Camino … tragitto che percorriamo per arrivare o raggiungere un

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Camino … tragitto che percorriamo per arrivare o raggiungere un
Alberto Caffi
SANTIAGO DE COMPOSTELA
IL MIO CAMMINO
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Dedicato ai miei nipoti
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PREFAZIONE
ANTICA PREGHIERA A SANTIAGO
O Santiago, davanti alla Tua immagine di pellegrino, vogliamo confermare la nostra condizione
di pellegrini, così come pellegrino fosti Tu e
Gesù di Nazareth.
Siamo pellegrini alla ricerca della verità, alla ricerca di pace interiore, capacità di amore, di
ascolto, di dedizione completa verso i nostri simili.
Cerchiamo dei principi di cui necessitiamo in
quanto persone di questo mondo, cerchiamo una
scala di giusti valori della nostra vita per poterla,
al meglio, organizzare e vivere.
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O Santiago, Tu ci vuoi come siamo, ma al tempo
stesso attendi da noi qualche cosa, vogliamo darti la gioia di prendere sul serio la nostra vita e
quella dei nostri fratelli, vogliamo essere testimoni di Gesù vivendo e convivendo con tutti gli
esseri umani e viventi che ci circondano.
O Santiago, aiutaci a vivere una vita piena, senza farci cadere nel vuoto del materialismo, senza
renderci schiavi del possedere, senza farci perdere la Fede, gli ideali e la speranza, affinché il nostro mondo familiare sia capace di perseguire gli
ideali umani ed evangelici.
O Santiago, aiutaci a crescere nella Fede ed a
crescere interiormente, tutti abbiamo problemi
nella vita, aiutaci a sollevarci senza che ci trasciniamo per i marciapiedi della vita, senza perdere
la nostra dignità umana e cristiana. Sii il nostro
sostegno, così come nel Camino di Santiago, anche nel Cammino della vita.
Grazie Santiago
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TESTO DELL’ANTICA BENEDIZIONE DEL
PELLEGRINO
O Dio, che portasti fuori il tuo servo Abramo
dalla città di Ur dei Caldei, proteggendolo in tutte le sue peregrinazioni e che fosti la guida del
popolo ebreo attraverso il deserto, Ti chiediamo
di custodirci, noi tuoi servi, che per amore del
Tuo nome andiamo pellegrini a Santiago de
Compostela.
Sii per noi compagno nella marcia, guida nelle
difficoltà, sollievo nella fatica, difesa nel pericolo, albergo nel Cammino, ombra nel cuore, luce
nell’ oscurità, conforto nello scoraggiamento e
fermezza nei nostri propositi perché, con la Tua
guida, giungiamo sani e salvi al termine del
Cammino e, arricchiti di grazia e di virtù, torniamo illesi alle nostre case, pieni di salute e di perenne allegria e pace.
Per Cristo Nostro Signore. Amen.
San Giacomo Apostolo di Gesù, prega per noi.
Maria Madre di Dio, prega per noi.
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C’E’ SEMPRE TEMPO …
NON E’ MAI TROPPO TARDI
Se un mattino ti svegli indolente se non hai nemmeno voglia di aprire una sola finestra
non permettere che la tua anima si inaridisca
recupera la tua vecchia speranza.
Se un pomeriggio qualsiasi percorri un angusto
sentiero respiri profondamente e non senti il profumo di ciò che ti circonda fermati un attimo e
sospira il tuo sangue recupererà la vita.
C’è sempre tempo per rinascere
c’è sempre tempo per vivere di nuovo
c’è sempre tempo per iniziare di nuovo ciò che
non sei mai riuscito a finire.
Se la luna ti fa l’occhiolino e non provoca in te
gioia né di amore né nostalgia dei giorni migliori stringi la mano al petto e cancella i momenti
negativi.
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Perchè c’è sempre tempo … non è mai troppo
tardi.
Don Augusto Losada Lòpez
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VERSO SANTIAGO DE COMPOSTELA
Cammino: tragitto che percorriamo per arrivare
o raggiungere una meta.
Cos’è il Camino di Santiago de Compostela?
Il Camino di Santiago de Compostela nasce dalla Fede dei nostri antenati.
I teorici del Camino non possono coglierne la
vera essenza, perché il Camino di Santiago è fatto per essere vissuto, non per essere teorizzato.
Il Camino di Santiago è spiritualità.
Il Camino di Santiago è anche Cultura, perchè la
Fede si esprime anche attraverso le opere d’arte
che ci accompagnano lungo il Camino, esse
sono un tutt’uno con il Camino di Santiago, dal
momento che in esso la cultura è espressione di
Fede.
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IL CAMINO DI SANTIAGO DE COMPOSTELA
E’ UNIVERSALE:
senza nazionalismi che escludono, è una esperienza in cui tutti noi ci sentiamo un’unica persona e ciascuno rappresenta un piccolo universo.
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IL CAMIMO DI SANTIAGO DE COMPOSTELA SIGNIFICA:
• incontrare se stessi
• aprirsi ai fratelli, al prossimo
• fare un cammino interiore che si basa sulla
capacità di scoprire se siamo in grado di donarci ed accogliere il prossimo
• ricercare ed incontrare, ricerca di noi stessi
(perché a volte siamo dei perfetti sconosciuti
a noi stessi), ed incontro con la Fede
• fare una scala di valori, perchè oggi gli autentici valori sono spesso posti nei vagoni di
coda del treno della vita
• fare progetti reali e realizzabili, affinché non
ci si senta intimoriti ed angosciati dalla vita
• essere credenti per amore e non per paura o
rispetto
• riconoscere i nostri errori e superarli, vedere
le nostre certezze e potenziarle
• capire le nostre paure e superarle
• saper vivere nell’umiltà per apprezzare le
cose semplici
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•
capire cos’è la felicità, la serenità, l’accettazione, il perdono, la condivisione
• capire dove arriva la propria volontà, la propria tenacia
• saper vivere il presente
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PROLOGO
Crema, 17 settembre - Domenica
Mancano undici giorni alla partenza per il Camino di Santiago ed il mio umore è altalenante:
passo dal desiderio incontrollabile di partire a
quello pieno di paure che mi frena.
So che partirò: una voce interiore mi chiama e
mi spinge a partire. Voglio ascoltarla.
Oggi non sono felice, ma cerco comunque di essere tranquillo e sereno: è forse questo il primo
passo verso un importante cambiamento?
Con un pensiero prego e chiedo a Dio che mi
aiuti, mi protegga e che mi possa dare il coraggio di cui ho bisogno.
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28 settembre - giovedì
ore 15:10 - Stazione centrale di Milano
Per la prima volta entro nel cuore della stazione
centrale di Milano e tra meno di dieci minuti
parte il treno che mi porta a Nizza. Puntualmente
salgo e mi sistemo nello scompartimento numero otto.
Vicino a me è seduto un prete, che poi scopro
essere colombiano: si chiama Giuseppe e con
sua madre sta andando a Lourdes. Ci salutiamo e
ci presentiamo: magari prima che le nostre strade si dividano mi farò dare la benedizione.
La mia mente è come se fosse vuota, anestetizzata, forse non sto ancora realizzando che quello
che fino a ieri erano pensieri, programmi e sogni, ora sono realtà.
Mi accorgo subito di quanto pesi lo zaino, eppure ho portato con me solo l’indispensabile. Almeno credo.
Non vedo l’ora di uscire da questa stazione: è
una gabbia che mi stringe alla gola e mi soffoca.
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E’ arrivato il momento nel quale devo uscire da
qualcosa: uscirò per un po’ di tempo dalla vita
quotidiana e dal mondo che fino a ieri ho vissuto.
Domani vado a Lourdes ed è la prima volta:
sono emozionato e curioso.
Ho già un piccolo dolore alla gamba destra, ma
non sono preoccupato.
I miei pensieri non possono che incontrare e soffermarsi sui giorni che hanno preceduto la partenza sulle persone che hanno “accompagnato”
la mia decisione di affrontare il Camino di Santiago de Compostela.
Penso al mio passato, alla mia vita, alla mia nuova e nascente Fede.
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29 settembre - venerdì
ore 5:15 - stazione di Touluse
Dopo una notte passata senza dormire nella cuccetta del treno, sono arrivato al secondo giorno
di viaggio. Dividono con me lo scompartimento
arredato con mini brande due signori francesi, e
solo ora capisco perché la Francia è famosa …
per i formaggi!
Tra circa tre ore sarò a Lourdes. Nello scompartimento del treno ritrovo Padre Giuseppe, il colombiano: con lui e con due ragazze siciliane argomentiamo sulla Chiesa moderna. Parlo anche
di Frà Elia ed una delle due ragazze mi dice di
conoscerlo. Ora tutti vogliono sapere di più del
mio amico Frate. Il fratello ventenne di una delle
due è in seminario e si farà prete. Questo viaggio
non poteva iniziare che in modo … Religioso!
La gamba destra va meglio, ora sono le spalle a
farsi sentire ed ho portato lo zaino solo per poche ore! Il pensiero che dovrò averlo con me per
giorni e giorni mi preoccupa un po’, ma anche
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questo era stato preventivato nei momenti di preparazione.
Ancora non mi rendo conto dell’avventura che
sto per affrontare: la curiosità è grande, la paura
anche, ma cresce il desiderio di iniziare.
Ora vado a salutare la Madonna di Lourdes.
Arrivo al Santuario: è grande. Non me lo aspettavo così. La moltitudine di fedeli è impressionante:molti di essi sono persone ammalate, moltissimi gli invalidi, ma la sensazione è di una
piacevolissima serenità. Un leggero venticello
dà l’impressione che la Madonna accarezzi tutti i
presenti.
La prego chiedendoLe di starmi vicina.
Incontro di nuovo Padre Giuseppe insieme a sua
madre: ci salutiamo abbracciandoci. Il gesto è
stato commovente anche se sono persone che conosco da poche ore. Padre Giuseppe, senza che
io glielo chiedessi, mi ha dato la benedizione:
poi un ultimo sorriso, un ultimo saluto e via di
corsa verso la stazione. A mezzogiorno riparte il
trenino verso San Jean Pied du Port.
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Ho la Madonna nel cuore: a Lourdes sicuramente ritornerò. Sul treno incontro due pellegrine
italiane: Paola e Carmen.
Alle sedici arrivo a San Jean e dopo essermi fatto registrare presso il piccolo ufficio di accoglienza dei pellegrini cerco una sistemazione per
la notte. Una veloce cena con paella ed alle nove
e trenta sono già sdraiato sulla scomoda branda
avvolto nel mio sacco a pelo.
Domani finalmente si parte e sono molto emozionato. Prima di addormentarmi mi accorgo che
un sorriso è stampato sul mio volto. Poi il sonno
mi rapisce.
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IL VIAGGIO
SUL CAMINO DI SANTIAGO DE COMPOSTELA:
UNA CATENA VERSO IL BENE
30 settembre - sabato
da San Jean Pied du Port
a Roncisvalle
Mi sveglio alle sei dopo aver dormito nella casarifugio della signora Adina, che soprannomino
la “marescialla” per il suo carattere e le sue imposizioni: è comunque una donna gentile e simpatica.
Faccio una veloce colazione e sono pronto per
fare il primo passo degli ottocento chilometri del
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Camino di Santiago attraverso la famosa porta di
San Giacomo. Dopo aver visitato la Chiesa del
paese, il parroco appone il primo sello (timbro)
sulla mia credenziale.
La salita verso il passo pirenaico di Roncisvalle
si fa subito ripida: ho scelto di fare la strada
“della montagna”, sicuramente più impegnativa,
ma più affascinante. Il sentiero bagnato dalla
pioggia è veramente duro, almeno per me, anche
se devo ammettere che mi sento, per grazia, in
forma. Piove per quasi tutto il Camino di oggi e
dopo quattro ore ho una piccola crisi di stanchezza, ma per fortuna dopo poco passa.
Seppur a varie distanze vedo una decina di pellegrini che, come me, hanno iniziato oggi il loro
peregrinare. Tra gli altri una signora sulla settantina mi stupisce: il suo passo è deciso, senza tentennamenti, ed anche se ho la metà (o quasi) dei
suoi anni, lei riesce sempre a precedermi ed io
sono ben contento di seguire una così “esperta
guida”. Questo è uno dei “miracoli” del Camino.
La natura che mi accoglie è bellissima: i fitti boschi, i prati verdi, e le rocce lavate dall’acqua,
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creano una quadro che rasserena ed ammorbidisce la tensione del “primo giorno”.
Piove a dirotto ed il vento è fortissimo. Inizio a
“litigare” con la mantella antipioggia, ma sorrido
e penso che il Camino di Santiago mi vuol far da
subito intendere che cosa mi aspetta per il prossimo mese. Non mi scoraggio, anzi, mi convinco
che le cose è meglio saperle e conoscerle fin dall’inizio: almeno mentalmente si ha il tempo per
prepararle al meglio.
Dopo sette ore e mezza arrivo a Roncisvalle
dove vengo albergato alla Collegiata, Monastero
storico per i pellegrini. Alle sette c’è la Messa e
la benedizione del pellegrino alla quale non voglio assolutamente mancare: canti Gregoriani e
parabole in latino creano una cerimonia molto
toccante.
Cena veloce che condivido con alcuni pellegrini
ed alle nove sono già a letto.
Sono molto stanco ma felice: i pensieri iniziano
ad “essere diversi”, ora non sono più legati alla
vita di casa ne alle persone a me care. Sono pensieri che corrono verso il mio essere, verso la
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mia Fede, verso la mia serenità e la mia tranquillità e penso che in altre occasioni, nelle stesse
condizioni, le arrabbiature l’avrebbero fatta da
padrone. Qui no, è tutta un’altra cosa, difficile
da spiegare.
Ad ogni passo, anche se fatto con fatica, viene
spontaneo un sorriso, un bel pensiero.
La compagnia è buona: ho conosciuto, ed in parte ho camminato con loro, due ragazzotte italiane simpatiche e molto gentili. Una di loro, nel
mio momento di crisi di stanchezza, offrendomi
un pezzetto di cioccolata è riuscita a risollevarmi
il fisico ed il morale. Grazie.
Sul Camino non c’è bellezza esteriore, non si accettano le persone per chi sono o per come sono
ma, strano a dirsi, per quello che sono.
Un sorriso, un saluto, una stretta di mano, una
domanda e poi ci si augura reciprocamente
“Buen Camino!”
Voglio spendere due parole sul mio zaino: è
come se fosse la mia piccola casa, dove conservo preziosamente tutto, ma proprio tutto il necessario per un mese. Normalmente le stesse
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cose mi sarebbero servite per non più di due
giorni!
E questo è già di per sé una cosa meravigliosa.
Non posso non pensare ai pellegrini di mille
anni fa che lo stesso Camino lo facevano con un
sacco come vestito, dei sandali aperti e scomodi
ai piedi, un cappello in testa, un bordone (bastone del pellegrino) ed una borraccia di pelle con
un po’ di acqua: solo la loro grande Fede li spingeva e li portava ad affrontare una “fatica” così
grande.
Ora sono le nove e trenta e sono a letto. Cercherò di riposare un po’ perchè domani sarà un’altra
importante giornata.
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1 ottobre - Domenica
da Roncisvalle
a Larrasoana
Dopo una notte piovosa e poco tranquilla, tra
mal di stomaco (non ho digerito una mela)
ed i famosi “roncadores” (russatori), vengo svegliato alle sei e mezza da una soave musica. Alle
sette sono pronto per partire.
