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CAPITOLO 7 STUDI E PERIZIE
CRITICA AD UNA “NECROSCOPIA D’ECCEZIONE”
CRITICA AD UNA “NECROSCOPIA D’ECCEZIONE”
PRESENTIAMO ORA:
- ALCUNI VECCHI STUDI DEL DOTT. ALDO ALESSIANI CON LA SUA
IPOTESI ALTERNATIVA CIRCA LE MODALITA’ E LA DINAMICA DELLA
MORTE DEL DUCE;
- UN PARERE SULLA NECROSCOPIA E RILIEVI VARI FATTI SUI CADAVERI
DI MUSSOLINI E DELLA PETACCI, DA PARTE DEL PROF. GIOVANNI
PIERUCCI, DIRETTORE DELL’ISTITUTO DI MEDICINA LEGALE DI PAVIA;
- I RECENTISSIMI RISCONTRI ESEGUITI DA UNA EQUIPE DEL PROF.
PIERUCCI A PAVIA CON L’AUSILIO DI MODERNE TECNICHE E
PROGRAMMI DI INFORMATICA.
La tesi del dott. Aldo Alessiani
Come afferma Fabio Andriola nel suo “Appuntamento sul Lago” SugarCo 1990, la
tesi del dott. Aldo Alessiani si muove in una direzione assolutamente nuova rispetto alle
ipotesi e alle versioni fino ad ora esaminate.
Secondo Alessiani, 1 Mussolini e la Petacci non furono portati fuori da casa De Maria per
venire uccisi, ma trovarono proprio in quella casa la morte ed oltretutto in un ora e modalità
assolutamente diverse da quelle ufficiali.
Alessiani è giunto a queste conclusioni in quanto, da medico legale qual’era, ha affrontato la
questione da un punto di vista strettamente scientifico, medico-legale, con tutte le conoscenze
di carattere balistico, chimico, matematico, fisico e medico che questa disciplina comporta
con l’aggiunta delle gore ematiche (macchie di sangue), uno studio basato soprattutto sul
materiale fotografico dove si è in presenza di un corpo ruotato di 180 gradi e per di più a testa
in giù.
In breve, secondo questi lunghi studi, la morte di Mussolini va fissata, sia pure
approssimativamente, intorno alle ore 5 – 6 del mattino del 28 aprile, una morte che fu
dovuta alla esplosione di nove colpi (da parte di due armi diverse) nel corso di quella che
dovette essere una violenta colluttazione.
Le conclusioni di Alessiani possono essere sintetizzate in due parole: cronologia e
polidirezionalità.
Cronologia in relazione al momento della morte e polidirezionalità in relazione ai colpi
premortali, colpi facilmente distinguibili per un medico legale, da quelli inferti post mortem.
In base all’autopsia, i colpi premortali sono in tutto nove: cinque isolati sul fianco destro
e sparati da una pistola probabilmente automatica, mentre altri quattro colpi, sparati da
una mitraglietta, sono concentrati alla spalla sinistra.
Tutti i colpi risulterebbero sparati a bruciapelo (il fatto è chiaramente visibile nelle foto
scattate a piazzale Loreto e all’obitorio prima dell’autopsia).
1
Aldo Alessiani è nato ad Ascoli Piceno nel 1926, medico legale, perito della magistratura, ha iniziato gli studi
sulla morte di Mussolini fin dagli anni cinquanta. E’ morto nel 1999.
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Di rilievo è anche l’esame delle angolazioni dei colpi premortali. 2 Si passa infatti dai 45
gradi ai 180 ° ai 90°, quasi che la vittima, al momento degli spari, si stesse muovendo in
modo forsennato o che gli sparatori si trovassero in posizioni assurde.
Il colpo che aveva trapassato il fianco destro risultava sparato dall’alto verso il basso con una
angolazione di 45 gradi e, dopo essere penetrato nella zona della spina iliaca anteriore (in
pratica sotto la cintura), era fuoriuscito dal gluteo destro. Ora se si considera che il piccolo
spiazzo del cancello di Villa Belmonte, dove fu fucilato Mussolini, era in posizione
sopraelevata un poco rispetto alla strada, si capisce come questa traiettoria dall’alto
verso il basso è assolutamente inspiegabile!
Rispetto al colpo attinto al braccio, osservava Alessiani, vero è che questo poteva essere stato
trapassato mentre Mussolini, in un istintivo gesto di difesa l’aveva sollevato verso il petto, ma
vera anche la possibilità che il Duce avesse riportato le ferite al braccio e al fianco destro
nell’estremo tentativo di disarmare chi gli stava di fronte per ucciderlo.
Se a questo si aggiunge che lo stesso verbale dell’autopsia parla di “lesioni contusive” la
teoria della colluttazione trova una sua validità. 3
Per Alessiani l’unica soluzione dell’enigma (infatti le angolazioni diverse non sono spiegabili
in una scena di fucilazione classica, sia pure in presenza di un piano inclinato come è la strada
davanti al cancello di Villa Belmonte), è che i colpi furono sparati a bruciapelo, a non più di 3
cm. di distanza: vedi infatti le vistose macchie che circondano, ad esempio, la ferita al braccio
destra o quella sotto il mento (questa con traiettoria dal basso verso l’alto), visibili in molte
foto e poi scomparse quando il cadavere fu preparato, cioè spugnato e ripulito.
Alessiani giustamente non ha risparmiato aspre critiche al modo in cui venne condotta quella
autopsia: qualsiasi esame medico-legale inizia necessariamente da un cadavere non
manomesso, spogliarlo e ripulirlo vuol dire perdere particolari di estrema importanza!
Ma l’autore dell’autopsia, il Prof. Cattabeni, secondo Alessiani, commise anche un altro
gravissimo errore omettendo di indicare nel verbale l’ora di inizio dell’esame necroscopico
rendendo così problematico, fissare con una certa sicurezza e precisione l’ora del decesso. 4
Se un esperto quale il Prof. Cattabeni, aggiunse Alessiani, si comportò in quel modo non è
possibile pensare ad una dimenticanza o al caos del momento, ma alla precisa volontà di
rendere nascoste le effettive modalità della morte di Mussolini!
Ma Alessiani va anche oltre sostenendo che il cadavere di Mussolini venne rivestito e
pertanto, al momento della morte, il Duce si trovava alquanto di deshabillé. 5
2
Per esempio i 4 colpi alla spalla sinistra non distano tra loro che 3 – 4 cm., come i simboli di una carta da gioco
(è però possibile, dalle foto, ipotizzare anche un certo allargamento ovale della rosa). Esperienze di armi
dimostrano però che ad una distanza di soli 30 – 40 cm. dal bersaglio i colpi già si allargano a ventaglio.
3
Infatti non è possibile causare lesioni ad un cadavere in quanto le ecchimosi sono determinate dalla pressione
sanguigna che presuppone un cuore in attività.
4
E’ accertato che l’ora di inizio dell’autopsia dovrebbe risalire alle 7,30 del 30 aprile, giorno di ora legale e
quindi alle 6,30 ora solare. L’ora è comunque riportata sul verbale depositato presso l’Istituto di Medicina
Legale di Milano. Alcune edizioni pubblicate all’epoca non la riportavano. Alessiani non aveva approfondito
la storia della pubblicazione di questo verbale.
Successivamente Alessiani ebbe, comunque, anche ad annotare a proposito di altro verbale trovato presso
l'Istituto di Medicina Legale di Milano dal Prof. Abelli-Riberi: “Reca l'ora dell'autopsia ed il riscontro di sette
fori di proiettile pre-mortali (invece dei nove in altro verbale”). Vedere interessanti notizie e ricerche in
proposito nel sito: http://www.larchivio.com/storia.htm
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Interessante è notare che questi elementi della vestizione del cadavere, Alessiani li ha ricavati
ordinando in modo cronologico le varie foto di piazzale Loreto, grazie al sistema della
meridiana. I longaroni del distributore di benzina erano infatti proiettati sull’asfalto e sul muro
posteriore alla pensilina dalla luce solare.
Attraverso il calcolo matematico degli angoli è stato possibile stabilire i vari orari in cui
vennero scattate le foto.
Dalla loro sequenza è possibile vedere come Mussolini giunse vestito a piazzale Loreto e
come venne man mano spogliato fino al suo arrivo all’obitorio.
Si possono quindi trarre queste osservazioni: Mussolini venne portato a piazzale Loreto con lo
stivale destro aperto sul fianco interno; inoltre dalle prime foto scattate quella mattina si
inquadra perfettamente il braccio destro che in quel momento aveva ancora addosso un
cappotto (certamente non suo perché di foggia giovanile con tanto di manica raglan).
Ebbene quel cappotto non mostra alcun foro mentre le foto successive del braccio nudo
rivelano la presenza di una ferita da arma da fuoco sparata a bruciapelo, colpo questo che
dovrebbe lacerare i vestiti!
Logico quindi dedurne che il cappotto venne fatto indossare ad un cadavere, ma non
solo il cappotto.
Anche lo stivale che, guarda caso, era quello più difficoltoso da calzare dato che il piede
destro non aveva assunto la caratteristica posizione distesa, in seguito alle cicatrici causate
dalle ferite riportate da Mussolini nel corso della prima guerra mondiale, era stato malamente
appoggiato in qualche modo su di un cadavere, forse perché nel tentativo di forzarne l’entrata
in un piede malandato in preda al rigor mortis si era definitivamente rotto.
Non fu dunque la corda della pensilina ad alterarne la chiusura-lampo che, per recepibilità
dell'oggetto nel cimitero di Predappio, manifesta una forzatura manuale nel chiuderlo. Il piede
del Mussolini fu calzato in fase di rigor avanzato ed in atteggiamento anomalo di iperflessione
dorsale o di grande torsione laterale.
Lo stivale destro di Mussolini, invece, restituito ai famigliari e depositato nella bacheca del
sepolcreto di S. Cassiano evidenzia la forzatura della chiusura-lampo nel suo terzo inferiore
dovuta a difficoltà manuale di rivestimento e di calzamento per abnorme posizione del piede
in morte e come tale restata durante l'instaurarsi del rigor. Per il piede sinistro postosi in
naturale estensione, non si verificarono difficoltà ed esitazioni.
Risulta evidente che la chiusura lampo è stata slabbrata nel forzoso tentativo di chiuderla.
Ma anche i pantaloni, le cui foto sembravano mostrare, che non avevano segni di un’altra
ferita, pur indicata al fianco, premortale erano di estremo interesse. 6
Per il dott. Alessiani, dunque, si poteva concludere che vi era stata una vestizione affrettata e
difficoltosa di un corpo evidentemente già rigido e quindi morto da almeno dieci ore.
Altro particolare importante, rilevato da Alessiani: se il corpo era già rigido al momento
della vestizione, in parte non lo era più a piazzale Loreto e forse per nulla all’obitorio:
lo dimostrano alcune foto dell’appendimento (dove le braccia dei cadaveri sono già
rilasciate) ed altre all’obitorio dove i cadaveri di Mussolini e della Petacci vennero messi
addirittura a sedere prima dell’autopsia (fatto impossibile in presenza di rigor mortis).
5
L’ipotesi è molto concreta visto che la notte in cui i prigionieri giunsero a casa De Maria pioveva a dirotto e si
dovette procedere per un tratto accidentato a piedi (Pedro ricorda per quasi un quarto d’ora, forse un tempo
eccessivo). Logico presupporre un togliersi alcuni vestiti.
6
Su questo punto, però, come abbiamo visto, una diversa ipotetica, ma possibile considerazione della traiettoria
del colpo (più alta) ed un controllo fatto sui resti dei pantaloni depositati nella teca del cimitero di S. Cassino,
hanno lasciato un largo margine di dubbio.
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E questo fatto sconfessa anche il verbale necroscopico quando parla di “rigidità
cadaverica risolta alla mandibola, persistente agli arti”. 7
Resta da capire quindi perché Cattabeni non solo abbia fatto ripulire e spogliare il cadavere
prima di esaminarlo, ma abbia anche deliberatamente mentito a proposito dello stato del rigor
mortis, facendo intendere che la sua risoluzione fosse solo all’inizio.
O meglio (afferma ancora Andriola (Appuntamento sul lago, opr. cit.) su le considerazioni di
Alessiani), lo si capisce benissimo: si dovevano occultare, rendere indecifrabili le possibili
prove delle effettive modalità della morte di Mussolini.
Le deduzioni di Aldo Alessiani, pur con le loro forzature (ne riparleremo più avanti),
restano in ogni caso una pietra miliare nel cammino verso la demistificazione della versione
ufficiale e verranno, almeno in parte, confermate dallo studio condotto, anni dopo, con i
sofisticati sistemi della informatica digitalizzata.
Ma Alessiani ci ha lasciato anche un importante documento storico: egli, infatti,
rintracciò la pagina di un giornale dell’epoca, Risorgimento Liberale del 2 maggio 1945 che
riportava un articolo dell’allora cronista Bruno Romani, giornalista, docente universitario di
letteratura francese all'Università di Bari.
Quella cronaca è importante per alcuni riferimenti: la presenza degli americani che durante
l’autopsia scattarono varie foto e cineriprese; la deduzione che la necroscopia iniziò alle 6,30
ora solare (7,30 legale) e terminò con il sole alto nel cielo (il Romani, rintracciato da Aldo
Alessiani nel 1987, indicò le 10,20 circa dell’ora solare), quindi circa 4 ore; una attestata
“...risoluzione cadaverica sia per il ciondolamento del capo del cadavere sia per la
composizione che un sedicente antropologo opera nel porre lunghi ai fianchi... gli arti
superiori del Mussolini...”; “...i nomi degli operatori dei quali solo il Perito Settore è un
medico-legale, gli altri due appartengono a discipline mediche completamente estranee alla
tanatologia forense. Compare anche il nome del tecnico preparatore che asportò con la
spugnatura gli aloni di affumicatura”; infine la certezza che sul cadavere della Petacci non
ci fu autopsia e l’interessante nota che, al termine dell’autopsia di Mussolini “...la salma della
Petacci sta per essere incassata, ma l'averla un ausiliario estratta per le ascelle tanto che la
testa gli poggia sulle ginocchia, manifesta anche qui una avanzata risoluzione del rigor
mortis”.
Tutti particolari questi che fanno pensare che il Cattabeni si rese perfettamente conto di una
diversa tempistica e dinamica di morte del Duce, ma riportò o dovette riportare, un quadro
medico non troppo discosto dalla storica versione.
Ma assieme ad uno studio su la morte di Claretta Petacci ed altri importanti suoi lavori
su la morte del Duce Alessiani, morto purtroppo nel 1999, ci ha lasciato una mirabile
relazione, titolata “Il Teorema del verbale N. 7241”.
E’ uno studio leggermente lungo, forse con qualche inesattezza e forzatura, ma
necessario per intuire quello che veramente accadde a Giulino di Mezzegra.
Lo riportiamo qui, riprendendolo dalle fonti d’informazione, ma non possiamo purtroppo
accludere foto e disegni che invece erano parti esplicative del testo.
Questi documenti sono comunque integralmente visibili nel sito:
“Storia-History”: http://www.larchivio.org/xoom/alessiani.htm
e vengono riportati anche nel sito “Contro Storia”:
http://www.controstoria.it/documenti/autopsia_mussolini.htm
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La rigidità cadaverica si risolve, cioè si allenta fino a scomparire, a cominciare dal capo.
