pagina 21 - 7 - Chiarelettere

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MAGAZINE
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OGGI
La crisi come alibi?
di
giro d’affari attorno ai 42 miliardi di euro dell’evasione fiscale» rivela Ippolito. E sbaglia
N i c c o l ò un
all’anno, sufficienti - se solo fossero tassabili - chi pensa che, in fondo, chi viola la legge lo fa
d ’ A q u i n o a dare la spinta decisiva per uscire dalla crisi. perché spinto dalla crisi economica che ormai
[email protected]
È
APPENA uscito un libro che ho letto
in poche ore, tra risate irrefrenabili
anche se amare e un miscuglio tra
montante irritazione e sconsolata
indignazione. Il titolo è secco e implacabile:
«Abusivi». Il sottotitolo spiega: “La realtà che
non vediamo. Genio e sregolatezza degli
italiani”. Per quanto lungo, però, questo
sottotitolo non prepara il lettore a ciò che troverà
nelle 144 pagine di questo volume edito da
Chiarelettere (euro 13) e scritto da Roberto
Ippolito (nella foto), giornalista e scrittore di
lungo corso ormai specializzatosi nella denuncia
dei mali italiani.
Negli ultimi anni, infatti, ha pubblicato
impietosi bestseller - «Evasori», «Il Belpaese
maltrattato» e «Ignoranti» - che rendono
difficile restare “renzianamente” ottimisti sul
futuro di questa strana nazione. Il sottotitolo di
questa sua ultima ricerca, dicevo, per quanto
con ben quattro righe occupi in pratica l’intera
copertina è minimalista rispetto allo
sconcertante elenco degli abusi compiuti ogni
giorno in Italia, impunemente e sotto gli occhi
delle cosiddette autorità, queste ultime talora
loro stesse protagoniste del malcostume. Un
malcostume che porta, però, ricorda Ippolito, a
NARRATIVA
C
C’è di tutto nella lista di Ippolito, e tutto è
documentato e inconfutabile. Praticamente non
c’è settore che non sia toccato: dai dentisti (oltre
15mila in tutto il Paese, pazzesco) ai panettieri ai
ristoratori ai veterinari alle pompe funebri (se
avete dei cari sepolti in Italia andate ogni tanto
a controllare la tomba: potreste scoprire che i
resti dei vostri familiari sono spariti, sostituiti
dalle spoglie di altri cari estinti) ai riciclatori di
rifiuti inquinanti. Il catalogo è davvero
onnicomprensivo. Particolarmente nutrito nel
campo della sanità e della salute pubblica.
L’abusivismo, lo sapevo, è un male
endemico italiano. Al quale, come tutti, sono
talvolta costretto a piegarmi anche io.
Impossibile non dare la mancia all’emblema e
simbolo dell’abusivismo italico, quel
parcheggiatore che al Nord come al Sud ti
chiama “Dottò” e che è meglio non inimicarsi,
pena il rischio di trovarsi l’auto graffiata o
peggio. Ci sono anche loro, i parcheggiatori
abusivi nel libro di Ippolito. Ma fanno quasi
tenerezza, a confronto con il malaffare più serio.
Sorpresa: pensavate che il disprezzo di leggi
e regolamenti fosse principalmente nel solito
Sud? No, invece. «L’abusivismo è localizzato
soprattutto al Nord per le professioni ed è
all’origine di una quota rilevante dei 3,1
milioni di lavoratori in nero oltre che,
ovviamente, di una parte importante
dura da anni. «L’argomento crisi mi indispone
- dice Ippolito, che sa di cosa parla visto è stato
a lungo responsabile dell’economia del
quotidiano La Stampa e direttore della
Comunicazione di Confindustria - spesso è
l’alibi che ci serve per dire: C’è la crisi, allora
anch’io domani vado al supermercato, faccio
la spesa e passo dalla cassa senza pagare».
