Luigi Bonotto dialoga con Patrizio Peterlini

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Luigi Bonotto dialoga con Patrizio Peterlini
Luigi Bonotto
Patrizio Peterlini
Luigi Bonotto dialoga con Patrizio Peterlini
Conferenza presso la Sala di consultazione, 25 marzo 2014
LB – Luigi Bonotto
PP – Patrizio Peterlini
MP – Marcella Pralormo
P – Intervento del pubblico
MP – Buonasera e benvenuti, l’ospite di questa sera è Luigi Bonotto, un imprenditore
del tessile vicentino che ha fuso arte e imprenditoria. La sua passione e la sua
collezione sono entrate a far parte anche della vita della fabbrica; ha infatti applicato
i principi della corrente Fluxus, vale a dire la flessibilità e l’apertura a tutte le forme
d’arte, anche all’interno della sua attività lavorativa. Questa passione per l’arte si è di
recente concretizzata nella nascita di una vera e propria istituzione, una Fondazione
nata l’anno scorso, la cui sede fisica, presso Bassano del Grappa, è stata disegnata
dall’architetto Chipperfield. Lo scopo è preservare la collezione e i moltissimi
documenti legati agli artisti di Fluxus affinché vengano tramandati ai posteri. Dialoga
con lui Patrizio Peterlini, direttore della Fondazione Bonotto. Proietteremo un film 1
sulla collezione e la nascita della Fondazione, poi i nostri relatori dialogheranno
entrando meglio nel merito della questione.
LB – Grazie a tutti voi per essere presenti e un grazie particolare alla direttrice della
Pinacoteca che mi ha inseguito con discrezione e costanza per mesi finché non ho più
potuto dire di no. È contro la mia natura parlare e farmi vedere in pubblico ma questa
volta mi sono lasciato convincere. Con me c’è il dottor Patrizio Peterlini, direttore
della Fondazione nata pochi mesi fa a Venezia, presso le scuole di Architettura e
Fashion design e inaugurata da una madrina d’eccezione: Yoko Ono. Io vi racconterò
1
Il film è visibile liberamente al seguente indirizzo: http://www.fondazionebonotto.org/it/home.
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di come ho creato questa realtà, mentre Patrizio vi parlerà del tipo di arte che ho
collezionato.
PP – Cominciamo a conoscere questa storia straordinaria accennata nel film.
Chiederei a Luigi di raccontarci qualcosa delle sue origini, della sua famiglia, degli
studi, della sua gioventù.
LB – La mia famiglia appartiene alla borghesia della campagna veneta e ha sempre
coniugato religione, politica, affari e arte. Sono nato e cresciuto in un ambiente
famigliare molto religioso, ricordo che mia madre era addirittura la persona di
riferimento del vescovo di Vicenza per tutta la nostra zona e che si incontravano
abbastanza frequentemente per discutere di varie questioni. Il vescovo quando
veniva a casa mia nascondeva delle caramelle nelle maniche e come arrivava mi
chiamava “Luigin” e lasciava cadere le caramelle. Si liberava così di un rompiscatole
per qualche mezzora. Per quanto riguarda l’ambito politico ho avuto degli zii e un
fratello che hanno ricoperto la carica di sindaco del paese di Marostica, la mia
cittadina d’origine. Ho passato tante di quelle mezze giornate nel castello di
Marostica, sede del comune, che quando ci ritorno mi sento subito a mio agio;
respiro l’aria come se fosse quella di casa mia. Il fiuto per gli affari invece è da far
risalire a nonno Luigi, che ai primi del Novecento iniziò a fare fortuna con la
lavorazione della paglia. A Marostica si trovava questa materia prima in abbondanza,
sembra una cosa molto semplice ma era preziosa perché il terreno di quella zona
mancava di molte sostanze minerali e il frumento cresceva con il gambo sottile e
malleabile, estremamente adatto a essere lavorato. Il nonno faceva cappelli di paglia,
ha iniziato con questa attività e mio padre l’ha portata avanti, fino a che non sono
arrivati gli “uomini nati senza testa”: apparentemente i cappelli di paglia non
andavano più di moda, nessuno voleva più comprarli, se non per i lavori nei campi.
Negli anni settanta ho preso in mano io l’attività, introducendo la lavorazione dei
tessuti.
PP – Mi raccontavi che già tuo padre ti portava alle mostre e ti parlava d’arte.
LB – Avevo ancora i calzoncini corti che papà, non dico settimanalmente ma almeno
ogni dieci o quindi giorni mi portava a vedere un museo o una mostra. Mi raccontava
dei grandi artisti rinascimentali. È partito da Giotto arrivando fino a Michelangelo e
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mi parlava moltissimo degli artisti veneti. Quando facevamo queste visite io speravo
sempre di non incontrare il custode, perché i due iniziavano a pescare fra i ricordi e
intavolavano conversazioni del tipo: «Là su quella parete c’era il famoso… là su
quell’altra parete c’era… e adesso non c’è più.» Durante la guerra molte opere sono
andate perdute, ma loro si ricordavano di tutti questi particolari e io, che ero ancora
un ragazzino, dopo un po’ mi annoiavo. Ricordo la prima volta che papà mi ha
regalato dei libri d’arte, erano quelli su cui aveva studiato lui stesso al liceo, era la
Storia dell’Arte. Mia madre, che era molto religiosa, era piuttosto contrariata e
questo suo atteggiamento non faceva che incuriosirmi ancora di più: «Perché non
posso vederli?» chiedevo.
