IL BUSINESS DEL TEMPO LIBERO NELLO SPORT

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IL BUSINESS DEL TEMPO LIBERO NELLO SPORT
studi
e ricerche
O
IL BUSINESS
DEL TEMPO LIBERO
NELLO SPORT
gnuno di noi, chi piuÁ chi meno e con
poche eccezioni, eÁ impegnato in attivitaÁ
di tempo libero, il cosiddetto leisure time;
anche se si tratta solo di leggere un giornale,
andare a bere un aperitivo al bar o guardare la
televisione a casa. Limitandoci a intendere il
tempo libero come tempo discrezionale che residua dopo il lavoro e le attivitaÁ quotidiane necessarie, concentriamo l'analisi sulle forme di
intrattenimento che soddisfano i seguenti requisiti: si svolgono fuori dalle mura domestiche e
sono a pagamento.
Gli ultimi trent'anni hanno testimoniato una
graduale e generale evoluzione dei comportamenti individuali rispetto all'uso e consumo di
questo leisure time e delle spese sostenute per i
divertimenti; tale trasformazione eÁ stata accompagnata da un considerevole aumento della
quantitaÁ complessiva di tempo ad esso dedicato. Il capitale tempo libero a disposizione di un
individuo nell'arco della vita era pari a 25.000
ore nel 1800, a 45.000 ore nel 1945, a 135.000
ore nel 1975 e a 170.000 ai giorni nostri. L'esponenziale aumento di questa disponibilitaÁ eÁ
la naturale conseguenza dei cambiamenti avvenuti nella societaÁ. Nel 1800 infatti la stragrande
maggioranza della popolazione era costretta a
lavorare per molte ore del giorno e il reddito
percepito serviva essenzialmente per l'acquisto
di beni di prima necessitaÁ, mentre i ceti piuÁ
ricchi (una esigua minoranza) avevano molto
tempo libero a disposizione. La quantitaÁ totale
di tempo libero impiegata dalla societaÁ era infatti concentrata quasi totalmente nei ceti alti.
Dopo la seconda guerra mondiale, questa
quantitaÁ risultava meglio distribuita fra la popolazione.
Una societaÁ via via piuÁ attenta alle esigenze di
tutti gli individui, uno Stato piuÁ democratico e il
boom economico sono stati gli ingredienti che
hanno garantito anche ai ceti meno abbienti
momenti di riposo piuÁ adeguati da dedicare al
leisure time. Con la rapida crescita economica
del Paese, sono migliorate le condizioni di vita
ed economiche di buona parte della popolazione e quindi anche la possibilitaÁ di spesa in attiLOMBARDIA NORD-OVEST
Una profonda trasformazione
ha caratterizzato negli ultimi decenni
il `consumo' del tempo libero,
con uno sviluppo e una diversificazione
dell'offerta che, in termini economici,
hanno raggiunto livelli elevatissimi.
In questo variegato panorama
lo sport raccoglie il maggior numero
di consumatori e genera il fatturato
piuÁ rilevante. Quando e attraverso
quali canali lo sport ha assunto in Italia
una propria e crescente dimensione
economica, diventando fenomeno
di mercato e fenomeno di massa?
Carlo Speroni
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disponibile dovuto alle modificazioni del processo produttivo e dei flussi di produzione,
nonche l'incremento della componente `non
materiale' dei beni prodotti (superamento del
cosiddetto fordismo) che attribuiscono al tempo di lavoro caratteristiche di maggior flessibilitaÁ rispetto ad altri tempi;
d. il riconoscimento da parte del governo, a
livello nazionale e locale, che sport e tempo
libero procurano benefici a tutta la societaÁ e,
di conseguenza, la decisione di un aumento di
stanziamenti di fondi disponibili per promuovere le attivitaÁ di sport e tempo libero.
GLI ATTORI DEL SETTORE TEMPO LIBERO
Le conseguenze principali della crescita esponenziale del capitale di tempo libero sono state
da un lato lo sviluppo del correlato mercato
(supportato anche dalla sempre piuÁ sistematica
applicazione dei tradizionali strumenti di marketing e dalle logiche di gestione economica
imprenditoriale uniti a contesti in linea teorica
extra-aziendali); dall'altro la moltiplicazione dei
concorrenti che hanno sviluppato nuove strategie offrendo occasioni di svago e di divertimento sempre piuÁ interessanti.
Gli attori che competono in tale settore,
infatti, secondo un recente studio apparso sulle pagine del ``Corriere della Sera'', hanno fatturato nel 2000 in Asia, Europa e Usa ben
996.000 miliardi di lire. Una cifra che fa impressione se si pensa che nel 1990 l'industria
dell'intrattenimento valeva giaÁ 150 miliardi e ha
avuto tassi di crescita annuali oscillanti tra il
10% e il 20%.
In questo settore i diversi prodotti, tra loro in
diretta concorrenza, sono accomunati dall'essersi progressivamente trasformati da semplice
occasione di svago in vero e proprio business:
l'aumento del denaro in circolazione e del complessivo volume d'affari del comparto ha modificato delle realtaÁ amatoriali in industria, con
leggi, principi e soprattutto finalitaÁ essenzialmente economiche. Si eÁ percioÁ registrata una
penetrazione delle logiche di mercato in orga-
vitaÁ che prima non esistevano o non erano alla
portata di tutti (libri, sport, cinema, viaggi ecc).
