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Uno
“Le porto un’altra bottiglia?”
“No, tra poco me ne vado”.
Da diverse ore stava seduto nell’angolo di una piccola trattoria dove era riuscito ad ingoiare lo stretto necessario per non
svenire.
I capelli sembravano ormai confondersi con la barba trascurata, mentre con lo sguardo scrutava gli avventori del locale,
giovani coppie e professionisti dall’aria sicura, una chiassosa
compagnia riempiva d’allegria la sala riscaldata dal caminetto
e dal fumo delle sigarette.
Non riusciva ad essere indifferente alle grasse risate di quel
fastidioso convivio, li spiava di continuo, con attenzione lasciandosi dolcemente avvolgere dai ricordi...
“È ora di chiudere... domani si lavora... su, vada fuori, ci vediamo lunedì”. Il cameriere osservava l’ultimo cliente con aria
distaccata, troppo stanco per giudicarlo, troppo assonnato per
scambiare due parole con quel giovane che, facendo leva sulla
seggiola si alzò ed uscì senza salutare.
Faceva freddo, il cielo era minaccioso di nuvole, il vapore
del respiro gli avvolgeva il volto per poi scomparire.
Il cammino non era certo breve.
Localizzò la panchina adatta per riprendere le forze per il
restante tragitto. Dopo qualche esitazione si avviò in un angolo tra due grossi abeti e si rannicchiò per poter trattenere le
ultime vampate di calore accumulato nel bar.
Il gelo lo penetrava nel profondo delle ossa e nel silenzio
della notte si udivano solamente i suoi secchi colpi di tosse.
Ad un tratto, il volo di un predatore notturno lo ridestò dal
sonno; riprese la via di casa con un’andatura barcollante, senza sapere l’orario il perchè di quella sbronza e le conoscenze
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fatte in quella notte...
La stanza era immersa nel buio. La finestra socchiusa lasciava filtrare uno spiffero che faceva svolazzare le tende.
Regnava un’insolita atmosfera.
Lo strillo violento della sveglia trafisse il cervello ancora addormentato di Luca che balzò a sedere sul letto con gli occhi
fissi.
Gli bastarono pochi minuti in quella posizione per riprendere la conoscenza abbandonata durante i sogni del mattino.
Ancora intontito si alzò e scostò le tendine.
La solita nebbia, la solita pioggia insistente, il solito freddo;
niente di nuovo. Nella cucina lo stava aspettando la madre,
avvolta in un indefinibile insieme di stracci per sconfiggere il
freddo della vecchia casa. Il risveglio bloccava lo stomaco a
Luca il quale, d’abitudine, apriva il frigorifero, meditava per
alcuni secondi, estraendo poi all’improvviso l’alimento più
adatto al suo umore.
La madre lo osservava rassegnata sperando un giorno di
vederlo, prima o poi, consumare una colazione completa. In
pochi minuti fu pronto per uscire; con il viso coperto da una
sciarpa sgargiante si diresse alla fermata dell’autobus che lo
avrebbe condotto al lavoro.
Le facce che si incontravano la mattina parevano i dipinti di
un pittore senza troppa fantasia, occhi spenti in un’espressione talmente seria da scongiurare il minimo tentativo di contatto.
Il grigiore di quelle mattine quasi lo soffocava, attenuandosi solo con l’arrivo di un raggio di luce che spezzava la nebbia.
Anche quel giorno il viso di Elisa, con rapide occhiate, cercava con insistenza la chioma arruffata dell’amico.
Pochi attimi e i loro sguardi si incrociarono; Luca, con un
balzo, si mosse e dopo una serpentina tra la gente le fu addosso: “Ciao ochetta, stamattina sei in ritardo, hai per caso dormito poco? Lo sai che le bambine non devono andare a letto
tardi la sera?”
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“Buongiorno idiota, sai benissimo che ero al partito ieri
sera con Paolo e gli altri, perchè non sei venuto?”
Il rito degli insulti mattutini durava ormai da diversi anni
ed era entrato a far parte della routine che accompagnava le
vite dei due giovani.
Elisa frequentava l’università e si recava tutti i giorni in città. Aveva poco più di vent’anni ed un corpo minuto ma forgiato dallo sport e dalla natura benevola. I lunghi capelli castani
le nascondevano il viso dai lineamenti duri ma piacevoli, spesso addolciti da uno dei suoi frequenti sorrisi.
Luca si riconciliava con il mondo guardandola.