Fuori è ancora notte. Entro subito nella foresta
di Roncisvalle e la luce della pila mi aiuta a non
perdere il sentiero. L’atmosfera è impressionante
ed è come se da un momento all’altro potesse
uscire da dietro un albero, come dice la storia,
un lupo o un brigante. Alle otto è l’alba a salutarmi: la giornata è bellissima, il sole scalda ed
illumina le foreste ed i pascoli. Mi sento bene e
vado spedito per quasi quattro ore. Mi dimentico
persino che sto camminando
Poi all’improvviso un forte dolore alla pianta dei
piedi mi manda in crisi e non sono ancora a metà
del Camino di oggi. Stringo i denti, proseguo
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adagio ma proseguo: la forza di volontà e la Forza del Camino mi permettono di fare cose che
nella vita “normale” avrei già abbandonato. Non
è orgoglio, è una cosa diversa, inspiegabile.
Sono sereno e so che arriverò, sento che ad ogni
passo, anche nel dolore, mi avvicino sempre di
più a Dio.
Mi fermo davanti ad una statua della Madonna, e
recito un “Salve o Regina”: Le chiedo di darmi
conforto.
Arrivo a sei chilometri dalla destinazione odierna e provo a bendarmi i piedi che sembrano infuocati, la cosa funziona: continuo con più sollievo nel cuore.
Dopo quasi otto ore di cammino, arrivo a Larrasoana: faccio subito una rilassante doccia calda,
un tonificante auto-massaggio ai piedi e mi sdraio sulla brandina a cercare un po’ di relax.
E’ unica l’esperienza che attraverso il Camino
posso fare: anche se sono “solo” al secondo
giorno, provo la sensazione di aver già dimenticato le abitudini di casa, sia negli orari, sia nel
mangiare che nel riposare. Qui niente è scontato,
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qui tutto diventa improvvisamente importante,
anche la minima e piccolissima cosa: assapori ed
apprezzi tutto, un sorriso, una parola, un fiore,
un cinguettio, un bicchiere d’acqua, un pezzo di
pane: sembrerebbero a prima vista cose banali,
ma vissute sul Camino, invece, danno ed hanno
un sapore diverso, unico, come se si ritornasse
indietro nel tempo e non solo materiale.
La solidarietà tra pellegrini (persone comuni) è
totale, la gentilezza e la preoccupazione dell’altro viene spontanea e cedere il passo o la fila a
delle persone sconosciute è la normalità. Qui sul
Camino è così, a casa purtroppo no e mi chiedo:
non sarebbe bello se anche nella vita di tutti i
giorni i comportamenti delle persone fossero
questi? La risposta è ovvia …
Sono molto tranquillo, anche se un po’ stanco.
Domani dovrei fare “solo” quindici chilometri e
vorrei fermarmi a Pamplona per visitarla, dicono
sia molto bella.
Oggi ho sentito mia mamma, mi sono un po’
emozionato e nel contempo mi sono venute alla
mente tante persone che conosco ed alle quali
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voglio bene, per primi tutti i miei famigliari:
questo è un bel pensiero che mi riempie di gioia.
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2 ottobre - lunedì
da Larassoana
a Cizur Menor
Sono partito alle sette e trenta. Il cielo buio era
costellato da stelle luminosissime ed alle otto e
mezza il giorno nasceva con un’alba dai colori
rosso-arancio che riempivano mezzo mondo.
Un risveglio così, non poteva che mettermi di
buon umore!
Fino a Pamplona il Camino si snoda su sentieri
immersi in autunnali boschi di castani.
Procedo a buona distanza dalle due ragazze italiane e da tre signori di Como conosciuti al
rifugio la sera prima durante la cena preparata da
noi “italiani” con spaghetti, pomodoro e tonno.
Nella capitale della Navarra (Pamplona) mi fermo per visitare la Cattedrale romanica: è ricca
ed immensa e dopo essermi perso in città per
cercare la Plaza de Toros proseguo il mio Camino.
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Alle quattordici e trenta arrivo a Cizur Menor
nel rifugio gestito dalla signora Maribel: è molto
accogliente e la hospitalera molto gentile. Per i
miei piedi doloranti Maribel mi consiglia:
• bagno di acqua freddissima con sale ed aceto
• calze indossate al contrario (il classico calzino rivoltato)
• pannolini per incontinenti sulla soletta degli
scarponi (mi sono un po’ vergognato durante
l’acquisto)
• lacci degli scarponi ben legati con doppio
nodo a metà della scarpa stessa.
Vedrò domani l’effetto di questi preziosi ed inconsueti consigli.
All’arrivo, nello svuotare lo zaino, mi sono accorto di non avere un paio delle preziose calze
antivesciche ed ho pensato subito di averle dimenticate sullo stenditoio dell’albergue (che non
è un albergo a cinque stelle, ma bensì il rifugio
dei pellegrini) della notte passata. Non me la
sono presa, sono stato calmo ed ho accettato la,
seppur importante, perdita: ben diversa sarebbe
stata la mia reazione qualche tempo fa!
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Dopo una mezz’ora, quando ormai non ci pensavo più, come d’incanto ritrovo le calze in uno
scompartimento del mio zaino-casa! Calma e pazienza Alberto, calma e pazienza sempre!
Il dolore ai piedi, per adesso, è l’unico vero problema fisico che ho ed a volte faccio molta fatica
a camminare, ma ce la voglio mettere tutta e
quindi proseguo senza vittimismi.
Ore diciotto: sono seduto nel piccolo giardino
del rifugio, un tiepido sole mi scalda e tutt’intorno l’atmosfera è piacevolmente rilassante e tranquilla.
La sensazione che provo è di totale appagante
serenità : il sorriso sul mio viso, che viene direttamente dall’anima, è … perenne.
L’ho già detto, ma lo ripeto: durante il Camino è
meraviglioso apprezzare ogni piccolissima e
semplice cosa, sul Camino diventa tutto importante, soprattutto quello che a casa si da per
scontato. Qui posso fare un confronto con la vita
di tutti i giorni ed ho la netta sensazione che
troppe volte nella vita ci si arrabbia per poco,
non si è mai contenti di quello che si ha, non si
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apprezza nulla e si è sempre alla ricerca di chissà
che cosa senza peraltro essere felici.
Qui sul Camino di Santiago basta poco per essere felici, è sufficiente camminare, pensare, pregare, è sufficiente accogliere per trovare ed assaporare la tanto ricercata e sognata felicità. Per
questo del Camino ci si innamora: alla sera
quanto ci si corica non si vede l’ora che venga
mattino per rimettersi in cammino. Come di una
donna della quale si è innamorati, non si vede
l’ora di rincontrarla per vederla.
Sono le diciotto e riposo un po’ prima di andare
a cena: questa sera vorrei andare a letto presto
perché domani sarà una giornata particolare. Salirò sul Monte dell’Alto del Perdon.
Ore nove: sono avvolto nel mio sacco a pelo ed
avrei voglia di telefonare a Cesare. So che con
Fabio andava da Frà Elia: però aspetto, lo chiamerò domani.
Questa mattina nel cielo azzurro le nuvole bianche formavano una bellissima spada. Mi piace
pensare che era quella di San Giacomo, protettore dei pellegrini.
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3 ottobre - martedì
da Cizur Menor
a Puente la Reina
Questa mattina, dopo una buona nottata sono
partito più tardi del solito: erano le otto.
Il Camino di oggi sarà carico di grandi emozioni.
Salgo sul Monte dell’Alto del Perdon, una salita
fisicamente molto impegnativa di quasi due ore.
Le sensazioni sono profonde, pure, ma un forte
dolore dietro il ginocchio sinistro (forse tendinite) ed un sassolino nello scarpone mi hanno fatto
pensare che fossero proprio tanti i peccati da farmi perdonare. Arrivato in cima ho detto un’ Ave
Maria alla Madonna del famoso Monte e l’ho
ringraziata per avermi aiutato a “salire”, con sofferenza, ma con una grande pace nel cuore.
Ho fatto una fotografia al monumento dei pellegrini camminanti verso Santiago, dove sono incise queste parole: “Donde se cruza el camino
del vento con el de las estrellas” e poi giù per
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una ripidissima discesa resa ancora più difficile
dal fango e dai sassi bagnati.
In compagnia del solito dolore alla gamba mi
sono avviato verso la misteriosa Chiesa Templare de Nuestra Senora de Eunate. E’ una “ Ermita” a forma ottagonale, bellissima e carica di
energia.
Sono entrato a piedi nudi per avere un contatto
diretto con la terra ed ho pregato e depositato
sull’Altare della Senora il Rosario preso al Convento di Frà Elia. Le emozioni ed il coinvolgimento sono stati totali, la serenità mi ha preso in
ogni parte del corpo e dell’anima. Dopo un’ora
ho ripreso il cammino dirigendomi verso Puente
la Reina.
Con alcuni amici del Camino ho parlato di Frà
Elia e senza accorgermi sono arrivato al rifugio.
Ho fatto le solite ma importanti cose: doccia, bucato, un po’ di riposo e poi la cena.
La pace sta entrando sempre più dolcemente in
me, i pensieri sono sempre belli, puliti, sereni.
La magia del Camino è vivere la gioia del presente: tenere il passato come insegnamento (e
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non far si che rovini il presente) e pensare che il
futuro sarà sempre migliore e pieno di splendide
certezze: questo ho imparato e rafforzato in questi giorni camminando. Ogni volta che mi voltavo per vedere la strada percorsa, inciampavo o
scivolavo perdendo l’equilibrio ed allora mi
sono detto: “I passi fatti che ti servano da insegnamento, ma rimani concentrato sul cammino
presente se non vuoi cadere: pensa che davanti
hai un cammino meraviglioso che ti attende”.
Così ho fatto ed il mio camminare si è fatto più
sicuro, forte e preciso!
Però! … i rimedi della signora Maribel hanno
funzionato ed i piedi sono come nuovi!
Ad un tratto per parecchi metri lungo la strada
ho visto tanti sassolini a forma di cuore: alcuni li
ho raccolti ed appoggiati sui “mucchietti” che i
pellegrini “edificano” lungo il sentiero. Uno
l’ho messo in tasca con l’intenzione di portarlo
sulla Cruz de Hierro e poi … quante belle farfalle bianche danzavano intorno a me!
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4 ottobre - mercoledì
da Puente la Reina
a Ayegui
Dopo una notte così così alle otto parto e per
uscire da Puente la Reina attraverso un ponte
Romanico dell’undicesimo secolo fatto costruire
dalla Regina Munia per facilitare il passaggio
dei pellegrini: è molto bello ed imponente.
Incontro Pino ed insieme ad altri pellegrini,
camminando, recitiamo il Rosario.
La gamba sinistra mi fa molto male: è sicuramente tendinite e così per molti chilometri me la
trascino. Dei gentili ragazzi inglesi vedendomi
zoppicare si fermano per “offrirmi” del Voltaren
in pastiglie: li ringrazio ma rifiuto perché poco
prima avevo preso un antinfiammatorio dalla
mia personale farmacia. A proposito, “Grazie
Stefano!”
Dopo poco, non sapendo che pesci pigliare, provo a bendarmi completamente il polpaccio ed il
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ginocchio: l’effetto del bendaggio sembra procurarmi dei benefici.
Cammino con lentezza cercando di appoggiare
bene e completamente sia il piede sinistro che
quello destro (e non camminare sulle punte): in
questo delicato e doloroso momento, cerco di
avere molta cura di me, moltiplicando le attenzioni verso il mio corpo. E di questo sono felice.
Cammino al rallentatore per parecchi chilometri
ed arrivato in un piccolo borgo, del quale non ricordo il nome, vedo Pino ed altri pellegrini che
si rinfrescano ad una fontana. Non ci penso due
volte, tolgo scarponi e calze ed immergo i piedi
e le gambe fino alle ginocchia nell’acqua gelida:
che sollievo! Resto a mollo per quindici minuti,
mi rivesto e parto.
Mi accorgo subito che il dolore provocato dalla
tendinite si è molto attenuato ed ora cammino
bene ed in scioltezza. Penso alle parole di Pino,
che il Camino l’ha fatto quattro volte: “ L’acqua
di questa fontana è miracolosa …”
Sul Camino, come nella vita, nulla accade per
caso, tutto ha un preciso significato. Il Camino,
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come la vita, è costellato di piccoli e grandi “segnali”: bisogna solamente avere la sensibilità e
la serenità per saperli leggere ed interpretare.
Spesso incontro sul Camino un ragazzo francese
molto gentile e “particolare”: lui cammina sempre a torso nudo. Peserà non più di quaranta chili
ed avrà venticinque anni, biondo con gli occhi
azzurri sempre luminosi e sorridenti. Porta con
sé, appesi ad una cintola, pochissime cose ed affronta il freddo, la pioggia e la sofferenza con
una tranquillità “disumana”. Da quando l’ho incontrato la prima volta l’ho soprannominato San
Francesco e così hanno fatto, senza che ci mettessimo d’accordo, molti altri pellegrini. Oggi,
mi sono fermato a parlare ed a mangiare un panino con lui: tra le altre cose gli ho chiesto il
suo nome. Si chiama … Franco!!!
Oggi un’altra situazione magica mi ha accompagnato sul Camino: ero solo ed a un certo punto
sono stato colto dal dubbio di quale fosse il sentiero “giusto” da prendere. Ed ecco, all’improvviso, le bellissime farfalle bianche che, danzando e volteggiando davanti ai miei occhi, mi indi40
cavano la strada da prendere. E neanche a farlo
apposta era sempre quella giusta! Ad una ad una
le ho salutate e ringraziate.
Ho camminato su una strada romana che con il
suo antico ponte mi ha portato indietro di duemila anni: l’ho percorsa quasi senza respirare. Sentivo solo il rumore della terra sotto i miei piedi e
mi è venuta la pelle d’oca dall’emozione.
Giunto ad Estella, che doveva essere l’arrivo
della tappa odierna, (definizione che non mi piace, mica siamo al giro d’Italia) decido di proseguire fino ad Ayegui dove arrivo verso le sedici.
Mi sistemo in un rifugio ricavato in una palestra
comunale: i grandi spazi e le doccia di piastrelle
bianche rendono il luogo molto confortevole.
Oggi, per la prima volta, ho pensato alla mia ex
ed i miei pensieri si sono fermati sulla speranza
che i suoi problemi e quelli della sua famiglia si
siano risolti. Che anche lei insieme ai suoi cari,
ritrovi un po’ di serenità.
In queste notti sogno con frequenza precisa persone della mia famiglia e questo fatto mi procura
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felicità e mi fa dire ad alta voce che volersi bene
è giusto e bello.
Io sono sereno, il mio cuore è pieno di gioia
pura. Mi sto volendo bene e so che se voglio
bene a me stesso, di conseguenza, vorrò apertamente e sinceramente bene agli altri.
Sul Camino sto facendo anche un “piccolo” percorso di umiltà e semplicità che sicuramente mi
era necessario. Alle persone che incontro non
racconto niente della mia vita: desidero che mi
accettino per quello che sono e quello che vedono in me, senza giudizi o pregiudizi.
Sono le diciannove: mentre scrivo ho i piedi a
mollo in acqua e sale. Fra poco andrò a scaricare
la lavadora (lavatrice) che ho fatto in comune
con altri pellegrini.
Domani il Camino mi porterà nella regione della
Rjoa, terra di buoni vini.
Buonanotte pellegrino e per domani … Buen
Camino a te ed a tutte le persone che su questa
terra stanno percorrendo il proprio cammino.
