Atti del convegno - Liceo Classico V. Gioberti
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Atti del convegno - Liceo Classico V. Gioberti
Liceo Classico Statale V. Gioberti Via Sant'Ottavio 9/11 – Torino Atti del convegno Errare amoenum est: utilizzazione degli errori nella didattica delle lingue 16 marzo 2007 ― Torino Convegno e atti a cura del Polo di Ricerca Linguistica del Liceo Classico V. Gioberti, coordinato dalle Professoresse Laura Sciolla, Alda Diena, Raffaela Franch; hanno collaborato i Professori Chiara Autilio, Michele Zaio. Revisione redazionale a cura del Professor M. Zaio. Si ringraziano la fondazione CRT, la Banca Antonveneta, le case editrici De Agostini Scuola, Il Capitello e Zanichelli, il cui contributo è stato fondamentale per la realizzazione del convegno e la pubblicazione dei presenti Atti. Si ringraziano altresì il MIUR, la Provincia Piemonte, il Comune di Torino per il patrocinio offerto, nonché l'ANILS per la collaborazione alla preparazione del convegno. Finito di stampare a Torino nel marzo 2008. L'immagine sulla copertina riproduce la Providentia Augusti capitolina, ed è stata ricavata, grazie al corpus informatico belloriano, dalla tav. a pag. 47 del testo di Francisco Perrier Icones et segmenta illustrium e marmore tabularum quae Romae adhuc extant a Francisco Perrier delineata incisa et ad antiquam formam lapideis exemplaribus passim collapsis restituta, Romae 1645; a Paris chez la veufve de deffunct Monsr. Perier. GISCEL ANILS (associazione nazionale insegnanti lingue straniere, soggetto qualificato per la formazione D.M. 3 marzo 2004 prot. 826/C/3) Errare amoenum est: utilizzazione degli errori nella didattica delle lingue 16 marzo 2007 9.00 – 18 Aula magna Liceo Classico ―V. Gioberti‖ Via Sant‘Ottavio 9/11 10124 TORINO Programma h. 9 - 13 Saluti Prof.ssa ANGELA SUPPO, Dirigente Scolastico del Liceo Gioberti Prof. ADRIANO COLOMBO, Segretario nazionale GISCEL Prof.ssa CARLA VAIRO, Presidente ANILS Apertura dei lavori Prof.ssa STEFANIA FERRARI, Università di Verona Gli errori nella seconda lingua e la prospettiva dell'interlingua Prof. ANDREA BALBO, Università degli Studi di Torino La correzione dell'errore e l'autocorrezione: aspetti didattici tra lingue classiche e informaica Prof. E. BONA, Università degli Studi di Torino Sbagliando si sbaglia. Lingue classiche e didattica dell'errore Prof.ssa CARLA MARELLO, Dott.ssa ELISA CORINO, Università degli Studi di Torino La correzione degli errori nella didattica delle lingue straniere h. 14.30 - 15.30 (Poster Session) Prof. SILVESTRO TONOLLI, Liceo Scietifico ―Einstein‖ di Rimini Latine legere Gallice loqui Casa editrice DE AGOSTINI Presentazione di materiali didattici Casa editrice EDUMOND-LE MONNIER Presentazione di materiali didattici Casa editrice LOESCHER Presentazione della versione multimediale di IL 4 (CD allegato alla quarta edizione del Vocabolario della lingua latina, a cura di L. Castiglioni, S. Mariotti) h. 15. 30 - 18 Prof. GIANFRANCO PORCELLI, Università di Pavia Gli errori nella didattica della lingua inglese Prof.ssa SUSANNA WILLIAMS, Macomb Community College, Warren, Michigan, USA Il potere delle parole piccole Prof.ssa PAOLA CIFARELLI, Università degli Studi di Torino Errori ameni di un chierico medievale: la traduzione italiana dell'Esopet di Maria di Francia Prof. CLAUDIO GORLIER, Università degli Studi di Torino Come difendersi dai “falsi amici” Gli errori nella seconda lingua e la prospettiva dell'interlingua 1 Introduzione e saluti Ringrazio di cuore Laura Sciolla e gli altri organizzatori di questa giornata per l‘occasione che mi danno di presentare a un pubblico di insegnanti torinesi l‘associazione di cui sono segretario, il GISCEL (Gruppo di intervento E studio nel campo dell‘educazione linguistica costituito in seno alla Società di Linguistica Italiana). La nostra associazione è articolata in gruppi regionali, non molto numerosi, ma attivi nel campo della ricerca didattica e della formazione (e autoformazione) degli insegnanti di lingua. Siamo presenti in una quindicina di regioni, ma tra queste al momento non c‘è il Piemonte, e anche quando un gruppo piemontese c‘è stato, per un insieme di circostanze non siamo mai riusciti a mettere piede a Torino, l‘unica grande città da cui siamo assenti. Spero che questo mio saluto e il materiale che ho portato possano incuriosire qualcuno dei presenti e favorire un contatto con la nostra associazione. Il GISCEL è nato nei primi anni settanta per iniziativa di Tullio De Mauro e di altri allora giovani linguisti e insegnanti, e ha avuto il suo manifesto fondativo nelle Dieci tesi per un‟educazione linguistica democratica, di cui l‘anno scorso abbiamo ricordato il trentennale a Roma, in una affollata giornata di studio dalla quale è nato un volume ora prossimo alla pubblicazione. Il tema centrale delle Tesi è l‘accesso alla lingua nazionale come diritto di cittadinanza (la lezione di don Milani è presente nel nostro DNA), nel rispetto di tutte le lingue e di tutte le varietà di lingua di cui gli individui sono portatori; dunque l‘accesso alla lingua per la cittadinanza entro la promozione di una più generale ―facoltà di linguaggio‖ (un‘espressione di De Saussure che ricorre spesso nei nostri discorsi). Qui sta il significato dell‘aggettivo ―democratica‖ che poniamo accanto a ―educazione linguistica‖. Questo ci portava trent‘anni fa a porre la questione del rapporto fra l‘italiano e i dialetti che costituivano ancora la lingua madre per una parte consistente della popolazione, ci porta oggi ad affrontare con un‘ottica non dissimile la questione dell‘accesso dei ragazzi di origine straniera all‘italiano e del rapporto con le loro lingue madri, che dovrebbero essere rispettate e salvaguardate. Sulla base di questi princìpi abbiamo promosso lungo i decenni un lavoro intenso di ricerca didattica, raccolto negli ormai trenta volumi della collana dei ―quaderni del GISCEL‖, e credo di poter dire senza eccessiva iattanza che una fetta consistente di quel che di buono si è prodotto in Italia nel campo della didattica linguistica (soprattutto, ma non esclusivamente, della lingua nazionale) è nato in seno alla nostra associazione, o nei dintorni. C‘è un‘altra ragione per cui sono lieto di prendere la parola in questo luogo e in questa occasione. È naturale che i princìpi che ho accennato ci abbiano portato a guardare più spesso 2 ADRIANO COLOMBO alla scuola di base che alla scuola superiore, e in questa magari più all‘istruzione tecnica e professionale che ai licei. Così come i temi dell‘educazione letteraria, che pervade e quasi assorbe l‘insegnamento linguistico nei licei, non sempre sono stati per noi in primo piano, nel confronto con le urgenze dell‘educazione linguistica (―non sempre‖ però non è una semplice litote: in realtà più di una volta abbiamo affrontato il rapporto fra educazione linguistica ed educazione letteraria, da ultimo nel nostro Convegno nazionale del 2002). Così il vostro invito è per me particolarmente prezioso anche perché proviene da un liceo classico: un liceo di grande tradizione e un liceo dove è viva l‘attenzione per gli insegnamenti linguistici, non schiacciata da quella per la letteratura, come altrove può succedere. Trovo poi interessante il tema della traduzione che oggi affrontate, perché ci vedo una via d‘accesso a un problema che si avverte sempre più urgente, il problema di un‘integrazione tra gli insegnamenti linguistici (di italiano, di lingue straniere, di lingue classiche). È chiaro che le diverse lingue si studiano con obiettivi e punti di partenza diversi: si studiano le lingue classiche per leggerle e non per parlarle, imparare una lingua straniera è una cosa diversa da sviluppare la lingua che si è cominciata a parlare da piccoli. Ma è chiaro anche che in tutti questi apprendimenti ci sono elementi comuni che vanno valorizzati: c‘è una stessa ―facoltà di linguaggio‖ da coltivare, c‘è da educare la consapevolezza di ciò che accomuna e ciò che differenzia le diverse lingue; soprattutto bisogna evitare quello che troppo spesso accade, che gli studenti vivano questi diversi apprendimenti come separati e incomunicanti, che non sappiano trasferire le loro acquisizioni dall‘uno all‘altro. Quando la grammatica dell‘inglese non comunica con quella dell‘italiano, e questa non comunica con quella del latino (se dico ―non comunica‖ non intendo che l‘una debba essere al servizio dell‘altra, ma che dovrebbero essere confrontabili), siamo in presenza di uno sperpero di energie di insegnamento e di studio. E sappiamo che la vastità dei compiti educativi che dobbiamo affrontare nel mondo di oggi non tollera che sprechiamo risorse di tempo e di intelligenza. Adriano Colombo Gli errori nella seconda lingua e la prospettiva dell'interlingua 1 Come insegnanti spesso ci lamentiamo perché i nostri studenti realizzano produzioni imprecise o fanno errori. Perché gli studenti commettono errori? Forse non vogliono produrre le strutture come andrebbero prodotte, come le vorremmo noi? Non è quasi mai così: gli errori non sono mai o quasi mai intenzionali, chi li commette vorrebbe parlare la lingua d'arrivo bene. L‘errore che viene visto dall‘insegnante come mancanza, difetto, limite, per lo studente è un tentativo di usare una struttura nella lingua che sta apprendendo. In questo contributo affronterò il tema dell‘errore utilizzando la prospettiva della teoria dell‘interlingua. In particolare l‘obiettivo sarà spostare l‘attenzione da una visione negativa dell‘errore, visto appunto come mancanza, ad un concetto più positivo, quello di interlingua, che riconosce il contributo dell‘apprendente nella ricostruzione delle norme della lingua target. (cfr. PALLOTTI, 2006). Nei prossimi paragrafi presenterò il concetto di interlingua e le possibile implicazioni per la valutazione linguistica e l‘insegnamento. Cosa si intende per interlingua? Chiamiamo così la lingua degli apprendenti, riferendoci sia alla competenza, quello che l‘apprendente sa, sia all‘uso, quello che impiega nella comunicazione. Nell‘imparare una lingua, materna, seconda o straniera, l‘apprendente non sviluppa le regole tutte insieme, ma procede per gradi. Il concetto di acquisizione di una lingua può essere visualizzato con l‘immagine di un labirinto. All‘inizio del suo percorso l‘apprendente non sa dove andrà a finire, prende quindi strade che gli sembrano promettenti, elabora e sperimenta ipotesi, anche se spesso è costretto a tornare sui suoi passi per tentare altre strade, fino a quando non intravede la via giusta. Dal punto di vista dell‘apprendente dunque gli errori non sono mai intenzionali, sono piuttosto manifestazioni di un sistema linguistico transitorio, con una sua logica interna, una sua coerenza e soprattutto una sua funzionalità. L‘apprendimento di una lingua è un percorso lento e faticoso, che dura normalmente diversi anni. Per ogni nuova struttura devono essere attraversate quattro fasi distinte: - esposizione all'input e individuazione: la struttura da apprendere deve essere anzitutto presente nell'input, poi bisogna notarla e prestarvi attenzione; - analisi: individuata la struttura, occorre capire come funziona, quando viene usata, in quali contesti si può trovare, se e come varia; 1 Il presente contributo riporta riflessioni approfondite nelle pubblicazioni contenute nel modulo di formazione Interlingua e Analisi degli Errori, Apprendimenti di Base, Poseidon, Indire-Miur; PALLOTTI, G. (2006), Interlingua e analisi degli errori; PALLOTTI, G. (2006), Interlingua: un percorso sull‟italiano L2; FERRARI, S. (2006), Interlingua: un percorso sull‟inglese LS; PALLOTTI, G., FERRARI, S. (2006), Interlingua: un percorso sull‟italiano L1. 4 STEFANIA FERRARI - formazione di ipotesi: l'analisi di come la struttura viene usata nell'input porta a formulare ipotesi, generalizzazioni, ad accogliere la nuova struttura nell'interlingua, ristrutturando eventualmente il sistema usato fino a quel momento; - produzione: quando l'apprendente si è fatto un'idea di come funziona la struttura, quando e perché la può usare, farà i primi tentativi di applicazione: avrà così modo di verificare se le sue ipotesi sono valide o se devono essere riformulate. Se la natura e la quantità degli errori commessi da uno studente non forniscono una misura diretta della sua conoscenza della lingua, rapprensentano probabilmente la più importante fonte di informazione sulla natura di quella conoscenza. Una prospettiva di questo tipo richiede all‘insegnante di riconsiderare alcune pratiche nella valutazione, nella correzione e nella didattica. Consideriamo la seguente frase prodotta da Liann,2 un‘apprendente adulta di italiano L2: ―Io speranzo … noi dobbiamo matrimoniare‖. La valutazione tradizionale, limitandosi al conteggio degli errori, considererebbe una produzione di questo tipo come errata. In realtà, cosa sta facendo Liann? Osserviamo la sua frase descrivendola in positivo, rilevando cosa questa apprendente sappia fare. In questa sua micro-produzione la grammatica è corretta: il suffisso o per la 1.sg, il suffisso -amo per la 1.pl, l‘uso dell‘infinito dopo il verbo modale. I problemi qui sono a livello lessicale: l‘apprendente si inventa due verbi, speranzare e matrimoniare, che in italiano non esistono. Tuttavia, dimostra di conoscere i meccanismi di base per la formazione di nuove parole: conoscendo il sostantivo speranza, prova a trasformarlo in verbo, applicando gli opportuni suffissi di coniugazione; lo stesso con matrimonio, che diventa matrimoniare. Quindi, in positivo, questi errori mostrano varie cose che Liann sa fare: coniugare un verbo, costruire un sintagma verbale, derivare un verbo da un nome. Come sottolinea PALLOTTI (2006) «Gli errori degli apprendenti non sono dunque produzioni scorrette, ma spesso indici interessanti, meritano dunque di essere analizzati, per comprendere il processo di apprendimento, e non semplicemente sommati indifferentemente». Dal punto di vista della valutazione, la conseguenza più importante è dunque quella di analizzare gli errori invece che limitarsi a contarli. Abbiamo visto come la prospettiva dell‘interlingua invita a concepire gli errori come dati interessanti, che permettono all‘insegnante di capire quali sono le ipotesi transitorie dell‘apprendente e le sue regole. 2 Esempio tratto da PALLOTTI (2005), Interlingua e analisi degli errori. Gli errori nella seconda lingua e la prospettiva dell'interlingua 5 Questo è importante anche in prospettiva didattica: un‘apprendente come Liann, ad esempio, non ha bisogno di aiuto per capire il paradigma della coniugazione del presente, nè i meccanismi di derivazione dei verbi dai nomi. Sarà il caso piuttosto di farle notare come questi meccanismi non funzionano con tutte le basi lessicali. Dal punto di vista dell‘insegnamento, un approccio didattico fondato sulla nozione di interlingua cercherà di partire sempre da ciò che l'apprendente sa fare, dalle sue regole, dalle sue incertezze per aiutarlo a progredire verso la lingua d'arrivo. Gli studi sulle sequenze di acquisizione consentono, una volta valutato il livello dell'interlingua, di anticipare quali saranno le strutture che emergeranno prossimamente, permettendo all'insegnante una programmazione il più possibile in linea con il sillabo naturale incorporato negli apprendenti (cfr. Teoria della processabilità). Alcuni studi hanno mostrato che è insegnabile solo ciò che è apprendibile, ovvero che gli interventi didattici possono agevolare e accelerare il passaggio da uno stadio all'altro della sequenza evolutiva naturale, ma non possono sovvertirla interamente. Capire quindi dove si trovano gli apprendenti rispetto a queste sequenze permette all'insegnante di proporre gli interventi didattici più efficaci. Stefania Ferrari La correzione dell'errore e l'autocorrezione: apsetti didattici tra lingue classiche e informatica 1. I presupposti didattico-pedagogici dell’idea della correzione dell’errore L‘errore ha goduto nei secoli di una fama piuttosto equivoca. Stigmatizzato come elemento negativo, pietra d‘inciampo nel processo di acquisizione di qualsiasi conoscenza o competenza, è stato spesso fatto oggetto di pubblico ludibrio e di recisa disapprovazione da parte del docente, che, in molti casi, ha mostrato un atteggiamento connotato da apparente infallibilità. Dispensatore di verità, autorità riconosciuta nella sua materia, Dio in terra nella sua aula, l'insegnante ha in passato spesso avuto il ruolo di Vangelo parlante alla cui sapienza accostarsi con rispettosa devozione di accoliti3. D‘altra parte ai furibondi Orbilii pronti a sanzionare con le busse qualsiasi tipo di imperfezione si sono sempre affiancati docenti capaci di cercare di comprendere il senso dell‘errore e le sue potenzialità. Errando discitur: il motto di origine medievale ha infatti ispirato personalità della cultura, celebri studiosi e umili maestri, che si sono sforzati di far comprendere come anche l'errore potesse costituire un punto di partenza per il perfezionamento della conoscenza. Esempi illustri si possono ritrovare già negli scritti di Voltaire e di Alessandro Manzoni4. Non è qui la sede né il momento di ripercorrere la storia epistemologica dell‘errore nella cultura occidentale, ma mi preme fissarne alcuni punti fermi utili per il tema di questo contributo, ovvero la correzione degli "errori" nella didattica delle lingue classiche: a) una prima distinzione fondamentale che mi permetto di accogliere è quella tra errore e sbaglio, introdotta dagli studi di Hermann Weimer5. Secondo il pedagogista e psicologo tedesco, «l‘errore si basa sull‘ignoranza di certi fatti essenziali per l‘esatto riconoscimento [del fenomeno], mentre lo sbaglio risulta dalla difettosa attività delle tre funzioni [attenzione, memoria, pensiero] che presiedono al compimento di ogni lavoro. Mentre l‘errore ha una base oggettiva, lo sbaglio è essenzialmente un fatto soggettivo»6. 3 È questo il "complesso di Cassandra" o "dell‘onniscienza" di cui parla Gaston Bachelard: cfr. M. Baldini, Epistemologia e pedagogia dell‟errore, La Scuola, Brescia 1986, pp. 44-45. 4 Rimando per questo alle belle pagine di M. Baldini, Epistemologia e pedagogia cit., pp. 7-13, le cui idee sono alla base di questo primo paragrafo. 5 Psychologie der Fehler, seconda edizione, Lipsia 1929 cit. in Baldini, Epistemologia e pedagogia cit., pp. 88-89. 6 A. Kiesling-J. Rombach-R. Titone, Errore in AA. VV., Dizionario enciclopedico di pedagogia, Torino 1964, II, 139 cit. in Baldini,Epistemologia e pedagogia cit., p. 89. La correzione dell'errore e l'autocorrezione: apsetti didattici tra lingue classiche e informatica 7 b) Una seconda distinzione molto ragionevole è fissata da Dario Antiseri tra esercizi e problemi7: l'esercizio consiste in una domanda che esige una teoria già data per essere risolto, il secondo ha bisogno di una teoria nuova; l‘esercizio si svolge dopo essere pervenuti alla scoperta e serve a controllare e a verificare il risultato ottenuto, il problema si pone perché non si sa qualcosa. Di conseguenza, applicando le tesi di Weimer alle riflessioni di Antiseri, l‘errore si commette affrontando problemi, lo sbaglio risolvendo esercizi: l‘errore ha a che fare con l‘attività di ricerca, lo sbaglio con quella di controllo ed esecuzione. L'errore ha perciò una valenza positiva, euristica, lo sbaglio una negativa. c) Il fisiologo e biologo Walter Cannon (1871-1945) ha distinto vari tipi di errore metodologico nella ricerca scientifica8: a) l‘errore della prova non provata; b) l‘errore della prova incompleta; c) l‘errore dell‘omesso controllo; d) l‘errore della tecnica difettosa; e) l‘errore delle conclusioni ingiustificate; f) l‘errore del particolare trascurato; g) l‘errore del titolo improprio. Anche se queste categorie si applicano con precisione soprattutto alle tappe della ricerca biomedica e fisica, credo che molte di esse possano ritrovarsi in forma analoga nelle discipline umanistiche. Gli errori a) e b), per esempio, concernono le asserzioni non dimostrate in modo sufficiente e completo, ovvero le spiegazioni poco chiare e non accurate; gli errori c), d), f) e g) indicano problemi di conoscenza o di tecnica didattica, che possono verificarsi anche quando l'insegnante non padroneggia perfettamente un argomento o non riesce a spiegarlo con efficacia ai suoi allievi, accertandosi che essi lo abbiano compreso adeguatamente; in particolare g), che ricorda come un titolo impropriamente scelto per una pubblicazione possa fuorviare il ricercatore nell'esame della bibliografia relativa all'argomento del suo lavoro, può essere ricondotto in ambito scolastico a inesattezze nella presentazione di materiali didattici; e) corrisponde nella didattica delle discipline umanistiche a un errore di sintesi eccessiva, che comporta il ricorso a una conclusione secca, apodittica e poco profonda da parte del professore o anche dello studente. Queste riflessioni sono ancora parziali, in quanto è stata l'indagine filosofica promossa da Gaston Bachelard a Karl Popper9 ad insistere sulle qualità dell‘errore e sulle opportunità 7 Cfr. Baldini, Epistemologia e pedagogia cit., 90-92. Le tesi di Antiseri sono esposte in D. Antiseri, Insegnare per problemi, «Riforma della scuola» 2, 1985, pp. 18-27 8 W. B. Cannon, La ricerca scientifica. Le esperienze di uno scienziato nel campo delle indagini mediche, tr. it . di B. Oddera, Bompiani, Milano 1959, pp. 165-178 in L. Binanti, Pedagogia, epistemologia e didattica dell'errore, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2001, pp. 73-84. Di L. Binanti si veda anche Sbagliando s'impara: una rivalutazione dell'errore, Roma, Armando, 2005. 