di recidive a
5 anni > 80%. La maggior parte dei
tumori sono androgeno-dipendenti;
in questi casi, l’uso di farmaci che
bloccano gli effetti proliferativi degli
androgeni (anti-androgeni, analoghi
del GnRH) costituisce un buon approccio terapeutico per rallentarne
la progressione. Quando la malattia
riprende il suo corso, il tumore ricompare come androgeno-indipendente. In questo caso, le possibilità
terapeutiche sono scarse (il tumore
è poco sensibile alla chemioterapia)
e la prognosi è infausta. (vedi anche
Adenocarcinoma della prostata).
Tumore testicolare: patologia neoplastica a carico della gonade maschile
differenziabile in molteplici varietà
sotto un profilo istologico, prevalentemente rappresentate da tumori
a cellule germinali (circa il 95% del
totale), originati dall’epitelio germinativo (cellule germinali primordiali)
dei tubuli seminiferi e tumori dello
stroma e dei cordoni sessuali (circa il
4% del totale). Più infrequente l’evenienza di linfomi extranodali con localizzazione testicolare.
TURP (Transurethral prostatectomy,
prostatectomia trans-uretrale): è la
procedura chirurgica più comune
di enucleazione della prostata, che
si esegue attraverso l’uretra. La resezione prostatica transuretrale ha
largamente sostituito la prostatectomia radicale (transaddominale) ed è
gravata da minori complicanze postchirurgiche rispetto a quest’ultima.
Tra le complicanze tardive vengono segnalate la disfunzione erettile
(3-35%) e l’eiaculazione retrograda
(sino al 50%) che insorgono meno
frequentemente rispetto alla prostatectomia radicale. (Vedi Prostatectomia transuretrale).
QU
Uretra: canale impari, mediano che
decorre sul piano saggittale nella cavità pelvica, in seguito nel perineo e
uscito da questo, nel pene libero fino
all’estremità del glande. Nella parte
iniziale è percorsa solo dall’urina
mentre, a partire dallo sbocco dei
dotti eiaculatori, permette il passaggio anche del liquido seminale.
Uretrite: processo flogistico-infettivo
acuto a carico dell’uretra caratterizzato da bruciore, prurito ed eventualmente secrezione. Le uretrite
sostenute da agenti patogeni vanno
trattate per la possibilità che l’agente
patogeno si diffonda agli altri distretti
del tratto genito-urinario.
ANDROLOGIA MEDICA
QV
Vacuum device: dispositivo di materiale plastico collegato ad una pompa
che crea il vuoto, permettendo, una
volta applicato alla base peniena, un
riempimento passivo dei corpi cavernosi. L’applicazione addizionale di
un anello di gomma alla base peniena consente il mantenimento della
rigidità. Gli effetti collaterali più frequenti sono il dolore e l’ecchimosi.
Valsalva (manovra): espirazione forzata a glottide chiusa che con la
contrazione dei muscoli della parete toracica e addominale causa un
incremento della pressione endoaddominale. Utile per evidenziare clinicamente il varicocele (vedi).
Varicocele: presenza di ectasie varicose del plesso pampiniforme con associato patologico reflusso venoso.
Varicocelectomia: tecnica chirurgica
di legatura della vena spermatica
interna, finalizzata alla correzione
del varicocele, eseguibile mediante
accesso retroperitoneale, inguinale o
subinguinale.
Vasectomia: intervento chirurgico sicuro, semplice e ambulatoriale di efficace contraccezione maschile con
bassa incidenza di complicazioni. Si
pratica una piccola incisione scrotale, si isolano i dotti deferenti e le
estremità vengono legate. La reversibilità è possibile con l’intervento
microchirurgico di ricanalizzazione
ma la percentuale di soggetti che riprende la fertilità è del 30-40%.
Vasi deferenti: o dotti deferenti, sono
le strutture deputate al transito dello
sperma. Ogni dotto è lungo approssimativamente dai 40 ai 45 centimetri.
Vedi deferenti.
Vasodilatatore: sostanza in grado di
rilassare la muscolatura liscia vasale.
Nel fenomeno della erezione si definiscono vasodilatatori tutte quelle
sostanze che inducono rilasciamento
della muscolatura dei corpi cavernosi del pene, principalmente mediante l’azione dell’ossido nitrico (vedi).
