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7 MAGAZINE 7 OGGI La crisi come alibi? di giro d’affari attorno ai 42 miliardi di euro dell’evasione fiscale» rivela Ippolito. E sbaglia N i c c o l ò un all’anno, sufficienti - se solo fossero tassabili - chi pensa che, in fondo, chi viola la legge lo fa d ’ A q u i n o a dare la spinta decisiva per uscire dalla crisi. perché spinto dalla crisi economica che ormai [email protected] È APPENA uscito un libro che ho letto in poche ore, tra risate irrefrenabili anche se amare e un miscuglio tra montante irritazione e sconsolata indignazione. Il titolo è secco e implacabile: «Abusivi». Il sottotitolo spiega: “La realtà che non vediamo. Genio e sregolatezza degli italiani”. Per quanto lungo, però, questo sottotitolo non prepara il lettore a ciò che troverà nelle 144 pagine di questo volume edito da Chiarelettere (euro 13) e scritto da Roberto Ippolito (nella foto), giornalista e scrittore di lungo corso ormai specializzatosi nella denuncia dei mali italiani. Negli ultimi anni, infatti, ha pubblicato impietosi bestseller - «Evasori», «Il Belpaese maltrattato» e «Ignoranti» - che rendono difficile restare “renzianamente” ottimisti sul futuro di questa strana nazione. Il sottotitolo di questa sua ultima ricerca, dicevo, per quanto con ben quattro righe occupi in pratica l’intera copertina è minimalista rispetto allo sconcertante elenco degli abusi compiuti ogni giorno in Italia, impunemente e sotto gli occhi delle cosiddette autorità, queste ultime talora loro stesse protagoniste del malcostume. Un malcostume che porta, però, ricorda Ippolito, a NARRATIVA C C’è di tutto nella lista di Ippolito, e tutto è documentato e inconfutabile. Praticamente non c’è settore che non sia toccato: dai dentisti (oltre 15mila in tutto il Paese, pazzesco) ai panettieri ai ristoratori ai veterinari alle pompe funebri (se avete dei cari sepolti in Italia andate ogni tanto a controllare la tomba: potreste scoprire che i resti dei vostri familiari sono spariti, sostituiti dalle spoglie di altri cari estinti) ai riciclatori di rifiuti inquinanti. Il catalogo è davvero onnicomprensivo. Particolarmente nutrito nel campo della sanità e della salute pubblica. L’abusivismo, lo sapevo, è un male endemico italiano. Al quale, come tutti, sono talvolta costretto a piegarmi anche io. Impossibile non dare la mancia all’emblema e simbolo dell’abusivismo italico, quel parcheggiatore che al Nord come al Sud ti chiama “Dottò” e che è meglio non inimicarsi, pena il rischio di trovarsi l’auto graffiata o peggio. Ci sono anche loro, i parcheggiatori abusivi nel libro di Ippolito. Ma fanno quasi tenerezza, a confronto con il malaffare più serio. Sorpresa: pensavate che il disprezzo di leggi e regolamenti fosse principalmente nel solito Sud? No, invece. «L’abusivismo è localizzato soprattutto al Nord per le professioni ed è all’origine di una quota rilevante dei 3,1 milioni di lavoratori in nero oltre che, ovviamente, di una parte importante dura da anni. «L’argomento crisi mi indispone - dice Ippolito, che sa di cosa parla visto è stato a lungo responsabile dell’economia del quotidiano La Stampa e direttore della Comunicazione di Confindustria - spesso è l’alibi che ci serve per dire: C’è la crisi, allora anch’io domani vado al supermercato, faccio la spesa e passo dalla cassa senza pagare». C’è solo da sbizzarrirsi in questo libro, non c’è praticamente campo che sia esente da abusivismo. Colpisce anche… la criminalità organizzata. Non a caso, ed è la ciliegina comica sulla torta indigesta, nella quarta di copertina viene riportato lo sfogo violento di un boss ergastolano irritato perché ci sono dei mafiosi privi di “investitura”. «Chi l’ha autorizzato? Questi tutti abusivi sono!». Di solito, quando segnalo un libro italiano su “America Oggi” lo faccio anche perché penso che valga la pena tradurlo in inglese, in modo che i lettori americani lo leggano. Nel caso di «Abusivi» devo confessare che proverei vergogna a far sapere all’estero quanto, nel Paese delle oltre centomila leggi, la legge sia disattesa. Mi direte, però, che tanto all’estero già lo sanno. E allora, via con la traduzione se qualche editore a stelle e strisce è disponibile. Poi, negli scaffali delle librerie americane ci sarà da scegliere dove metterlo: tra gli horror, la fantascienza o i comici? Camilleri “colpisce” anche negli Usa supra a tutta l’Italia. Al nord c’erano stati sta presentando traduzioni azzeccate trovando d i F r a n c o ma straripamenti e allagamenti che avivano fatto consensi di pubblico e di critica anche di lingua B o r r e l l i danni ’ncalcolabili e da ’na poco di paìsi inglese. Gli ultimi tre titoli usciti sono OLPISCE ancora il