9 Cfr. Baldini, Epistemologia e pedagogia cit., pp. 17-26 e 37-45. 8 ANDREA BALBO che la sua individuazione consente dal punto di vista della ricerca scientifica, conseguendo una serie di risultati che si possono sintetizzare nel modo seguente: a) l‘errore può essere fecondo, perché permette di capire dove non sta la verità e quindi di ripartire con la ricerca per approfondire la conoscenza; b) l‘errore mette al riparo dal "complesso di Cassandra"10; c) l‘errore libera dall‘isolamento conoscitivo, perché obbliga ad entrare in contatto con la comunità di ricerca; d) l‘errore crea la consapevolezza della necessità di adeguare le proprie risorse alle sfide che vengono via via proposte; e) l‘errore ci porta ad una dimensione fallibilista. Quali possono essere le applicazioni concrete di tale contesto teorico? Un primo risultato – ovvio – è sintetizzato da Umberto Tenuta: «Si sbaglia e si sbaglierà sempre. Quello che importa è imparare a correggersi da soli e, se possibile, imparare ad evitare gli errori». Assodato il fatto che, secondo un altro luogo comune, prevenire è meglio che curare e che, quindi, bisogna fare di tutto perché gli studenti imparino la forma corretta di qualsiasi concetto, «in via subordinata, è opportuno che gli alunni siano abilitati a correggersi da soli, magari facendo ricorso ai vocabolari per trovare, non solo le forme corrette, ma anche le espressioni corrette»11. Se evitiamo il tono quasi trionfalistico che si rileva in certe affermazioni proposte anche da studiosi molto seri12 e ci regoliamo secondo un sano buon senso didattico, si possono trarre alcune conseguenze relative ai compiti del docente, il quale, tenendo presente la distinzione illustrata tra sbagli ed errori e tra esercizi e problemi, dovrebbe: a) prevenire gli sbagli attraverso l‘esercizio, la pratica, l‘addestramento continuo a svolgere compiti caratterizzati da consegne molto chiare e precise; b) evitare di far nascere negli allievi il terrore degli errori; c) sforzarsi di non trovare nell'errore un limite della propria bravura; d) saper controllare le proprie reazioni psicologiche di fronte all‘errore o allo sbaglio e cercare di padroneggiarle e di indirizzarle verso lo scopo educativo; e) sfruttare quello che L. Tolstoj e V. Sklovskij chiamavano l‘"energia" dell‘errore, ovvero quel surplus di forze intellettuali che si attivano al suo riconoscimento e alla sua correzione13; 10 Cfr. nota 1. 11 Tratto da «Rivista digitale della didattica», consultabile presso il sito http://win.rivistadidattica.com/correzione,__ancora_correzione_come_autocorrezione_di_umberto_tenuta.htm. 12 «Quando in una comunità scolastica si scopre un errore [...] questo dev'essere un momento di gioia» (D. Antiseri, Elogio dell'errore in L. Binanti, Pedagogia, epistemologia cit., p. 104). 13 Cfr. M. Baldini, Epistemologia e pedagogia cit., pp. 9-11. La correzione dell'errore e l'autocorrezione: apsetti didattici tra lingue classiche e informatica f) 9 combattere ciò che G. T. Bagni chiama la ―settorializzazione‖, ovvero la tendenza a risolvere un problema collocandosi esclusivamente all‘interno della disciplina, senza alcun tipo di approccio ad ampio spettro14; g) evitare di assolutizzare le concezioni esposte nei manuali grammaticali, denominando errore quella che è in realtà una semplice variazione dalla norma fissata dalla grammatica descrittiva. 2. Esempi concreti di esercizi che prevedano la correzione dell’errore inseritovi Entriamo ora nel concreto della prassi didattica. P. E. Balboni, in un suo noto libro di alcuni anni fa15, ha proposto nel suo Repertorio ragionato delle tecniche glottodidattiche anche l‘Individuazione dell‟errore (pp. 163-164), definendone alcune caratteristiche: a) l‘applicabilità della ricerca dell'elemento inesatto ad ogni insegnamento e ad ogni aspetto dell‘apprendimento linguistico; b) la possibilità di utilizzare questa tipologia anche multimedialmente, facendo riferimento a strumenti sonori o audiovisivi o informatici; c) la necessità della correzione e discussione in classe dell‘esercizio per evitare che l‘allievo fissi nella memoria le forme errate; d) la possibilità di fare svolgere gli esercizi sia su testi forniti dall‘insegnante sia su materiali costruiti dall‘allievo stesso, sottolineando le grandi potenzialità di autocorrezione ed autovalutazione che tale strumento consente; e) il notevole grado di accettabilità di tale attività «per l‘apparente facilità, per il fatto di consentire una giocosa assimilazione tra allievo ed insegnante – simboleggiata dalla tipica penna rossa delle correzioni – e per la sfida che essa porta all‘allievo stesso»16; f) la precisione delle informazioni ottenibili soprattutto nell‘ambito grammaticale; g) la possibilità di sfruttare tale tipologia per il recupero individualizzato. Proviamo ora a vedere in che tipo di attività didattica si può collocare l‘individuazione dell‘errore. In primo luogo possiamo avere prove che controllano le conoscenze morfo-sintattiche: esse sono ampiamente convalidate dalla tradizione ed appartengono alla tipologia delle verifiche strutturate, ma sono inseribili anche in quelle semistrutturate. Questa tipologia è molto efficace, perché consente di realizzare esercizi abbastanza completi ed articolati, in cui 14 G. T. Bagni, Apprendimento, risoluzione di problemi ed uso dei registri rappresentativi nella Scuola Superiore in L‟insegnamento della matematica e delle scienze integrate, 2001, 24B, 4, 311-329, reperibile on line all'indirizzo http://www.syllogismos.it/education/Registri.pdf. 15 P. E. Balboni, Tecniche didattiche per l‟educazione linguistica. Italiano, lingue straniere, lingue classiche, UTET, Torino 1998. 16 Ibidem, 163. 10 ANDREA BALBO competenze e capacità di vario tipo entrano insieme in gioco. Deve essere cura dell‘insegnante evitare sia di banalizzare il contenuto proponendo ricerche di elementi erronei troppo semplici sia presumere eccessivamente dai propri studenti, andando in caccia di minuzie o di elementi troppo difficili. Una seconda tipologia consiste nelle traduzioni di testi (prevalentemente dal latino all'italiano, ma non mi sentirei di escludere completamente anche l'italiano-latino, almeno a livello di frasi), che richiedono sia l‘individuazione di elementi erronei sia l‘attivazione di competenze molto alte, come quelle traduttive. In questo caso non si tratta soltanto di correggere gli sbagli, ma di mettere in gioco una serie di attività intellettuali complesse e raffinate. Preparare traduzioni non giuste comporta infatti un lavoro a più livelli, a seconda del tipo di imperfezione che si introduce nel testo. Un primo livello può consistere nell'introdurre desinenze errate nei verbi (seconda persona al posto della terza, per esempio) o vocaboli sbagliati, ma legati da assonanze o consonanze con quelli giusti; un livello più avanzato può prevedere l'inserimento di tempi o modi verbali sbagliati, di congiunzioni subordinanti non corrette e così via; un terzo livello può prevedere la riscrittura di un testo con l'inserimento di elementi erronei di differenti tipologie. Evidentemente al primo livello siamo ancora di fronte agli sbagli, correggibili con il ricorso a regole apprese e memorizzate, mentre nel secondo e nel terzo caso sarà necessario ricorrere a competenze più raffinate. Non si sarà ancora arrivati all‘attività di ricerca dell‘ignoto, ma sicuramente non ci si troverà più al livello iniziale dell‘individuazione dello sbaglio. Vediamo ora di discutere queste asserzioni teoriche attraverso il confronto con alcuni esempi di esercizi che si possono reperire all'interno di volumi di grammatica latina. a) M. Geymonat – L. Fort, Dialogare con il passato, Zanichelli, cap. 14, es. 26 p. 265 La correzione dell'errore e l'autocorrezione: apsetti didattici tra lingue classiche e informatica 11 b) G. B. Conte – A. Pestelli – A. Roggia, Corso di latino. Lingua e civiltà, Le Monnier, Lezione 25 p. 397 Dal punto di vista concettuale, questi esercizi associano elementi differenti e molteplici competenze: la comprensione del testo, la traduzione, l'individuazione dell'errore, che è sia di ordine morfologico sia di tipo sintattico. Si pongono perciò nell'ottica degli esercizi di traduzione. Nel caso b) si utilizza anche il confronto con una versione errata, ma in linea con le capacità medie degli studenti. Questi tipi di esercizio possiedono però un carattere ibrido. Essi, infatti, pur indubbiamente utili, risultano poco finalizzati al chiarimento di un singolo fenomeno o aspetto morfosintattico, in quanto richiedono l'associazione di una serie di abilità che "oscurano" l'obiettivo specifico dell'esercizio stesso. In altre parole, se in a) il fine è quello di chiarire la funzione sintattica di forme indefinite del verbo, troviamo anche la presenza di altri errori, come quello relativo alla concordanza nella frase 4, fatto che può indurre confusione; inoltre, se l'esercizio è concepito come ripasso di tali funzioni – e quindi prevede la presenza di gerundivi, gerundi, participi e altro ancora – allora dovrebbe possedere un numero di frasi più ampio, in modo da consentire l'esame di una casistica più vasta di anomalie. In b) i problemi sono ancora maggiori, in quanto l'errore può stare sia nella traduzione italiana (come nella prima frase) sia nel testo latino, un fatto che può generare confusione negli allievi; in questo secondo caso, i punti errati sono di tipo molto diverso (modo e/o tempo verbale nelle frasi 2 e 4, diatesi e concordanza nella 3) e, anche in questo caso, non mi pare che consentano un ripasso adeguato di un problema sintattico ben definito e facilmente individuabile. Mi pare quindi che la strada da seguire in questa tipologia di prove di verifica debba essere differente. Balboni propone la creazione di testi contenenti errori relativi a un singolo problema morfologico e sintattico, in modo da indurre lo studente a svolgere ogni volta un 12 ANDREA BALBO singolo esercizio specifico su un tema limitato e ben definito. Qui l‘autore mette insieme sia il livello base dello sbaglio (da eliminare attraverso la prevenzione o il ricorso ad esercizi molto precisi e definiti) sia il livello più alto e raffinato di errore, per la cui correzione si mettono in gioco varie competenze. Forse non è impossibile seguire almeno in parte le indicazioni di Balboni e proporre prove graduate anche nella tipologia dell'individuazione dell'errore: ad un primo livello bisogna isolare e mettere in rilievo un solo fenomento morfologico o sintattico per volta (richiedendo, in tal modo, la correzione di sbagli), poi – attraverso una progressione – portare l'attenzione su aspetti "sintetici" della lingua richiedendo la traduzione e procedendo, con l'aiuto del docente, alla revisione delle difficoltà incontrate; in questo modo da una fase iniziale di esercizio si potrà passare ad una più complessa di problema, secondo la distinzione di D. Antiseri. Presento qui di seguito un esempio che traggo, modificandolo leggermente, dal mio volume Insegnare latino. Sentieri di ricerca per una didattica ragionevole, Novara, UTET Università, 2007, p. 106: Livello base Individua e correggi gli errori contenuti nelle seguenti forme. copiarum magnorum – ulmum opacum – reges pulchrae – cornu acutus Livello medio Suffenus iste hominem est dicacem et urbanum (Imperator) cum virtus contra barbaribus pugnabat. Livello alto Sallustio, Bellum Catilinae 26 Postquam diem comitiorum venit et Catilinam neque petitionem neque insidiae, quae consulibus in campo fecerat, prospere cessere, constituit belli facere et extrema omnias experire. Nel primo caso l'errore concerne la concordanza corretta dell'aggettivo e permette un ripasso preciso dell'argomento; nel livello medio siamo di fronte a errori che chiamano in causa la sintassi di frasi singole e sono perciò destinati all'accertamento di un numero più ampio di conoscenze; nella frase di livello alto è la sintassi complessa ad essere problematica e a richiedere l'attivazione di molteplici competenze. La suddivisione in livelli permette – a mio parere – di tarare meglio e in modo più chiaro la definizione delle conoscenze richieste e delle competenze da attivare. La correzione dell'errore e l'autocorrezione: apsetti didattici tra lingue classiche e informatica 13 Non intendo qui occuparmi di una possibile conseguenza concreta di quanto detto sopra, ovvero la creazione di un repertorio di sbagli da non commettere. Si tratterebbe senz'altro di uno strumento prezioso, che potrebbe risultare molto utile per gli allievi nel momento della revisione delle conoscenze in vista dell'esercizio di traduzione. Per una proposta di repertorio destinata agli insegnanti rinvio ancora al mio Insegnare latino, pp. 131132, in cui sono raccolti casi relativi all'aspetto fonetico e accentuativo, morfosintattico e lessicale. 3. Lo strumento dell’autocorrezione: valenza formativa Tuttavia, l'impiego più fruttuoso di questa tipologia di prova non è ancora quello che abbiamo analizzato. Un grave problema di tutte queste forme di esercizi consiste nel fatto che richiedono assolutamente una correzione e discussione in classe, come sostiene anche Balboni, e, quindi, esigono un investimento di tempo molto ampio e non sempre commisurato alle esigenze della programmazione. Come poter allora sfruttare il potenziale conoscitivo di tali prove e, allo stesso tempo, non togliere troppo spazio alla spiegazione e ad altre forme più consuete di allenamento? Credo che una soluzione possa venire dallo strumento dell‘autocorrezione, praticata dall'allievo sulla base di esercizi comprensivi di soluzione. La valenza formativa dell‘autocorrezione è grande, in quanto permette allo studente di: a) verificare di aver capito la spiegazione lavorando anche da solo; b) verificare di aver assimilato il concetto a distanza di tempo; c) essere sicuro di ciò che ha imparato attraverso un controllo continuo; d) prepararsi su tipologie di esercizi non dissimili da quelli che dovrà affrontare nelle verifiche; e) acquisire coscienza del progresso della propria preparazione e della possibilità di rispondere a sollecitazioni sempre più difficili. Il rischio è naturalmente costituito dalla tentazione dello studente di aggirare l'ostacolo della verifica, andando direttamente a leggere la soluzione: si tratta, per dirla ancora con M. Baldini, Epistemologia e pedagogia cit., p. 7, della "tentazione di Sancho Panza", che vuole conoscere prima la soluzione e poi l'indovinello. Dal punto di vista del libro "cartaceo" non vi sono soluzioni efficaci, perché non è possibile separare a costi ragionevoli risposte ed esercizi. Per altro, in sé, non è nemmeno da valutare troppo negativamente il ricorso al controllo delle soluzioni, qualora l'allievo si trovi in oggettiva difficoltà e ottenga un aiuto significativo da una risposta che non contenga soltanto l'elemento corretto, ma anche la spiegazione del problema. In quest'ultimo caso, però, si pone nuovamente un problema di tipo editoriale: una spiegazione analitica di un procedimento richiede uno spazio fisico sulla pagina piuttosto ampio, che mal si concilia con la richiesta di volumi il più possibile snelli e poco costosi. 14 ANDREA BALBO Parimenti funziona solo fino a un certo punto il rinvio alle pagine relative alla teoria applicata per la risoluzione dell'esercizio: un conto è il concetto teorico, che può anche essere padroneggiato, un conto è l'illustrazione della sua applicazione pratica. Quale può essere allora una soluzione ragionevole? 4. L’autocorrezione e il mondo multimediale; una serie di esempi linguistici A mio parere, lo strumento informatico può avere un ruolo fondamentale nel perfezionare le pratiche di autocorrezione. Infatti esso possiede un grande vantaggio rispetto ai testi tradizionali: prevede un resoconto valutato della prestazione, che viene normalmente definito report. A meno di non volersi sentir dire dal report che si è ottenuto un risultato molto scarso o disastroso, lo studente non può accedere alle chiavi di correzione prima di aver svolto l‘esercizio. Se consideriamo questo aspetto un punto irrinunciabile, due strumenti appaiono decisamente adatti all‘autocorrezione: - il CD ROM, che può essere unito al corso di lingua o letteratura - il sito Web. I vantaggi che presentano sono i seguenti: a) sono utilizzabili ripetutamente; b) possono essere oggetto di diverse attività da parte dello studente con una varietà maggiore rispetto al libro; c) permettono la costruzione di percorsi di allenamento e di recupero individuali secondo un ritmo autonomo; d) consentono una gestione molto agile delle istruzioni ricevute. Tutti i CD grammaticali permettono di procedere alla correzione dell‘errore. Infatti, ogni tipologia di esercizio presenta una scheda di correzione e di valutazione nel caso che la risposta sia errata: il programma dovrebbe perciò ―sostituire‖ il libro almeno nella fase di autocorrezione. Le tipologie usate sono: a) vero o falso b) traduzione di forme verbali (latino-italiano e italiano e latino) c) completamento d) trasformazione di forme e strutture (attivo-passivo, singolare-plurale) e) scegli la risposta esatta. Ci sono naturalmente alcune avvertenze da seguire: da un lato bisogna essere molto attenti nel creare uno strumento che garantisca realmente allo studente la possibilità di apprendere in modo corretto ciò che ha imparato in forma errata; d'altro canto, le opportunità didattiche La correzione dell'errore e l'autocorrezione: apsetti didattici tra lingue classiche e informatica 15 dello strumento informatico non devono essere sopravvalutate, perché l'apporto del libro di testo e del docente è fondamentale, perché il mezzo informatico consente un controllo standardizzato del problema, non una verifica personalizzata né un‘analisi approfondita delle difficoltà o dei problemi emersi. Dopo aver tenuto conto di queste avvertenze, esaminiamo ora alcuni strumenti informatici che sono associati a volumi di ampia diffusione e analizziamo il modo con cui gestiscono la tipologia della correzione dell'errore17. 1) Nel CD Comprendere e tradurre, associato al corso per biennio Nuovo comprendere e tradurre di N. Flocchini, P. Guidotti Bacci e M. Moscio (Bompiani), si comincia ad usare la correzione dell‘errore nella forma di Caccia all‟intruso a partire dall‘unità 8 (perfetto attivo e passivo anche di sum, eo, volo, fero ecc.; passivo impersonale; dativo; aggettivi di seconda classe). Vengono fornite quattro opzioni (nominali o verbali) su cui agire con il mouse per selezionare. Il programma convalida la risposta esatta e fornisce la correzione di quella sbagliata. Se si commette un errore, nella maschera di presentazione viene spiegato perché la risposta è erronea. Gli esercizi sono costruiti in modalità a scelta multipla. 2) Il CD Expedite, associato al corso Expedite. Il latino in 80 lezioni, per biennio, a cura sempre di N. Flocchini, P. Guidotti Bacci e M. Moscio (Bompiani), costituisce un‘evoluzione del precedente. Esso presenta 4 unità con la tipologia di Caccia all‟intruso, ma i contenuti o sono 17 Da questo punto in avanti il termine è usato necessariamente in modo generico e non tecnico. 16 ANDREA BALBO molto semplici (prima declinazione, indicativo presente ed imperfetto) o giungono al massimo agli aggettivi di seconda classe. Anche le spiegazioni fornite sembrano più succinte e risentono di una diversa organizzazione della struttura del testo. Entrambi questi CD presentano dei report di risultato tranne -paradossalmente - che per gli esercizi di Caccia all‟intruso. Ecco una videata di esempio con la soluzione: 3) Il CD, associato al corso Optimus digitans di S. Nicola (Petrini editore), concepito per le medie inferiori, ma non raramente adottato nelle superiori, è contraddistinto da una grafica molto efficace e presenta sempre il riferimento agli argomenti su cui si svolge la verifica. Dal punto di vista strutturale, è sostanzialmente analogo agli altri precedentemente presentati. Purtroppo l‘autocorrezione non è del tutto efficace, in quanto non vi è sempre la riproposizione della spiegazione dell‘errore, ma solo il rinvio all‘argomento non padroneggiato. La correzione dell'errore e l'autocorrezione: apsetti didattici tra lingue classiche e informatica 17 Ecco qui di seguito una videata: Veniamo ora ad un esempio di strumento Web. Inter Nos (http://web.ltt.it/www-latino/), realizzato da Giuseppe Lucca, docente del Liceo 18 ANDREA BALBO Scientifico Statale ―G. Ulivi‖ di Parma, è un vero e proprio corso di lingua latina suddiviso in tre sezioni: - Latini Auctores - Officina - Itinera (istruzioni per l‘utente). La prima contiene le opere di Cesare, Virgilio, Catullo e Fedro, suddivise in paragrafi e accompagnate da una traduzione italiana (denominata ―Comprensione‖) e da una maschera di ricerca in cui si possono inserire i termini latini non conosciuti. La sezione Officina è dedicata alla morfosintassi e tratta i concetti fondamentali di sintassi dei casi e morfologia dividendoli in varie lezioni, ognuna denominata Iter. A queste due sezioni si può giungere tramite un indice analitico ipertestuale. Il criterio che ispira questo sito è l‘intenzione, propria della didattica breve, di sfrondare tutto ciò che non è necessario per la comprensione della lingua. La parte per i nostri fini più interessante è costituita dalla sezione Recuperanda, in cui sono inseriti esercizi per il recupero di morfosintassi e sintassi del periodo. Essi sono costituiti da versioni nelle quali lo studente deve svolgere diverse attività, che vanno dall‘individuazione delle parole che compaiono tutte nello stesso caso all‘analisi di proposizioni principali e subordinate. È possibile l‘autocorrezione dell‘esercizio e il controllo da parte dello studente, che si vede comparire una scheda di valutazione (che riassume le sue risposte), un punteggio (vivacizzato da un motto latino e da un‘animazione) e una schermata con le risposte corrette. È fornito anche l‘indirizzo e-mail di un tutor a cui si può ricorrere in caso di necessità. I testi della versione sull‘analisi del periodo sono graduati per difficoltà. Si tratta di uno strumento molto efficace e di facile uso. Ne presento qui di seguito due videate, contenenti rispettivamente l'esercizio e la soluzione: La correzione dell'errore e l'autocorrezione: apsetti didattici tra lingue classiche e informatica 19 Come si può vedere, la soluzione si accompagna al report, che viene illustrato in maniera non troppo "punitiva" nei confronti dello studente. L'inserimento delle risposte è estremamente agevole. 