voci di campane

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voci di campane
Tonelli Rodolfo
(Accademia dei Tenebrosi)
VOCI DI CAMPANE
Nuovi modi di scandire il tempo e di superare lo spazio costituiscono le
caratteristiche dominanti l’esistenza individuale e collettiva della nostra era tecnologica
in frenetico divenire.
Strumenti di alta precisione imprimono allo spazio e al tempo significati oggettivi
fino a valori infinitesimali, ma chiusi a poetiche interpretazioni.
Oggi, persone di diversa condizione si muovono nello spazio alla medesima
velocità e il tempo della giornata destina ritmi comuni e rigorosi, tali da costituire una
griglia indubbiamente favorevole al sistema produttivo, ma refrattaria alla inventiva ed
alla poesia.
Alle campane delle chiese, una volta, era assegnato il compito di annunciare
l’imminente inizio dei sacri riti e l’invito ad una pausa di riflessione e di preghiera.
Segnali inequivocabili erano affidati a quelle del campanile civico, eretto dentro
le mura del castello, orgoglioso della funzione emblematica, condivisa con la torre
malatestiana, per distinguere Orciano dagli altri Paesi dei dintorni: Barchi, Mondavio,
San Giorgio, Piagge, Sorbolongo, Sant’Ippolito, Fratterosa, corredati di singolare
campanile.
Un addetto a tempo indeterminato, predecessore di Cordella, campanaro ai tempi
della mia infanzia, aveva l’incarico di azionare a mezzogiorno la proletaria sirena per
indicare la pausa del pranzo ai contadini del circondario, agli artigiani, agli operai della
fornace dei Gasperini e delle fabbriche di seminatrici dei Fiorelli e di Ubaldi, dividendo
in tal modo le fatiche del mattino e da quelle del pomeriggio.
Ben più importante era l’incarico di suonare le campane a martello per uno
straordinario evento che mettesse a repentaglio la vita dei componenti la comunità
municipale, a tocco continuato per allontanare la minaccia della grandine, a morto per
socializzare l’accompagno al cimitero di chi aveva concluso la terrena esistenza.
Ma, prima dell’alba, particolarmente nel periodo invernale, un tocco della
campana civica annunciava il tempo buono, due tocchi il cielo parzialmente nuvoloso,
tre tocchi il cielo decisamente coperto e quattro tocchi l’imminenza del temporale; così i
lavoratori mattinieri potevano decidere consapevolmente se alzarsi dal letto per iniziare
la quotidiana fatica o restare a poltrire ancora un poco.
Don!…
“ Catarina, oggi è tempo buono”. Disse il cordaio Gramulin alla moglie, la
Gagiulina, appena udito il primo tocco.
Don!…
“ Catarina, oggi il cielo è un po’ nuvoloso…”
Don!…
“ Oggi è tempo cattivo”. Continuò Gramulin. “Sarà meglio restare a letto…”
Don!…
“ Catarina, viene il temporale!”
Don!… Don!… Don!…
“ Catarina, vien la fin del mond!”
Tanto aveva credito il campanaro?
Egli aveva la competenza scientifica e divinatoria di fare a suo inappellabile
giudizio le previsioni del tempo, e in quella circostanza, preso chissà da quale
contrarietà, turbò tutti gli abitanti del paese e della campagna, i quali si interrogarono ad
occhi spalancati sullo straordinario evento e le finestre delle case dirimpettaie
ammiccarono tra loro, sorprese, per tremolanti luci di candele o di lumi a petrolio, e
perfino i cani parteciparono al subbuglio generale degli umani con sequenze di latrati,
nascondendo nella confusione qualche erotico messaggio.
E gli Orcianesi nel frangente furono nolenti compagni della insonnia del
campanaro.
Campane aveva il campanile a vela della chiesa di Santa Maria Novella; campane
vantava il modestissimo campanile della chiesa di San Cristoforo, al borgo; e la chiesa
di Santa Caterina, patrona del paese, e le chiesine dell’ospedale e della Madonna del
Pianello e del cimitero si pregiavano di intonate squille; ma senza voce era il campanile
della chiesa di San Silvestro.
E proprio le campane di San Silvestro hanno una storia singolare, contestualizzata
nella vita semplice dei paesi marchigiani, legata a slanci promotori della vita
comunitaria, di solito a dimensione municipale, per cui ognuno si bea e si gloria ancor
oggi dell’ombra del proprio campanile.
Pertanto, privo di educativi richiami al rito religioso era il versante nord della
collina orcianese e impossibilitato ad elevare il pensiero al cielo nel mattutino e nel
vespro.
La chiesa di San Silvestro si erge all’apice della salita di Bugarell ed era
sentinella senza voce di dolci poggi e di amene vallette che confluiscono nella convalle
disegnata nel tempo dal fosso, onorato di antico ponticello ad arco ( il ponte di San Mè,
così è detto e così spero sia scritto), capace di sostenere il passaggio di un solo biroccio
dalle istoriate sponde, trainato dai buoi.
Tanfani Nazareno, Facchini Eugenio, Sambuchi Archimede, presi da “ pietoso
eroico furore”, diedero inizio alla “cerca”, la raccolta, sacco in spalla, di modesti oboli
in natura, finalizzata all’acquisto di campane.
E le campane ordinate nel segno della speranza, arrivarono e furono installate ben
prima della conclusione della cerca, sottraendo ampi margini di sonno ai tre volonterosi.
Di giorno, mentre i rintocchi costituivano per tutti opportunità di procurarsi piccoli
meriti di paradiso, per i nostri umili eroi il suono delle campane rammentava piuttosto il
debito contratto, ancora lontano da essere assolto.
Alla fine l’impegno fu onorato e la ricompensa all’impresa sarà stata senz’altro
attribuita secondo divini criteri, a noi mortali non pienamente rivelati, e il ricordo,
vivificato dalla tradizione orale, è degno di un umile scritto, perché si renda onore al
merito di Archimede Sambuchi, Eugenio Facchini e Nazareno Tanfani.
Ma nella memoria dei viventi giovani e giovanissimi di allora risuonano gli echi dei
tocchi delle campane di San Silvestro, dalle note tra loro composte in piccolo concerto,
cui è venuto spontaneo assegnare un testo che dice: “Sambug e Fachin, e Tanfanin”.