Vasoepididimostomia: anastomosi chirurgica tra il deferente e una sezione
dell’epididimo a monte di un’occlusione.
Vasovasostomia: anastomosi chirurgica
tra due sezioni del deferente rispettivamente a monte e a valle di un’occlusione.
Veno-occlusivo (meccanismo): meccanismo alla base del processo di
erezione, che consiste nella riduzio-
ne del flusso venoso penieno in uscita determinato dall’aumento del volume di sangue e dalla compressione
della muscolatura liscia trabecolare
rilasciata contro la tunica albuginea,
relativamente rigida.
Vescicole seminali: o vescichette seminali, sono delle strutture di 8 mm che
si trovano nella cavità pelvica, dietro
la vescica sopra la base della prostata. Le vescicole hanno la funzione di
deposito del liquido seminale che vi
giunge attraverso i condotti deferenti, ma anche di secernere sostanze,
quale il fruttosio che è il “combustibile” degli spermatozoi.
Vesciculite: processo flogistico-infettivo a carico delle vescicole seminali. Può causare dolore ed emospermia.
Vie seminali: o vie spermatiche, sono
il complesso dei canali escretori che
permettono al liquido seminale di
essere eiaculato. Partendo dal testicolo fino all’uretra prostatica le vie
seminali comprendono: tubuli seminiferi retti, rete testis, epididimi, dotti
deferenti, vescichette seminali e dotti eiaculatori.
Vis: sinonimo di erezione.
Visual sexual stimulation: stimolazione della fase dell’eccitazione attraverso la somministrazione di media
a contenuto erotico.
Voyerismo: eccitamento sessuale derivante dall’osservare non essendo
visti, persone che sono nude o che
si spogliano o che hanno rapporti
sessuali.
QW
Wolf (dotti): abbozzi primordiali dei
condotti genitali maschili che si differenzieranno negli epididimi, nei
deferenti, nelle vescicole seminali e
nei dotti eiaculatori.
Wt1: fattore trascrizionale che svolge
un ruolo cruciale nello sviluppo del
tratto urogenitale. Mutazioni a carico del gene Wt1 sono state associate
sia all’insorgenza di un tumore renale infantile (tumore di Wilms) che
ad alcune forme di alterato sviluppo
gonadale che comprendono anche
lo pseudoermafroditismo.
QX
X fragile: la sindrome del cromosoma
X fragile (FraX) è la forma più comune di ritardo mentale (circa 1:4000
maschi) dopo la sindrome di Down e
la più frequente fra quelle ereditarie.
La malattia è causata dall’alterazione di un gene chiamato FMR1 (Fragile Mental Retardation 1), situato
nel cromosoma X. Nella sindrome
dell’X-fragile il gene FMR1 presenta
un’espansione di triplette CGG maggiore di 200 (normale è inferiore a
56). Nella premutazione (espansione
56-200 triplette) ci può essere menopausa precoce.
XXY (vedi Klinefelter)
QY
Yohimbina: sostanza di origine vegetale, agonista alfa 2 selettivo, che se
somministrato per via orale, esercita un’azione periferica di blocco ed
attività selettiva centrale e periferica
noradrenergico-agonista.
Nonostante questa attività possa definire un’azione pro- erettile, non vi
sono studi che riportino vantaggi significativi rispetto al placebo, nella
terapia della disfunzione erettile.
Young (sindrome): sindrome caratterizzata dall’associazione tra azoospermia ostruttiva e infezioni senobronchiali ricorrenti. Si tratta di una
condizione trasmessa con modalità
autosomica recessiva, ma l’eziologia
resta sconosciuta. Sebbene il quadro
clinico sia simile a quello della fibrosi cistica, la sindrome Young non
si associa alle mutazioni del gene
CFTR (vedi). Le diagnosi differenziale
si pone principalmente con la fibrosi
cistica e con l’agenesia bilaterale dei
vasi deferenti (CBAVD).
QZ
ZIFT (Zigote Intrafallopian Transfer):
tecnica di riproduzione assistite che
prevede il trasferimento nella tuba
uterina di zigoti ottenuti in vitro.
