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Università degli Studi della Calabria Facoltà di Lettere e Filosofia Dipartimento di Archeologia e storia delle arti PROGETTO DI DOTTORATO Culti indigeni e santuari extra-urbani in Magna Grecia Candidato: MARIA COSTANZA GAGLIANESE ANNO ACCADEMICO 2011 - 2012 1. INTRODUZIONE Il progetto che intendo proporre ed affrontare in questo ciclo di ricerca è incentrato sullo studio storico e archeologico dei culti all’interno dei santuari rurali della Magna Grecia, al fine di interpretare correttamente tali luoghi, capire quindi se è giusto identificarli con il termine di rurali in contrapposizione al mondo urbano espresso dalla polis. L’argomento principale sarà il rapporto tra i culti, le credenze e i miti delle popolazioni indigene italiote e i coloni greci. Lo sviluppo di un tale obiettivo di ricerca sarà compiuto mediante l’utilizzo di alcune fondamentali discipline, quali: Storia Greca, Letteratura Greca, Cultura Greca, Antropologia culturale, Numismatica, Archeologia e storia dell’Arte Greca, e Archeologia e Storia dell’arte della Magna Grecia. Queste materie non saranno altro che alcune delle “chiavi” di lettura in aiuto allo studio dei Culti indigeni e dei santuari rurali (extra-urbani) in Magna Grecia. 2. NOZIONI STORICHE PRELIMINARI 2.1 LA COLONIZZAZIONE GRECA DI VIII – VII SECOLO « Queste terre d'Italia e questa riva / vèr noi vòlta e vicina ai liti nostri, / è tutta da' nimici e da' malvagi / Greci abitata e cólta: e però lunge / fuggì da loro. I Locri di Narizia / qui si posaro; e qui ne' Salentini / i suoi Cretesi Idomeneo condusse; / qui Filottete il melibeo campione / la piccioletta sua 1 Petilia eresse. » Tra l'VIII ed il VII secolo a.C., un flusso migratorio originatosi da singole città della Grecia, motivato sia dall'interesse per lo sviluppo delle attività commerciali, che da tensioni sociali interne si diresse sulle coste meridionali dell'Italia (Basilicata, Calabria, Campania e Puglia) dando vita alla fondazione di diverse città. La località dove far sorgere la nuova colonia era individuata dall'ecista (dal greco οἰκιστής) che seguiva le indicazione ricevute dall'Oracolo di Delfi. I primi Greci ad arrivare in Italia meridionale furono i Calcidesi dell'isola di Eubea, che occuparono dei grandi mercati commerciali a Pithecusa (Ischia) e a Cuma, già noti ai micenei. Giunsero poi i Corinzi che si stabilirono nell'isoletta di Ortigia (dove sorgerà la grande Siracusa) nel 734 a.C. e gli Achei del Peloponneso che fondarono Sibari e Crotone fra il 710 e il 709 a.C; Metaponto Vito che si trova tra il Bradano e il Basento, fu fondata dagli Achei della Laconia 1 Virgilio, Eneide, libro III. chiamati alla fine del VII secolo a.C. dai Sibariti per fronteggiare gli Spartani di Taranto; essi poi fondarono Laos, Scidro e Poseidonia; i Crotoniati Terina, i Locresi Ipponion e Medma poco più a sud. I Focesi invece a sud di Paestum fondarono Elea, una città che divenne famosissima per la sua scuola dove insegnarono Parmenide e Zenone. Altri Achei in questo stesso periodo fondarono Caulonia, arrivarono poi i Locresi, i quali fondarono una città cui diedero lo stesso nome della patria d'origine, cioè Locri. L'incontro tra due culture diverse fu importantissimo. I colonizzatori che avevano un governo già consolidato, erano grandi navigatori, conoscevano la scrittura e l'uso delle monete e praticavano il commercio e l'artigianato, influenzarono positivamente gli abitanti della nostra penisola che invece vivevano di una primitiva economia di sopravvivenza basata sulla pastorizia e sull’agricoltura. Avendo seguito l'evoluzione della Civiltà Greca, per i coloni questo fu il periodo in cui fu raggiunta la massima ricchezza economica, e il massimo splendore in campo culturale ed artistico. Come conseguenza diretta ci fu che verso il III secolo a.C., si cominciò a definire le colonie greche dell'Italia meridionale come facenti parte della Magna Grecia (Megálē Hellàs), riferimento che si presume sia stato coniato nelle colonie stesse, per mostrare la loro grandezza in relazione al passato, sebbene l'espressione Megálē Hellàs si attesta per la prima volta relativamente tardi, nel II secolo d.C., in un passo dello storico greco Polibio2. In questo periodo, anche