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IL TEOREMA DEL VERBALE N. 7241
l'autopsia Mussolini
di Aldo Alessiani Roma 21 ottobre 1990
Nessuno voglia vedere in queste pagine una finalità contestataria con le versioni esposte
accettate e non, su un evento di sì grossa portata; in esse è racchiusa una metodica che, intesa nella
sintesi di risultanze e apprezzamenti, porta a dei rilievi d'ordine puramente tecnico. Che poi generino
contrasti con quanto narrativamente tramandato è frutto di quel conflitto proprio con il riscontro
periziale laddove questo, autonomo da ogni influenza umana mnemonica, procede per suo conto,
indipendentemente dalla verità testimoniata o dal falso congegnato o dalle confusioni ricordative
generate dal tempo e dalle sovrapposizioni involontarie proprie o di altri.
..... La perizia non si serve di rivelazioni, testimonianze anche se giurate; non ascolta la voce
dell'uomo né legge i suoi scritti pur se per fondata riverenza provengono da fonti indubitabili per cui
il ripudiarli o addirittura porli nel dubbio, appare come blasfema ostinazione; sorge dalla scienza
solo quando essa è libera e in una fede convinta di sé medesima, appunto perché coscientemente e
doverosamente sola nel suo nascere e progredire.
Iniziai la riflessione sulla morte di Benito Mussolini negli anni cinquanta, non certo
pretendendo di giungere alle sue modalità chiaritive; in quel tempo, già medico-giudiziario e
specializzando in medicina-legale, non disponevo che di una sola traccia, limitata alle
successioni tanatologiche (tanatologia: esame del cadavere e delle sue vicende
trasformative), emergenti dalla cospicua iconografia fotografica della mattina del 29/04/1945
quando il suo corpo proveniente da una località comasca era stato deposto in piazzale Loreto a
Milano, quindi sollevato con una corda per i piedi ed appeso sulla traversa metallica, di una
pensilina per carburanti. Data la notorietà del soggetto, il fine non fu altro che quello di una
migliore esposizione per la enorme folla assiepatasi. Ciò che colpì la mia attenzione fu
l'apparire in alcune positive di gore ematiche sugli indumenti intimi e quindi più facilmente
imbibili di sangue, presenti e scomparenti ma costantemente legate per la loro genesi e
dinamica alla gravità.
L'eccezionalità della posizione, a capo all'ingiù, rarissima anche nella esperienza medicolegale, permetteva di risalire al succedersi delle diverse spazialità fatte assumere al corpo
prima e durante la detta esposizione.
In alcune fotografie le gore, ad esempio, avevano proceduto in via verticale nella direzione
delle estremità inferiori, altre, sempre sullo stesso asse delle prime, al rovescio.
Perché avvenisse questo, il determinante era il tempo: con la ventilazione alcune
scomparivano per essiccamento ed ossidazione e non erano più percepibili dalla lastra
fotografica in bianco-nero, altre si manifestavano, come ho detto, in direzione verso il capo
persistendo.
Conseguenze, appunto, di diverse posizioni cadaveriche, ma che essendosi configurate sulla
medesima direttrice, rivelavano che il corpo, prima d'essere appeso per i piedi, era stato
magari per pochi istanti, sostenuto verticalmente, con trazione sotto le ascelle probabilmente o
posto a sedere. Le gore infatti appartenevano principalmente al tessuto di una maglietta di
salute a mezze maniche evidenziatasi a seguito dello spogliamento operato dalla folla durante
l'appendimento, traendo gli indumenti più esterni verso il suolo.
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Benito Mussolini restava alla fine indossando la citata maglietta (detta di salute), mutande di
flanella a polpaccio divaricate nella loro allacciatura, calzoni alla cavallerizza con banda
militare laterale e abbottonati senza contenzione di cinghia o sostegno di bretelle, calze
bianche, stivali. In tal maniera, una volta disappeso, raggiunse l'Istituto di medicina legale di
Milano.
In complesso la sequenza fotografica era di per sé preziosa; se essa aveva sollevato
emotivamente per il suo contenuto orrido intensi sentimenti, sotto il profilo tecnico
manifestavasi vantaggiosa per l'analisi bisognosa di reperti. S'imponeva subito un'indiscutibile
difficoltà: la sistemazione cronologica delle singole unità, ponendole in una utilizzabile
successione.
Già le riferite fasi dello spogliamento indicavano una gradualità intuitiva, empirica, che
poteva anche far dubitare su lacune difficilmente colmabili ai fini interpretativi. La soluzione
fu nell'accorgersi che la pensilina non era stata completamente approntata; mancava della
copertura che, per una struttura del genere, a quell'epoca, non poteva essere se non di lamiera
ondulata o eternit.
Era invece a cielo scoperto pur se centine metalliche poste per il tetto mancante, sostenevano
anteriormente il frontone che sarebbe diventato linea d'apprendimento con un estremo mentre
con l'opposto si insitava in un muro di fondo in calcestruzzo di pari altezza: il sostegno
centrale costituito da due pilastri verticali di cemento, reggeva l'intera costruzione.
Trattandosi di giornata abbastanza assolata, pur se di fine aprile, l'ombra delle centine si
proiettava sul muro assumendo la funzione di una meridiana di fatto e descrivendo tra la
prima fotografia e l'ultima, un settore circolare procedente da sinistra a destra per chi le
guarda.
Inscrivendo in esso settore le ombre intermedie rivelabili dalle restanti fotografie riuscivo ad
ordinarle ed a leggerne migliori elementi di ricerca.
Comparivano in tal modo le prime risultanze; inizialmente il corpo di Mussolini giacque
supinamente sul piano del piazzale, ortogonalmente a quello di Clara Petacci e con la testa
poggiata sul petto di lei.
I due cadaveri furono rimossi per primi tra quelli dei sedici esecutati a Dongo, tutti
originariamente depositati contiguamente, per l'appendimento, dopo essere stati sollevati a
braccia, per una iniziale insufficiente esposizione.
Più tardivamente altri corpi del gruppo seguirono la stessa procedura, ma con alternanze più
dettate dalla curiosità spettacolare che da fondate esigenze.
Il calcolo del settore circolare riferiva che l'appendimento della coppia era iniziato alle
11,20 terminando alle 13,45.
All'obitorio giunsero diciannove cadaveri da colà provenienti, essendosi aggiunto quello di A.
Starace ucciso sul posto.
Diventa subito di massimo interesse l'interpretazione fotografica a cominciar da quella dei
corpi orizzontali ancora non molto manomessi ed in miglior stato conservativo.
Mussolini appare vestito con un cappotto giovanile di foggia raglan chiaro-grigiastro (in foto
bianco-nera), bavero accuratamente accollato e fermato sicuramente da una spilla da balia;
alla vita, una cintola di pari tessuto a fibbia stoffata.
Tale indumento andò disperso.
Sottostante a questo, soltanto una camicia nera (giacca assente. Preciso subito che in
occasione della restituzione alla vedova Rachele Guidi dei suoi resti corporali si
accomunarono ad essi un paio di stivali, calzoni ed una giacca; il tutto è esposto in una
bacheca nell'attuale ambito del sepolcreto nei pressi di Predappio).
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E' decisamente da rifiutare che detta giacca sia del Mussolini o quanto meno indossata da lui
al momento del trapasso. Probabilmente appartiene ad uno degli esecutati di Dongo le cui
salme subirono parimenti spogliazioni durante l'impiccamento; in tal caso essa dovrebbe
recare ancora i segni dei fori d'ingresso dei proiettili in superficie posteriore.
La giacca indossata dal Mussolini durante la Repubblica Sociale era guarnita soltanto di
fiamme al bavero nere con fregi a gladio argentati, quattro bottoni dorati in linea verticale con
impressa l'aquila romana ad ali ripiegate rampante su fascio littorio, altri quattro più piccoli
simili per le tasche laterali sul petto e per quelle più grandi a toppa sui fianchi, sottili bande
rosse circuenti i polsi. Null'altro.
Per il resto: calzoni alla cavallerizza con ampie bande nere con in mezzo riga argentata, senza
passanti per cinghia, falda ventrale alta per tre dita trasverse, non bretelle, stivali di cui il
destro posteriormente aperto fino al calcagno.
Quanto al corpo della Petacci così giungeva a Piazzale Loreto: tailleur scuro (forse marrone) a
grandi quadri ed interamente felpato (tale vestito era già apparso indossato dalla donna in una
nota foto che la raffigurava sotto l'arco di una porta di Villa Fiordaliso sul Garda), camicetta a
rete (grande-tulle) bianca a vasti ricami floreali, chiusa in alto da nastrino scuro a farfalla; per
fondo: seta, parimenti bianca. Calze ben tirate da giarrettiere (presumibilmente bustino).
Le scarpe di numero 35 di foca, scure, a suola ortopedica, con il copricapo realizzato con lo
stesso tessuto del vestito a mo' di bustina militare, rimasero in zona di decesso, notoriamente
tramandateci per rotocalchi.
L'analisi ancora nota per il Mussolini, sempre in positura orizzontale, la chiara
esistenza, sull'occipitale destro (nuca), di ampia lesione stellare a margini cutanei sfrangiati
per colpo d'arma da fuoco, necessariamente perforante quel piano osseo per fuoriuscita di
sostanza cerebrale in caduta sulla citata camicetta ricamata della donna.
Il carattere di siffatta lesione è proprio da arma aderente appunto per l'aspetto stellare dovuto
ai gas d'esplosione interposti tra la pelle ed il piano osseo. L'autopsia lo descriverà come
avvenuto post-mortem; proiettile ritenuto intracranico perché non ravvisabile in uscita sul
capo nelle foto iniziali, sia per direzione tipica o atipica (deviazione intracranica).
Tale colpo d'arma da fuoco è da escludersi come esploso in Piazzale Loreto appunto perché
salvo lo spessore intermedio del corpo femminile sul quale il capo poggia è distante di pochi
centimetri dal suolo; sarebbe stato impossibile presumere un'arma seppur corta, e per giunta
verticalmente, inserita tra il pavimento e l'occipite.
Per contro, tutte le altre lesioni descritte in autopsia sul capo del Mussolini e d'arma da fuoco,
sono di folla.
Ancora in tale frangente, il cadavere di Mussolini fu solo oggetto di dileggio, ponendogli tra
le mani l'asta di un labaro della associazione mutilati ed invalidi di guerra (si era
erroneamente detto che fosse l'insegna della brigata-nera Aldo Resega) ed un giornale che a
mò di cartoccio conteneva delle carote.
Trascinata sotto la pensilina, la salma veniva issata per la prima volta, senza modificazione
del vestiario analizzato, trascinando il labaro ben sostenuto dagli arti superiori ancor rigidi.
I lembi del cappotto si ribaltavano sulle spalle per gravità mentre il furore della plebe stava
per giungere alla esaltazione.
La sistemazione nel tempo orario delle immagini, permetteva così anche di seguire le azioni
della folla; per il corpo di Mussolini la spogliazione, durante l'appendimento e soltanto,
avviene per trazione ovviamente verso il basso;
altrettanto per gli altri appesi (alcuni resteranno addirittura a torso nudo).
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Per la Petacci, no; c'è un relativo rispetto, anzi, immediatamente dopo l'issamento, la gonna
del tailleur, rincalzandosi e scoprendo così le pudende che si disse in nature, fu ricomposta
alla meglio nei suoi lembi.
Manifestavasi altresì l'aprirsi a farfalla dello stivale destro del Mussolini, dal polpaccio alla
caviglia, contrariamente al sinistro, parimenti stretto dalla corda di sostegno, rimasto nella sua
integrità.
In difetto della risaputa autopsia di questi, a me apparsa tardivamente negli anni sessanta, non
potevo fare di più se non, con molta cautela e riserva attingere a quelle successioni delle gore
ematiche riferite e che, se non altro, potevano ormai essere contemplate in sequela.
Un artifizio ausiliario d'accordo e che però quando diventa valido iniziariamente, offre la sua
utilità, specie poi quando comparato con il successivo riscontro autoptico, rivela una certa
fondatezza.
Che le gore ematiche siano importanti è fatto acclarato fino al punto di doverle descrivere in
ogni ispezione tecnica di un cadavere rinvenuto, per dirimere il dubbio di modificate positure
di esso sì da far dubitare l'esistenza di sue manomissioni per fini subdoli o innocenti e
comunque confondenti. In tale stadio, il Magistrato interviene ancor prima di far procedere ad
ulteriori acclaramenti. Nessuna validità probativa dunque al fine di interpretarle
sostitutivamente ad una autopsia; tuttavia, nella specie, si verificò la eccezionalità di così
inusitati cambiamenti volontari e documentati che, come detto, assommano almeno a tre: lo
stare in posizione supina sul selciato dei corpi, quella all'impiedi sebbene temporanea, infine a
testa all'ingiù.
A tutto ciò devesi aggiungere la fortunata combinazione di essere stati fotografati in bianco e
nero e non a colori. Cerco di chiarire: se noi perforiamo un foglio di carta rettangolare ed al
centro con la punta e soltanto di una penna stilografica, facendo da questa fuoriuscire una
goccia d'inchiostro, questa si disporrà, per gravità, lungo la verticalità dal foro verso il basso;
una prima foto recepirà questa fase di linearità modificantesi nei suoi comuni canoni
d'assorbimento. Se ruotiamo il foglio di 180 gradi, una seconda goccia discenderà similmente
in direzione opposta talché sommerà le due immagini in una unica retta. Se però la seconda
goccia discende dopo un certo tempo, tenderà a sbiadire l'effetto della prima; una terza foto
specie se scattata a distanza, impressionerà solo la più recente metà della linea. Comparando
le immagini in tempi diversi realizzate, sapendo trattarsi di liquido unico tracciante,
intuiremo accostando gli estremi in opposizione delle due semirette che necessariamente sono
sorte in una unica fuoriuscita ovvero da quel foro che avevamo ignorato, esattamente
localizzandolo per costruzione sulla base dei due effetti o colà dove l'aveva provocato la punta
della penna, prima dell'intervento fotografico.
Analogamente accade su un tessuto chiaro se macchiatosi verticalmente da sangue; una
fotografia immediata ne fisserà l'immagine se allo stato fresco (umido) nella direzione della
gravità (dal torace ai piedi per esempio); se giriamo il corpo, l'emissione continuerà (dal
torace verso il collo). I due estremi fanno dunque immaginare una sorgente di sangue,
invisibile perché coperta dai tessuti dei vestimenti, quale quella di una lesione sanguinante
d'arma da fuoco, laddove essi si toccano.
Considerando che il corpo umano è diviso in due volumi separati dal diaframma (toraceaddome), le ferite toraciche sanguinano più precocemente essendo per gravità pertinenti del
volume più piccolo; più tardivamente le addominali interessanti il volume più grosso. Ciò ci
servirà nel fine ricostruttivo indiziario delle lesioni d'arma da fuoco nella Petacci per la quale
l'ausilio autoptico non esiste così come una descrizione necroscopica sia pure en passant.
L'artifizio ci sarà di dovere per la suddetta, per raggiungere una indiziarietà ausiliaria nel
contesto di una credibile collateralità nell'evento storico in trattazione. In effetti, se la
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pubblicazione tardiva del verbale d'autopsia di Mussolini, superò di gran lunga l'iniziale e
faticoso mio sforzo concretizzandosi con simile metodica, i miei risultati, dopotutto, furono
validi per ravvisare che la morte di questi era stata provocata da due armi di cui una a colpo
singolo ed una a raffica. Il tutto con disparate direzionalità.