Zigote: cellula diploide (corredo cromosomico 2n) che deriva dalla fusione del gamete femminile con quello
maschile (entrambi con corredo cromosomico aploide, n) durante la riproduzione sessuale. Costituisce l’inizio dello sviluppo embrionale poiché
le duplicazioni successive di questa
cellula totipotente danno origine (lungo la discesa nelle tube di Falloppio)
ai blastomeri e poi alla blastocisti che
si impianterà nell’utero.
Zona centrale: secondo la classificazione anatomo/morfologica a zone
(descritta da McNeal), è la regione
centrale a forma di cono che circonda i dotti eiaculatori e forma la maggior parte della base della prostata
n. 5 - Giugno 2008
(vedi), di cui occupa circa il 25%
dell’intero volume. I dotti prostatici
presenti nella zona centrale raggiungono l’uretra a livello del veromontanum e la loro inclinazione li rende parzialmente immuni al reflusso
urinario intraprostatico. Dal punto di
vista istologico, contiene acini abbastanza grandi e dai contorni irregolari, circondati da uno stroma compatto simile a quello presente nella
zona periferica (vedi).
Zona di transizione: secondo la classificazione anatomo/morfologica a zone,
costituisce il 5-10% dell’intero volume
prostatico ed è composta da due lobuli
simmetrici posti bilateralmente all’ure-
tra prostatica. I dotti presenti in questa zona raggiungono bilateralmente
l’uretra alla base del veromontanum.
Dal punto di vista istologico, contiene
acini simili a quelli della zona periferica, circondati da stroma compatto. È
la zona in cui originano i noduli di tessuto ipertrofico (vedi BPH), che espandendosi comprimono la zona periferica adiacente e il lume uretrale.
Zona pellucida: strato glicoproteico specie-specifico che circonda la membrana plasmatica ovocitaria nei mammiferi. Tale struttura lega gli spermatozoi
attraverso la glicoproteina ZP3 e innesca la reazione acrosomiale. Rappresenta una barriera alla fecondazione
inter-specie e alla polispermia (zona
reaction).
Zona periferica: secondo la classificazione anatomico/morfologica a
zone, costituisce la maggior parte
dell’intero volume prostatico (circa
65%). Forma la porzione posterolaterale periferica della ghiandola,
estendendosi dall’apice alla base.
L’aspetto istologico è caratterizzato
da spazi acinari piccoli circondati
da uno stroma di muscolatura liscia,
importante per lo svuotamento dei
secreti prostatici in uretra durante
l’eiaculazione. In questa zona hanno
origine più del 70% dei tumori della
prostata (vedi). Q
7
ANDROLOGIA E MEDICINA DELLA SESSUALITÀ
Un nuovo approccio
diagnostico molecolare
non invasivo per l’analisi
dell’infertilità maschile
Success and failure in human
spermatogenesis as revealed
by teratozoospermic RNA
Platts AE., Dix DJ., Chemes HE.,
Thompson KE., Goodrich R.,
Rockett JC., Rawe VY., Quintana S.,
Diamond MP., Strader LF., Krawetz SA.
Human Molecular Genetics 2007
16: 763-773
Il significato funzionale del complesso di RNA messaggeri (mRNA) paterni
funzionali e maturi che lo spermatozoo
trasmette all’oocita al momento della fecondazione, ha sempre suscitato
enorme interesse. Nonostante il potenziale ruolo di tali mRNA nel successo
dell’embriogenesi e della placentazione non sia stato ancora chiarito, numerose evidenze sperimentali ne dimostrano l’importanza per lo sviluppo
funzionale dello spermatozoo nel suo
“viaggio” dal testicolo al sito di fertilizzazione.
Indipendentemente dal suo ruolo, comunque, il pool di RNA dello spermatozoo maturo costituisce una finestra
sul processo della gametogenesi maschile e la sua analisi può rappresentare uno strumento importante per indagare le possibili alterazioni a livello
molecolare di tale processo.
Questo elegante studio condotto da
Platts and coll., propone infatti una
strategia di analisi basata sui microarray del complesso di mRNA estratto
dagli spermatozoi ottenuti da liquido
seminale per indagare le possibili alterazioni molecolari nel processo di
spermatogenesi.