5. Un esempio linguistico-letterario: il CD del corso Antico Presente (Petrini editore) Un esempio in ambito letterario è costituito dal CD Antico Presente, allegato a E. Malaspina, P. Pagliani, R. Alosi, A. Buonopane, R. Ampio, A. Balbo, Antico presente. Storia e testi della letteratura latina, Petrini editore, Torino 2006, che prevede una sezione intitolata Alla prova in cui è offerta all‘allievo la possibilità di verificare e potenziare la sua preparazione nella materia inerente ai seguenti autori fondamentali18: Plauto; Terenzio; Lucrezio; Catullo; Cesare; Sallustio; Cicerone; Virgilio; Orazio; i poeti elegiaci; Ovidio; Livio; Seneca; Petronio*; Quintiliano*; Marziale*; Giovenale*; Tacito; Plinio il Giovane; Apuleio*; Agostino*; i Cristiani*. Sono previsti due blocchi di esercizi: 1. Il sistema letterario. Domande a risposta chiusa e aperta su vita e opere dell‘autore, sui suoi rapporti con gli scrittori precedenti e con la società del tempo. 18 Gli autori contraddistinti con l‘asterisco presentano domande esclusivamente sul sistema letterario. 20 ANDREA BALBO 2. I testi. Uno o due passi (scelti tra quelli proposti nell‘opera) da analizzare rispondendo a domande a risposta chiusa e aperta su questioni contenutistiche, morfosintattiche, lessicali e stilistiche. Di qualche passo si chiede anche la traduzione o il confronto fra due traduzioni. Le domande sono interattive e perciò lo studente può controllare immediatamente la correttezza delle risposte date. Non vi è il riassunto delle opzioni di risposta giusta o sbagliata, che sarebbe pleonastico e, in caso di domande di letteratura, comporterebbe un grande dispendio di tempo e di spazio, oltre che una definizione di risposte non sempre univoche. La correzione dell'errore e l'autocorrezione: apsetti didattici tra lingue classiche e informatica 21 6. Conclusioni Questa breve carrellata di riflessioni di natura molto operativa non è ovviamente da considerare esaustiva, ma aspira solamente a suggerire alcune piste di ricerca. Esse possono essere sintetizzate nella forma seguente: a) per la sua efficacia pedagogica e disciplinare, la didattica dell‘errore va sviluppata anche nelle lingue classiche; b) la correzione di sbagli ed errori va progettata attraverso una serie di esercizi graduali; c) poiché la costruzione di un apparato didattico di glossa dell‘errore è oggettivamente dispendiosa in termini di tempo e di spazio, la presenza di verifiche che prevedano correzione e spiegazione analitica di sbagli ed errori è e resterà purtroppo molto rara nell‘editoria cartacea; d) a questo si può porre rimedio attraverso lo strumento informatico, che può facilitare le procedure di autocorrezione consentendo di verificare continuamente le proprie conoscenze e di limare le imperfezioni della propria preparazione. Andrea Balbo Il potere delle parole piccole 22 Sbagliando si sbaglia. Lingue classiche e didattica dell'errore Dato che l‘amico Andrea Balbo si è offerto di trattare in positivo dei metodi di autocorrezione e recupero dell‘errore presentando quanto può essere applicato anche alle lingue classiche dei modi di gestione dell‘errore frutto delle recenti esperienze didattiche, a me rimane la libertà di affrontare un tema meno impegnativo, ovvero mi è consentito radunare qui una serie di osservazioni sparse di carattere meno tecnico, a partire, come dice il titolo, dal mettere amichevolmente in dubbio il tema stesso del convegno. 1. Una provocazione: errare amoenum est? Il titolo di questo convegno è una brillante formulazione fra l'eufemistico e il dico-non dico. A meno che non si voglia dire che talora l'errore è fonte di crasse, spesso amare risate (cosa per altro vera, dato che lo sbaglio è meccanismo fondamentale del comico), non credo che errare sia in sé piacevole. La formula adoperata è abile camuffamento del tradizionale errando discitur, evidentemente considerata troppo cruda (ma su questo torneremo), con l'aggiunta di un elemento affettivo, giocato anche sull‘assonanza con l‘altrettanto proverbiale detto errare humanum est19. È proprio di questo elemento affettivo che, a rischio di apparire retrivo e gratuitamente polemico, non vorrei parlare: questo non perché sottovaluti questo aspetto, ma perché vorrei finalmente che si cominciasse anche a parlare d'altro. Mi spiego meglio: nonostante esistano studi assai seri sull‘argomento, leggendo bibliografia sulla didattica dell'errore applicata alle lingue classiche ci si imbatte ad ogni piè sospinto in esortazioni a superare l'arcaica fase dell'insegnamento basato su una autorità indiscussa, privo di attenzione per i risvolti psicologici del discente (sia dal punto di vista della psicologia più strettamente cognitiva, sia dal punto di vista della psicologia formativa-relazionale), affermazioni che paiono più degne di un politico sul punto di avvalorare con argomenti demagogici una riforma della scuola che di uno studioso di didattica. Se è ben vero che gli insegnanti non sanno mai abbastanza su questi argomenti (probabilmente neppure gli psicologi stessi), voglio sperare che ormai nessun insegnante corregga senza spiegare la correzione e che nessun insegnante, deliberatamente, infierisca sugli studenti incutendo terrore invece di correggere gli errori. Mi si obietterà che la figura dell‘insegnante con turbe psichiche è talmente radicata nell‘immaginario 19 Il detto ricorre nelle più svariate forme in molti autori, a partire dal celebre monito di Tiresia a Creonte nell‘Antigone di Sofocle (10231027), sul fatto che è proprio degli uomini sbagliare, ma è in loro potere anche il rimediare agli errori (per un esempio lat ino cfr. Cic. Phil. 12, 2, 5: cuiuis hominis est errare; nullius nisi insipientis perseuerare in errore). Sbagliando si sbaglia. Lingue classiche e didattica dell'errore 23 collettivo che un fondo di verità deve pur esserci. Nei casi in cui, però, il problema è di questo genere, non è certo un intervento sulla didattica dell'errore a poter cambiare la situazione: il problema è di tipo relazionale, per non dire che è un serio problema psicologico dell‘insegnante, e ben poco ha a che fare con la gestione dell‘errore. Nel caso di questo convegno l‘espressione è evidentemente scherzosa ed innocente, ma è sorprendente il numero di casi in cui, in scritti di didattica o in introduzioni a corsi di lingue classiche, anziché trovare analisi sul meccanismo dell‘errore e sui metodi di correzione, ci si ritrova a leggere testi in cui più che altro si dice di avere lieta benevolenza vero l‘errore, si invita a non individuare gli errori, ma a premiare quanto viene fatto correttamente, con espressioni quantomeno curiose come «valutare non significa giudicare, ma ‗dare valore‘ a quanto fatto correttamente», e dicendo questo si fa riferimento, e con frequenza asfissiante, a una non meglio definita ―educazione umanistico-affettiva‖. È vero che error viene ad assumere nel latino cristiano il valore di ‗peccato‘, ma chi fra noi insegnanti ritiene veramente una colpa morale non conoscere i verbi in -mi? Io pratico una didattica umanistico-affettiva quando leggo e commento la voce di Omero, che ha qualcosa da dire anche all‘uomo di oggi, quando insegno non solo quanto nei millenni ha pensato l‘uomo, ma anche come ha imparato a esprimere linguisticamente pensieri e sentimenti, non quando accetto con un sorriso serafico che uno studente si rifiuti di memorizzare le desinenze dell'aoristo passivo. Dovrebbe essere una cosa evidente, ma a quanto pare non lo è, e spesso (anche da parte di chi di riforma della scuola si occupa) si copre la povertà di proposte didattiche con un velo di gratuito buonismo. 2. Errando discitur Non è del tutto vero che, come va ora di moda dire, si è finora svalutato l‘errore come mezzo di apprendimeno, tant‘è che errando discitur è un detto medievale che si è diffuso in tutte le lingue d‘Europa20. Ovviamente un detto di questo genere può però essere variamente interpretato. La prima, seppure meno pertinente interpretazione, ben poco ha a che fare con i moderni metodi didattici: anzi, sembrerebbe il principio ispiratore dei più retrivi metodi di insegnamento oppressivi. Questo detto può infatti essere considerato una sorta di corollario dell'eschileo pa/qei ma/qoj: madre natura ha fatto sì che uno sbaglio dalle dolorose conseguenze resti impresso nella nostra mente in modo stabile, come mezzo per impedire di ripetere il medesimo errore ed ora i neurologi pare che siano anche riusciti a spiegare come 21. In poche parole si è scoperto che errori, decisioni giuste e ricompense sono legati all'attività di 20 Ampia documentazione ad es. in A. Arthaber, Dizionario comparato di proverbi e modi proverbiali, Milano 1927, 1235. 21 Periodicamente la stampa riporta il risultati di ricerche a questo proposito: fra uno degli ultimi casi citati ric ordo una studio , in particolare uno studio condotto dall'équipe di Jeff Schall alla Vanderbilt University, che ha permesso di individuare un gruppo di neuroni presenti nella corteccia cingolata anteriore il cui compito sembra essere quello di valutare le conseguenze delle nostre azioni, ma non pretendo neppure di poter citare più propriamente simili studi nei quali, ovviamente non ho alcuna competenza. 24 EDOARDO BONA scarica di un gruppo di neuroni che sono in grado di registrare e di permetterci di fornire una valutazione in corrispondenza del nuovo verificarsi dello stesso tipo di situazione. Ecco perché la scuola repressiva, con tutti i suoi difetti, talora in parte funzionava. Dal punto di vista educativo già Menandro sosteneva che non si poteva educare senza scorticare ( o( mh\ darei\j a)/nqrwpoj ou) paideu/etai, Menandro 573 J.=Pap. Vind. 19 999B, 17) e, per rivolgersi a diverso ambito, la Bibbia più volte censura il padre che risparmia il bastone ai figli (cfr. ad es. Proverbi 13, 24: oàj fei/detai thÍj thÍj baktri/aj miseiÍ to\n ui(o\n au)touÍ). Ben si capisce, dunque, che per questa giornata non ci si sia richiamati direttamente a questo detto, che, pur riconoscendo un ruolo positivo ed essenziale dell‘errore, suona piuttosto minaccioso, anche se lo stesso principio può essere sfruttato in maniera opposta (spesso con risultati altrettanto deleteri): anche la ricompensa, infatti, è memorizzata e dunque si può insegnare anche premiando chi non sbaglia. Ma torniamo ai nostri errori: se è vero con Niestche che ciò che non uccide fortifica, l'errore, secondo la legge naturale, può essere maestro soprattutto se accompagnato da un'adeguata 'punizione' dell'errore che favorisca la memorizzazione. Non mi sembra che si tratti di un concetto didattico particolarmente attuale: è impensabile infierire su chi non riconosca un genitivo assoluto o una cosiddetta 'eccezione' della terza declinazione latina, e l'uso punitivo del voto, per quanto talora sia anche di stimolo, raramente ha buone conseguenze a lungo termine, sia a livello didattico, sia relativamente al rapporto dello studente con la scuola e, meno ancora, riguardo alla piena comprensione di che cosa sia la valutazione scolastica, argomento sul quale è rischioso contribuire a creare concetti distorti: ci pensano già gli studenti a far da sé su questa strada. D'altra parte è pensabile che il profondo dolore di uno studente per aver frainteso un'espressione di Demostene sia spontaneamente tale da lasciare un segno indelebile nella sua mente di studente? No: di solito è la paura che i genitori non apprezzino il risultato scolastico o, a loro volta, intervengano a impedire attività più piacevoli22, contribuendo innanzitutto a peggiorare il rapporto dello studente con la valutazione, piuttosto che stimolare le sue conoscenze. L‘uso improprio di questi strumenti, così come i risultati della guerra di liberazione dalla scuola oppressiva hanno portato a conseguenze alle quali è assai difficile porre rimedio: sempre più spesso in classe ci troviamo di fronte ad atteggiamenti diametralmente opposti che non è facile gestire a livello didattico: da un lato la crescente indifferenza di alcuni studenti di fronte all'insuccesso scolastico (in fondo la scuola non è una cosa seria); dall‘altro una sproporzionata paura, direi addirittura panico per 22 È l'effetto noto come ‗alto valore educativo della PlayStation‘: se non l'avessero inventata i genitori non potrebbero impedirne l'uso ai figli a scopo punitivo- Sbagliando si sbaglia. Lingue classiche e didattica dell'errore 25 la verifica. Ci stiamo però sempre più allontanando dal campo della didattica delle lingue, ed è opportuno non proseguire oltre in questa direzione23. 3. Erorre o interlingua? Il filone più fecondo delle riflessioni novecentesche relativamente al ruolo dell‘errore nell‘apprendimento linguistico è indubbiamente quello collegato al movimento dell'analisi degli errori, e ad un celebre articolo di S. P. Corder, del 1967, che rivaluta l'errore come meccanismo dell'apprendere. Di questo, però, si occupano più approfonditamente altri interventi in questa giornata di studio, basti qui ricordare che in questa visione l'errore, criminalizzato da certa didattica tradizionale, viene rivalutato in conseguenza del cognitivismo di Chomsky: sbaglia anche il parlante nativo e persino chi apprende la lingua ne è soggetto attivo, con tutto ciò che ne consegue. L'errore diviene infatti utile come sperimentazione del limite delle regole conosciute ed è per altro persino accettabile attraverso il concetto di interlingua come strumento comunicativo in progressiva formazione, come d‘altra parte lo sono le lingue stesse. Se però tutto questo ha pieno senso e interessantissime conseguenze a livello didattico parlando di acquisizione di una competenza attiva, ha altrettanto valore nell'apprendimento delle lingue classiche? Sempre più spesso, anche in contesti in cui si nega efficacia ai metodi naturali per l‘apprendimento delle lingue classiche (altro ampio argomento di discussione di cui non abbiamo purtroppo tempo di occuparci)24, si fa riferimento alla necessità di ricorrere a forme di interlingua nel corso dell‘apprendimento in particolare del latino definite impropriamente latino maccheronico, o più correttamente pidgim 25. Se non adoperiamo a fine comunicativo attivo una lingua, ha senso ragionare in termini di interlingua, ovvero sbagliando per approssimazione linguistica si impara veramente? Ovviamente, non volendo creare dei parlanti latino, si tratta di un espediente, forse anche meno immotivato di quanto si potrebbe pensare, dal momento che è un serio a problema anche a livello teorico quello della reale possibilità di apprendimento di una lingua in assenza totale di competenza attiva. Nello studiare le lingue classiche ci troviamo però in una situazione che ha del paradossale: fino a quando l‘apprendimento segue la tradizionale strada dell‘analisi grammaticale e sintattica, per quanto anche questo abbia un‘utilità specifica relativamente alla creazione di una competenza relativa alla riflessione grammaticale, ci si trova nell‘assurdo di porre all‘ultimo posto quello che dovrebbe essere il punto fondamentale dell‘apprendimento di una lingua, ovvero la 23 D'altra parte un ulteriore aspetto amareggia in questa forma bestiale di didattica, e ci soccorre nello spiegarlo già Democri to dicendo che è lo sciocco a farsi educare, troppo tardi, dalle disgrazie e non dalla parola (nhpi/oisin ou) lo/goj, a)lla\ cumfonh\ g/netai dida/skaloj, fr. B 76 D.-K.). Insomma, per un uomo dotato di intelligenza è una sconfitta se ci si deve ridurre alla forza e vediamo come in questo mo ndo in cui, da un lato si neghi ogni forma di repressione, alla prova dei fatti il ricorso alla forza avvenga invece con una frequenza allarmante. L'uomo dovrebbe essere quell‘animale in grado anzi di trarre vantaggio dagli errori altrui senza aver bisogno di commetterli ( Ble/pwn pepaideum' ei)j ta\ twÍn a)llwn kaka/, Menandro 121 J.; ex vitio alterius sapiens emendat suum Distica Catonis 3, 13, 2) 24 Per una sintesi con aggiornati rinvii bibliografici rinvio a A. Balbo, Insegnare latino. Sentieri di ricerca per una didattica ragionevole, Torino 2007, 67-74, che, pur ben elencando pregi e difetti dei metodi naturali, si mantiene forse un po‘ più neutrale di quanto non farei io. 25 Mi limito a rinviare all‘articolato capitolo dedicato al problema in A. Piva, Il sistema latino. Ricerca didattica e formazione degli insegnanti, Roma 2004, con relativa bibliografia. 26 EDOARDO BONA comprensione. Ma in questo caso ci si applica all‘apprendimento di lingue di cui non esiste più un parlante nativo, e per le quali dunque è assai rischiosa la creazione di una interlingua, che risulta del tutto sbilanciata a favore della lingua d‘arrivo. Che dire poi del fatto che il tipo di testi a cui ci si applica è caratterizzato da un‘elevata elaborazione formale, che fortemente recalcitra di fronte alla creazione di una interlingua di comunicazione? Formare frasette maccheroniche di comunicazione spicciola di che utilità può realmente essere per acquisire sensibilità linguistica sfruttabile per la comprensione di Virgilio? In realtà a livello di comprensione gioca il ruolo normalmente attribuito all‘interlingua, da un lato proprio l‘analisi grammaticale, dall‘altra quella storpiatura orrenda dell‘italiano che viene comunemente chiamata ‗traduzione letterale‘. L‘assurdo si moltiplica: l‘interlingua in questo caso diventa non una forma di competenza non piena del latino, ma una diminuzione della competenza italiana in parlanti nativi italiani! Eppure proprio questo, senza chiamare in campo nobili modelli didattici e senza parlare di interlingua si è sempre fatto: si è inventata una lingua traboccante di ‗infatti‘ e di gerundi, molto rassicurante per l‘insegnante del biennio che vuole verificare l‘apprendimento delle norme grammaticali, ma che sorprendentemente invece di facilitare l‘acquisizione di competenza linguistica del latino sembra depotenziare le competenze di italiano del parlante nativo. Non direi dunque che a questo livello il problema si di accettare l‘errore come funzionale all‘apprendimento (mi sembra che lo si sia sempre fatto accettando questa specie di interlingua), ma semmai il problema è quello di rendersi conto che non si tratta che di un primo passo. È possibile che lo studente, imparando questa lingua che appare una sorta di italiano latinizzato, si abitui a vedere nel testo latino qualcosa di familiare e che ne interiorizzi alcune strutture? Forse, ma più spesso, purtroppo sembra invece dimenticarsi della propria lingua natia, col risultato che quella che si perde è proprio la comprensione: questa interlingua non è efficace e feconda di conseguenze come quella prodotta da una necessità attiva di comunicazione, ma assomiglia più all‘applicazione schematica di una serie di regole di corrispondenza, dopo di che, nelle migliori occasioni, si guarda il testo in questa lingua che ricorda vagamente quella degli indiani d‘America nei primi film holliwoodiani e si cerca di attribuirvi un senso, dimentichi del testo originale 26. La sottile e impercettibile traccia di competenza della lingua classica tramandata dai testi sfuma come un‘ombra: l‘interlingua, temo, diviene un ostacolo, perché non si legge più il latino cercando di interiorizzarne il ritmo, il suono, la costruzione, la disposizione degli elementi, ma si lavora solo sul primo livello di transcodifica, la cosiddetta ‗traduzione letterale‘. Leggere, leggere, leggere e tornare sempre a rileggere il testo latino dopo che lo si è compreso con questo barbaro strumento: non sembra esservi altra strada. Il sistema 26 Quante volte gli studenti traducono in maniera impropria partendo da quanto hanno ricostruito in questa sorta di lingua franc a, senza rendersi conto, ad es., che l‘ordine stesso delle parole nel testo originale non permetterebbe a nessun lettore o ascoltatore di comprendere in quel modo il testo? Sbagliando si sbaglia. Lingue classiche e didattica dell'errore 27 dell‘interlingua funziona quando vi è un continuo e immediato riscontro del successo della comunicazione e scambio linguistico con un parlante nativo. Qui il parlante nativo non esiste, o meglio lo possiamo solo trovare nei testi, e dunque bisognerebbe insistere molto più di quanto non si faccia, sulla lettura dei testi e su una loro rilettura dopo un primo grado di transcodifica. Temo però che, almeno fino al raggiungimento di un livello di notevole competenza linguistica, molto più che con le altre lingue si debba inevitabilmente ricorrere a metodi assai meno naturali che l‘uso di un latino maccheronico. Noi, non solo non abbiamo il feedback di un parlante nativo, a meno di leggere tantissimo in latino, assai più di quanto non si faccia, ma dovremmo imparare a conoscere la lingua a un livello tale da poterne cogliere le sfumature legate alla cosiddetta funzione poetica: noi dovremmo essere tanto raffinati da cogliere quanto vi è di trasgressivo, ad esempio, nel lessico poetico di Catullo quando adopera il termine basium in logo di osculum. Basium in realtà è molto più vicino alla nostra lingua di quanto non lo siano le espressioni che all'orecchio di un latino colto appartenevano ormai stabilmente alla lingua poetica. Questo lo possiamo fare attraverso il latino maccheronico? Nuovamente ho esagerato: il saggio insegnante sa usare in giuste dosi i vari elementi parimenti utili e necessari per l‘apprendimento della lingua e alterna la grammatichetta alle traduzioni di lavoro e agli espedienti dell‘interlingua. Si potrebbe ancora parlare a lungo, ma non si giungerebbe molto più avanti a livello teorico: mi premeva soltanto far notare che non si può dilettantescamente ritenere valida per il latino e il greco ogni teoria sull‘errore valida per l‘insegnamento delle lingue moderne, ma che al tempo stesso di una sorta particolare di interlingua si è sempre fatto uso anche nella scuola tradizionale, talora fino al punto da istituzionalizzare l‘errore, ovvero dal permettere mostruosità di traduzione in virtù di una presunta aderenza alla lingua d‘origine. Si trascura invece sempre più l‘unico modo che abbiamo di accostarci a un parlante nativo latino o greco, la lettura e rilettura dei testi. 