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La storia del Camino di Santiago è “segnata” da
moltissime Chiese, Conventi, monumenti cristiani, immagini Sacre, Croci, stemmi di casate,
simboli templari, paesi medioevali, che ti fanno
tornare a tempi che furono. La mia fantasia non
può che viaggiare nel tempo ed immaginare
quante battaglie, quanti amori, quante sofferenze, quante gioie e quanta Fede questi luoghi hanno visto e vissuto.
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5 ottobre - giovedì
da Ayegui
a Torres del Rio
Dopo un’ottima notte di riposo ed un’abbondante colazione, alle otto mi incammino. Con Pino
recito il Rosario e visito l’antico Monastero di
Santa Maria la Real ad Irache. Peccato che per
l’ora mattutina sia chiuso in tante sue parti.
Annego il dispiacere con un buon bicchiere di
vino che mi viene offerto da una cantina del posto: lo stesso “vino tinto” viene spillato come se
fosse acqua di fonte. E sono solo le nove del
mattino!
Il Camino di oggi serpenteggia lungo una strada
bianca in poca pendenza tra colline verdissime
rigate da filari di viti. Questo luogo sembra fatto
apposta per pensare e, seppur con la gamba sinistra ancora un po’ dolorante, il mio ritmo rimane
cadenzato e preciso così come i miei pensieri
che oggi, come spesso succede, mi riempiono di
gioia.
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E penso a quanto nella vita sia importante avere
una “cadenza” fantasiosa e precisa sia nel cammino che nelle scelte, dove tutto deve (dovrebbe) succedere con calma e con cura.
Oggi camminando tra queste meraviglie della
natura, mi è venuto spontaneo chiedere con una
preghiera a Dio ed alla Madonna, aiuto e protezione verso tutte le persone che conosco e che di
aiuto hanno bisogno.
Le colline che ho attraversato oggi sono costellate da Chiese e piccoli Monasteri: una fonte romana di acqua ha meritato un minuto di sosta
perché molto bella. Deve essere stata, nel medioevo, un’oasi di ristoro e di sollievo per i pellegrini di quel tempo.
Oggi sono affamato e mi fermo a Los Arcos per
un buon pranzetto. Dopo aver ripreso un po’ di
forze, decido di proseguire per altri otto chilometri fino a Torres del Rio.
La solita gamba nelle ultime due ore di Camino,
dopo aver tolto i fastidiosi bendaggi, sembra abbia assorbito quasi tutto il dolore: infatti arrivo
alla meta di oggi in forma perfetta e sono sempre
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più convinto che camminare, ma camminare
bene, mi purifica e mi fa sentire a contatto con la
terra. E la terra, quasi a ricompensarmi per averla accarezzata con i piedi, mi ricambia riempiendomi di energia.
Anche oggi le solite farfalle bianche mi hanno
accompagnato per molti tratti del cammino facendomi compagnia e trasmettendomi gioia ballandomi vicino quasi a sfiorarmi il viso ed il corpo: sono i miei preziosi Angeli Custodi! Qui ho
la sensibilità di vedere, capire ed apprezzare le
cose che nella vita normalmente mi sfuggono.
Solitudine “fuori dal tempo” è stato il Camino di
oggi, ma è stato un Camino pieno di vita.
Nelle ultime ore un pensiero è ricorrente nella
mia testa: … vorrei incontrare una donna …
che sappia camminare sui sentieri della vita …
una donna che abbia forza e coraggio … sono
stufo di quelle che … sanno usare solo la macchina (metafora della comodità) sul difficile
cammino della vita!
La Chiesa Templare a otto lati di Torres del Rio
è una delle costruzioni Sacre più singolari del
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Camino di Santiago: un capolavoro! E’ simile
all’Ermita di Eunate e sull’entrata si nota una
croce patriarcale simbolo dell’ Ordine del Santo
Sepolcro.
Alle diciannove mi ritiro nel rifugio “Casa
Mari”. Mari è la sessantenne hospitalera, che per
il forte trucco, sembra la matresse d’un bordello
degli anni cinquanta. Comunque è gentilissima e
mi fa assaggiare un liquore fatto da lei a base di
olive, che non posso proprio dire che è buono,
ma è sicuramente unico e particolare. Un romantico tramonto mi avvisa che è l’ora di cena.
Alle ventuno e trenta sono a letto.
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6 ottobre - venerdì
da Torres del Rio
a Navarrete
La notte trascorsa al rifugio della signora Mari è
stata buona, come del resto la cena all’italiana
condivisa con una decina di pellegrini provenienti da mezzo mondo.
Alle sette e quarantacinque parto con destinazione Navarrete.
Fin da subito capisco che il Camino di oggi sarà
difficile: infatti si snoda su un terreno duro ed in
parte asfaltato, in nome della viabilità moderna,
dove le gambe, le articolazioni e soprattutto i
piedi sono messi a dura prova. Passo da Viana
dove, all’ingresso della Chiesa di Santa Maria,
c’è la tomba di Cesare Borgia, figlio di Alessandro VI, morto nel 1506 in duello con il conte Lerìn.
Siamo nella regione della Rioja famosa per i
suoi vini: estensioni di vigneti “tappezzano”
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le colline tra saliscendi detti anche “spaccagambe” che per me sono un vero supplizio.
Arrivo dopo aver camminato per venti chilometri alla città di Logrono, capitale della Rioja, che
attraverso per andare a visitare due Cattedrali di
rara bellezza. Purtroppo, una è chiusa. Peccato
c’era un quadro di Michelangelo che assolutamente volevo vedere.
Abbandono subito la città perché faccio fatica a
sopportare i rumori, l’asfalto, i negozi e … tutta
quella gente di corsa! Ora mi trovo bene solo nel
silenzio e nella natura. E ciò è sicuramente legato al mio forte desiderio di disintossicarmi dalla
frenesia e dalla materialità di “tutti i giorni”. Infatti appena esco da Logrono e la vista si apre su
un bellissimo laghetto nel quale si specchia un
immenso bosco, il mio umore inizia a rasserenarsi.
La strada comincia a salire e la gamba sinistra
mi fa ancora un po’ male, ma cammino bene,
consapevole dei miei limiti, ma anche delle mie
possibilità.
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Dopo dodici chilometri arrivo a Navarrete, ma
prima di entrare in paese, non so per quale motivo, mi sono commosso ed ho pianto. Ho detto
una preghiera per ringraziare Tutti coloro che
anche oggi mi hanno dato la forza per arrivare.
Ho camminato per trentacinque chilometri in
condizioni difficili e, senza voler essere presuntuoso, mi sono meravigliato della buona volontà
e della caparbietà che ci ho messo nell’affrontare
questa situazione per me anomala.
Come al solito bucato, cena ed a letto presto:
sono molto stanco, ma la testa è libera, libera, libera!
Cena ottima. Il menù del pellegrino (sei euro)
questa sera prevedeva:
zuppa di fagioli rossi con costine di maiale, coda
di toro in umido, torta di Santiago, vino rosso
della Rioja.
Alle nove e venti sono a letto: la stanchezza ed il
sonno prendono presto il sopravvento e mi addormento sereno. ‘ Notte!
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7 ottobre - sabato
da Navarrete
a Azofra
Anche se con la pancia piena per l’abbondante e
squisita cena di ieri, dormo una notte tranquilla.
Alle sette e quarantacinque parto: nel cielo c’è
ancora la notte ed il mio umore ed i miei pensieri seguono il buio che mi circonda. Probabilmente l’attraversamento della città nella tappa di
ieri ha lasciato in me un senso di sofferenza e di
tristezza: in questo momento, dentro di me, la
malinconia vince sulla felicità.
Cammino solo e sono un po’ nervoso: mi fermo
a Najera. Nella piazza principale mi tolgo scarponi e calze per far respirare i piedi e preparo un
boccadillo al jamon. Scomodamente seduto su
una panchina di ferro consumo il pranzo: prima
di ripartire visito il Monastero di Santa Maria la
Real, fondato nel 1052 sui resti di una grotta
considerata miracolosa.
I piedi mi dolgono, sono le tredici.
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Dopo mezz’ora, come d’incanto, i miei personalissimi mezzi di trasporto cessano di farmi male:
l’umore ed i pensieri improvvisamente migliorano ed ora il passo è regolare tanto che non mi accorgo di camminare!
Oggi per la prima volta, dopo otto giorni di cammino, ho avuto un lontanissimo dubbio di potercela fare ad arrivare fino a Santiago. Ma presto
questo pensiero è svanito e la forza è tornata a
comandare la mia mente.
Il Camino di Santiago de Compostela è come il
cammino della vita ed oggi ne ho avuto la conferma: ci sono dei momenti nei quali molleresti
tutto, vorresti arrenderti, la speranza non ti sostiene più, sei sempre più convinto di non potercela fare. Poi, senza che tu te ne accorga, sopraggiunge una forza strana e sconosciuta che silenziosamente ti trascina di nuovo dentro nel Camino, così come succede in tanti momenti della
vita.
A volte sul Camino mi trovo un po’ fuori dal
mondo, dagli schemi ai quali sono abituato: qui
vivo ed apprezzo situazioni che in altre condi52
zioni non avrei mai accettato. Certo a volte un
po’ a malincuore e con difficoltà, ma comunque
“accettando”.
Per esempio oggi, quando sono arrivato al rifugio di Azofra, sapendo che le stanzette erano
per due persone, ho chiesto all’hospitalera se
c’era la possibilità di dormire da solo (ne sentivo
un gran bisogno!) senza i soliti simpatici “roncadores”. Quando sembrava che questo privilegio
fosse possibile, la bella e giovane hospitalera mi
ha messo come compagno di stanza un ragazzo
tedesco “rasta” che puzzava come un caprone:
era da capire, povero pellegrino. Da subito mi
sono lamentato, ma è bastato un minuto che la
delusione iniziale passasse ed anche questa volta
e ne sono contento, ho “accettato” la situazione
senza fare ulteriori “casini” come era mia consuetudine fare in passato. Questo insegnamento
mi è sembrato una buona lezione contro i miei
preconcetti.
Sul Camino tutto diventa utile ed importante, a
partire dalle piccole e grandi lezioni di vita per
arrivare ai comportamenti da tenere con gli altri.
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Dall’accettazione della condivisione, all’importanza del cibo, dell’acqua, delle medicine, dei
soldi. Sul Camino dieci centesimi sono preziosi
come è prezioso un sorso d’acqua quando si è
assetati: qui non è ammissibile lo spreco ed ogni
briciola di pane può diventare fondamentale!
Il mondo degli sprechi, che purtroppo caratterizza il vivere dei nostri giorni, sul Camino di Santiago non esiste. E mi viene da pensare che portare queste regole nella società moderna non sarebbe un passo indietro ma un’enorme conquista.
Apprezzo la cena a base di verdure che termino
prendendo un’aspirina ed alle nove sono già a
letto.
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8 ottobre - Domenica
da Azofra
a Redecilla del Camino
Con il simpatico, gentile e, dopo la doccia, profumato ragazzo tedesco mio compagno di stanza, decidiamo di puntare la sveglia alle sei e
trenta. Dopo un ottimo sonno mi sveglio e prima
di abbandonare, alle sette ed un quarto, il rifugio, lascio sul tavolo dell’hospitalera un barattolo di shampoo per i pellegrini ed un biglietto di
saluti e di scuse per il mio comportamento della
sera precedente.
Questa mattina mi incammino con Pino ed Aldo
e dopo aver detto il Rosario, discorriamo tranquillamente ed allegramente su ogni cosa, avvolti da uno scenario dantesco: una leggera nebbiolina avvolge le immense colline coltivate a vigneti ed il sentiero bianco traccia il percorso giusto da seguire.
Sono molto “carico” e felice e tra una battuta ed
una risata arriviamo a Santo Domingo de la Cal55
zada. E’ Domenica ed in Cattedrale alle undici e
trenta sentiamo la Messa. La liturgia è accompagnata dal canto di due galli bianchi chiusi in una
gabbia intagliata all’interno di una parete della
Chiesa a ricordo di un miracolo avvenuto centinaia di anni fa.
Breve sosta per il pranzo (panino e birra) e riparto da solo verso gli ultimi dodici chilometri che
mi separano da Redecilla del Camino.
Fisicamente sto bene e tra bei pensieri e “vari
perdoni” cammino finchè non incontro Antonella, una ragazza di Livorno, con la quale parlo di
Frà Elia. Lo sento molto vicino.
Penso alla mia famiglia ed avrei voglia di vedere
tutti.
Arrivo dopo quasi otto ore a Redecilla: il rifugio
è chiuso, ma per una strana combinazione io,
Antonella, Vlady, Pino, Aldo, Luigi ed altre due
persone (mamma e figlia spagnole) riusciamo a
sistemarci. Qui la Provvidenza ha ascoltato il
mio desiderio di riposo.
Da quando sono partito e di questo sono felice,
non ho mai perso il controllo di me stesso, mai
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nessuna arrabbiatura ha preso il sopravvento,
mai nessuna imprecazione è scappata dalla mia
bocca, se non la piccola contrarietà di ieri. In
pratica riesco in maniera “nuova” a controllare
le mie reazioni.
Un altro pensiero: spero tanto che quando sarò a
casa rimanga immutata in me questa serenità,
questa felicità, questo senso di accettazione,
questi pensieri che ho trovato camminando sul
meraviglioso Camino di Santiago!
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9 ottobre - lunedì
da Redecilla del Camino
a Villafranca Montes de Oca
Ore sei e quarantacinque: apro gli occhi un attimo prima che la sveglia suoni. Pensavo di dormire un sonno tranquillo, ma così non è stato e
questa notte è stato il turno delle “roncadores”
spagnole.
Pazienza!
Alle sette e trenta mi incammino e come spesso
succede fuori è ancora buio e fa freddo. Sono
ancora assonnato e sento le gambe stanche.
Quello di oggi, che sulla carta doveva essere un
cammino facile e tranquillo da fare in tutto relax,
si presenta invece, contrariamente ad ogni previsione, complicato fin dall’inizio: perfino lo zaino
pesa come un macigno!
Poco dopo mi fermo a fare colazione in un baretto nel paese di Belorado con caffè, pane, burro e
marmellata.
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Ora il sentiero in mezzo alle colline della Castiglia-Leon si fa bello e l’aria che si respira ed il
paesaggio che vedo mi fanno tornare con la
mente ai tempi passati. Dove immagino eserciti
medioevali che si trasferiscono da un accampamento all’altro o sanguinose battaglie con cavalieri che sui loro destrieri si lanciano all’impazzata contro il nemico.
Gli spazi delle vallate sono immensi, a perdita
d’occhio.
Arrivato a Tosantos vado dopo una salita mozzafiato a visitare la singolare Ermita Virgen de
la Pena: è una piccola Chiesa arroccata e, in parte, scavata nella roccia.
Fino a Villafranca Montes de Oca un’interminabile sentiero mi accompagna alla pensione dove
dormirò in una “abitacion personal” al prezzo di
dieci euro: questa sera mi và di fare questa “follia” … lenzuola bianche e… silenzio.
Oggi è stata una giornata durante la quale i pensieri si sono alternati velocemente nella mia testa: mi venivano alla mente molte cose di casa,
della mia vita, della mia famiglia e dei miei ami59
ci. Forse è anche normale dopo dodici giorni
dalla partenza ed a un certo punto ho avuto la
brutta sensazione di aver “abbandonato” qualcuno o qualcosa. Ma in fondo all’anima ho sentito
di aver fatto la cosa giusta.