Gli autori hanno selezionato 2 gruppi
di soggetti: 13 fertili (almeno 1 figlio)
e 8 teratozoospermici severi in base al
criterio stretto di Kruger con percentuale di forme ideali (PIF) <3, che non
presentassero altre patologie seminali e
che avessero numero e motilità normali
secondo il WHO. Su tali soggetti è stata
condotta l’analisi del profilo di trascrizione degli spermatozoi separati da liquido seminale mediante una strategia
basata sul confronto dei risultati ottenuti con due piattaforme indipendenti di
microarray, Affimetrix e Illumina Sentrix. I dati dei profili di espressione dai
campioni normali e teratozoospermici
così ottenuti sono stati a sottoposti ad
analisi di clustering gerarchica che ha
evidenziato alcune centinaia di mRNA
la cui diversa abbondanza di espressio-
ne (differenza >10 volte, P<0.001) ha
permesso di identificare le due classi
normale e teratozoospermico, in pieno
accordo con la diagnosi fatta con criterio morfologico, indipendentemente
dalla piattaforma di microarray utilizzata. Per confermare la potenza di questo
approccio diagnostico-classificativo, gli
autori hanno utilizzato lo stesso tipo di
analisi per valutare ulteriori 10 campioni provenienti da altri soggetti in cieco.
Utilizzando il tool diagnostico dei trascritti precedentemente evidenziati
come discriminanti, l’assegnazione di
classe di questi ultimi campioni li ha
francamente assegnati alle due classi
normale e teratozoospermico, in pieno
accordo con l’analisi morfologica condotta successivamente.
L’analisi funzionale fine degli mRNA, la
cui differente espressione ha permesso
di discriminare le due classi di soggetti, ha messo in evidenza che gli RNA
proteosomali associati con il pathway
ubiquitina-proteosoma (UPP) era quasi
completamente soppresso nei campioni dei soggetti teratozoospermici, mentre altri pathway, come il sistema di
degradazione lisosomiale, risultavano
con normali livelli di espressione. Dal
momento che il sistema dell’ubiquitinazione-proteosoma risulta fondamentale per la degradazione delle proteine
anomale e risulta fondamentale nel
processo morfogenetico della spermatogenesi, gli autori suggeriscono che
il difetto nel sistema che si verifica
nei soggetti teratozoospermici, porti
ad una morfogenesi difettiva esitando
nella teratozoospermia. Considerando
che l’espressione dei trascritti nello
spermatozoo sia la traccia dei precedenti processi di sviluppo della cellula,
allora il residuo di mRNA della cellula
matura rappresenta una finestra sulle fasi di sviluppo e differenziamento
durante le quali l’espressione dei geni
spermatogenetici è risultata alterata. In
base a questa ipotesi, gli autori hanno
confrontato i trascritti che risultavano
ridotti nei campioni teratozoospermici con i trascritti specifici delle diverse
fasi della spermatogenesi, datando così
l’alterazione a livello dello spermatocita in pachitene. L’incapacità della cellula germinale di proseguire correttamente nella spermatogenesi potrebbe
quindi essere legata ad un’alterazione
dei processi di sintesi/degradazione
delle proteine che coinvolgono il complesso UPP. La riduzione degli mRNA
proteosomali che si verifica negli spermatozoo dei soggetti teratozoospermici potrebbe non essere sufficiente per
bloccare la spermatogenesi ma potrebbe inibire la corretta morfogenesi
portando ad alterata formazione dell’acrosoma, della coda e del midpiece
ed a alterata condensazione della cromatina, difetti che si riscontrano nello
spermatozoo maturo. Il metodo proposto presenta un’accuratezza diagnostica, indipendente dalla piattaforma di
microarray o dal protocollo analitico
impiegati ed una sensibilità tali da poter discriminare casi per i quali l’applicazione delle metodiche di analisi
classiche non permetteva una diagnosi
sicura. Ha inoltre permesso di individuare l’ontogenesi e le basi molecolari
dei difetti morfologici riscontrati poi
alla microscopia. A nostro avviso, rimangono delle perplessità sulla possibile applicazione di tale analisi come
laboratorio di routine.
Michaela Luconi
Bassi livelli di testosterone nell’anziano sono
associati ad aumentata
mortalità?