la Sicilia vide sorgere diverse colonie greche, che però non facevano parte della Magna Grecia, a differenza di quello che invece pensavano gli storici romani. Così come le poleis greche godevano di una loro indipendenza e autonomia, e spesso erano in contrasto tra loro per motivi politici e di conquista, anche nell'organizzazione delle colonie della Magna Grecia si rifletterà la stessa situazione e ciò causerà la distruzione di fiorenti città come ad esempio Sibari e Siris, inoltre, le lotte intestine e l'eterna rivalità tra le poleis, porteranno ad un indebolimento delle città magno-greche che diverranno facile preda dei conquistatori romani. 2 Polibio, Storie, II 39, 1-6. 3. CULTI E CREDENZE 3.1 PRINCIPALI SANTUARI E CULTI E DELLA MAGNA GRECIA Nell'antichità un ruolo fondamentale era rivestito dalla sfera religiosa che rappresentava la cultura e l'identità di un'etnia e di un popolo. Inizialmente i conquistatori insediatisi nelle nuove terre per affermare la loro supremazia sulle popolazioni, il loro dominio sul territorio, il nuovo ruolo politico e sancire così le loro conquiste spazzarono via gli italici idoli ed innalzarono templi alle divinità del Pantheon greco trapiantando le loro tradizioni religiose e civili in Magna Grecia. Successivamente la convivenza o la vicinanza tra i due popoli portò ad un'integrazione. Questo determinerà una sovrapposizione dei culti e delle tradizioni indigene ed elleniche, che in alcuni casi vengono a confondersi: mitici eroi si fondono con divinità locali (numi e custodi di sorgenti, grotte e fiumi) che esprimono la potenza delle forze naturali. Caratteristiche della religiosità magno-greca erano la sua impronta arcaica, che la distingueva dalla madrepatria; e il fatto che molti santuari extraurbani (i più antichi) erano dedicati a divinità femminili. Secondo gli studiosi in tali aree sacre avvennero i primi approdi dei coloni greci in luoghi già stati occupati precedentemente dai Micenei, di conseguenza i primi luoghi di culto risalirebbero ad un periodo anteriore alla stessa colonizzazione greca, ad epoca micenea, se non minoica (XIII-VIII sec. a.C.). Potrebbero confermare tale ipotesi i numerosi santuari extraurbani eretti in onore di Hera, divinità che apparteneva al Pantheon miceneo, insieme ai santuari dedicati ad altri numi arcaici, come Persefone, Afrodite, Dioniso, che si riconducono a i riti pastorali e agrari del mondo arcaico. Erano soprattutto le divinità femminili a proteggere i luoghi di approdo e i punti di passaggio, alle porte della città. Hera, sorella e moglie di Zeus, signora della natura, sovrana degli animali, protettrice delle nozze e del parto, liberatrice dalla schiavitù, rappresentava la fecondità e garantiva l'armonia della polis: era infatti la dea che meglio incarnava il nuovo ordine imposto con la violenza ai popoli sottomessi (questo culto era venerato soprattutto dagli Achei che lo esportarono nelle terre d'Occidente). Heraia furono eretti nelle colonie ioniche di Crotone (i santuari di Capocolonna e di Vigna Nuova), Sibari (il santuario dedicato ad Hera Leucadia) e Metaponto (l’Heraion delle Tavole Palatine). Il santuario di Hera Lacinia a Capocolonna era un asylon, un luogo di rifugio e affrancamento degli schiavi tra più celebri del mondo antico. Persefone, divinità greca degli inferi, figlia di Zeus, era l'espressione dell'amore nuziale e fecondo, protettrice dei raccolti. Fu venerata a Locri (il santuario della Mannella) e a Satyrion, primo stanziamento dei coloni laconici, i quali poi si spostarono più ad ovest per fondare la colonia di Taranto. Afrodite dea dell'amore non fecondo, della sessualità, si poneva quindi in antitesi a Persefone. Un'antica tradizione greca la considerava nata dalla schiuma del mare. Il suo culto fiorì soprattutto nei pressi dei grandi empori, vicino ai porti dove si praticava la prostituzione sacra, è celebre la stoà di Locri sacra ad Afrodite identificata come lupanare. I culti di Hera, Persefone e Afrodite testimoniano il forte nesso esistente tra la donna e la terra, così avvertito nelle nuove terre di conquista, potrebbero, inoltre, anche essere espressione del ruolo centrale dato alla donna nella famiglia magno-greca. Athena, figlia di Zeus, nacque dalla sua testa; rinunciò alla sua