4. L’errore come processo di eliminazione Più che il concetto di interlingua, un diverso concetto di errore è utile per l‘apprendimento delle lingue classiche: l‘errore è utile, anzi indispensabile quando fa parte di un naturale processo di analisi del testo, che prosegue all‘incirca nel seguente modo: ipotesi --> conseguenze --> verifica conseguenze --> ipotesi accettata/diversa ipotesi Qui l'errore permette di scartare un'ipotesi possibile e talora di imparare qualcosa: di imparare se ci sono le condizioni per cui l'ipotesi formulata poteva essere scartata a priori o, se non altro, di acquisire competenza riguardo a quali siano le ipotesi più probabili. Procedere per tentativi ed errori significa però acquisire una strategia di conoscenza solo se la si riferisce ad una metodo generale di scoperta della realtà, non può in alcun modo significare "andare a tentoni" o "indovinare", mentre certa generica indulgenza verso l‘errore sembra illudere lo studente che 28 EDOARDO BONA anche una costruzione su basi precarie e una comprensione approssimativa (si ricordi sempre: di testi letterari!) puà bastare. Normalmente qui si suole dividere l‘errore dallo sbaglio (per quanto la scelta di questi termini tecnici sia del tutto arbitraria): l‘errore è legato alla mancanza di una conoscenza teorica, lo sbaglio a un casuale e improvviso sbandamento non significativo e sistematico e dunque ininfluente in questo processo. Io preferirei essere meno netto in questa pur corretta suddivisione: l‘interiorizzazione delle regole linguistiche è progressiva e l‘educazione delle capacità di concentrazione e di rigore nell‘applicare il metodo è altrettanto progressiva, e se lo studente commette uno ‗sbaglio‘ che potremmo definire ‗errore di distrazione‘, spesso non si tratta di una mera fatalità, ma indica comunque qualcosa che può necessitare di una opportuna correzione: una regola interiorizzata solo apparentemente, un‘incapacità di applicare sistematicamente una regola acquisita. In ogni caso, sia che si tratti di ‗errore‘ o di ‗sbaglio‘, a questo punto bisogna insegnare a scomporre il problema per individuare causa e meccanismo dell‘errore: bisogna capire se l‘errore è nel porre l'ipotesi o nell'applicare il processo di analisi. Il professore in questo caso deve lasciar sbagliare, e deve lasciare allo studente tutto il tempo di farlo perché è il processo stesso di eliminazione degli errori a insegnare. In questo caso sono utili persino errori mostruosi: menziono due casi appartenenti alla mia esperienza di insegnante: un igitur analizzato una volta come forma verbale derivata da un improbabile deponente *igor e un‘altra, con ancor più mirabolante creazione, come impersonale di un composto di eo (non si sa bene con qual sorta di prefisso *ig-), nonché un altrettanto curioso rebus considerato nominativo singolare della seconda declinazione e brillantemente tradotto ‗l‘enigma‘. In entrambi i casi l‘errore è interessante: in igitur è stata individuata una desinenza verbale effettivamente plausibile. Nel caso di igitur è evidente che questi studenti non hanno familiarità con il lessico di uso più comune: qui non v‘è un errore di metodo di analisi, ma la rilevazione di un diverso tipo di mancanza, a cui è comunque indispensabile porre rimedio. Nel del composto di eo vi è l‘aggravante del fatto che lo studente doveva fin da subito considerare l‘assurdità di un prefisso *ig-, ma in ogni caso il docente deve lasciar sbagliare costringendo così lo studente a verificare che la frase, con un verbo in più, non sta in piedi. Per evitare l‘errore bisognerebbe conoscere igitur, ma altrettanto importante è insegnare come ci si accorge che qualcosa è sbagliato e che necessariamente bisogna formulare una diversa ipotesi. Nel caso di rebus l‘enigma si scoglie semplicemente consultando il dizionario e la ‗colpa‘ è ovviamente non aver studiato res. L‘errore è però ugualmente utile: questo studente poco propenso a memorizzare il paradigma di declinazione di un termine di uso così frequente o talmente confusionario da non ricordarlo sul momento (ipotesi meno probabile), a ben vedere ha fatto quello che ogni insegnante vorrebbe: anziché gettarsi sul dizionario, ha tentato di capire il valore del termine a partire dalle sue conoscenze, evidentemente di lettore della Sbagliando si sbaglia. Lingue classiche e didattica dell'errore 29 Settimana Enigmistica. In un caso come questo sarebbe indubbiamente meglio aver fatto giusto, ma l‘errore può insegnare ugualmente qualcosa: l‘intuizione non compensa quella parte di conoscenze teoriche che bisogna comunque aver acquisito e l‘ipotesi ardita va comunque sempre verificata. Qui, per quanto in entrambi i casi ci sia una oggettiva ‗colpevole mancanza‘ nella preparazione degli studenti, la valutazione dell‘insegnante dovrebbe lavorare soprattutto sul risultato finale: dopo aver commesso l‘errore lo studente è stato in grado di accorgersene al momento della verifica dell‘ipotesi? Ha saputo rimediare? Fino qui mi pare di dire cose ovvie, che credo metta in pratica ogni buon insegnante. Quello che dobbiamo meglio sfruttare nella didattica delle lingue classiche è piuttosto l'analisi dell'errore e delle sue cause anche da parte dello studente: non solo infatti il docente non ha la possibilità materiale di seguire costantemente ogni singolo studente nell‘affrontare ogni singola difficoltà del testo, ma il procedimento di cui sopra implica che lo studente deve costantemente verificare i propri errori, e bisogna allenarlo in questo senso. Talora la causa dell‘errore è oscura e non tutto si può spiegare, ma molte sono le cause dell'errore definibili con una certa precisione: l'errore di mera mancata memorizzazione della regola, di non applicazione della regola, l'errore di comprensione della regola o di ipergeneralizzazione (applicare una regola a un caso in cui non va applicata –l‘esempio di igitur-), l‘errore dovuto all'influenza della lingua di partenza, la mancanta di conoscenza del referente extratestuale, la mancata conoscenza culturale e cvia dicendo, ma forse non sfruttiamo sufficientemente la classificazione delle cause dell‘errore. Se vogliamo veramente pensare di sfruttare a nostro vantaggio l'errore non bisognerebbe tanto, mi pare, far correggere l'errore dallo studente scrivendo a fianco la forma corretta, come spesso si fa, quanto piuttosto costringere ad analizzare le cause dell'errore riportandole a una delle precedenti tipologie, scomponendo le varie fasi del ragionamento applicato per scoprire eventuali incoerenze, o insufficienze. Certo il rischio è di enfatizzare l‘errore e colpevolizzare i poveri studenti, ma non si può adoperare sempre un farmaco generico limitandosi a dire che bisogna studiare di più: lo studente dovrebbe imparare a capire che non solo non ha studiato una determinata regola, ma forse ha una più generale mancanza sistematica nel metodo di studio: memorizza le regole, ma non le applica, non conosce il lessico, non si chiede che cosa significhi il testo… e siccome il professore non può stare con fiato sul collo di ogni allievo con per di più il rischio di colpevolizzarlo oltre misura, si deve forse tentare, pur con moderazione di indurre lo studente stesso a individuare le cause del proprio errore, sfruttando ad es. schemi di catalogazione dell'errore con opzioni chiuse, come ad es quelli proposti, per le lingue moderne, in A. Benucci, La correzione degli errori in P. Diadori, Insegnare italiano a stranieri, Firenze 2001, pp. 164178 (ma ne esistono molti altri altrettanto validi). In questi schemi alle colonne in sui segnalare 30 EDOARDO BONA errore e forma corretta (e eventualmente l‘analisi delle conseguenze dell'errore) sono proposte, in forma di opzione, formule di analisi dell‘errore: non ricordavo la regola - ho errato nell'applicarla / non ho applicato la regola / sono stato sviato da analogie con … / non ho tenuto conto del contesto: / non ho tenuto conto del significato generale del testo - ho modificato la mia prima ipotesi avendo frainteso il testo / non sono stato in grado di rendere in italiano. E non trascurerei la parte relativa alla resa in italiano: non è corretto in italiano / non è adeguato in italiano / è fuori registro in italiano / non è opportunamente scelto il significato Lo studente, aiutato nelle prime volte nell‘uso di questa classificazione, potrebbe così meglio comprendere le cause dell‘insuccesso e ricorrere al farmaco specifico, e spererei che gli insegnanti non si arrendessero e, quando si affronta la traduzione a livello più complesso, stimolassero gli studenti a superare la fase in cui ci si avventura nella comprensione di un testo per successive approssimazioni. Lo schema potrebbe servire come invito gli studenti a una più approfondita riflessione sulle mancanze anche a livello lessicale e formale nell‘italiano inducendoli a non fermarsi all‘interlingua, ma rielaborare opportunamente la traduzione fino a farla diventare veramente un testo iraliano. Spesso infatti nel gran cumulo delle correzioni blu oltremare, la rosea lineetta che in genere segnala allo studente le improprietà formali lo lascia del tutto indifferente. Non sarebbe male invece talora richiedere una riflessione anche su questi errori su cui cade generale indulto, e richiedere, pur senza punire, di rendersi conto che una determinata espressione non ha opportuna efficacia in italiano, costringendo di conseguenza a rendersi conto di che cosa sia effettivamente una traduzione, e magari insegnando qualcosa anche sull‘italiano. Se però propongo che gli studenti si scevellino sui propri errori classificandoli, sono invece parzialmente contrario all'uso dei testi da correggere, agli esercizi 'individua l'errore' e simili. Verrò accusato di criminalizzare l'errore, ma bisogna a mio parere avere prudenza per quello che io definisco il fascino perverso dell'errore: non riesco a togliermi di mente che se nessuno avesse mai detto agli studenti che il locativo non è un genitivo, di propria iniziativa a nessuno sarebbe passato per la mente di chiamarlo genitivo-locativo, come invece immancabilmente si fa. Anche chi lo riconosce regolarmente sembra aver meglio memorizzato il fatto che non è un genitivo, che aver compreso che cosa sia e quali siano le sue forme. Mi ricordo di un collega delle medie inferiori che ebbe l‘infelice idea di narrare una barzelletta a proposito di un italoamericano che parlava un idioma misto di italiano e inglese e si ritrovò in un compito l‘espressione «I don't such» in cui, con l‘ineccepibile grafia «such» si intendeva rendere inglese un napoletano «saccio», proprio come in una espressione della barzelletta. Probabilmente non si giunge spesso a questi estremi, ma l‘errore è maledettamente facile da memorizzare, e trovo imprudente suggerire a uno studente, già portato per sua stessa natura, nuove forme d‘errore. In un testo del biennio ad es. ho trovato in un esercizio relativo ai verbi Sbagliando si sbaglia. Lingue classiche e didattica dell'errore 31 impersonali la seguente frase: Neque id dixisse / ut id dixerim me paenitet. Giunto a quel punto del percorso proposto dal libro lo studente non ha mai visto, se non per pura coincidenza, una completiva introdotta da ut. Per quale perverso disegno dobbiamo suggerirgli la possibilità di un errore che non sarebbe neppure in grado di compiere? Non bisogna nascondersi che una gran parte degli errori sono errori e basta, il che da un certo punto di vista è consolante perché, come s‘è detto, sbagliare è umano, ma al tempo stesso ci pone di fronte a un problema di difficile soluzione perché legato alla formazione dell'individuo più che all'apprendimento disciplinare. Ricordo che a una delle mie prime supplenze, correggendo temi assegnati dall‘insegnante titolare, mi trovai in una situazione paradossale. L‘insegnante aveva avuto l‘infelice idea di definire l‘idillio leopardiano un «quadretto naturale». Orbene la stragrande maggioranza degli studenti affermava con convinzione che l‘idillio era un «quadrato naturale», ed uno studente, decisamente più creativo, addirittura affermava fosse un «cubetto naturale». Questo tipo di errore è didatticamente il meno sfruttabile, ma siamo sicuri che non possa insegnare qualcosa? Quanto avvenuto ovviamente non significa che nessuno fosse dotato di minimo buonsenso e conoscenze linguistiche, ma che in fondo la scuola non è una cosa seria: se l‘insegnante vuole che gli si ripeta una definizione, non necessariamente essa deve significare qualcosa. Quando si incontra questo genere di errore, e avviene spesso purtroppo, non vi è classificazione che tenga, ma è l‘insegnante che deve fare autocorrezione: evidentemente non si è riusciti a far capire che cosa sia la scuola. Edorado Bona Il potere delle parole piccole 32 Latine legere Gallice loqui L‘argomento del presente Convegno riguarda la ―utilizzazione degli errori nella didattica delle lingue‖, ma l‘esperienza didattica di cui sto per parlare non vi si riferisce in modo diretto, a meno che non si vogliano considerare le potenzialità offerte dall‘informatica in questo campo; si tratta, dunque, di un legame debole che, facendo riferimento al titolo generale, rimanda più ad un errare inteso come vagare, a una di quelle pagine, insomma, che Giorgio Pasquali avrebbe definito ―stravaganti‖; se poi questo ―errare‖ avrà qualche cosa di ameno non spetta certamente a me dirlo, mentre è del tutto opportuno che in primo luogo mi scusi, perché il mio contributo al Convegno non ha assolutamente carattere scientifico, ma è e vuole essere solamente discorsivo, opera di modesto artigianato, del resto parvum parva decent. Occorre, innanzitutto, osservare che con le parole latine legere gallice loqui non si è voluto tanto alludere ad un rapporto diretto fra la lingua latina e quella francese, quanto piuttosto suggerire il senso della trasversalità dell‘approccio che mira a superare le rigide barriere fra le ―materie‖ scolastiche e cerca di trovare percorsi che, pur senza rivoluzionare la consueta organizzazione delle discipline, riescano tuttavia a suggerire modalità diverse per rifarsi alla tradizione e, contemporaneamente, proporre strumenti che, grazie all‘ausilio delle tecniche informatiche – peraltro di facilissima acquisizione – si prestino ad essere riprodotti non solo meccanicamente, ma con tutte le variazioni che le esigenze del contesto, di volta in volta, richiedano. È, questo della possibilità di documentare e riprodurre le esperienze didattiche svolte adattandole con relativa facilità alle condizioni sempre mutevoli dei gruppi di lavoro nei quali ci troviamo ad operare, uno dei temi che potrebbero giocare un ruolo non secondario nella scuola della autonomia. Il lavoro presentato in questa sede ha origine dalle riflessioni scaturite nel Liceo Scientifico ―Einstein‖ di Rimini in seguito al Progetto di formazione di rilevanza regionale, ―Le nuove professionalità nei servizi territoriali per il supporto alle scuole‖, promosso dall‘Ufficio Scolastico Regionale per l‘Emilia Romagna e dalla Direzione Generale Centro Servizi Amministrativi di Rimini, nell‘anno scolastico 2004/05. Tale progetto prevedeva una sinergia fra l‘Amministrazione Scolastica Regionale, gli Istituti riminesi di ogni ordine e grado e l‘Università degli Studi di Bologna, il fine era la formazione di figure professionali qualificate come Tutor per l‟innovazione e Promotore di rete27. Il Corso venne aperto dalle lezioni dello 27 Cito dalla relazione presentata al corso lunedì 11 ottobre 2004 dall‘Isp. Gianfranco Cerini: ―Il tutor dell’innovazione è una figura (preferibilmente un insegnante di comprovata ed autorevole esperienza) capace di fungere da catalizzatori e facilitatoredi processi di innovazione all‘interno della scuola. Dovrà sviluppare un‘attitudine all‘apprendimento e al miglioramento continuo dell‘organ izzazione di appartenenza, fungere da supporto professionale alle attività d‘aula, predisporre risorse organizzative e didattiche per acco mpagnare l‘assunzione di nuovi compiti professionali nei colleghi. La figura si caratterizza come elemento trainante di una leadership collaborativa. Il Latine legere Gallice loqui 33 scomparso Prof. Piero Romei, teorico della organizzazione, della Facoltà di Scienze Politiche dell‘Università di Bologna. Lo stesso Prof. Romei promosse, nell‘anno successivo, vari gruppi di lavoro, coinvolgendo numerosi Istituti riminesi, per cercare di tradurre in una serie di misure ponderate e concrete le ―condizioni organizzative per una didattica efficace‖28. In quella sede i docenti furono invitati a definire lo specifico della loro scuola attraverso un articolato percorso che potesse esplicitare in un futuro Piano dell‘Offerta Formativa una identità non generica, ma coerentemente articolata nei suoi aspetti caratterizzanti la trasversalità dei metodi di insegnamento e gli obiettivi cognitivi, identità tale da tradursi in ―propositività‖, ―riconoscibilità‖ e ―capacità di relazione interistituzionale‖. Si trattava, quindi, di passare dal piano teorico a quello pratico, individuando una sezione, all‘interno delle singole Scuole, i cui docenti fossero disposti a lavorare per elaborare e quindi presentare un piano dettagliato che risultasse caratterizzato e caratterizzante nei contenuti, ma che, al fine di garantire un alto grado di riproducibilità e di ―interistituzionalità‖, utilizzasse un linguaggio ed una impostazione comuni a tutti gli Istituti partecipanti al progetto. In quella occasione, nel mio Liceo, venne scelto il corso di bilinguismo francese-inglese come elemento-pilota della ricerca. Su queste basi i docenti, nel corso degli incontri tenutisi nell‘anno scolastico 2005/06, individuarono come possibile elemento unificatore, almeno per le discipline storico-letterarie, il tema della identità europea, demandando al Consiglio di Classe della futura seconda 29 il compito di tradurre operativamente nella didattica le premesse individuate. Ecco dunque le ragioni per le quali, all‘inizio dell‘anno, ci è parso interessante attivare nella classe seconda, in linea generale, un lavoro comune fra le varie discipline storico-linguistiche30, ed un altro più specifico di raccordo fra l‘insegnamento di Francese e quello di Storia, facendo, in questo caso, ricorso ai principi della didattica CLIL. La scelta del tema da trattare è caduta sulle campagne galliche di Cesare sia per la rilevanza letteraria della primaria fonte storica sia per l‘importanza dell‘argomento – che conserva, fra l‘altro, una sua attualità nella cultura francese, anche in quella popolare come testimonia la persistente fortuna delle avventure di Asterix – che si presta molto bene ad un confronto tra il concetto antico di ―civilizzazione‖ e di assimilazione culturale, riconducibile alla logica dell‘imperium e del parcere victis et debellare promotore di rete è una figura (interna al contesto scolastico, ma anche operatore di servizi territoriali) in grado di implementare l‘autonomi a delle istituzioni scolastiche, attraverso la messa in atto di adeguate relazioni interistituzionali e di partenariato. La figura dovrà attivare contatti con strutture e servizi territoriali, fungere da interfaccia scuola-territorio, reperire risorse ed opportunità per la didattica, favorire il legame e la collaborazione tra le scuole e promuovere la cultura di rete, trasformando la rete istituzionale in rete sociale.