La solitudine che vivo insieme a questa sofferenza, ma anche la serenità che vivo insieme a questa gioia, mi proiettano in una dimensione nuova, mai vissuta prima, che appaga la mia anima,
il mio cuore e la mia mente.
Domani il Camino mi porterà sui Montes de Oca
(1150 metri) tra ripide mulattiere, boschi silenziosi e montagne con alti alberi verdi: una cartolina fuori dal mondo, che sicuramente mi riempirà di gioia.
Sono al decimo giorno di cammino verso Santiago e già in me qualcosa si risveglia: è come se la
mia vita fosse tornata indietro negli anni, dove
tutto dovrà avere un nuovo inizio e ad attendermi ci sarà una nuova e più completa esistenza
personale.
Oggi sul Camino ho incontrato una coppia di
giovani sposini messicani: gentilmente si sono
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fermati a chiedermi come stavo e dopo aver scoperto che ero italiano, mi hanno confidato che
continueranno la loro luna di miele nel bel paese: visiteranno Firenze, Venezia, Roma e Milano.
Ho suggerito loro di investire poco tempo nella
metropoli lombarda e di impiegarlo piuttosto
nella visita di Bergamo Alta.
Nel salutarci ci siamo augurati reciprocamente
Buen Camino!
Questi piccoli, ma graditi gesti, sul Camino fanno commuovere.
Mentre scrivo mi godo il bellissimo tramonto
che illumina e colora di rosso le poche nuvole
bianche. La luce nel cielo cala e delle montagne
ora si vede solo il seghettato ma dolce contorno.
61
10 ottobre - martedì
da Villafranca Montes de Oca
a Burgos
Nella pensioncina ho dormito un buon sonno.
Alle sette e quaranta, dopo un’abbondante colazione, sono partito per i Montes de Oca. E’ ancora notte ma l’atmosfera è bella e la stradina di
terra sale ripida e si immerge in uno scenario da
favola: le foreste di pini e di castani respirano
con me un’aria frizzante e pura, mi sento vivo, la
testa con i suoi pensieri è libera. Ad un tratto,
senza una precisa ragione mi sono ritornate in
mente le parole di Frate Elia: “ … non è la donna che fa per te …” e poi: “ … le sue sono tutte
chiacchiere, non sentimenti puri …”. Ed io, a
queste sue parole rispondevo con il silenzio e
con l’attesa e quando trovavo un riscontro di ciò
nella realtà, quasi mi “arrabbiavo” con l’amico
Elia per aver “letto giustamente” una cosa che
non volevo assolutamente accettare. Alla fine mi
sono arreso davanti all’unica verità … .
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Ripercorrendo l’intera storia e pensando a quello
che è successo tra di noi mi viene da sorridere:
ora sento lei “lontana” dal mio cuore, proprio
come se fosse … una donna che non fa per me.
Sono sereno. Un grazie di cuore al caro amico
Fabio … ed ai suoi preziosi consigli.
Verso le undici mi fermo a San Juan de Ortega e
visito la Chiesa romanica (1163) intitolata a San
Juan che insieme a Santo Domingo è stato uno
dei maggiori artefici nella costruzione di ponti e
nel miglioramento della Via Jacopea. Tra le altre
virtù a San Juan venivano riconosciute proprietà
miracolose contro la sterilità.
Sono le dodici e riprendo il Camino verso Burgos: la città mi “spaventa” un po’, comunque
sono pronto a tutto.
Il Camino di oggi è stato fisicamente faticoso,
anche se il paesaggio era molto bello. Ricordo in
particolare una ripidissima mulattiera fatta di
sassi piatti incastrati uno accanto all’altro con
una cura non casuale che andavano a formare
una antica strada medioevale calpestata per più
di milleduecento anni da milioni di pellegrini:
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essere uno di loro mi ha per un attimo riempito
d’orgoglio.
Arrivato alla periferia di Burgos, dopo trenta
chilometri di Camino, mi sono concesso il lusso,
assieme ad altri pellegrini, di prendere un bus
fino in centro città. Percorrendo quattro chilometri attraverso la zona industriale mi sembrava di
rovinare e sminuire tutto quanto c’era stato di
bello oggi.
Ore diciotto: arrivo al rifugio municipale. Per
fortuna lo chalet è ubicato quasi alla periferia
opposta della città in un bel parco. Mi sistemo
nello stanzone (60 posti) tutto di legno, dove regna un puzzo che stordirebbe anche un toro.
Alle sette e trenta faccio visita alla Cattedrale
gotica (1221): è imponente, bellissima ed a ragione viene definita una delle più belle d’Europa.
Burgos, città di grande importanza storica per il
Camino di Santiago, è anche la patria del grande
condottiero “El Cid Campeador” (Rodrigo de
Vivar).
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Ceno con altri pellegrini che incontro sulla via
principale dell’antica capitale del Regno di Castiglia.
Telefonicamente ho sentito Cesare, Antonio e
per la prima volta, dopo tanto tempo, ho telefonato a Franco. Un bel passo è stato compiuto:
entrambi eravamo felici … .
Sono le dieci e trenta e sto scrivendo il mio diario illuminato dalla poca luce della pila perché
normalmente le luci principali delle camerate
vengono spente alle dieci.
Il “solito” russatore inizia il suo … concerto.
Metto i tappi nelle orecchie, anche se non fanno
molto.
Le piante dei piedi questa sera mi fanno molto
male. Domani iniziano le sterminate e desertiche
Mesetas: più che i piedi, servirà la testa, sicuramente avrò modo e tempo di pensare … .
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11 ottobre - mercoledì
da Burgos
a Hontanas
Come al solito parto con il buio: sono le sette e
trenta e faccio colazione in un bar universitario
di Burgos. Nello zaino, oggi, oltre alla solita
scorta di acqua metto un panino ed un po’ di
cioccolato perché sulle mesetas è difficile se non
impossibile trovare rifornimenti.
Cammino solo, su una strada che ritengo poco
significativa. Forse non mi sono ancora abituato
al “nulla” dell’altopiano. All’improvviso un nuvolone nero mi avvisa che un temporale è in arrivo: difatti poco dopo una fitta pioggia(classica
delle mesetas) mi investe. Indosso la mantella e
le ghette ed il cielo si fa sempre più nero. Ora
l’acqua arriva a … secchiate: la salita che mi
porta verso Hornillos del Camino è ripida e costante. Sono in difficoltà anche perché i piedi mi
fanno male, sembra che brucino anche se cammino nell’acqua.
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Stringo i denti, cerco di camminare lento ed attento per evitare di schiacciare con le suole anche le più piccole pietre, perché ogni sasso calpestato è paragonabile ad uno spillo che si conficca nella carne dei piedi.
Non ho mai avuto tanta cura di me, soprattutto
nei piccolissimi particolari, come in questi giorni.
Al culmine del dolore fisico ho provato a distrarmi cantando a squarciagola la canzone “Azzurro” di Celentano e tra una stonata ed una risata
tra me e me ho trovato la forza di continuare.
Sono le quattordici e mi fermo a Hornillas per riposarmi. Mangio una piatto di minestra calda: e’
un toccasana dopo il freddo e la pioggia di questa mattina.
Riparto con più di forze e sono pronto per affrontare la seconda meseta. Ora la salita è in leggera ascesa seppur lenta e costante: intorno a me
il deserto, tagliato in due parti dal sentiero sul
quale sto camminando e che va dritto fino all’orizzonte. Non c’è nemmeno un albero a farmi
compagnia.
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Incontro la ragazza francese conosciuta a Torres
del Rio e mi dice che la sua amica ha dovuto abbandonare il Camino per gigantesche ampollas
(sono le vesciche ai piedi). Il suo passo non è sostenibile per me (e non voglio nemmeno che lo
sia!), quindi con un abbraccio ci salutiamo e ci
separiamo.
Il cielo sopra di me fa paura: è di un colore neroverde e faccio appena in tempo ad infilarmi la
mantella che puntuale arriva una fitta grandinata.
Senza perdermi d’animo continuo a camminare,
anche perché posti per ripararmi non ce ne sono,
gli scarponi ed i vestiti sono inzuppati d’acqua e
fa molto freddo (siamo a 1000 metri). Per un
momento ho pensato … “ma chi me l’ha fatto
fare!”. Poco dopo, come se Qualcuno fosse lì ad
ascoltarmi ed aiutarmi, è uscito un timido sole.
Purtroppo l’ho goduto solo per pochi minuti perchè una seconda e più forte grandinata si è abbattuta su di me: le mani, la testa e le gambe erano violentemente “picchiate” da pezzi di ghiaccio grossi come noccioline. Cavolo che male!
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Questa volta ho accettato serenamente lo
“sfogo” della natura. Forse ho capito che non
devo lamentarmi o imprecare davanti alla prima
difficoltà, ma anzi devo essere ottimista e sperare. Ed infatti la speranza mi ha fatto un bellissimo regalo trasformando quel finimondo in un
bel sole che mi ha accompagnato, scaldandomi,
fino ad Hontanas. Che bella lezione!
Alle sedici e trenta bagnato fradicio e sporco di
fango da capo a piedi arrivo al rifugio. E’ molto
carino e caldo. Dopo la doccia faccio il bucato.
Fortunatamente c’è la lavadora e la secadora (lavatrice ed asciugatrice): se non ci fossero state
sarebbe stato un problema fare asciugare tutti
quei vestiti!
Incontro l’amico bresciano e ci salutiamo. Insieme beviamo una buona cervesa.
Ora sono nell’accogliente stanzetta: dall’alto del
mio letto a castello osservo gli altri pellegrini
che tra una chiacchiera ed una risata si curano i
piedi ed i muscoli delle gambe. Alcuni di loro
sono conciati proprio male!
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Mi viene da pensare perché tante persone, compreso me, hanno affrontato ed affrontano spontaneamente un Camino così difficile ed a volte
persino disumano. E perché accettano sorridenti
e consapevoli i dolori e vivono fisicamente giornate massacranti, anziché stare nella comodità
della propria casa.
Io penso, come tanti altri, che lo si faccia soprattutto per Fede: anche noi vogliamo vivere il “nostro Calvario”, vogliamo assomigliare a Gesù,
camminando per portare la Sua Parola e soffrire
come Lui ha sofferto per noi.
Una persona senza Fede non riuscirebbe a “capire” il Camino di Santiago, anzi penserebbe che i
pellegrini sono solo una banda di matti!
Ore venti: ceno in compagnia di altri pellegrini.
Per scaldarci questa sera non ci siamo fatti mancare del buon vino.
Alle nove e trenta sono in branda e quel bicchiere di vino in più mi aiuta a prendere serenamente
sonno.
70
12 ottobre - giovedì
da Hontanas
a Boadilla del Camino
Alle sette ed un quarto recito l’ormai noto rituale: zaino in spalla, scarponi ben stretti ai piedi,
un bel sorriso accompagnato da un profondo respiro e … via!
Dopo i temporali di ieri, oggi il cielo è pieno di
stelle e qui ce ne sono veramente tante e tutte luminosissime. L’aria fredda mi congela il naso e
mi punge la pelle intorno agli occhi, il respiro è
fumoso, la sensazione è di avere una forza interiore raramente avuta prima.
Il sentiero del Camino, che mi porta attraverso
le famose ed interminabili mesetas, passa in
mezzo ad una Chiesa-Monastero del millecinquecento: è in parte diroccata, ma il carico della
sua storia la rende comunque affascinante.
Camminare tra questi luoghi pieni di mistero mi
mette dentro un’energia particolare, la mia mente tornando indietro di cinquecento anni si riem71
pie di mille domande: che uomini hanno costruito queste imponenti e bellissime strutture? Come
hanno fatto? Perché proprio lì sulle desertiche
mesetas? Di cosa vivevano e come passavano la
giornata questi frati “isolati e solitari”? E poi a
che scopo, così lontani da tutto e da tutti? Per
adesso queste domande non hanno una risposta
precisa.
Cammino senza sforzo, l’aria fresca mi aiuta: un
bel sole mi guarda scaldandomi, è un vero piacere!
Al ventesimo chilometro faccio una piccola deviazione per andare a visitare l’Ermita da San
Nicolas (1200), è un antica Chiesa-rifugio per
pellegrini ora gestita dalla Confraternita Italiana
di San Jacopo che ha sede a Perugia. Con grande
dispiacere la trovo chiusa (viene chiusa a fine
settembre per il troppo freddo: non c’è riscaldamento!): mi sarei fermato volentieri a riposare
conversando con dei connazionali dopo sei ore
di cammino.
Mangio una zuppa di verdura in una taverna a
Itero della Vega. Senza farmi problemi, a tavola,
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mi tolgo scarponi e calze, faccio respirare i piedi
oltre che a riempirmi la pancia!
Verso le tre del pomeriggio riprendo il cammino, dovrei arrivare a Fromista, ma i piedi, ho
percorso ormai trenta chilometri, iniziano a dolermi. Decido di fermarmi per la notte a Boadilla
dove per dieci euro, in un rifugio privato, mi
danno una stanza personale con lenzuola bianche e pulite! Che bel regalo!
Ore sette di sera: sono affamato e la cena è gia
pronta sul tavolo. La divido con l’amico bresciano ed un pellegrino francese di settanta anni ed
all’ultimo minuto si aggiunge a noi l’elegante signora che sul passo di Roncisvalle ho avuto
modo di apprezzare per la forza e la sicurezza
del suo passo.
I soliti amici, con i quali condividevo spesso la
cena, non sono più con me: c’è chi è andato
avanti e chi è rimasto indietro, ma anche questa
è stata una scelta cercata da me ed un po’ voluta
dal destino. E’ grande la voglia ed il desiderio di
stare sempre più solo con me stesso e di affrontare senza nessun “appoggio morale” questo mio
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Camino di Santiago: dopo tredici giorni mi sento
forte e pronto per poterlo fare.
La soglia di resistenza al dolore è aumentata e
sono meravigliato dalla volontà con la quale affronto la sofferenza continuando a camminare
senza lamenti o imprecazioni. E mi domando:
“Ma chi mi sta aiutando?”.
Anziché piangere … prego e canto! Che
“strano” che è questo Camino di Santiago de
Compostela!
Quante volte nella vita mi sono arrabbiato ed ingaggiato (come dice Fabio) per situazioni che ritenevo poco appaganti e che adesso vedo come
banali e stupide?
La continuità e la ripetitività del Camino mi
stanno facendo capire giorno dopo giorno che la
vita, intesa come quotidianità, non è quella che
viviamo abitualmente nel nostro mondo, ma al
contrario dovrebbe essere l’esistenza vissuta con
scelte ed intensità diverse: dove non serve solo
“avere” per essere felici. Saper comprendere che
la felicità può nascere da qualcosa d’altro, sicuramente anche dalle cose più semplici e da atti di
74
bontà verso se stessi e verso il prossimo, è un
grande insegnamento.
Da uomo che vive nel ventesimo secolo sono comunque consapevole e non me ne vergogno, che
il mondo è fatto anche di materialità e di modernità, anche se mi auguro che la mia vita possa
avere in futuro altri “riferimenti” per nuove e
giuste scelte ed un’umanità personale più profonda.
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accettare ed accogliere la vita
con Fede
con intraprendenza
con serietà
con sopportazione
accettare ed accogliere il prossimo
con amore
con felicità
con serenità
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13 ottobre - venerdì
da Boadilla del Camino
a Carriòn de los Condes
La notte che ho trascorso mi ha riempito di nuove forze ed alle sette e venti inizia il mio quotidiano e solitario cammino. Dopo quasi un’ora
alle prime luci dell’alba il mondo intorno a me si
illumina e come d’incanto la natura si sveglia.