Salirono sull’autobus, un breve tragitto e, nei ressi della
stazione, la grande folla di pendolari travolse Elisa che lo baciò
sulla guancia dileguandosi nella corrente.
Luca l’accompagnò con lo sguardo per pochi istanti continuando a seguirla con la mente e perdendola tra la gente.
Luca lavorava già da alcuni anni come tecnico montatore di
una grande azienda del Nord Italia, aveva sempre avuto una
gran passione per la meccanica, si trovava bene nel nuovo lavoro.
Poteva vantare il liceo abbandonato, e una serie di piccoli
lavoretti di frequente conclusi in colossali litigi con il “padrone”.
Il lavoro in fabbrica non lo spossava più di tanto; qualche
bottone da pigiare, pezzi da assemblare e compagni di “sventura” niente male. Eppure…eppure… qualcosa non quadrava;
non era una questione di soldi, che non si potevano definire
abbondanti: ciò che voleva Luca nemmeno lui lo sapeva. Era
irrequieto di natura, desideroso di strafare, spesso incapace di
agire, schiacciato tra contraddizioni insanabili che lo facevano
apparire distaccato e incazzato. Aspettava la sera.
Il fato aveva abbinato alcuni trai più importanti eventi nella
vita di Luca: Italia - Inghilterra con la compagnia al completo, ed inserimento di due nuove ragazze dalla fama non certo
monacale.
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Menù a base di maiale.
Dominata da questi pensieri filosofici, la giornata trascorse
in un attimo e venne la sera dedicata come tutti i giorni, o quasi, alla visita al nonno che abitava nell’immediata periferia.
Il vecchio viveva solo e aveva da tempo oltrepassato la soglia dei settant’anni; l’aspetto fisico non era certo quello di
un uomo in salute, troppo magro e di un colorito giallognolo
poco rassicurante. Per più di quarant’anni aveva lavorato nella
stessa azienda del nipote, la cui non faraonica assunzione era
servita quantomeno a tranquillizzare la madre e gli oppressivi
vicini. Parlava in modo pacato ed il suono della parole era reso
sibillino dalla dentatura irregolare che da anni lo costringeva ad una dieta molliccia e insapore. La visita del giovane era
ancora uno dei pochi momenti di gioia della sua vita, troppo
spesso alleviata dalla televisione e dal bastardino regalatogli
dai nipoti.
Al suo arrivo accendeva il maleodorante sigaro offrendone
come sempre uno al nipote, quasi costringendolo ad assecondarlo nel suo “sano” vizio:
“Prendi che ti farà bene, voialtri non sapete cosa significa
un buon sigaro, ti fa campare cent’anni, altro che le robacce
che fumate voi”.
“Nonno, io lo fumo ma non dirmi che è roba buona, ce l’hai
nella credenza da cinquant’anni e ha un sapore schifoso, qualche volta ti faccio assaggiare io del buon fumo”.
“Lascia stare, figurati se sono campato fino a settant’anni
per farmi dire anche quello che devo fumare; questi io li uso
fin dalla guerra, quando ne accendo uno mi sembra di tornare
ragazzino”.
“Va beh, lo fumerò, ma solo per farti un piacere; a proposito, ti ho portato i biscotti della Carla, questi sì che sono buoni,
tieni!”.
Ogni settimana si presentava con i dolci della vicina che davano inizio al quotidiano racconto del vecchio; Luca ascoltava
sognante qualunque cosa il nonno gli propinasse, guardando8
lo ingoiare avidamente i biscotti. Parlava senza fine per ore.
Le storie erano più o meno sempre le stesse, ma ogni volta si
arricchivano di particolari. Avventure di guerra, di partigiani e
di lotte politiche, finendo sulle immancabili conquiste galanti.
Proprio su quest’ultimo capitolo il nonno si lasciava andare in
contraddizioni spesso eccessive, cambiando i nomi delle donne, entrando in dettagli che si negavano puntualmente la volta
successiva.
A Luca non interessava la verità: suo nonno era la fuga dal
presidente, e come tale erano proprio le sue fantasie a conquistarlo, facendolo sobbalzare alla vista dell’orario ed al pensiero delle urla della madre.
Arrivata alla stazione, Elisa scese dal treno e iniziò a cercare
l’amica con la quale si sarebbe poi recata all’università. Era il
giorno del famigerato esame di latino.
Si poneva minaccioso di fronte alle due ragazze come uno
scoglio inevitabile. Nonostante la calca inverosimile, l’incontro tra le sue fu immediato; Nicole, l’amica alle soglie della cecità, la travolse facendole cadere i libri e dicendo con la solita
disinvoltura: “Dai muoviti, siamo in ritardo, se no non riusciamo neanche a fare colazione dal fighissimo”.