La crescita e lo sviluppo dell'industria del
tempo libero nel dopoguerra non avrebbe potuto prendere piede senza quattro trend strettamente legati fra loro:
a. l'aumento generale del reddito reale disponibile per il consumo di beni del tempo libero;
b. la crescita del numero di veicoli privati e
quindi la crescita della mobilitaÁ di buona parte
di popolazione;
c. un aumento nella quantitaÁ di tempo libero
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Anche se qualche accenno sull'argomento eÁ
giaÁ stato riportato, eÁ difficile trovare una data
ufficiale cui far risalire l'origine del matrimonio
tra sport ed economia nel nostro Paese, prescindendo naturalmente dal mercato dell'industria produttrice di articoli sportivi (racchette
da tennis, scarpe da ginnastica ecc). Oltre all'industria del prodotto sportivo e al settore
dell'edilizia nello sport, l'economia si eÁ inserita
nel mondo sportivo soprattutto attraverso tre
importanti canali:
a. la nascita di un vero e proprio professionismo
sportivo e il conseguente pagamento di stipendi
e rimborsi agli atleti che possono cosõÁ mantenersi (e in alcuni casi arricchirsi) attraverso l'attivitaÁ sportiva;
b. lo sviluppo della pratica della sponsorizzazione come strumento pubblicitario e contemporaneamente mezzo per finanziare manifestazioni sportive e atleti;
c. l'affermazione dello sport-spettacolo, resa
possibile dall'interesse sempre maggiore dimostrato dalle televisioni di tutto il mondo per le
manifestazioni sportive, che ha contribuito a
veicolare ingenti flussi di denaro verso queste
ultime ed eÁ certamente da riconnettere ai due
fenomeni descritti in precedenza.
Queste peculiari caratteristiche, aggiunte alla
intensitaÁ e alla complessitaÁ raggiunte dal fenomeno negli ultimi decenni, suggeriscono di distinguere due momenti temporali profondamente diversi all'interno del rapporto tra sport
ed economia: i primi anni del secolo fino quasi
alla fine degli anni Settanta, in cui le occasioni
di contatto tra industria e sport sono state sõÁ
importanti e anche capaci di destare un certo
clamore, ma sono rimaste tutto sommato circoscritte a episodi isolati (si veda il fenomeno
Ignis dell'industriale Giovanni Borghi); gli ultimi due decenni, caratterizzati dalla trasformazione profonda dello sport in un importante
fenomeno economico, capace di fatturare piuÁ
di 50.000 miliardi l'anno.
La presenza del denaro nelle vicende sportive, in contrasto con gli ideali decoubertiniani, eÁ
riscontrato piuttosto indietro nel tempo. Fin
nizzazioni per vocazione non imprenditoriali.
Tali logiche infatti possono essere applicate in
qualsiasi settore in cui esista uno scambio, anche se di tipo immateriale, ovvero in qualsiaisi
caso in cui esistano una domanda e una offerta
da fare incontrare su un mercato.
L'incremento delle disponibilitaÁ finanziarie e
dei livelli di istruzione, parallelamente alla crescita di tempo libero a disposizione, ha permesso un aumento dell'offerta di prodotti diversi di
entertainment, per rispondere alle esigenze di
un mercato sempre piuÁ complesso in cui va
evitato qualsiasi approccio generalizzato al mercato di massa: i consumatori vanno accuratamente segmentati, monitorando i trend economici, le tendenze socioculturali, i cambiamenti
tecnologici, ambientali e comportamentali che
influiscono sulle modalitaÁ di impiego della
quantitaÁ di tempo libero a disposizione di ciascun individuo. Per esempio, il settore della
musica si puoÁ dividere in musica classica,
rock, rap ecc. Perfino il microsettore della musica rock puoÁ essere ancora suddiviso in microsettori piuÁ ristretti, come quello dell'hard rock,
new wave, o addirittura per singoli gruppi o
cantanti.
Tra i numerosi attori di questo settore quello
in grado di raccogliere il maggior numero di
consumatori e di generare il fatturato piuÁ alto
eÁ sicuramente quello sportivo. Non eÁ un caso se
molti esperti economici oggi parlano di sport
come `industria quaternaria' o come `quinto
settore dell'economia'.
TEMPO LIBERO E SPORT:
EVOLUZIONE STORICA DI UN BUSINESS
Oggi lo sport eÁ un vero e proprio settore economico essendosi trasformato nel tempo da
semplice intrattenimento a `business del tempo
libero'. Nel bene o nel male, a seconda delle
opinioni, cioÁ eÁ dimostrato dall'incidenza del
settore tempo libero nell'economia nazionale
che eÁ misurabile in termini di fatturato, valore
aggiunto, numero di addetti, cosõÁ come quello
di qualsiasi altro settore industriale.
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industriali del settore, all'innovazione tecnica,
all'attenzione dedicata ai mezzi meccanici di
trasporto. Coppi fu il primo personaggio sportivo italiano intorno al quale la gente era portata a favoleggiare sui presunti favolosi guadagni.
Il pistard Antonio Maspes, durante i mondiali
milanesi del 1962 ripresi in diretta eurovisione,
rimase per ben 26 minuti immobile davanti alla
scritta Ignis (l'azienda di frigoriferi del suo patron Borghi, personaggio pressoche unico dell'epoca; basti pensare che oltre a Maspes e alla
Pallacanestro Varese, sosteneva economicamente anche i pugili Loi e Mazzinghi) e non lo fece
sicuramente senza un tornaconto personale.
