N A C N - Istituto Italiano di Cultura Cracovia
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Cultura e Società l'Adige martedì 27 gennaio 2015 Polonia 2015 Oswiecim La memoria è accettata Per il settantesimo della liberazione del lager, anche il Trentino a Cracovia e nella cittadina di Auschwitz Rose Schindler, sopravvissuta ad Auschwitz, e il marito Max, entrambi 85 anni. Hanno recitato il kaddish per i morti al cancello dell’infamia (foto Czarek Sokolowski) DENISE ROCCA A ncora dieci anni fa, Oswiecim, in Polonia, era una piccola municipalità a una sessantina di chilometri da Cracovia, dal passato urbanistico recente. Nulla di speciale, nessun motivo particolare per parlarne. Ancora oggi ci si arriva da una strada che attraversa boschi bellissimi, resti di quella campagna che la circondavano anni addietro. Ancora dieci anni fa, nel 60° del 1945, quando partiva il Treno della Memoria, Oswiecim era poco conosciuta nel mondo col suo nome polacco, e poco amata in patria con quel nome, Auschwitz, che i tedeschi le avevano dato. Per i polacchi, i morti nel campo di concentramento più famoso del mondo, erano soprattutto i resistenti polacchi, messi al primo posto sui volantini per il 27 gennaio, prima perfino degli ebrei, rom, omosessuali, soldati russi: di quelli si faticava ancora a parlare, in un rigurgito di antisemitismo misto alla rabbia di chi, nella storia, è sempre finito dalla parte degli oppressi. Oswiecim per la Polonia era il simbolo del martirio polacco: popolo bistrattato dalla storia, sempre in mezzo a fare da Stato-cuscinetto e parare i colpi dei grandi del mondo impegnati a farsi la guerra. E i polacchi a morire e subire occupazioni e umiliazioni. È la prima cosa che ancora oggi la gente a Cracovia racconta: questo passato di resistenza sottile ma caparbia, con poche soddisfazioni ma tanto cuore. Ancora dieci anni fa, nel pezzo di Polonia più prossimo ad Auschwitz, serpeggiava una rabbia sorda e diffusa veso il resto del mondo per essere diventati l’unico simbolo dell’orrore tutto umano dello sterminio, di una memoria generosamente scaricata da tutti sulle spalle tedesche e di questo pezzettino di mondo polacco che nessuno indaga, perché d’altronde basta dire Auschwitz e poi cade il silenzio. N el Giorno della Memoria 2015 i polacchi dimostrano di aver cominciato a fare i conti con il proprio passato: Cracovia è una cittadina europea dove si è entusiasti di far parte dell’Unione, i ragazzi giunti in una delle università più antiche d’Europa sono sempre di più e con loro hanno portato una ventata di apertura ed euforia che è palpabile passeggiando verso il Wawel, nel cuore del centro storico. I fondi europei fanno marciare l’economia, e col cuore più leggero si può anche guardare al passato e ai giudizi della sto- Superate la vergogna e la rabbia di non essere riconosciuti tra le vittime del campo degli orrori ora i polacchi vogliono sentirsi europei: e ciò anche grazie agli studenti coetanei del Treno ria con più serenità: il Museo di Auschwitz è attivissimo nel raccontare ai polacchi e al mondo i fatti che qui accaddero, al di là degli stereotipi; i campi di concentramento non sono più taciuti ma i cartelli che offrono guide e tour riempiono le vie di Cracovia, Polonia, Europa. «Oswiecim oggi per i polacchi rimane una ferita aperta - spiega Ugo Rufino, direttore dell’Istituto italiano di cultura a Cracovia - e fino a poco tempo fa si tendeva a rimuovere questa tragedia storica di cui loro malgrado i polacchi sono stati protagonisti: furono i primi ad essere internati, le retate hanno cambiato volto a questa parte di Polonia dove la presenza e la cultura ebraica erano fortissime. Oggi Kazimierz, l’ex ghetto ebraico, è il nuovo simbolo della rinascita culturale della città con i suoi festival di musica ebraica, segno di una nuova apertura verso il passato, in continuità culturale con ciò che Auschwitz e altri luoghi analoghi hanno cercato di cancellare». E per questo 27 gennaio la città, coperta da una coltre di neve pesante e bagnata, è in fibrillazione per l’arrivo di centinaia di delegati occidentali, in rappresentanza dei Paesi che all’indomani del conflitto fondarono il Museo di Auschwitz. Dall’Italia, atteso il presidente del Senato Pietro Grasso. E c’è pure un pezzettino di Trentino: Giuseppe Ferrandi, direttore della Fondazione Museo storico, si occuperà a fianco della collega della Fondazione Fossoli - dell’introduzione storica alla 4 giorni di commemoriazioni organizzata dall’Istituto italiano di cultura. Mentre un gruppo di ragazze giudicariesi che hanno partecipato al Treno della Memoria 2014 rappresenteranno oggi pomeriggio il raccontospettacolo del loro viaggio, creato all’indomani del Treno. C iascuna delegazione porterà una corona per ricordare, oggi più di ogni altro giorno, le vittime dei campi. Le visite ai campi sono sospese, la polizia monitora ogni angolo di tutta l’area che circonda Auschwitz, atterrare al Balice-Giovanni Paolo II, uno dei due aeroporti della città, è un’impresa: all’arrivo del presidente francese Francois Hollande, ieri pomeriggio, un