Low serum testosterone and mortality
in older men
Laughlin et al. J Clin Endocrin Metab
2008; 93: 68-75
Endogenous testosterone and mortality
due to all causes, cardiovascular
disease, and cancer in men: European
prespective investigation into cancer in
Norfolk Prospective Population Study
Khaw et al.
Circulation 2007; 116: 2658-61
Sex steroids and all-cause and causespecific mortality in men
Araujo et al. Arch Intern Med 2007;
167: 1252-1260
Nell’uomo, con l’avanzare dell’età,
si realizza un graduale declino dei livelli serici di testosterone totale (tT),
e ancor più dei livelli di testosterone
libero, per il progressivo incremento
della sex hormone-binding globulin.
La carenza androgenica età correlata può avere conseguenze sistemiche
che interessano il cervello (riduzione
delle funzioni cognitive e della libido,
depressione dell’umore e disturbi del
sonno), riduzione della massa e della
forza muscolare, riduzione della densità minerale ossea, disfunzione erettile,
aumento della massa grassa viscerale
con conseguente insulino-resistenza
e aumentato rischio di sviluppo della
sindrome metabolica, condizione di
aumentato rischio cardiovascolare.
Nonostante l’ipogonadismo età correlato sia indubbiamente associato ad un
peggioramento della qualità della vita
e rappresenti un rischio di morbidità
8
per diverse patologie, se esso comporti anche una aumentata mortalità non
era stato ancora stabilito sulla base
degli studi prospettici in corso. Solo
in uno studio retrospettivo basato su
un data-base clinico (Veterans Affairs,
Seattle) era stata trovata un’associazione tra bassi livelli di tT e aumentata
mortalità. Si trattava però di pazienti
anziani con alta morbidità che spiega l’alto tasso di mortalità rilevato che
era del 24.2% in 4.3 anni di follow-up
medio. In realtà, stabilire l’effetto indipendente dell’ipogonadismo nel determinismo di un’aumentata mortalità
è estremamente arduo negli anziani
con alta morbidità che può essere essa
stessa responsabile sia dei ridotti livelli
androgenici che della mortalità.
Lo studio di Laughlin et al., pubblicato
lo scorso gennaio su JCEM è il primo
studio prospettico di coorte in cui si è
dimostrato che bassi livelli di tT nell’anziano sono associati in maniera
indipendente ad aumentata mortalità.
L’analisi è stata condotta su 794 uomini arruolati nel Rancho Bernardo study,
di età media di 74 anni all’arruolamento e seguiti con un follow-up fino a 20
anni (follow-up medio: 11.8 anni). I
soggetti con bassi livelli di tT all’arruolamento (<240 ng/dl; 25° percentile
dei valori rilevati nella popolazione
studiata) presentavano un rischio di
mortalità complessiva aumentato del
40% (HR=1.40; 95% CI: 1.14-1.71)
rispetto ai soggetti con livelli di tT nel
quartile più alto (>370 ng/dl), dopo
aggiustamento per età, BMI e stili di
vita. Ulteriori aggiustamenti (lipidi,
lipoproteine, pressione sanguigna, glicemia, adiponectine, estradiolo), avevano effetti minimi sui risultati. L’effetto di bassi livelli di tT sull’aumentato
rischio di mortalità risultava indipendente anche da patologie presenti al
momento dell’arruolamento, quali la
sindrome metabolica, diabete mellito
e patologia cardiovascolare, mediante
aggiustamento per le specifiche condizioni morbose, mediante esclusione
dall’analisi dei soggetti affetti da tali
condizioni, ed anche escludendo i
decessi verificatisi nei primi 5 anni di
follow-up (per minimizzare effetti di
pre-esistenti comorbidità). Quando si
analizzava la mortalità per cause specifiche, bassi livelli di tT erano predittivi di aumentato rischio di mortalità per
cause cardiovascolari (HR=1.38; 95%
CI: 1.02-1.85) e per cause respiratorie (HR=2.29; 95% CI: 1.25-4.20). Le
associazioni erano simili per il testosterone biodisponibile. Una relazione
inversa tra tT e mortalità è stata rilevata
anche in uno studio prospettico caso-
n. 5 - Giugno 2008
cantrollo innestato nella coorte del
Norfolk Prospective Population Study e
pubblicato quasi contemporaneamente (lo scorso dicembre) su Circulation.