PP – A proposito di curiosità, c’è un aneddoto che mi hai raccontato, quello della
biblioteca di Bassano dove andavi a cercare i libri futuristi.
LB – Negli anni successivi al ’62-’63 mio padre mi aveva parlato molto dei futuristi e
io, incuriosito, volevo saperne di più. A quei tempi la biblioteca di Marostica non
aveva libri sul Futurismo e quindi io partii in bicicletta e andai a Bassano a chiedere
se avessero libri sull’argomento. Il bibliotecario mi guardò come per dire: «Ma non ti
vergogni a leggere questi libri?» Naturalmente questo mi incuriosì ancora di più e
chiesi di vederli tutti. Col tempo ho capito perché il bibliotecario aveva reagito così:
durante il fascismo a Bassano hanno avuto luogo terribili eccidi e il movimento
futurista era in qualche modo legato alla politica. C’era da vergognarsi a parlarne, era
un tabù. Poi naturalmente i tempi sono cambiati e in questi giorni a New York ho
visto una mostra sul Futurismo italiano, mancavano molte opere importanti ma era
documentata bene e offriva una valida panoramica.
Quando mio padre ritornava dai suoi viaggi mi parlava dei futuristi, degli
espressionisti e di Picasso che era il suo artista preferito. Così ho cominciato a
interessarmi a questi pittori e scultori e a quello che facevano; per me è stata una
grande lezione di cui ho fatto tesoro per tutta la vita.
Giunse poi il momento di andare a scuola e papà mi iscrisse a Valdagno, alla scuola
tessile. Là c’era Marzotto, 2 un centro di riferimento sia per il settore tessile che per
l’arte, che organizzava ogni anno un famosissimo premio di pittura, scultura, filosofia
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Marzotto è una famosa fabbrica tessile italiana con sede a Valdagno, in provincia di Vicenza.
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e teatro. 3 Era un premio per la cultura e l’arte in generale, istituito nei primi anni
cinquanta e chiuso nel ’68 sull’onda della contestazione studentesca. L’ultimo
premiato fu Burri. Immaginate: Burri aveva portato due o tre lavori molto grandi, dei
sacchi con dei numeri e delle cuciture, quando il vecchio Marzotto vide i sacchi della
lana che lui buttava incorniciati come opere d’arte quasi impazzì al pensiero di aver
sborsato milioni per acquistarli.
Un altro bel ricordo è l’arrivo degli artisti pop americani alla Biennale di Venezia del
’68. C’era un gallerista di Venezia che cercava di importare opere appena arrivate da
New York. Mi sfugge il suo nome ma ricordo che portò dei fiammiferi enormi 4 e altri
lavori della Pop Art americana, erano tutti oggetti molto grandi. Marzotto arrivò e
disse: «Ma cosa state facendo qui? Il mercato nel mio giardino? Via tutti, via tutti!» e
non volle vedere nulla. Io ero uno degli organizzatori e rimasi deluso, mi ero
impegnato perché si prendessero accordi per portare qualche opera a Valdagno ma
Marzotto non ne volle sapere. Ho conosciuto tutto questo mondo, sia italiano che
europeo, un ambiente che mi ha permesso di entrare in contatto con persone che
sono diventate punti di riferimento nella mia vita, come i figli degli industriali tessili
che mi sono stati di supporto quando ho avviato la mia attività. Altro fattore
essenziale alla mia crescita fu il fatto che abitavo in una zona molto frequentata dagli
artisti: arrivavano ogni anno per il Premio Marzotto e io ho avuto la fortuna di
incontrare personaggi come Burri, Fontana e Arman, solo per nominarne qualcuno.
Questi incontri hanno iniziato a mettere in discussione il mio modo di concepire il
mondo: l’Arte Retinica e l’Astrattismo, che apprezzavo, hanno cominciato ad attirarmi
sempre meno e ho iniziato invece a interessarmi al Dada e a tutta l’Arte Concettuale.
PP – È in quel periodo che hanno avuto luogo gli incontri decisivi che ti hanno aperto
gli occhi rispetto a questo modo di concepire l’arte.
LB – Negli anni sessanta frequentavo Milano, una sera del ’62 o del ’63 ero in un
circolo scacchistico e ho incontrato Marcel Duchamp che per me era già in quegli anni
un personaggio mitico. Gli ho chiesto se gli andava di giocare a scacchi e lui mi ha
accontentato. Abbiamo fatto una partita e io dopo dieci mosse ero già distrutto. Gli
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Il Premio Marzotto è stato un premio internazionale istituito nell’ottobre del 1950 da Gaetano Marzotto
presidente dall’omonimo gruppo tessile con prima edizione nel settembre del 1951. Sono state fatte diciotto
edizioni fino alla chiusura definitiva nel 1968.
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Si tratta probabilmente dell’opera di Claes Oldenburg (Stoccolma, 1929), artista e scultore svedese
naturalizzato statunitense.
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ho detto: «Mi spiace di essere stato così debole» e lui: «Non ti preoccupare, ognuno
tira fuori quello che ha dentro».