Se il ciclismo ha avuto un ruolo di primo
piano nel coinvolgimento diretto dell'industria
nello sport, sicuramente non secondario eÁ stato
quello del calcio, soprattutto nella seconda metaÁ
del secolo. Il Centro sportivo Fiat esiste infatti
dal 1923; cosõÁ come la presenza della famiglia
Agnelli alle spalle della Juventus eÁ un dato storicamente accertato, anche se `gli Agnelli' non
sono mai apparsi come espliciti finanziatori. Resta il fatto che, sino alla fine degli anni Cinquanta, il calcio viveva in pratica all'ombra del ciclismo, piuÁ amato dal pubblico, meglio sostenuto
dall'industria e capace di garantire maggiori
guadagni ai suoi protagonisti principali. A differenza del calcio, dove le principali squadre continuavano a essere sovvenzionate da volenterosi
mecenati in cerca di gratificazioni personali, la
maggior parte dei finanziatori del ciclismo apparteneva giaÁ alla categoria degli imprenditori
che investivano nello sport come in una qualsiasi altra impresa orientata al profitto.
Anche dal punto di vista dello sport inteso
come spettacolo, il calcio stentava a decollare,
nonostante incentivi e sovvenzioni negli anni
del fascismo (costruzione contemporanea di
numerosi stadi). Il calcio faceva registrare maggiori incassi (per vedere il ciclismo non si paga),
ma la spesa sportiva nel suo complesso rappresentava appena il 5% della spesa totale per
spettacoli. A partire dagli anni Sessanta la situazione inizioÁ a cambiare: comparvero le prime
forme di sponsorizzazione; gli incassi subirono
dal 1880 i quotidiani d'informazione avevano
cominciato a occuparsi stabilmente di temi
sportivi, arrivando addirittura ad assumere in
prima persona l'onere organizzativo di gare ciclistiche e automobilistiche (nel 1913 il primo
Giro d'Italia organizzato dalla ``Gazzetta dello
Sport'' consentõÁ al foglio milanese di raggiungere le 100.000 copie di tiratura al giorno).
L'aneddotica sportiva ha ormai codificato, almeno per quanto riguarda l'Italia, la fatidica
prima volta nell'episodio che vide protagonista
l'irredentista trentino Costantino Reyer. Le cinque lire da questi inviate nel 1914 alla SocietaÁ
veneziana di ginnastica e scherma perche potesse continuare l'attivitaÁ segnarono la nascita della Reyer, sodalizio che fino a qualche anno fa
occupava un posto di primo piano nel panorama sportivo del capoluogo veneto, a cominciare
dal basket.
Risale al 1924 lo scandalo suscitato dal trasferimento del calciatore Virginio Rosetta dalla
Pro Vercelli alla Juventus per la cifra record di
50.000 lire: il clamore scaturõÁ non tanto dall'entitaÁ della valutazione, quanto piuttosto dalle
voci insistenti che parlavano di uno stipendio
riservato al giocatore, in un momento ancora
lontano anni luce dall'idea che lo sport potesse
diventare una professione.
Negli anni Trenta tennero banco i casi di
celebri calciatori (Meazza) diventati, in maniera
piuÁ o meno esplicita, testimonial di alcuni prodotti industriali (brillantine, aperitivi ecc.). Negli anni Cinquanta si ricordano i casi dei campioni olimpionici Zeno ColoÁ ed Ercole Baldini:
il primo, sciatore, fu accusato dal mondo dello
sci di avere fatto pubblicitaÁ a una marca di
scarponi; il secondo, ciclista, finõÁ sotto inchiesta
con l'accusa di avere violato la promessa olimpica di mantenere il proprio status di dilettante,
a fronte delle voci insistenti che davano per
sicuro il suo passaggio al professionismo nelle
file della Legnano.
Da questo punto di vista il ciclismo fu la
prima attivitaÁ sportiva che comincioÁ ad articolarsi su base spettacolare. Uno stretto intreccio
legoÁ lo sport velocipedistico agli interessi degli
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un'impennata; la nuova legge sul totocalcio 1
garantõÁ al settore un continuo e cospicuo afflusso di risorse e dal 1968 le societaÁ calcistiche
professionistiche diventarono addirittura societaÁ per azioni. Il 1960 costituisce un'altra data
importante per l'evoluzione del rapporto tra
sport ed economia in Italia, infatti si svolsero
a Roma le Olimpiadi grazie alle quali il nostro
Paese conobbe i molteplici risvolti economici di
una grande manifestazione sportiva.
Un altro fenomeno oggi molto diffuso, la cui
origine risale ad almeno cinquanta anni fa, eÁ
quello delle sponsorizzazioni sportive a livello
di club. In questo campo la primogenitura spetta
sicuramente alla pallacanestro, sport in cui la
Borletti entroÁ nel 1948 come sponsor ufficiale
dell'Olimpia Basket Milano. Otto anni piuÁ tardi
fu la volta, nella stessa disciplina, di un altro
marchio che ha fatto la storia dello sport italiano: l'Ignis di Giovanni Borghi, che legoÁ per lungo tempo il suo nome alle fortune della Pallacanestro Varese vincendo 7 scudetti, 4 coppe campioni e 3 coppe intercontinentali. Nonostante si
possa risalire fino agli inizi del Novecento per
trovare i primi segnali del crescente rapporto tra
sport ed economia, eÁ solo dagli anni Ottanta che
tale processo ha assunto dimensioni tali da poter
incidere realmente nella dimensione economica
del Paese. Si possono individuare cinque fenomeni che caratterizzano questi anni:
± le imponenti dimensioni dei flussi monetari
nello sport;
± l'evoluzione del concetto di professionismo
sportivo, e il suo riconoscimento da parte dello
Stato;
± lo sviluppo dell'industria sportiva, e il diffondersi della logica commerciale nella valutazione
delle attivitaÁ sportive;
± il nuovo ruolo assunto dagli sponsor;
± il boom della Tv e l'avvento dello sport-spettacolo.