Montalbano, anche se un po’ invecchiato, anche se alle donne par preferire di più la buona tavola, ma dalle intuizioni sempre intatte ed intelligenti. E colpisce ancor di più il suo ideatore, Andrea Camilleri, che con «La piramide di fango» (Sellerio) domina come sempre la classifica dei bestseller. Solite storie di mafia, direte voi, solito intreccio col solito canovaccio, etc. etc.; ed è così, in fondo. E colpisce pure questo, che cioè a distanza di tanti anni una ricetta trita e ritrita continui ancora ad aver sapore e a dilettare i buongustai della... lettura. La novità qui, quella che “colpisce” di più (non vogliatemene se continuo ad abusare dello stesso verbo) è nella ragione che sta a monte di queste ennesime ammazzatine e conseguenti indagini del commissario, e che ci fa riflettere sui tanti tragici avvenimenti di cronaca di quest’autunno. Leggiamone insieme solo parte di un paragrafo della pagina d’apertura e capiremo all’istante: «Nun sulamenti chioviva a Vigàta, l’abitanti erano stati fatti sfollari. Ma macari al sud non si sgherzava, sciumare... si erano scatinate distruggenno case e tirreni coltivati». Non c’è bisogno di tradurre il siciliano di Camilleri, e diventa persino ovvio il riferimento alla Liguria e alla Toscana di queste ultime settimane (da notare che la prima edizione è uscita in primavera, ben prima dei disastri e delle morti di questi ultimi tempi). Pagine ecologiche ed accusatorie queste, verso una classe politica sempre più assente o almeno assai distratta, manovrata da interessi per lo più illeciti e nelle mani di mafie che per sfruttare meglio territorio ed uomini si alleano perfino tra di loro. E’ il canovaccio su cui poi Camilleri stende quest’altra storia di violenze e di soprusi che solo all’ultima pagina trovano composizione e soluzione; per la tranquillità del lettore comune che poi, a mente un po’ più fredda, si trova a sperare che un paese così malridotto possa, se davvero lo volesse, salvarsi dallo sfacelo. E il successo di Camilleri continua anche al di qua dell’Atlantico dove la Penguin Books «Angelica’s Smile (“Il sorriso di Angelica”)», «Treasure Hunt (“La caccia al tesoro”)» e «Brewer of Preston (“Il libraio di Preston”)», tradotti con gusto e intelligenza da Stephen Sartarelli. Il segreto di tanto successo? Di diverse facce: dal linguaggio senza fronzoli, quasi evangelico nel periodare breve, ove il siciliano prende il sopravvento naturale sull’italiano ufficiale; il carattere “giallo” che stimola curiosità e coinvolge; il racconto cattivante e a tratti umoristico anche, ricco sempre di riferimenti classici e di buon senso; l’umanità del commissario stesso alle prese con poteri solo apparentemente più forti di lui; e la sensazione, per finire, che il lettore conserva, quella ottimistica che darebbe al bene/stato tutti i mezzi - se solo li volesse applicare - per sconfiggere il male/mafia/corruzione che dilania non solo il Sud, ma l’Italia intera. «La piramide di fango», di Andrea Camilleri, pp. 263, Sellerio, Palermo, 2014, Euro 14,00 7 DICEMBRE 2014 LIBRI Roberto Ippolito e il male endemico dell’abusivismo. Non c’è settore della vita pubblica italiana che non ne sia toccato (anche quello della... mafia) Terrorismo politico nella Milano degli anni ’80 È di Giuseppe Quatriglio UN TRENTENNE Giorgio Fontana, l’autore di «Morte di un uomo felice» (Sellerio, pp. 261, euro 14), un romanzo esistenziale nel quale si riflette sulla giustizia, sulle sue possibilità e sui suoi limiti, un romanzo, il terzo della sua produzione, che ha vinto il Premio Campiello. Originario di Saronno, Fontana, laureatosi in Storia della Filosofia, da sette anni vive a Milano dove lavora in una agenzia di software. Fontana ha staccato di trentatré voti Michele Mari, autore di un libro pubblicato da Einaudi. La giuria del Campiello si è stupita dell’argomento affrontato: il terrorismo politico nella Milano degli anni Ottanta. Il protagonista del libro è un giovane magistrato il cui padre morì in una azione partigiana. Del suo ultimo romanzo Fontana dice che la storia narrata è la vicenda di un padre e di un figlio, ed è una storia esistenziale nella quale i fatti storici ‘entrano in casa e ti sfasciano la vita’. Siamo a Milano nell’estate del 1981: è la fase più tarda della stagione terroristica in Italia. Il protagonista è un giovane magistrato che indaga sull’attività di una banda armata responsabile dell’assassinio di un politico democristiano. Benedetta Tobagi, che firma la copertina del volume, scrive che il libro ‘delicato, tagliente, doloroso narra la vicenda di un magistrato che riesce a penetrare la dimensione della vita quotidiana al tempo del terrorismo’. Gli editori palermitani Antonio e Olivia Sellerio hanno