Di fronte alla tragica semplicità dell’amica, Elisa non proferì parola, raccolse i libri e la seguì.
La mattina dell’esame aveva una serie di riti e tradizioni
da applicare con scrupolo per evitare il fallimento della prova.
Già al risveglio Elisa aveva recitato le medesime orazioni, aveva bevuto una tazza di caffè rigorosamente senza zucchero e si
era preoccupata della benefica presenza di Luca.
Sul treno, stessa posizione e gratificante ultimo ripasso, per
poi incontrare l’amica vestita, salvo qualche piccola variante,
con gli stessi abiti portafortuna di sempre.
La colazione stessa rientrava nel religioso percorso pre-esame, ed era condita dalla presenza di Pasquale, tipica bellezza
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meridionale dal sorriso abbagliante e dalla pelle scura impreziosita da due occhi color mare che erano la fine del mondo.
“Due cappuccini e due brioche per le signorine, mi sa tanto
che oggi è tempo di esami, vero bellissime?”
“Eh si, proprio così, oggi è il più difficile, facci l’imbocca al
lupo”.
Pasquale le guardò intensamente, facendo trasalire Nicole
e lasciando di sasso Elisa, poi arricciò la bocca e mandando
loro un bacio via etere disse: “Tanti auguroni, alle mie due
belle puledrine, che l’esame vadi bene ad entrambe, auguri,
auguri auguri”.
Le parole del bronzo di Riace trafissero le due ragazze.
Qualunque fosse il contenuto della traduzione che stava
per essere distribuita dall’assistente, Nicole impugnò il foglio
e non ebbe nemmeno il coraggio di iniziare la prova.
Elisa si avventurò nell’esercizio ma non riuscì a distogliere
la mente da quella fantastica bocca che inconsciamente la stava consegnando ad una bocciatura senza appello.
“Com’è andata?”
“Malissimo, malissimo. Io in quel cazzo di bar non ci torno
mai più, anzi l’ammazzo.”
Nicole, la dolce Nicole era in preda ad una di quelle ire che
contrastavano con la sua immagine di ragazza posata.
Pasquale e la sfortuna divennero gli unici responsabili di
quella bocciatura, resa inevitabile dal poco studio e dalle prime brezze primaverili.
Poco dopo il sorriso ritornò trasformandosi in un bagliore
sinistro che illuminò gli occhi di Elisa; si ricompose imbracciò
i libri e guardando l’amica disse:
“Shopping?”
“Shopping” rispose entusiasta Nicole.
Anche quel giorno le due ragazze trovarono nel potere tonificante delle spese il lenitivo ad ogni male, facendole tuffare nell’atmosfera della “mitica” cena del venerdì successivo,
compleanno di Paolo e di Luca e da mesi programmata come
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l’evento del secolo.
La festa si presentava con un copione piuttosto ripetitivo:
menù ricchissimo curato da Paolo e Luca, scenografie, musiche ed addobbi seguiti dalle ragazze, animazione gestita
dall’infaticabile copia Lorenzo e Stefano. Terminata la sofferta
scelta degli abiti fu la volta dei regali ai festeggiati; le discussioni tra le due amiche proseguirono per diversi minuti finchè
non giunsero ad una radicale soluzione, il lancio della monetina; Nicole aveva optato per un regalo a tema unico, scegliendo
due pigiamini rosa con finta coda di porcello, mentre Elisa si
è orientata sul pratico con uno sciarpone mille colori per Luca
ed un’agenda in pelle per Paolo. Fu la sorte a decretare la vittoria dei costumini da maiale, chiudendo una dura giornata.
A più di cento chilometri dalle due ragazze si trovava Paolo,
grande amico di Luca e da anni membro della compagnia, bello come il sole e stimato da tutti. Anche quel giorno lo aveva
trascorso all’università: due ore di economia e diritto pubblico
come dessert. Mille progetti da realizzare. Il giornalino universitario era uno di questi, gestiva una rubrica sull’escursionismo, nella quale raccontava viaggi e itinerari domenicali,
seguendo una piccola guida tascabile e le sue uscite con gli
amici. Sogni impossibili, ferree abitudini. L’avvicinarsi della
cena sembrava turbarlo, non riusciva a dominare l’ansia per
quella serata, eppure ci sarebbe stata lei… Elisa.