PP – Quali sono state le persone che ti hanno introdotto al Fluxus e alla Poesia
Sperimentale? Si tratta di un passaggio fondamentale, se non ricordo male tu hai
iniziato a collezionare le opere degli artisti che frequentavi, come Tancredi e Vedova.
LB – Vedova l’ho sempre amato moltissimo, oltretutto è stato un mio maestro,
quando frequentavo l’Accademia. Finiti gli studi di tessitura mi sono fermato a
Valdagno a insegnare disegno e struttura tessile. In quel periodo avevo intenzione di
dedicarmi all’insegnamento e fare l’artista, poi qualche mese prima dell’esame di
stato all’Accademia ho deciso di cambiare vita e qualche anno dopo ho dato le
dimissioni dall’insegnamento. Ricordo il giorno in cui mi sono licenziato da scuola e
sono tornato a casa, avevo già due figli e non sapevo come dirlo alla famiglia. Davanti
alla porta di casa vidi mia moglie e mia suocera che chiacchieravano. Pensai:
«Adesso è il momento giusto per confessare quello che ho fatto». Mi sono avviato
verso di loro lasciando la macchina parcheggiata con il motore acceso.
PP – Pronto per la fuga.
LB – Dissi loro: «Mi sono licenziato, a scuola non vado più». Mia suocera ripeteva:
«Ah! Rovina famiglie!». Per fortuna avevo lasciato il motore dell’auto accesso, me ne
andai e rientrai a casa dopo qualche ora, quando le acque si erano un po’ calmate.
Queste sembrano storielle ma sono i fatti della mia vita.
Dopo aver lasciato l’insegnamento ho iniziato a lavorare tessuti molto particolari
intrecciando striscioline in pelle; forse proprio grazie a questi ho avuto l’occasione di
conoscere la direzione della Bassetti e ho cominciato a lavorare da loro come stilista
d’abbigliamento, un’attività che mi piaceva e per giunta prestigiosa. Qualche tempo
dopo Ada Montanari 5 ha sentito parlare di me e mi ha chiesto di disegnare una
collezione anche per lei. Così ho iniziato la mia attività, il mio lavoro vero e proprio.
Mi sono lasciato attirare dall’abbigliamento e credo di essere stato uno dei promotori
dello stile italiano nel settore tessile perché continuavo a fornire nuove idee, nuovi
materiali.
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Azienda di tessuti per l’arredamento.
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Nello stesso periodo ho conosciuto anche Ferraresi, stilista presso il Gruppo
Finanziario Tessile 6 in viale Emilia 6 a Torino e siamo subito diventati amici. È stato
lui a mettermi il pallino del collezionismo, quindi è anche un po’ sua la colpa di tutto
quello che ho acquistato e collezionato.
PP – Persino l’indirizzo ti ricordi.
LB – Me lo ricordo bene, me lo sognavo anche di notte perché ogni dieci o quindici
giorni ero là in macchina. A quei tempi era uno dei punti di riferimento del pret-àporter italiano, c’erano dei marchi prestigiosissimi: Armani, Valentino e i francesi.
PP – È sempre impressionante ascoltare Luigi, per lui sembra tutto così naturale: «Mi
trovavo lì…». Però la storia che racconta è più unica che rara; una felice fusione tra
mondo dell’arte e mondo industriale che ha permesso lo sviluppo di un’azienda tra le
più importanti per produzione, innovazione dei materiali e continua ricerca. Dall’altro
lato c’è ammirazione per lo straordinario coraggio di lasciare un lavoro sicuro per
dedicarsi ad altro e interrompere rapporti che cominciavano a essere consolidati con
artisti come Tancredi e Vedova per avventurarsi con il Fluxus, ovvero con degli
oggetti poveri, piccoli, gioiosi e giocosi ma dal valore “nullo”, verrebbe da dire.
LB – In quegli anni, quando ho conosciuto questi artisti Fluxus ho iniziato a
condividere le loro idee. Quindi più che collezionista di opere ero un collezionista di
idee e di amicizie. E questo per me è sempre stato un fattore importantissimo. Ho
cominciato a frequentare gli artisti, ma non mi interessava il valore commerciale
dell’opera, mi importava piuttosto il contenuto. Poi naturalmente un artista tira
l’altro e in breve tempo casa mia era frequentata da circa duecento persone legate a
Fluxus e alla Poesia Sperimentale.
PP – Non tutti assieme, spero.
LB – Avevo imparato a non invitare mai contemporaneamente due esponenti della
Poesia perché trovavano sempre motivi per litigare, mentre gli artisti di Fluxus li
invitavo anche in quattro o cinque alla volta. Ho delle foto storiche scattate a casa
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Impresa tessile nata a Torino nel 1930 e chiusa nel 2002.
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mia e tra i presenti si riconoscono diversi esponenti di questa corrente. Fluxus non è
un movimento ma un atteggiamento verso la vita e verso l’arte: un artista può fare
cose totalmente diverse e complementari a un altro. Inoltre tra loro c’era un forte
legame d’amicizia e molto rispetto. I poeti invece avevano interessi in comune,
parlavano linguaggi simili e quindi trovavano sempre motivo e occasione per litigare
tra loro, cosa che mi dava abbastanza fastidio.
La mia routine quotidiana consisteva nelle normali attività di un imprenditore:
incontrare i clienti e i fornitori, parlare con gli operai. Ma una nuova categoria iniziava
a delinearsi: quella degli artisti che gravitavano attorno all’azienda tessile.