femminilità rimanendo vergine e vestendo i panni della dea guerriera. Era venerata in tutta la Grecia, ma particolarmente nell'Attica. In occasione delle Panatenee, feste celebrate in suo onore ogni quattro anni, le fanciulle di Atene le facevano dono di un peplo sontuosamente ricamato. Gli Achei portarono il culto nelle colonie di Taranto, Siri, Sibari, Crotone e Locri. Artemide, dea della caccia, il suo culto, era vivo a Reggio col nome di Artemis Phakelitis (dal greco phakelon, fasci di sarmenti, vegetali delle paludi). Tra le divinità maschili, invece, erano particolarmente vivi i culti di Zeus, Apollo, Hermes e Dioniso. A Zeus, padre degli dei, veniva dedicata generalmente l'area dell'agora (la piazza sede della città). Suo figlio Apollo, fratello di Artemide, era considerato dai Greci il dio del bene e della bellezza, colui che mantiene l'ordine e fa rispettare le leggi. Celebre l'oracolo di Delfi, che veniva consultato prima della fondazione delle colonie. Il culto di Apollo delfico era venerato a Crotone, nelle monete della città, infatti, era riportato il tripode delfico, uno dei simboli di Apollo Pizio; questo titolo onorifico gli fu attribuito dai Greci per aver ucciso Pitone, un drago mostruoso nato dal fango, che devastava il territorio di Delfi. Il culto fu portato a Crotone da Pitagora, e con la venuta del filosofo a Metaponto, Apollo fu venerato anche in questa città e nelle colonie di fondazione achea. Il santuario di Apollo Alaios presso Punta Alice sembrava rafforzare il confine crotoniate lungo il limite del fiume Nicà, che lo separava dal territorio di Sibari. Hermes, invece, era la guida negli incerti cammini, protettore dei pastori, dei ladri, dei giovani nella adolescenza, accompagnava i morti nel passaggio verso l'aldilà. Il culto di Dioniso, il dio greco del vino, era originario della Tracia e aveva un carattere estatico; veniva celebrato soprattutto dalle donne, le famose Baccanti, che vestite di pelli di animali, celebravano con urla e danze le loro orge notturne. Fedeli al culto arcaico di Dioniso erano i cittadini di Taranto. Platone in visita alla città scrisse "a Taranto nella nostra colonia ho potuto assistere allo spettacolo di tutta la città in ebbrezza per le feste di Dioniso, nulla di simile accade da noi". Anche ad Heraklea era particolarmente sentito il culto di Dioniso, testimoniato dai resti del tempio e dal rinvenimento delle celebri tavole bronzee databili al IV secolo a.C. 3.2 LA FUNZIONE DEI SINGOLI CULTI I santuari di Hera, Apollo e Demetra nel mondo ellenico erano spesso extraurbani. La posizione di un santuario importante per la vita religiosa di una città era variabile, e spesso erano ubicati a pochi chilometri dalla polis. Se i piccoli santuari rurali erano visitati occasionalmente, per questi altri il cittadino in occasione dei festeggiamenti e delle funzioni religiose doveva recarsi in mezzo allo agros, nel mondo selvatico. Possiamo supporre che a questa ubicazione fuori la normalità rispondesse il carattere del culto. Quando un luogo era scelto per un santuario “perché creduto grato alla divinità” veniva precisato: il carattere di una divinità è essenzialmente definito dal carattere del suo culto, ed è proprio il carattere del culto che interessa per la scelta del luogo. Significativi a tal proposito sono i culti di Demetra e Core, culti delle donne, culti con cerimonie appellate árreta, con riti misteriosi, che spesso riguardavano la sessualità e gli inferi, che contenevano olocausti invece del sacrificio olimpico, che erano circondati dal divieto di certi cibi o dal digiuno totale, anche da prescrizioni riguardanti gli abiti: tutta una gamma di segni straordinari ai quali si aggiunge la posizione del santuario, altro segno di opposizione verso la normalità del culto della polis espressa dal sacrificio di un animale ordinario (specialmente la pecora e il bue), eseguito da un maschio rappresentante della polis, della famiglia o di quale che sia il gruppo offerente il sacrificio, nelle forme a noi conosciute a partire dall’epos omerico, e seguito da una cena comune. Il culto di Hera a Sibari, del quale ci resta ignoto il luogo del santuario, presenta chiari segni di una natura strana nelle leggende intorno alla statua della dea, essa, infatti, distoglie