C’è solo da sbizzarrirsi in questo libro, non
c’è praticamente campo che sia esente da
abusivismo. Colpisce anche… la criminalità
organizzata. Non a caso, ed è la ciliegina comica
sulla torta indigesta, nella quarta di copertina
viene riportato lo sfogo violento di un boss
ergastolano irritato perché ci sono dei mafiosi
privi di “investitura”. «Chi l’ha autorizzato?
Questi tutti abusivi sono!».
Di solito, quando segnalo un libro italiano
su “America Oggi” lo faccio anche perché penso
che valga la pena tradurlo in inglese, in modo
che i lettori americani lo leggano. Nel caso di
«Abusivi» devo confessare che proverei
vergogna a far sapere all’estero quanto, nel
Paese delle oltre centomila leggi, la legge sia
disattesa. Mi direte, però, che tanto all’estero
già lo sanno. E allora, via con la traduzione se
qualche editore a stelle e strisce è disponibile.
Poi, negli scaffali delle librerie americane ci sarà
da scegliere dove metterlo: tra gli horror, la
fantascienza o i comici?
Camilleri “colpisce” anche negli Usa
supra a tutta l’Italia. Al nord c’erano stati sta presentando traduzioni azzeccate trovando
d i F r a n c o ma
straripamenti e allagamenti che avivano fatto consensi di pubblico e di critica anche di lingua
B o r r e l l i danni ’ncalcolabili e da ’na poco di paìsi inglese. Gli ultimi tre titoli usciti sono
OLPISCE ancora il Montalbano,
anche se un po’ invecchiato, anche
se alle donne par preferire di più la
buona tavola, ma dalle intuizioni
sempre intatte ed intelligenti. E colpisce ancor
di più il suo ideatore, Andrea Camilleri, che con
«La piramide di fango» (Sellerio) domina come
sempre la classifica dei bestseller. Solite storie
di mafia, direte voi, solito intreccio col solito
canovaccio, etc. etc.; ed è così, in fondo. E
colpisce pure questo, che cioè a distanza di
tanti anni una ricetta trita e ritrita continui ancora
ad aver sapore e a dilettare i buongustai della...
lettura. La novità qui, quella che “colpisce” di
più (non vogliatemene se continuo ad abusare
dello stesso verbo) è nella ragione che sta a
monte di queste ennesime ammazzatine e
conseguenti indagini del commissario, e che ci
fa riflettere sui tanti tragici avvenimenti di
cronaca di quest’autunno.
Leggiamone insieme solo parte di un
paragrafo della pagina d’apertura e capiremo
all’istante: «Nun sulamenti chioviva a Vigàta,
l’abitanti erano stati fatti sfollari. Ma macari
al sud non si sgherzava, sciumare... si erano
scatinate distruggenno case e tirreni
coltivati». Non c’è bisogno di tradurre il
siciliano di Camilleri, e diventa persino ovvio il
riferimento alla Liguria e alla Toscana di queste
ultime settimane (da notare che la prima edizione
è uscita in primavera, ben prima dei disastri e
delle morti di questi ultimi tempi).
Pagine ecologiche ed accusatorie queste,
verso una classe politica sempre più assente o
almeno assai distratta, manovrata da interessi
per lo più illeciti e nelle mani di mafie che per
sfruttare meglio territorio ed uomini si alleano
perfino tra di loro. E’ il canovaccio su cui poi
Camilleri stende quest’altra storia di violenze e
di soprusi che solo all’ultima pagina trovano
composizione e soluzione; per la tranquillità del
lettore comune che poi, a mente un po’ più
fredda, si trova a sperare che un paese così
malridotto possa, se davvero lo volesse, salvarsi
dallo sfacelo.
E il successo di Camilleri continua anche al
di qua dell’Atlantico dove la Penguin Books
«Angelica’s Smile (“Il sorriso di Angelica”)»,
«Treasure Hunt (“La caccia al tesoro”)» e
«Brewer of Preston (“Il libraio di Preston”)»,
tradotti con gusto e intelligenza da Stephen
Sartarelli.