Addirittura la mia abitazione era diventata al contempo casa e capannone, un
tutt’uno.
PP – Un “casannone”.
LB – Un “casannone”, sì. Mi sono trovato a settantatré anni, vecchio, con tutti questi
ricordi e la mia collezione da archiviare nel modo corretto. Archivio perché voglio che
rimanga memoria di tutti i fatti e le cose che ho visto e vissuto. Se non lo facessi, la
memoria sparirebbe; mi sono sentito in dovere di portare avanti quest’opera di
archiviazione. All’inizio lavoravo su cartaceo, poi ho digitalizzato tutto, la mia
ambizione è mettere tutta la collezione on-line. La raccolta naturalmente non consta
solo di oggetti ma anche di documenti, fondamentali e talvolta più importanti delle
opere stesse. Sono documenti cartacei, visivi e sonori, una collezione mista.
PP – Volevo appunto sottolineare l’aspetto dell’archiviazione che è parte integrante
della tua collezione, quasi un’opera a sé rispetto a questo tipo di arte definita
“Intermedia”, sempre a cavallo tra un media e l’altro. È un’arte difficile da definire,
ha introdotto l’happenning e la performance in modo prepotente. Non è più un’arte
da esporre, ma un’arte alla quale in qualche modo ci si espone. È un’esperienza.
L’aspetto della catalogazione e dell’archiviazione dei documenti, delle fotografie, dei
video, delle performance è quindi parte integrante dell’opera stessa. Un’opera che è
ciò che rimane, ciò che resta dell’esperienza a cui ci si è esposti.
Prima si parlava di atteggiamento rispetto all’arte, un atteggiamento che ha
influenzato il tuo modo di affrontare la vita, ha cambiato radicalmente il tuo modo di
concepire il mondo.
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LB – E allo stesso tempo di concepire il prodotto. L’arte e la produzione sono due
aspetti che nella mia attività si intrecciano sempre di più e si alimentano a vicenda.
Alle volte capitava di trattare gli artisti come si tratta un cliente e viceversa. In
sostanza per me avere a che fare con un artista, elaborare con lui progetti e trovare
idee per nuovi lavori o discutere con un fornitore era lo stesso, non cambiavo
atteggiamento, anche in questo caso era un tutt’uno.
PP – Riguardo al pret-à-porter prima accennavi al fatto che sei stato uno dei pionieri,
un protagonista dietro le quinte.
LB – Dietro i grandi vessilli ero uno di quelli che a ogni stagione arrivava con nuove
idee per creare prodotti all’avanguardia.
PP – Allo stesso modo Fluxus ha creato un pret-à-porter dell’arte diffondendo il
concetto di democratizzazione. Oggetti piccoli, facilmente accessibili a chiunque,
poco costosi, venduti per corrispondenza con una rivista. Da una parte l’idea della
produzione seriale industriale e, dall’altra, l’esaltazione del pezzo unico attraverso il
piccolo intervento sul prodotto seriale. È un fenomeno che viaggia parallelo alla
produzione industriale, al recupero dell’artigianalità nel tessuto. È un percorso
interessante e fondamentale dove si intrecciano l’arte e la produzione di casa
Bonotto; sembra quasi un restaurare l’aura persa, il piccolo prodotto seriale
dell’industria che attraverso l’artigianalità e l’intervento manuale dell’artista diventa
qualcosa di unico. Dall’altra parte lo stesso: l’intervento e l’attenzione dell’artigiano
trasformano un tessuto in qualcosa di straordinario. È un percorso unico. Si è creata
una felice osmosi in questo luogo mitico che è la Molvena, 7 in questa fabbricamuseo-casa, dove il confine fra un’attività e l’altra non ha più ragione di esistere. Gli
artisti che arrivano sono completamente affascinati dai tessuti e dicono: «Butta via le
mie opere, queste sono le vere opere! E tutti questi tessuti. Questa è la vera
biblioteca!» Tutto ciò ha dell’incredibile. Da un lato l’arte ha aperto gli occhi e ha
permesso di vedere il mondo produttivo sotto una nuova luce e, dall’altro le capacità
tecniche, o anche solo la disponibilità dei tecnici dell’officina presenti in fabbrica, ha
permesso agli artisti di sviluppare progetti che altrimenti non avrebbero potuto
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Bonotto la Fabbrica Lenta, è situata a Molvena nei pressi di Vicenza.
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realizzare. C’è stato uno scambio tra i due mondi che ha portato alla creazione di
oggetti straordinari.
LB – In questo modo anche gli operai si sentono più valorizzati, come se anche loro
fossero artisti, vivono insieme alle opere e le due realtà si fondono. I miei operai non
dicono: «Andiamo al museo a vedere le opere» ma: «Andiamo in fabbrica a vedere le
opere.» Si informano quando arriva qualche artista. Purtroppo ultimamente se ne
vedono sempre meno ma sono loro stessi a portare avanti i progetti, proponendo
nuove idee.
PP – Il fenomeno straordinario che si verifica quando in fabbrica sono presenti gli
artisti, al lavoro su installazioni e opere, è che la pausa caffè diventa un momento di
discussione collettiva tra operai e artisti per trovare le soluzioni adatte a realizzare i
lavori. È una cosa che rende gli operai e gli artigiani partecipi di un sogno comune.