Costeggiando un fiume noto alcuni piccoli roditori che sul ciglio della riva mangiano la loro
prima colazione: non sono spaventati da me, mi
osservano ed imperterriti continuano a muovere
velocemente le loro minuscole bocche. Dal silenzio assoluto nasce pian piano, come se fosse
un coro di mille elementi, una musica di cinguettii che salutano il nuovo giorno.
Il sole alle mie spalle è un cerchio rosso ben definito che si specchia nelle acque fumanti del
fiume: lo spettacolo è meraviglioso, l’atmosfera
magica. Mi ero ripromesso che mai mi sarei girato per fotografare la “strada fatta”, come se
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non volessi portare con me immagini del passato, ma immortalare solamente quello che davanti a me gli occhi vedevano, ma la bellezza e l’intensità di quel momento e l’esplosione di quella
natura andavano assolutamente impressionate e
ricordate visivamente oltre che mentalmente.
Sgranocchiando alcune mandorle cammino leggero e spedito.
Arrivo verso mezzogiorno a Villalcazar de Sirgia, che è tra le più importanti località del Camino perchè nata sotto l’influenza dell’Ordine dei
Templari. Vado subito a visitare la Chiesa di
Santa Maria la Blanca (sec.XIII) e mi siedo nei
banchi di questo meraviglioso Tempio per pregare e riposare.
Quando esco accendo il telefono, cosa che non
faccio mai durante il giorno, e vedo che Manu
mi ha cercato. La richiamo e mi dice che con Frà
Elia stanno organizzando per il sedici novembre
un pellegrinaggio alla Madonna di Fatima e se
anch’io sono interessato ad andare. Accetto felicemente la proposta.
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Mi incammino in direzione di Carrion de los
Condes: vorrei dormire nel Convento di Santa
Chiara. Si dice che San Francesco Pellegrino
verso Santiago dormì proprio lì. Il mio pensiero
và al Poverello di Assisi, alla Sua vita ed un brivido di emozione e commozione mi corre lungo
la schiena.
Al Convento rivedo alcuni amici pellegrini che
non incontravo da un po’ di giorni e con due di
loro divido una delle piccole e fredde cellette.
Dopo aver assolto le personali necessità quotidiane, vale a dire la doccia, il bucato e la cura
dei piedi, ci organizziamo per una cena “tutti insieme”.
Nella cucina del Convento abbiamo preparato,
dopo aver fatto la spesa, un’ottima pasta al pomodoro, un’acquosa zuppa di verdure(fatta da
me), alici sott’olio e per finire una macedonia
fatta di ben sei frutti diversi! Il buon vino tinto
ha aiutato a rendere la serata piacevole ed allegra. Abbiamo parlato di tutto in una ridicola lingua italo-francese-spagnolo-bresciana e poi tutti
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insieme abbiamo cantato “O sole mio”: che
spasso!
Sono le dieci e trenta: ognuno si ritira nel proprio letto. Si conclude una giornata bellissima ed
io sono immensamente felice: anche il mal di
piedi e la tendinite sono un ricordo lontano.
Buonanotte!
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14 ottobre - sabato
da Carrion de los Condes
a Terradillos de Templarios
Che nottataccia!
Non ho chiuso occhio, il signore francese ha russato per tutta la notte come un trattore. Alle tre
per la disperazione (si fa per dire) mi è venuta
voglia di mettermi in cammino, ma ho resistito
nel letto fino alle sei. Quindi mi sono alzato e
dopo una veloce colazione, sono partito.
La stanchezza accumulata nella notte senza sonno si fa sentire: il lunghissimo sentiero senza
curve in mezzo al nulla è fisicamente e mentalmente faticoso. Cammino lentamente in questo
deserto di sassi appuntiti ed i piedi iniziano a
soffrire. La mente è concentrata sul mio dolore e
sulla mia persona: inizio a pregare intonando
una canzone con delle parole inventate al momento. Sorrido ed incomincio a stare meglio.
Dopo dodici chilometri una leggera collina mi
crea la speranza, che dopo averla superata, i miei
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occhi possano vedere una Chiesa con il suo campanile. Sarebbe il segno che sto arrivando in un
pueblo (paese) dove posso trovare un po’ di riposo. Ma appena varco il “dosso” davanti a me
l’interminabile sentiero sempre più diritto e sempre più lungo cammina verso l’orizzonte. Dopo
altri cinque chilometri, quando ormai la mia speranza viene meno, scollinando l’ultima salita,
vedo la punta di un campanile, il paese ai suoi
piedi infossato nella piccola valle. E’ Calzadilla
de la Cueza.
Arrivo a fatica e mi fermo davanti ad un piccolo
bar dove incontro Ute che mi dice che nel locale
non danno niente da mangiare. Per fortuna nello
zaino ho del pane e del formaggio avanzati da
ieri. Con l’amica tedesca bevo una birra e dopo
una mezz’ora riparto alla volta di Terradillos de
Templarios. Come si capisce dal nome, il paese
è stato fondato dai Cavalieri Templari. Arrivo
alle sedici: sono stanchissimo ed i piedi sono a
pezzi, oltre al solito altalenante dolore sotto le
“piante”, sono comparse due vesciche sui talloni.
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Oggi è stata un’impresa, ma come in tutte le imprese riuscite, seppur con fatica e con dolore, il
cuore si riempie di gioia e felicità.
Sono consapevole … penso alla mia famiglia …
ed in me si rafforza la certezza di quanto sia importante e bello avere vicino delle persone che ti
vogliono bene ed in qualunque momento ti possono aiutare in maniera disinteressata: ho molta
voglia di rivedere tutti!
Prima di cena all’hospitalero ho chiesto come
aperitivo un vaso (bicchiere) di vino tinto: probabilmente, credendomi un fesso, mi ha dato da
bere del buon aceto! Alle mie rimostranze, lui
con fare da furbetto, ridendosela, mi ha detto che
era il miglior vino della Rjoa. E siccome a me
non piaceva … glielo ho versato, senza farmi vedere, nella sua caraffa.
Sono cose che succedono, ma …
chi la fa, l’aspetti!
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15 ottobre - Domenica
da Terradillos de Templarios
a El Burgo Ranero
La notte è stata così così ed alle sei mi alzo ancora mezzo addormentato. Un gruppo di “finti”
pellegrini, in realtà turisti spagnoli arrivati in
macchina, si sono infiltrati nell’albergue (se non
sei pellegrino con la credenziale non puoi essere
ospitato) e credendo che il Camino fosse un’escursione goliardica tra amici non hanno voluto
capire, tra le lamentele di tutti, che i “veri” pellegrini, quelli che vanno a piedi, hanno bisogno di
riposo e tranquillità. Pazienza!
Faccio una frugale colazione al rifugio e con ancora il cielo stellato mi incammino su un sentiero che attraversa i campi delle mesetas. Sono un
po’ nervoso, forse penso ancora a … quegli spagnoli.
All’albeggiare il mio umore migliora notevolmente, cammino con leggerezza e dentro mi sento tranquillo.
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Dieci e quaranta: arrivo a Sahagun. Cerco una
Chiesa per sentire la Messa. Oggi è Domenica,
ma purtroppo non ne trovo aperte: strano! Proseguo per l’interminabile sentiero nato senza curve. Non incontro altri pellegrini, sono solo ed a
un certo punto, alle mie spalle, sento una voce
che in italiano mi dice: “Ciao, tutto bene?”. E’
un pellegrino-ciclista di Torino, Claudio. Gentilmente si ferma per un saluto e scendendo dalla
bicicletta mi accompagna a piedi per un lungo
tratto di strada. Al momento dei saluti mi domanda, con semplicità ed interesse, del perchè
vado verso Santiago di Compostela. Con altrettanta semplicità gli rispondo che il Camino per
me è la continuazione di un cammino di “vita
nuova” intrapreso qualche mese fa e che mi servirà, almeno spero, a capire molte cose di me
stesso, della mia vita, della mia Fede.
Proseguendo, arrivo nelle strade del piccolissimo borgo rurale di Bercianos del Real Camino:
alla mia sinistra vedo una piccola Chiesa ed entro: stanno celebrando la Santa Messa. Nel banco davanti a me vedo Claudio: ci sorridiamo e
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con un cenno della mano ci salutiamo. Noto che
sull’altare il parroco non è vestito con i paramenti per noi abituali, ma è in giacca e cravatta
ed anche la cerimonia è diversa da quella consueta.
È la terza Domenica consecutiva che arrivo in
un qualsiasi paesello e senza conoscere gli orari,
puntualmente entro in Chiesa all’inizio della
Messa. Le cose basta volerle che … miracolosamente accadono!
Una doppia zuppa di fagioli rossi è il mio pranzo
domenicale. Dopo un mezz’ora mi rimetto in
cammino: la meta è il famoso rifugio “Domenico Laffi” a El Burgo Ranero. La stanchezza inizia a farsi sentire: ormai è da parecchie ore che
le mie gambe macinano strada ed a cinque chilometri dal paese mi devo fermare a bendarmi la
gamba sopra la caviglia sinistra. Il dolore non è
forte, però ormai ho imparato che è meglio prevenire.
Alle sedici entro nel rifugio: è molto carino, tutto di legno. La gentilezza degli hospitaleri è di
quella che ti aspetti quando arrivi stanco. Mi av86
visano subito che l’acqua delle docce è fredda:
accetto comunque di essere ospitato da loro, ed
anche se siamo a quasi mille metri di altezza e la
temperatura è bassa, penso che una doccia fredda non abbia mai fatto morire nessuno.
Oggi ho camminato per quasi trentadue chilometri senza incontrare, a parte Claudio, nessun pellegrino. Il vuoto umano era palpabile sia davanti
che dietro a me: in questo stato di pura solitudine mi sono sentito forte, coraggioso e … accompagnato da Dio.
Ho sentito telefonicamente un po’ di amici pellegrini: loro sono qualche chilometro più avanti di
me, ma questa sera mi raggiungeranno per cena.
C’è da festeggiare il compleanno di Vlady.
Sono più di due settimane che sono sul Camino,
mi sento come se fossi a casa: non temo nulla, il
morale ed i pensieri sono buonissimi e sono in
grado, anche da solo, di poter affrontare qualsiasi situazione. Mi sento “protetto ed invogliato da
Dio”. Sono certo che sto facendo la cosa giusta.
Sarà così anche nella vita che riprenderò tra una
ventina di giorni? Spero di si. Le sensazioni che
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vivo ora sono bellissime: mi sento cambiato, sicuramente … più forte e sicuro di me stesso.
La cena è stata ottima, abbiamo perfino stappato
una bottiglia di buon spumante spagnolo per festeggiare l’amico veneziano.
Ore dieci: sono felicemente stanco e la scomoda
branda mi aspetta.
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16 ottobre - lunedì
da El Burgo Ranero
a Leon
Premessa: oggi ho fatto venticinque chilometri a
piedi e quattro con l’autobus. Mi sono concesso
questo “lusso” per evitare la periferia di Leon e
per poter, arrivando presto, visitare la città con
la sua bellissima Cattedrale. Mi sento un po’ in
colpa per questa scelta, ma sono sicuro che San
Giacomo mi capirà!
Parto dall’accogliente rifugio alle sette dopo una
meravigliosa notte durante la quale ho dormito
benissimo.
Sono nel buio più totale: la pila illumina solo
pochi metri di strada davanti a me. Perdo la freccia gialla che indica il Camino. Non mi scoraggio, torno sui miei passi e dopo mezzo chilometro ritrovo l’insostituibile e prezioso segnale.
Questa mattina il mio pensiero è tutto per la mia
famiglia: ad uno ad uno li penso e mentalmente
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li immagino. Mia mamma Ivana e mio papà
Aldo; Franco con Raffaella, Aldo e Rebecca;
Sofia con Antonio, Alessandro e Maria Paola;
Manuela con Cesare, Nicolò e Carolina; Anna
Rita con Stefano, Filippo e Giulia, l’ultima nata
della nostra grande famiglia.
Dopo una ventina di chilometri mi fermo con altri pellegrini(in tanti abbiamo avuto la stessa
idea), alla stazione dei bus. Alle tredici in punto
arriva il carrozzone che ci porta in centro. Scelgo il rifugio municipale alla periferia opposta
della città perchè è più tranquillo ed in mezzo al
verde. Faccio una doccia ed ancora un po’ malconcio, mi incammino per andare a visitare la
Cattedrale di Santa Maria la Regla (sec.XII): è
imponente, bellissima, con delle vetrate immense a disegni colorati che diffondono con giochi
di luce e colori un effetto suggestivo. Mi viene
da pensare come hanno fatto semplici uomini
con i mezzi di quel tempo a costruire un Tempio
di quella magnificenza. E’ più facile pensare che
l’abbia costruita Dio in persona!
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Verso le diciassette entro in un supermercato: ne
approfitto per fare qualche acquisto. Compro
una federa marrone, i tappi per le orecchie, un
paio di pantavento-pioggia e finalmente, con la
gentilezza di un commesso, riesco a caricare la
macchina fotografica (ho dimenticato a casa il
caricatore).
Ho condiviso la cena in un baretto del centro
con altri pellegrini ed alle dieci e venti il letto è
già occupato dal mio corpo stanco. Anche i piedi
mi fanno male: l’aver camminato sull’asfalto
con le scarpe leggere ha complicato le cose. Non
importa, cercherò di recuperare le forze questa
notte.
La città è insopportabile e per qualche ora mi ha
portato “fuori” dal Camino. Domani devo immediatamente “rientrare”.
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17 ottobre - martedì
da Leon
a Villar de Mazarife
Notte riposante, anche se prima di coricarmi ho
sentito l’effetto della città: e non è stata una piacevolissima sensazione.
Alle sei e trenta mi sveglio: un signore australiano accende la luce della stanzetta dove siamo in
sei a dormire. Vicino a me un ragazzo coreano
sta molto male di stomaco: cerco di consolarlo e
di dargli qualche utile consiglio. Spero si rimetta
presto, ci teneva tanto a continuare il suo Camino.
Alle sette sto già camminando: piove a dirotto
ed indosso la mantella ed i nuovi pantaloni antipioggia. Sono felice di questo poco costoso, ma
azzeccato acquisto.
L’uscita dalla città di Leon è drammatica e mi
sembra di essere in un frullatore alla massima
velocità. Mi muovo in un misto di auto “clacsonanti”, gente di corsa, smog puzzolente, odore di
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fogne (per la pioggia) e quant’altro di più osceno
può “offrire” una grande città al suo risveglio di
una giornata feriale. Tutto questo “sbattimento”
dura quasi due ore. In questi cinque chilometri
consumo tutte le mie forze: ed adesso cosa faccio? A stento proseguo fino a La Virgen del Camino. Giro a sinistra in un bel sentiero in salita
che mi porta finalmente in mezzo alla tanto
amata natura. Oltre alla pioggia c’è un vento fortissimo, siamo ad un’altezza di 850 metri, ma
ciò non turba minimamente lo stato di serenità e
di tranquillità che in me sta nascendo.
Il paesaggio è molto bello e la strada di terra rossa sembra un fiume di lava appena eruttata da un
vulcano. Il fango, molto appiccicoso, si attacca
alle suole dei miei scarponi rendendoli pesantissimi. Mentre cammino rido di me stesso, perché
vestito come sono e con il passo a gambe rigide
(per il peso degli scarponi) sembro un astronauta: le mutande ed i pantaloni ormai sono finiti
sulle ginocchia!