Il segreto di tanto successo? Di diverse
facce: dal linguaggio senza fronzoli, quasi
evangelico nel periodare breve, ove il siciliano
prende il sopravvento naturale sull’italiano
ufficiale; il carattere “giallo” che stimola curiosità
e coinvolge; il racconto cattivante e a tratti
umoristico anche, ricco sempre di riferimenti
classici e di buon senso; l’umanità del
commissario stesso alle prese con poteri solo
apparentemente più forti di lui; e la sensazione,
per finire, che il lettore conserva, quella
ottimistica che darebbe al bene/stato tutti i mezzi
- se solo li volesse applicare - per sconfiggere il
male/mafia/corruzione che dilania non solo il
Sud, ma l’Italia intera.
«La piramide di fango»,
di Andrea Camilleri, pp. 263, Sellerio,
Palermo, 2014, Euro 14,00
7 DICEMBRE
2014
LIBRI
Roberto Ippolito e il male endemico dell’abusivismo. Non c’è settore della vita
pubblica italiana che non ne sia toccato (anche quello della... mafia)
Terrorismo politico
nella Milano
degli anni ’80
È
di Giuseppe
Quatriglio
UN TRENTENNE Giorgio Fontana,
l’autore di «Morte di un uomo felice»
(Sellerio, pp. 261, euro 14), un romanzo
esistenziale nel quale si riflette sulla
giustizia, sulle sue possibilità e sui suoi limiti,
un romanzo, il terzo della sua produzione, che
ha vinto il Premio Campiello. Originario di
Saronno, Fontana, laureatosi in Storia della
Filosofia, da sette anni vive a Milano dove lavora
in una agenzia di software. Fontana ha staccato
di trentatré voti Michele Mari, autore di un
libro pubblicato da Einaudi. La giuria del
Campiello si è stupita dell’argomento
affrontato: il terrorismo politico nella Milano
degli anni Ottanta. Il protagonista del libro è
un giovane magistrato il cui padre morì in una
azione partigiana.
Del suo ultimo romanzo Fontana dice che
la storia narrata è la vicenda di un padre e di un
figlio, ed è una storia esistenziale nella quale i
fatti storici ‘entrano in casa e ti sfasciano la
vita’. Siamo a Milano nell’estate del 1981: è la
fase più tarda della stagione terroristica in
Italia. Il protagonista è un giovane magistrato
che indaga sull’attività di una banda armata
responsabile dell’assassinio di un politico
democristiano. Benedetta Tobagi, che firma la
copertina del volume, scrive che il libro
‘delicato, tagliente, doloroso narra la vicenda
di un magistrato che riesce a penetrare la
dimensione della vita quotidiana al tempo del
terrorismo’. Gli editori palermitani Antonio e
Olivia Sellerio hanno festeggiato il loro autore,
congratulandosi con lui perché ha saputo
affrontare un tema spesso trascurato dagli
scrittori italiani che sembrano disattenti verso
i fatti della storia recente .
“Quando scrivo - ha affermato Fontana
parlando con un giornalista che lo intervistava
- penso unicamente alla storia”. Egli tornerà
in libreria prima della fine dell’anno con un
reportage narrativo sugli immigrati nella
capitale lombarda. “Si tratta - precisa - di otto
storie riguardanti persone tra cui un operaio
ucraino e un rapper tunisino venuto a vivere a
Milano”. Attento alla sua scrittura Fontana,
che è appassionato di fumetti e chitarrista, è
molto cauto dopo il successo del Campiello.
Afferma: “Non faccio colpi di testa nella
scrittura come nella vita”.