Tanti indizi stavano da tempo accompagnando le uscite dei
due amici. Nulla di eccezionale, ma una trama fatta di battute,
sospiri e contatti. Ogni gesto sembrava presagire un avvicinamento, tanto temuto quanto desiderato da entrambi.
A guardarli mentre discutevano, sembravano una coppia di
predestinati. Due persone unite da storie di poca importanza.
Paolo usciva con la commessa di un negozio d’abbigliamento,
bella e distaccata.
Elisa frequentava un compagno d’università, uno sportivo
per eccellenza, alto e muscolo con un fisico che vedi solo nelle
riviste per gay, sorriso abbagliante e una certa sicurezza nei
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comportamenti e nelle idee, tali da sembrare quasi ottusità.
L’aria fresca della sera stava sostituendo il calore di quelle
giornate di fine aprile. Immerso nei suoi pensieri Paolo ebbe
un dubbio: Cosa gli era stato affidato per l’organizzazione della festa? Cercò di ricordare, e quando la verità arrivò nella sua
mente si chiese: chi era che si era impegnato per la ricerca del
fumo, vantando losche conoscenze e garantendo la buona riuscita della spedizione “…Vi giuro che non lo dimenticherò per
certe cose sono un orologio svizzero……”.
Qualcosa non aveva funzionato e mentre il treno viaggiava
pensava alle residue speranze di poter trovare quel prodotto,
mentre le facce scure degli amici si delineavano nella sua fantasia. Paolo si scosse da torpore e si accorse di essere seduto
accanto a quattro anziani signori, incalliti fumatori. Tutti si
fabbricavano a mano le sigarette con piccoli pizzichi di tabacco inserendoli nella cartina arrotolandole e inumidendole. Fu
così che Paolo chiese una piccola quantità di tabacco riducendone la grana e preparando così un piccolo capolavoro di
“cannabis”.
In pochi istanti il piano fu elaborato creando un amico immaginario che lo aveva condotto in un parco del centro presentato ad un trafficante turco che gli aveva allungato lo spinello.
L’idea, così congegnata era pronta occorreva solamente saperla esporre con suggestione. Lorenzo e Stefano si diedero
appuntamento al solito bar. Lorenzo era fratello di Luca, compiuti i quattordici anni non aveva trascorso un solo giorno lontano da lui, adorandolo come un eroe e subendone le sfuriate
senza batter ciglio. Stefano era amico di Lorenzo già ai tempi
delle medie, erano inseparabili, l’unica loro filosofia di vita era
una costante e disarmante superficialità. Nessuno dei due lavorava e tutta la loro vita era un susseguirsi di stupidaggini e
litigi in famiglia. Proprio in virtù di queste caratteristiche erano stati incaricati di acquistare cibi e bevande per la festa con
un tetto spendibile tutt’altro che contenuto. La decisione fu un
tragico errore. La serata precedente si era risolta nel girovaga12
re in diversi autogrill bevendo sambuca e rientrando all’alba.
tutto doveva essere eseguito nel primo pomeriggio a tutela del
gusto e della salute. Si ritrovarono al grande magazzino “Ciao
Lore, sei in ritardo di un minuto, vuol dire che mi pagherai
una birretta…”, bastò questa frase per far crollare i loro buoni propositi. In un’ora di sosta, il tasso alcolico oltrepassò i
limiti fissati dalla legge e dal buon senso, Lorenzo biascicò:
“Dobbiamo fare la spesa…”. il binomio prezzo-qualità venne
scartato a favore di una speculazione necessaria per recuperare parte del denaro volatilizzatosi al bancone del bar. Un sugo
mediterraneo di marca tedesca ma prodotto nell’est europeo e
una pasta dal nome ignoto ma di bell’aspetto. I salumi furono
sostituiti da una robusta quantità di mortadella polacca. Sulla
carne da mettere alla griglia non fu possibile speculare, mentre per il dolce sarebbero passati al bar di fiducia acquistando
gelato sfuso. Fu la volta delle bevande e la scelta degli alcolici
non fu facile: vodka, rhum, gin fino al “tredici erbe” potente
bevanda preparata nei mesi invernali dalla nonna di Nicole,
con una gradazione alcolica molto vicina allo spirito puro. Per
un soffio il budget era stato rispettato rimanevano poche lire
per azzerare il conto e altri due giri di rhum.
La sera colorava la piazza, e gli edifici grigiastri, il tramonto
infuocava i colori delle insegne e l’abbigliamento stravagante
dei ragazzi che riempivano le strade. Il campanile rintoccò le
sette e tutti si ritrovarono al solito tavolino.
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