La competizione tra fratelli: Esaù e Giacobbe

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La competizione tra fratelli: Esaù e Giacobbe
CESTA DEI CENACOLI 2014-15
Famiglia in cammino verso il Padre
7. La competizione tra fratelli: Esaù e Giacobbe (Gen 27,1-46)
di SALVATORE TOSTO
Certe volte Dio, nelle sue libere scelte, preferisce il fratello minore, come Abele
(Gen 4,4), Isacco (Gen 17,19), Giacobbe (Ml 1, 2 ): non si tratta della salvezza personale
di questi tre secondogeniti, ma di una missione da svolgere in questa vita per la
formazione del popolo di Dio. Sono le scelte libere del Signore, che non possono avere
nessun significato di ingiustizia verso i non chiamati.
Esaù ha un secondo nome, Edom, che significa rosso, per un'assonanza dell'aggettivo
ebraico “rosso” e anche con il sostantivo “ pelo” il nome della montagna di Seir dove
abiterà, quindi pelo rosso (Gen 25,25; 36,1-8). Esaù era abile nella caccia, era un uomo
della steppa. Giacobbe, poi chiamato Israele, era un uomo tranquillo, prediligeva stare
sotto le tende. Due uomini con caratteristiche diverse, quasi contrapposte. Intraprendente
ed avventuroso il primo, quasi ozioso e calcolatore il secondo. Esaù ha una eccessiva
semplicità d'animo e di mente, è un credulone. Giacobbe è noioso, antipatico, avido e
gretto, mal tollerabile per la sua asprezza, odioso per l'eccessività delle sue pretese, in una
parola, esoso. Infatti, egli sfrutta, alla prima occasione, questa sua caratteristica,
chiedendo la vendita della sua primogenitura a Esaù, stanco ed affamato, per un piatto di
minestra rossa. Esaù mostra, così, tutta la sua incapacità di condurre una vita ordinata,
perché ha la propensione al bene immediato e materiale, è un superficiale, si dimostra
incapace di condurre una vita di fede come i suoi padri. Il calcolatore Giacobbe, sollecito
del proprio interesse, sfrutta la fame e la dabbenaggine del fratello primogenito, per
assicurarsi la doppia porzione di eredità spettante ad Esaù. Giacobbe non ha proprio
ritegno, continua nell'ingiustizia e sfrutta volgarmente la cecità del padre Isacco;
approfitta anche del debole che la madre nutre verso di lui, si camuffa, con il di lei
suggerimento, con i vestiti di Esaù ed il vello di capretto preparati da lei stessa per
ricoprirgli le braccia senza peli, raggiungendo lo scopo: la benedizione di suo padre
Isacco per la trasmissione della discendenza. La famiglia sembra sfasciata. Il peccato, il
disordine morale ha pervaso questa famiglia. Il padre Isacco preferisce Esaù a Giacobbe,
nonostante il grave dispiacere che gli ha inflitto, sposando le due donne hittite Giudit e
Basemat, ma lo caccia via ugualmente. La sua benedizione è stata già donata a Isacco. Gli
antichi pensavano che gli atti sacri, come la benedizione, avessero un effetto immediato
ed irrevocabile, per questo Isacco, pur informato dell'inganno, ratifica l'atto compiuto:
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motivo per cui la sostituzione di persona non va giudicata con i criteri odierni. Esaù ha
perduto per sempre quel bene a cui per la sua leggerezza aveva rinunciato. La sua
reazione è immediata e furibonda. Si scatena l'odio e non esita, quindi, a perseguitare
Giacobbe che gli aveva carpito i diritti della primogenitura, costringendolo a fuggire in
Mesopotamia. Esaù medita il fratricidio. Ancora una volta, come Caino ed Abele, le
differenze suscitano competizioni, invidia e odio, trascurando che il Dio creatore ci dà
sempre la forza per dominare l'istinto e la tentazione.
L'esoso e calcolatore Giacobbe, che non esita a caricarsi di gravi colpe a danno dei più
stretti congiunti, senza rinnegare il suo carattere, deve scomparire come il fuggiasco che
tenta di rifarsi la vita lontano, padrone soltanto della forza delle sue braccia con cui
lavorare.
Comincia l'espiazione del suo peccato; comincia la sua purificazione con la sofferenza: lo
zio Labano, in Mesopotamia, lo sfrutterà per vent'anni (Gen 31,41), lo ingannerà
cambiandogli la donna che doveva sposare (Gen 29,20-27) e in età avanzata i suoi figli lo
faranno piangere a lungo, quando gli faranno credere la morte del suo prediletto Giuseppe
(Gen 37,31-35).
Da questo quadro di sofferenza ed espiazione emerge una bella figura di Giacobbe: un
uomo che ha capito la lezione ed accetta di buon grado la lunga espiazione disposta da
Dio fino a giungere sufficientemente preparato alla responsabilità di trasmettere ai figli
la consegna del patriarca.
Esaù, il non benedetto, colui che ha rinunciato al “bene”, e gli Edomiti suoi discendenti,
vivranno fuori dalla fertile Palestina di rapine e brigantaggi, saranno sottomessi da
Davide, ma in seguito riacquisteranno l'indipendenza. Si riconcilieranno i due fratelli ed
ognuno per la loro strada proseguirà il cammino che Dio aveva loro assegnato. Una bella
pagina che si conclude con la riconciliazione dopo che questi due uomini, ma soprattutto
Giacobbe, hanno capito che solo l'amore cancella il peccato e restaura la pace.
Ma, allora, perché Dio preferisce Giacobbe e non Esaù? Perché lo scontro e l'inganno tra
fratelli? Non siamo tutti ugualmente figli dello stesso Padre? Sorge spontanea la
domanda, suscitata dalla nostra limitata, piccola, ed insufficiente intelligenza umana.
Però, così, il testo sacro mette in luce l'indipendenza e la libertà di Dio nello scegliere gli
strumenti per la sua opera di salvezza. Riconosciamoci peccatori come ha fatto Giacobbe.
Tra gli operai di Dio c'è posto anche per i peccatori, purché sappiano ascoltare la sua
Parola, perché tutta la storia della salvezza ha un solo fine: liberare l'uomo dalla schiavitù
del peccato.
Dio ha la libera iniziativa di scegliere coloro che porteranno nel mondo il suo disegno di
salvezza, senza che nessuno possa domandargli conto: “Userò misericordia con chi
vorrò, e avrò pietà di chi vorrò averla” (Es 33,19); “ ti ho fatto sorgere per manifestare
in te la mia potenza e perché il mio nome sia proclamato in tutta la terra” (Rm 9,17).
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