Comunque arrivo senza problemi a Chozas de
Abajo. Un venditore ambulante di pane (non esi93
stono negozi) si ferma a poche metri da me: mi
avvicino e compro, per pochi centesimi, un bel
pezzo di pane appena sfornato. Lo gusto con
piacere, è la prima cosa calda dopo tanto freddo.
Alle quattordici, sotto un diluvio, arrivo al rifugio di Villar de Mazarife: è bello ed accogliente.
L’hospitalera, molto carina e gentile, mi fa vedere una stanza a due letti, che riesco con un bel
sorriso, a far diventare “tutta mia” per questa
notte: cosa voglio di più?
Una doccia calda mi rimette in sesto. Sono le tre
e mezza del pomeriggio e chiedo se è possibile
mangiare: sono affamato. Mi viene offerta una
fondina di minestra fumante e del pollo. Mangio
tutto leccando il piatto!
Dopo un’ora sono nella mia “reggia”. Fuori piove ancora e mi sdraio sotto le lenzuola bianche a
gustarmi un po’ di riposo. Sono felice. Le cose
che mi sono capitate oggi, un pezzo di pane al
momento giusto, una stanza tutta per me, una
buona minestra calda, mi hanno dato una grandissima gioia e le ho apprezzate come se fossero
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state le cose più importanti e buone che abbia
mai avuto.
Lo ripeto per l’ennesima volta il Camino di Santiago fa godere delle cose semplici e fa capire
che molte volte basta poco per essere felici e
soddisfatti!
I piedi e le gambe sono in ottimo stato: ogni dolore è passato!
Sono sdraiato sul letto e guardo con soddisfazione la federa marrone comprata ieri.
Il cattivo umore cittadino è stato totalmente assorbito ed è ritornato più splendente che mai l’umore felice del pellegrino.
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18 ottobre - mercoledì
da Villar de Mazarife
a Astorga
La notte è stata “movimentata” per colpa delle
numerose polpette mangiate a cena e per alcuni
spagnoli, sempre loro, che in un bar vicino hanno urlato fino alle tre della mattina. Sino ad allora non sono riuscito a prendere sonno: quindi
sono rimasto, seppur stanco, con gli occhi sbarrati a fissare il soffitto. L’unica cosa positiva è
stata quella che almeno i piedi e le gambe hanno riposato.
Sei e trenta, la sveglia suona. Guardo fuori dalla
finestra e vedo che la pioggia non ha smesso di
scendere. Mi vesto in maniera adeguata ed alle
sette ed un quarto inizio il cammino. Sono un
po’ preoccupato: l’aver dormito poco e male ed
il dover percorrere trentacinque chilometri sotto
l’acqua mi fa pensare di non farcela. Ma è proprio in queste situazioni che entra in gioco la
“Fuerza del Camino” nella quale trovi lo spirito
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e l’energia per superare sia fisicamente che mentalmente le “fatiche” del giorno.
Oggi è stata, da quando sono partito diciannove
giorni fa, la giornata più faticosa e difficile: oltre
alla pioggia, un vento fortissimo e freddo “picchiava” sulla parte sinistra del mio corpo. Per
questo effetto l’incontrollabile mantella andava
dove voleva, lasciando dei “buchi” nei quali
l’acqua poteva passare bagnandomi i vestiti.
C’erano dei momenti nei quali, per il forte vento, mi bastava spostare un braccio per perdere
l’assetto del corpo e questo sbilanciamento mi
spostava lateralmente anche di un metro. Sembrava di volare!
Un fangoso sentiero attraverso boschi di castagni e segnato da Croci fatte coi sassi mi ha portato fino a San Justo de la Vega. Erano le quindici e trenta ed arrivato in cima alla montagna
mi sono trovato di fronte ad un’antica Croce e
sullo sfondo la città di Astorga, riconoscibile per
le guglie della Cattedrale. A quella vista mi sono
commosso e due lacrime mischiate alla pioggia
mi hanno rigato il viso. Ho detto una preghiera
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di ringraziamento a Gesù ed alla Madonna per
avermi aiutato anche oggi in questa non facile
situazione.
Dopo quattro chilometri arrivo ad Astorga e per
fortuna il rifugio è all’inizio della cittadina: è
molto grande, comunque caldo e confortevole.
Faccio una doccia e ne approfitto per lavare ed
asciugare i vestiti con gli elettrodomestici che
l’hospital offre.
Cena ed a letto presto, la giornata è stata avvincente ma tosta: sono stanchissimo.
A proposito di quanto è accaduto oggi, penso
che anche nella vita di casa e non solo sul Camino, non bisognerebbe mai disperare e pensare
che le situazioni siano impossibili da affrontare:
al contrario, convincersi che con Fede, con pazienza ed impegno tutto è risolvibile e che alla
“meta” ci si può sempre arrivare.
Capito Alberto?
98
19 ottobre - giovedì
da Astorga
a Rabanal del Camino
L’albergue di Astorga per i suoi grandi spazi e
per le sue comodità è stato, dopo la faticosa
giornata di ieri, una fonte di saporito riposo.
Alle sette ho aperto gli occhi al suono musicale
della sveglia puntata preventivamente. Prima di
lasciare la città, vado a visitare la Cattedrale di
Santa Maria (1471) ed il Palacio Episcopal costruito nel 1899 su progetto dell’architetto spagnolo Antoni Gaudì.
La pioggia scende a tratti, il sentiero segnato
dalle consuete frecce gialle oggi mi porta verso i
Montes de Leon. Il paesaggio cambia definitivamente: ora al posto delle desertiche e sconfinate
mesetas, dove era impossibile avere punti di riferimento, all’orizzonte si vedono montagne
punteggiate da fitte macchie boschive e da piccolissimi borghi rimasti intatti ai tempi che furono.
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Io sto veramente bene, sia fisicamente che mentalmente: mi sento a posto sotto ogni aspetto, i
pensieri corrono nella mia mente veloci e puliti,
penso sempre di più alla mia famiglia, ai miei
amici, alla mia vita prima del Camino e soprattutto a quella che verrà, anche se voglio rimanere fermo e concentrato sul presente: … su questo
meraviglioso presente.
Oggi mi è successa una cosa strana: il “cattivo
tentatore” non ha tardato a farsi vivo e, nella figura di una gentile persona, mi ha proposto, visto le condizioni del tempo e le ripide salite da
affrontare, un passaggio in macchina per me o
per il mio pesante zaino. Io sono stato ben felice
di rifiutare, perché le cose che ho scelto di portare sul Camino saranno quelle che mi accompagneranno nel bene e nel male per tutto il percorso. Questa è stata la mia inequivocabile decisione.
Il peso del mio zaino-casa è la metafora del peso
delle scelte che nella vita si devono fare, ed una
volta fatte, se si ritengono giuste ed appropriate,
vanno difese e perseguite, anche se difficili.
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Sono contento di questa mia scelta ed il mio fardello lo porto con piacere ed allegria!
La tentazione di farmi aiutare, questa volta non
ha colpito le mie debolezze umane.
Sono arrivato a Rabanal, presidio dei Cavalieri
Templari protettori dei pellegrini sul Camino.
Intorno alle quindici trovo sistemazione presso
lo storico rifugio di El Gaucelmo gestito dalla
confraternita inglese di Saint James: è molto bello e l’ambiente è caloroso. Ora sto scrivendo seduto ad un tavolo in una stanzetta- biblioteca
con un bel caminetto acceso, il tepore del fuoco
e le musiche Gregoriane che si diffondono nell’aria rendono l’ambiente piacevolissimo e rilassante.
Il Camino di Santiago è entrato in me: il contatto
con la natura, con la terra, con la pioggia, con il
vento, con i miei pensieri, con le mie preghiere e
con i miei sorrisi, mi fa sentire in comunione diretta con l’Universo e con Dio, la sensazione di
questa “nuova” felicità è bellissima.
Sono le diciotto ed ho già mangiato perchè alle
diciannove voglio andare nella piccola Chiesa
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di un convento dove due frati benedettini reciteranno i Vespri con canti Gregoriani e faranno la
benedizione dei sassi da portare sulla Cruz de
Hierro. Sono sicuro che l’atmosfera sarà bella e
commovente.
Sono le dieci di sera, fuori piove e fa molto freddo, qui l’altitudine è di milleduecento metri:
vado a letto. ‘Notte!
Nel pomeriggio mia sorella Manuela con un
messaggio che leggo solo ora, mi ha confermato
la partenza per il pellegrinaggio a Fatima: sono
molto contento!
Prima di addormentarmi ringrazio mentalmente
tutti quelli che mi pensano e che mi hanno aiutato: ora un particolare ringraziamento lo penso
per Stefano che, con la sua “farmacia”, ha aiutato me ed in molti casi altri pellegrini un po’
meno previdenti.
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20 ottobre - venerdì
da Rabanal delCamino
a Ponferrada
Notte agitata per la stanchezza accompagnata
dal solito mal di piedi: non riesco a prendere
sonno, divento nervoso. Alle tre di notte con altre quattro persone ci trasferiamo nella piccola
biblioteca. Mi sdraio per terra su un materasso di
gomma piuma: il silenzio ed il dolce caldo del
camino mi aiutano a riposare per qualche ora.
Alle sei e trenta mi sveglio e, dopo essermi lavato velocemente, accetto con piacere la colazione
offertami dalla gentile hospitalera inglese.
Il Camino parte subito in salita verso i Montres
de Leon: il tempo non è migliorato e la pioggia
incessantemente scende sempre più fitta, la temperatura è bassa e fa molto freddo.
La bellezza dei paesaggi, l’atmosfera dei tempi
antichi ed il su e giù di queste storiche mulattiere, fanno si che il mio umore migliori notevolmente: ora sono sereno, la mente non può che
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soffermarsi su questi luoghi dove hanno vissuto
dal millecento al milletrecento i famosissimi Cavalieri-Monaci Templari. Mi vengono i brividi e
non per il freddo, al pensiero che sto calpestando
i loro stessi sentieri.
Dopo circa due ore di cammino eccola: la Cruz
de Hierro. E’ un po’ il simbolo del Camino ed è
molto semplice: un palo di legno sormontato da
una piccola Croce di ferro, eretto con molta probabilità dall’eremita Guacelmo intorno al millecento nel punto dove anticamente sorgeva un altare dedicato a Mercurio. Alla base della Croce
si è formata una montagnola di sassi da secoli
portati dai pellegrini per chiedere protezione nel
viaggio. Il luogo è affascinante e suggestivo. La
Croce riempie il cielo, è carica di storia e si sente, eccome se si sente. Io ho incastonato nel palo
di legno un sassolino a forma di cuore che ho
raccolto sul Camino molti chilometri fa.
Proseguo su un sentiero reso sdrucciolevole dalla pioggia: non so come faccio a stare in piedi.
In queste condizioni arrivo a Manyarin dove c’è
un rifugio alquanto particolare, fatto interamente
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di assi di legno accatastate e frasche secche: la
sporcizia ed il disordine sono gli indiscussi padroni, il luogo è molto famoso, si dice che l’hospitalero sia l’ultimo discendente diretto dei Cavalieri Templari. Mi fermo per qualche minuto,
ne vale la pena e dopo essermi fatto mettere il
sello sulla credenziale ed aver fatto una piccola
offerta, riparto. La città di Santiago, come indica il cartello di legno, è a duecentoventidue chilometri.
Io mi sento bene: questo pieno di natura e di storia mi ha reso mentalmente forte e sicuro. Ora la
discesa si fa ripidissima e pericolosa, cammino
come se fossi sulle uova. I piedi iniziano a darmi
fastidio, ormai è una costante. Ma poveri loro li
posso capire dopo queste sollecitazioni, però tutt’intorno è così bello che pur soffrendo continuo
a camminare, felice di farlo.
All’ora di pranzo arrivo a El Acebo, mangio un
panino e proseguo. Sono indeciso se arrivare e
quindi dormire a Ponferrada o fermarmi prima.
Giunto a Molinaseca decido che ai venticinque
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chilometri già fatti mi sento di aggiungerne altri
otto di salita.
Alle diciotto entro in Ponferrada, sono stravolto
e piedi non li sento più: gli ultimi metri prima
del rifugio, li ho fatti per inerzia, come se qualcuno da dietro mi spingesse. Quando Dio vuole
e non è un modo di dire, arrivo al rifugio e presento la credenziale. All’hospitalero “racconto”
dei miei malconci piedi e … come accade spesso
sul Camino, un signore, che poi scopro essere un
fisioterapista, ascoltando le mie parole si presenta e mi dice di fare la doccia che poi ai miei piedi ci penserà lui! Un rilassante massaggio fatto
con una pomata medicamentosa e crema idratante in poco tempo mi fa passare ogni dolore.
Mi cambio velocemente e decido di andare a
fare “quattro passi” in paese. Visito il Castello
Templare e la Basilica di Nuestra Senora de la
Encina. Compro due cosette in un negozio e mi
ritiro nel rifugio: questa sera, con un gruppetto
di pellegrini, ceniamo “in casa”.
Oggi sono arrivato molto stanco ed un po’ nervoso: non mi è piaciuta la reazione che ho avuto
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quando non riuscivo a trovare il rifugio. E’ la
prima volta che mi innervosisco così. Certo, può
essere naturale e comprensivo, la stanchezza aiuta a far perdere la pazienza e per questa volta mi
perdono. Ma devo imparare e sarebbe ora, a sapermi controllare di più!
Chissà cosa mi lasceranno interiormente, una
volta arrivato a casa, questi lunghi giorni di Camino?
Sono le dieci, vado a dormire: buonanotte.
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21 ottobre - sabato
da Ponferrada
a Villafranca del Bierzo
Questa notte ho fatto una buonissima dormita,
dalle dieci fino alle sei e trenta ininterrottamente.
Alle sette e mezza parto come al solito da solo:
c’è ancora buio e devo attraversare il paese
Templare per riprendere il Camino. Sbaglio strada e mi trovo in una zona periferica: frecce gialle non ne vedo, non so cosa fare, ma al levar del
sole mi accorgo che sta sorgendo alle mie spalle,
quindi ad est. Proseguo dritto convinto che davanti a me ci sia l’ovest, cioè la strada giusta
verso Santiago. Infatti dopo sedici chilometri mi
trovo in un piccolo borgo che si chiama Cacabelos e lì ritrovo le sospirate frecce gialle. Mi fermo a mangiare solo dopo aver visitato il Santuario della Virgen de las Angustias dove incontro
Pino, ci salutiamo e ci auguriamo reciprocamente Buen Camino!
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Proseguo su un sentiero immerso tra i vigneti del
Bierzo: il paesaggio è bucolico, mille i colori,
dai rossi intensi ai gialli ai marroni autunnali.
Inizia a piovigginare, ormai sono abituato, la
mia fedele mantella ed il cappello impermeabile
mi proteggono.
Prendo una deviazione a destra. Il sentiero si fa
improvvisamente ripido, indicazioni non ce ne
sono, con l’aiuto della bussola continuo a camminare verso ovest, mi scoraggio un po’ e mentre penso con auto ironia di essere un uomo di
poca Fede, mi appare davanti agli occhi la Chiesa romanica di Villafranca intitolata a Santiago.
Mi rincuoro e per ringraziare entro a dire una
preghiera.