Commisi però l'ingenuo errore di accettare la tesi convenzionale di Villa Belmonte.
In verità i miei limitati risultati, non potevano nella loro misurata precarietà, concedermi
inattese in quanto allora inattendibili estensioni e scoperte.
Ho già specificato come il presente lavoro, per il suo rigore scientifico, si basi solo su tracce
di rilevanza tecnica; circa la prima, la sequenza fotografica di piazzale Loreto, ne ho fatto, per
sommi capi, menzione; quanto alle tracce rimanenti, un cenno fugace: la seconda sequenza
fotografica relativa ai corpi dei disappesi e trasferiti all'Istituto di medicina legale di Milano, il
verbale autoptico ufficiale, il verbale segreto precedente, la relazione aggiuntiva del Medico
Settore, il verbale di ricognizione dei resti mortali di Mussolini redatto da altro Medico
Settore nel 1957 dopo essere stati celati per anni sotto l'altare di una certosa e finalmente
restituiti alla vedova.
Per le fotografie della seconda serie (Ist. medicina-legale) e di importanza determinante, ne
farò studio particolare. Al momento soffermiamoci sul verbale autoptico ufficiale e di cui ebbi
conoscenza tardivamente (1965).
Porta il numero 7241; la data quella del 30/04/45. Inizia con l'usuale preambolo: la salma è
distesa sul tavolo anatomico, il riconoscimento per la notorietà del soggetto, facilissimo. Le
vicende traumatiche (che appartengono agli istinti emersi in piazzale Loreto) avevano
profondamente trasformato la struttura cranica per precipitazione, colpi d'arma da fuoco,
talché la stessa misura corporea risultò approssimativa (167 cm circa); il peso 72 Kg.
Il volto presentava contusioni, l'occhio sinistro enucleato e privo del suo umore interno.
Più interessante la riferita rigidità risolta alla mandibola e persistente agli arti; assenza di
macchia putrefattiva sull'addome (la manifestazione trasformativa che è in corrispondenza
della regione appendicolare).
Segue la descrizione delle lesioni pre-mortali e post-mortali: tutte d'arma da fuoco.
Un lungo verbale, quasi puntiglioso sia per l'esterno che l'interno del cadavere; un referto tale
che presuppone una autopsia laboriosa che ad occhio e croce, tra l'inizio, la fine, la
ricomposizione e cucitura (spagatura) della grande falla giugulo-pubica, richiede un tempo di
almeno tre ore se espletata senza pause.
Il Medico Settore, allora aiuto del titolare dell'Istituto Universitario, descrive la salma del
Mussolini come "preparata" sul tavolo anatomico. L'occhio del profano scorrerebbe lo scritto
senza soffermarvisi.
Ho già puntualizzato che l'operatore-settore, prima dell'intervento, dovrebbe descrivere il
cadavere così come gli si presenta, lordo, ignudo, vestito, scomposto; elementi preziosi
potrebbero esistere in una muta narrazione di vicissitudini emergenti per tempi, luoghi,
modalità, azioni, occasionalità, corrispondenze particolarmente esistenti o non con quel che si
constaterà in fase settoria (artefatti simulanti o dissimulanti). Le gore ematiche appartengono
a tale fase (manomissioni, spostamenti , posizioni); l'ho già detto.
Non farlo ed agire su una salma già preparata vuol dire aver commesso una grave
incompletezza per nulla giovevole ai fini della indagine più importante: la modalità della
morte e le sue modalità.
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CAPITOLO 7 STUDI E PERIZIE
CRITICA AD UNA “NECROSCOPIA D’ECCEZIONE”
Il Medico Settore invece si trovò accanto a quel morto solo quando i tecnici-preparatori oltre
a denudare il cadavere lo avevano lavato (spugnatura) componendolo sul tavolo anatomico;
erano così eliminate note di raro valore degne di doverose osservazioni e riflessioni.
Ma con la pubblicazione universitaria del successivo agosto (curiosamente apparsa in una
miscellanea di clinica chirurgica), il Medico Settore volle rincalzare che l'autopsia era stata
più che bastevole per testimoniare l'esecuzione avvenuta e narrata nella conferma delle
rivelazioni fatte a pubblico dominio.
In altri termini una puntualizzazione non essendosi inizialmente espresso in un supporto
tecnico confermante.
Sorvolò però su l'ora di detta esecuzione così come aveva fatto quattro mesi prima omettendo
l'ora d'inizio dell'autopsia nel preambolo tecnico del verbale 7241; infine dimentica uno dei
nove colpi d'arma da fuoco pre-mortali (quello al fianco destro) e che aveva tecnicamente
descritto.
La mancanza di orario dell'inizio autoptico viene così a rendere non possibile, attraverso i
segni consecutivi della morte (abbassamento della temperatura nella specie impossibile nel
riscontro, rigidità e rilasciamento) che preludono alla trasformazione colliquativa e
putrefattiva.
Si poteva fare un accenno, per una migliore puntualizzazione alle macchie da stasi colorativa
(ipostasi) altro fenomeno consecutivo che nella loro fissità nelle parti corporee a contatto con
le superfici corporee dovevano pur esserci e stabili dopo la quindicesima ora dal decesso. Non
apprezzamento nel merito.
La limitazione ci obbliga, con il rilasciamento denunciato della mandibola e solo a questa
poiché il rigor viene ad essere dichiarato persistente agli arti (si tace ad esempio per il collo
prima di pensare a quelli), ad ammettere che unicamente questo è l'unico fenomeno di
risoluzione (rilasciamento) essendosi completata la fase primitiva della contrazione rigida per
tutto il corpo.
Esiste una subordinazione naturale tra la rigidità e la risoluzione; la seconda interviene
quando la prima ha compiuto sé medesima ed in modo costante e schematico. Tuttavia c'è una
identità di procedura: l'una e l'altra iniziano dai muscoli del capo, pervadendo quelli del collo,
del dorso, degli arti superiori, inferiori, piedi.
Segni approssimativi e non categorici, spesso infidi; più ad esempio la muscolarità del
deceduto è rappresentata e più è la tenacità della contrazione; più la morte è repentina, più
essa è precoce. Per converso meno la muscolarità è concreta (senilità, defedamento, fetalità)
più tardi compare e prima scompare; il freddo la fa persistere mentre il caldo e l'ambiente
umido, l'accellerano.
L'esattezza di rilievo cronologico deduttiva della morte, è impossibile; tuttavia se è conosciuta
la data del decesso perché certa l'esistenza in vita nel giorno innanzi, è maggiormente
configurabile l'ipotesi oraria retrograda.
Risultando che il Mussolini in data 27/4/45 era certamente vivo e che la macchia putrefattiva
era assente sull'addome viene a concretizzarsi un tempo grosso modo un calcolo, per eccesso,
compreso tra la mezzanotte del 27 e l'ora di inizio della autopsia nella sola successione (non
essendoci altri dati) di rigidità-rilasciamento muscolare.
Poiché l'autopsia con certezza appartiene al mattino del lunedì 30/4/45 (più il
tempo intercorrente tra il decesso e l'autopsia è breve, più la precisabilità retrograda ha
fondatezza), ne consegue che tra la mezzanotte del 27 ed il mezzogiorno del 30
(arrotondamento sempre per eccesso), intercorrono 60 ore (sabato 28 aprile morte -
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CAPITOLO 7 STUDI E PERIZIE
CRITICA AD UNA “NECROSCOPIA D’ECCEZIONE”
domenica 29 Piazzale Loreto - lunedì 30 autopsia, nella espressione 24+24+12 che è nei
limiti volutamente massimi d'orario).
I parametri odierni accettati per la durata della rigidità cadaverica, vanno da un
minimo di 36 ore alle 48 (il più usuale è il secondo); quanto alla risoluzione quello di 72
(sempre dalla morte) come limite estremo.
Se il Mussolini fosse morto alle 16,20 del 28/4/45 così come asserito, in realtà (su
parametro 48) alle 16,20 del lunedì sarebbe stato ancora in rigidità; quindi il
rilevamento della mandibola rilasciata, già anticipa di molte ore la fase totale di quella.
Dunque qui il parametro 48 ore, schematicamente, è da abbandonarsi.
Vediamo con l'altro di 36: sempre partendo dalle 16,20 del sabato, il compimento del
rigor s'accosterebbe alle 4,30 del lunedì, dopodichè il tempo restante è di risoluzione.
Concediamo ad occhio e croce un paio d'ore per il rilasciamento della mandibola, ne
viene che l'autopsia è stata iniziata alle 6,30 del lunedì 30.
E' merito eccezionale del Prof. Sergio Abelli-Riberi di Torino aver scoperto presso
l'Istituto di Medicina-legale di Milano un altro verbale, non ufficiale e con tutta
presumibilità precedente a quello di pubblico dominio. Il numero del verbale è lo stesso;
varia nel testo, dopo il solito preambolo di dovere, la descrizione del cervello, assente
nell'altro. L'importante è che reca l'ora autoptica: 7,30.
Considerando che in data 30/04/45 sussisteva l'ora legale, in realtà l'operazione settoria
cominciò alle 6,30 solari. Se così, il Medico Settore avrebbe assunto il parametro 36 e la
morte alle 16,20 del sabato 28 diviene, medico-legalmente assumibile.
Ma allora, perché tacere l'ora autoptica sul verbale ufficiale se tutto era chiaro e
legittimava le narrazioni pubblicizzate?
Possibile una distrazione omettente in un verbale di siffatta importanza 'storica' e redatto in un
istituto universitario di livello quale quello medico-legale di Milano? Caso mai era il secondo
verbale a dover essere perfetto; si può ammettere una lacuna nel primo, ma quello è diverso
pure nel contenuto.
Per quell'epoca, in verità, il termine di 48 ore era il più universalmente accettato; altri,
più brevi, potevano ingenerare problematiche disagianti; uno scrupolo eccessivo che lo si
doveva correggere abbreviandolo, concedendo alla risoluzione (molto più estesa e non
celabile alle molte testimonianze in sala anatomica) un effetto minimo ovvero la rigidità
risolta alla mandibola e soltanto.
Si realizzava così un parametro '48' monco di ben otto ore ma se, in tali condizioni, si
fosse messa l'ora autoptica, la morte di Mussolini non sarebbe stata più alle 16,20 del
28/04/45 ma alle 8,20.
Che cosa stava accadendo?
Passiamo ora alla seconda serie fotografica: quella in cui i disappesi sono allineati supini sul
piano di un corridoio in detto istituto. Tale depositazione atipica fu dovuta alle circostanze; i
vani sotterranei dell'edificio erano già stracolmi di cadaveri; fu una necessità di spazio
sistemarli colà.
Due foto, indubbiamente scattate ravvicinate, mostrano i corpi della Petacci e del
Mussolini, strettamente affiancati; per dileggio vengono posti a sedere con le spalle al
muro; il capo di lui è sorretto dalla mano di un uomo perché ciondola ed il braccio
sinistro circuisce il destro di lei in galante sostegno.
Malgrado la stretta sequenza, l'angolazione delle due braccia, cambia spontaneamente per
gravità. Una cosa è certa: le due foto, essendo il cadavere del Mussolini, seppur parzialmente,
ancora vestito, sono precedenti alle 6,30 del 30/04/45 ora autoptica; non si può fare una
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CAPITOLO 7 STUDI E PERIZIE
CRITICA AD UNA “NECROSCOPIA D’ECCEZIONE”
autopsia su un cadavere vestito né nella specie fu rivestito perché, come dissi, gli indumenti
indossati visibili (i calzoni soprattutto) vennero restituiti alla vedova Guidi.
Pur non sapendo se le due foto appartengono al pomeriggio del 29 o alle prime ore del 30 la
loro dimostratività è incontrovertibile: la rigidità prima delle 6,30 del 30/04/45 era
pienamente risolta per il collo, per i muscoli del dorso e quanto meno per gli arti superiori
altrimenti non si sarebbero potuti realizzare siffatti lugubri atteggiamenti. 8
Non dunque una risoluzione iniziale limitata alla mandibola, ma di molto avanzata;
quasi totale se non totale. Con il parametro '48' quelle immagini avrebbero potuto
concretizzarsi nel martedì (primo maggio) ovvero circa 24 ore dopo il seppellimento. Un
rilasciamento consimile, indica un lasso di tempo di dodici-tredici ore almeno dopo la
rigidità esitata; dobbiamo allora ripiegare sul parametro '36' (rigidità corta) più tredici,
uguale a 49.
Se l'autopsia è delle 6,30 del lunedì 30/04/45 la morte deve necessariamente risalire all'incirca
alle 5,30 del sabato 28/04/45. Rigor mortis in tal caso immediatamente sopraggiunto come nei
decessi per causa-violenta ed in stato di fatica fisio-psichica configurandosi nei supremi
momenti quasi in una statuarietà degli ultimi spasimi e gesti (rigidità catalettica).
Né le vicende di linciaggio possono avere influito a mio parere in una accelerazione
risolutiva; dopo lo spogliamento del cappotto e della camicia nera per trazione verso il basso,
gli arti superiori potevano evidenziare una angolazione maggiore che non nell'iniziale
appendimento quando quegli indumenti erano indossati. Siffatta modificazione subordinata
alla indagine specifica, risulta molto modesta; per i muscoli del tronco poi, ogni concausalità
esterna è da scartare. Le stesse articolazioni dei gomiti, nelle due fotografie citate,
indubbiamente manifestano una escursività di completezza.
Mettiamoci nei panni del Medico Settore: se avesse denunciato l'effettivo orario delle 7,30
(alias 6,30 ora solare), la seppure iniziale risoluzione della mandibola avrebbe condotto ad un
calcolo retrogrado di 48 ore di rigor più, quanto meno, un'altra ora per il rilasciamento: totale
49. Il decesso (già lo dissi) si riconduce alle 6,30; ecco perché sorvola sul trattar dell'ora della
morte anche nella monografia illustrata dell'agosto '45. Resta tuttavia una carenza non veniale
per un medico-legale il non esprimersi sull'ora del decesso quantunque presuntiva; volerne
giustificare l'omissione diventa tentativo non onesto di facilissima identificazione
intenzionale.
Sul capo sono descritte contusioni: penso che si sia trattato di lapsus poiché tali lesioni
sono vitali. Si dovrebbe pensare a colpi inferti da altri che si oppongono alla soluzione del
Medico Setore dell'agosto 1945 improntata a una dimostrazione di indubitabile esecuzione
capitale nel pieno rispetto delle modalità di tradizionale osservanza (concetto di evento
puramente legittimistico).
D'altra parte il capo del Mussolini gli si presentava come di più inusitatamente traumatizzato
fino allo sconvolgimento dei tratti e delle strutture per poter ancora ravvisare su di quello
segni così minori.
L'interesse maggiore appartiene per questa autopsia per i colpi d'arma da fuoco in vita
caratterizzati dall'orletto contusivo-emorragico attorno al foro d'entrata.
8
Queste considerazioni di Alessiani circa un probabile stato di rilassamento dei cadaveri mostrato dalle foto, pur
teoricamente corrette, restano pur sempre ipotetiche per la natura del riscontro prevalentemente fotografico.