Quest’idea del sogno, del dream è tra l’altro la prima vera azione fatta da Luigi
Bonotto nel 2009 con Yoko Ono. Dream fu un’operazione organizzata in occasione
del premio alla carriera a Yoko Ono e consisteva nella realizzazione di manifesti di
grande formato, anche di sei o dieci metri, con stampata la sola parola Dream affissi
negli spazi pubblicitari cittadini. Questo progetto svela e spiega l’aspetto utopico del
sogno di Luigi di trasferire l’arte nelle strade, portarla ovunque in modo diffuso, nei
negozi, nei luoghi pubblici e rendere disponibile tutto on-line. L’idea utopica di
democratizzazione radicale e di libero accesso all’arte è un sogno straordinario; chi
lavora in fabbrica a Molvena ne è partecipe, lo vive, lo respira e lo identifica come un
sogno proprio.
LB – Ieri mi è arrivata una copia di Magazine Plus, un giornale torinese che riporta la
notizia del giorno in cui Yoko Ono fece da madrina alla nascita della mia Fondazione.
C’è un’intervista di cui ora vi leggerò il passo in cui parla proprio di Dream: «Alcuni
anni fa alcuni manifesti riportavano la parola “dream” sulle facciate delle case, sui
ponti e anche alle fermate degli autobus di molte città italiane. Poco tempo fa è stato
presentato dalla casa editrice Flaneur&Dust il libro Dream, 8 l’ha visto, cosa ne
pensa?» Yoko Ono risponde: «Dream? Lo amo. È bellissimo e penso che Luigi
Bonotto abbia svolto un ottimo lavoro. Quello che ha fatto è stato dapprima
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Yoko Ono, Dream, Flaneur&Dust, 2013.
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rappresentare la parola “dream” come una dichiarazione della mia mente in molte
città italiane. Penso che questo abbia aiutato la gente, perché ormai il sogno è
perduto e noi dobbiamo riportarlo fra noi. Poi ha messo il libro in una scatola ed è
fantastico. La parola torna a parlare, a dire a dichiarare. Una parola per parlare di noi
nel rumore visivo e uditivo che ci circonda.» Questo è il riassunto della grande
operazione che abbiamo messo in piedi, il progetto è stato portato a termine in tre o
quattro anni di lavoro e questa Fondazione è nata con lo scopo di promuovere arte e
industria. I prodotti di queste due realtà sono così intrecciati da non riuscire più
distinguere qual è il prodotto industriale e quale quello artistico.
PP – Quando si è deciso di girare il film ci si è interrogati sul da farsi: parlare solo
della Fondazione o solo della collezione? E la risposta naturale è stata: parlare di
entrambe, perché l’aspetto straordinario è proprio questo miscuglio. Il film doveva
trasmettere la sensazione di trovarsi di fronte a una realtà ibrida e poliedrica. L’uso
stesso della parola “collezione” è ambivalente, rappresenta sia la collezione di
tessuti che quella di opere. Da tutto questo fermento è nata in seguito l’idea di
trasformare la fabbrica in un vero e proprio museo, con opere dislocate in tutti gli
spazi produttivi e negli uffici. Sta diventando un percorso dove il lavoro quotidiano
dell’operaio è sullo stesso piano di quello dell’artista. E ciò influenza
considerevolmente chi ci lavora e chi viene in visita. D’altronde l’idea iniziale di fare il
museo a Bassano snaturava un po’ questo luogo “magico”.
LB – Snaturava l’idea di partenza da cui tutto è nato. Snaturava soprattutto l’intento,
per me è stato un percorso costruito giorno per giorno. Quando abbiamo iniziato a
esporre le opere sui muri dei magazzini, la commissione sindacale è intervenuta
dicendo: «E se qualcuno rovina qualcosa chi ne sarà responsabile?» Abbiamo dovuto
convincerli che anche gli operai che frequentano la fabbrica e l’abitazione sono
artisti, che non c’è differenza tra l’artista che arriva da New York e loro che sono in
fabbrica ogni giorno a lavorare. Per me si tratta delle stesse persone, degli stessi
artefici di tutto ciò che è stato creato qui dentro. Tutti guardano alle opere con la
mente aperta, sono diventati tutti fratelli.
PP – Pian piano adottano anche loro questa nuova visione del mondo.
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LB – Non hanno più paura di rovinare le opere, anzi io stesso ho detto loro: «Se me le
rovinate ne facciamo delle altre, ce ne sono talmente tante! Non abbiate paura». E
così hanno vinto il timore.
PP – Stimolante anche l’esperienza di contatto con gli artisti: ci sono delle scene nel
film dove Corner 9 fa una performance-concerto all’interno dell’azienda, usando i
rumori delle macchine al lavoro con tutti gli operai assieme.
LB – Il titolo era Passeggiando passo ad ascoltar la musica. Corner ha preso un
registratore e passava da un telaio all’altro: pur essendo tutti della stessa marca e
molto precisi, avevano un suono diverso a seconda del tessuto che stavano
lavorando. È stata una bellissima performance. Quest’estate invece è venuto a
Molvena Geoffrey Hendricks, 10 ha preso un po’ di abiti miei e un po’ dei suoi, li ha
ingessati e dipinti tutti di azzurro, il titolo era Il ritratto dell’ artista e del
committente. Al mattino trafugavo capi d’abbigliamento sotto lo sguardo stupito di
mia moglie, che diceva: «Ma dove li porti, cosa ne fai?»