LO SPORT COME FENOMENO
ECONOMICO E SOCIALE
Prima di analizzare le dimensioni economiche
dello sport, i dati quantitativi e gli attori che
oggi operano in questo settore, eÁ opportuno
definire in chiave economica il business dello
sport dal punto di vista del prodotto che offre e
del mercato a cui si rivolge.
Il prodotto eÁ rappresentato dai singoli eventi,
gli spettacoli sportivi, che sono comprati dagli
spettatori, dalla tv, dagli sponsor. Oltre che
eventi-spettacolo, si vende anche la possibilitaÁ
di una identificazione per i tifosi, per gli spettatori e per la comunitaÁ. EÁ proprio questa l'essenza del business: ci sono squadre (o atleti) che
competono tra di loro, lo spettatore ne sceglie
una e in essa si identifica. Gli elementi-chiave
per soddisfare il consumatore sono il risultato
agonistico e l'emozione associata. Sono queste
le valenze positive che attirano verso lo sport
anche l'industria che, in cambio di risorse economiche fondamentali per il sostentamento delle societaÁ sportive, acquista la notorietaÁ e la
visibilitaÁ dello spettacolo sportivo per promuovere le vendite dei propri prodotti e la propria
immagine attraverso il meccanismo delle sponsorizzazioni. A un'analisi piuÁ approfondita, possiamo dividere il mercato in tre segmenti:
a. il pubblico degli interessati allo spettacolo,
siano essi tifosi che non partecipano sempre
direttamente alla manifestazione sportiva o
spettatori che direttamente assistono agli eventi
o semplici appassionati che si limitano a seguire
lo sport in termini generali, senza preferenza
per una disciplina o squadra particolare;
b. le aziende sponsorizzatrici che producono
beni collegati o collegabili al mondo dello sport
o sono ad esso del tutto estranee, interessate a
trasferire le valenze positive dello sport sui loro
prodotti, sulla loro immagine, o a utilizzare lo
sport come veicolo promozionale per fare conoscere i propri prodotti e il proprio nome.
c. i mass-media, interessati ad acquisire l'audience che lo sport assicura per rivenderla a
fini pubblicitari e promozionali.
1
Legge 1117 del 29 settembre 1965, detta del fifty-fifty,
che ripartisce i proventi del totocalcio distribuendo il
26,5% allo Stato, il 38% al monte premi e il restante
35,5% al Coni.
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polazione. Nel 1996, secondo una ricerca del
Coni, si stima che in Italia circa 15 milioni di
persone praticassero regolarmente un'attivitaÁ
sportiva con predilezione per calcio e attivitaÁ
di palestra. Non a caso negli ultimi dieci anni
sono sorte palestre e centri di fitness che oggi
raccolgono 6 milioni di iscritti. Senza contare
poi le migliaia di squadre, operanti in varie discipline, che, grazie anche al lavoro volontario,
animano tornei e campionati dilettantistici. Il
settore sportivo eÁ il piuÁ ricco nell'ambito del
macrosettore del tempo libero sia dal punto di
vista degli attori e dei consumatori coinvolti e
dell'audience direttamente o indirettamente interessata sia dal complessivo giro d'affari che
esso eÁ in grado di generare.
Lo sport, punto di intersezione tra industria,
comunicazione, media, creativitaÁ e spirito agonistico, eÁ anche uno dei settori piuÁ complessi e
articolati, dato il gran numero di attori coinvolti. PuoÁ, infatti, collegare una molteplicitaÁ di
mercati distinti superiore a quella di qualsiasi
altro settore. E proprio questa caratteristica ha
consentito al sistema sportivo italiano di diventare un'azienda in grado di generare un fatturato, nel 1999, pari a 53.600 miliardi, ossia il
2,35% del Pil (producendo un valore aggiunto
superiore a quello di altri importanti settori, da
quello chimico a quello farmaceutico e altri ancora), dando occupazione a 560.000 addetti,
senza considerare il volontariato.
Per quanto finora esposto lo sport eÁ certamente uno dei fenomeni emergenti della nostra
societaÁ, non solo per l'emozione che trasmette,
ma anche per la complessitaÁ gestionale che lo
accompagna e per le risorse che coinvolge, dagli sponsor ai dilettanti. I contratti miliardari
delle stelle dello sport piuttosto che le sfilate
folcloristiche delle tifoserie sono soltanto le manifestazioni piuÁ evidenti di un fenomeno economico e sociale che ha invece un solido retroterra. Le cifre ci aiuteranno a considerare lo
sport non piuÁ solo come una parte importante
del vivere, ma come un vero e proprio settore
economico da analizzare, ne piuÁ ne meno di
quello alimentare o informatico.
Come mostra la tabella, eÁ infatti rilevante il
numero di persone che esso coinvolge. Il dato
dei praticanti rappresenta uno degli elementi
piuÁ significativi per cogliere la grande evoluzione in corso nel mondo sportivo. Per praticanti
si intendono le persone che, anche solo a livello
amatoriale o personale, praticano uno sport.