Inoltre, almeno il ciondolamento della testa del Duce potrebbe anche essere provocato da una frattura traumatica
della colonna cervicale. Frattura che forse dovette verificarsi quando il Duce venne disappeso dalla pensilina di
Piazza Loreto facendolo precipitare al suolo. Le foto di Mussolini e la Petacci, posti quasi seduti ed il Duce con
il capo e gli arti ciondolanti, sono comunque un documento eccezionale, che come lo si voglia considerare, pone
una seria contestazione alla versione di una morte di costoro alle 16,10 del 28 aprile (n.d.r.).
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CAPITOLO 7 STUDI E PERIZIE
CRITICA AD UNA “NECROSCOPIA D’ECCEZIONE”
Sono nove:
uno sul fianco destro come ingresso, sopra l'osso iliaco e che fuoriesce dalla parte superoesterna del gluteo omolaterale, in modo tangenziale assumendo su sagoma umana verticale,
un angolo di 45 gradi.
Un altro sul margine esterno dell'avambraccio destro esitando (si tenga presente che tutto ciò
è descritto su cadavere orizzontale, supino, ed in posizione di attenti) più in basso, all'interno,
con breve percorso, senza ledere l'impalcatura ossea. L'angolazione di questo è minima, una
ventina di gradi se non meno: un percorso non tangenziale per una inezia.
Terzo colpo è quello che trafigge la limitata carnosità superiore alla clavicola destra con
risparmio di essa: 180 gradi su sagoma eretta.
Quarto è quello sotto la parte destra del mento e sul piano compreso tra mento e gola con
direttrice dal basso verso l'alto; qui il proiettile non ha un esito esterno come era da attendersi
per la volta cranica (intatta nelle prime foto antecedenti all'issamento) ed è necessariamente
ritenuto dalla base cranica (polifratturata nell'esame dei resti). Novanta gradi perfetti su
sagoma eretta.
Quinto in entrata sul margine destro dello sterno, alto (secondo spazio intercostale); ha un
percorso obliquo perché esce nella regione del dorso verso la scapola destra: 45 gradi sul
piano intra-toracico. Sarà il responsabile della rottura aortica.
Sulla spalla sinistra, verso il limite esterno, un complesso di quattro colpi d'arma da fuoco
molto ravvicinati tanto da rammentare un quattro di quadri coricato: 180 gradi sul piano
intratoracico per fuoriuscita sul dorso abbastanza in linea.
Post-mortale invece è quello dell'occipitale destro di cui ho già parlato per averlo riscontrato
fotograficamente; è descritto come tale in autopsia. Il Medico Settore precisa nella stessa
regione, ben due colpi ravvicinati post-mortali.
In conclusione: eccezion fatta per i colpi alla nuca, quelli pre-mortali manifestano una chiara
polispazialità per angolazioni che testimoniano una chiarissima poli-spazialità per angolazioni
da inclinazioni diverse per armi sparanti come se il bersaglio fosse estremamente mobile in
tempi successivi brevissimi.
Abbiamo così il quadro: cinque colpi isolati tra di loro in polidirezionalità nell'emisoma
destro e quattro nell'emisoma sinistro ravvicinatissimi tra di loro peculiari di un'arma a raffica
molto a contatto del bersaglio per l'area ristretta realizzatasi.
Mobilità del bersaglio se questo è rappresentato da un uomo all'impiedi o mobilità comune del
leso e del feritore in fase di colluttazione per sottrazione del leso alla intenzionalità del
feritore (morte del non consenziente).
Il colpo sotto il mento, in piena verticalità di tramite, esclude il bersaglio all'impiedi, quello al
fianco, che simula addirittura un colpo sparato dall'alto, una orizzontalità dell'arma.
La soluzione è quella di una colluttazione con tentativo di disarmo del soccombente, iniziale.
Ricostruendo così la dinamica: il colpo al fianco è conseguenza di disarmo di mano
impugnante una pistola e con torsione verso il basso ed allontanamento verso l'esterno; una
immagine non nuova per la medicina legale; segue la caduta a terra dei due per trascinamento
da parte del soccombente che si trova vis-à-vis con l'aggressore. Nella caduta, il sottostante,
istintivamente estende il braccio destro, forse in cerca d'appoggio, abbandonando la presa
dell'arma con la mano destra che si rinnova con la sinistra al fine di evitare che la mano
dell'aggressore porti l'arma verso gli organi vitali del corpo; anche qui allontanamento forzato
e parte il secondo colpo sul braccio esteso e lungo di esso in tangenzialità.
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CAPITOLO 7 STUDI E PERIZIE
CRITICA AD UNA “NECROSCOPIA D’ECCEZIONE”
L'opposizione del soccombente comincia a cedere senza però cessare; l'arma si sposta sulla
regione sopraclaveare di destra sparando, quindi più al centro del corpo, sotto il mento, ed è
ancora fuoco; la pallottola incontrerà la dura resistenza della spessa base cranica dopo aver
perforato il palato, determinandone la polifratturazione.
Il soccombente cede ma resta ancora sul polso dello sparatore che, con ultima angolazione
obbligata, fa partire l'ultimo colpo, quello sulla parasternale destra con probabile deviazione
verso la scapola sinistra del proiettile da resistenza ossea costale o vertebrale.
Se osserviamo siffatta serie di tre colpi, sull'avambraccio destro esteso in alto, quello sulla
zona sopraclaveare destra come il quarto sotto il mento, vengono comunemente a trovarsi tutti
alla stessa altezza e su una comune linearità.
Quello sulla parasternale è strettamente zonale perché a cinque dita trasverse sotto il quarto.
Quanto ai colpi della spalla sinistra così contemplabili nella loro minima area sono senz'altro
di raffica a bruciapelo; è caratteristica delle mitragliette la distanzialità dei loro effetti già nel
modesto allontanarsi del bersaglio.
Potrebbero essere stati esplosi da persona intervenuta a dar manforte allo sparatore di pistola e
che per non colpirlo ha indirizzato la raffica sulla spalla sinistra del soccombente, unica
regione di questi, ancora scoperta durante la colluttazione oppure per altre contingenze che
fanno presupporre nella fattispecie la presenza e l'intervento di una quarta persona (C.
Petacci), ragione volontaria o involontaria deviante l'arma in eccentricità. Tornerò su tale
ultimo tema (l'unico improntato a probabilistica per carenza di rilievi di certezza)
considerando la morte della Petacci nella contemporaneità dell'azione illustrata.
Da quanto detto viene implicitamente a sussistere la dinamica dei colpi esplosi quasi a
contatto se non addirittura; con la ricostruzione per dinamizzazione dell'evento
necessariamente sorge tale risultanza.
Fermarsi solo sull'apprezzamento della polispazialità dei colpi d'arma da fuoco inferti al
Mussolini e dunque non confortanti una esecuzione capitale è ingiusto verso di me e
quest'opera; andiamo dunque ad indagare altre componenti dimostrative: le più importanti.
Qui, per l'epoca recente in cui avvenne il fatto in esame, le armi erano con cariche deflagranti
a polveri cosiddette bianche (ovvero con ridotto carattere ustionante e affumicante a
differenza delle antiche nere); la vicinanza dello sparo determina per le bianche un miglior
schematismo didattico una volta raggiunto il bersaglio: foro d'ingresso con intorno ustione e
contusione da gas (3-5 cm), affumicatura (fino a 10 cm), tatuaggio sulla cute da particelle
incombuste di polvere (fino a 30-40 cm); il tutto attorno a quel foro escoriato-emorragico in
una congerie grossolanamente concentrica. Nell'autopsia citata nulla viene riferito e
verbalizzato oltre ai fori di entrata dei proiettili e la loro caratteristica pre-mortale (alone
escoriativo-emorragico) che è l'unica indipendente dalle distanze del colpo esploso; l'alone
detto può costituire un anello di 3-7 millimetri e resta sempre riscontrabile perché non
asportabile meccanicamente o chimicamente.
Cancellabile è invece l'affumicatura, concentrica al foro come l'alone ma più volubile a causa
delle distanze; volubilità determinata dalla combustività delle polveri (oggi ancora più povere
di scorie affumicanti del 1945) anche; indelebili invece le particelle incombuste penetranti
nella cute (o tessuti d'indumenti) e responsabili di un tatuaggio fatto misto all'alone di
affumicatura asportabile con una spugna inumidita. Ma anche il tatuaggio è subordinato alla
modernità dell'esplosivo ed alle sue fecce superstiti.
La preparazione di un cadavere prima di deporlo sul tavolo settorio è competenza di
manovalanza tecnica non medica come lo spogliarlo e il lavarlo sia pure con acqua
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CAPITOLO 7 STUDI E PERIZIE
CRITICA AD UNA “NECROSCOPIA D’ECCEZIONE”
fredda; questo atto non è per idrante ma di solito per spugna che con facilità rimuove
tracce labili compresa l'affumicatura di colpo d'arma da fuoco.
Ecco perché l'ispezione attenta del corpo prima dell'autopsia è di attenta competenza sia
per il suo vestire, nudità, atteggiamenti, residui ambientali, gore ematiche nella
eventualità di manomissioni, spostamenti occasionali o intenzionali.
Soltanto la preziosità della sequenza fotografica di Piazzale Loreto, quando ancora non insiste
demolitivamente sulle salme appese, ci rileva che in topografica corrispondenza delle lesioni
pre-mortali autoptiche sugli indumenti, non esistono (manica destra del cappotto, spalla destra
del medesimo, parte alta dei calzoni) altrettante sdruciture più o meno a lembo che avrebbero
dovuto accompagnarsi alla penetrazione di proiettili esplosi a distanza o con queste con segni
di affumicatura o di bruciatura con squarci e lacerazioni per i colpi ravvicinatissimi.
Nei colpi ravvicinati per gli indumenti specie se di consistenza come nei cappotti, le
alterazioni sono vistose per bruciature a coccarda o a raggiera a margini carbonizzati,
per squarci da pressione gassosa interpostasi tra il corpo e l'indumento (l'uscita dei gas
dalla canna durante lo sparo determinano pressioni altissime considerate in più
centinaia d'atmosfere).
Nella specie, tutto ci fa pensare ad un rivestimento del cadavere.
Possiamo anche definire tale evento, dettato da una instaurata rigidità cadaverica e
contemporaneo al calzare degli stivali di cui uno, per abnorme atteggiamento del piede, non
chiudibile posteriormente e recante i segni del forzamento perché non restasse aperto (in
bacheca della cripta cimiteriale). Su tale premessa possiamo fare pure un calcolo
approssimativo attenendoci ad un orario minimo post-mortem di sette ore per il rigor
comprendente la sua discesa verso gli arti inferiori: il rivestimento, considerando la morte
intorno alle 5,30 del 28/04/45 non poteva essere realizzato se non dopo le 12,30 di quel
giorno.
Come si vede, anche qui ho scelto valori di massimo rigore per la riduzione delle oscillabilità
d'errore, sottraendomi per quel che ho potuto alle approssimazioni onde evitare impugnazioni
e contestazioni qualora avessi usato labilità più elastiche ma pur sempre rientranti in confini
ineccepibili perché scientificamente accettabili.
Abbiamo osservato come i limiti perforativi intrasomatici di un proiettile, si accompagnino
oltre all'alone escoriativo emorragico, all'ustione, al tatuaggio, all'affumicatura ecc. e che essi
possono consociarsi a seconda delle circostanze dinamiche; ma tutti questi elementi hanno
ancora un altro comune comportamento laddove l'arma ha colpito molto da vicino (sempre
questione di centimetri).
Così a canna perpendicolare, sia l'alone escoriativo, l'ustione, il tatuaggio e soprattutto
l'affumicatura, saranno in immagine concentrica rotonda; quando l'arma è in inclinazione,
l'immagine assumerà figure a cul de sac (piriformi) e dunque eccentriche.
Ciò è visibile nella serie fotografica seconda (quella obitoriale) per il colpo al mento (arma
perpendicolare al piano) rotondo come una grossa moneta per alone d'affumicatura, piriforme
(con il cul de sac verso il palmo della mano) quello sull'avambraccio destro per arma
tangenziale, quasi longitudinale all'arto, in retro-rotazione per caduta a terra.
Gli stessi aloni escoriativi senza tali concomitanti segni perché il colpo fu sparato a distanza,
nella loro ridottissima rilevabilità, ubbidiscono agli stessi canoni di pura formulazione fisica.
Resta di estrema intuibilità che se l'alone d'affumicatura è rintracciabile su cute, essa non
poteva essere coperta da indumenti che avrebbero interferito l'effetto del colpo ravvicinato in
una intercettazione quasi totale per consimili concomitanze. E' implicito che per Mussolini, o
l'alone di affumicatura pertinente alle lesioni premortali (e dunque inferte a bruciapelo o
quasi) non esisteva e non poteva essere descritto in verbalizzazione o se non verbalizzato
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CAPITOLO 7 STUDI E PERIZIE
CRITICA AD UNA “NECROSCOPIA D’ECCEZIONE”
perché non più ravvisabile; non esiste la descrizione dello status del cadavere quale ispezione
pre-autoptica, che avrebbe dovuto descrivere anche i vestimenti nelle loro alterazioni tissutali
(basti pensare all'avambraccio destro già citato e che trapassato in entrata ed uscita avrebbe
dovuto evidenziare macroscopicamente e senza dubbi, sulla manica del cappotto
topograficamente corrispondente, particolari segni se non altro per la ristretta area tissutale
compromessa). La ravvisabilità dell'alone d'affumicatura (detto anche comunemente nerofumo), nelle fotografie pre-autoptiche converge in un tutt'uno la dinamizzazione dell'evento
colluttatorio in soggetto praticamente in nudità con la integralità degli indumenti usati per una
vestizione post-mortale difficile ed affrettata dettata da circostanzialità inattese ed
imprevedibli. Discutiamo ora sul cadavere della Petacci; certamente non fu sottoposto ad
autopsia e l'inumazione avvenne con indosso il vestito con il quale la vediamo ancora
attaccata al frontone metallico della pensilina.
La concordanza degli atteggiamenti per rigidità, prima e durante l'appendimento nonché nelle
due foto della seconda serie (Ist. med. legale) la cui importanza è determinante (cadaveri
seduti affiancati in posa di sottobraccio) è piena per i detti fenomeni consecutivi.
Possiamo non aver caso mai certezza se la donna e l'uomo morirono nella stessa località o
luogo, ma la fenomenologia post-mortale ha una grossa indiziarietà per contemporaneità di
decessi (quindi anche per la Petacci lo stesso canone di parametro "36").
Si riaffaccia così l'importanza di quegli artifizi iniziali (necroscopia indiretta d'accostamento)
che già avevo elaborato in carenza della autopsia documentata del Mussolini; in posizione
supina sul Piazzale Loreto, non appaiono (appunto perché non configuratasi la gravità
direzionale nell'appendimento) quelle macchie ematiche sugli indumenti intense, che più
tardivamente s'esprimono in diverse successioni (salvo una sottascellare destra di
difficilissima decifrazione); supinamente, il sangue s'era convogliato per stazionalità verso le
parti declivi interne del corpo (torace e addome lungo la colonna vertebrale).
