uganda, il ritorno di una ragazza di aboke

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uganda, il ritorno di una ragazza di aboke
UGANDA, IL RITORNO DI UNA RAGAZZA DI ABOKE
Giovedì 16 Aprile 2009 14:30
di Rosa Ana De Santis
Catherine Ajok venne rapita dall’Esercito di Resistenza del Signore (LRA) la notte del 10
Ottobre 1996, quando era poco più di una bambina. Frequentava allora la scuola delle
missionarie comboniane St. Mary, ad Aboke, nella diocesi di Lira. Catherine è tornata, con un
figlio di soli 21 mesi avuto dal ribelle sanguinario Kony. Approfittando di un’imboscata che ha
distratto l’esercito dei ribelli, questa giovane, che oggi ha 25 o 26 anni, è riuscita a fuggire. E’
comparsa qualche settimana fa dalle foreste del Congo. In quel ricamo di paradiso terrestre che
segna a ovest uno dei confini della piccolissima Uganda. Una rete fittissima di vegetazione e
suoni che incute ancora oggi un misto di timore e riverenza nelle persone del luogo, come di
sacro rispetto. Così è tornata Catherine, come un fantasma dal passato. La sua sorte ha fatto
il giro del mondo insieme a quella delle altre sue compagne di sventura. Centotrentanove
bambine, rapite e messe a disposizione delle voglie e dei bisogni dell’esercito di Kony. Nemico
storico del governo ugandese, pluricondannato dai tribunali internazionali, sconfitto soltanto
sulla carta di inservibili trattati di pace o di tregue mai applicate nel paese. In particolare nel
nord, nella regione intorno a Gulu, dove continua la barbarie dell’arruolamento dei piccoli e delle
spose bambine, le uccisioni di massa, il controllo e il saccheggio dei villaggi. Un nemico che
scandalosamente e con non troppo mistero ormai continua ad essere armato e continua ad
accreditarsi come interlocutore nei tavoli della politica ufficiale. Tra le sue sessanta mogli, nel
fanatismo della sua religione millenaristica, piena di veti e di regole tra Cristianesimo e Islam,
stavano anche Catherine e Miriam. Nella corte di una poligamia forzata, iniziata in tenerissima
età.
Fece di tutto, nei giorni del rapimento, la vice direttrice italiana della scuola, Suor Rachele
Fassera, per la libertà delle bambine. Supplicò, s’inginocchio fino a raggiungerle e ad ottenerne
il rilascio di 109. Per le altre 30 fu tutto vano. Vane furono anche le pressioni internazionali. Di
loro si perse ogni traccia. Dal buio di quella che viene chiamata la “foresta impenetrabile”
vennero mangiati i loro anni. Fu così che divennero mogli e madri per violenza, disperse come
merce tra i soldati. Schiave. Un anno fa si era accesa qualche speranza durante le fasi finali
della pace a Juba con il Sudan, ma non per Catherine. Diventata moglie di Kony per lei non
poteva esserci alcuna possibilità. Un mese fa la salva una fuga quasi miracolosa. Un mese
lunghissimo nella trappola di continui pericoli, per tornare a casa. In quella vecchia scuola dove
tutto è iniziato, 12 anni e mezzo fa.
Sulla storia delle ragazze di Aboke e l’impegno tenace di Rachele Passera è nata la
Concerned Parents Association, l'associazione che riunisce i genitori dei bambini ed
adolescenti rapiti dal LRA. Delle bambine prigioniere, due sono state uccise, altre due sono
state date in moglie al comandante Omona, morto successivamente di AIDS. Altre 8 sono state
trattenute in Sudan e “fanno da mogli” a Kony, cui formalmente il Sudan dice di negare ogni
protezione. Un inferno, quello del Nord Uganda, che ha descritto con grande fedeltà la
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UGANDA, IL RITORNO DI UNA RAGAZZA DI ABOKE
Giovedì 16 Aprile 2009 14:30
giornalista belga Els De Temmerman. Un girone dantesco che sta aldilà delle missioni e delle
scuole, fortini di speranza, dove i bambini che non muoiono per epidemia di malaria o per AIDS,
muoiono ogni giorno brutalizzati da soldati o da mogli di soldato.
Nella cronaca di una militarizzazione permanente del paese che solo il presidente Musuveni
riesce a non vedere e su cui fallisce ogni presunto tentativo di ristabilire il controllo del governo
centrale. Responsabile ufficiale la guerra per la teocrazia di Kony, gli scontri tribali e i conflitti
intestini nella regione poverissima della Karamoja. Responsabile profondo ogni assenza del
concetto di comunità e di unione tra la gente, quello che dove non ha salvato la libertà ha
comunque generato spinte di rivolta e ribellione in altri punti del pianeta dominati da tirannidi
pericolose. L’Africa non è mai stata il Sudamerica.
In Africa è un’altra storia. Nell’Uganda, perla di acque a cavallo dell’Equatore, sembra non
esserci luogo possibile di riscatto. Non nella terra, né nel pensiero. Qui non passa la teologia
della liberazione. Né il progetto di una resistenza politica volta a smascherare la scenografia di
una Repubblica che vede lo stesso presidente in carica dal 29 gennaio del 1986. Qui il tarlo
della divisione s’infiltra e toglie ossigeno alla comunità. All’idea stessa che la nutre. Ogni tanto
si accende un po’ di speranza grazie a qualche storia strappata all’inferno. La speranza in
Africa vivacchia così. Non riesce a trovare la strada maestra di una liberazione. È una manciata
di storie, è qualche viso, è una fuga in solitudine. Oggi si chiama Catherine, ed è tornata. Per il
resto dell’inferno, c’è tempo.
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