Sono i cosiddetti `sportivi attivi'. All'inizio degli
anni Settanta raggiungevano appena il 5% della
popolazione italiana, mentre all'inizio degli anni
Novanta avevano superato i 12 milioni (di cui 4
milioni di donne), pari a circa il 23% della poLO SPORT COME FENOMENO SOCIALE
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34.200.000 italiani (il 61,8% della popolazione totale con piuÁ di tre anni)
praticano ``una qualche attivitaÁ fisica o sportiva'', secondo l'Istat.
LA SEGMENTAZIONE STRATEGICA
DEL SETTORE
Di questi, 14.745.000 individui praticano sport in maniera regolare o sostanzialmente continuativa.
A farlo in ambito federale sono circa 8.000.000 di persone, mentre 2.850.000
(tenendo conto degli ipotetici doppi tesseramenti) risultano tesserate agli
enti di promozione sportiva, secondo i dati del censimento Coni 1995-96.
Ogni disciplina sportiva contribuisce in maniera differente al volume d'affari complessivo e
proprio la capacitaÁ di generare flussi finanziari
eÁ stata una delle due variabili che si sono prese
in considerazione per suddividere gli sport in
quattro raggruppamenti strategici omogenei
che mappassero l'universo sportivo.
L'altra variabile eÁ il livello di penetrazione:
sport a pratica elitaria o di massa. EÁ un criterio
che concerne il grado di coinvolgimento del
pubblico nella pratica dello sport. Esistono in-
3.900.000 ragazzi praticano sport a scuola, stando a una recente indagine
condotta da Nomisma per la Federazione italiana tennis.
14.400.000 spettatori, di cui 2.900.000 con meno di 18 anni, assistono a
eventi sportivi dal vivo (Istat).
Oltre 17 milioni di spettatori assistono regolarmente agli incontri di calcio in
televisione, quasi 11 milioni alle gare di Formula 1, 8 milioni alle gare di sci e
ciclismo, mentre almeno 4 milioni seguono le trasmissioni di altre sei discipline sportive (Eurisko).
5.700.000 individui leggono ogni giorno i tre quotidiani sportivi nazionali
(Audipress).
Fonte, Master in Management delle Organizzazioni Sportive, UniversitaÁ di San Marino, 1999.
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fatti degli sport che sono praticati da molte
persone in gran parte del mondo. Altre discipline fanno registrare invece una pratica molto
limitata. Si puoÁ quindi suddividere il mondo
dello sport in due grandi categorie: gli sport
connotati da una pratica di massa e gli sport
che presentano una pratica elitaria o limitata.
L'incrocio dei due criteri di segmentazione
daÁ origine a una semplice matrice a quattro
riquadri, ognuno dei quali costituisce uno dei
raggruppamenti strategici che mappano l'universo sportivo italiano. Il risultato finale eÁ quello rappresentato in figura che evidenzia quattro
tipologie di attivitaÁ sportive: gli sport di specializzazione, gli sport di localismo, gli sport di
natura amatoriale e gli sport ad alta intensitaÁ
di business.
Lo sport di specializzazione eÁ connotato da
una pratica elitaria di praticanti, ma i flussi economici che genera sono considerevoli. Caso
emblematico eÁ quello dell'automobilismo, capace di muovere notevoli flussi finanziari, ma connotato da una pratica elitaria: sono pochissime
le persone che praticano e possono praticare
questo sport. In questa categoria si possono
inserire anche il golf e il pugilato, senza scordare lo sci e l'atletica.
Nella categoria sport come localismo si possono inserire sport come il tamburello, l'hockey
su prato, il cricket e cosõÁ via. Sono sport praticati da pochi e che generano bassi flussi finanziari e un insignificante indotto. Al Coni spetta
il compito di sostenere tali discipline.
Nel raggruppamento degli sport amatoriali
troviamo le attivitaÁ dilettantistiche, incapaci di
QUANTO VALE OGGI IL MERCATO SPORTIVO IN ITALIA
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53.600 miliardi il giro d'affari complessivo (pari al 2,35%
del Pil)
43.000 miliardi di valore aggiunto (al costo dei fattori)
560.000 unitaÁ di lavoro standard equivalenti
6.500 miliardi di imposte indirette pagate allo Stato
39.000 miliardi di spesa delle famiglie
4.500 miliardi di investimenti pubblici
2.800 miliardi di investimenti da parte delle aziende
6.800 miliardi di esportazioni (3.300 nette)
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rente rispetto ad altri, quali la Grecia, dove la
pallacanestro eÁ lo sport nazionale, o la Spagna e
la Turchia, dove eÁ molto seguita sia dai media
che dai telespettatori. In questi paesi infatti il
calcio non monopolizza il mercato, ma l'interesse eÁ distribuito in maniera piuÁ omogenea. In
Italia il basket eÁ uno sport di nicchia e pur
non potendo contare su spazi televisivi, eÁ comunque in grado di generare elevati flussi finanziari intrasettoriali fatturando circa 100 miliardi l'anno (dati riferiti al 1998).
Alcune osservazioni si rendono necessarie
per poter applicare gli strumenti teorici abitualmente impiegati per analizzare un generico settore industriale. Le societaÁ di pallacanestro fanno capo a una struttura sovraordinata (Lega,
Federazione nazionale e internazionale), che richiede a ciascun membro di competere l'uno
contro l'altro. Questa forma di organizzazione
genera una importante peculiaritaÁ del settore
pallacanestro, cosõÁ come in quello sportivo in
generale, in relazione alle modalitaÁ di competizione tra le societaÁ in esso operanti, che le rende diverse dalle ordinarie aziende produttive.