lo sguardo da fatti empii, fa sgorgare sorgenti di sangue dalla base in diverse occasioni. La connessione di statua miracolosa e riti del rovescio sembra assai costante nel mondo antico, così a Sparta nel culto dell’Ortheia, ma specialmente per Hera a Argo (ove la vecchia statuetta della dea, proveniente da Tirinto, causò la metamorfosi delle Proitidi), nel Santuario di Samo (ove lo kóanon, rapinato da pirati tirreni, impedì la partenza della nave dei briganti). In quattro dei cinque casi ci sono misfatti politici che provocano a Sibari il miracolo (tirannicidio, assassino di un citareda, gli ambasciatori) quindi la dea garantisce l’ordine politico-sociale. In Magna Grecia c’è una singolare uniformità del culto di Hera, almeno nella sua struttura fondamentale che conosciamo: una uniformità che ci conduceva ai santuari di Argo e Samo, e riconduce a forme più arcaiche del culto. Anche l’escatologia orfica e le laminette auree ebbero un’importante funzione in Magna Grecia. La laminetta più lunga e più antica di tutte è quella di Hipponion, che così recita nei versi finali: “ e allora andrai per lunga e sacra via sulla quale anche gli altri / mystai e bacchoi si allontanano gloriosi”. La donna sepolta apparteneva a una associazione dionisiaca, così pure tutte le laminette dette del “gruppo B” (per distinguerle da quelle del piccolo gruppo A ritrovato a Turii). Orfeo è un’altra figura intimamente collegata all’escatologia, se già nel quinto secolo il movimento dionisiaco delle colonie italiote aveva una escatologia, dalla quale derivano i testi delle laminette auree del gruppo B, e se, nel secolo quarto, Orfeo è protettore dei defunti nell’oltretomba sembra interessante combinare le due cose e assumere che le laminette auree contenessero testi di Orfeo, intendendo per orfico un movimento letterario e non rituale. In Magna Grecia l’escatologia delle poesie di Orfeo fu poi combinata con dottrine pitagoriche.3. 4. ARGOMENTO DELLA RICERCA: “Culti indigeni, e santuari extra-urbani in Magna Grecia” 4.1 INTRODUZIONE E SCOPO DEL LAVORO La problematica del sostrato, cioè dell’influsso delle religioni pre-greche sulla religione delle colonie greche si è dibattuto ininterrottamente, ma bisognerebbe evidenziare alcuni punti. Dato lo stretto rapporto tra città madre e colonia (rapporto che riguarda soprattutto i culti che in fondo garantiscono l’identità della polis) è molto improbabile che una colonia adottasse un culto indigeno fra i culti poliadi; infatti, fino a oggi in nessun luogo una tale adozione può essere 3 Tratto da: Fritz Graf, Culti e credenze religiose della Magna Grecia, in Megale Hellas nome e immagine, Atti del ventunesimo convegno di studi sulla Magnia Grecia, a cura di Giovanni Pugliese Carratelli, 1981, Taranto, Istituto per la storia e l’archeologia della Magna Grecia. dimostrata. Ad esempio, i resti precoloniali sotto il tempio Marasà di Locri sembrano appartenere ad un sepolcro, non ad un tempio, e le strutture greche sono indipendenti da essi. Ponendo anche l’ipotesi che tutti i coloni greci avessero sposato donne indigene non cambierebbe molto, poiché la polis greca è una comunità di uomini liberi, e sono gli uomini a istituire i culti. La stessa argomentazione vale per le sopravvivenze micenee: anche qui è inverosimile che i coloni adottassero un culto già importato dai micenei fra i culti centrali della polis. Altro punto centrale nella discussione sugli influssi indigeni e pre-coloniali, sono i santuari extraurbani. Inizialmente, l’esistenza di tali santuari s’interpretava come un’ anomalia, che si spiegava come continuazione o di culti indigeni non greci, o di una fondazione cultuale micenea, ma ambedue le spiegazioni non possono essere convalidate dai dati archeologici. Non è da escludere, però, che se i coloni micenei avevano importato i loro culti, questi, sono stati accolti e continuati dalle popolazioni indigene e in seguito dai coloni greci dell’età arcaica. In ogni caso non esiste un santuario nella Magna Grecia dove si sia trovata una stratigrafia interrotta e continua fra strati micenei e coloniali, anzi finora nessun luogo di culto miceneo è stato ritrovato né è riportato nelle leggende posteriori. Sul rapporto tra culti indigeni e santuari extra-urbani gli