festeggiato il loro autore, congratulandosi con lui perché ha saputo affrontare un tema spesso trascurato dagli scrittori italiani che sembrano disattenti verso i fatti della storia recente . “Quando scrivo - ha affermato Fontana parlando con un giornalista che lo intervistava - penso unicamente alla storia”. Egli tornerà in libreria prima della fine dell’anno con un reportage narrativo sugli immigrati nella capitale lombarda. “Si tratta - precisa - di otto storie riguardanti persone tra cui un operaio ucraino e un rapper tunisino venuto a vivere a Milano”. Attento alla sua scrittura Fontana, che è appassionato di fumetti e chitarrista, è molto cauto dopo il successo del Campiello. Afferma: “Non faccio colpi di testa nella scrittura come nella vita”. Po e s i a \ C o n E s p m a r k , C a t u l l o d e l N o r d , a l l a s c o p e r t a d e l p i a n e t a S ve z i a di O un tema analogo. Con queste due opere la poesia”. E’ una vertigine anche la poesia di strumento più degno a rappresentare C l a u d i o su letteratura svedese ci fa vibrare di emozioni, dopo Espmark, che alterna a queste brevi composizioni l’esistenza umana e la storia. Quest’ultima A n g e l i n i essere stata un po` fraintesa per il successo (in di timbro ellenico o latino poesie più elaborate, ricostruita attraverso ricordi che a volte [email protected] GGI vi propongo un viaggio affascinante: penetriamo nell`estremo nord, sentiamo le sue voci, alte come le conifere dei suoi boschi, entriamo in un mondo in parte sconosciuto, quello della sua poesia. La Svezia è un pianeta letterario che noi italiani - a differenza dagli americani dobbiamo ancora scoprire del tutto. Ed è bello scoprirlo attraverso Kjell Espmark, i suoi saggi, le sue opere narrative e, soprattutto, le sue liriche. In Italia è uscito proprio in questi giorni - per la casa editrice Aracne - «Lo spazio interiore», una raccolta di versi che è un poema sulla vita e naturalmente sulla morte. Pochi mesi fa, Aracne aveva pubblicato un libro di memorie dello stesso autore, dal titolo «I ricordi mentono», che è un romanzo-saggio parte imprevedibile) di alcuni autori polizieschi e di noir. Senza voler mortificare gli autori di storie thrilling, lo scrittore di cui vi parlo ha ben altro spessore, tanto da poter essere accostato a un gigante della cultura svedese, Strindberg, e a un altro grande, il regista Ingmar Bergman. Però l’opera di Espmark, pur affrontando temi esistenziali, non è cupa né impenetrabile. La sua Svezia non è fatta soltanto di settimi sigilli, di brume e di nebbie. Il suo linguaggio è anche un canto dolcissimo, i suoi versi sono ricchi di musica ed hanno un nitore alessandrino. Tanto che alcuni brani - in cui il mito si umanizza e l’umano diventa mito - sembrano proprio uscire dall’animo di Callimaco, di Teocrito o di altri classici come Alceo, Saffo, Orazio e Catullo. Un esempio: “Sono di nuovo a Leucade / e sto sull’ingresso degli inferi… / E l’abisso in cui si getterà Saffo / adesca la vertigine della sua ma sempre chiare ed eleganti, con cui espone la sua poetica e la sua filosofia. In queste liriche si coglie talvolta un nesso con due grandi poeti del secolo scorso, T. S. Eliot ed Ezra Pound, i principali autori dei movimenti del modernismo e dell’imagismo che combinarono la lirica moderna con quella di Dante e del Cavalcanti, senza trascurare l’Oriente e l’America (di Whitman e della Dickinson), e recuperando il mito della poesia greca e romana. Anche quella di Espmark è una poesia di immagini e di temi che mettono a fuoco la crisi cosmica dell`artista moderno. Inoltre, sempre secondo la dottrina del modernismo, l’autore attinge al linguaggio di tutti i giorni, ma ne mette al bando la banalità e l’incomprensibilità, ripudiando anche il vuoto gioco di parole e di simboli. Tutto, insomma, è costruito secondo un paradigma che deve fare della poesia lo possono essere labirintici e fraudolenti. Nel senso che possono anche mentire. «Lo spazio interiore» è il pendant lirico de «I ricordi mentono», un’autobiografia seria ed ironica, che è un grandioso affresco della Svezia del secolo scorso. Ma probabilmente i ricordi mentono meno in poesia che in prosa, così le immagini poetiche di Espmark sono sempre vivide e sincere, anche quando mettono a nudo l’enigma che è l’essenza stessa della vita che passa, del nostro passato e del nostro futuro che si intersecano: “La tua testa è piena di ricordi / di tutto ciò che non eè ancora stato”. “Temo solo che il giorno estremo / non possa chiamarsi Giustizia”. Molto interessante la prefazione di Corrado Calabrò, perfetta la traduzione di Enrico Tiozzo, che riesce a mediare tra due culture lontane, proponendoci immagini “concepite” nella nostra lingua.