Contrariamente a quanto accade per le imprese,
infatti, i club cestistici hanno un grande interesse nella continua sopravvivenza dei loro avversari: i team hanno bisogno di avversari contro
cui giocare e dipendono l'uno dall'altro anche
per creare quella competizione che risulta uno
degli elementi piuÁ attrattivi e di maggior interesse per gli spettatori 2, principali clienti della
azienda pallacanestro, anche se non gli unici.
Veniamo ora a considerare nel dettaglio i
punti di forza e di debolezza del settore. Questi
i punti di forza:
± istruzione: pubblico di estrazione sociale superiore a quello del calcio e con capacitaÁ di
spesa maggiori;
± elevata resa televisiva;
generare flussi finanziari e non attrattive in termini di business, ma praticate da moltissime
persone. Molto importante eÁ il ruolo svolto
dal volontariato e dalla scuola per fornire continui impulsi vitali alle attivitaÁ amatoriali.
Gli sport ad alta intensitaÁ di business sono
quelli che riempiono i palinsesti televisivi, che
sono molto praticati e generano elevati flussi
finanziari. Il calcio, il basket e il ciclismo possono sicuramente essere inseriti in questo raggruppamento. Sono discipline in cui eÁ importante lo spettacolo, ma dove non puoÁ mancare
l'agonismo. Il calcio di serie A e B ha generato
nel 1999 ricavi per 8000 miliardi e corrisponde
in valore al 15ë gruppo industriale nell'ultima
classifica di Mediobanca.
Tutte le discipline sportive sono accomunate
dalla presenza di alcuni protagonisti di fondo,
che si combinano con pesi specifici diversi a
seconda del tipo di sport e del livello di professionismo raggiunto: i soggetti istituzionali (Coni,
federazioni, leghe), le societaÁ sportive, gli sponsor e i media. Per gli sport di specializzazione e
ad alta intensitaÁ di business molto importanti
sono gli sponsor e i media: nel calcio la televisione fornisce il 37% dei ricavi e gli sponsor
l'11%, nella Formula 1 i diritti tv salgono al
70% e gli sponsor coprono il 10%), per il basket in media il 70% del fatturato eÁ generato
dagli sponsor e il restante 30% dagli incassi di
biglietti e abbonamenti con grandi differenze
tra un club e l'altro.
IL SETTORE DELLA PALLACANESTRO
Á E PROSPETTIVE
IN ITALIA: ATTUALITA
Alcuni sport come calcio e Formula 1 condividono in egual misura le cronache sia sportive
che economico-finanziarie. Molti studi economici sono stati realizzati sullo stato di salute di
questi sport. Al contrario, nonostante la pallacanestro sia il secondo sport piuÁ seguito per
incassi, non suscita altrettanto interesse da parte degli esperti. Uno dei motivi eÁ sicuramente
da ricercare nella scarsa attenzione dei media.
La situazione nel nostro Paese eÁ molto diffe3/2000
Il numero di spettatori che assiste a una gara eÁ funzione non solo della notorietaÁ della squadra di casa, ma
anche del prestigio, della forza e della pericolositaÁ di
quella avversaria, e tale pubblico saraÁ tanto piuÁ coinvolto
nell'evento quanto maggiore saraÁ il grado di spettacolaritaÁ offerto e il grado di incertezza sul risultato finale.
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dising, senza dimenticare le famiglie (lo spettacolo cestistico viene venduto in un ambiente
piuÁ caldo e sicuro di uno stadio);
e. migliorare il rapporto con la televisione: la
Lega dovrebbe sviluppare strategie in questa
direzione trovando alternative alla tv di Stato
(pay per view, internet ecc.);
f. catturare gli indecisi offrendo servizi al cliente che il calcio non puoÁ fornire per l'elevato
numero di spettatori;
g. introdurre normative con parametri di contenimento dei costi e di equilibrio finanziario
da rispettare.
Proprio in relazione a quest'ultimo punto eÁ
sembrato utile analizzare la serie A1 di basket
come se fosse un'azienda unica esplorandone lo
stato patrimoniale e il conto economico aggregato. L'approcio seguito eÁ stato quello di sommare i bilanci delle societaÁ di pallacanestro che
hanno disputato il campionato di serie A1 nella
stagione conclusasi il 30 giugno 1998 e riclassificarne le voci traducendo in informazioni piuÁ
utili i dati di carattere oggettivo. Dall'analisi
emerge che le fonti tradizionali, quali il capitale
fornito dai presidenti, i finanziamenti bancari, i
mutui federali, ecc., non sono in grado di rispondere adeguatamente ai fabbisogni delle societaÁ, soprattutto a causa di una lievitazione
della voce stipendi e dei costi di gestione. L'esigenza avvertita eÁ quella di slegarsi dalle risorse
dell'imprenditore, di individuare canali alternativi alle banche per diminuire l'incidenza degli
oneri finanziari e d'intervenire sulla struttura
finanziaria.
Le singole societaÁ incontrano poi difficoltaÁ
insuperabili nello sfruttare la risorsa dell'autofinanziamento, a motivo di bilanci in perdita
caratterizzati da una struttura di ricavi eccessivamente sbilanciata sui proventi da gare (abbonamenti e biglietti) e non in grado di fornire
un'adeguata copertura dei costi. Nei casi in
cui si realizzano le perdite minori, cioÁ eÁ spesso
da attribuire a proventi straordiniari (rinuncia
degli azionisti ai crediti verso la societaÁ), e non
a una gestione caratteristica profittevole. Non si
crea ricchezza, quindi, sull'insieme delle attivitaÁ
± numero crescente di appassionati;
± elevato numero di realizzazione con continui
ribaltamenti di fronte;
± forte spirito di squadra (tutti i giocatori sono
attaccanti e difensori con le stesse possibilitaÁ di
fare canestro);
± suspance: la partita non eÁ mai finita con continui ribaltamenti di fronte (a differenza del
calcio, dove spesso sul 2 a 0 la partita eÁ finita
e anche il pathos del pubblico).