Khaw et al. hanno analizzato tale relazione confrontando 825 uomini deceduti durante un follow-uo medio di
7 anni con 1489 uomini ancora vivi
alla fine del follow-up. All’arruolamento l’età media era di 67 anni ed erano
state escluse patologie cardiovascolari
e neoplastiche. La mortalità complessiva aumentava progressivamente nei
quartili crescenti di tT all’arruolamento
e risultava significativamente maggiore
nei due quartili più alti rispetto al quartile più basso (<12.5 nmol/L), dopo
aggiustamento per età, BMI, diabete
mellito, pressione arteriosa sistolica,
colesterolo e stili di vita. Una correlazione inversa veniva rilevata anche tra
tT e mortalità per cause cardiovascolari
e neoplastiche e persisteva anche dopo
l’esclusione dei decessi verificatisi nei
primi 2 anni di follow-up. I risultati di
questi studi confliggono però con quelli del Massachussetts Male Aging Study (MMAS) pubblicati qualche mese
prima da Araujo et al. su Arch Intern
Med. In una coorte di 1696 uomini di
età compresa tra 40 e 70 anni all’arruolamento e seguiti con un follow-up medio di 15.3 anni, non si rilevava alcuna
associazione tra livelli di T sia totale
che libero (calcolato) e mortalità complessiva. Peraltro, i livelli di testosterone libero risultavano positivamente
associati con mortalità per cardiopatia
ischemica. L’aumentato rischio, sebbene robusto, era tuttavia relativamente
modesto, con una riduzione del rischio
solo del 20% al decrescere di 1-SD dei
livelli di testosterone libero. Di contro,
la mortalità per cardiopatia ischemica
era inversamente associata ai livelli di
diidrotestosterone. Tale contrasto, difficilmente spiegabile, suggerisce, anche
da parte degli autori, di prendere con
cautela tali risultati. Una forte associazione negativa veniva invece trovata
tra i livelli di testosterone libero e mortalità per malattie respiratorie con un
aumento del rischio del 90% al decrescere di 1-SD dei livelli di testosterone libero. Un’aumentata mortalità per
malattie respiratorie, oltre che ad essere risultata associata a bassi livelli androgenici anche nel Rancho Bernardo
study, è stata rilevata anche nella S. di
Klinefelter (Swerdlow et al., JCEM 90:
6512-22, 2005). Gli autori concludevano, comunque, che dai loro dati non
si evincono associazioni convincenti
tra livelli di androgeni e mortalità.
Nessuna associazione tra livelli di tT e
mortalità complessiva era stata trovata
anche nel Caerphilly study (Smith et
al., Circulation 112:332-340, 2005), in
cui una coorte di 2512 uomini era stata
seguita in un follow-up medio di 16.5
anni, anche se un’associazione lineare
inversa era stata rilevata tra tT e mortalità per cardiopatia ischemica.
I risultati conflittuali di questi studi
prospettici, ampi e convincenti per
metodologia, lasciano ancora senza
una risposta definitiva l’interrogativo
se bassi livelli di androgeni nell’anziano siano associati in maniera indipendente ad aumentata mortalità. Tuttavia
un’osservazione può essere fatta, quale
possibile spiegazione dei risultati conflittuali. L’età media degli uomini all’arruolamento nel Rancho Bernardo study
era di circa 20 anni maggiore di quella
del MMAS e del Caerphilly study. Ciò
spiega la proporzione molto maggiore
di uomini deceduti durante il followup nel Rancho Bernardo study (68%)
nonostante il follow-up più breve, rispetto a quella negli altri 2 studi (31% e
19%, rispettivamente). Verosimilmente,
quanto più l’età è avanzata, tanto più è
possibile evidenziare l’associazione tra
carenza androgenica e mortalità. Se tale
associazione rispecchi effettivamente
le conseguenze a lungo termine della
carenza androgenica, indipendentemente dai molteplici fattori confondenti che concomitano nell’anziano e
che possono sfuggire ai debiti aggiustamenti, potrebbe essere definitivamente
chiarito solo da studi a lungo termine,
randomizzati, controllati con placebo
sull’effetto del trattamento sostitutivo
androgenico. Ma tali studi sono di difficile realizzazione.