studiosi hanno stabilito delle differenze: Un culto indigeno è accolto è continuato dai coloni greci, col rituale, coi nomi divini, e nello stesso luogo degli indigeni. Si può avere un culto greco con divinità greca e rito greco in un luogo dove si trovano tracce di un culto indigeno. Una tale continuità è possibile, se si pensa ai tanti santuari antichi trasformati in chiese cristiane. Tale continuazione si trova soprattutto in grotte, presso sorgenti e fiumi, che già nella madrepatria erano luoghi sacri. Un culto greco al quale partecipavano anche le genti indigene della Chora, eventualità più verisimile. La partecipazione indigena si manifesta in dedicazioni di oggetti di fattura locale, come per esempio al culto di Atena sull’acropoli del Timpone della Motta. Dunque non esiste un solo santuario extraurbano noto indigeno: ci resta solamente l’origine greca. Per spiegare l’ubicazione di tali santuari fuori le città alcuni studiosi proposero di interpretarli come fondazioni nel luogo del primo approdo dei coloni. Il problema di fondo è dato dalla difficoltà nel definire con certezza i segni del sacro nel mondo indigeno. Lo scopo di questo lavoro di ricerca è pertanto quello di analizzare mediante l’ausilio delle fonti scritte e materiali in maniera meticolosa tutti gli aspetti particolari che possano portare ad una più chiara conoscenza di tale rapporto, tra greci e indigeni, ma soprattutto tra uomini e divinità. 5. CONCLUSIONI Il rapporto fra presenze greche ed indigene in ambito cultuale è uno degli aspetti fra i meno conosciuti, affrontato solo di recente dalla ricerca archeologica. Un concreto impedimento è dato come detto precedentemente, dalla difficoltà nel definire con certezza i segni della religiosità nel mondo indigeno. È fuori dubbio, inoltre, che il fenomeno coloniario greco possa aver ingenerato un fenomeno di asservimento o di espulsione a breve o medio termine delle popolazioni indigene, anche se la maggior parte dei dati pare ricondurre il processo integrativo ad un piano di sostanziale coesistenza, spesso reso organico dalla celebrazione di matrimoni misti o dall’inurbamento di indigeni nelle polis. Lo studio dei contesti necropolari, diffusi in tutta la regione, ha evidenziato la presenza di genti armate con una differenziazione sociale ben evidente soprattutto nelle aree di controllo delle zone pianeggianti. Inoltre ciò che si deduce dalle fonti letterarie, in particolare da Antioco di Siracusa e nella Politica di Aristotele (VII, 9, 1329b), è che il re indigeno Italo fosse stato l’antesignano di una svolta decisiva per la formazione di comunità strutturate politicamente mediante il passaggio dal nomadismo alla stanzialità; ed analoghe considerazioni sembrano potersi trarre anche da Tucidide (Arch. I,2,2). Del resto la presenza di strutture socio-politico-militari in alcune aree, pare indicare la formazione di un’élite indigena, che sarà alla base del processo di ellenizzazione verticale di età storica, attuato dagli allogeni con offerte, scambi e doni.4 A livello di conclusioni generali si può parlare di accettazione di forme greche di culto da parte delle genti autoctone anche come scelta forzata da parte delle popolazioni indigene e di una forzata diplomazia delle stesse elites indigene. L’arrivo dello straniero annienta la realtà locale, sopisce il culto storico, addormenta l’originalità di usi e costumi e pian piano si sostituisce con connotazioni tipicamente greche. Capire come avvenne questo passaggio e perché è impresa ardua, ancor più per l’assenza di evidenze archeologiche e quindi di almeno un santuario extraurbano noto e analizzabile come campione. Una sfida alla conoscenza e all’analisi delle fonti, un’attenta disamina della documentazione archeologica, storica e letteraria, sono i motori della ricerca volta a contribuire allo studio e alla proposta di un’ipotesi ricostruttiva su un frangente storico così delicato come l’inizio della colonizzazione magno-greca e il suo sviluppo nella nostra terra. Candidato: MARIA COSTANZA GAGLIANESE 4 R.Peroni, in Enotri e Micenei nella Sibaritide, cit., pp. 876-879. BIBLIOGRAFIA o A.A.V.V., Santuari della Magna Grecia in Calabria, «Catalogo della mostra», Napoli 1996. o AA.VV. 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