‖ 28 Cito dalla relazione tenuta dal Prof. P. Romei al Corso sopra ricordato: ―Le scuole sono istituzioni nella misura in cui hann o identità, propostività, riconoscibilità, capacità di relazione interistituzionale (interistituzionalità). Una identità istituzionale forte, resa riconoscibile da una propositività deliberata, è la condizione per partecipare da protagonisti al gioco di relazioni interistituzionali in cui si traduce il policentrismo formativo ormai affermatosi. Questi quattro ―pilastri‖ concettuali sono la risposta alla domanda: che cos‘è l‘autonomia.‖ 29 Classe nella quale l‘Insegnante di Francese sarebbe stata la Prof. Anna Maria Torri – che aveva partecipato alla organizzazione del Corso di formazione sopra citato in sede regionale e ne era poi stata Tutor d‘aula – ed il sottoscritto – che vi aveva ottenuto la qualifica di ―Tutor per l‘innovazione‖ – sarebbe stato docente di Storia. 30 In questo ambito è stata attivato un percorso mirato alla comprensione del concetto di cittadinanza nella legislazione europea contemporanea, con opportuni raffronti allo sviluppo storico del medesimo, ed alle complesse e talora conflittuali dinamiche relazionali scaturite dal problema della integrazione fra culture diverse nella moderna società multietnica. Il lavoro ha visto la collaborazione di tutti i docenti dell‘area storico-linguistica e si è concretizzato, oltre che nei consueti modi della prassi scolastica, nella proiezio ne di film in lingua originale ed in conferenze di esperti esterni. 34 SILVESTRO TONOLLI superbos, e quello moderno di rapporto dialettico fra popoli e culture diverse aventi pari dignità, argomento che, pertanto, si inserisce a pieno titolo in quella prospettiva di ―identità europea‖ che ha costituito l‘orizzonte di riferimento del presenteranno scolastico. Nel Liceo erano già stati fatti esperimenti di attività basata sui principi della didattica CLIL, ma riguardavano una sinergia tra Fisica ed Inglese in una classe del triennio. Il nostro tentativo di lavorare sul Francese e sulla Storia si scontrava ora con la necessità di tenere innanzitutto conto della ancor incompleta padronanza linguistica degli alunni; per questo motivo la scelta delle fonti proposte non si è potuta orientare su opere complesse, ma si è deciso di privilegiare testi linguisticamente e concettualmente semplici, ancorché rigorosamente originali. Ho, pertanto, visitato i siti francesi che illustravano la guerra gallica assemblando una presentazione attraverso power point e, insieme con la Collega di Francese, abbiamo indicato agli alunni dove reperire una traduzione francese del De bello gallico. Devo anche dire di avere un po‘ ―barato‖, in quanto ho segnalato ai ragazzi che esistevano anche traduzioni italiane dell‘opera di Cesare… Dopo aver presentato in francese il tema della conquista della Gallia, abbiamo invitato i ragazzi a dividersi in gruppi, a leggere ognuno un libro dell‘opera ed a produrre un‘intervista in francese ad un personaggio reale o immaginario che sembrasse a loro giudizio poter riflettere l‘aspetto saliente del libro preso in esame. Le consegne, oltre naturalmente a quelle linguistiche, erano di presentare il personaggio facendo emergere dall‘intervista il suo particolare punto di vista, le modalità e le ragioni della sua azione. Abbiamo anche detto che il loro lavoro sarebbe stato aggiunto alla presentazione fatta dall‘insegnante e ―confezionato‖ in una sorta di prodotto multimediale. Quest‘ultimo passaggio, a dire la verità, non sarebbe stato strettamente necessario, ma sono personalmente convinto che, talora, sollecitare l‘aspetto ludico degli alunni possa avere ritorni didatticamente positivi. Nel formulare i consigli mi sono lasciato ―sfuggire‖ che sarebbe stato certamente più facile per loro mantenere la falsariga della versione francese di Cesare e che avrebbe fatto certamente una buona impressione se, qualche volta, avessero inserito parole o frasi latine; naturalmente, per fare ciò, non sarebbe stato possibile ignorare del tutto l‘originale e si sarebbe dovuto lavorare parallelamente su due o tre lingue (latino, francese, italiano). Ovviamente l‘intento recondito era quello di favorire negli alunni l‘abitudine alla trasversalità linguistica e, nel contempo, quello di suggerire ai ragazzi una rielaborazione del testo, che si sarebbe resa assolutamente necessaria dovendo essi far parlare personaggi non romani, e dunque con una visuale spesso diametralmente opposta a quella data, partendo essi da una fonte sottilmente ideologica come sono i Commentarii. A dire la verità, mi aspettavo che molti ragazzi avrebbero scelto la via più facile, ovvero quella dell‘intervista a Cesare, ma i miei alunni si sono dimostrati Latine legere Gallice loqui 35 più generosi e coraggiosi del loro insegnante ed hanno deciso tutti di intervistare personaggi schierati nel campo opposto. Al termine del lavoro i vari gruppi hanno presentato, anzi ―recitato‖ pubblicamente le interviste. Nel complesso. le richieste non erano particolarmente elevate: il genere dell‘intervista è fra i più frequentati dalla prassi scolastica né venivano richieste particolari competenze sul piano linguistico. Tuttavia mi pare di poter sottolineare come siano stati raggiunti alcuni risultati apprezzabili, sia pure su un piano trasversale. Innanzitutto, gli alunni hanno avuto modo di esercitare le proprie competenze linguistiche a livello di parlato di fronte ad un uditorio più ampio di quanto non accada solitamente nella pratica scolastica; inoltre, il fatto di dover esporre un testo alla classe, senza che questa avesse un supporto cartaceo, ha contribuito a far comprendere ai ragazzi la necessità, per chi si rivolge ad un pubblico, di parlare lentamente e scandendo in modo chiaro le parole. L‘esperienza si è rivelata talora un poco difficoltosa, ma comunque sempre proficua. L‘esercitazione ha anche contribuito a rafforzare nei ragazzi le competenze per quanto riguarda la produzione scritta, dal momento che il lavoro doveva essere consegnato per iscritto. Dal punto di vista specifico della storia, ma si potrebbe anche dire della retorica, i ragazzi si sono confrontati non con una riproduzione meccanica di un testo dato ed appreso più o meno meccanicamente, ma sono stati costretti a prenderne le distanze, scindendo i fatti dalla loro presentazione ed esercitandosi, come si è osservato, in uno spostamento di visuale sino a produrre un nuovo testo indipendente, seppure collegato, a quello originario. Spero che questo possa avere una ricaduta sulla consapevolezza che le fonti, di qualsiasi natura esse siano, non sono mai neutre, ma riflettono sempre un punto di vista del quale è necessario tenere conto. Per quanto concerne la comparazione linguistica, il lavoro non è stato condotto sfruttandone tutte le potenzialità: ho cercato di suggerire alcune possibili piste inserendo un testo di Cicerone nell‘originale latino e nella sua traduzione francese. La presenza di un testo di Plutarco potrebbe essere analogamente sfruttata in un Liceo Classico, senza contare che il confronto latino/francese avrebbe potuto essere sistematicamente perseguito nella puntuale analisi dei testi cesariani; ma tutto questo avrebbe dilatato eccessivamente i termini dell‘operazione, qualora il confronto fosse stato condotto insieme con gli alunni, oppure, se confezionato direttamente dall‘insegnate, avrebbe avuto scarsa rilevanza didattica, ma è pur vero che talvolta ―poca favilla gran fiamma seconda‖… Del resto, è facile osservare come un lavoro del genere potrebbe essere condotto con un respiro assai maggiore se si coinvolgessero 36 SILVESTRO TONOLLI nell‘operazione altre discipline31, prima fra tutte il Latino, ma, come ho osservato sopra, nella scuola la teoria è spesso condizionata dalla occasione contingente. Vorrei aggiungere alcune considerazioni sui motivi che mi hanno indotto a tradurre il lavoro in una presentazione di power point. Ho già parlato dello spirito ludico, che – devo confessarlo – è, prima di tutto, quello dell‘insegnante ed in questa prospettiva non va trascurata l‘estrema facilità di acquisizione dalla tecnica d‘uso di questo programma, ma vi sono anche ragioni più profonde anche se non tutte rilevabili nella presente esperienza. Nella prassi scolastica attuale si rilevano, fra le altre, due esigenze: la prima è quella di fornire ai nostri alunni una ―enciclopedia‖ riguardo alle civiltà che, di volta in volta, si insegnano. Molte difficoltà linguistiche, ben se ne accorge ogni docente di Latino (ma non solo!) sono dovute alla mancata conoscenza di miti, di aneddoti, di particolari materiali che, per le nostre generazioni, erano del tutto ovvi. I miei alunni non riuscivano a tradurre un testo semplicissimo, perché non conoscevano la ―spada di Damocle‖ e, pur giungendo ad un risultato linguisticamente corretto, non potevano a capacitarsi che si desse in natura una spada sospesa al soffitto per un crine di cavallo! Altri avevano trovato una soluzione ineccepibile sul piano grammaticale e del senso, peccato che quel Regulus che faceva passare le truppe in Africa fosse diventato ―il piccolo re‖. In questi casi bisogna ricorrere ad una rapida spiegazione del contesto, ma, a volte, basta un‘immagine scelta opportunamente per suggerire un‘atmosfera, per aiutare la comprensione di un mondo che altrimenti rimarrebbe precluso. Solo per fare un esempio concreto, credo che, per far apprezzare il cambiamento di mentalità e di gusto che separa l‘Antico Regime dalla nuova temperie rivoluzionaria, valga più di tante dotte riflessioni di carattere storico filosofico l‘immediatezza del confronto fra il Giuramento degli Orazi di David ed un quadro a soggetto mitologico di un Tiepolo, fra l‘incipriato ritratto del Metastasio e quello stürmer e plutarchiano di Foscolo effigiato da Xavier Fabre. Analogo discorso può essere fatto per quanto riguarda la musica. Ora, gli strumenti multimediali consentono di operare questi confronti con estrema facilità, in particolare usando programmi si semplicissimo accesso e di buona resa, come quello di power point. Inoltre, il pregio dei supporti informatici è la loro immediata duplicazione e riadattabilità: con l‘accesso ad internet, con il ricorso alle ―penne‖ elettroniche (leggi ―periferiche di archiviazione di massa‖), un docente 31 Uno dei punti sui quali mi sembra che le riflessioni di Romei meritino una attenta riflessione è proprio quello della ―riprod ucibilità‖ delle esperienze svolte in una classe, ovviamente non nel senso di una ripetitività meccanica (―Chi impara, come chi insegna, è una persona, capace di comportamenti attivi; non un oggetto da plasmare‖, osservava lo stesso Romei), ma in una prospettiva di maggiore consapevo lezza della opportunità di superare il concetto ―artigianale‖ dell‘insegnamento: l‘insegnante è ―un professionista che opera in un‘organizzazione‖ e le organizzazioni ―contano sugli uomini, ma non possono dipendere in tutto dalle doti dei singoli‖. Certo, la scuola è un‘organi zzazione particolarissima, perché mette in relazione delle persone in una dinamica relazionale e sociale tanto complessa da risultare se mpre nuova, nei confronti della quale, oggi, non risultano neppure chiaramente definibili in modo univoco gli scopi primari (istruz ione? educazione? socializzazione?), né l‘oggetto (chi è l‘utente della scuola? L‘alunno? La famiglia? La paideia?), tuttavia, in un contesto in cui innegabilmente ha perso evidenza,se non addirittura, valore il ―patto educativo‖ che stava alla base del prestigio e, in ultima analisi, della efficacia della scuola, sembra utile riflettere sulla possibilità di rendere visibile la qualità del lavoro svolto attraverso la cura organizzativa d ella Istituzione, in una prospettiva, sia ben chiaro, non di asservimento, ma di supporto. Per questi motivi mi sembrano poter suscitare interessanti riflessioni le parole di Romei secondo cui l‘organizzazione serve a ―sorreggere e completare le capacità rendendo i contributi dei singoli p iù prevedibili, più affidabili, quindi più integrabili sinergicamente, e quindi più sostituibili proiettando la durata dell‘organizzazione nel tempo al di là dei limiti naturali umani‖. Latine legere Gallice loqui 37 può presentare e trasferire agevolmente ai propri alunni immagini e musiche che egli ritenga significative per il lavoro educativo. L‘altro aspetto che la pedagogia invita a perseguire è quello della personalizzazione della didattica: senza voler considerare il computer come una panacea, è tuttavia innegabile che, facendo lavorare una classe in un laboratorio di informatica attorno ad un progetto comune, ma articolabile in modi diversi a seconda delle diverse sensibilità ed attitudini, i ragazzi trovano spazi non banali per esprimersi, affinando nel contempo il proprio metodo di studio, ampliando gli orizzonti, sviluppando, ovviamente sotto la guida dell‘insegnante, metodi di ricerca non puramente compilativa. A questo proposito vorrei presentare brevemente alcune esperienze fatte, questa volta, in una classe quarta liceale. Individuato un tema comune da parte del Consiglio di classe, dopo una presentazione di carattere generale da parte del docente di Italiano, gli studenti sono stati invitati a declinare lo stesso tema nella prospettiva delle discipline a loro più congeniali. Alcuni hanno spontaneamente affrontato la lettura integrale di opere non strettamente canoniche della letteratura italiana, altri si sono confrontati con la poesia inglese, in lingua, perché avevano maturato l‘ambizione di una propria traduzione; altri ancora, partiti dallo studio della fisica, ne hanno scoperto i nessi con la filosofia; alcuni, infine, nelle discussioni all‘interno di un gruppo ristretto di lavoro, si sono accorti della importanza della progettazione e della selezione delle prove nella elaborazione di un testo argomentativo. È chiaro che il lavoro scolastico non può esaurirsi in queste attività laboratoriali, così come appare evidente che i tempi da destinare a tali scopi devono essere reperiti operando una selezione attenta degli argomenti curricolari da trattare, ricorrendo anche ad alcune rinunce, ma i vantaggi di un tal modo di procedere possono compensare dei sacrifici fatti. In questa direzione è forse da recuperare l‘area di progetto dei Programmi Brocca che impegnava attivamente l‘intero Consiglio di Classe attorno ad un obiettivo comune, anzi, in questa direzione si può operare al superamento di quella logica individualistica e frammentata che ha spesso contraddistinto il lavoro degli insegnanti. In particolare, dal punto di vista del presente Convegno, si possono attuare delle strategie di lavoro significativo: ad una casse di P.N.I. era stato chiesto di ipotizzare un percorso di sostegno alla traduzione per alunni di una classe inferiore e di valutare la trasferibilità di questo sostegno su base informatica. La classe iniziò immediatamente un‘animata discussione sul concetto di traduzione e sulla individuazione di percorsi privilegiati per giungere ad essa. Al di là dei risultati concreti (anche se occorre rilevare che un alunno particolarmente dotato elaborò un programma o progetto di programma in questa direzione), i ragazzi furono indotti ad una riflessione che, pur non modificando in modo sostanziale le loro abilità, li portò ad una maggiore consapevolezza sulle logiche sottese all‘argomento, sulle 38 SILVESTRO TONOLLI differenze sostanziali fra linguaggi matematici e linguaggi naturali e sulla diversità di problemi introdotti dalla traduzione di testi essenzialmente comunicativi e testi letterari. Vorrei, da ultimo, cercare di ridimensionare un motivo di preoccupazione da parte dei docenti quando si accostano a questo tipo di attività, ossia quella di perdere il controllo della situazione, vista l‘innegabile superiorità tecnica ed attitudinale dei nostri scolari in questo campo. Certo, nel laboratorio di informatica i ruoli spesso sembrano invertirsi ed è il docente a chiedere lumi ai discenti, ma la dichiarata inferiorità ―tecnica‖ non implica una perdita di ruolo: il fine dell‘attività, le tappe per raggiungerlo, il riconoscimento delle capacità progressivamente acquisite dagli scolari rimangono sempre in mano nostra, in altri termini la conduzione dell‘attività didattica e la responsabilità dell‘azione educativa non sono affatto ―resettate‖ dal computer, anzi questa ―raffinata tecnologia che sconfina talora nella magia‖ (sono parole di un Collega di Fisica di fronte all‘imponderabile sempre in agguato con il computer) può offrirci nuove e stimolanti vie per aiutare la crescita intellettuale ed umana dei nostri alunni. Silvestro Tonolli Il potere delle parole piccole 39 Gli errori nella didattica della lingua inglese Il tema dell‘analisi degli errori nell'apprendimento delle lingue straniere è da tempo oggetto di studi approfonditi – tra i più sistematici ricordiamo quelli di Richards (1974) e di Corder (1981). Un‘agile antologia di saggi è stata curata da Freudenstein (1989) e l‘argomento è stato ripreso in innumerevoli lavori di glottodidattica. Di tale messe di indagini richiamerò solo due punti essenziali. Il primo è la distinzione tra errore (sistematico, riferito alla ―competenza‖) e sbaglio (occasionale, riferito alla ―esecuzione‖). Il secondo punto riguarda la genesi degli errori: non tutti si possono ricondurre a dissimmetrie tra la lingua materna dello studente e la lingua da imparare, ma intervengono problemi connessi con le strategie di apprendimento e di comunicazione - dalla ipergeneralizzazione di elementi già acquisiti alle diverse forme di evitamento delle difficoltà. L‘ipergeneralizzazione è collegata al concetto di interlingua: chi studia una lingua straniera è consapevole di possedere un sottosistema parziale, ma ugualmente nel produrre lingua si comporta come se ciò di cui è padrone fosse il tutto e non una parte. Di qui l‘estensione scorretta di strutture note a contesti nei quali esse non sono utilizzabili: *Speak you English? è un‘iperestensione di Are you English? e non un calco dell'italiano Parli inglese? In buona misura, gli stessi concetti di base utili nell‘analisi degli errori di lingua sono utili anche nell‘analisi degli errori relativi alla conoscenza della cultura straniera. A illustrazione di ciò riprendo qui, con qualche modifica, uno studio condotto nell‘ambito dell‘analisi dei problemi connessi all'insegnamento del lessico di una lingua straniera (Porcelli 2004). Al fine di sviluppare l‘attenzione degli studenti universitari di Lingue verso proverbi e idiom inglesi, un libro di testo (Porcelli, Caimi, Uccellino 1997:104-126) ne aveva raccolti alcune centinaia e agli esami di Linguistica Inglese, in un test scritto preliminare, si è chiesto agli studenti di ricostruire le espressioni scrivendo le parole mancanti, sostituite da spazi bianchi. Non è stata una ricerca sistematica e pianificata, capace quindi di offrire dati quantitativi affidabili; d‘altra parte la disponibilità di quasi 1800 item può essere utile come strumento di un‘indagine qualitativa sui tipi di errori riscontrati e sull‘incidenza della competenza lessicale. Perciò sono stati ignorati gli errori (o sbagli? 32) di ortografia e anche quelli meramente grammaticali (come gli accordi tra singolare e plurale). In un solo caso, There is many [a] true word spoken in jest, si richiedeva di completare la frase notando l‘uso del singolare 32 Data la struttura dei quesiti, non è stato possibile determinare, salvo casi sporadici, se si trattasse di lapsus o di carenze di conoscenza, ossia di errori o di sbagli in senso tecnico. Molti test sono carenti proprio da questo punto di vista, mentre una distinzione tra i due tipi di produzio ne erronea è essenziale per una corretta valutazione delle competenze in gioco (cfr. Porcelli 2006). 40 GIANFRANCO PORCELLI dopo many e quindi di ricostruire la sequenza many a seguita da un sostantivo singolare, che sopravvive soprattutto nelle ―frasi fatte‖. 1. La coesione fonologica Molti proverbi e idiom si servono degli strumenti di coesione fonologica (Porcelli-Hotimsky 2001, cap. 10), in particolare dell‘allitterazione (come in sano e salvo, vivo e vegeto, tagliare la testa al toro, To make a mountain out of a molehill, Practice makes perfect, Slow and steady wins the race, Speech is silver, All that glitters is not gold) e della rima (come in Chi va piano va sano e va lontano, parenti serpenti, Chi fa da sé fa per tre, Birds of a feather flock together, Health is better than wealth, When the cat is away the mice will play). Alcune risposte sono corrette sotto il profilo semantico ma non rispettano questo aspetto dei proverbi: *Health is better than money, *When the cat is out, the mice will play. C‘è chi ha esagerato, introducendo rime anche dove non ci sono: *Strike while the pot is hot e chi ha sostituito una rima a un‘allitterazione: *Slow and pace/apace wins the race. La dimensione fonologica del testo e la sua resa in un‘altra lingua sono state oggetto di attenzione anche da parte di U. Eco (2003); non si tratta quindi di aspetti trascurabili: in alcuni tipi di testo possono anzi diventare gli aspetti salienti. 