Felice Francavilla
Azioni non genomiche
degli androgeni
Non genomic actions of androgens
Foradori CD., Weiser MJ., Handa RJ.
Frontiers in Neuroendocrinology,
2008; 29: 169-181
Numerosi studi hanno dimostrato come
il recettore androgenico (AR) funziona
come fattore di trascrizione attivato dal
testosterone, dal diidrotestosterone e
da altri metaboliti ad attività androgenica. Il complesso ormone-recettore lega
specifiche sequenze responsive (ARE)
localizzate nelle regioni promoter di
geni target. In accordo a tale meccanismo d’azione di tipo “genomico”
gli androgeni inducono l’attivazione
o l’inibizione della trascrizione e della
sintesi proteica. Negli ultimi anni vari
studi hanno riportato come gli androgeni possono indurre risposte rapide
ANDROLOGIA E MEDICINA DELLA SESSUALITÀ
sia a livello molecolare che cellulare
in maniera dipendente o indipendente
dal legame e dall’attivazione del recettore androgenico (“azione non genomica”). A supporto di quest’ultimo
meccanismo d’azione degli androgeni
sono state riportate le seguenti evidenze sperimentali:
1) l’effetto avviene in un periodo di
tempo molto breve (secondi o minuti) da non consentire il coinvolgimento della trascrizione e della
sintesi proteica;
2) la risposta cellulare coinvolge recettori associati alla membrana o
AR coniugati/mutati non in grado
di traslocare nel nucleo;
3) l’attività può essere indotta anche
in contesti cellulari nei quali è stata
inibita la trascrizione e/o la sintesi
proteica.
In particolar modo è stato dimostrato
come gli androgeni possono aumentare rapidamente il calcio intracellulare
anche in presenza di inibitori di AR,
possono interagire direttamente con
fosfolipidi di membrana, attivare pathway coinvolgenti secondi messaggeri
indipendentemente dall’attività trascrizionale, coinvolgere AR attraverso l’attivazione di secondi messaggeri con o
senza conseguente attività trascrizionale, indurre effetti rapidi di tipo comportamentale in animali da esperimento
anche in assenza di AR. Sulla base di
tali dati, recenti studi hanno classificato alcune azioni degli androgeni come
“non classiche” o “non genomiche”.
Questa terminologia è stata anche utilizzata per classificare azioni rapide
degli androgeni che coinvolgono sia
secondi messaggeri che come ultimo
evento un’azione genomica . L’esistenza di pathway regolatori alternativi che
agissero autonomamente o in sinergia
nell’indurre gli effetti degli androgeni,
ha delineato un nuovo scenario che
certamente consentirà di comprendere
meglio le complesse potenzialità degli
effetti biologici degli androgeni. Nonostante vari studi abbiano dimostrato
come gli androgeni esercitano diverse
attività biologiche attraverso risposte
rapide, gli effetti fisiologici dell’azione
non genomica degli androgeni rimangono largamente sconosciuti. Rimangono inoltre da chiarire gli effetti genomici indotti attraverso meccanismi non
genomici ed il loro coinvolgimento in
numerosi quadri fisiopatologici. Tale
scenario sarà particolarmente interessante da valutare anche nella proposizione di nuovi approcci farmaco-terapeutici in tumori androgeno-sensibili,
come quello a carico della prostata.
Marcello Maggiolini
Il trattamento con agenti
demetilanti e inibitori
della deacetilazione
degli istoni cooperano
nella ri-espressione del
recettore beta degli
estrogeni (ERbeta)
in linee cellulari di
carcinoma della prostata
DNA demethylation and hystone
deacetylation inhibition co-operate
to re-express estrogen receptor beta
and induce apoptosis in prostate
cancer cell lines
Walton TJ., Li G., Zup SL., Seth R.,
McArdle SE., Bishop MC., Rees RC.