E questi i punti di debolezza:
± monopolio del calcio, che occupa il 70% degli spazi radio Rai, il 30% di quelli televisivi,
l'85% di quelli dei giornali e delle riviste sportive e il 90% delle rubriche sportive, lasciando
poco spazio agli altri sport;
± difficile rapporto con i media, soprattuto con
la tv e la Rai che spesso sfrutta il proprio potere
contrattuale senza rispettare gli accordi;
± difficoltaÁ di reperimento di risorse economiche differenti dagli incassi da botteghino e dagli
sponsor;
± mancanza di spettacolaritaÁ, dovuta a regole
limitanti.
Per sfruttare al meglio i punti di forza ed
eliminare i punti di debolezza, cercando di
creare nicchie in cui crescere fidelizzando i
consumatori, eÁ auspicabile l'attuazione di alcune strategie:
a. migliorare le strategie di marketing per aumentare e diversificare le fonti di ricavo seguendo l'esempio della Spagna attraverso:
± ottimizzazione della creazione di risorse tramite televisione e sponsor;
± ruolo attivo della Lega nello spingere le societaÁ ad assumere un ruolo fondamentale nella
propria cittaÁ;
± diversificare le strategie in funzione della popolaritaÁ della pallacanestro nel territorio;
b. migliorare gli impianti rendendoli piuÁ funzionali;
c. commercializzare un marchio (la Lega basket) e i suoi protagonisti principali (attualmente Pozzecco, Myers, Meneghin);
d. puntare sul target di spettatori piuÁ numeroso
(25-34 anni) appetibile per sponsor e merchanLOMBARDIA NORD-OVEST
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pio migliore viene dalla Nba (si veda il box), ma
l'ipotesi di tagliare i costi con un salary cap
appare di difficile attuazione in Italia perche i
nostri team sono impegnati in Europa e se il
tetto fosse solo italiano se ne avvantaggerebbero i rivali soprattutto spagnoli e greci (nazioni
dove peraltro gli stipendi ai giocatori sono giaÁ
molto meno tassati) che ingaggerebbero i migliori atleti e vincerebbero di piuÁ.
La soluzione ideale sembrerebbe quella di
una regolamentazione dell'Unione europea
con direttive da applicare alle singole leghe e
federazioni, ma questa alternativa appare al momento lontana. Il contenimento dei costi deve
in ogni caso essere studiato a fondo e costituire
l'obiettivo primario della gestione della Lega,
anche se al momento attuale sembra difficile
pretendere una gestione coerente e accentrata
poiche le posizioni dei club sono ancora troppo
lontane. Manca un'unitaÁ d'intenti che porti all'introduzione di norme nel rispetto dell'equilibrio finanziario. Altrettanto utile la strada degli
sgravi fiscali, sulla quale il basket troverebbe
molti alleati (il mondo del pallone ad esempio),
o di una parificazione a livello europeo del prelievo fiscale per le societaÁ sportive, anche se
questa soluzione appare sicuramente la piuÁ difficile.
Sul fronte ricavi, invece, lo sviluppo di attivitaÁ orientate a una diversificazione delle fonti
appare una scelta obbligata per le societaÁ che
intendono perseguire realmente il fine di lucro.
La diversificazione dei ricavi dovrebbe essere
raggiunta attraverso:
a. sfruttamento delle nuove tecnologie: la vendita dei diritti di trasmissione su internet (eÁ
recente l'accordo tra Mediaweb e la maggior
parte delle societaÁ di serie A);
b. strategie di marketing volte soprattutto a
promuovere il basket con il supporto dei media
locali (radio, tv, stampa) e di media trasversali
come le istituzioni (scuole, comuni, province)
enti e associazioni;
c. rapporti di maggior collaborazione con gli
sponsor offrendo servizi accessori al semplice
cartellone a bordo campo, organizzando mani-
svolte con carattere continuativo, ma ci si avvicina al pareggio tramite eventi che per loro natura non costituiscono parte della missione societaria, quali finanziamenti a fondo perduto
dei soci e in alcuni casi la cessione degli atleti.
Vengono cosõÁ costantemente a mancare in ogni
societaÁ di pallacanestro di serie A1 i presupposti e le garanzie per il determinarsi di un risultato positivo di bilancio da reinvestire nella societaÁ. Molte infatti sono le societaÁ intervenute
piuÁ volte con operazioni sul capitale sociale, per
riduzione di questo al di sotto dei limiti legali e
soprattutto per riduzione per perdite.