2. Logica e buonsenso Gli errori più inquietanti sono quelli che violano le più elementari conoscenze sul reale: Kill not the hen that lays the golden eggs è perfettamente plausibile ma *Kill not the fox that lays the golden eggs è totalmente irreale. Analogamente, ?With his tail between his paws è tendenzialmente accettabile, mentre *With his tail between his mouth non lo è affatto. Nel caso di hen contrapposto a goose può giocare l‘interferenza dell‘italiano, lingua in cui l‘espressione uova di gallina ha una frequenza estremamente più alta di uova d’oca; nell‘esempio successivo, questa non può essere la spiegazione della preferenza per paws invece di legs, visto che anche noi diciamo Con la coda tra le gambe e non *tra le zampe. E chi ha scritto l‘equivalente di *Con la coda tra le mani avrà avuto in mente le scimmie? Altre ―perle‖ in questa categoria sono *There is no water without fire *Non c’è acqua senza fuoco; *Kill not the goose that lays the golden garden — che è fortemente allitterativo ma vuol dire *Non uccidere l’oca che depone il giardino d’oro; *Do not keep all your eggs in one pocket, quando si sa che di uova non è consigliabile tenerne in tasca nemmeno uno; *Too many cooks spoil the water *Troppi cuochi rovinano l’acqua e, lapalissianamente, *Health is better than sickness *La salute è meglio della malattia. Gli errori nella didattica della lingua inglese 41 E che cosa mai avranno voluto dire le tre persone che hanno scritto che Il denaro non ha mai arricchito nessuno, quella che ha scritto che La ricchezza non ha mai arricchito nessuno (!) e colei secondo cui L’oro non compera la ricchezza …? 3. Morale e religione Con questi ultimi esempi siamo entrati nella serie di proverbi che esprimono valutazioni e norme sul comportamento morale. Ma chi sostiene che *The road to heaven/paradise is paved with good intentions *La strada del cielo/paradiso è lastricata di buone intenzioni, che comprensione ha dei precetti cristiani relativi alla salvezza dell‘anima? Alcune frasi sono incomprensibili: *God makes perfect, *a miss is as good as a prayer, *Man proposes; God says/creates/realizes. Il riferimento biblico all‘adorazione del vitello d‘oro To worship the golden [calf] ha dato luogo a un‘alta percentuale di omissioni e a una serie di risposte errate: egg, word, age, goddess, veal, mine, God — c‘è di tutto: dalla confusione tra l‘animale e la sua carne (calf / veal) alla età dell’oro; dall‘uovo d’oro (confusione con il proverbio di cui ci siamo occupati sopra?) alla miniera d’oro (che però in inglese è una gold mine e non una *golden mine); ci sono poi sia il dio che la dea d‘oro, e infine una golden word, una misteriosa parola d’oro che non si capisce come possa essere adorata. E altrove si arriva alla bestemmia: *God knows no law *Dio non conosce legge33. Un aspetto non secondario è che gli studenti in questione frequentavano un‘università cattolica e si penserebbe quindi a una conoscenza del cristianesimo mediamente più elevata rispetto a quella dei loro coetanei. 4. Incompetenza interculturale Molti proverbi inglesi sono stati scelti proprio per la presenza di detti analoghi in italiano, ma questo non ha impedito una serie errori. Can che abbaia non morde avrebbe dovuto facilitare la soluzione corretta di Barking dogs seldom [bite] ma c‘è chi ha dato soluzioni ben diverse (kill) o diametralmente opposte (don‟t bite). Lo stesso vale per Vedi Napoli e poi muori, See [Naples] and die, che ha visto Napoli sostituita con Roma (2 volte — ma Roma è presente in vari altri proverbi del repertorio), con Venezia, con Londra — l‘autrice dell‘errore ha detto di essere convinta che ogni nazione pensasse a una propria città — fino a giungere alla comicità involontaria e un po‘ raggelante di *Vedi la vita e muori *See life and die. Sostituendo iron con weather, Batti il ferro finché è caldo è diventato *Sciopera intanto che fa molto caldo *Strike while the weather is hot. 33 Il proverbio inglese è Necessity knows no law. 42 GIANFRANCO PORCELLI Le difficoltà maggiori, confermate anche dall‘alta percentuale di risposte omesse, si riscontrano comunque nei detti e proverbi che sono ben noti in area anglofona ma che non hanno un corrispondente più o meno diretto nella nostra cultura. Una difficoltà in An [ounce] of prevention is better than a [pound] of cure può derivare dalla presenza di unità di misura inglesi (e desuete) ma dovrebbe essere chiaro che un piccola quantità di prevenzione può rendere superflua una maggior quantità di cura. Soluzioni come inch/yard e hour/day cambiano le unità di misura ma sono coerenti col senso del proverbio, mentre *inch/pound e *ounce/yard mischiano lunghezza e peso. Ma la risposta year/day, scelta da ben sette studenti, va esattamente nella direzione opposta; hour/life estremizza il discorso ipotizzando un‘intera vita di terapia a fronte di un‘ora di prevenzione, mentre year/year non opera alcuna distinzione nella quantità o durata. C‘è infine chi ha una grande fede nei farmaci e con la risposta pill/pill propone di preferire una pillola di prevenzione a una pillola di cura — e una risposta è certamente creativa, proponendo *una mela di prevenzione come alternativa a *una vita di cura — si sa che una mela al giorno… però è un altro proverbio! Anche March comes in like a [lion] and goes out like a [lamb] ha raccolto soluzioni interessanti: winter/spring introduce un‘esplicazione invece della metafora del leone e dell‘agnello; tiger/lamb cambia il primo elemento e lion/lark cambia notevolmente il secondo, ma la sostanza rimane; una coppia come lamb/lion invece ribalta completamente il senso; infine, child/man introduce una metafora ben diversa e difficilmente decifrabile. È ben nota la distinzione che la lingua inglese opera tra house (la casa come edificio e/o l‘abitazione altrui) e home (la casa come focolare degli affetti, la casa del soggetto della frase); su di essa si basa il detto Men make houses, women make [homes]. Malgrado quasi tutte le esaminate fossero femmine, dalle risposte errate emerge una visione della donna conforme ai peggiori stereotipi: children (3 risposte), troubles, lunches, money, castles, husbands, live in them, home — la donna che fa i figli e prepara i pasti (ma *make children e *make lunches sono entrambe collocations errate, e *make live in them è sgrammaticato) e troviamo addirittura la donna che crea disarmonia — make trouble (*troubles è errato) — quando il proverbio afferma l‘esatto contrario. In quanto a make money, make castles e *make husbands, la prima è una collocation molto frequente di make (ma il far soldi non viene considerato tipicamente femminile), la seconda menziona un edificio e come tale si connette a houses e la terza resta inspiegabile. O meglio: nell‘inarrestabile ricerca di senso che è insita nell‘operare linguistico, si potrebbe tentare di dare un‘interpretazione anche di *le donne fanno i mariti — ―una buona moglie fa di un uomo un buon marito‖ (purché lui le abbia procurato la casa?). Gli errori nella didattica della lingua inglese 43 5. Tentar non nuoce In almeno un caso, To [fall] head over heels in love, gran parte della difficoltà del quesito è da attribuire al modo in cui è stato costruito. La collocation34 To fall in love è ben nota, mentre la locuzione head over heels a capofitto lo è molto meno. Se nel vedere To _______ head over heels in love si fa attenzione solo alle prime parole, invece di inserire il verbo che regge in love si può pensare alla necessità di un verbo transitivo che abbia come oggetto la testa e questo spiega risposte come put (3 volte), have (3 volte), keep, take e bend; verbi intransitivi come walk, rise, be possono far riferimento alla postura; break e crash potrebbero essere gli esiti dell‘avere, letteralmente, la testa sui talloni e le altre risposte errate (lose, loose, make, lead) non hanno una spiegazione chiara. Indipendentemente da come è costruito il quesito, comunque, la situazione di testing attiva meccanismi di ansia e di difesa che introducono elementi di disturbo e portano a cercare le soluzioni a prescindere dai rapporti con le esperienze di vita reale. Un caso emblematico è quello di un quesito a scelta quadrupla in una prova di comprensione della lettura; il brano riguardava uno scrittore inglese del ‘600, Samuel Pepys, che viene informato dello scoppio dell‘incendio di Londra: dopo aver sistemato varie cose in casa per l‘indomani, esce per un rapido giro di ispezione e, visto che l‘incendio è ancora lontano, torna a casa e va a dormire; poi la situazione peggiora, lo svegliano e il passo descrive varie altre azioni che egli compie. Domanda (in inglese): ―Che cosa stava facendo Pepys quando lo svegliarono?‖ La risposta esatta, ovvia anche per chi non sa nulla del brano, aveva come alternative (il termine tecnico è distrattori) frasi che si riferivano ad azioni menzionate nel testo — altre cose che Pepys aveva fatto prima o dopo il sonno. Ebbene, risultarono errate circa il 22% delle risposte: evidentemente oltre un quinto degli esaminati aveva scartato l‘idea che una prova d‘esame scritto al secondo anno di una facoltà di Lingue potesse ―regalare‖ una delle risposte. La ―logica‖ (o presunta tale) dell‘esame non di rado prevale sulla logica senza virgolette. Il Lexical Approach, con la sua costante ricerca di sensatezza, con il continuo richiamo al senso dei discorsi e alle intenzioni comunicative, può essere d‘aiuto per prevenire questi meccanismi di difesa superando la concezione di studio della lingua come ricerca e applicazione di norme grammaticali, governate da leggi proprie. Se si parte dai ―meccanismi‖ linguistici invece che dalla natura umana, ossia dall‘imperiosa necessità di un ―io comunicante‖ di porsi in relazione con gli altri, l'apprendimento linguistico assume i tratti di un gioco di regole, e nel momento delle verifiche prevale la ―logica‖ del gioco d‘azzardo: meglio tentare una risposta qualsiasi, anche se ci si accorge che ciò che risulta ha poco senso o non ne ha affatto, piuttosto che lasciare uno spazio bianco. 34 Il termine inglese collocation fa riferimento alle co-occorrenze ossia al legame più o meno forte che una parola mostra verso alcune altre; ad esempio, imbottito ha collocazioni forti con panino, giubbotto, sedile ecc.; indurre in è seguito solo da errore e tentazione (si noti che sbaglio non può essere usato invece di errore in questo contesto). Sulle collocations e il loro valore nella didattica del lessico si veda Lewis (2000). 44 GIANFRANCO PORCELLI 6. Errare amoenum est? Qualche volta, sì: ne ho accennato a proposito di *Vedi la vita e muori - e la volpe che depone le uova d‘oro non è da meno. Ma è un sorriso a denti stretti: gli sbagli sono come minimo indici di disattenzione e scarsa cura mentre gli errori rimandano a vere e proprie carenze o distorsioni nelle conoscenze in materia. In alcune situazioni didattiche un errore commesso da un‘intera classe o dalla maggioranza degli allievi rivela che all‘origine c‘è qualcosa che non va nel modo in cui l'insegnante ha presentato una struttura e/o ha condotto le relative esercitazioni. Ma proprio per questo possiamo affermare che errare pretiosissimum est. Purché si tenga presente che, malgrado quanto dice il proverbio, non è vero che Sbagliando si impara: si impara solo rilevando e correggendo sistematicamente gli errori. Bibliografia CORDER S.P., Error Analysis and Interlanguage, Oxford University Press, 1981 ECO U., Dire quasi la stessa cosa. Esperienze di traduzione, Milano, Bompiani, 2003 FREUDENSTEIN R. (ed. by), Error in Foreign Languages, FIPLV-Eurocentres, 1989 LEWIS M. (ed. by), Teaching Collocation, Hove, LTP, 2000 PORCELLI G., Comunicare in lingua straniera: il lessico, Torino, UTET Libreria, 2004 ID., Verifiche comode e verifiche valide, in E. Jafrancesco (a cura di), 2006, La valutazione delle competenze linguisticocomunicative in italiano L2. Atti del XIV Convegno nazionale ILSA, Atene-Roma, EdiLingua, 2006 PORCELLI G., A. CAIMI, C. UCCELLINO, Appunti per il corso di Lingua Inglese, Milano, I.S.U.-Università Cattolica, 1997, 2a ediz. PORCELLI G., F. HOTIMSKY, A Handbook of English Pronunciation. Theory and Practice, Milano, Sugarco, 2001 RICHARDS J.C. (ed. by), Error Analysis, London, Longman, 1974 Gianfranco Porcelli Paola45 Il potere delle parole piccole Durante il quadrimestre invernale ho sottoposto il seguente esercizio a quarantatré studenti di spagnolo come seconda lingua ad un livello corrispondente all‘A2 europeo. Con un‘ora di tempo hanno dovuto ricostruire un testo ridotto a una serie di semplici frasi coordinanti. Lo scopo originale era quello di provare come spesso nell‘apprendimento di una lingua straniera, gli studenti avevano privilegiato le parole significanti ai connettivi. Tuttavia, durante l‘esperimento, mi sono resa conto che la maggioranza delle difficoltà di ricostruzione non erano dovute alle parole connettive, ma all‘uso delle preposizioni, le cosiddette dai miei studenti ―parole piccole‖. Pertanto, ho diviso il gruppo di studenti prescelti in due sottogruppi. Uno avrebbe ricostruito il testo con le parole connettive, e l‘altro con le ―parole piccole‖. 1. Il materiale È stato predisposto un testo molto semplice che gli stessi studenti già avevano usato per esercitarsi sull‘uso dei verbi riflessivi, e, tramite esercizi di comprensione, avevano dimostrato di averlo compreso interamente e di poter in parte riprodurre verbalmente e per iscritto con un limitato numero di errori, testi simili relativi alla propria vita giornaliera. In pratica, in un contesto reale, gli studenti avevano dimostrato una soddisfacente competenza nell‘usare i corretti connettivi e le corrette preposizioni in un contesto ―reale‖ e personale. 2. Il campione Si tratta di studenti di un ―Community College‖ di una zona piuttosto povera. Questo gruppo, in particolare, è di età giovane, dal background sociale e dalla preparazione accademica molto differente. Per la maggioranza si tratta di studenti che studiano una lingua straniera come requisito necessario per accedere ai corsi relativi alla loro specializzazione. Quindi, solo un numero molto limitato è particolarmente interessato alle lingue straniere. Tuttavia, circa il venti per cento degli studenti partecipanti è originario di un paese non americano e non di lingua inglese, quindi ha più dimestichezza nell‘apprendimento di una seconda lingua, e in alcuni casi, ha completato gli studi preuniversitari in un‘istituzione non americana. Un membro del gruppo sottoposto al test è di madre lingua spagnola, ma non ha mai sistematicamente studiato la grammatica perché ha completato tutti gli studi preuniversitari in scuole americane. Circa il cinquanta per cento del gruppo ha studiato lo spagnolo nella scuola superiore per due anni o più, ma non ha superato (ho ha scelto di non affrontare) l‘esame necessario per 46 SUSANNA WILLIAMS acquisire i crediti dei corsi di lingua necessari per il loro corso di laurea. Nonostante alcune eccezioni, il livello di preparazione accademica è abbastanza carente soprattutto per quanto riguarda la competenza linguistica della prima o seconda lingua. Infine, una percentuale ridotta di questo gruppo è rappresentata da adulti che hanno bisogno di apprendere la lingua per migliorare la posizione di lavoro o per altre ragioni personali, non necessariamente legate al completamento di un definito corso di studi. 3. Incidenza di errori per i connettivi Il 57 per cento circa degli studenti ha risolto il problema e del rimanente 43 percento, un ventitré per cento l‘ha ricostruito correttamente ma non ha fatto in tempo a completarlo, mentre il rimanente l‘ha parzialmente e scorrettamente risolto. 4. Tipologie di errori 4.a. Sensi errati Sono stati perlopiù causati dalla forzata frammentazione del testo. In altri termini, le frasi ricreate dagli studenti risultano corrette grammaticalmente e semanticamente se descontualizzate dall‘intero testo, ma scorrette se contestualizzate. Esempio: ―Siempre se despiertan temprano porque jamás se sientan a ver la televisión.‖ (si svegliano sempre presto perché non si siedono mai a vedere la televisione) Fuori dal contesto, la frase ha senso, ma in un testo che racconta di come due ragazze siano sempre in ritardo per andare a scuola, ovviamente non ha senso. 4.b. Anglismi che possono determinare seri errori sintattici ―Antes de‖ (prima di) e ―después de‖ (dopo) in spagnolo sono seguiti da un verbo all‘infinito o da un sostantivo. Se usati con un verbo finito si usano senza il de. Esempio: Antes de se ducha, después de se peina In inglese tale differenza non esiste, ma è la forma del verbo che determina la connessione temporale Before he takes a shower, after he combs his hair Before combing his hair; he takes a shower Il quasi inesistente uso di ―that‖ in inglese come connettivo, e quindi l‘omissione di ―que‖ in funzione di connettivo in spagnolo, è stato uno degli errori più frequenti. Il potere delle parole piccole 47 Esempi ―Me di cuenta hoy es sábado‖, invece di ―me di cuenta de que hoy es sábado” ―...la parada del autobús ..., pasa a las siete de la mañana‖, invece di ―...la parada del autobús ..., que pasa a las siete de la mañana.‖ Da notare, in aggiunta, la frequente omissione del ―de” con la funzione di preposizione. Lo stesso vale per il corretto uso di para che ha un valore ambivalente come connettivo ―te llamo para hablarte‖ o come preposizione ―la parada del autobús para la escuela” Mentre nel primo caso, l‘uso è stato prevalentemente corretto, nel secondo caso, quando in inglese la stessa frase potrebbe essere tradotta con ―the school bus stop‖ con il significato ambivalente di 1. ―la fermata dell'autubus della scuola‖ o 2. ―la fermata dell'autobus che va a scuola‖ La maggioranza degli studenti ha usato la preposizione de invece di para con la conseguenza di cambiare il significato dal corretto (2) allo scorretto (1). Ed è stato proprio questo scambio, che ha confermato il sospetto che l‘errore più comune nella produzione di testi da parte d‘anglofoni è più connesso all‘uso delle preposizioni. Le ―parole piccole‖ come le chiamano i miei studenti. Quelle parole che maggiormente li irritano perché pur se cosi piccole e apparentemente insignificanti, possono stravolgere il significato delle loro anche migliori produzioni scritte e orali. 5. Incidenza d’errori per le parole piccole Solo il 20 per cento degli studenti ha ricostruito correttamente il testo, e il tredici per cento non è riuscito a terminarlo. Il rimanente settantatré per cento lo ha risolto scorrettamente per un ottanta per cento e non lo ha completato. Tuttavia, c‘è da tenere in considerazione la maggiore difficoltà di questo compito visto che le preposizioni sono state totalmente eliminate dal testo. 5.1. Tipologie d’errori 5.1.a. Sensi errati Pasa a las siete, la mañana invece di Pasa a las siete de la mañana Il già menzionato uso errato di para come preposizione e o la sua sostituzione con de El autobús de la escuela invece di para la escuela 48 SUSANNA WILLIAMS 5.1.b. Anglismi Entrar el baño (invece di en) Il già menzionato uso errato di antes senza de Llegamos a la escuela antes las ocho invece di antes de las ocho Se acordaron de ponerse el abrigo antes irse invece di antes de irse Salimos casa (we left home) invece di salimos de casa Mis hijas les encanta comer invece di a mis hijas les encanta comer) 6. Conclusioni Al momento della "ricostruzione", l‘inserimento delle parole connettive non ha rappresentato un grosso problema mentre quello delle preposizioni o ―le parole piccole‖ è stato un disastro. Addirittura, l‘esercizio di ricostruzione ha creato più confusione che apprendimento con frequenti perdite o errori di significato. È da tener presente che i connettivi usati nell‘attività hanno un corrispondente in inglese (la lingua di partenza per la maggior parte degli studenti). Al contrario, nel caso delle preposizioni, il loro uso in inglese è ridotto al minimo indispensabile e spesso sostituito dal significato del verbo. Infine, ricordo che il livello accademico della maggior parte degli studenti è piuttosto mediocre, e spesso la loro espressione scritta e verbale in lingua madre non è corretta così le loro conoscenze grammaticali e sintattiche sono piuttusto limitate. Dunque, quale lezione didattica se ne trae? La conferma di una norma già ben collaudata; e vale a dire che le condizioni ideali di apprendimento di una seconda lingua tramite la manipolazione di un testo avvengono quando ci si mantiene in una dimensione pragmatica, modellata su una base di realtà e di autenticità di significato e con un saldo riferimento all‘ambiente extratestuale, sociale, culturale, accademico e, soprattutto, linguistico. Susanna Williams Errori ameni di un chierico medievale: la traduzione italiana dell'Esopet di Maria di Francia È noto che la favola esopica, genere umile appartenente alla forma della narratio b*revis, costituì una parte significativa del curriculum studiorum dei giovani fin dal III secolo e per tutto il Medioevo: fino alla tarda latinità, il Liber Aesopi (prima Aviano, poi per lo più il Romulus di ‗Gualterus Anglicus‘ o il Novus Aesopus di Alexander Neckam) figurava tra i testi elencati dai maestri di grammatica e di retorica per essere usati nei primi anni di formazione, insieme all‘Ars Minor di Donato, ai Disticha Catonis e agli altri auctores.35 I motivi raccolti nelle collezioni favolistiche servivano infatti per apprendere i primi rudimenti del latino, ma anche come palestra di retorica, per praticare e perfezionare le tecniche oratorie. D‘altro canto, la linearità del messaggio morale contenuto negli apologi appariva anche particolarmente adatta ad insegnare i principi etici che costituivano il fondamento della buona morale e che rappresentavano, al di là della grammatica, il secondo ‗volet‘ del programma didattico medievale. Tuttavia, l‘uso della favola nei gradi più bassi dell‘insegnamento medievale contribuì significativamente al discredito in cui venne tenuto questo genere; a sminuirlo ulteriormente poteva contribuire l‘uso del volgare che, come è noto, non poteva competere con il prestigio della lingua d‘autorità. Per questa ragione, l‘uso della forma poetica venne spesso inteso come strumento per valorizzare e ‗illustrare‘ un genere narrativo minore che però doveva godere di un certo successo all‘epoca in cui bestiari, epopea animale e letteratura allegorica moraleggiante erano in gran voga,36 anche negli ambienti di corte. In Francia, ad esempio, le raccolte di favole furono spesso offerte ai più illustri personaggi, e specialmente alle regine, 35 Su questo argomento, cf. Histoire générale de l‟enseignement et de l‟éducation en France, publié sous la direction de L.H. PARIAS, Paris, Nouvelle Librairie de France, 1981, vol. II, t. I, pp. 380 sgg; P. F. GRENDLER, Schooling in Renaissance Italy. Literacy and Learning, 1300-1600, BaltimoreLondon, The Johns Hopkins University Press, 1989 («The Johns Hopkins University Studies in Historical and Political Science», 107th Series), cap. V. Per quanto riguarda l‘utilizzo della favola in distici elegiaci, cf. A. BISANTI, La favola esopica nel medioevo: un itinerario didattico fra teoria ed esemplificazione in La Favolistica latina in distici elegiaci. Atti del convegno internazionale, Assisi, 26-28 ottobre 1990 a cura di G. Catanzaro e F. Santucci, Assisi, Accademia Properziana del Subasio, 1991, pp. 161-212. Per uno studio sulla favola antica, cf. G.