Fra i tanti aneddoti mi viene in mente quella volta che, parlando di arte che si
autodistrugge, 11 avevamo scaldato una piastra da cucina fino a farla diventare rossa e
avevamo messo un rubinetto che a intervalli regolari lasciava cadere sulla superficie
incandescente una goccia d’acqua. Il risultato era paradossale perché si vedeva la
goccia d’acqua “camminare” sulla piastra rossa di calore. Spostavamo il rubinetto da
destra a sinistra, così quando la goccia evaporava ne cadeva immediatamente
un’altra, noi ci divertivamo e la gente si stupiva: «Ma come fa a non evaporare?».
L’acqua evaporava ma cadeva subito un’altra goccia, di continuo. L’ultima opera che
ho realizzato, in questi giorni, è costituita da un grande cubo in cui è stata messa
della mica che, grazie a un flusso d’aria, continua a girare dentro al cubo.
Posizionando alcune luci in un certo modo si vedono dei riflessi cangianti.
Naturalmente dopo qualche ora la mica diventa polvere, si disintegra, e con essa si
distrugge l’opera. Riempiendo nuovamente il cubo con la mica ricomincia il
“giochino”.
9
Philip Corner (New York, 1933) è un compositore, pianista, teorico musicale californiano.
Geoffrey Hendricks (Littleton, 1931) è un artista americano tra i primi aderenti a Fluxus.
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La conversazione avvenne con Gustav Metzeger a Molvena nel 1990. Entrambe le opere, Hotplate with
Water Globe (1968) e Air Cube with Mica, sono state realizzate su progetti di Metzger donati a Luigi Bonotto.
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PP – Tutto sommato si è sempre trattato di un gioco. Molte delle opere conservate in
collezione, i pezzi unici diciamo, sono nate come giochi tra Luigi e gli artisti, mentre
la maggior parte della collezione è costituita da multipli, in perfetto accordo con lo
stile di Fluxus e della Poesia Sperimentale.
LB – Un altro episodio che ricordo risale a quando Eric Andersen 12 è arrivato con una
edizione di Balbuzie fatta col colore e io mi sono accorto che un po’ alla volta
scoloriva: esposto alla luce il pigmento perdeva di intensità. Abbiamo quindi pensato
di fotografare l’opera una volta all’anno per dieci anni consecutivi e abbiamo
preparato cinque cassetti in cui di volta in volta mettevamo le foto scattate, sempre
nelle stesse condizioni dell’anno precedente. Abbiamo ottenuto una sequenza con
tutte le gradazioni del colore che man mano sbiadisce. È un’opera a cui sono molto
affezionato perché ci è voluto un percorso di dieci anni per terminarla.
PP – Altri esempi sono il lavoro appena concluso di Metzger 13 e quello di Patterson. 14
Anche questi li si potrebbe definire “scherzi” che si trasformano pian pano in
momenti di vita, diventano vere e proprie opere d’arte all’interno di questa relazione
di costanti scambi e di amicizia.
LB – Ti riferisci all’opera Arte Italiana di Patterson. Graziella [la domestica] se ne
ricorderà perché siamo andati avanti anni e anni per finirla. L’idea è nata così: un
giorno tornando da Firenze portai con me come souvenir un grembiule con la
riproduzione di una parte anatomica del David. Arrivato a casa trovai Ben Patterson
ospite a pranzo e proposi a Graziella di indossare il grembiule per cucinare. Lei, che
era timida, scappava via da tutte le parti e Ben rideva di queste scene. Parlando lui
scoprì che esistevano anche altri articoli e addirittura delle mutande con la stessa
fantasia del David e mi chiese se potevo portargliene. Mi ci sono voluti un paio d’anni
per procurarmeli perché non riuscivo più a trovarli a Firenze. Ben li prese e se li portò
via. Qualche tempo dopo mi trovavo a Parigi, stavo arrivando a Sant Germain verso le
sei o le sette e tutto il traffico era bloccato. Scesi dal taxi e sentii: «Signore e signori,
ecco a voi le mutande di Luigi Bonotto!» Cosa stava succedendo? Vauthier 15 stava
12
Eric Andersen (Atwerpen, 1940) è un artista belga tra i primi aderenti a Fluxus.
Gustav Metzger (Norimberga, 1926) è un artista tedesco inventore della Auto Cretive Art e della Auto
Destructive Art vicino al gruppo Fluxus.
14
Ben Patterson (Pittsburgh, 1934) è un musicista e artista statunitense tra i fondatori di Fluxus.
15
Ben Vautier (Napoli, 1935) è un artista francese aderente a Fluxus.
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allestendo una mostra in una galleria e insieme a Ben Patterson decise di passare in
dieci gallerie ed esporre quelle mutande all’entrata di ognuna: le mutande di Luigi. È
stata un performance a complemento dell’opera, anzi forse il nucleo centrale
dell’opera. Ben Vautier da bravo burlone si divertiva, era andato a prendere un
altoparlante e gridava forte, così anch’io mi sono unito a loro, ci siamo divertiti
veramente. Dopo un anno o due Ben Patterson mi telefonò chiedendomi se potevo
andare a prenderlo all’aeroporto, ci andai volentieri e lui arrivò con dei pacchi: dentro
c’era tutta l’opera, i grembiuli erano incollati su una tela. Aveva con sé anche il
librettino di documentazione delle sue performance e tra le tante c’era anche quella
della presentazione delle mutande nelle varie gallerie parigine.