Nell'appendimento, anche qui, manifestatasi una stria ematica verticale che dalla parte alta
del torace scorre verso la cintola (vomica uscente da foro di arma da fuoco esistente grosso
modo sulla parete anteriore dell'emitorace sinistro alto, dovuta ad un primo sollevamento del
cadavere preso sotto le ascelle ai fini di mostrarlo alla folla); nei tempi successivi le foto in
bianco-nero non la recepiscono più perché essiccatasi e ossidatasi; per contro percepiscono
(per la posizione a testa all'ingiù) la nuova direzione contraria della stria medesima (torace
sin.-base del collo) e che perdurerà fino al disappendimento.
Nell'ausilio di altra fotografia in cui vedesi il corpo della donna nuovamente supino su altro
punto del piazzale e sottoposto a lavaggio con idrante e che rivela (il corpetto stavolta è aperto
e mostra il piano toracico anteriore) foro d'arma da fuoco sul terzo spazio intercostale in
parasternale, la prima intuizione trova rafforzamento per constatazione. Impossibile però
pronunziarsi se si tratti di foro d'entrata o d'uscita. Avanzando nelle sequenze
dell'appendimento, compare più tardi una gora ematica che si diparte stavolta dalla parte bassa
dell'emitorace destro (quattro dita trasverse sotto il foro citato ma dall'altra parte in linea
medioclaveare).
La ritardata apparizione di tale segno sta per sottostante verosimile foro sub-diaframmatico e
dunque già in settore cavitario addominale per cui il sangue necessitò di un maggior tempo di
stravaso interno prima di raggiungere verso l'esterno, siffatto emissario. Se dovessimo per
dette due lesioni periziare con diagnosi anatomo-patologica (anche qui non si può dire se
colpo d'entrata o uscita) avremo: il primo colpo d'arma da fuoco ha colpito il cuore nella sua
metà atrio-ventricolare sinistra, mentre il secondo ha trapassato il fegato e colon trasverso.
202
CAPITOLO 7 STUDI E PERIZIE
CRITICA AD UNA “NECROSCOPIA D’ECCEZIONE”
Dopo la riesumazione dal Mussocco di Milano (i dati anagrafici erano stati cambiati in quelli
di Rita Colfosco) per il trasporto a Roma dei resti, mi si disse dai legali della famiglia Petacci
che era stato tra essi trovato un proiettile di pistola cal. 9 e notata l'infrazione della clavicola
(forse destra).
Astrazion fatta per quest'ultima nella incompetenza dei profani, la repertazione del proiettile
sembra più interessante e credibile. Comunque, ripeto ancora, quanto esposto è un
tentativo per sole finalità indiziarie e sul quale, per mia compostezza professionale, non
pretendo il valore di fondatezza.
Tuttavia riprendo la ricomposizione dell'evento letale accomunando stavolta l'uomo alla
donna (cosa che non avevo fatto prima escludendola) nell'intuitività probabilistica.
Innanzitutto i quattro colpi di mitra sulla spalla sinistra del Mussolini appaiono troppo
decentrati circa quelli che ho 'costruito' sul corpo della Petacci, apparentemente due e
toracici. Perché due soltanto? Forse si era avuta la sensazione della immediata morte della
donna con due soli colpi, oppure al momento, pur nella intenzione di sparargliene altri, era
terminata nell'arma la dotazione delle cartucce nel caricatore.
Siamo nel 1945 e l'Italia abbonda d'armi d'ogni genere, ma la pistola più diffusa ed ambita è la
Beretta Cal. 9 corto, modello 1934; il suo serbatoio contiene sette pallottole. Se sommiamo i
cinque colpi di pistola pel Mussolini con i due per la Petacci, ci siamo; la stessa persona e con
la stessa arma colpisce lui e lei.
Se la donna, durante la mortale colluttazione del Mussolini con il suo uccisore fosse rimasta
presente ed immota, era immaginandola tale soltanto se trattenuta fisicamente per non farla
intervenire, da altri (non escluso da colui armato di mitra). Ammettendo invece una sua
disperata temperalmente generosa partecipazione, sarebbesi aggiunta ai due colluttanti,
stendendosi obliquamente sui due corpi e con la spalla destra quasi sulla sinistra del
Mussolini, unico spazio corporeo scoperto di lui, mentre con la mano destra aiuta quella del
compagno in un tentativo comune, di portare o tenere all'esterno del bersaglio vitale, quella
pistola che tendeva, come abbiamo visto, a centrarsi sempre più minacciosamente, a centrarsi
su parti ben più vitali che non l'avambraccio destro e la regione carnosa sopraclaveare di quel
lato in direzione sottomentoniera.
In tale posizione, la donna presenta al mitra le spalle, che la punta quasi a contatto; ma essa si
pone di quarto improvvisamente, forse sul fianco destro e la canna viene deviata mentre la
raffica concentra il fuoco sull'estremo della spalla dell'altro morituro, mentre con due colpi, lo
sparatore con pistola, trovatosi in posizione interposta tra l'uomo e la donna, colpisce questa
dal basso (verso cioè la superficie anteriore del torace che lo sovrasta) verso l'alto, ovvero in
uscita al dorso. Altre soluzioni appaiono meno logiche e meno inquadrabili nei momenti
relativamente brevi (5-8 min. al massimo) necessari per siffatto accadimento. Se tutto ciò è
negli estremi del probabile, nel quadro della disamina e della ricerca, nel dialogo critico di
tutti se in buona fede, così come lo sono stato io con me stesso.
Questo lavoro è alla fine; porta alla conclusione della pensabilità di un evento tutto diverso da
quanto e come lo si è voluto esporre. Se ha centrato la verità, almeno nelle sue più essenziali
tessere di paziente e faticoso mosaico che ha esagito attese, umiliazioni, delusioni, serva alla
Storia quando e come essa vorrà.
Indubbiamente qualcosa da tenere assolutamente nascosto in quella notte del 28/04/45
in una casa non lontana dal lago di Como, accadde; seguì il tutto una trista scia di morti.
Si fece moltissimo per far sì che tutto rendesse verosimile una esecuzione capitale, per
tacere che qualcosa di non convenientemente raccontabile, forse improvviso o
addirittura inatteso, perché non voluto, era purtroppo avvenuto.
203
CAPITOLO 7 STUDI E PERIZIE
CRITICA AD UNA “NECROSCOPIA D’ECCEZIONE”
Non sta a me medico, pensare alle circostanze causali; senza dubbio prima di uccidere ci fu
una attesa, un dialogo concitato forse. Non si è trattato di un precipitarsi in una stanza di una
casa rurale sparando all'impazzata già sulla soglia; il tentativo di disarmo operato lo esclude.
Lo spazio del vano in cui il dramma si consumò, era ristretto anche perché in parte occupato
da un letto matrimoniale; quindi il tutto può essere avvenuto in parte sul pavimento della
stanza, sul letto medesimo se non addirittura sul pianerottolo immediatamente antistante.
La vestizione dei cadaveri rimasti colà nella loro scomposta impudicizia, fu senz'altro
laboriosa per l'essere sopraggiunto il rigor fino alla completezza, verosimilmente abbandonati
dopo quel fuggi-fuggi generale che pervase coloro che furono partecipi o attori di qualcosa di
inusitato e sconvolgente. Non si ebbe nemmeno il coraggio di ricomporre quegli indumenti
intimi di cui i due deceduti erano soltanto coperti nel momento dell'evento.
Ci si affidò più a quelli di vestizione che erano reperibili cercando di porli addosso nel modo
migliore e più facile per chi non è aduso alla vestizione dei morti, quando specialmente questi
diventano delle lignee statuarità.
Si tentò di tutto per creare una sceneggiatura d'emergenza fino allo sparare sulla nuca
del Mussolini molto tempo dopo la sua morte, nell'intento di creare quella pedissequa
tradizionalità del colpo di grazia misconoscendo che in fase d'autopsia si sarebbe
apprezzata la lesione non successa in vita.
Se è vero, si crearono addirittura due sosia perché inducessero i curiosi a far testimonianza di
due sopravvivenze non più tali da molte ore. Lo stesso medico-settore volle ribadire per i
dubbiosi che quanto aveva verbalizzato, apparteneva ad una sentenza portata a compimento
secondo la ritualità più tramandata, immaginando a contro-prova addirittura l'esecutando che
alza il braccio destro in un istintivo modo di riparo, concretizzando così un colpo per
proiettile in una impossibile direttrice trapassante, dimenticando l'inizio nel tempo della
esperienza autoptica e non più illustrando la lesione al fianco destro in precedenza
verbalizzata. Una autopsia che sembra voluta ai fini di una ostinata dimostrazione che quanto
s'era narrato era perfettamente vero. Forse far tutto questo era necessario; il disagio restava
per la morte della donna, in un primo tempo condannata a morte per iscritto unitamente al suo
compagno in un elenco limitato ai due e più tardi data per deceduta in un isterico intervento,
intercettando così qualcosa di letalmente determinante e non per lei.
Allo storico, agli scrittori, riprendere questo discorso che per me desta più un interesse
psicologico nella analisi della temperamentalità, esaltata dalle grandi contingenze ed
emozioni.
Quanto a me non potevo per giungere a tanto, non usare quelle metodiche descritte e che
fanno di questa trattazione un puro elaborato tecnico, intendendo procedere per esso e
soltanto.
Se ho errato chiedo scusa umilmente alla scienza ed alla sua applicazione; agli uomini no,
perché non ho inteso affatto polemizzare nell'avvenimento e suoi moventi. Né voglio che
questo scritto serva come strumento d'accusa o rivalsa per esaltare gli animi così bisognosi di
dimenticare se veramente intendono serenamente convivere.
***
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CAPITOLO 7 STUDI E PERIZIE
CRITICA AD UNA “NECROSCOPIA D’ECCEZIONE”
LE IPOTESI BALISTICHE DI ALESSIANI
Sulla base di questi suoi studi il dott. Alessiani, come abbiamo visto, aveva quindi
ipotizzato tutta una serie di ulteriori considerazioni che lo portavano a supporre una morte di
Mussolini all’alba del 28 aprile 1945, probabilmente seminudo nella stessa stanza dove aveva
passato la notte e nel corso di una caotica e concitata sequenza di lotta.
Una lotta con corpi avvinghiati e finiti a terra ed in cui, nel tentativo di disarmare l’aggressore
con pistola, il Duce venne ferito al fianco, forse anche al braccio ed alla fine si aggiunse, nel
concitato evento, anche la Petacci che vi trovò la morte, ed un altro assalitore con il mitra.
Non possiamo qui riportare tutte le sequenze, ricostruite con appositi manichini che
l’Alessiani venne a produrre (molti documenti sono presenti e visibili nel sito, da noi più volte
citato, http://www.larchivio.com/storia.htm), ma effettivamente sono ricostruzioni
dinamiche di grande interesse.
In pratica Alessiani venne ad ipotizzare una dinamizzazione dell'evento morte di Mussolini.
Questi studi restano una pietra basilare sulla strada della verità su la morte di Mussolini, ma in
seguito, essendo emersi molti altri elementi (i rilievi con macchinari sofisticati) e qualche
testimonianza abbastanza attendibile (Dorina Mazzola di Bonzanigo) ed anche in
considerazione che le ipotesi di Alessiani non potevano essere oggettivamente definitive e
categoriche, ma potevano lasciare spazio ad ulteriori modifiche e precisazioni, ci si è formati
l’idea che probabilmente il medico legale, purtroppo deceduto nel 1999, si era sbagliato
nell’estendere e comprendere tutta la sequenza della uccisione di Mussolini in un unico
momento temporale (fasi di lotta nella stanza conclusesi con l’uccisione a terra del Duce e
della Petacci, da parte dell’assalitore con il mitra venuto a dare manforte a quello con la
pistola) e non in due momenti distinti.
Del resto lo stesso Alessiani ammise che, mancando l’autopsia della Petacci, aveva dovuto
ricostruire la sequenza con una metodica di presunzione (n.d.a.)
COMMENTO AGLI STUDI DI ALESSIANI
Come commentare questa rivoluzionaria ipotesi del dott. Alessiani ?
Intanto possiamo constatare che, dopo un primo momento in cui vi fu un certo schieramento
di studiosi del problema, propensi a sposare questa tesi che Alessiani indicava come “tecnica
della dinamizzazione dell'autopsia” (una applicazione inconsueta, ma ingiustamente
trascurata dalla normale medicina legale), con il tempo però l’interesse è venuto meno, anche
perchè gli studi di Alessiani si basavano su documenti e reperti non determinanti o
insufficienti e che comunque si potevano prestare anche ad altre diverse ipotesi e conclusioni.
Sono però rimasti accettabili e validi molti aspetti e procedure del suo studio, anche se la sua
ipotesi complessiva presentava delle forzature.
A conti fatti, comunque, la sostanza di buona parte delle teorie di Alessiani trovano conferma,
non soltanto nella buona logica deduttiva da lui espletata, ma anche alla luce di tanti piccoli
riscontri fotografici fatti ultimamente con nuove tecniche.
Probabilmente l’ora della morte del Duce va spostata qualche ora più in avanti rispetto
alle 5 – 6 del mattino, ma in questo lo stesso Alessiani si è sempre detto possibilista e del
resto, in calcoli del genere, il margine di errore e sempre elevato; rivoluzionaria e poi
sostanzialmente confermata, l’ipotesi che Mussolini fu ucciso senza che avesse indosso
camicia, giacca e cappotto (ma Alessiani tendeva ad escludere anche la maglietta di
salute).
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CAPITOLO 7 STUDI E PERIZIE
CRITICA AD UNA “NECROSCOPIA D’ECCEZIONE”
Destano quindi grande interesse alcuni rilievi, da lui fatti, sulle foto con i corpi disappesi e
trasferiti all’Istituto Di Medicina Legale dell’Università di Milano.
Riportiamo, qui sotto, una di queste importantissime foto e le deduzioni di Alessiani:
Qui si vede che i corpi disappesi da Piazzale Loreto sono stati trasferiti
all'Istituto di Medicina Legale dell'Università di Milano. Siamo forse nel
pomeriggio o la sera tardi o la notte di domenica 29 aprile 1945 o l’alba del 30 (è
difficile stabilire l’ora di questi scatti fotografici). I cadaveri sono ancora
parzialmente vestiti e quindi siamo alquanto prima dell’autopsia che iniziò la
mattina del 30 alle ore 7,30 (6,30 ora solare).
In una foto (qui non riportata) si nota che i corpi, distesi a terra, a fine di
dileggio, sono messi a guisa di galante offrire il braccio:
<<il polso destro della donna si flette verso il basso spontaneamente, i due
capi si accostano quasi in una affettuosa intesa>>.
Poi, qualcuno decide di mettere a sedere i corpi (foto sopra):
<<accade allora che le teste già ciondolano e che le si deve reggere, le due
braccia incrociate si liberano e cadono pesantemente verso il basso.
Indubbiamente assai ben poco del rigor mortis resta in questi due preziosi
documenti; se il decesso del Mussolini e della Petacci è, come si è
sostenuto, delle 16,10 del sabato, la rigidità non solo sarebbe cessata in
24 ore ma in queste 24 ore è avanzatissima anche la risoluzione
rilasciativa.
Siamo addirittura nel dubbio di un decesso appartenente al venerdì 27 se
non ci fossero certezze della esistenza in vita dei soggetti.
Appare singolare la verbalizzazione del Prof. Cattabeni che dichiarerà nel
verbale di autopsia eseguita all'indomani, che nel Mussolini la rigidità "era risolta
alla mandibola. Persistente agli arti"... La rigidità era invece risolta anche per
i muscoli del collo, degli arti superiori, del dorso. Probabilmente anche
agli arti inferiori, ma non possiamo attingere dalle foto anche questo>>.