Inizio a cercare l’hospital: incontro tre signore
indaffarate nelle loro chiacchiere, chiedo a loro
dove è il rifugio (è la prima volta che chiedo informazioni) e gentilmente me lo indicano. Ma
nel contempo mi fanno capire che potrebbe essere infestato dalle cincias (piccole cimici dalla
puntuta dolorosa e molto irritante). Ringrazio
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per l’avvertimento e ripiego, si fa per dire, su un
Hostal ad una stella, nel centro del bel paesino.
La stanzetta è carina, nel letto ci sono lenzuola
candide ed ho persino un bagno personale!
Per fortuna, anche se penso di più ad un regalo
della Provvidenza, quelle signore mi hanno avvisato del rischio delle temutissime cincias!
Ceno con Pino, Aldo e Luigi in una taverna caratteristica sia nel menù che … nell’arredamento. Alle nove sono già a letto perchè domani mi
servono molte energie mentali e fisiche. Salirò
sul mitico O Cebreiro che è uno dei posti più carichi di spiritualità di tutto il Camino (anche se è
improprio e sbagliato fare una classifica). Comunque la giornata sarà impegnativa, sono trentacinque chilometri di pura montagna con un dislivello di oltre ottocento metri! La cosa non mi
spaventa, anzi mi affascina: sono pronto e sono
curioso di sentire quali emozioni attraverseranno il mio cuore.
Oggi ho pensato per qualche minuto a quando
sarò a casa: una lieve malinconia mi ha preso
con un nodo in gola, e mi sono detto: “Come
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farò senza il Camino di Santiago?” La mia quotidianità, che dura ormai da ventidue giorni, è
alzarsi presto la mattina, camminare, essere felice, avere dei bei pensieri, stare con me stesso,
conoscermi a fondo, conoscere i miei limiti ed i
miei talenti, pregare, accettare qualsiasi situazione, soffrire, gioire, avere cura di me e … null’altro. A casa è e sarà tutto diverso, le giornate hanno un’altra impostazione, altri ritmi, ma quello
che fin’ora ho vissuto sul Camino mi rimarrà per
sempre nel cuore e nella mente. Mi allenerò affinchè questa meravigliosa esperienza mi possa
servire come un nuovo punto di partenza e sia
una linea guida per la mia vita futura.
Il Camino “segna” e “cambia” le persone.
Alle sette ho assistito alla Santa Messa nella
Chiesa di San Fransisco, intitolata al Santo di
Assisi per ricordare il Suo passaggio lungo il
cammino.
111
22 ottobre - Domenica
da Villafranca del Bierzo
a O Cebreiro
L’hostal S.Francesco è una garanzia!
Ho dormito benissimo alla faccia della cincias.
Alle cinque e trenta mi sveglio: non ho più sonno, mi sento in forma e ben riposato. Alle sei il
gentile signore dell’hostal, ancora mezzo addormentato, mi prepara, offrendomela, una buona
colazione e dopo una mezz’ora sono sul Camino.
Piovo a dirotto, il cielo è nero come la pece, il
paese è ancora addormentato ed in giro non c’è
anima viva. Attraverso il centro per immettermi
sulla strada del Camino: è naturalmente in salita,
con la pila cerco le frecce che inizialmente non
trovo, poi un piccolo segnale mi riporta sulla pista giusta. Ho quasi paura: sono su una strada
che non conosco, solo, al buio, con la pioggia
che rende tutto più misterioso e tetro. Mi sento
come se fossi in un film di Dario Argento, ma
112
poi penso di non essere su una qualsiasi strada
della sconosciuta Spagna, ma bensì sul Camino
di Santiago. A questo pensiero la paura mi passa
e tranquillizzandomi dico una preghiera: ciò mi
da un enorme conforto, … per fortuna c’è Lui.
E’ un’ora che cammino, sono inzuppato d’acqua
dalla testa ai piedi e devo fare altri ventisette
chilometri di montagna! Non ci voglio pensare
più di tanto.
Arrivo a Trabadelo. Mi voglio fermare per prendere un caffè caldo. Alle mie spalle, nel buio,
una figura mi segue: è Ute , una ragazza tedesca.
Insieme a lei faccio colazione dopodichè decidiamo di fare qualche chilometro insieme. Ute
parla poco l’inglese ed io meno di lei, comunque
cerchiamo di conversare. Dopo qualche minuto
di chiacchiere molto approssimative e confuse,
io addirittura pensavo parlasse del suo lavoro ed
invece mi parlava della cena della sera prima, ci
guardiamo attraverso i cappucci grondanti d’acqua e scoppiamo in una grossissima risata.
La pioggia non ci abbandona nemmeno per un
istante e gli scarponi, come del resto i pantaloni
113
e la maglia sono intrisi d’acqua, ma tra loro e la
pelle si è formato un microclima di acqua tiepida
che rende la sensazione meno sgradevole di
quanto si possa pensare.
La strada sale ripidissima e la situazione non è
delle più facili, ma il bello deve ancora arrivare.
Infatti dopo una decina di chilometri un sentiero
a sinistra mi porta su una mulattiera fatta di gigantesche e liscissime pietre diventate scivolose
per l’acqua. Tutt’intorno c’è un bosco dai mille
colori fatto da castagni secolari e felci giganti.
Questa è la salita che, con dodici chilometri di
fatica, mi porta in cima a O Cebreiro.
Sono immerso in un paesaggio magico, le montagne a perdita d’occhio formano un quadro da
sogno: tutto è talmente bello ed appassionante
che nemmeno mi accorgo della salita e della
grande fatica che sto facendo, anzi in questa
realtà mi sento uomo, nel vero senso della parola, non “macio”, solo unicamente uomo di questa terra e la felicità mi scorre inebriante in tutto
il corpo e sotto la pelle.
114
A metà di questa indimenticabile ascesa incontro
a La Faba un piccolo rifugio. Entro per riposare:
l’ambiente è bellissimo, quello che ci voleva. La
stanza è tutta di pietra a vista con un grande fuoco rotondo nel centro, ai muri ci sono appesi oggetti di ogni tipo provenienti da mezzo mondo.
Mi viene offerto un bicchiere di vino ed un po’
di pane: l’energia di questo luogo è “palpabile”
ed in pochissimo tempo ritrovo tutte le mie forze. Non vedo l’ora di ripartire.
Riprendo il cammino, il sentiero sembra sempre
più ripido. Salgo a fatica con passi brevissimi e
lentissimi, a volte più che una mulattiera sembra,
per l’abbondante acqua, un piccolo torrente che
mi viene incontro.
Lo scenario è inimmaginabile per la bellezza.
Dentro mi sento forte, protetto, audace e senza
nessun timore, vorrei sentirmi sempre così … .
Cammino con sicurezza a testa alta, la pioggia
che batte sul viso anziché infastidirmi mi fa sentire vivo: la forza interiore che provo non riesco
a capire da dove viene, Qualcuno sicuramente
mi sta aiutando e proteggendo!
115
Dopo quasi nove ore di cammino arrivo in cima
a O Cebreiro. Il paesino è molto bello e vado ancora tutto bagnato in Chiesa a ringraziare Colui
che mi ha dato la forza per salire fin qui. Nella
Chiesa riesco a vedere il dorato Calice del famoso Miracolo dell’anno milleduecento.
Alle diciotto, dopo una doccia bollente, mi metto a tavola e mangio tre piatti di minestra di pasta ed un po’ di carne. Nessuno mi toglie due
colmi bicchieri di ottimo vino. Un’ora dopo
sono nel mio caldo sacco a pelo.
So che la Fiorentina ha vinto tre a zero, sono
contento per Cesare, fra poco lo chiamerò.
E’ stata una giornata di cammino “particolare”:
la forza dell’uomo, la volontà dell’uomo con l’aiuto Divino, oggi l’ho scoperta anche in me.
Oggi c’è stato il contatto con la parte più profonda di me stesso.
Un pensiero: ogni giorno vado in Chiesa per tre
o quattro volte (non mi era mai capitato) e ci
vado con uno spirito nuovo. Lo faccio come se
entrassi nella casa di un amico per parlare, per
116
pregare, per riposare, per prendere conforto e per
trovare la necessaria serenità e tutto questo miracolosamente avviene!
Una cosa mi sta capitando … molte mie paure
stanno scomparendo!
ULTREJA !
(sempre avanti)
ET SUSEJA ! (sempre in alto)
117
23 ottobre - lunedì
da O Cebreiro
a Tricastela
Nella camera umida e fredda riesco a riposare
per non più di cinque ore ed alle sei e mezza mi
sveglio. Guardo fuori dalla piccola e scricchiolante finestra e vedo che c’è un vento fortissimo
che fa “cantare” le foglie dei grandi castani che
circondano la piazza. A rivestire questa mattinata ancora buia scende dalle grasse nuvole una
pioggia torrenziale: non mi preoccupo, mi preparo in maniera adeguata alla giornata che dovrò
affrontare.
Alle sette e trenta sono pronto per partire: una
cascata d’acqua picchia su di me e su tutto quanto sta intorno. Comunque, dopo la giornata di
ieri, ho imparato a vestirmi nella maniera giusta,
per cui sotto la mantella sono ben protetto. Invece per gli scarponcini non c’è nulla da fare e
dopo solo dieci minuti ho i piedi a bagnomaria.
Non importa, oggi ho da camminare solo per
118
ventidue chilometri, quelli che mi separano da
Tricastela.
Cammino per un paio di ore fino all’Alto do
Poyo (1330 mt.), quindi mi fermo in un baretto a
bere un the caldo: mentre lo sorseggio i miei occhi fissano il televisore acceso. La bella mora
“spagnolita” che legge le notizie avvisa che oggi
e nei prossimi giorni in Galizia (dove mi trovo
ora) ci saranno dei nubifragi ed esorta le persone
a non uscire di casa se non per necessità impellenti. Nel bar incontro Vlady, il pellegrino veneziano e gli dico che per sicurezza è meglio che
camminiamo “a vista” l’uno dell’altro: naturalmente accetta.
Riprendiamo: fuori è l’inferno, il vento forte
cambia violentemente direzione e mi sposta.
Quando soffia con più forza sulla mia parte sinistra riesco perfino ad appoggiarmi ed anche se
mi lascio andare non cado, è il vento stesso che
mi sostiene! Sembra di essere in un gioco di
Gardaland.
Quando le cose sembrano mettersi al peggio,
ecco che arriva d’improvviso la magia del Cami119
no di Santiago, prima un timido sole, poi un sole
pieno ci accompagna fino alla destinazione. Gli
ultimi sette chilometri sono su una ripidissima
discesa ed i piedi e le spalle, per il peso dello
zaino, sono messi a dura prova.
Alle tre del pomeriggio arrivo al rifugio: faccio
subito il bucato perchè ho anche le cose di ieri
da lavare. Per fortuna c’è un termosifone tiepido
sul quale faccio asciugare i vestiti. Mi lavo anch’io.
Alle sette vado a sentir Messa nella Chiesa di
Santiago: il parroco Don Augusto prima di iniziare la funzione porta me ed un’ altro pellegrino
sul campanile e ci chiede di aiutarlo a suonare le
campane. Ci divertiamo come dei bambini “a
farci tirare su” dalle funi. La Messa viene celebrata in modo particolare e vengo coinvolto profondamente. Il Don inizia con una mezz’ora di
“predica” in spagnolo, però comprensibile, nella
quale parla solo dei pellegrini verso Santiago.
Poi riprende dal punto dell’Eucarestia ed al momento del Padre Nostro invita tutti e presenti intorno all’altare. La preghiera viene recitata te120
nendoci per mano e poi con una “speciale” assoluzione generale ci dà la benedizione e ci esorta
a servirci con le nostre mani della Santa Comunione. Alla fine recitiamo nelle cinque lingue
(tante erano le nazionalità presenti) la benedizione del pellegrino. Io leggo quella in italiano, poi
con fraterni ed affettuosi abbracci ci salutiamo.
Don Augusto nell’omelia ha detto che sul Camino di Santiago si incontra Dio: quelle parole
sono vere. Io non ho mai sentito Dio così vicino
come in questi giorni ed è così bello averlo nel
cuore che non me ne voglio più separare!
Dio sul Camino lo vedo ovunque: lo vedo nella
natura, lo vedo nei visi sofferenti, lo vedo nella
semplicità e nell’umiltà, lo vedo nella fratellanza, lo sento nella serenità interiore, lo sento nella
felicità appagante che mi accompagna giorno
dopo giorno sul Camino di Santiago e … sul
Cammino della Vita.
Sono le dieci di sera, sono a letto, dalla finestra
vedo che nel cielo finalmente ci sono le stelle.
121
24 ottobre - martedì
da Tricastela
a Morgade
Apro gli occhi alle sette e venti, è tardissimo!
Velocemente mi preparo, non faccio nemmeno
colazione ed alle otto sono in movimento. E’ la
prima volta che inizio il cammino con un po’ di
luce ed appena fuori dal paesino di Tricastela il
sentiero in ripida salita mi porta in boschi di castani e felci. Si respira bene, non piove, l’umore
è a mille. Prego per ringraziare la Madonna e
San Giacomo per la grande felicità e serenità che
mi stanno facendo vivere.
Qui si vede ad occhio nudo il capolavoro che il
Creatore ha fatto (certo, come in altri mille luoghi): l’energia entra in me coprendo ogni spazio
del mio cuore, della mia anima e del mio corpo.
In questo stato di “Grazia” interiore arrivo fino a
Fusela dove mi fermo in un piccolissimo bar a
bere un the caldo. Noto che sul caminetto del locale in mezzo a figure Sacre, bordoni e concas
122
(conchiglia simbolo del Camino), c’è appeso un
foglio con scritta una poesia ad “Alberto”. Mi
soffermo sull’ultima strofa, che dice … “ A ti
Alberto para que, a la vida que Dios te ha regalado, le devuelvas como minimo un beso enamorado”.
Il gentile oste offre a me ed altri due pellegrini
delle castagne appena tolte dal fuoco: con piacere ne gusto un paio e ringraziando esco dal bar.
Fuori inizia a piovigginare ed indosso la mantella ed il cappello impermeabile. Inizio a camminare, in meno di un’ora arrivo a Sarria, città
bruttina che cerco di “scavalcare” il più velocemente possibile. Il resto del Camino fino a Morgade è sempre meravigliosamente disegnato da
boschi e prati coloratissimi ed è veramente un
piacere camminare silenziosamente in posti del
genere, sia per le bellezze naturalistiche che per
quelle storiche del pellegrinaggio stesso, che da
più di milleduecento anni percorre questo magico Camino.
Poco prima di arrivare a Morgade, incontro la
“famosa pietra” che indica che mancano cento
123
chilometri a Santiago: un leggero brivido mi fa
accapponare la pelle, è un brivido misto di felicità , di tristezza, di volontà e di riuscita.
Alle sedici e trenta in punto entro nel rifugio: è
molto bello, è costruito in pietra e l’arredamento
è di buon gusto. I colori predominanti sono il
viola, il verde e l’azzurro. Il caminetto acceso fa
diventare l’ambiente ancor più accogliente e caldo. Da dove sono seduto ora, attraverso una
grande vetrata, vedo il bosco e la montagna che
oggi ho attraversato e mi commuovo.
Dopo un’ ottima cena bagnata con del buon vino
della Rjoa mi ritiro nella mia cameretta: sono le
ventuno, un ultimo sguardo al cielo … è pieno di
stelle.