cordone di sicurezza ha fermato chiunque transitasse in quel momento, e il rito si ripeterà infinite volte anche oggi. La cittadina brulica di attività: Tadeusz, autista di riferimento della comunità italiana a Cracovia, non conta i transfer dall’aeroporto, hotel e ristoranti attendono l’arrivo delle delegazioni, e gli ostelli si preparano ad accogliere nei prossimi giorni l’arrivo dei primi 750 giovani del Treno della Memoria, il maggiore progetto italiano, giunto al suo decimo anno di attività, che per oltre un mese porterà a intervalli regolari ragazzi da tutto il Paese a conoscere Oswiecim e il suo passato. A Cracovia e ad Oswiecim, questo 27 gennaio 2015 ha il sapore del riscatto e della maturità: quello di un popolo che raddrizza le spalle, prende in mano un passato difficile per guardarlo in faccia e superarlo e lo fa invitando il mondo intero ad Oswiecim, piccola municipalità polacca che non ha più voglia di essere, agli occhi del mondo, solo e soltanto Auschwitz, la capitale dell’orrore. IL MONOLOGO Ritorna nelle scuole Alfonso Masi, da Levi a Wiesel Le parole per dire 100 volte il camino Alfonso Masi e l’opera del pittore Franco Ferlenga riprodotta in locandina N el settantesimo anniversario della liberazione del lager di Auschwitz, Alfonso Masi, lo storico «maestro» delle Crispi, riprende il suo monologo «Tu passerai per il camino» - arrivato ormai oltre le cento repliche - nel quale viene rappresentata la vicenda di un sopravvissuto di Auschwitz che tutte le notti nel sogno rivive l’incubo del lager: il lungo viaggio, l’arrivo, i primi giorni, il marchio, le proibizioni, la fame, le malattie, i soprusi, le selezioni, le camere a gas e la liberazione finale. La recita si basa su di un assemblaggio di brani tratti specialmente da Primo Levi, Peter Weiss, Elie Wiesel, Elisa Springer; il titolo invece è mutuato dal volume di Vincenzo Pappalettera, antifascista che, nel lager di Mauthausen, si sentì rivolgere proprio quell’augurio da una ss. Il monologo si apre con l’incubo che ritorna puntuale ogni notte: «Alle raus! Achtung! Los los! Verboten! Alle Kaputt! Tu passerai per il camino! No, no, non voglio passare per il camino! Non sono nel lager! Sono nel mio letto! Il lager, il lager non esiste più. Sono passati ormai settant’anni; sono qui nella mia casa, con mia moglie, vicino ai miei figli, ai miei nipoti. Sono libero, libero, non ho nulla da temere: tutti gli uomini sono uguali senza distinzione di sesso, di razza, di lingua e di religione. Lo garantisce la Costituzione della mia Italia. È tutto finito! È tutto finito, ma questa rappresentazione nella mia mente ritorna, uguale, tutte le notti con grida, fiamme, malattie, soprusi, violenze e morte. Tutto cominciò dopo l’arresto insieme ad altri cinquecento fratelli ebrei. E a noi prigionieri fu annunciata la partenza per il giorno dopo». Uno dei momenti più significativi, ad Auschwitz, è il rito del tatuaggio, dopo essere stati denudati, lavati e vestiti con gli abiti del lager. In questo caso a ricordare sono le parole di Primo Levi: «Poi sull’avambraccio sinistro ci tatuarono il numero. Le cifre furono impresse nella pelle con timbri a spillo. E alle fine ci fregarono sopra inchiostro di china. Lo porteremo finché vivremo il marchio, il numero tatuato sul braccio sinistro. Allora per la prima volta ci siamo accorti che la nostra lingua manca di parole per esprimere quest’offesa: la demolizione di un uomo. Noi non siamo più uomini, ma prigionieri: Haftlinge. Condizione umana più misera non c’è, non è pensabile. Siamo arrivati sul fondo. Nulla è più nostro, ci hanno tolto gli abiti, le scarpe, i capelli, le piccole cose che anche un mendicante possiede: un fazzoletto, una vecchia lettera, la fotografia di una persona cara, cose parte di noi, quasi membra del nostro corpo. Ci hanno tolto anche il nome. Se vorremo conservarlo, dovremo trovare in noi la forza di farlo, perché qualcosa di noi, di noi quali eravamo, possa ancora rimanere». I ricordi dei sopravvissuti si alternano con le deposizioni dei testimoni e degli imputati al processo di Norimberga, così come si trovano nel testo teatrale «L’istruttoria» di Peter Weiss; parlando degli stupidi e criminali esperimenti sui corpi femminili, viene riferito il toccante incontro di una donna con una bambina del lager: «Un giorno arrivai in una baracca piena di cadaveri. E vidi che qualcosa si muoveva tra i morti. Era una bimba. La portai fuori e chiesi: - Chi sei? Da quando sei qui? -Non lo so. - Come mai sei qui in mezzo ai morti?- E la bambina rispose: -Tra i vivi non posso più stare. La sera era morta. In quel momento ho deciso di non avere mai dei figli». Il monologo si conclude con la liberazione di Auschwitz e con le parole ferme, dure, imperative di Primo Levi: «Ricordate che tutto questo è veramente successo». Il monologo verrà presentato da Alfonso Masi oggi alle 8.15 al Liceo Da Vinci, alle 11 al Rosmini di Trento; domani, mercoledì 28 gennaio, alle 9 alla media di Aldeno; giovedì 29 gennaio alle 9.30 alla media di Albiano; il 4 febbraio alle 10.30 in biblioteca a Cavalese. 9