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CAPITOLO 7 STUDI E PERIZIE
CRITICA AD UNA “NECROSCOPIA D’ECCEZIONE”
Per quanto riguarda la testa ciondoloni del Duce, forse Alessiani non considerò la probabile
frattura della colonna cervicale che la rendeva estremamente mobile, ma il resto del
rilassamento resta comunque sempre confermato dalla posizione seduta con gli arti rilassati in
cui vennero messi i cadaveri all’obitorio.
Viceversa il particolare della mancanza di pantaloni e maglietta, che invece Mussolini
probabilmente indossava quando ucciso, fu forse esagerato da Alessiani stesso che ipotizza
invece un Mussolini quasi nudo. Ma non è questo un errore tale da inficiare il resto dei suoi
studi, visto che Alessiani non aveva potuto esaminare i pantaloni nella teca del cimitero e che
eventuali fori sulla maglietta non erano a quel tempo ben riscontrabili dalle foto del
cadavere senza l’ausilio di tecniche altamente sofisticate.
Altro elemento che probabilmente Alessiani ha troppo esagerato è la sua ipotesi che
Mussolini e la stessa Petacci siano stati uccisi nel corso di una furibonda lotta: molto più
probabilmente, invece e come già accenato, tutta la faccenda si è consumata in due fasi:
prima una lotta nella stessa stanza (scaturita da non ben definiti imprevisti) che ha
portato Mussolini, con i pantaloni indosso, ma in canottiera, ad essere ferito al fianco e
forse anche al braccio.
Poi in un secondo momento, di poco successivo, la fucilazione prima di Mussolini e più
tardi ancora l’uccisione proditoria della Petacci.
Ricordiamo che, invece, Alessiani ipotizzò la morte del Duce e della Petacci al termine della
lotta che ingaggiò con i suoi assalitori e che si concluse al suolo.
Alessiani ha basato questa ipotesi principalmente sulle inclinazioni e traiettorie che
presentavano alcune delle 9 ferite prodotte in vita sul cadavere del Duce e che presumevano
corpi in contorsioni e movimento oltre a spari ravvicinatissimi.
Fatto sta che però non abbiamo l’esatta misura di quelle inclinazioni (deducibili in sede
fotografica), nè altre valutazioni balistiche e quindi l’ipotesi di lotta, conclusasi con
l’uccisione al suolo, non è la sola possibile, anche se è intuitivamente da scartare la “versione
ufficiale” con la sua classica fucilazione da tre passi (Valerio).
Da quello che si riuscirà a ricostruire, anche tramite la testimonianza dell’ex vicina di casa dei
De Maria a Bonzanigo e dalla scansione con particolari filtri della maglietta sanitaria
indossata da Mussolini, probabilmente la mattina del 28 aprile accadde un imprevisto e forse
una colluttazione nella stanza di casa De Maria e quindi Mussolini, ferito da un colpo di
pistola al fianco (e forse anche al braccio) venne poi portato fuori casa, sotto al cortile per
essere ucciso. Alessiani, quindi, ha effettivamente intuito una parte (quella iniziale) degli
avvenimenti di quella mattinata.
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CAPITOLO 7 STUDI E PERIZIE
CRITICA AD UNA “NECROSCOPIA D’ECCEZIONE”
Altri studi
Lo studio e le osservazione del Prof. Giovanni Pierucci
titolare della cattedra e direttore dell’Istituto di medicina
legale di Pavia, in base alle domande ed ai quesiti postigli
da Giorgio Pisanò nella metà degli anni ‘90.
Veniamo adesso allo studio eseguito a metà degli anni 90 dal prof. Giovanni Pierucci
titolare della cattedra e direttore dell’Istituto di medicina legale di Pavia, in base alle domande
ed ai quesiti postigli da Giorgio Pisanò il quale poi ebba a riportarle nel suo libro Gli ultimi 5
secondi di Mussolini gia citato.
L’istituto di medicina legale di Pavia è celebre per aver seguito vari rilievi di questo tipo in
casi di criminalità e simili.
Quello realizzato a suo tempo è forse oggi un lavoro in parte datato e bisogna sottolineare
che, infatti, anni dopo lo stesso professor Pierucci costituì una vera e propria equipe per lo
studio delle cause e modalità della morte di Mussolini, la quale si potè avvalere di sofisticati
sistemi informatici digitalizzati per la scansione delle fotografie e dei filmati d’epoca
disponibili, inerenti i cadaveri di Mussolini e della Petacci.
Più avanti, in questo stesso capitolo, vedremo infatti questi nuovi e decisivi studi, presentati
ad un convegno e poi pubblicati a maggio del 2006 dalla rivista Storia in Rete, ma nonostante
questo, desta anche un certo interesse la conoscenza dei precedenti studi del prof. Pierucci.
Sulla base di tutte le precedenti esperienze e gli studi che si erano accumulati nel
tempo, circa il verbale dell’autopsia di Cattabeni, Giorgio Pisanò richiese a suo tempo al
Professor Giovanni Pierucci una consulenza medico legale sulla morte di Mussolini.
Qui, come vedremo tra poco, non verranno poste domande o espresse considerazioni sul
riscontro del rigor mortis tramite i rilievi foto cinematografici. Forse per il fatto che è
estremamente problematico fare questi calcoli solo attraverso l’osservazione delle foto.
In ogni caso non è poi così azzardato ipotizzare, ed ovviamente solo ipotizzare, dalla
osservazione delle foto del cadavere nei corridoi dell’obitorio (anche se per queste qui non si
conosce l’ora precisa in cui vennero scattate) che si può, sia pur con tutte le limitazioni del
caso, sostenere una fase, più o meno avanzata di rilassamento per il cadavere di Mussolini e
quindi, in tal caso, dovremmo sicuramente escludere una morte avvenuta alle 16,10 del 28
aprile ’45.
Osservazioni delle foto
Ma non solo dalle foto dell’obitorio, ma anche da quelle precedenti, scattate quando i
corpi di Mussolini, la Petacci e gli altri fucilati a Dongo, a cui si aggiunse poi il cadavere di
Achille Starace da poco fucilato proprio lì nei pressi, vennero appesi alla pensilina di Piazzale
Loreto, si notano, sia pure con molto meno rilevanza, alcuni interessanti particolari.
Il cadavere di Starace, infatti, come è normale che sia, essendo morto da poco, ha le braccia,
per gravità, distese e rilasciate totalmente penzoloni verso il basso.
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CAPITOLO 7 STUDI E PERIZIE
CRITICA AD UNA “NECROSCOPIA D’ECCEZIONE”
Sappiamo che i fucilati di Dongo, erano stati uccisi verso le 18 del giorno precedente (il 28
aprile ’45), mentre Mussolini e la Petacci, secondo la versione ufficiale, erano morti circa un
ora e mezza prima.
Ebbene osservando quelle foto, quando Mussolini ha ancora indosso la camicia nera, che
mano a mano verrà strappata, e quindi scattate tra le 11,30 e forse le 13,30 (con lo scarto di un
ora se andiamo a considerare l’ora solare) possiamo contabilizzare, poco più poco meno, un
lasso di tempo che per prudenza va dalle 18 alle 22 ore dalla morte di tutti costoro.
Ed infatti, pur con tutte le limitazioni di un riscontro semplicemente fotografico e parziale,
essi mostrano alle braccia una certa rigidità che non consente il loro rilassamento e
distensione verso il basso.
Però il cadavere del Duce sembra, ripetiamo sembra, mostrare un leggero e più pronunciato
rilassamento alle braccia (in particolare quando sarà ripreso senza la camicia).
E’ giocoforza allora prendere in considerazione la testimonianza della signora Mazzola (che
vedremo nel Capitolo 11) che attesta una morte di Mussolini forse intorno alle ore 9,00 del
mattino precedente. In ogni caso dovremmo anche ipotizzare un rigor mortis, intervenuto
precocemente per costituzione fisica e cause di morte eccezionale e repentina, ed una durata
forse inferiore alle 36 ore, sempre per gli stessi motivi e per cause di conservazione del
cadavere eccezionali, e quindi un precoce inizio del processo di rilassamento, proprio come in
parte aveva ipotizzato il dott. Alessiani (che anzi era stato ancor più estensivo nell’anticipare
l’orario di morte).
Comunque sia, per tornare al prof. Pierucci ed alla richiesta per una sua consulenza,
furono forniti, da Pisanò, i seguenti documenti, con quest’ordine numerico:
1. Verbale d’autopsia del cadavere di Mussolini Benito eseguita dal Prof. Caio Mario
Cattabeni il 30.4.1945, vergato a mano sul registro delle autopsie dell’Istituto di
Medicina Legale e delle assicurazioni dell’Università di Milano, al n. 7241;
2. “Rendiconto di una autopsia d’eccezione”, di C. Mario Cattabeni, pubblicato sulla rivista
scientifica Clinica Nuova del 15 luglio – 1 agosto 1945 (estratto);
3. Verbale di autopsia del cadavere di Mussolini Benito (n. 8357) eseguita (dopo il recupero
della salma circa quattro mesi prima) dal Prof. A. Cazzaniga con la partecipazione del
Prof. A. Astuni e del Dott. E. Bossi;
4. Verbale di consegna dei “resti mortali” al cimitero di Predappio;
5. “Documento Cova” (vedi “Unità” 23 aprile 1996);
6. E’ stato inoltre aggiunto vario materiale fotografico e cinematografico, tutto in bianco e
nero, che però è risultato insufficiente per poter appurare con certezza alcuni riscontri.
Riprendiamo e sintetizziamo qui appresso dal libro di G. Pisanò “Gli ultimi cinque secondi
di Mussolini”, Il Saggiatore Milano 1996, ampi stralci che riportano l’esposizione di questa
consulenza.
209
CAPITOLO 7 STUDI E PERIZIE
Quesiti.
CRITICA AD UNA “NECROSCOPIA D’ECCEZIONE”
Esprimono le finalità dell’indagine.
A.
Quanti colpi hanno raggiunto Mussolini da vivo ?
B.
Quali sono stati i colpi mortali ?
C.
Come si spiegano il colpo all’avambraccio destro e quello al fianco destro ?
Quale poteva essere la posizione del braccio destro quando venne trapassato
dal proiettile ?
Mussolini era in piedi: come si giustifica la traiettoria del colpo al fianco destro?
D.
E’ possibile che i colpi sopra menzionati siano stati esplosi contro Mussolini in
un tempo diverso e antecedente rispetto agli altri ?
In particolare, è possibile che i colpi all’avambraccio ed al fianco siano stati
provocati dal fatto che Mussolini, vistosi di fronte uomini armati chiaramente
decisi a ucciderlo, abbia estratto una pistola e che gli aggressori (almeno uno di
loro) abbiano subito sparato per impedirgli di usare l’arma ?
E.
Le ferite all’avambraccio e al fianco destro potevano ancora consentire a
Mussolini una possibilità di movimento sia pure con difficoltà ?
F.
Per quanto tempo dopo la morte può aversi gemizio di sangue sul cadavere,
tale da lasciare tracce riconoscibili ?
G.
Le traiettorie degli altri sette proiettili (collo e torace), così come documentato
dall’autopsia, confermano o meno che Mussolini al momento della morte si
trovava in piedi davanti ai suoi uccisori ?
H.
Sono riconoscibili, sulle foto della Petacci da noi esaminate, tracce di lesioni
(oltre a quelle da armi da fuoco) prodotte in vita?
I.
In caso di subita violenza carnale, le tracce di essa sono ancora riconoscibili sul
cadavere, a circa due giorni dalla morte ?
Discussione preliminare
Alle domande su esposte, il professor G. Pierucci premise una discussione preliminare
i cui passi salienti possono essere così riassunti:
una precisazione sul fatto che la necroscopia di Cattabeni non fu un riscontro giudiziario, ma
un “riscontro diagnostico” il che pone dei limiti alla utilizzabilità del verbale autoptico ai fini
di una ricostruzione medico legale della dinamica della morte.
E questo per la mancata descrizione degli indumenti; i mancati riferimenti metrici esatti
attinenti alle singole lesioni di entrata (E) e di uscita (U) nei rapporti reciproci ed in quelli con
i piani standard; la ricostruzione solo parziale ed approssimativa delle singole traiettorie
anatomiche dalla quali tentare la ricostruzione delle traiettorie “balistiche”; una vistosa
omissione esecutiva e/o descrittiva nella sezione cadaverica, riguardante il collo,
particolarmente grave per la difficoltà di stabilire una probabile ritenzione di un proiettile.
In ogni caso, in base al referto autoptico N. 7241 (N. 1 prodotto) si segnalano sul cadavere di
Mussolini 15 fori di entrata di cui 9 con carattere vitale e 6 postmortale.
210
CAPITOLO 7 STUDI E PERIZIE
CRITICA AD UNA “NECROSCOPIA D’ECCEZIONE”
Tuttavia sul successivo rendiconto dell’autopsia del luglio/agosto ’45 (N. 2 prodotto) viene
giustamente considerato a parte la coppia di fori all’avambraccio destro, perché la fuoriuscita
di questo colpo potrebbe aver attinto altra parte del corpo alterando il computo esatto fori in
entrata – fori in uscita.
Pur con tale precisazione siamo però in difetto di un colpo, perché nel precedente verbale
autoptico vennero identificati in tutto (a parte la lesione all’avambraccio Dx) non già 7 colpi
in entrata con caratteristiche vitali, bensì 8. Il documento N. 2 prodotto (il rendiconto),
invece, dimentica curiosamente il foro premortale (ed il tramite a quello seguente) al fianco
Dx.
Ricorda poi che, per il foro all’avambraccio destro, il Cattabeni ipotizza un gesto di schermo
del condannato all’atto della fucilazione.
Altri riscontri sui vestiti e sui corpi
Si tratta di ulteriori osservazioni sempre nell’ambito delle stesse domande poste.
All’epoca, comunque, venne specificato che fu soprattutto difficile risalire ai seguenti dati:
tutto l’ambito corporeo della Petacci;
il versante dorsale del corpo di Mussolini, carenza questa che contribuisce a lasciare irrisolto
il problema dell’uscita del colpo sopraioideo.
Alcune sequenze filmiche ritraggono i cadaveri in posizione molto obliqua rendendo difficile
la localizzazione delle lesioni, la loro reale morfologia i reciproci rapporti.
Mussolini: per esempio i fori dell’emitorace sinistro del Duce, nel film palesano una forma
ovalare che farebbe presupporre traiettorie oblique.
Inoltre è impossibile, dalle foto, differenziare con certezza le lesioni vitali da quelle
postmortali.
I due fori pertinenti alla coppia entrata / uscita dell’avambraccio destro, si rendono visibili e
quello esterno verso la superficie palmare.
Da un raffronto di queste immagini la lesione ultima detta parrebbe avere una localizzazione
più prossimale (cioè più vicina al gomito), anziché più distale (cioè più vicina al polso) come
invece segnalato dal verbale autoptico.
Comunque non si riscontrano fori sulla maglietta (perchè allora non visibili senza particolari
mezzi moderni, n.d.r.), né sulla camicia che, prima della sospensione a piazzale Loreto, sono
più o meno completamente indossate dal Duce.
All’obitorio gli unici indumenti visibili sono i pantaloni e la maglietta: questa presenta
numerosi imbrattamenti (probabilmente ematici) che mascherano totalmente gli eventuali fori.