PP – Sembra uno scherzo, ma guardando bene ci si rende conto di essere di fronte a
una interessante riflessione sulla riduzione dell’arte italiana a gadget industriale: le
grandi opere vengono svilite e diventano oggetti da mercatino, souvenir per i turisti.
LB – Un’altra opera che è nata a Molvena è Fluxus Balance for Luigi, di Mieko
Shiomi. 16 Mieko non ha mai realizzato pezzi unici, ma sempre delle serie. Ne ha fatta
una prendendo delle bilance e disponendovi sopra dei pesi e dei bigliettini con frasi e
citazioni di vari artisti e persone di cultura, facendo in modo che i due piatti fossero
sempre in equilibrio. Ne ha fatte nove, e gli artisti che passavano da casa mia erano
liberi di contribuire all’opera aggiungendo le scritte e i pesi che preferivano, purché i
piatti restassero sempre in equilibro. A questo lavoro hanno partecipato artisti di
Fluxus come Eric Andersen, Geoffrey Hendricks, Dick Higgins, Alison Knowles,
Giuseppe Chiari e Ben Patterson. 17 Anche questo è stato un lavoro lungo, durato
sette o otto mesi, e come gli altri anche questo poteva a prima vista sembrare un
“gioco”.
PP – Più che di un collezionista che s’innamora delle opere d’arte e decide di
raccoglierle in modo ossessivo per averle tutte, emerge la figura di un gran
giocherellone che incontra artisti altrettanto giocherelloni e insieme costruiscono,
quasi per scherzo, una delle collezioni più importanti d’Europa.
16
Mieko (Chieko) Shiomi (Okayama, 1938) è una artista e compositrice giapponese aderente a Fluxus.
Dick Higgins (Cambridge, 1938 – Quebec, 1998 ), Alison Knowles, (New York, 1933 ), Giuseppe Chiari
(Firenze, 1926 – 2007) sono artisti Fluxus.
17
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LB – Gli artisti, conoscendo i miei interessi, mi portavano sempre i documenti che
riuscivano a reperire nei loro archivi, contribuendo anche in questo modo alla
collezione. I vari documenti, sia quelli fotografici che tutti gli altri, li ho raccolti
proprio con l’aiuto di queste persone. Ed è per questo che dicevo di essermi sentito
in obbligo di catalogare tutto. Quando non ci sarò più tutte queste conoscenze
svaniranno nell’oblio, mentre, se sono codificate, rimarranno nella memoria dei
posteri.
PP – Anche nel film si parla dei documenti che permettono la ricostruzione di tutte le
connessioni esistenti tra i due mondi della Poesia Sperimentale e di Fluxus che
all’apparenza sembrano lontanissimi. In realtà sin dall’inizio i contatti sono sempre
stati molto frequenti: discutevano, spesso litigando, ma sono due mondi paralleli,
legati se non altro dall’idea di network e di Arte Postale, che nasce in ambito Fluxus
ma che poi viene sviluppata dai poeti in tutto il mondo.
LB – Mi viene in mente Ray Johnson, 18 che forse fu il numero uno, l’iniziatore dell’Arte
Postale. Anche lui faceva parte di Fluxus e nel passaggio dall’arte visiva a quella
concettuale usava ancora i colori e iniziava a inserire nelle opere delle immagini in
modo non più tradizionale.
PP – Arriviamo al 2013, anno di nascita della Fondazione, che rappresenta il
coronamento di questo sogno di rendere fruibile e diffondere nel mondo le idee di
Fluxus e Poesia Sperimentale. Lo scopo è quello di mettere in contatto le persone con
l’arte, talvolta anche inconsapevolmente, come nel caso di Dream, che porta il lavoro
di Yoko Ono per le strade e sugli autobus, oppure la mostra di Beuys, allestita in un
grande magazzino di Milano. Il principio è quello di portare l’opera d’arte in un
ambiente dove difficilmente la si incontrerebbe, per far passare il messaggio anche a
persone che non sono gli abituali fruitori dell’arte, che non frequentano i musei o le
gallerie e che non s’interessano d’arte e non conoscono il mondo del collezionismo.
Questo pubblico inconsapevole non ha mai sentito parlare di Fluxus, ma
improvvisamente trova questi oggetti d’arte in posti inusuali, come una fabbrica o
una strada. Questo è l’aspetto veramente interessante di tutta l’operazione.
18
Ray Edward Johnson (Detroit, 1927 – New York, 1995) è stato un personaggio chiave della Pop Art e aderì a
Fluxus. È stato uno dei padri fondatori dell’Arte Postale.
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LB – È un aspetto a cui tengo molto, gli artisti che frequentavo negli anni sessanta e
settanta lavoravano con l’intento di distruggere il valore commerciale dell’opera.
Lavoravano in multipli o edizioni, proprio per non dare un valore commerciale.