Prostate 2008; 68: 210-222
I meccanismi epigenetici di silenziamento genico svolgono un ruolo importante nello sviluppo e nella progressione tumorale e l’utilizzo di farmaci
in grado di contrastare tale fenomeno
potrebbe essere una futura opzione
terapeutica per questa patologia. Due
sono gli eventi epigenetici finora descritti nelle cellule tumorali; essi, pur
non comportando mutazioni della sequenza del DNA, limitano la normale
trascrizione genica e sono ereditabili
durante la divisione cellulare. Il primo è un aumento del grado di metilazione, ad opera dell’enzima DNA
metiltransferasi (DNMT), di residui di
citosine in sequenze particolari (CpG
islands) presenti nei promotori di numerosi geni; il secondo è costituito da
una diminuzione del grado di acetilazione delle proteine istoniche, operato dalle istone-deacetilasi (HDAC).
Sebbene l’ipermetilazione del DNA e
le modificazioni istoniche siano processi indipendenti, è di recente stato
ipotizzato che i due meccanismi possano cooperare fra loro nel reprimere
la trascrizione genica. Tuttavia, non vi
sono al momento dati che dimostrino
gli effetti additivi dell’uso congiunto di
inibitori delle HDAC e della DNMT nel
contrastare la progressione del carcinoma della prostata (PC).
È ormai chiaro che la forma beta del
recettore estrogenico conferisce effetti
protettivi alla cellula. Infatti, studi condotti sia in linee cellulari di carcinoma
della prostata, sia in pazienti a vari stadi di progressione del tumore, hanno
dimostrato che l’attivazione di ERbeta
riduce la proliferazione e il potenziale invasivo delle cellule di PC, nonchè
ne aumenta la capacità di risposta agli
stress ossidativi. Inoltre, la scomparsa
9
di questo recettore sembra essere un
passaggio comune nella progressione
tumorale. Alcuni studi hanno dimostrato che nel promotore di ERbeta sono
presenti zone CpG e che nel PC tali
zone sono ipermetilate. Sulla base di
queste considerazioni, Walton e collaboratori si sono proposti di verificare
se il trattamento con un agente demetilante (5’-aza-2’-deossicitidina, 5AZAC) o con un inibitore delle HDAC
(Tricostatina-A, TSA) fosse in grado:
a) di modulare la proliferazione/apoptosi delle principali linee cellulari di
PC androgeno-dipendenti (LNCaP)
e androgeno-indipendenti (PC3,
DU145);
b) di riattivare la trascrizione di ERbeta;
c) di esercitare un effetto additivo/sinergico su questi parametri, nel
caso in cui i due farmaci vengano
co-somministrati.
Utilizzando metodiche di real time
PCR, accoppiate alla valutazione della
vitalità e proliferazione cellulare, della
citotossicità e dell’attivazione apoptotica, i ricercatori hanno dimostrato
che in tutte le linee cellulari analizzate il trattamento con ciascuno dei due
farmaci è in grado di ridurre in modo
significativo la proliferazione cellulare
e di aumentare l’apoptosi; tale effetto
sembra essere potenziato dal co-trattamento. L’associazione dei due farmaci
produce inoltre un effetto differente a
seconda della linea cellulare utilizzata:
additivo nelle cellule androgeno-indipendenti, sinergico nelle LNCaP. Sebbene il trattamento con ciascuno dei
due composti non sia sempre in grado
di indurre la ri-espressione di ERbeta, l’associazione 5-AZAC e TSA porta alla ricomparsa di tale recettore in
tutte le linee cellulari. Questo risultato
è particolarmente interessante poichè
suggerisce che i processi epigenetici di
acetilazione istonica e di metilazione
del DNA possano cooperare nel reprimere la trascrizione genica nel PC.
Gli effetti osservati non permettono di
affermare che la ri-espressione di ERbeta costituisca l’unico determinante
dell’azione antiproliferativa del trattamento, in quanto tali farmaci inducono anche la riattivazione di geni oncosoppressori e pro-apoptotici. Tuttavia
una implicazione interessante di questo studio è che l’utilizzo congiunto di
inibitori della DNMT e delle HADAC
possa da un lato controllare la proliferazione cellulare e dall’altro ripristinare nelle cellule di PC la potenzialità
protettiva di ERbeta nei confronti, ad
esempio della diffusione metastatica e
dello stress ossidativo.
Paola Negri-Cesi
250 mg/ml soluzione iniettabile
G03BA03
testosterone undecanoato
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**) I dati relativi al rischio di tumore alla prostata associato alla terapia testosteronica non consentono di trarre conclusioni certe.
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