Clara Petacci: considerazioni analoghe valgono per la donna.
Il vestito aperto della Petacci sul petto consente di rilevare su di esso diversi fori di arma da
fuoco. Alcuni sono sicuramente d’uscita, altri dubbi.
In prossimità del lato Dx del collo, compare una serie di piccole, tondeggianti lesioni
(escoriazioni?) dalla natura discutibile.
Le grossolane escoriazioni in regione sottomandibolare ed altre ancora sono quasi
sicuramente postmortali (calci).
In alcune sequenze parrebbe di ravvisare la tumefazione ecchimotica della palpebra inferiore
Dx ed una certa tumefazione della regione orbitaria Dx.
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CAPITOLO 7 STUDI E PERIZIE
CRITICA AD UNA “NECROSCOPIA D’ECCEZIONE”
CONCLUSIONI E RISPOSTE ALLE DOMANDE
A causa della lunghezza espositiva riassumiamo e riportiamo qui solo i passi salienti
contenuti nelle risposte del prof. Pierucci, rimandando alla lettura integrale del libro di Pisanò
e sperando di aver ben sintetizzatato quanto trascritto a suo tempo.
A. (I colpi) Mussolini da vivo fu attinto da almeno otto colpi di arma da fuoco, forse nove,
per l’incertezza che il colpo all’avambraccio Dx potrebbe, una volta uscito, essere
ripenetrato nel corpo ovvero potrebbe essere pertinente ad un proiettile che già aveva
trapassato il corpo annoverandosi fra uno degli altri otto.
Non sono precisabili calibro ed altre caratteristiche (statiche e dinamiche) dei proiettili.
Il verbale d’autopsia non documenta un foro d’uscita per il colpo che attinse la regione
sopraioidea: il proiettile quindi potrebbe essere ritenuto nei resti.
B. (I colpi mortali) Fra i colpi mortali che raggiunsero il Duce, il ruolo principale spetta a
quello che determinò la perforazione aortica toracica. Altri colpi letiferi sono i due che
attraversarono il polmone sinistro. Ruolo letifero accessorio, ma non nullo, è svolto
probabilmente anche dal colpo sopraclaverare Dx. Ciò vale anche per il colpo sopraioideo.
C. (Colpi all’avambraccio e al fianco) Il colpo trapassante l’avambraccio Dx, attribuito da
Cattabeni ad un probabile gesto di schermo, è compatibile con la comune esperienza
medicolegale in tema di omicidi. Non è tuttavia l’unica ipotesi plausibile, anzi sul piano
psicologico sembra poco coerente con il comportamento di un giustiziando. Inoltre questa
lesione potrebbe anche essere seguita all’uscita del proiettile dal corpo stesso,
presupponendo che Mussolini aveva le mani legate dietro la schiena.
Il colpo al fianco Dx è compatibile con l’evenienza di uno sparo dall’avanti al dietro,
eventualmente con l’arma, a un dipresso, alla stessa altezza della lesione d’entrata.
D. (Tempistica dei colpi) Altra ipotesi è quella che l’avambraccio Dx di Mussolini sia stato
raggiunto dal colpo mentre tentava di impugnare un’arma con la mano corrispondente.
In tal caso il proietto, fuoriuscito sul versante interno (palmare) dell’avambraccio, nella
sua ulteriore traiettoria potrebbe avere attinto il fianco Dx per fuoriuscire dal gluteo
corrispondente. Ovvero le due lesioni (avambraccio Dx e fianco Dx) potrebbero essere
state provocate da colpi distinti.
L’eventualità del/dei colpi in sensibile anticipo, rispetto a tutti gli altri, non è
incompatibile con le obiettività medicolegali riportate nel verbale di autopsia, ma non può
essere dimostrata sulla base dell’indagine necroscopica.
E. (Possibilità residua di movimento) Le ferite all’avambraccio e, rispettivamente, al fianco
destro, per sede e natura, avrebbero ancora consentito qualche possibilità di movimento
sia pure con difficoltà. A maggior ragione questo vale per il colpo al fianco Dx che come
fu confermato alla ricognizione cadaverica del 18. 8.’46 aveva interessato a tutto spessore
l’osso iliaco, mantenendosi molto superficiale, in sede non percorsa da importanti
formazioni nervose, senza intercettare articolazioni o grossi vasi.
F. (Tempi del gemizio ematico) Il tempo del gemizio ematico post mortale, in caso di lesioni
penetranti, varia notevolmente in rapporto a vari fattori. Per tale motivo è assai arduo
porre dei limiti cronologici stretti per il fenomeno del gemizio ematico delle lesioni.
212
CAPITOLO 7 STUDI E PERIZIE
CRITICA AD UNA “NECROSCOPIA D’ECCEZIONE”
G. (Fucilazione eseguita con il giustiziando in piedi) Le traiettorie degli altri sette proiettili
che attinsero il Duce dimostrano, come scrisse Cattabeni nel rendiconto d’autopsia, che
l’esecuzione è avvenuta con il petto del giustiziando rivolto alle armi.
H. (Lesioni premortali sulla Petacci) La documentazione fotografica e cinematografica
relativa alla Petacci è ancor più scarna e tecnicamente precaria di quella attinente il Duce.
Da alcuni fotogrammi in bianco e nero parrebbe dedursi una lesione, nella regione
orbitaria Dx, in particolare della palpebra inferiore, prodotta da una violenza meccanica,
applicata direttamente alla regione, tipo pugno o simile.
I. (Tracce di violenza carnale) Tracce di una subita violenza carnale potevano essere ancora
riconoscibili sul cadavere a due giorni dalla morte se in stato di conservazione buono
come era quello della Petacci.
***
E finalmente siamo ora arrivati ad esporre le importantissime
risultanze, recentemente dedotte da un qualificatissimo gruppo
(Francesco Gavazzeni esperto informatico, Gabriella Carlesi e
Gianluca Bello, medici legali) nato a Pavia, intorno alla cattedra di
Medicina legale retta del Professor G. Pierucci.
213
CAPITOLO 7 STUDI E PERIZIE
CRITICA AD UNA “NECROSCOPIA D’ECCEZIONE”
I RECENTI E DECISIVI RISCONTRI CON
STRUMENTI E TECNICHE MODERNE
Mettiamo ora da parte tutti questi precedenti studi e veniamo invece alle
importantissime risultanze rese possibili dalle nuove tecniche scientifiche.
Sono queste delle risultanze decisive e di ultima generazione che abbiamo voluto lasciare
verso la fine di questo capitolo, proprio per consentire al lettore di avere prima una
panoramica esaustiva di tutto quello che fino qualche anno addietro era disponibile in materia.
Esse consentono di formulare delle ipotesi che, anche se per loro natura non
possono ancora dare certezze assolute, purtuttavia hanno una forte credibilità e
concretezza ed unite ai tanti riscontri precedentemente illustrati, assumono un
valore determinante.
Queste risultanze furono presentate in un convegno storico e poi, due mesi dopo, riassunte e
pubblicate da Fabio Andriola sul numero di Maggio 2006 di “Storia in rete” di cui qui
appresso riportiamo i passaggi più importanti omettendo foto e disegni.
Questo importantissimo articolo, nella sua veste integrale completo delle foto accluse,
può essere richiesto presso la rivista, come arretrato. Vedi: http://www.storiainrete.com/.
è altresì leggibile nel sito: http://www.ilduce.net/specialemorteduce.htm o anche in:
http://firewolfdossier.blogspot.com/2007/06/la-morte-di-mussoliniuna-macabra.html
LA MORTE DI MUSSOLINI:
Una macabra messinscena!
Articolo di Fabio Andriola - Direttore Storia in rete
(Storia in rete Nro 7 – Maggio 2006)
L’autore premette, oltre al titolo soprastante che è tutto un programma, questa
chiara introduzione:
“Ucciso da qualcuno che gli sparava a meno di mezzo metro di distanza,
mentre era senza camicia e senza stivali e lontano, almeno un po’, da Claretta”.
Quindi Andriola ci informa che gli ultimi istanti di Mussolini possono ora essere
riscritti, anche se per l’ennesima volta, come è sempre avvenuto per un fatto
sostanziale o per un dettaglio.
“Ma questa riscrittura probabilmente è l’ultima”
aggiunge il bravissimo
giornalista scrittore. E aggiunge:
<<Infatti è ora il turno non del solito testimone più o meno attendibile ma è la scienza
a irrompere nel più intricato giallo della nostra storia recente. E forse non solo della
nostra.
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CAPITOLO 7 STUDI E PERIZIE
CRITICA AD UNA “NECROSCOPIA D’ECCEZIONE”
E’ grazie ad un inedito – almeno per l’indagine storica – connubio che si sta facendo
finalmente largo la verità su quanto accadde in un orario imprecisato il 28 aprile 1945
in una casa di Bonzanigo, frazione di Mezzegra, uno dei tanti paesini che affollano la
costa sinistra del lago di Como.
Il connubio, nato per aiutare le indagini delle più importanti polizie del mondo, è
quello formato dalla medicina legale e dall’informatica digitale. Foto vecchie di decine
d’anni possono da poco tempo rivelare particolari impensabili e dare così agli occhi
esperti di inquirenti e anatomopatologi nuovi elementi di valutazione.
Una tecnica combinata che, per restare all’Italia, è stata applicata intorno a casi
celebri della nostra cronaca nera (dal Mostro di Firenze al Caso Ilaria Alpi solo per
citarne due) da un piccolo ma qualificatissimo gruppo nato a Pavia, intorno alla
cattedra di Medicina legale retta dal professor Pierucci.
Quelle foto, opportunamente trattate al computer, hanno infatti svelato particolari
che, incrociati con le osservazioni fatte sul tavolo d’autopsia dal professor Mario
Cattabeni la mattina del 30 aprile 1945 e con le odierne conoscenze tanatologiche
(tanatos in greco vuol dire “morte”) e balistiche ci restituiscono una dinamica dei fatti
decisamente lontana da quella che, a firma “Colonnello Valerio”.
Quella versione è apparsa a più riprese sull’organo dell’ex PCI, «L’Unità» già a
ridosso degli eventi e poi più e più volte fino al libro postumo, uscito negli anni
Settanta, titolato «In nome del popolo italiano» e firmato “Walter Audisio”.
[...] Ma ad aggiungere mistero al mistero bisogna anche ricordare che anche altri
protagonisti di quelle drammatiche ore hanno, alla luce di quanto oggi scienza e
tecnologia ci dicono, dato una versione dei fatti che ormai non sta più in piedi. Anche
perché quasi tutti hanno seguito il canovaccio fissato a caldo da Valerio con suo
resoconto (non firmato) sull’Unità del 30 aprile 1945, cioè andato in edicola quasi in
contemporanea con l’inizio dell’autopsia all’Istituto di Medicina Legale di Milano.
[...] In questi sessantuno anni, tanti ne son passati dalle grigie giornate di Dongo e
dintorni, sono almeno 18 le versioni della morte di Mussolini che si sono via via
affacciate mentre i possibili “giustizieri” oltre ad Audisio sarebbero una decina.
[...] Ma tutte queste inchieste avevano un “difetto”: trascuravano, a vantaggio della
logica e di alcune importanti testimonianze, l’aspetto scientifico e medico legale. Ed è
da qualche tempo proprio questo aspetto l’unica speranza per poter fare un po’ di
luce su uno dei gialli più complicati della storia, non solo italiana.
Se non altro per dire come non andarono le cose. In qualche modo un
apripista c’è stato: si chiamava Aldo Alessiani e già a metà degli anni Ottanta aveva
intuito alcune cose che ora hanno trovato conferme, integrazioni e approfondimenti
(oltre a qualche correzione) nelle ricerche condotte dal professor Pierucci a Pavia.
Cosa aveva capito Alessiani, un medico legale di Ascoli Piceno poi stabilitosi a
Roma, basandosi sulle foto di Piazzale Loreto, su quelle scattate all’obitorio di Milano
e sulla – per certi versi lacunosa – autopsia fatta su Mussolini?
Aveva capito che il dittatore era stato ucciso in circostanze sicuramente diverse da
quelle raccontate da Valerio-Audisio e dagli altri: probabilmente c’era stata una
colluttazione, sicuramente il dittatore non era completamente vestito, altrettanto
sicuramente i colpi che lo avevano raggiunto in vita erano stati sparati da più persone
e da angolazioni diverse, forse nel corso di un furioso corpo a corpo che, a questo
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CAPITOLO 7 STUDI E PERIZIE
CRITICA AD UNA “NECROSCOPIA D’ECCEZIONE”
punto, non poteva che essersi verificato in Casa De Maria ben prima delle 16,10 del
pomeriggio del 28 aprile 1945.
Le “armi” di Alessiani? Una grande esperienza e la meticolosa osservazione delle
foto, messe in modo cronologico, scattate il 29 aprile 1945 a Milano e il loro incrocio
con le notizie contenute nel verbale d’autopsia.
Un verbale purtroppo lacunoso sia perché redatto in circostante di tempo e luogo non
ideali (lo stesso Cattabeni scriverà della pressione psicologica e del disturbo arrecato
dalle continue intrusioni nella sala settoria di gente che voleva verificare la morte di
Mussolini e/o inveire sul cadavere) sia perché furono trascurate alcune fasi
fondamentali in qualunque autopsia a cominciare dall’esame del corpo vestito e non
lavato. Indumenti e pelle non lavata infatti possono fornire al medico legale
numerose e importanti informazioni, soprattutto di carattere balistico, perché ogni
colpo d’arma da fuoco lascia tracce di polvere, di affumicatura, di bruciature, aloni e
fori che permettono di ricostruire ad esempio la distanza di sparo, l’inclinazione dei
fori d’entrata e uscita e, a volte, il tipo di arma usato.
Quello che Alessiani non poté vedere ma solo intuire è stato invece visto e
approfondito dai computer usati dal piccolo gruppo di ricerca che si è formato intorno
al professor Pierucci a Pavia: Francesco Gavazzeni, esperto informatico, Gabriella
Carlesi e Gianluca Bello, medici legali.
La base di partenza è stata infatti la rivoluzione digitale che sta stravolgendo la vita
dell’uomo da qualche anno: le nuove tecnologie messe a punto in campo informatico
aprono nuovi campi di ricerca ad esempio nelle indagini criminali.
Le più importanti polizie del mondo lavorano ormai abitualmente su foto di cui il
computer può leggere una scala di milioni di variazioni del colore mentre un occhio
umano ne può cogliere solo alcune migliaia. Insomma, i computer oggi possono
vedere cose che l’occhio umano non potrebbe vedere mai da solo. Questo vale per
ogni cosa, comprese vecchie foto in bianco e nero di sessant’anni fa.
Come quelle scattate a Piazzale Loreto. Ed è così, che per prima cosa, il gruppo di
Pavia si è messo a studiare le prime fotografie realizzate a Milano, sui cadaveri
scaricati da poco dal camion proveniente da Dongo.
L’applicazione di speciali filtri ha permesso quindi di analizzare il busto di Mussolini e
scoprire, con una certa sorpresa un primo dato fondamentale: benché raggiunto da
almeno nove colpi in vita Mussolini indossa un giaccone che non presenta fori
di proiettile!
