“Lightning Bolt” dei Pearl Jam: il passaggio definitivo dal

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“Lightning Bolt” dei Pearl Jam: il passaggio definitivo dal
“Lightning Bolt” dei Pearl Jam: il passaggio definitivo dal grunge al pop rock
di ANTONELLA BELLIFEMINE
Era il 1991 quando uscì “Ten”, il primo disco dei Pearl Jam, un fulmine a ciel sereno con Eddie
Vedder che con la sua voce urlava la disperazione di un’intera generazione.
Erano gli anni del grunge, anni che hanno lasciato un segno profondo nella storia della musica
e che hanno consacrato Kurt Cobain ed Eddie Vedder come semidei del rock.
Vedder è sopravvissuto a quell’immensa popolarità che s’è portata via Cobain ed oggi,
ascoltando il decimo disco dei Pearl Jam, viene un po’ di malinconia a pensare a quello che è
stato e non tornerà più.
Oggi i PJ sono una band di sfavillanti cinquantenni che fanno pop rock, un ottimo pop rock che
non aggiunge più niente alla loro storia. Un percorso graduale, lento che ha insinuato sempre il
dubbio nei fan duri e puri della prima ora: sarà una fase di transizione? Torneranno più grunge
di prima?
1/3
“Lightning Bolt” dei Pearl Jam: il passaggio definitivo dal grunge al pop rock
L’attesa per “Lightning Bolt” si è consumata sui social network tra tifoserie di appassionati, fan e
detrattori. Giudizio finale all’uscita del disco abbastanza concorde nel ritenerlo un disco rock
contaminato da tanta melodia e tanto pop, lontano dalla forza esplosiva degli esordi.
Sia chiaro però che non si tratta di un disco ruffiano per teenager. I PJ mantengono il loro stile,
sono riconoscibilissimi e Eddie Vedder è in gran forma e ha ancora una voce potente e precisa.
È un disco che ha due anime: la prima metà scorre decisa con un rock suonato benissimo,
chitarre elettriche con un gran tiro e riff energici, la seconda metà vira sul lento, sul blues e
addirittura sul folk.
Il singolo di lancio, “Mnid Your Manners” aveva fatto ben sperare i nostalgici, è un punk vecchia
maniera che si accoppia bene con il rock più tradizionale di “Getaway” e l’omonima “Lightning
Bolt”, un rock veloce con scrosci di chitarre elettriche.
“Sirens”, secondo singolo, è la classica ballatona da accendi accesi in concerto, in cui la
differenza la fa la voce strepitosa di Eddie.
“Pendulum”, a metà disco, è la linea di demarcazione. Lenta e narcotica, forse l’unica novità di
questo disco, porta con se suoni rarefatti che sembrano allontanarsi fino quasi a scomparire,
traduzione in musica delle continue oscillazioni della condizione umana, proprio come un
pendolo.
Seguono “Let The Records Play”, un rock blues con chitarre distorte alla Neil Young, “Sleeping
by myself”, un country folk dolce che spiazza, si conclude con “Future Days”, una delicata
canzone d’amore con tanto di arpeggi e archi.
La produzione è di Brendan O’Brien, fedelissimo del gruppo di Seattle e McCready e Gossard
s’inventano riff che sono vere e proprie costruzioni, insomma fanno la differenza.
2/3
“Lightning Bolt” dei Pearl Jam: il passaggio definitivo dal grunge al pop rock
Ad un disco così non manca niente: è pop, è rock, ha l’ascolto facile, è piacevolissimo,“spiccio e
conciso” come dice McCready ed è tradizionale.
Ora tocca a voi capire se vi va bene un album convenzionale, senza grandi picchi emozionali,
semplice e preciso, che suona come un disco degli U2, senza il furore grunge, un disco con un
rock morbido e misurato.
L’impressione è che sia stato fatto in un momento di quiete del gruppo, più per divertimento che
per l’esigenza di esprimere qualcosa. Non c’è l’urgenza e la tensione che fanno nascere i
grandi capolavori e i Pear Jam, piaccia o no, sono costretti a fare i conti col loro glorioso
passato.
Ad alcuni suonerà come l’addio definitivo al grunge, altri lo considereranno un tradimento, ad
altri ancora piacerà per partito preso, molti lo ascolteranno come si ascolta un album qualsiasi,
come accompagnamento alle nostre giornate.
La soluzione forse sta in una via di mezzo: apprezzare un gruppo che non può essere lo stesso
di vent’anni fa, la storia va avanti e la musica pure. Il grunge degli anni ’90 non avrebbe tanto
senso oggi. La serena normalità di questi ultimi anni è l’altra faccia della medaglia. Una nuova
strada è stata intrapresa e solo il tempo potrà dire se ne è valsa veramente la pena, d’altronde
chissà come suonerebbe oggi un disco dei Nirvana se fossero ancora tutti vivi e di nuovo
insieme.
L’impronta indelebile del passato è uno spettro sempre presente e sempre in agguato, croce e
delizia di quelli che sono sopravvissuti.
3/3