-J. VAN DIJK, , , . Fables in Archaic, Classic, and Hellenistic Greek Literature, With a Study of the Theory and Terminology of the Genre, Leiden-New York-Köln, Brill, 1997 («Mnemosyne»), F. R. ADRADOS , Historia de la fábula greco-latina, I: Introducción y de los orígenes a la edad helenística, Madrid, Editorial de la Universidad Complutense, 1979; II: La fábula en época imperial romana y medieval (id.,1985); III: Inventario y documentación de la fábula greco-latina, id, 1987; M. NØJGAARD, La fable antique, I: La fable grecque avant Phèdre; II: Les grands fabulistes, København, Nyt Nordisk Forlag/Arnold Busck, 1964-1967; B. E. PERRY, Aesopica. A Series of Texts Relating to Aesop or Ascribed to him or Closely Connected with the Literary Tradition that bears his Name, Urbana (Illinois), Indiana University Press, 1952 («Greek and Latin Texts»); ID., Babrius and Phaedrus. Newly Edited and Translated into English, together with an Historical Introduction and a Comprehensive Survey of Greek and Latin Fables in the Aesopic Traditi on, Cambridge, Mass.-London, The Loeb Classical Library, 1965. 36 Sulla funzione della favola nel Medioevo, cf. K. GRUBMÜLLER, Meister Esopus. Untersuchungen zur Geschichte und Funktion der Fabel im Mittelalter, Zürich-München, Artemis, 1977 («Münchener Texte und Untersuchungen zur Deutschen Literatur des Mittelalters»), pp. 7 sgg. Per il ruolo crescente della poesia nel curriculum degli studi tra Medioevo e Rinascimento, cf. Poétiques de la Renaissance. Le modèle italien, le monde franco-bourguignon et leur héritage en France au XVI e siècle, sour la dir. de P. Galand-Hallyn et F. Hallyn, Genève, Droz, 2001, pp. 55 sgg e la ricca bibliografia in esso presente. 50 PAOLA CIFARELLI che non dovevano disdegnare la lettura ad alta voce degli apologi in contesti intimi e familiari.37 Tra le raccolte francesi di favole in versi redatte durante il Medioevo e giunte fino a noi,38 quella composta da Marie de France può essere considerata un piccolo capolavoro; l‘originalità delle strategie narrative, l‘attenzione per il ‗delectare‘, l‘importanza delle notazioni descrittive e psicologiche fanno di questa silloge un luogo di sperimentazione estetica e didattica. Ma chi era Marie de France? Marie ai nun, si sui de France39 Questo verso celebre, tratto dall‘Epilogo dell‘Ysopet che la poetessa compose tra il 1167 e il 1189, fornisce una delle rarissime informazioni che si possiedono sull‘identità e sulla vita di questa donna scrittrice del XII secolo. Varie ipotesi, tutte impossibili da verificare, sono state emesse sulla sua identità e di volta in volta si è voluto vedere in questo nome la moglie del conte Henri de Champagne, la sorellastra del re Enrico II, la badessa di questo o quel monastero inglese. Di certo si sa solo che visse in Gran Bretagna, probabilmente alla corte di Enrico II (1113-1189) e che scrisse, oltre alla raccolta di favole di cui ci occuperemo qui, una raccolta di Lais (intorno al 1160): racconti in versi ottosillabi ispirati dall‘antica lirica bretone (ma anche da Ovidio, dal romanzo di Tristano e dal Roman d‘Enéas) e aventi come argomento l‘amore, il meraviglioso, l‘eroismo, ma anche la quotidianità e i sentimenti umani più veri. L‘Ysopet è la prima raccolta di favole in francese e, come detto, fu composto alla fine del XII secolo, ispirandosi in parte alla tradizione esopica in latino (40 favole circa) mentre per le altre 62 la fonte resta alquanto incerta. Il numero dei manoscritti che ci è pervenuto attesta il successo di questa raccolta, anche durevole nel tempo. Oltre ai codici che contengono il testo in francese, il filologo tedesco Karl Warnke, che nel 1898 pubblicò un‘edizione critica delle Fables ancora oggi indispensabile agli studiosi, segnalava due manoscritti contenenti un certo numero di questi testi in traduzione italiana. 40 37 Cf. in particlare il saggio di J. M. BOIVIN, Naissance de la fable en français. L‟ „Isopet de Lyon‟ et l‟ „Isopet I-Avionnet‟, Paris, Champion, 2006, pp. 330 et ss. 38 Si tratta dell‘Isopet de Lyon, dell‘Isopet I (che contiene anche un Avionnet, titolo che significa „piccola raccolta di Aviano‘, una raccolta di diciannove favole composta in versi ottosillabi e conservata in cinque manoscritti), l‘Isopet II de Paris e l‘Isopet de Chartres. L‘Isopet III de Paris è invece una parafrasi quattrocentesca piuttosto mediocre delle favole contenute nell‟Isopet I. I testi di tutti gli Isopets sono stati pubblicati da J. BASTIN, Recueil général des Isopets, Paris, SATF, 1929-1930, vol. II. A queste raccolte occorre anche aggiungere la traduzione francese del Liber Parabolarum del predicatore duecentesco Odo di Cheriton, edita da P. Ruelle (Recueil Général des Isopets, tome quatrième. Les „Fables‟ d‟Eude de Cheriton publiées par P. Ruelle, Paris, SATF, 1999). 39 ‗Ho nome Maria e vegno dalla Francia‘. 40 K. WARNKE, Marie de France, Die Fabeln, Halle, Niemeyer, 1898 («Bibliotheca Normannica»); lo stesso testo è stato edito, in anni più recenti, anche da Ch. BRUCKER, Marie de France, Les Fables, Louvain, Peeters, 1991 («Ktemata»). Tuttavia, l‘edizione di riferimento continua ad essere quella del filologo tedesco. Sulla tradizione manoscritta delle Fables, cf. anche l‘articolo di F. VIELLIARD, Sur la tradition manuscrite des Errori ameni di un chierico medievale: la traduzione italiana dell' Esopet di Maria di Francia 51 Un anno dopo, le ricerche di Murray Peabody Brush 41 portarono il numero dei manoscritti a cinque, tutti conservati nelle biblioteche fiorentine; si tratta dei codici Biblioteca Nazionale Centrale, Palatino 92 e Palatino 200, Riccardiana 1088 e Bibl. Laurenziana, Pluteo XLII.30 e Ashburnham 649. Questi manoscritti sono tutti legati da rapporti testuali molto stretti, benché il testo da essi tràdito sia abbastanza diverso per proporzioni42 e peculiarità. Tutti i testimoni italiani possono essere ricondotti ad un archetipo comune, oggi perduto. Un errore di traduzione permette, insieme ad altri dati, di provare questa affermazione: la favola n. XLI dell‘ed. Warnke di Marie de France mette in guardia da coloro che vogliono incutere timore negli altri fingendo di ordire trame segrete; il testo francese mette in scena un re e due ‗serfs‘ che complottano contro di lui; affinché la favola conservasse la sua coerenza, questo termine avrebbe dovuto essere tradotto con ‗servi‘. I testi italiani contengono invece tutti la traduzione ‗cervi‘, che costituisce un errore indotto dall‘omografia. L‘errore può dunque dire molto al filologo e rivelargli dati importanti sui rapporti che legano testimoni diversi. Sulla base di un procedimento simile si può affermare che i nostri codici, che dunque derivano da un archetipo comune, possono essere ulteriormente suddivisi in due famiglie. Lo stemma codicum si presenta dunque strutturato come segue: ω (Manoscritto delle Fables simile a Q) ω‘ (traduzione italiana, perduta) ω‘‘ Laurenziano I Palatino I Firenze, Bibl. Mediceo-Laurenziana Firenze, Bibl. Nazionale Plut. XLII.30 Pal. 92 Riccardiano Firenze, Riccardiana 1088 ω‘‘‘ Laurenziano II Palatino II Mediceo-Laurenziana Ashburnham 649 Firenze, B.Nazionale Pal. 200 La traduzione italiana delle favole di Marie de France, così come si presenta nei vari testimoni cui si è accennato precedentemente, è frutto di un lavoro avvenuto in ambiente toscano43 e fables de Marie de France, «Bibliothèque de l‘Ecole des Chartes» 147, 1989, pp. 371-97 e quello di R. TRACHSLER. Les „Fables‟ de Marie de France. Manuscrits et éditions, «Cahiers des civilisation médiévale, XI e-XIIe siècles» 44, 2001, pp. 45-63. 41 The „Isopo Laurenziano‟, edited with notes and an introduction treating of the interrelation of Italian fable collections, by M. P. Brush, Columbus, Lawrence Press, 1899. 42 Per il numero delle favole conservate nei diversi codici, cf. infra, p. 00. 43 Alcuni tratti linguistici tipici, riscontrabili nel testo che pubblichiamo, sono la forma toscana popolare orzo per orso (su cui cf. G. ROHLFS , Grammatica storica dell‟italiano e dei suoi dialetti, Torino, Einaudi, 1966, § 267) e la forma ribaudire, con velarizzazione in –u della liquida seguita da consonante (ibid., § 243), l‘apertura di –e in –a nella desinenza di alcuni verbi della seconda (prendare, spendare etc., ibid., § 614), la forma aretina chinche (ibid., § 504). 52 PAOLA CIFARELLI può essere fatta risalire ad una data vicina alla metà del Trecento.44 Si tratta di una versione non sempre letterale dei testi francesi, che presenta varianti significative nei diversi manoscritti sia per quanto riguarda l‘intreccio della favola, sia per la morale: è noto infatti che la nozione di fedeltà era intesa in modo molto diverso durante il Medioevo. Tuttavia, i testi della poetessa anglonormanna restano sempre ben riconoscibili, poiché globalmente vengono conservate molte porzioni di testo, oltre agli elementi fondamentali della tecnica narrativa nella sua originalità: l‘attenzione particolare alla scelta e alla disposizione degli elementi essenziali alla progressione dell‘azione, la precisione nell‘evocazione dei dettagli descrittivi e psicologici e una visione del mondo che conserva nel tempo, nonostante i suoi stretti legami con la realtà feudale, una «étonnante actualité».45 I dati che permisero al filologo tedesco di affermare con sicurezza la filiazione dalla raccolta francese del testo tradito dai due manoscritti italiani a lui noti sono di tre ordini diversi. Innanzi tutto sono presenti alcune favole di Marie de France che non trovano riscontro nella tradizione latina, quali ad esempio quella che racconta del Cucù proposto per l‘elezione a re degli uccelli e poi scartato a causa della sua mancanza di intraprendenza, orgoglio e coraggio.46 In secondo luogo, alcuni dettagli narrativi originali, aggiunti dalla poetessa per rinnovare motivi ben attestati nella tradizione latina, trovano precise corrispondenze nella raccolta italiana. Nella favola del Cane che attraversa il fiume con un pezzo di cibo in bocca, ad esempio, la redazione francese e quella italiana hanno in comune il fatto che il cane passi su un ponte e si tuffi in acqua per afferrare l‘ombra riflessa del cibo. 47 Infine, Warnke segnalava la presenza di un prologo, che è presente in quattro dei cinque codici italiani oggi noti e che, se pure elaborato e abbreviato, si modella chiaramente su quello che apre le favole di Marie de France. Vi si trovano in particolare la valorizzazione dei benefici che si possono trarre dalle opere letterarie, l‘allusione al personaggio del mitico re Romulus, che figura nel prologo di un numero consistente di redazioni latine delle favole esopiche, e a quello dello stesso Esopo, oltre a qualche accenno, in verità abbastanza confuso, al passaggio delle favole dal mondo greco a quello medievale. Anche l‘ordine delle favole, che è abbastanza costante in tutti e cinque i testimoni italiani, è una prova sicura del rapporto con la raccolta di Marie de France e, in particolare, esso permette di riconoscere nel manoscritto Q (BnF, f. fr. 2173) il testimone più vicino a quello che dovette servire per la traduzione italiana. Questo codice è infatti l‘unico ad aver tramandato le favole in quella successione; inoltre, recentemente è stato accertato che l‘origine 44 I problemi di datazione sono stati affrontati da M. P. BRUSH, Op. cit., pp. 71-2. 45 Per uno studio della concezione del racconto in Marie de France, cf. i due studi di Ch. Brucker citati supra. 46 È la favola n. 22 del testo che pubblichiamo qui e corrisponde alla favola n. XLVI dell‘edizione Warnke delle Fables. La stessa favola figura in tutti gli altri testimoni della traduzione italiana. 47 La favola porta il n° 307 nel catalogo di G. DICKE e K. GRUBMÜLLER, Die Fabeln des Mittelalters und der frühen Neuzeit. Ein Katalog der deutschen Versionen und ihrer lateiniscen Entsprechungen, München, W. Fink, 1987 («Münstersche Mittelalter-Schriften»). Errori ameni di un chierico medievale: la traduzione italiana dell' Esopet di Maria di Francia 53 di questo manoscritto è senz‘altro italiana, come attestano le miniature e le decorazioni di fattura veneta.48 Questo particolare permette quindi di garantire che il testo di Marie de France abbia circolato anche in Italia.49 Il tema del nostro incontro di oggi, l‘errore, è dunque molto utile al filologo per determinare i rapporti che intercorrono tra i vari testimoni: parentele, filiazioni, derivazioni. Ma le inesattezze nella traduzione possono aiutare anche a risolvere un altro piccolo enigma relativo a questo testo: il problema della lingua in cui era redatto il testo-fonte utilizzato per la traduzione italiana. Infatti, l‘incipit del manoscritto Riccardiano («Isopo delle favole traslatato di grammatica in volgare») farebbe supporre l‘esistenza di un intermediario latino fra il testo francese di Marie de France e le traduzioni italiane, tanto più che si conoscono tre traduzioni in latino delle favole. Il problema fu sollevato già da Warnke, il quale dimostrò però che nessuno dei tre testi supposti essere versioni latine delle Fables può essere il testo-fonte in questione.50 Noi però ci siamo domandati se alcuni passi dei testi italiani potessero costituire vestigia di una versione latina che non sarebbe pervenuta fino a noi ma sarebbe servita come intermediario tra il testo francese e quello italiano. Anche qui, l‘errore di traduzione può essere di grande aiuto. Diciamo subito che non abbiamo trovato esempi che possano provarlo in modo decisivo; piuttosto, in alcune favole, le trasformazioni subite dal racconto potrebbero spiegarsi con problemi di comprensione originati da un testo latino, ma nulla vieta di pensare che l‘origine dell‘errore stia nel testo francese. Tra gli esempi che potrebbero dimostrare l‘esistenza di un intermediario latino fra il testo francese e quello italiano, abbiamo scelto la favola n. L dell‘edizione Warnke (Del lupo e del montone),51 dove si parla di un Lupo che divora un montone pur avendo giurato di non mangiare carne in Quaresima, con il pretesto che si tratta di un salmone. La traduzione della 48 L‘origine italiana di questo manoscritto è stabilita da F. A VRIL, M.-T. GOUSSET, Manuscrits enluminés d‟origine italienne, avec la collaboration de C. Rabel, Paris, Bibliothèque Nationale, 1984, vol. II, t. 2, pp. 9-10, che si fondano soprattutto sull‘iconografia; F. Vielliard, nel suo lavoro sulla tradizione manoscritta delle Fables citato alla nota 5, afferma che nelle caratteristiche della lingua di questo testimone non ci sono però tracce che possano far pensare ad un manoscritto copiato in Italia. Questa è anche l‘opinione di J. A. VAN OOS, che ha studiato questo manoscritto (Vie et survie d‟un genre : les fabliaux des mss. Paris, BN f.fr. 2173 et Cologny Bodmer 113, in Épopée animale, fable, fabliau: actes du IVe Colloque de la Société Internationale Renardienne, Évreux, 7-11 septembre 1981 éd. par G. Bianciotto et M. Salvat, Paris, Presses Universitaires de France, 1984, pp. 103-11 e Autour de Guillaume. A propos d‟un recueil de fables et de fabliaux (Paris, B.N. f.fr. 217), in Non nova sed nove. Mélanges de civilisation médiévale dédiés à Willem Noomen, Groningen, Bouma's Boekhuis, 1984, pp. 183-93. 49 Altre prove sarebbero fornite dal fatto che, nel catalogo quattrocentesco della biblioteca d‘Este, figurava un man oscritto di favole in francese, come appare dallo studio di P. RAJNA, Ricordi di codici francesi posseduti dagli Estensi nel secolo XV, «Romania» II, 1873, pp. 49-58. Dal momento che le favole di Marie de France circolarono più delle altre collezioni medievali di favole in francese, si potrebbe pensare che il manoscritto citato dal catalogo contenesse le favole della poetessa anglonormanna; tuttavia, anche uno dei manoscritti dell‘ Isopet II è di origine peninsulare. Tuttavia, già Warnke e Brush avevano accertato che il testo di Q non può essere quello da cui si è partiti per la traduzione italiana. Infatti, quest‘ultima permette di risalire a varianti testuali non presenti nel codice francese. Segnaliamo qui due ulteriori esempi rispetto a quelli forniti da questi studiosi. Alla favola intitolata nella presente edizione D‟uno Lupo che ruppe la Quaragiesima, ché mangiò montone, il Lupo vede il montone «solo solo» (c. 32r), espressione che traduce il francese «sanz cumpaignon»; anche nel manoscritto Riccardiano si parla di un «montone che pasceva erbe, e era solo che non lo guardava persona». Si tratta della traduzione della variante presente nel manoscritto F delle favole di Marie de France (n. L dell‘edizione Warnke, v. 6), mentre Q porta la lezione «senz la tuisun» ( = tosato). 50 Su queste collezioni, cf. K. WARNKE, Die Fabeln der Marie de France, cit., pp. XLVIII-LXVIII. 51 La favola compare solo in due dei cinque manoscritti di cui è questione qui. 54 PAOLA CIFARELLI parola salmun con l‘italiano salmo comporta però un cambiamento nella conclusione: il Lupo non dice che divorerà un salmone al posto del montone, ma che reciterà dieci salmi al giorno per penitenza. Questa variante della favola, causata da un controsenso, potrebbe avere origine nella prossimità dei sostantivi latini salmo, salmis e psalmus, psalmi52 : Marie de France R L II Si ‗l mangerai pur un saumun: meuz vaut li saumun a manger e sil peot l‘um vendre plus cher (var. ms I = por mengier en lieu de saumon) (Die Fabeln …, p. 172, vv.20- 22) ― Bene lo posso pigliare e mangiarlomi in iscambio d‟uno salmo. Io debbo dire ogni dì 10 salmi, se io mangio oggi questo montone ; ho a dire pur nove salmi. ‖ E così allora lo prese e mangiollosi). (Ed. cit., p. 95, fab. 47) ― Dunche lo posso io bene mangiare in sembianza d‟uno salmo! E debbo dire dieci salmi ciascheduno die: s‘io mangio questo montone, sì ne dirò nove. ‖ E cossì, allora, lo prese e ucciselo, e mangiòsello tutto quanto infino all‘ossa. (f° 32v) Tuttavia, nulla impedisce di pensare che l‘errore sia stato generato a partire dal testo francese, se si pensa che quel genere di pesce non doveva essere molto diffuso nella Toscana del XIV secolo.53 Invece, almeno un particolare ci sembra dimostrare con un certo grado di certezza che il testo di partenza per le traduzioni italiane era proprio in francese. Nella favola che parla del Sole desideroso di trovar moglie (n. VI in Warnke, n. 5 in Q), le creature preoccupate si riuniscono in assemblea e decidono di chiedere il parere della divinità. Nei testi latini, si tratta per lo più di Giove, 54 mentre in Marie de France essi si rivolgono a ‗la destinee‘ (v.9, ed. Warnke, p. 23). Ora, tutti i manoscritti che contengono la traduzione italiana usano il sostantivo destinato, che costituisce un calco del francese abbastanza diffuso nell‘italiano dell‘epoca, con il valore di ‗sorte, destino‘:55 Marie de France LI PI a la destinee en alerent se n‘andarono al si voleva andare (Die Fabeln…, fab. VI, Destinato al Destinato p. 23, v. 9) (Isopo (Ed. cit., p. 6) Laurenziano…., p. 96) P II R L II Andorsene al e e andarsene al Destinato, cioè andaronsene Destinato a la natura e al al Distinato (f° 10v) suo singniore (Ed. cit., p. (Ed. cit., p. 26) 27) 52 Cf., per esempio, nel Romulus Roberti, fav. XIV (L. Hervieux, Les fabulistes latins …, t. II, p. 557) ― cum salmo sit cibus delicacior et hoc quadragesimali tempore carius vendi ‖. La glosa sul cibo potrebbe essere interpretata come una metafora per indicare la funzi one della preghiera come alimento spirituale per la salute dell‘anima. Questa favola non è presente negli altri testimoni italiani. 53 Tuttavia, questo termine è attestato nel Fiore de Dante e in Folgore da San Gimignano. Cf. GDI, t. XVII, p. 421. 