Infatti un foro, anche minimo, dovrebbe produrre un’alterazione di colore (in
questo caso nella scala dei grigi) che in questo caso manca in maniera
clamorosa anche perché i fori dovrebbero essere molti.
Unica spiegazione possibile: quel giaccone (tra l’altro di foggia non militare e
con un vistoso bottone allacciato in alto a destra all’altezza del collo) è stato
fatto indossare ad un Mussolini ormai cadavere.
Un cadavere che poche ore dopo, spogliato in parte e appeso per i piedi al famoso
traliccio del distributore di benzina di Piazzale Loreto, avrebbe rivelato altri dati
importanti.
A cominciare da una maglietta letteralmente intrisa di sangue in
corrispondenza non solo dei sette colpi ricevuti tra spalla, petto e base del
collo ma anche nella zona addominale dove si vedono con chiarezza i risultati
di due colpi, curiosamente non rilevati nell’autopsia di Cattabeni.
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CAPITOLO 7 STUDI E PERIZIE
CRITICA AD UNA “NECROSCOPIA D’ECCEZIONE”
I rilievi fotografici e digitali hanno rilevato in corrispondenza di questi colpi
(soprattutto quelli all’altezza della spalla sinistra e quelli all’addome), in mezzo
alle macchie di sangue la presenza del caratteristico alone di polvere
incombusta e di microparticelle che ogni colpo d’arma da fuoco deposita sul
corpo colpito se lo sparo è avvenuto ad una distanza non superiore ai 50 cm.
Il raffronto tra l’alone di polvere e altri dati riscontrati in corrispondenza dei
colpi noti e quanto rilevato in presenza dei colpi all’addome presenta un
quadro assolutamente uniforme: in tutti i casi copiosi versamenti di sangue,
fori sicuramente d’entrata, un alone che rivela una distanza di sparo tra i 30 e i
40 cm. Conclusione: le polveri e i versamenti di sangue dimostrano che
Mussolini, quando fu colpito, non aveva addosso che la maglietta con cui
arrivò fino all’obitorio di Milano e forse i pantaloni.
E il colpo entrato nella parte interna del braccio destro (che ha a lungo attirato
l’attenzione per la sua anomalia) mostra che probabilmente ebbe il tempo di
fare un gesto automatico di difesa, portando istintivamente il braccio a
protezione del volto.
Un gesto che ha un senso in un contesto confuso, in una lotta non nel caso di
una esecuzione vera e propria, dove lo scarno rituale porta in genere il
condannato a non muoversi.
Altra conclusione: Valerio-Audisio ha raccontato di aver sparato cinque colpi mentre
l’autopsia parla di nove colpi.
E ora sembra si possa salire addirittura a undici quasi tutti, se non tutti, sparati
ad un uomo in maglietta e ad una distanza molto ravvicinata. Non si fucila una
persona sparando a mezzo metro di distanza!
Ma c’è dell’altro.
Dell’altro che riguarda Claretta Petacci. Sulla giovane donna (una figura meno
limpida e romantica di quello che si è sempre voluto credere, ma questo sarà,
prossimamente, tema di un altro articolo) non venne fatta nessuna autopsia per
esplicito ordine del Comitato Liberazione Nazionale Alta Italia e le foto che le
vennero scattate furono molto meno di quelle fatte a Mussolini.
Tuttavia, una fotografia in particolare, scattata alla donna sul selciato di Piazzale
Loreto prima del macabro appendimento, è in grado di fornire importanti
informazioni.
La donna, con una espressione stranamente serena, non ha perduto la sua bellezza:
giacca del tailleur e camicetta sono aperte sul petto trafitto da numerosi colpi, la testa
reclinata sulla sinistra.
La guancia destra mostra i segni di un violento calcio dato con una scarpone che ha
lasciato sulla pelle l’impronta della propria suola.
Ma la medicina legale ci dice che quel calcio (per questo ancora più infame) è stato
dato quando Claretta era già morta.
Mentre le tumefazioni al naso e tra lo zigomo e l’occhio destri sono “lesioni vitali”
(riconoscibili, come nel caso dei colpi d’arma da fuoco ricevuti in vita, dal fatto che la
presenza di un’attività cardiaca e quindi della pressione sanguigna, portano ad una
concentrazione di sangue in corrispondenza della lesione: da qui i segni escoriazioni
e tumefazioni).
Si può concludere che la donna sia stata picchiata in vita?
217
CAPITOLO 7 STUDI E PERIZIE
CRITICA AD UNA “NECROSCOPIA D’ECCEZIONE”
Pierucci e i suoi sono molto prudenti su questo punto anche perché la stessa
foto, a proposito dei fori di proiettile visibile, racconta altre cose e suggerisce
altre dinamiche.
Infatti alcuni dei colpi al petto sono sicuramente fori di uscita, segno che la
donna fu colpita alle spalle da una raffica che potrebbe averla fatta cadere
pesantemente in avanti, faccia a terra.
Una caduta rovinosa, mortale, che può, con una certa probabilità, aver
provocato la frattura del setto nasale e le forti contusioni ad occhio e zigomo.
i tratterebbe in conclusione di lesioni “in limine mortis” cioè sul confine della
morte il cui sopraggiungere non impedisce al corpo, per un brevissimo
periodo, di continuare a funzionare.
Il poco che è ricavabile dalla foto di Claretta Petacci è però sufficiente a smentire
ancora una volta il racconto di Valerio e rafforzare quello che in qualche modo la
gente del Lago di Como sussurra da sempre, da quando cioè si è preso a parlare –
anche grazie ad una foto poco nota – della pelliccia di visone che indossava Claretta
al momento della morte. Pelliccia che finita nelle mani del partigiano Luigi Conti (poi
sindaco di Dongo) è stata fotografata nel maggio 1945 da Amedeo Giovenanza,
fotografo dilettante di Gravedona. Quella foto mostra uno squarcio ben evidente, al
centro della schiena, un palmo abbondante sotto il livello delle scapole.
Mussolini svestito, Claretta vestita. Lui colpito di spalle, lei di schiena.
Colpi: per lui 9 o undici, per lei almeno quattro tutti concentrati tra lo sterno e il
seno sinistro. Anche a prescindere dalle tante imprecisioni e incongruenze, già
da questi rilievi la versione di Valerio e degli altri perde ogni consistenza.
Ma, ad abundantiam, possiamo ancora aggiungere un altro paio di macigni in grado
di seppellire definitivamente l’esecuzione di Villa Belmonte e i suoi testimoni.
Il primo macigno è rappresentato da uno stivale sdrucito e che può ancora oggi
essere osservato in una teca accanto alla tomba di Mussolini a Predappio. Era lo
stivale destro del dittatore: alcune immagini di Piazzale Loreto lo mostrano con la
parte superiore completamente rovesciata all’esterno e oggi si nota la cerniera lampo
rotta. Già Alessiani aveva collegato questo particolare ad una possibile rivestizione
del cadavere [...]
Il secondo macigno è una testimonianza. L’ultima in ordine di tempo a venir fuori e
raccolta nel 1996 da Giorgio Pisanò che la pubblicò nel suo libro «Gli ultimi cinque
secondi di Mussolini» (Il Saggiatore).
E’ la testimonianza di Dorina Mazzola, una donna che il 28 aprile 1945 aveva 19
anni e abitava meno di 200 metri da Casa De Maria. Duecento metri rappresentati da
un prato che oggi ha qualche albero ma che allora era completamente sgombro. Una
buona visuale e il silenzio dei paesi di sessant’anni fa consentirono alla Mazzola di
vedere e sentire cose che si attagliano alla perfezione con quanto emerge dalle
ricerche svolte a Pavia [...]”.
***
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CAPITOLO 7 STUDI E PERIZIE
CRITICA AD UNA “NECROSCOPIA D’ECCEZIONE”
Fin qui l’articolo di F. Andriola, dove soprattutto l’ipotesi degli ulteriori due
colpi all’addome lascia esterrefatti.
Infatti, già se questi due colpi fossero post mortali, il non averli rilevati da parte del
prof. Cattabeni è sospetto, ma se addirittura fossero pre mortali, come un certo
imbrattamento ematico in luogo, può far ritenere, tutto il referto autoptico del 1945
salterebbe in aria!
Ma se la versione ufficiale di Valerio e le varie pseudo versioni alternative degli anni
successivi vengono clamorosamente smentite da questi rilievi di alta tecnologia
scientifica, può essere invece indirettamente confermata, come dice anche l’autore
dell’articolo precedente, proprio la testimonianza di Dorina Mazzola che riportiamo nel
Capitolo 11 sotto il nostro titolo significativo: Uno squarcio di verità.
E’ sintomatico (e penoso) notare, in merito a tutte queste notizie e aggiornamenti di un
certo spessore che man mano stanno emergendo, come l’establishment dei mass media, che
pur largo spazio riserva a fantasiose ipotesi alternative (ovviamente non dimostrabili),
tanto più se condite con rocambolesche partecipazioni di agenti segreti (inglesi), mostra
invece un sospettoso riserbo e non concede lo spazio che pur meriterebbero a queste notizie.
La relazione dell’equipe del prof. Pierucci di Pavia, infatti, salvo alcune eccezioni, ha avuto
poche righe di cronaca sulla stampa nazionale e più che altro qualche articolo in quella locale
e proprio come avvenne nel 1996 per le rivelazioni di Dorina Mazzola, nessuno si è azzardato
a confutarla, ma neppure ad illustrarla e propagarla adeguatamente..
Si è preferito concedergli solo lo stretto spazio necessario di cronaca, tanto per non passarla
sotto silenzio intercalando, magari, qualche, passaggio dubitativo.
Insomma, trasmissioni televisive e fiumi di inchiostro si sono sprecati e ancora si sprecano
per le fantasiose e senza uno straccio di prova, confessioni di Giovanni Lonati, colui che
asseriva di aver ucciso il Duce, assieme e su disposizione di un fantomatico capitano dei
servizi segreti inglesi, perchè ovviamente l’argomento permetteva di fantasticare a piacere,
mentre invece su argomenti molto più seri come questo, solo poche righe sparpagliate su
qualche organo di informazione!
***
Con il prossimo capitolo introdurremo un intermezzo che ci consentirà di analizzare
alcuni avvenimenti del 28 aprile 1945 e non solo, inerenti la repentina e violenta esecuzione
del Duce e di Claretta Petacci.
Ancora oggi sono state mostrate e discusse, da parte di tutta la letteratura resistenziale o
meno, testimonianze, dichiarazioni, resoconti su quei fatti e avvenimenti.
Abbiamo le relazioni o le testimonianze di vari esponenti del comando del CVL installatosi a
Milano il 27 aprile in Palazzo Cusani, di Cadorna, del colonnello Palombo, di Sardagna a
Como, ecc.; quelle di alti esponenti partigiani quali Parri, Mattei, ecc.; i ricordi dei membri
del Comitato Insurrezionale Longo, Valiani, Pertini, Sereni; di quelli degli esponenti del
CLNAI, come Marazza e compagni, o del neo prefetto Lombardi, e così via.
Vi sono poi le testimonianze dei comandanti le divisioni dell’Oltrepò dislocate in viale
Romagna a Milano, come Italo Pietra, Luchino dal Verme, Alberto Mario Cavallotti, Paolo
Murialdi, ecc., così come i ricordi dei comandanti della Guardia di Finanza quali il
Colonnello Malgeri o il colonnello Villani.
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CAPITOLO 7 STUDI E PERIZIE
CRITICA AD UNA “NECROSCOPIA D’ECCEZIONE”
Ci sono anche i ricordi e le testimonianze dei membri del CLN di Como, di Oscar Sforni, e
del maggiore De Angelis, di Dessì, del neo prefetto Bertinelli, ecc., degli esponenti di quella
Prefettura dove vi arrivò Audisio verso le ore 8 del mattino del 28, e quindi ovviamente quelle
di Audisio, Lampredi, Moretti, Bellini delle Stelle, Urbano Lazzaro, e compagnia bella,
compresi una miriade di partigiani o presunti tali, presenti in quei giorni in uno spazio di
territorio che va da Milano a Dongo.
Insomma, da parte di attori e spettatori, una pletora di ricordi, memoriali, libri scritti in
merito, servizi giornalistici, ecc.
Si sono sviscerati e controllati miriadi di particolari, si sono riscontrate una moltitudine di
incongruenze e contraddizioni, sono apparsi evidenti lacunose reticenze, e quant’altro, ma
tutto questo non ha risolto nulla, anzi ha finito per rendere imperscrutabile e confusa la
ricostruzione precisa di quelle ore decisive per la sorte di Mussolini.
Nessuno però, con rare eccezioni (per esempio il Bandini), ha fatto come ora
andremo a fare noi, ovvero nessuno ha alzato l’angolo visivo in modo da non soffermarsi
solo sul singolo particolare, sulla singola testimonianza che magari va in contraddizione
con le altre, per considerare invece la logica complessiva di quegli avvenimenti e
dimostrare che, anche prendendo per buona la parte più attendibile della storiografia
resistenziale, non è proprio possibile che le cose siano andate come ce le hanno
raccontate.
In sostanza, il complesso degli avvenimenti storicamente conosciuti e descritti in tante
relazioni e testimonianze, ovvero il quadro complessivo di quelle cronache è più o meno
quello che la storiografia resistenziale (e non solo) ci ha fatto conoscere.
Tante sono infatti le testimonianze ed in ricordi in proposito che non è possibile pensare
ad una menzogna collettiva, preordinata e reiterata negli anni.
Ma all’interno di quegli avvenimenti ci sono due o tre varianti, ovvero alcuni diversivi, e
qualche mistificazione, che riguardano poi gli eventi decisivi che hanno determinato la
morte di Mussolini con diverse modalità e diversi orari. E queste varianti le conoscono,
anzi oggi forse si può dire, le conoscevano, pochissime persone (oltre gli esecutori
materiali), le quali hanno ovviamente mantenuto un silenzio tombale.
Altri, per esempio, alcuni uomini della Resistenza o gli eventuali occasionali spettatori di
Azzano, Bonzanigo e dintorni, possono conoscere dei spicchi di verità, ma non essendo in
grado di ricostruire il quadro complessivo degli avvenimenti, sono rimasti invischiati
nella retorica storica e si sono attenuti al canovaccio della vulgata resistenziale.
Ma in ogni caso, con le nostre ricostruzioni, troveremo che è illogico il susseguirsi
di quegli avvenimenti, il comportamento degli esponenti partigiani, del PCI (direzione di
Milano e federazione di Como), del comando del CVL, dei partigiani che lasciarono
Mussolini e la Petacci a Bonzanigo, della spedizione di Valerio e compagni, ecc.
Ci troveremo in presenza, infatti, di una assurdità totale sia per quanto si dice venne
attuato, sia per gli ordini o per le improvvisazioni intercorse, sia per quanto si racconta
di come sarebbe andata. E soprattutto per quello che invece è normale e logico che si
sarebbe dovuto fare, che avremmo dovuto riscontrare e non venne fatto e non se ne
trova riscontro!
Con tutta la buona volontà, pur considerando imprevisti e fatti anomali, non è proprio
possibile che le cose siano andate come ci sono state pomposamente tramandate.
E questa assurdità complessiva di tutte quelle vicende è una dimostrazione di più, anzi forse la
dimostrazione più pertinente, che si è tenuta nascosta e poi mistificata la verità sulla morte di
Mussolini. Verità, che nei suoi risvolti era ovviamente a conoscenza di pochissimi.
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