I dati testimoniano la presenza di un management che non ha ancora operato il salto qualitativo necessario per gestire i club secondo
logiche aziendali. L'azienda pallacanestro, pur
dimostrando di essere molto gradita dai propri
consumatori che pagano prezzi elevati (superiori a quelli del calcio o di altre forme di intrattenimento come cinena e mostre), non raccoglie
una sufficiente quantitaÁ di risorse che le permetta di sopravvivere autonomamente. Non
sono rari i casi di fallimento o di fusione tra
societaÁ in difficoltaÁ. Basti pensare a due societaÁ
storiche come CantuÁ e Milano, che negli ultimi
anni sono state vicine al fallimento, salvate in
extremis dall'intervento di nuovi soci. Altri
esempi si possono individuare nella Pistoia,
scomparsa di recente, e nella gloriosa Gorizia,
che tanti talenti ha dato al basket (Tonino Zorzi
su tutti), ma che alla fine del campionato 199899 eÁ stata costretta a fondersi con la Pesaro
perdendo la serie A perche troppo indebitata
e non in grado di reperire nuove risorse.
Il calcio eÁ ormai passato a processi gestionali
piuÁ efficaci, con un'attenzione maggiore rivolta
al conto economico. Il basket eÁ ancora all'inizio
di tale processo e solo alcune societaÁ sembrano
seguire con convinzione questa strada (Rimini,
Varese, Virtus Bologna, Reggio Emilia, Siena)
nonostante, allo stato attuale, sia comunque difficile raggiungere l'equilibrio economico. EÁ in
ogni caso evidente che il contenimento dei costi
dovrebbe essere il primo obiettivo perseguito
dalle societaÁ. Da questo punto di vista l'esem3/2000
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festazioni ed eventi collaterali per promuovere
il basket e i prodotti delle aziende (e Varese,
Bologna, Treviso sono le migliori realtaÁ in Italia
da questo punto di vista, anche se sicuramente
sussistono le basi per migliorare ancora); strategie comuni con le societaÁ minori della provincia o limitrofe.
In ogni caso sembra mancare in Italia un'unitaÁ di intenti da parte delle societaÁ che porti
allo studio di norme e parametri nel rispetto
dell'equilibrio finanziario. EÁ auspicabile che
tali strategie siano perseguite anteponendo il
principio della sostenibilitaÁ economica a quello
sportivo: le societaÁ di pallacanestro dal 1996
hanno acquisito la forma giuridica di imprese
e come tali devono essere gestite, cioeÁ privilegiando l'equilibrio economico-finanziario sul risultato sportivo a tutti i costi. PiuÁ razionale ed
economicamente corretta sarebbe infatti una
situazione in cui tutte le societaÁ avessero un
limite di spesa e potesse vincere chi meglio investe le risorse e chi eÁ piuÁ abile nel reperirle,
cioeÁ chi meglio interpreta il ruolo di imprenditore sportivo.
Il privilegiare un risultato di gestione in pareggio, o meglio in utile, potraÁ esasperare meno
il mancato conseguimento del risultato sportivo. In tal caso diventeraÁ anche piuÁ facile pianificare negli anni l'attivitaÁ sportiva programmandola in tempi medi piuttosto che forzare il mercato artificialmente. Chi vince avraÁ la soddisfazione di avere lavorato bene e chi perde sapraÁ
come migliorare il proprio prodotto partendo
dal presupposto di avere comunque ottenuto
un risultato economico soddisfacente. Meglio
raggiungere un buon successo con le risorse
della societaÁ che uno scudetto `drogato' da investimenti spropositati.
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La Nba, eÁ la Lega meglio gestita e venduta al
mondo secondo il mensile economico ``Financial
World''. In questo caso si puoÁ parlare realmente di
business e di imprese con fini di lucro. Nel 1996
l'utile di tutti i club Nba eÁ stato di quasi 700 miliardi
e solo tre societaÁ su 29 erano in perdita, una perdita che comunque non superava il 5% dei ricavi
(al contrario del basket italiano, in cui nessuna
societaÁ eÁ mai riuscita a produrre utile, anzi, la
serie A1 ha generato nel 1998 una perdita d'esercizio di 40 miliardi a fronte di 99 miliardi di ricavi).
A conferma della redditivitaÁ economica di questo
settore negli Usa, in media, dal 1990 al 1998, il
valore economico delle franchige Nba eÁ cresciuto
del 13% all'anno e nell'ultimo anno del 17%, a
testimonianza del fatto che investire in questo
settore eÁ sicuro e redditizio. L'esame del conto
economico dei club Nba mostra che i ricavi delle
squadre professionistiche americane sono molto
diversificati, costituiti dagli incassi per i biglietti e
gli abbonamenti che rappresentano il 40% delle
entrate, la vendita dei diritti televisivi e radiofonoci sia nazionali che locali (40%) e infine i cosiddetti introiti supplementari strettamente dipendenti dall'impianto, cioeÁ l'affitto di suite per assistere alle partite a imprese o persone, negozi,
ristoranti e cartellonistica all'interno del palazzetto che sono la voce in piuÁ forte espansione.
In Italia nessuna societaÁ eÁ proprietaria del proprio palazzetto e i palazzetti sono spesso vecchi,
trascurati e poco funzionali. La redditivitaÁ economica della Nba eÁ sicuramente legata al sistema
sportivo e all'interesse che gli americani nutrono
per questo sport, nonche alle capacitaÁ manageriali dei dirigenti, ma anche da una norma fondamentale che sarebbe molto utile in Italia sia nel
basket che nel calcio, il salary cap. Salari e stipendi dei giocatori costituiscono il 51% dei costi
totali, a differenza dell'Italia, dove rappresentano
il 71%. I costi sono piuÁ contenuti per effetto di un
tetto salariale, il salary cap appunto, che le societaÁ non possono superare per pagare gli stipendi dei giocatori. Dal 1999, in funzione del nuovo accordo raggiunto tra il sindacato dei giocatori
e la Lega, il limite eÁ fissato al 51,8% dei ricavi.
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