54 Nella favola intitolata De Sole Nubente (n. 285 del catalogo di G. DICKE, K. GRUBMÜLLER, Die Fabeln des Mittelalters, cit.) si tratta sempre di Giove. 55 Questa favola è assente nel manoscritto L II. Errori ameni di un chierico medievale: la traduzione italiana dell' Esopet di Maria di Francia 55 Anche se il sostantivo destinato non è dunque un hapax, la preferenza per questo termine rispetto ai suoi concorrenti (destino, fato) potrebbe essere giustificata dalla presenza nel testo di partenza dell‘espressione francese destinee.56 Si tratterebbe perciò di un esempio di ‗lingua condizionata dalla traduzione.57 Un caso simile è presente all‘inizio della favola del Topo e della Rana (n. III in Warnke, n. 12 in Q): i testimoni italiani descrivono il Topo sulla soglia di casa, in un atteggiamento rilassato: si sta mordicchiando le zampe per pulirle. LI PI lo sorco si stava in e istavasi al sole e su l‘usciale al sole e ispiluccavasi i piedi spiluccavasi li piedi (Ed. cit., p. 14) (Isopo Laurenziano..., p. 109) P II R L II Un topo si stava in su l‘uscio di uno mulino, e spilluccavasi i piedi al sole. (Ed. cit., p. 29) Istavasi lo topo un giorno a grande agio in sul soglio della scala e spiluccavasi i piedi al sole (Ed. cit., p. 39) standosi lo Topo uno giorno a grande agio in sul soglio della casa, e‘ spiluchavisi li piedi a· sole (f°14r) Il verbo spiluccarsi, che oggi non è riflessivo e significa ‗mangiucchiare‘ o ‗staccare gli acini d‘uva dal graspo‘, esiste in italiano fin dal Duecento; nella nostra traduzione è usato invece con il senso del corrispondente francese, e sembra essere stato scelto proprio a causa della presenza del verbo s‟espelucha in quel passo del testo francese, che avrebbe dunque condizionato le scelte del traduttore: (…) un jor s‘asist desor son suelg ; Ses gernonez apareila Et de ses piez les pelucha58 Precisiamo, inoltre, che questo dettaglio narrativo così realistico non ha corrispondente nella tradizione latina. Quali conclusioni dunque si possono trarre da questi primi esempi sul problema della lingua del testo di partenza della nostra traduzione? Proprio in virtù di esempi di ‗lingua condizionata dalla traduzione, crediamo si possa pensare, più che a una traduzione latina delle 56 Una cosa simile avviene, ad esempio, nella traduzione italiana del Régime du corps eseguita da Zucchero Bencivenni: le parole visaggio, viso sono usate nelle parti tradotte dal francese, mentre nelle interpolazioni, il traduttore sceglie i sostantivi faccia, volto. Cf. F. FERY-HUE , ―Zucchero Bencivenni, premier traducteur du Régime du corps d‘Aldobrandin de Sienne ‖, Bien dire et bien aprandre 14 (1997), pp. 189-206. Sull‘origine francese della parola destinato, cf. M. CORTELAZZO, P. ZOLLI, Dizionario etimologico della lingua italiana, Bologna, Zanichelli, 1979, 4 vols, t. II, p. 329.Invece, l‘espressione latina ad destinatum non ci pare avere un significato pertinente in questo contesto. 57 G. BIANCIOTTO, Langue conditionnée de traduction et modèles stylistiques au XV e siècle, in Sémantique lexicale et sémantique grammaticale en moyen français, Bruxelles, 1979, pp. 51-80. 58 Die Fabeln …, p. 11 ; la variante in questione appare nei manoscritti del gruppo γ. 56 PAOLA CIFARELLI favole di Marie de France come origine della versione italiana, all‘utilizzo occasionale da parte del traduttore, o più verosimilmente dei copisti, di una collezione latina che conserva gli stessi motivi favolistici, nel quale essi cercarono un aiuto per risolvere i problemi traduttivi più delicati. Come scrisse Cesare Segre nel suo studio su I volgarizzamenti del Due e Trecento59, nel corso di questi secoli l‘italiano e il francese erano percepiti come lingue vicine e proprio per questo « [mancavano] grossi problemi nel tradurre e chiunque, o quasi, ci [poteva] riuscire ». Tuttavia, il testo di Marie de France era scritto in una lingua (l‘anglonormanno) che presentava certamente varie difficoltà per chi volesse tradurlo: infatti, non solo la distanza temporale che separa il testo dal suo traduttore era considerevole, ma la colorazione della lingua di Marie de France complicava notevolmente il lavoro di ‗mise en italien‘. Il lessico, in particolare, doveva dare non poco filo da torcere ; anche se si sa che i volgarizzatori si sentivano liberi di apportare al testo di partenza modifiche anche importanti, seguendo il loro gusto e la loro vena narrativa, e se chi ha lavorato alla traduzione italiana dell‘Ysopet è ricorso spesso a tutti gli espedienti usati dai traduttori ‗disperati‘ (soppressione, adattamento etc), quando si tratta di tradurre il sostantivo che designa l‘attore della favola il problema si fa veramente delicato. Abbiamo scelto due esempi, che ci permetteranno forse di capire i meccanismi alla base dell‘errore di traduzione e il modo di procedere dei copisti. Il primo esempio è tratto dalla favola delle due Cagne (n. VIII in Warnke), che narra di una femmina di cane in procinto di partorire; sprovvista di una tana e con la prospettiva di partorire all‘aperto in un freddo inverno, chiede ad un‘altra cagna di poter utilizzare il suo ricovero e, abusando poi della generosità dell‘amica, finisce per appropriarsi della tana cacciando la legittima inquilina. Nei testimoni italiani, avviene un fenomeno curioso: per evitare una ripetizione, Marie de France utilizzò il sostantivo lice, che significa ‗cane da caccia‘, per designare la partoriente; D‘une lisse vus vueil cunter Ki preste esteit de chaeler, Mes ne sot u estre peust N‘u ses chaels aveir deust60 Fam. I: Dicie lo conto che una tassa ch‘era pregnia andava carendo albergo perché voleva figliare 59 C. SEGRE, Lingua, Cultura, Società, studi sulla storia della prosa italiana, Milano, Feltrinelli, 1963, p. 50. 60 ―Voglio raccontarvi di una cagna / Che era prossima a partorire / Ma non sapeva dove potesse andare / Né dove potesse avere i suoi cuccioli.‖ Errori ameni di un chierico medievale: la traduzione italiana dell' Esopet di Maria di Francia 57 Fam. II: [la favola] pone come una gazza andava volando qua e là cercando dove potesse partorire. Il termine lice è reso dunque con tassa nei manoscritti della famiglia I e addirittura con gazza nella famiglia II. E‘ facile immaginare il controsenso creato da un uccello in procinto di partorire. Ma come si è arrivati ai due risultati? Spiegare la scelta di tassa non è molto complicato. Il traduttore ha dovuto associare il francese lice non al suo etimo latino (*licisca), ma al sostantivo *lis, liris, forma popolare del latino classico glys, glyris, che è all‘origine del francese loir e dell‘italiano ghiro. Per provare la prossimità, nell‘immaginario comune, di tasso e ghiro si può citare l‘esempio della locuzione dormire come un ghiro (in francese dormir comme un loir), che conosce una variante italiana dormire come un tasso. Ecco forse la spiegazione per cui questo roditore prende il posto della cagna nella favola in questione; d‘altra parte, le ripercussioni sull‘intreccio non sono molto significative, se non per il fatto che normalmente il tasso in inverno cade in letargo. Per rendere conto della presenza della gazza in due manoscritti italiani, secondo noi occorre passare nuovamente attraverso il latino, ma questa volta rivolgersi alle redazioni medievali di questa favola. Il canis che si trova in Fedro (libro I, fav. 17) e nel Romulus Ordinarius (libro I, fav. IX) può diventare un canicula, come nel Romulus Nilantii (libro I, fav. 4) e nel Romulus LBG (fav. X). In sé, questa osservazione non ci porta molto lontano, se non fosse per il fatto che nel Promptuarium exemplorum (fav. 30) un errore paleografico trasforma il canicula in cornicula, ossia cornacchia. Ecco, forse, perché la protagonista viene trasformata in uccello: il traduttore, rimasto perplesso di fronte al termine francese lisse, avrebbe consultato una versione latina della favola per aiutarsi nella ricerca della soluzione e si sarebbe trovato di fronte ad un testo latino simile a quello del Promptuarium exemplorum. Quanto poi alla scelta di gazza come equivalente di cornicula, è possibile che il traduttore sapesse che l‘equivalente francese del latino era corneille, e abbia scelto un altro corvide che somigliasse vagamente a questo uccello per farlo corrispondere a lice. Questo caso particolare ci sembra rafforzare l‘ipotesi, enunciata precedentemente, secondo cui il metodo di lavoro dei nostri chierici prevedeva occasionalmente il ricorso a versioni latine simili come aiuto alla traduzione dal francese. Anche l‘esempio della welke, che esamineremo brevemente ora, è un‘ulteriore prova di questo modo di agire, oltre al fatto che dimostra la tesi del testo-fonte francese. In un recente lavoro dedicato al Dossier iconographique de la fable de l‟aigle et de la corneille61, R. Trachsler ha analizzato gli spostamenti di senso che subisce, nella favola di Fedro, il termine testudo, che si 61 R. TRACHSLER, La „tortue‟, la „limace‟ et la „welke‟. Le dossier iconographique de la fable de l‟aigle et de la corneille, « Reinardus » 15, 2002, pp. 161-74. 58 PAOLA CIFARELLI ritrova in tutti gli adattamenti medievali di questa favola. Lo studioso ha inoltre segnalato che il termine welke designava un mollusco univalve e che, nel manoscritto Q, questo termine ostico anche per i copisti, era stato sostituito dalla variante eschale, che però non poneva meno problemi di traduzione agli italiani. Infatti, nella miniatura del manoscritto Q, il mollusco era stato sostituito da un pesce. Cosa succede nei manoscritti italiani ? Ciò che colpisce innanzi tutto, è una similitudine evidente tra il comportamento del miniaturista di Q e quello del traduttore. Infatti, quattro dei nostri cinque testimoni hanno trasformato il mollusco in pesce. Tuttavia, il traduttore italiano ha usato un po‘ di fantasia per conservare il senso della favola e un minimo di fedeltà al testo francese. La parola eschale deriva dall‘etimo germanico *skale, che ha dato origine anche al sostantivo italiano scaglia, il quale può designare anche le squame del pesce. Per essere coerente con l‘intreccio della favola, il chierico italiano ha quindi messo in scena un misterioso ‗pesce scaglia‘, talmente fantomatico da necessitare di una glosa : infatti, si è affrettato a spiegare che questo pesce ‗è molto duro a ronpare‘ e che per questa ragione l‘aquila è costretta a lasciarlo cadere dall‘alto per riuscire a mangiarne la carne. Ecco la soluzione adottata dai nostri quattro testimoni, che prova ulteriormente l‘origine francese del testo di partenza : Marie de France R L II LI PI Ci dist c‘uns aigles vint volant Jouste la mer poisson querant Une oytre62 trova entiere Mes il ne set en quel maniere Poist l‘eschaille despecier (Die Fabeln…vv. 1-5, p. 44) Dice lo conto, che un‘Aguglia volava lungo il mare perché volea de‘ pesci, sicchè trovò una Scaglia sana. Quando l‘Aguglia l‘ebbe trovata brigavasi di romperla e non potea, perocchè il Pescie iscaglia si è molto duro a rompere (Ed. cit., pp. 38-39) Dicie lo conto che una Aquila volando longo el mare perché voleva del pescie e trovando di quelli pesci co· la scaglia, overo co· l‟osso di fuore, e quando l‘Aquila l‘ebbe trovato, sì la voleva ronpare per trarne lo pescie di dentro e non poteva, inperoché „l pescie scaglia è molto duro a ronpare. (ff. 17v-18r) (…) una aguglia volava lungho lo mare, che volea de pesci, sie che trovoe uno pesce lo quale si chiama lo pesce scaglia ; e quando l‘ebbe trovato, brighavi di ronperla per pizicharla. Nolla po-tea ronpere perochè „l pesce scaglia si è molto duro a ronperlo (Isopo Laurenziano…, pp. 107-108) Dicie l‘autore che una aquila volava lungo lo mare, ché voleva de‘ pesci. Sicchè trovò uno pescie lo quale si chiama pescie sca-glia. E quando l‘eb-bero trovato s‘ingegniava di romperlo per pizicarlo. E non potendolo ronpere, però che ‗l pescie scaglia è molto duro a romperlo. (Ed. cit., pp. 13-14) Il quinto copista, (quello di PII), è verosimilmente ricorso a un testo latino, secondo il procedimento che abbiamo cercato di descrivere precedentemente : infatti, utilizza il sostantivo testuggine, che corrisponde al latino testudo presente nelle versioni latine di questa 62In Q, la parola oytre è stata riscritta su una cancellatura. Il termine che si legge al di sotto è proprio eschale. Errori ameni di un chierico medievale: la traduzione italiana dell' Esopet di Maria di Francia 59 stessa favola: Un‘aquila essendo ita a peschare lungho la marina, prese una testuggine, e volevala aprire e non poteva.63 *** Testimone dell‘interesse che, durante l‘autunno del Medioevo, l‘opera di Marie de France suscita ancora non solo in Francia, la traduzione italiana che è stata oggetto della nostra analisi trasmette ai lettori toscani un‘immagine abbastanza fedele del testo della poetessa anglonormanna. Benché sia talvolta agli antipodi della prosa d‘arte così come viene realizzata in alcune traduzioni italiane contemporanee di testi latini, la riuscita di questo lavoro talvolta molto complesso si può definire globalmente soddisfacente: anche se i copisti commettono errori e giungono a risultati diseguali quanto alla fluidità delle strutture sintattiche, la traduzione rispetta le particolarità del racconto nel testo di partenza e i tratti stilistici di partenza di quest‘ultimo, che doveva essere apprezzato e ritenuto ancora attuale a causa delle allusioni frequenti alla vita quotidiana, alla somiglianza stupefacente tra il comportamento degli animali e quello degli uomini, il lunguaggio colorito e vivace di questo piccolo capolavoro della letteratura esopica. Quanto agli errori che abbiamo preso in considerazione, visti con l‘occhio del filologo, essi sono dunque interessanti perché possono rivelare molte cose sulle vicende che sottendono la trasmissione dei testi e sui metodi utilizzati da traduttori e copisti durante il loro lavoro. A noi insegnanti, essi possono forse suggerire di prestare molta attenzione nel diagnosticare le cause degli errori dei nostri allievi, per poter mettere in atto terapie efficaci nella cura dei meccanismi mentali che inducono all‘errore. Paola Cifarelli 63 È anche interessante constatare che il dizionario dell‘Accademia della Crusco, a partire dall‘edizione del 1840, si fonda propr io su questo esempio (e solo su di esso, citato secondo il manoscritto Riccardiano 1088 nell‘edizione Rigoli) per identificare uno dei sensi possibili della parola scaglia. Sulla base di ques‘esempio, le si attribuisce anche il significato testuggine. Nello stesso dizionario, si cerca anche una spiegazione etimologica, ricorrendo all‘illir. xelka o al greco chelys, ma ciò non ci pare corretto: il termine scaglia, nel senso attivato nella favola italiana, corrosponde a quello del francese escaille, con il quale ha in comune l‘etimo. L‘interpretazione dell‘Accademia della Crusca si perpetua fino al GDI, per tramite di N. Tommaseo. Come difendersi dai "falsi amici" Alcuni anni or sono mi trovavo a Oviedo, in Spagna, per un congresso. Finita la sigaretta, andai da una tabaccheria, gestita da una graziosa giovane donna. Sicuro di me – quale errore! – mi rivolsi a lei per acquistare un pacchetto di sigarette "las mas lageres". La tabaccaia mi guardò con perplessità e, tutto sommato, una punta di sospetto. Un amico di lingua spagnola che mi accompagnava si affrettò a spiegarmi che in quel "lageres" si annidava un significato ambiguo e poco edificante, proprio come se, in Italiano, si dice di una donna che è "leggera". Difatti, io avrei dovuto chiedere delle sigarette "suaves". Mi ero dunque imbattuto in uno di quelli che i linguisti chiamano "falsi amici", e la cui origine è generalmente romanza. Ecco, allora, che in Spagnolo "salir" vuol dire scendere "scendere", "aceite" significa "olio", "burro" significa "asino", quest‘ultima parola dell‘area pure franco provenzale, onde l‘offensivo piemontese ―burìo‖ significa niente altro se non ―asinello‖. Attraversiamo la frontiera e andiamo in Francia. Nel linguaggio militare, "commandant" significa in realtà, "maggiore". In Piemonte chiamiamo dehors la zona all‘aperto di un bar o di un ristorante, convinti che si tratti del giusto termine francese, ma non è così: in Francia si chiama "terrasse". Si racconta dell‘emigrante italiano in Germania, imbufalito perché, avendo azionato un rubinetto con la scritta Kalt, ne usciva acqua ben fredda. I "falsi amici" sono assai numerosi in Inglese, e, come osservavo prima, si tratta sempre di termini di matrice romanza. Un mio amico, formatosi culturalmente soprattutto sul Tedesco, e quindi ben conscio che Kalt significa "freddo", ha peraltro una moglie americana. Ormai l‘Inglese lo conosce perfettamente, ma così non era ai tempi del matrimonio. Ecco allora che la moglie lo manda imperativamente a fare la spesa, e gli fornisce un preciso elenco, il quale termina con "eventually milk". Il mio amico è di fretta, così trascura di acquistare il latte, e tornato a casa subisce il rimprovero della consorte. «Mi avevi detto eventualmente, e così io non l‘ho comperato». Drammatica scoperta di un "falso amico", perché in Inglese eventually significa "alla fine, per ultimo". Alle volte noi traduciamo alla lettera espressioni – in questo caso sia francesi sia inglesi – che non vanno prese tali e quali. Uno dei casi più usati è l'inlgese "to play a role" e il corrsipondente francese "jouer un rôle". Il significato letterale ha un'origine teatrale, e significa "recitare una parte". Noi, invece – e mi sono sempre domandato perché – diciamo "giocare un ruolo", quasi che si parlasse di una partita di calcio. Così, mi infastidisce sentir dire "eclatante" anziché "sorprendente", assimilando direttamente il francese "eclatant". Una volta tenni una conferenza a New York, dove elencai tutta una serie di appropriazioni dall'Inglese, e Come difendersi dai "falsi amici" 61 soprattutto dall'Inglese di America. Ne detesto parecchi, ma in cima alla mia lista colloco "testato", vale a dire "collaudato", "verificato". Altro non è se non la passiva trasformazione in Italiano dell'Inglese "taste" che significa appunto quello. Un termine inglese di uso corrente è "lavatory". Ha una curiosa storia. Nell'Ottocento vittoriano, bisogna evitare il ricorso a parole che si ritenevano sconvenienti. Una di queste si riferiva precisamente alla ritirata, al bagno, e così venne adottata una alternativa indiretta. Un mio amico ignaro dell'Inglese, in visita a Londra, anni or sono, mi disse: «Non immaginavo che gli Inglesi curassero tanto l'igiene. A Londra ci sono decine di lavatoi pubblici.» La sgradevole frequenza di vicende belliche porta in scena numerosi termini militari. Tra questi, il ricorrente falso amico è l'inglese "grenade", tradotto come "granata", mentre significa "bomba a mano". Comunque, un vaidissimo aiuto giunge dal grande dizionario Inglese Italiano e Italiano Inlgese del Ragazzini, che segnala in appositi riquadri colorati i "falsi amici". Eccone una scelta degna di nota. "Clamorous" significa "rumoroso", e non "clamoroso". "Affluent" e "affluance" indicano in genere la ricchezza e l'abbondanza, mentre la "delusion" una illusione. "Incident" non ha nulla a che fare con un incidente, mentre segnala la pertinenza, e la decisiva influenza. "Incense" addita l'arrabbiatua, la reazione irosa. Possiamo tentare un gioco di parole su "gross", dicendo che tradurlo "grosso", mentre significa "vistoso" o simile, costituisce un grosso sbaglio. Mi sembra che una degna conclusione si possa trovare in "superb" che se siete generosi potete applicare a questo mio scirtto, perché vuol dire "splendido" e qualcosa del genere. Non voglio tediarvi con una ulteriore lista, ci mancherebbe. Piuttosto, vi invito tutti a un gioco, consigliabile nel tempo libero: la caccia al "falso amico". Auguri, e guardatevi dalle cattive compagnie. Claudio Gorlier 62 Indice Prof. ADRIANO COLOMBO, Introduzione e saluti ....................................................................................... pp. 1-2 Prof.ssa STEFANIA FERRARI, Gli errori nella seconda lingua e la prospettiva dell'interlingua ....................... pp. 3-5 Prof. ANDREA BALBO, La correzione dell'errore e l'autocorrezione: aspetti didattici tra lingue classiche e informaica.....................................................................................................................pp. 6-21 Prof. E. BONA, Sbagliando si sbaglia. Lingue classiche e didattica dell'errore ............................................. pp. 22-31 Prof. SILVESTRO TONOLLI, Latine legere Gallice loqui ................................................................... pp. 32-28 Prof. GIANFRANCO PORCELLI, Gli errori nella didattica della lingua inglese......................................... pp. 39-44 Prof.ssa SUSANNA WILLIAMS, Il potere delle parole piccole ..................................................................... pp. 45-48 Prof.ssa PAOLA CIFARELLI, Errori ameni di un chierico medievale: la traduzione italiana dell'Esopet di Maria di Francia ................................................................................................. pp. 49-59 Prof. CLAUDIO GORLIER, Come difendersi dai “falsi amici” .................................................................... pp. 60-1 Indice ................................................................................................................................................................... p. 62