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Rassegna Stampa
Repubblica Palermo
Giovedì 11 Marzo 2010 pagina 1
A INCASSARE IL PIZZO CI PENSAVA "MASTINO" - ESTORSIONI A
TAPPETO E MODI VIOLENTI COSÌ LA COSCA PROVVEDEVA A
FINANZIARSI
«MA CHE fai, chiedi l`elemosina? Che razza di lavoro è», chiedeva la ragazza di uno
degli esattori del racket di Santa Maria di Gesù. E lui, serio: «Quale elemosina? Io vado
a «siggere»». SI RIUNIVANO all`aperto, a prova di microspia, e avevano la base
operativa in un negozio di ingrosso di carta in via Mendola. Era dal lì che partivano i
«picciotti» della cosca di Santa Maria di Gesù per battere a tappeto tutti i negozi della
zona dai quali, con metodi particolarmente duri, esigevano il pizzo. In un paio di
occasioni si sono spinti verso il centro, fino in via Notarbartolo, ma la loro richiesta ad
un commerciante della zona è stata mediata da Roberto Settineri al quale la vittima
designata si era rivolta per uno sconto. Estorsioni e punizioni esemplari come quella
raccontata da Gaetano Lo Bocchiaro a Francesco Guercio e intercettata dalle micro
spie: era il 28 agosto 2009 quando Gioacchino Stassi, pregiudicato locale colpevole di
non allinearsi alle decisioni del gruppo, fu raggiunto da cinque colpi di pistola mentre
si trovava in una sala giochi. I componenti del commando furono ritratti dalle
telecamere della polizia che li tenevano sotto`occhio per questa indagine, infagottati
con sciarpe, giubbotti e cappelli nella calura di agosto. Una prova inoppugnabile della
loro colpevolezza poi confessata da Lo Bocchiaro in favore di microspie. I picciotti
della cosca non disegnavano neanche il classico «ribordo», il riscatto chiesto ai
proprietari di auto, moto e mezzi industriali rubati.
Un`attività che assicurava una certa liquidità ad una famiglia che - ha sottolineato il
dirigente della squadra mobile Maurizio Calvino - «aveva avviato una attività di
arruolamento massiccio di manovalanza specializzata capace di controllare il territorio
e allo stesso tempo di lasciarsi andare ad atti di violenza particolarmente efferata e
gratuita per affermare la propria leadership». Tra le attività della famiglia di Santa
Maria di Gesù anche i traffici di stupefacenti, cocaina e hashish di cui rifornivano la
piazza: la coca arrivava dalla Calabria, l`hashish dal Napoletano. Quando parlavano al
telefono si chiamavano con dei nomignoli, per non essere individuati. Nel
provvedimento di fermo, i magistrati spiegano che è stato possibile attribuire «lo
pseudonimo Mastino a Gioacchino Corso, quello di Rottweiler a Francesco Guercio,
chiamato spesso anche Il pacchione, quello di Bulldog a Francesco Ferdico, quello di
Chiwawa ad Andrea Casamento, quello di Zio o ancora di Peppuccio a Giuseppe Lo
Bocchiaro, quello di Scioppetto o Scioppettino a Giuseppe Frusteri, quello di Turco per
Salvatore Luisi».
Mafiosi e picciotti erano rispettosi delle gerarchie familiari: Giuseppe Di Maio è
«figlioccio» di Gioacchino Corso. Allo stesso modo, Giuseppe Lo Bocchiaro è «parrino»
di Pietro Pilo, a sua volta panino di Francesco Guercio». Quelle gerarchie familiari
erano presto diventate gerarchie di mafia. Il sistema più sicuro per comunicare lo
avrebbe dato comunque un insospettabile negoziante di telefonini. Umberto Di Cara,
rivenditore Wind, forniva ai boss schede telefoniche intestate a persone ignare, per lo
più straniere. Di Cara è il titolare del negozio «Telefono Service» di via Emanuele
Notarbartolo: il suo molo è emerso nelle indagini della polizia grazie
all`intercettazione di numerose telefonate in entrata e in uscita dal telefono fisso del
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negozio. Agli investigatori è bastato analizzare le 4.200 schede sim che il negoziante
aveva rilasciato dall`inizio della sua attività, nel gennaio 2008, per scoprire i telefonini
dei boss: quelle utenze sono adesso all`esame della Procura, che adesso spera di
ricostruire le relazioni della nuova Cosa nostra.
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