124
25 ottobre - mercoledì
da Morgade
a Palas de Rei
Mi sveglio alle sette. Questa mattina, a dispetto
della luminosa stellata notturna, piove. La pioggia è diventata un’inseparabile amica da quasi
dieci giorni. Parto alle sette e trenta che è ancora
buio. La pila illumina lo stretto sentiero che con
il passare delle ore, a causa dell’acqua, diventa
sempre più torrente. Sugli scarponcini provo a
mettere dei sacchetti di plastica: sembra che questa soluzione funzioni, almeno fino a quando i
sacchetti si rompono.
Faccio colazione, dopo due ore di cammino, a
Portomarin, dove arrivo affamato. Chiedo del
pane con burro e marmellata ed un caffè “cortado”. Con calma consumo il mio primo pasto e
prima di ripartire vado a visitare la cappella de la
Virgen de las Nieves dove da una bella “çica galiziana” mi faccio apporre il sello sulla credential. Io sto molto bene, ogni dolore è scomparso,
125
la vicinanza di San Giacomo aiuta. Lo prego
chiedendogli di starmi vicino in questo ultimo
“sforzo”. Oggi mi attende un cammino di molti
chilometri. Lo scenario è molto bello ed oltre ai
boschi di castani si incominciano a vedere le foreste di eucalipti, piante altissime e drittissime
che con i loro tronchi sembrano formare fasce
muscolari del corpo umano. Sparsi qua e là ci
sono prati verdissimi che fanno da “tavola
apparecchiata a festa” a piccoli gruppi di mucche locali.
A Ligonde passo davanti ad un Cruciero (Crocifisso) in pietra del milleseicento: è uno dei più
importanti del Camino.
I comportamenti di alcuni pellegrini (ahimè!) mi
lasciano perplesso: non voglio essere giudice del
prossimo e quindi non sto a raccontare il fatto.
Voglio imparare a giudicare solo me stesso e
non fare più “processi” a nessuno come facevo
in passato. Accetto il “fare” degli altri, anche se
non lo apprezzo: tutt’al più evito di condividere i
miei momenti con persone che non mi trasmettono serenità.
126
Penso a tutta la mia famiglia che tra qualche
giorno rivedrò: fanno parte dei miei pensieri i
miei amici e le persone a me care.
Sia ieri che oggi mi sono capitati due fatti “strani” che solo ora ho voglia di ricordare: ieri prima
di arrivare a Morgate davanti al ceppo dei cento
chilometri a Santiago, un cane, senza che me ne
accorgessi, mi ha attaccato da dietro morsicandomi sopra la caviglia sinistra. Mi sono fermato
e visto che continuava ad abbaiare e ringhiare,
l’ho “sfidato” brandendo il mio bordone fino a
che non se ne è andato zitto zitto. Oggi invece
un ramo pieno di spine mi si è letteralmente attaccato all’orecchio sinistro, facendomi male e
come ieri per il morso un po’ di sangue è uscito
dalle piccole ferite. Non mi sono spaventato più
di tanto e mi sono limitato a disinfettarmi.
Non so che segni siano, ma dopo quasi un mese
di Camino senza che nulla mi sia capitato, due
fatti simili e così ravvicinati mi fanno pensare
che qualcuno sia infastidito dal fatto che a Santiago de Compostela ci stia arrivando e che la
mia Fede giorno dopo giorno stia aumentando e
127
si stia fortificando. Certamente ho pensato a
queste due azioni del male, ma senza nessuna
particolare preoccupazione: anzi posso dire, senza superbia, che mi sento protetto e guidato dal
bene.
Sotto una pioggia fittissima, alle diciotto arrivo a
Palas de Rei. Oggi dopo trentacinque chilometri
non sento la stanchezza, sarei pronto a ripartire.
Questo è l’ennesimo “miracolo” di Santiago, più
ti avvicini a Lui, più Lui ti fa sentire forte e,
come me, anche il Santo avrà voglia di abbracciarmi!
128
26 ottobre - giovedì
da Palas d Rei
a Arzua
Notte precedente: nella stanza del rifugio di Palas de Rei sono le nove e trenta, sono già nel letto, ma fino alle dieci e mezza non mi addormento, sto aspettando il risultato finale della partita
tra la Fiorentina ed il Torino. Quando l’sms del
mio telefonino mi conferma la vittoria per uno a
zero della squadra di Cesare, riesco a chiudere
gli occhi ed a prendere sonno.
Una bellissima stellata mattutina accompagna il
mio risveglio intorno alle sette. Faccio una veloce colazione ed alle otto parto. Poco dopo più di
mezz’ora il sole nasce, la giornata è bella, senza
nuvole ed io sono felice: il mio passo è leggero e
sciolto.
Incontro Pino ed Aldo, con loro recito il Rosario
camminando su una stradina in leggera salita tra
eucalipti giganteschi che con il loro classico
129
profumo mi aprono il naso ed i polmoni. Tutt’intorno si vede il paesaggio della Galizia fatto più
intenso e vivace dai colori resi più forti dal luminoso sole.
Molti Crocifissi e molte Chiese formano una catena del bene, come una catena è quella dei pellegrini che camminano ininterrottamente verso
Santiago.
I segnali che incontro sul cammino sono innumerevoli, come sono tantissimi quelli che incontro sulla strada della vita, la differenza sta che
sul Camino ho la sensibilità per decifrarli, mentre nella vita di tutti i giorni, vuoi per il disturbo
della “materialità”, vuoi per pigrizia, sono di difficile lettura. Spero di aver imparato a capire, almeno in parte, la lettura dei segni, dei simboli e
delle coincidenze che la vita in ogni suo momento mi mette di fronte. Questo concetto, comunque complicato per me, a casa con pazienza e
tempo vorrei approfondirlo.
All’ ora di mezzogiorno entro nel paese di Furelos. La prima costruzione che incontro è la Chiesa del Pueblo; sul sagrato c’è un prete che mi in130
vita ad entrare. Lo faccio volentieri. Don Giuseppe parla bene l’italiano e mi spiega la particolarità, unica al mondo, del Crocifisso con il
Cristo inchiodato sulla Croce dalla sola mano sinistra, mentre la destra è rivolta verso terra. Il
prete mi spiega che è il simbolo del legame di
Dio tra il cielo e la terra, l’unione tra il Cristo
Universale e gli uomini terreni.
Dopo aver salutato con un caloroso abbraccio
Don Giuseppe continuo il cammino. Verso l’una
mi fermo a mangiare nella famosa pulperia
(dove cucinano i polpi) “da Ezechiele” dove per
otto euro mi portano un abbondante piatto di polipo alla galiziana con patate lesse e del buon vinello bianco frizzante. Lì incontro i tre roncadores (Pino, Aldo e Luigi), Vlady ed Antonella.
Alle due ci alziamo da tavola un po’ brilli e ci
incamminiamo verso Arzua: ci sono da fare altri
quindici chilometri e le gambe, sotto l’effetto del
vino, girano a fatica, ma tra una risata ed una
pipì campestre arriviamo verso le diciotto a destinazione.
131
Tra un giorno arrivo a Santiago: sono un po’ triste, le sensazioni aumentano, il Camino inizia a
“parlare”.
132
27 ottobre - venerdì
da Arzua
a Villamajor
Notte tranquilla: alle sette sono sveglio. La stellata anticipa una giornata di sole che puntualmente alle otto e mezza saluta con un’alba rossa
i boschi e le colline della Galizia. Gli eucalipti
sull’attenti come soldatini rendono onore ai
pellegrini che vivono la vigilia dell’arrivo a Santiago.
Lo zaino oggi si fa sentire anche lui: “gridando”
con il suo peso vuole ricordarmi il suo prezioso
servizio e farmi capire che vuol partecipare da
protagonista a questi ultimi chilometri. In queste
ultime ore “grida” forte e le mie spalle ne sanno
qualcosa, ma lo perdono con tutto il cuore e gli
rendo l’obbligato ringraziamento.
Faccio un paio di tappe veloci per rifocillarmi: i
piedi iniziamo a darmi fastidio. La meta iniziale
del Monte del Gozo cambia: decido di fermarmi
a Villamajor dove trovo posto in un bel casolare
133
ristrutturato. Faccio il bucato e butto via, essendo l’ultimo giorno, un po’ di cose ormai diventate superflue.
L’ultima notte sul Camino sarà una notte di vigilia, di veglia: l’emozione è tanta, quasi un mese
fa partivo da San Jean Pied du Port carico di sogni e di speranze ma anche di paure e perplessità. Strada facendo le paure sono svanite ed al
loro posto sono nate delle bellissime certezze e
delle consapevoli sicurezze in me, oltre che ad
una nuova Fede e tanti bei propositi.
E’ tanto che sono lontano ed ho voglia di rivivere i miei affetti e la mia casa, anche se una non
troppo velata tristezza pervade il mio cuore. Il
Camino è il Camino e giorno dopo giorno ti
coinvolge, ti attrae, ti stupisce, ti fa soffrire per
poi consolarti, ti rende felice e sereno. Ti offre
una gioia impagabile ed inspiegabile, ti rende
umile, ti insegna ad accettare, ti unisce nella fratellanza, ti fa condividere intimità con gente di
tutto il mondo con estrazioni e culture diverse ,
che però qui, meravigliosamente si azzerano rendendo tutti uguali. E non ultimo ti avvicina in
134
maniera fortissima a Dio ed alla Madonna ai
quali chiedi aiuto e conforto nei momenti difficili e loro, miracolosamente, esaudiscono le tue
preghiere senza voler nulla in cambio. Il Camino
è il posto dove l’anima entra in una pace soave e
vorresti fosse sempre cosi: sarebbe bellissimo!
Domani partirò presto, mancano solo nove chilometri a Santiago de Compostela e per le dieci
voglio essere dentro alla Cattedrale per andare a
salutare e ringraziare San Giacomo. Poi lo pregherò affinché quello che ho vissuto e provato
sul Suo Camino continui a viverlo sul cammino
della mia vita. Grazie di cuore.
Non voglio, con queste parole, enfatizzare quello che ho fatto e quello che ho provato: è stata
un’esperienza importante, ma nello stesso tempo
una “ricerca” semplice ed umana senza eroismi
di nessun genere. Sicuramente alla portata di tutti se fatta con umiltà, così … come piace a Gesù!
E’ tardi sono quasi le undici di notte, vado a dormire felice!
Ciao San Giacomo … A domani!
135
28 ottobre - sabato
da Villamajor
a Santiago de Compostela
Ho dormito bene ed alle sette mi sono alzato e
mi sono preparato per fare gli ultimi passi del
Camino. Anche oggi è una bella giornata di sole,
dopo quaranta minuti arrivo sul Monte del Gozo
(monte della gioia), dalla sua cima vedo la città
di Santiago. Il monte è famoso perché nel 1982
Papa Paolo Giovanni II ha accolto qui migliaia
di giovani di tutto il mondo: infatti c’è un monumento a memoria di quell’evento.
Scendo verso Santiago. Ho la testa “vuota”
come lo era il primo giorno di Camino. Alle dieci entro nella piazza della Cattedrale tenendomi
per mano con altri pellegrini quasi a formare una
catena. Dopo questo rito desidero rimanere solo
e quindi mi stacco dal gruppo e mi inginocchio
davanti alla Cattedrale. San Giacomo è lì davanti, mi sta guardando. Mi emoziono e qualche la-
136
crima di commozione scende dai miei occhi arrossati e stanchi.
Entro in Cattedrale: tocco l’antica colonna ormai
scavata dalle mani di milioni di pellegrini che
prima di me e come me hanno fatto quel gesto in
segno di saluto e ringraziamento. Poi lentamente
ed in silenzio vado ad abbracciare la statua dorata di Santiago. Prego per qualche minuto davanti
alla cripta che contiene le spoglie del Santo.
Ho solo mezz’ora di tempo prima che inizi la
Messa del pellegrino: corro al Palazzo per farmi
dare la Compostela dietro presentazione delle tre
credenziali con tutti i selli da me raccolti.
A mezzogiorno inizia la funzione Religiosa nella
quale vengono annunciati per nazionalità e per
luogo di partenza del Camino tutti i pellegrini
arrivati oggi.
Il Camino di Santiago de Compostela è terminato. Ora ho da riprendere il cammino della vita,
ricordando sempre i mille passi, le mille emozioni, le mille preghiere, le mille sofferenze e le
mille gioie che ho vissuto sul mio Magico Camino di Santiago.
137
Santiago de Compostela, 28 ottobre - sabato
Caro Alberto,
sono contenta di vederti sereno dopo tanta strada.
Nonostante le numerose difficoltà, non hai mai
perso il sorriso, la fiducia, la calma.
Anche nei momenti più difficili posso aver visto
sul tuo volto la stanchezza, ma non lo sconforto.
Sei stato ammirevole per non aver mai rinunciato a portare il peso dello zaino.
Sei stato forte, caparbio, deciso e determinato.
Tu in questo cammino ci credevi con tutto te
stesso e l’hai trasmesso.
Dopo tanta fatica, ti auguro che arrivi il tuo
grande dono, la tua meritata ricompensa.
Grazie per avermi parlato di Frà Elia.
Grazie per i tuoi sorrisi, non puoi immaginare la
forza che mi hanno dato, soprattutto nei momenti più difficili.
Grazie per la tua presenza che mi ha accompagnato in questo pezzetto di strada indimenticabile delle mia vita.
138
Antonella
139
Nello zaino (13kg.) ho messo:
mantella impermeabile copri zaino e corpo
maglione di pile
un paio di scarponcini con la suola rigida
sacco a pelo leggero
due paia di pantaloni
una maglia di lana pesante
tre paia di calze antivesciche
tre paia di mutande
tre maglie di cotone
cappello parasole, cappello impermeabile
scarpe da ginnastica e stringhe di riserva
ciabatte da doccia
giubbotto antivento
un rotolo di carta igienica
accappatoio di carta-tessuto e una salvietta
set di medicazione e piccola farmacia
coltello multiuso
sacchetti di plastica
penna e quaderno per appunti
ago, filo e spago
torcia, bussola, macchina fotografica
140
mollette e spille da balia
borraccia
tappi per le orecchie
set pulizia corpo
modello E111, credenziale, documenti
pochi soldi
141
142
Indice
1. Prefazione
5
2. Prologo
13
3. Il Viaggio :
1 San Jean Pied du Port – Roncisvalle
2 Roncisvalle – Larrasoana
3 Larrasoana - Cizur Menor
4 Cizur Menor - Puente la Reina
5 Puente la Reina – Adegui
6 Ayegui - Torres del Rio
7 Torres del Rio – Navarrete
8 Navarrete – Azofra
9 Azofra - Redecilla del Camino
10 Redecilla del Camino - Villafranca M. de Oca
11 Villafranca Montes de Oca – Burgos
12 Burgos – Hontanas
13 Hontanas - Boadilla del Camino
14 Boadilla del Camino - Carriòn de los Condes
15 Carriòn de los Condes – T. de Templarios
16 Terradillos de Templarios - El Burgo Rasero
17 El Burgo Ranero – Leon
18 Leon - Villar de Mazarife
19 Villar de Mazarife – Astorga
20 Astorga - Rabanal del Camino
21 Rabanal del Camino – Ponferrada
22 Ponferrada - Villafranca del Bierzo
23 Villafranca del Bierzo - O Cebreiro
24 O Cebreiro – Tricastela
143
19
23
26
30
33
38
41
44
47
49
52
55
59
64
67
70
74
77
80
83
86
90
93
98
25 Tricastela – Morgade
26 Morgade - Palas de Rei
27 Palas de Rei – Arzua
28 Arzua – Villamajor
29 Villamajor - Santiago de Compostela
4. Lettera
102
105
108
111
114
116
5. Nel mio zaino ho messo
117
144