Maciunas 19 è il maestro di questo metodo: lui vendeva tassativamente tutto a un
dollaro, tutto ciò che produceva o che “portava via dagli altri artisti”, perché poi
girarono parecchie storie…
PP – Proprio in stile Fluxus, fedele all’idea utopica di democratizzazione e diffusione
di un’arte semplice e alla portata di tutti.
LB – Un’altra storia simpatica è che Metzger ha lavorato un anno per organizzare uno
sciopero degli artisti contro le gallerie. Quando dichiarò iniziato lo sciopero l’unico a
partecipare fu lui, l’organizzatore. Ma queste cose erano nell’aria. Adesso lo stanno
riscoprendo e mitizzando, abbiamo continue richieste da tutto il mondo per
organizzare esposizioni di documenti e opere che aveva lasciato a casa mia.
PP – Ci sono curiosità dalla sala?
P – Io vorrei fare una considerazione. Ho conosciuto Luigi una sera, in visita alla sua
fabbrica, c’eravamo io, Francesco Brascati e l’artista greca Maria. Abbiamo passato la
notte in bianco: mi hanno tenuto sveglia perché erano affascinati dalla collezione,
l’hanno visitata più e più volte. È stata un’esperienza forte e non termina con
l’archivio, che sarà a disposizione di tutti, ma procede quotidianamente insieme alla
fabbrica, lenta ma inarrestabile.
LB – I miei figli la chiamano la “Fabbrica Lenta dal pensiero veloce” e sono loro che la
stanno sviluppando. Hanno ereditato lo stesso “vizio” del papà e sono partiti per il
mondo.
PP – Non solo del padre ma anche del nonno. Questa è la conferma che conoscere e
frequentare il mondo dell’arte fa bene all’imprenditoria per lo sviluppo di nuovi
scenari e nuove idee. È linfa vitale.
19
George Maciunas (Kaunas, 1931 – Boston, 1978) è stato un artista e architetto lituano naturalizzato
statunitense. Fondatore di Fluxus.
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LB – Non abbiamo mai preteso di insegnare agli artisti a tenere il pennello, abbiamo
imparato con loro giorno per giorno a metterci in discussione. Le cose non sono mai
date per scontate e anche quando viene presa una decisione, la si rimette spesso in
discussione il giorno dopo. Non perdiamo tempo e siamo sempre interessati alle
nuove realtà con cui quotidianamente entriamo in contatto. Questo ci ha permesso di
rimanere al passo con le evoluzioni del nostro tempo.
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Profili Biografici
Luigi Bonotto
Nasce in una famiglia della campagna veneta in cui, da sempre, si è cercato di coniugare arte,
politica e affari. Già il padre, e precedentemente il nonno, erano stati imprenditori di una
fabbrica artigianale a Marostica. Luigi frequenta l’Accademia di Belle Arti di Venezia dove entra
in contatto con l’astrazione storica di Tancredi, Vedova e Santomaso, con i quali allaccia inoltre
una relazione d’amicizia. Contemporaneamente inizia la sua carriera d’insegnamento all’Istituto
Industriale di Valdagno dove tiene la cattedra di Disegno tessile. Nel 1972 inizia la sua attività
imprenditoriale e di stilista per alcune delle più importanti firme di arredamento e
abbigliamento. Inizia a entrare in contatto con molti operatori del gruppo Fluxus, tra questi
Emmet Williams che lo introduce alla Poesia Concreta e alle altre ricerche verbo-visuali italiane
e internazionali. Si rende immediatamente conto che molti artisti che suscitano il suo interesse
sono difficilmente collocabili all’interno di un preciso movimento e arriva alla conclusione che le
barriere tra Poesia e Fluxus sono molto labili. L’azienda di Bonotto a Molvena e la sua
abitazione diventano luoghi di soggiorno e di incontro dove gli artisti discutono, studiano e
producono. In questo modo si consolida l’intreccio tra arte e impresa che costituisce tuttora il
cuore pulsante dell’attività industriale, oggi diretta dai figli Giovanni e Lorenzo. La collezione
non conserva solo le opere degli artisti, ma è custode di importanti documenti utili alla
ricostruzione della storia di questi movimenti. Tale materiale è in alcuni casi annotato dagli
artisti stessi o accompagnato da lettere di commento storico critico.
Patrizio Peterlini
Laureato in Lettere moderne e Psicologia clinica, ha conseguito un DEA in Psychanalyse Concept
et Clinique all’Université Paris 8. Membro partecipante della Scuola Lacaniana di Psicoanalisi in
Italia, è docente di Psicologia dell’arte presso l’Accademia Santa Giulia di Brescia. Dal 2005 al
2010 collabora con l’Archivio F. Conz curandone le pubblicazioni, le mostre e la catalogazione
delle opere e dei documenti. Suoi contributi sono pubblicati in numerosi cataloghi d’arte e in
riviste di psicoanalisi. Tra le sue pubblicazioni: Riviste d’ arte d’ avanguardia. L’ esoeditoria in
Italia negli anni ’ 60 e ’ 70 (Bonnard, Milano), Sarenco: le riviste, la lotta. Storia di un
esploratore d’ avanguardia (Nomadnomad, Brescia) e il film La Perf En Fin. La recherche de
Julien Blaine (Smoking Frog production & A. Parise, Verona).
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Luigi Bonotto, Patrizio Peterlini – 18
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