Po e s i a \ C o n E s p m a r k , C a t u l l o d e l N o r d , a l l a s c o p e r t a d e l p i a n e t a S ve z i a
di
O
un tema analogo. Con queste due opere la poesia”. E’ una vertigine anche la poesia di strumento più degno a rappresentare
C l a u d i o su
letteratura svedese ci fa vibrare di emozioni, dopo Espmark, che alterna a queste brevi composizioni l’esistenza umana e la storia. Quest’ultima
A n g e l i n i essere stata un po` fraintesa per il successo (in di timbro ellenico o latino poesie più elaborate, ricostruita attraverso ricordi che a volte
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GGI vi propongo un viaggio
affascinante: penetriamo nell`estremo
nord, sentiamo le sue voci, alte come
le conifere dei suoi boschi, entriamo
in un mondo in parte sconosciuto, quello della
sua poesia. La Svezia è un pianeta letterario
che noi italiani - a differenza dagli americani dobbiamo ancora scoprire del tutto. Ed è bello
scoprirlo attraverso Kjell Espmark, i suoi saggi,
le sue opere narrative e, soprattutto, le sue
liriche. In Italia è uscito proprio in questi giorni
- per la casa editrice Aracne - «Lo spazio
interiore», una raccolta di versi che è un poema
sulla vita e naturalmente sulla morte.
Pochi mesi fa, Aracne aveva pubblicato un
libro di memorie dello stesso autore, dal titolo
«I ricordi mentono», che è un romanzo-saggio
parte imprevedibile) di alcuni autori polizieschi
e di noir. Senza voler mortificare gli autori di
storie thrilling, lo scrittore di cui vi parlo ha ben
altro spessore, tanto da poter essere accostato a
un gigante della cultura svedese, Strindberg, e a
un altro grande, il regista Ingmar Bergman.
Però l’opera di Espmark, pur affrontando temi
esistenziali, non è cupa né impenetrabile. La sua
Svezia non è fatta soltanto di settimi sigilli, di
brume e di nebbie. Il suo linguaggio è anche un
canto dolcissimo, i suoi versi sono ricchi di musica
ed hanno un nitore alessandrino. Tanto che alcuni
brani - in cui il mito si umanizza e l’umano diventa
mito - sembrano proprio uscire dall’animo di
Callimaco, di Teocrito o di altri classici come
Alceo, Saffo, Orazio e Catullo.
Un esempio: “Sono di nuovo a Leucade / e
sto sull’ingresso degli inferi… / E l’abisso in cui
si getterà Saffo / adesca la vertigine della sua
ma sempre chiare ed eleganti, con cui espone la
sua poetica e la sua filosofia. In queste liriche si
coglie talvolta un nesso con due grandi poeti del
secolo scorso, T. S. Eliot ed Ezra Pound, i
principali autori dei movimenti del modernismo
e dell’imagismo che combinarono la lirica
moderna con quella di Dante e del Cavalcanti,
senza trascurare l’Oriente e l’America (di
Whitman e della Dickinson), e recuperando il
mito della poesia greca e romana.
Anche quella di Espmark è una poesia di
immagini e di temi che mettono a fuoco la crisi
cosmica dell`artista moderno. Inoltre, sempre
secondo la dottrina del modernismo, l’autore
attinge al linguaggio di tutti i giorni, ma ne mette
al bando la banalità e l’incomprensibilità,
ripudiando anche il vuoto gioco di parole e di
simboli. Tutto, insomma, è costruito secondo un
paradigma che deve fare della poesia lo
possono essere labirintici e fraudolenti. Nel
senso che possono anche mentire.
«Lo spazio interiore» è il pendant lirico de
«I ricordi mentono», un’autobiografia seria
ed ironica, che è un grandioso affresco della
Svezia del secolo scorso. Ma probabilmente i
ricordi mentono meno in poesia che in prosa,
così le immagini poetiche di Espmark sono
sempre vivide e sincere, anche quando mettono
a nudo l’enigma che è l’essenza stessa della
vita che passa, del nostro passato e del nostro
futuro che si intersecano: “La tua testa è piena
di ricordi / di tutto ciò che non eè ancora stato”.
“Temo solo che il giorno estremo / non possa
chiamarsi Giustizia”. Molto interessante la
prefazione di Corrado Calabrò, perfetta la
traduzione di Enrico Tiozzo, che riesce a
mediare tra due culture lontane, proponendoci
immagini “concepite” nella nostra lingua.